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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 80 GIUGNO 2019 CITTÀ DEL VATICANO La giustizia è una virtù Le voci delle donne • Da Giotto a Greta • Caritas e parità (foto Louise Norton/Caritas)

D ONNE CHIESA MOND O - media.vaticannews.va · pravvento, «donne chiesa mondo» dedica un numero speciale ad ognuna di queste «quattro stelle non viste mai» scrive Dante «fuor

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 80 GIUGNO 2019 CITTÀ DEL VAT I C A N O

La giustizia è una virtù

Le voci delle donne • Da Giotto a Greta • Caritas e parità

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Nor

ton/

Car

itas)

numero 80giugno 2019

EDITORIALE

Q uasi del tutto assenti dall’orizzonte culturale odiernoe spesso considerate retaggio di una educazione reli-giosa sorpassata, le virtù umane sono in realtà prezio-se compagne di viaggio. Giustizia, prudenza, fortezzae temperanza incoraggiano a vivere meglio, a essere

più giusti e veri e orientano alla sapienza. In un’epoca in cui fretta,efficientismo, utilitarismo e ansia di affermazione hanno facile so-pravvento, «donne chiesa mondo» dedica un numero speciale adognuna di queste «quattro stelle non viste mai» scrive Dante «fuorch’a la prima gente». Sorge tuttavia il dubbio che le virtù non rien-trino tra i temi di particolare interesse per una rivista femminile dellaChiesa. Ma non è così.

Il tema si accorda con l’intento di favorire il dialogo tra mondo eChiesa, tra Chiesa e altre religioni, tra uomo e donna all’interno dellaChiesa, e fuori della Chiesa. Qui sono proprio le virtù umane a fun-gere da ponte visto che appartengono all’essere umano in quanto es-sere sociale e ragionevole e allo stesso tempo fanno parte del proget-to di uomo e donna come rivelato dal Vangelo. In particolare è ne-cessario rivisitarle e concretamente promuoverle partendo dalle espe-rienze di donne che le rileggano attraverso categorie e sensibilitàfemminili: accoglimento, ricettività, altruismo, tenerezza, empatia, de-licatezza, pazienza, comprensione, protezione, ascolto. Lo scopo èpromuovere un’etica della virtù al femminile che non si concentri so-lo sull’atteggiamento deontologico, consequenziale e normativo maanche sul discernere, sull’assistere, sul prendersi cura. Le virtù, chestanno alla base dell’idea di comunità sociale ed ecclesiale, diventano

D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romano

Comitato di DirezioneRI TA N N A ARMENI

FRANCESCA BUGLIANI KNOX

ELENA BUIA RUTT

YVONNE DOHNA SCHLOBITTEN

CHIARA GIACCARDI

SHAHRZAD HOUSHMAND ZADEH

AMY-JILL LEVINE

MA R TA RODRÍGUEZ DÍAZ

GIORGIA SA L AT I E L L O

CAROLA SUSANI

RI TA PINCI (co ordinatrice)

In redazioneGIULIA GALEOTTI

SI LV I A GUIDI

VALERIA PENDENZA

SI LV I N A PÉREZ

Progetto graficoPIERO DI DOMENICANTONIO

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v ad c m @ o s s ro m .v a

per abbonamenti:d o n n e c h i e s a m o n d o @ o s s ro m .v a

Per un’etica delle virtùal femminile

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SOMMARIO

così terreno fertile anche per immaginare futuri ruoli, decisionali edirigenziali, delle donne nella Chiesa.

La prima “stella” è la giustizia. Su di essa si fondano le altre virtùperché la giustizia attiene al comportamento rivolto non a noi stessema agli altri. Di fronte alla parola “giustizia” è facile che vengano al-la mente tribunali, processi e carceri o che la si intenda come retribu-zione, equità nello scambio o rivendicazione soggettivamente e ideo-logicamente intesa. Ci dimentichiamoche la giustizia è invece princi-palmente quella rettitudineche si manifesta nell’imp e-gno di riconoscere e ri-spettare il diritto diogni persona dandoleciò che le spetta se-condo la ragione e lalegge. Per questo lagiustizia umana èfondata sul diritto, undiritto irrinunciabileper una società che vo-glia essere civile e ancheper la vita della Chiesa co-me istituzione.

Dobbiamo poi però capire perchési ha un diritto e cosa spinge al più profondo atteggiamento moraledell’accoglienza, dell’ospitalità, dell’altruismo disinteressato e gioioso.Per i credenti fondamento della giustizia umana — e qui sta il punto— è la creazione divina. Dio ha amato, voluto, creato l’uomo e ladonna come soggetti di diritto inalienabile e chi offende tale dirittooffende Dio stesso. Non solo. Lui fa giustizia a chi si smarrisce: per-dona, riabilita, ama, rende giusti. È in grazia di questa sua giustiziasalvifica che anche l’umanità è messa in grado di esprimere giustizia,bontà, amore, perdono, di vivere, cioè, qualcosa di quella giustiziache chiede con “Venga il tuo Regno!” e che Maria esprime col suoMagnificat. Per giungere al Vangelo bisogna allora rispettare la giu-stizia umana per poi trascenderla avendo come faro l’amore di Dio?Su questo si intende far riflettere. L’invito a farlo giunge, seppur contoni diversi, anche da voci lontane, come quella di Albert Camus chescrive «credo nella giustizia ma prima della giustizia difenderò miam a d re » .

La giustizia non è unvestito occasionale,ma un abito che vaportato sempreaddosso

Papa Francesco

Da questo numero

trovate sparse qua e là

nel giornale frasi di

personalità autorevoli sul

tema di copertina.

Vogliono essere una

scintilla di riflessione

durante la lettura

L’ANALISI

Vivere è essere ospitatiCHIARA GIACCARDI A PA G I N A 13

NELLA BIBBIA

La giustizia è parte dell’AlleanzaLAU R A PALADINO A PA G I N A 17

NELL’ISLAM

L’ingiustizia disturba l’armonia della VitaSHAHRZAD HOUSHMAND ZADEH A PA G I N A 19

NELL’EBRAISMO

Stessa radice di rettitudine e caritàAMY-JILL LEVINE A PA G I N A 21

CU LT U R A

Da Giotto a Greta:l’arte non scarta

YVONNE DOHNA A PA G I N A 26

LIBRI

Un incontroper la libertà

ELENA BUIA RUTT A PA G I N A 27

PERCORSI

Sondaggio parità dellaCaritas internationalis

MARTINA LIEBSCH A PA G I N A 32

L’I N T E R V I S TA

Alicia Sloan: esseregiudice donna a Westminster

FRANCESCA MERLO A PA G I N A 23IL PUNTO

L’anima giustaGIORGIA SA L AT I E L L O A PA G I N A 28

LE VO CI DELLE D ONNE• Angela Bipendu, cardiochirurgo, salva gli uomini chearrivano dal mare • Mary Keneflich, cappellana in dueuniversità inglesi e serva dei poveri • Adriana Dominici,missionaria laica tra i senza casa • Gabriella Bottani, acapo della rete antitratta Talitha Kum • Veronica Quaran-ta e Carmela Serrone, ispettrici di Polizia a Scampia

DA PA G I N A 4 A PA G I N A 12

OS S E R VAT O R I O

Riconoscimentoa «Génie féminin»

PAGINA 33

SIMBOLI NELLA BIBBIA

I gioielli

ESTELA AL D AV E MEDRANOA PA G I N A 35

In copertinaLa foto di copertina èdi Louise Norton perCaritas internationalis.Facendosi ispiraredalla riflessione diPapa Francesco sulnostro comune futuro“condiviso”, laCampagna Caritas«Condividendo ilViaggio» ha realizzatoun collage di tre metridi altezza, compostoda volti di persone cheprobabilmente non siconoscono l’un l’altra,ma le cui vite sonoinestricabilmentecollegate: migranti erifugiati del passato edel presente, leader,direttori di grandicompagnie, personaledi Caritas di diversipaesi del mondo e altriche prendono parte inun modo o nell’altro aquesto nostro viaggioda migranti.

D ONNE CHIESA MOND O 4 D ONNE CHIESA MOND O5

Angela: suorae medico, mi imbarcoperché la mia vitaè degli altri

di TULLIA FABIANI

«L a mia esperienza con gliimmigrati nasce dall’esor-tazione che ha fatto PapaFrancesco a uscire dalproprio contesto per an-

dare a prestare aiuto dove c’è più bisogno.Ascoltandolo mi sono detta: io sono un medico,potrei dare un aiuto a queste persone che fug-gono dalle guerre, cercando la pace, perché solodove c’è pace ci può essere anche giustizia».Suor Angela Bipendu, 46 anni, congolese, daquindici vive in Italia, ha preso i voti tra le Di-scepole del Redentore e ha trascorso gli ultimitre anni proprio accanto a coloro che chiama“ultimi tra gli ultimi”: rifugiati, richiedenti asilo,migranti. «La terra è di tutti. Davanti a Dionon ci sono rifugiati — racconta —. Siamo tuttisuoi figli. Anche se il primo rifugiato è statoproprio Gesù di Nazareth che è stato costretto afuggire in Egitto con la sua famiglia». Il suo to-no di voce è una porta aperta. Quello di chi haun orecchio abituato all’ascolto e pratica l’acco-glienza senza formalismi e cerimonie, ancoran-dola all’essenziale: la comune natura di esseriumani, che abitano lo stesso mondo. «Era il2016, sono partita da Agrigento e sono andata aLampedusa senza sapere cosa mi aspettasse.Avevo paura del mare, non sapevo nuotare peròho detto: “Signore, eccomi”. Mi veniva in men-te il profeta Geremia quando ha ricevuto lachiamata di Dio. Il Signore insisteva per man-

darlo e lui diceva “sono ancora piccolo, comedevo fare, non so parlare”. La stessa cosa hopensato io, anche se sentivo una forza che mispingeva a fare questo passo, sentivo un corag-gio straordinario, come se mi venisse detto “seitu che devi andare”».

Questa spinta ha portato Suor Angela a la-sciare la sua comunità e a imbarcarsi nel Medi-terraneo: «Ho fatto del mare la mia seconda ca-sa. Con i team sanitari del Corpo italiano disoccorso dell’Ordine di Malta, sulle navi dellaGuardia costiera italiana, ho scoperto la dram-matica realtà di queste persone».

Le storie sono tante, ma in particolare suorAngela ne ricorda una: «Arrivammo in mareaperto per soccorrere un gommone in avaria.C’era una donna, madre di due bambine di 5 e3 anni. Aveva visto morire le sue figlie e le ave-

va seppellite a mani nude in una spiaggia libicadove stavano aspettando la partenza. Ci raccon-tò che erano morte per il freddo; era il 2 feb-braio del 2017, giornata dedicata alla vita consa-crata». Non lo dimenticherà mai, dice, «la don-na era molto provata, dopo otto ore di traversa-ta, ed era inconsolabile. Mi chiedevo: cosa leposso dire? Qualunque cosa mi sembrava inop-portuna. Allora le sono stata semplicemente vi-cina, l’ho accarezzata, ho fatto di tutto per pro-teggerla e consolarla». Quella donna, come lealtre, e come tanti uomini, aveva lasciato l’Afri-ca per fuggire da omicidi, violenze, abusi. «Èfacile dire aiutiamoli a casa loro — osserva suorAngela — ma abbiamo mai visto una mobilita-zione di massa o un impegno concreto da partedi un paese occidentale per dire “adesso basta”?Mai. La vera giustizia non è dire “aiutiamoli acasa loro” ma agire, con fatti concreti».

L’azione per suor Angela è complementarealla preghiera. «La prima cosa — sottolinea —è avere un cuore materno. Agire con tenerezzae comprensione. Noi donne siamo madri an-che senza una maternità fisica. E il cuore cheDio ci ha dato è un cuore materno. La Chiesanon deve stancarsi mai di predicare il Vangeloattraverso la nostra testimonianza. Deve inco-raggiare chi sceglie di lasciare le comunità perevangelizzare in mezzo alla gente. Se io ho ildono che Dio mi ha dato gratuitamente di cu-rare le persone perché non lo devo condivide-re altrettanto gratuitamente con chi ne ha bi-sogno? Non è sempre facile comprendere per-ché una suora si imbarchi, alcuni pensano chenon sia opportuno. Accetto questa idea, ma iosento che devo fare qualcos’altro, perché lamia vita da religiosa non è mia ma degli al-tri».

LE VO CI DELLE D ONNE • storie • testimonianze • ra c c o n t i

Angela Bipendu duranteun’o p e ra z i o n edi soccorso in mare

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Due foto “da leggere”:dopo la trattarinasce la speranza

di GABRIELLA BO T TA N I *

Entrare nel dolore provocato dall’in-giustizia dello sfruttamento e dellatratta di persone è sempre unagrande sfida, nella quale siamo in-viate ad avventurarci chiedendo

permesso e lasciandoci condurre — oltre la su-perficie dei pregiudizi — da coloro che portanonel proprio corpo, vita, mente, memoria e ani-ma le ferite di questo grande male. Sono tra i 21e i 45 milioni le persone in situazione di sfrutta-mento e tratta, la maggioranza donne e bambi-ne (72 per cento) con il corpo e l’anima segnatida cicatrici e rughe profonde che tatuanonell’essere di tutta l’umanità la fatica della vio-lenza sofferta quotidianamente. La mostra foto-grafica «Nuns Healing Hearts» è un camminoda percorrere insieme, attraverso le immagini

della fotografaLisa Kristine,che raccontanola speranza cherinasce dall’in-contro, quandole trame di vitadelle sopravvis-sute alla trattae delle suore diTalitha Kum siintrecciano nel-la quotidianitàdi gesti sempli-ci. La mostra,

presentata da Papa Francesco il 10 maggio, èuna delle attività previste per la celebrazione dei10 anni di Talitha Kum.

Due foto, due storie.

Una immagine racconta la vita di B., un’ado-lescente sopravvissuta alla tratta. «Ho sognatodi diventare un medico; un giorno una famigliami ha detto che stava cercando una ragazza daportare in Europa, ho pensato che questa era lamia occasione. Come molte giovani, ho trascor-so mesi nei campi in Libia. Ho sofferto fame,nostalgia di casa. Sono stata sfruttata e abusata.La prima barca sulla quale sono riuscita a salireè affondata. Ho visto altri passeggeri affogare.Arrivata in Sicilia sono stata portata in un Cas(Centro di prima accoglienza) e poi nel centrogestito dalle suore. Mi stanno insegnando a farela pizza e la pasta. Adesso ho un lavoro».

La foto di chi ha le “mani in pasta”! Sonomani di donne che lavorano insieme, sporcan-dosi e ritmando il movimento. Hanno unito illievito con tre misure di farina, affinché tutta lapasta, con gesti fermi e ritmati, fermenti (cfr.Ma t t e o 13, 33). Immagine che lascia trasparire la

saggezza dell’economia sostenibile e solidale,che valorizza il lavoro e la vita: è l’approccio disuor Rosalia Caserta, nel suo impegno per ilreinserimento e integrazione sociale.

La tratta di persone, affonda le radici nell’an-tica pratica della schiavitù, acquisendo delleconnotazioni proprie, risultanti da modelli ini-qui di sviluppo e asimmetrie di potere. Nelmondo globalizzato contemporaneo la tratta dipersone è caratterizzata da modalità diverse disfruttamento: sessuale, lavorativo, servitù dome-stica, matrimonio forzato, accattonaggio, ado-zioni illegali, atti criminali o traffico di organi.La tratta è un crimine che limita gravemente lalibertà, mantenendo le persone in situazioni digrande vulnerabilità, principalmente chi intra-prende percorsi migratori.

L’altra immagine ci porta a Los Angeles. Leprotagoniste sono una giovane sopravvissuta al-la tratta e suor Kathleen Bryant, impegnata adaccompagnare le ragazze in percorsi di cura,reinserimento sociale e lavorativo. Il luogo: laspiaggia dove la giovane era stata sfruttata peranni. La scena ripete il gesto che Gesù aveva

fatto duemila anni fa con i suoi discepoli: la la-vanda dei piedi. Un gesto di ospitalità che com-peteva agli schiavi, alle donne (cfr. Giovanni 13,4-15). La foto cattura un particolare di questoincontro: un piede, una bacinella, le mani chetengono la brocca dalla quale esce acqua cristal-lina, in contrasto con l’immensità dell’o ceanosfuocato che fa da sfondo. La brocca dove sullasuperficie si intravedere sdoppiata l’immagineriflessa della ragazza.

Questa immagine mi ricorda come le immagi-ni nitide delle testimonianze contrastano con losfondo, il contesto globale, che sempre di più sipresenta confuso e sfuocato, come l’o ceano.

La mostra fotografica è un messaggio di spe-ranza, di resistenza, di bene. Un invito a nonavere paura di fronte al male. Sono i gesti sem-

Le due foto di Lisa Kristine per la mostra«Nuns Healing Hearts» realizzata con il supportodella Sezione migranti e rifugiati e con il patrociniodella Fondazione Galileo (www.nunshealinghearts.org).A pagina 6 in basso Gabriella Bottani

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plici, di bene che ci donano il coraggio quoti-diano per «non lasciarsi vincere dal male, mavincere il male con il bene» (Rm 12, 21). Questolo possiamo fare solamente insieme. Questa è,in sintesi, Talitha Kum.

* Coordinatrice di Talitha Kumla rete mondiale della vita consacrata impegnatacontro la tratta di persone

Adriana in missionenel palazzo occupato:«Sì, Gesùguariva il sabato»

di CAROLA SUSANI

Q uando l’11 maggio, il cardinaleKonrad Krajewski è sceso in unabotola per riallacciare l’elettricitànell’edificio ex Inpdap, il suo èstato un gesto potente, capace di

rimettere la prospettiva con i piedi per terra:dalle persone come problema alle persone chehanno problemi. Quello della casa è uno dei pro-blemi più gravi a Roma: secondo dati dell’Acer(Associazione costruttori romani), 57.000 fami-glie sono in attesa di una casa popolare, 9000persone vengono sfrattate ogni anno, 7500 per-sone sono senza fissa dimora; senza contare i bi-sogni dei richiedenti asilo (sono dati del 2018).Se visto da lontano il gesto di padre Konrad èuno strappo nel serrato tessuto delle aspettative,in realtà alle spalle di quel gesto c’è una storiache lo rende non meno prezioso, ma consequen-ziale. Dopo sei giorni senza corrente elettrica,

senz’acqua, con l’angoscia che saliva nelle quat-trocento e più persone che abitano l’edificio, so-rella Adriana Dominici, dall’interno dell’o ccupa-zione, chiama padre Konrad, gli dice: «Vieni,qui la situazione è drammatica, non so cosachiederti, ma vieni».

Adriana Dominici è una presenza consuetanell’edificio ex Inpdap, lo Spintimelabs. In ca-micia bianca, con una piccola croce al collo, simuove sicura e quasi allegra nello spazio dei la-boratori: una sartoria, un laboratorio di grafica,uno di gioielli, una stanza ampia dove si inse-gna arte. Sentieri verso l’a l t ro , che organizza ilaboratori, è una associazione di volontariato: sioccupa di artigianato, di arte, di dialogo interre-ligioso, Adriana ne fa parte. «Sono una missio-naria laica consacrata, ho una formazione arti-stica e teologica, sto a Santa Croce in Gerusa-lemme dove è parroco don Gino Amicarelli. Ècominciato tutto nel 2013, l’occupazione c’eraappena stata. Organizzavo le colazioni, l’offertadi vestiario. Venivano tante mamme con i bam-bini, bambini deperiti, sofferenti. Erano senzaniente. Poi, a poco a poco le cose sono cambia-te». Da Santa Croce a qui sono poche centinaiadi metri, Adriana comincia a percorrerli spesso:«All’inizio, sono entrata in punta di piedi. Igiovani si vergognavano di abitare qui. C’erano

bambini problematici. Gli abitanti sempre all’er-ta per paura della polizia. Ho conosciuto Ac-tion, che aveva fatto l’occupazione». Action èun’associazione nata nel 2002, che occupa spazisfitti, ha uno sportello sul diritto all’abitare esui diritti dei migranti, partecipa a tavoli istitu-zionali. «Abbiamo cominciato a far entrare lascuola, l’università. A portare fuori i ragazzi.All’inizio mi dicevano: Sappiamo che vieni qui,ma questo è un posto politico, qui Dio non siporta. Ora collaboriamo». Nel palazzo ci sonoteatri, attività sportive per bambini, attività cul-turali, un’osteria: sono spazi aperti a tutti. Diun disagio cercano di farne un’opportunità, lochiamano Rigenerazione urbana. «Qui abitanopersone di diciotto etnie diverse. Ci sono gli ita-liani, naturalmente. C’è quasi tutta l’Africa, c’èl’India, molta America latina. Prendono le deci-sioni attraverso le assemblee. Le spese si affron-tano con la cassa comune, dieci euro a persona.Se muore qualcuno gli si paga il viaggio. Noifacciamo arrivare frutta verdura, scatolami, pa-ne. I bambini nascono a Santa Marta. Le donnevengono sostenute dall’elemosiniere padre Kon-rad e da Medicina solidale del Vaticano, la diri-gente è Lucia Ercoli». Nel laboratorio ci sonograndi tele dipinte dagli allievi di Adriana,adulti e ragazzi, corpi umani, opere astratte.«Staccare la luce, è stato tragico. Abbiamo più

di cento bambini, alcuni con problemi respirato-ri, non potevano fare l’aerosol, abbiamo malatigravi. Non si possono fare scelte a occhi chiusi,per mero calcolo economico. Bisogna vedere lecause di quello che accade. E agire quando ènecessario. Così padre Konrad è sceso nella bo-tola, da solo, non ha voluto che rischiasse nes-sun altro, e ha riacceso la luce. Se mi chiedonoperché, rispondo: Gesù guariva il sabato».

Mary: anche oggiaiutare gli studentiè servire i poveri

di MARY KENEFICK

Cresciuta nella campagna dell’Ir-landa del dopoguerra, ho ricevutoinnumerevoli benedizioni. Sentivoparlare di povertà e fame, ma nonle ho mai sperimentate. Anzi, la

mia prozia Kate, sempre attenta ai vicini poveri,mi mandava spesso da loro per condividere lenostre primizie. Guardando indietro, definiscoquesta attività come un gettare i semi della miachiamata alla vita religiosa. Quando sono entra-ta a far parte delle Povere Ancelle della Madredi Dio (SMG), ho trovato rassicurante che nelnome della nostra congregazione ci fosse la pa-rola “p overe”.

A nemmeno un anno dal mio arrivo a Lon-dra, ero una delle numerose novizie che il saba-to sera si recavano a Battersea, in una casa fati-scente, per preparare della minestra, che poi, apartire dalle undici di sera, distribuivamo aisenzatetto che dormivano sotto i ponti di Lon-

L’androne del palazzo dove Adriana svolge la sua missione

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nieri, altri ancora perché antisociali. Non si sba-glia se si afferma che le persone ridotte a chie-dere l’elemosina e prive di qualsiasi risorsa fi-nanziaria e familiare sono povere.

Nel Nuovo Testamento Gesù mostra spessola sua sollecitudine per i poveri. Abbracciaquanti sono buttati ai margini della società.Tanto per fare una citazione: «Ogni volta cheavete fatto queste cose a uno solo di questi mieifratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Ma t t e o

25, 40). Predicare la buona novella ai poveri èun valore evangelico? Dalla prigione GiovanniBattista ha mandato un messaggio a Gesù: «Seitu colui che deve venire o dobbiamo attenderneun altro?» (Ma t t e o 11, 2-3). Nella sua rispostaGesù indica ai discepoli di guardare i segnicompiuti: «I ciechi ricuperano la vista, gli storpicamminano, […] ai poveri è predicata la buonanovella» (Ma t t e o 11, 2-3).

Impegnata per molti anni come religiosapresso la parrocchia St. Patrick’s di Soho Squa-re a Londra, ho lavorato due volte a settimanaaccanto a tanti volontari. Servivamo un pastocaldo e sano ai senzatetto. Per quanto tragichefossero le loro situazioni, c’era sempre speranzaper il loro futuro. Vedere Cristo in tutti e igno-rare le barriere che sorgono in ogni incontro èstata una lezione concreta sul vivere i valorievangelici. Non posso dimenticare che ognunodi noi ha una madre da qualche parte e mi ren-do conto che un dolore del genere, dato dallaseparazione e dalla condizione di totale miseria,debba impiegare molto tempo prima di scompa-rire. Ai poveri qui non veniva solo dato damangiare, ma venivano loro offerti anche pre-ghiera e tempo sociale.

Essere un buon samaritano e mostrare l’uma-nità compassionevole è il modo principale di vi-vere il mistero dell’Incarnazione. Questa dedi-zione sostiene la spiritualità delle Povere Ancel-le della Madre di Dio. In Eastern Hospitals and

English Nurses leggiamo il famoso detto di Ma-dre Magdalen Taylor: «Abbiamo un solo Signo-re, un solo fine e un solo Padrone» (Una volon-taria [Frances Taylor], Eastern Hospitals and En-

glish Nurses, 3a edizione, J. Billing, ed. Londra,1857, p. 356).

Attualmente lavoro nella cappellania cattolicaromana per il personale e gli studenti dell’Uni-versity College di Londra e della Brunel Uni-versity. Continuo ad aiutare i poveri? Penso disì, ma da una prospettiva diversa. Le tensionipossono sminuire le persone. Prepararmi peraiutare gli studenti a vincere le loro paure, insi-curezze, a sapere che Dio li ha creati per unoscopo preciso e rafforzarli nella loro fede comeesseri umani straordinari è servire i poveri allamaniera del XXI secolo.

Carmela e Veronica:le donne si ribellinoe denuncino gli abusi

di ELISA STORACE

«S ono arrivata qui nel 2010ed ero da sola a occupar-mi di abusi. Sul territorioc’era soltanto lo sportelloantiviolenza del C e n t ro

Hurtado dei Gesuiti, erano loro che raccoglieva-no le testimonianze delle donne, loro che perprimi hanno sentito l’esigenza di creare una retecon i servizi istituzionali. In quel periodo capi-tava spesso che mi chiamassero dicendo: «Guar-da Carmela, c’è questa signora che ha una situa-zione particolare, avrebbe bisogno di parlarecon te...». Allora uscivo dal commissariato e laincontravo. Senza divisa, creando un dialogo,spiegandole cosa potevamo fare per aiutarla».

Carmela Serrone, ispettore capo dell’ufficioanticrimine del commissariato di Scampia, spe-cializzata da dieci anni in abusi sulle donne,racconta che il suo lavoro è iniziato così: dalladeterminazione di quei gesuiti a fare qualcosaper aiutare le donne vittime di violenza. «Queltipo di lavoro, durato circa due anni, è servito adare fiducia alle donne rispetto alla Polizia e aportare alla formazione di una sezione specializ-zata per questi reati, dove ora lavoro con la col-lega Veronica Quaranta». Carmela e Veronicaoggi sono molto conosciute nel quartiere, puntidi riferimento per una rete rosa che nel frattem-po si è creata.

«Non credo sia un caso — nota Veronica — sesiamo soprattutto donne: ci sono le referentidelle onlus impegnate contro la violenza di ge-

dra o sul retro degli hotel. Che modo creativoper conoscere questa famosa città! E che modoprofondo per iniziare a vivere la mia vita a par-tire dai valori evangelici al servizio dei poveri.L’interesse a distribuire i beni di questo mondoagli altri mi veniva in modo naturale dalle mieesperienze infantili.

Proseguendo la mia formazione religiosa, misono imbibita dei valori della venerabile MadreMagdalen Taylor, secondo cui lo scopo e il finedella congregazione erano di santificare la no-stra anima. Questo lo si faceva servendo i pove-ri. Chi sono i poveri? Poveri è un termine socia-le, economico o entrambe le cose? Tra la popo-lazione della Londra del XX secolo, qual è lapercentuale dei poveri? Come diventa povera lagente? Sceglie di rimanere povera? Erano que-ste le domande che mi ponevo. Alcuni sono po-veri perché privi di istruzione, altri perché stra-

Mary Kenefick, SMG (a sinistra)

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nere come la Dream Team o la WeWo r l d , lepresidi delle scuole che cercano di sensibilizzarele loro alunne, come quella della Virgilio IV chesta qui vicino, la responsabile del Centro Dafnedell’ospedale Cardarelli, da cui ci arrivano mol-te segnalazioni di maltrattamenti, le dottoressedella nostra Asl, le consulenti del Cav dell’VIII

municipio... è una questione di sensibilità!».Una rete che si attiva ogni volta che una donnaè in pericolo e ha come centro l’ufficio di Car-mela e Veronica.

«Quando nel 2012 è arrivata la collega — ri-corda Carmela — siamo state travolte da un fiu-me di denunce: la voce che a Scampia c’erano“due poliziotte toste” aveva iniziato a circolare,e il commissariato ha una giurisdizione moltoampia, perché comprende Scampia ma anchePiscinola, Chiaiano e Marianella, cioè circa 192mila abitanti, e abbiamo una disoccupazione al-tissima, soprattutto femminile, che è un fattoredi rischio». Oggi ogni anno ricevono più di 200denunce, praticamente un caso ogni due giorni:abusi psicologici, violenza fisica, abusi sessuali,violenza assistita a cui vengono sottoposti i fi-gli.

«Quello degli abusi — sottolinea Veronica — èun fenomeno che non è paragonabile ad altri ti-

pi di reati. Qui devi entrare nella vita delle don-ne, se necessario ascoltarle anche per ore, rico-struire il loro vissuto. E ogni caso è diversodall’altro, non si può avere un approccio mecca-nico: capita di avere a che fare con la ragazzinadi diciott’anni controllata dal fidanzato-stalker econ la donna di mezza età che ha subìto mal-trattamenti dal marito per vent’anni, ma in tuttii casi c’è una battaglia culturale da affrontare,contro una mentalità patriarcale per cui la don-na deve subire». Una battaglia senza orari, ilcellulare sempre accesso.

Riportano storie di donne con ossa e dentirotti, ridotte in condizioni di schiavitù da mari-ti-orchi e salvate da vicine di casa coraggiose,come quella «arrivata a pesare 42 chili, piena dicicatrici» che ora è rinata. Altre di figli adole-scenti, che, vedendo la madre subire per anni,sono andati loro in commissariato. Un mondoin cui la speranza ha i volti di Carmela eVeronica, le quali — forse per vicinanza con queigesuiti da cui tutto è iniziato — sembrano spinteda un magis laico a cercare giustizia, a com-battere sempre più efficacemente ogni forma diabuso contro ogni donna maltrattata. Con unapromessa: «Ribellatevi, denunciate, saremo convoi».

di CHIARA GIACCARDI

«S embra esserci nell’uomo, come nell’uccello, un bisogno di migra-zione, una vitale necessità di sentirsi altrove», scriveva Margueri-te Yourcenar nel suo ultimo libro, Il giro della prigione. Cannapensante, animale sociale, l’essere umano è anche un animale mi-grante: lo spostamento, il decentramento, l’esplorazione fannoparte della spinta ad auto-trascendersi che gli conferisce una po-sizione unica nell’universo. Come scriveva Albert Camus, l’uomoè l’unico animale che non si accontenta di essere ciò che è.

Con la tarda modernità e lo sviluppo tecnico il sogno di una mo-bilità senza limiti per tutti è diventato realtà. Tempo accelerato, spa-zio compresso: per il giro del mondo non servono più 80 giorni, nebasta uno solo. Villaggio globale.

Ma dopo la crisi del 2008 ci si è accorti del lato più problematicodella mobilità, giungendo al paradosso evidenziato da Zygmunt Bau-man: il viaggiare per profitto viene incoraggiato; il viaggiare per so-pravvivenza viene condannato.

Insomma, la mobilità celebrata è quella a senso unico. Un diritto,ma non per tutti. Ecco che allora iniziano ad alzarsi i muri, a risorge-re i nazionalismi, a riaccendersi i richiami alla purezza identitaria.Come ha scritto Saskia Sassen, le parole (e le prassi) che segnano ilnuovo millennio, come esclusione ed espulsione, rivelano il lato bru-tale della globalizzazione. Sembra dimenticato quanto Kant afferma-

L’ANALISI

Vi v e reè essere ospitati

Carmela Serrone e Veronica Quaranta (per gentile concessione di Giulio Piscitelli)

D ONNE CHIESA MOND O 14 D ONNE CHIESA MOND O15

saggio. L’Odissea è anche un grande insegnamento sul valoredell’ospitalità».

Ospitalità è parola di reciprocità, non di condiscendenza. L’ospiteva trattato come un re: lo dice anche la regola monastica di San Be-nedetto.

E non è tanto compiere un’azione, quanto ritirarsi un po’ per fa-re spazio ad altri. Bucare la propria bolla prossemica, dilatarla e co-sì farla respirare. Il buon samaritano ha fatto spazio al ferito, nonha compiuto una “buona azione”. Diciamo “non ho tempo” ma inrealtà non vogliamo “fare spazio”: perché è un movimento fatale,che non ci lascerà uguali. E qui si apre una questione culturaledella quale siamo troppo poco consapevoli: l’individualismoradicale che respiriamo da decenni è all’origine del nostroproblema con l’alterità.

Con ogni alterità, non solo con “gli stranieri”. Intanto, se-condo il movimento dell’astrazione (letteralmente, separazio-ne) tipico della cultura occidentale, abbiamo separato l’alteritàda noi stessi e l’abbiamo “esteriorizzata”. Dall’inconscio checi abita e ci agisce nostro malgrado messo in evidenza dallapsicanalisi, all’Io è un altro di Arthur Rimbaud, al fattoche con Julia Kristeva noi siamo sempre un po’ stranieria noi stessi, sappiamo che l’alterità ci costituisce inti-mamente.

Come ha scritto Hannah Arendt: «Per la confermadella mia identità io dipendo interamente dagli altri»;ed è la grande grazia della compagnia che rifà del so-litario un “tutto intero”.

Cosa succede se dal piano antropologico passiamo a quello sociale?

L’accoglienza incondizionata è politicamente sovversiva, ha scrittoJacques Derrida. E perciò impraticabile in quanto tale.

Di fatto in tutte le società umane essa è regolata, perché mette ra-dicalmente in questione la legge dello scambio sulla quale si basanole nostre economie e i nostri contratti sociali.

C’è una tensione che non può mai essere risolta una volta per tut-te tra ospitalità incondizionata e condizioni poste all’atto di ospitali-tà. Una tensione che è feconda, che non va banalizzata in un duali-smo ma abitata per trovare vie nuove, nuove possibilità di restareumani. Consapevoli che se legittimiamo la cultura dello scarto ne sa-remo, presto o tardi ma con certezza, noi stessi vittime.

va già nel 1795: che nessuno ha originariamente più diritto di un altrodi abitare una località della terra (Per la pace perpetua).

È questo il nostro destino? Passare da un racconto ideologico (piùmobilità, esperienze, benessere per tutti) a un altro (siamo minaccia-ti, dobbiamo difenderci)?

Interrogarsi sulle condizioni dell’ospitalità non è mai stato così im-p ortante.

Forse il tempo è propizio per trasformare questa situazionecomplessa in un laboratorio non solo per nuove pratiche

più umane ma anche per una nuova epistemologia e unanuova ermeneutica della nostra condizione, alla luce di

ciò che ci provoca e ci convoca.

Si potrebbe dire che l’essere umano è l’e s s e reche vive in quanto ospitato. Veniamo da un altro,siamo portati da una madre. La prima ospitalità(non ideologica bensì ontologica, esistenziale) vie-ne con la nostra nascita: l’ospitalità è condizionestessa della vita.

Se la nascita ci rimanda all’ospitalità, la morte cirichiama a un’altra condizione originaria, che èl’esilio: il momento in cui dovremo lasciare tuttociò che abbiamo amato, desiderato, conquistato. Equesto vale anche per le piccole e grandi morti cheattraversiamo nella vita quotidiana.

Ospitalità ed esilio non sono azioni, tantomeno scelte, ma condi-zioni che segnano la nostra stessa umanità, con la fragilità che ci ca-ratterizza, e che è anche la nostra forza, quella che ci spinge oltre noistessi.

Non è un caso che il mondo occidentale sia afflitto dall’inverno de-mografico e che la morte sia rimossa: dove non si sa più festeggiarechi nasce e accompagnare chi muore non c’è spazio per l’ospitalità.

Eppure la legge dell’ospitalità appare in tutte le culture, e può es-sere considerata come uno dei principi fondatori di ogni civiltà, insie-me all’interdizione dell’incesto.

Come ha scritto Luigino Bruni, «Il dovere di ospitalità è il muromaestro della civiltà occidentale e l’abc dell’umanità buona. Nelmondo greco il forestiero era portatore di una presenza divina. Sonomolti i miti dove gli dèi assumono le sembianze di stranieri di pas-

Non ho paura dellacattiveria dei malvagima del silenzio deglionesti

Martin Luther King

D ONNE CHIESA MOND O 16 D ONNE CHIESA MOND O17

Il tema della giustizia compare nellaBibbia già agli albori della creazione,nella grande benedizione impartita daDio all’adam, creato maschio e femmina(Genesi 1, 26-29): in essa si fonda il di-

ritto «naturale, originario e prioritario» di ogniuomo (Compendio della Dottrina Sociale della

Chiesa § 172) alla destinazione universale dei be-ni della terra. Da questo principio discendonogli obblighi dell’anno sabbatico e del giubileo(Esodo 23; Levitico 25), che impegnano ad averesollecitudine per gli indigenti del popolo. Lenorme del Pentateuco indicano le modalità perpraticare la giustizia, per tutelare i diritti delpovero e dell’indifeso, sottolineando il dovere dinon sfruttare il fratello in difficoltà e invitandoa collocare al primo posto la relazione tra lepersone. L’insistenza sull’argomento è forte neilibri profetici, ove la giustizia è parte dell’allean-za: si vedano le promesse per chi rispetta i po-veri (G e re m i a 7, 5-7. 22, 3-5), le condanne che in-combono su chi li maltratta (Ezechiele 22, 7-16;Ma l a c h i a 3, 5) e i divieti sul tema (e.g. Zaccaria

7, 10). La relazione con Dio si nutre e si appro-fondisce nelle relazioni con i fratelli, e si mani-

festa nella disponibilità a lenire le sofferenzedell’orfano, della vedova, dello straniero, delpovero, della sterile. In essi si incontra Dio: ilFiglio dell’Uomo si è fatto come gli ultimi, perLui «non c’era posto nell’albergo» (Luca 2, 7), e«non aveva dove posare il capo» (Ma t t e o 8, 20;Luca 9, 58). Le beatitudini evangeliche (Ma t t e o

5, 1-12; Luca 6, 20-23) prediligono quanti vivonoallo stesso modo, affidati a Dio e capaci di rea-lizzare la giustizia, e la pericope di Ma t t e o 25,31-46 assicura che il giudizio sarà sull’amore: ilpremio eterno è riservato a quanti hanno saputoaccogliere il Signore negli ultimi della terra.

Questa è la giustizia secondo la Bibbia: il ri-conoscimento ai poveri di quanto loro spetta,dal momento che sono uomini, destinatari dellastessa benedizione che ha investito ogni adam.Ed è interessante ricordare che la parola zedaqa,

“giustizia”, in ebraico significa anche “elemosi-na”: se nelle lingue occidentali l’atto di dare alpovero è connesso etimologicamente con la“pietà” e con la “carità”, in Israele si tratta diun atto dovuto nella consapevolezza che quantosi possiede è un dono di Dio e a Lui appartie-

La giustiziaè parte dell’Alleanza

di LAU R A PALADINO *

Se riconosciamo che la precarietà è un tratto distintivo della nostraumanità, possiamo evitare di cadere in quella deriva sicuritaria chepensa di combattere il senso di insicurezza tenendo lontano i presun-ti responsabili, nella logica del capro espiatorio che René Girard hacosì magistralmente illuminato.

L’ospitalità, ha scritto la filosofa e psicanalista Anne Dufourman-telle, è una storia di soglie, che delimitano un dentro e un fuori, evo-cano il pensiero della libertà ma anche dell’aggressione: in ogni caso,apre uno spazio che impedisce ai saperi di chiudersi su se stessi e alleregole di diventare dispotiche.

In psicanalisi la possibilità di accogliere l’inatteso è ciò che fa or-rore alla nevrosi. La nostra società, in fondo conformista e perciò po-co tollerante, ha forse davvero dei tratti nevrotici. Non solo rimuovela memoria corporea del nostro venire da altri, ma finge di ignorareuna storia passata e presente che ha tante ombre: la colonizzazione,la delocalizzazione delle imprese per massimizzare i profitti e magaripoter scavalcare i diritti dei lavoratori, il turismo sessuale, l’acquistodi organi e l’affitto di uteri solo per citare qualche aspetto che riequi-libra almeno in parte le narrazioni dominanti. Oggi la mixofobia (ilterrore della mescolanza e della contaminazione) degenera in “cultura

dell’o dio” che diventa quasi una risorsa identitaria, strumentalizzatadai populismi; gli strati sociali meno istruiti e più sofferenti economi-camente si sentono più minacciati e vi sono più esposti.

Di fronte a questa astrazione, che separa e contrappone ciò che èunito, e a questa amnesia della nostra biografia e della nostra storia,occorre un bagno di concretezza, nel senso del “concreto vivente” diRomano Guardini: ricordando che nella singola persona che chiedeaccoglienza c’è l’universale della dignità umana.

Ospitalità ed esilio non sono azioni, tantomeno sceltema condizioni che segnano la nostra stessa umanità

con la fragilità che ci caratterizzae che è anche la nostra forza, quella che ci spinge oltre noi stessi

NELLA BIBBIA

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di SHAHRZAD HOUSHMAND ZADEH

Si legge nel Corano: «Credenti! Siatesostenitori della giustizia, testimonidi Dio» (4, 135). «Credenti! Siate so-stenitori di Dio, testimoni della giu-stizia» (5, 8).

È un parallelo radicale: afferma che gli ope-ratori della giustizia sono i veri testimoni diDio. L’ingiustizia invece disturba l’armonia del-la Vita e colpisce la pace e il bene.

Sono diversi gli atteggiamenti e le opere chevengono presentati nel Corano come ingiusti,non amabili da Dio.

Tre esempi:

— Al israf: la dissipatezza, lo sperpero.

La Vita è un dono, godersela in gioia e pacee in condivisione è un bene, ma il consumismocieco ed egoistico è un peccato: «È Dio che facrescere giardini con pergolati e senza pergolati,palme e cereali che danno frutti diversi e ulivi emelograni simili per foglie e dissimili per frutti.Mangiatene i frutti quando maturano e date aipoveri la parte che loro spetta nel giorno del

raccolto, ma non esagerate in prodigalità, per-ché Dio non ama i prodighi» (6, 141).

— Al fisad: la corruzione.

L’essere umano ha avuto la totale fiducia dalCreatore; la Terra e la Giustizia gli sono stateaffidate. Khalifa, letteralmente il successore, è ilruolo che il Corano assegna all’essere umanocome luogotenente di Dio sulla Terra (2, 30).

«Con i beni che Dio ti ha dato cerca piutto-sto di procurarti la dimora dell’altra vita. Nondimenticare il tuo dovere in questo mondo, siibuono con gli altri come Dio è stato buono conte e non cercare di portar corruzione sulla terra,perché Dio non ama i c o r ru t t o r i » (28, 77).

— Al ya’s: disperare della misericordia di Dio.

Nel capitolo intitolato a Giuseppe, c’è ungrande insegnamento. Il profeta Giacobbe nonvede il figlio Giuseppe da troppi anni; gli altrifigli ne hanno annunciato la morte. Giacobbeinvece spera di rivederlo vivo, non perde la spe-ranza nella misericordia divina, divenendoesempio da seguire (12, 84-88). All’interno del

L’ingiustizia disturbal’armonia della Vita

ne. Forti di questa certezza, le prime comunitàcristiane mettevano in comune i beni materialivivendo in piena fraternità (At t i 2, 44-45).

Nel discorso della montagna (Ma t t e o 5-7) Ge-sù insiste sul tema della giustizia, e mostra cheil Regno dei Cieli è destinato a chi non si ac-quieta di fronte alle iniquità del mondo. Le let-tere cattoliche e pastorali riprendono gli stessitemi richiamando alla giustizia come criterio divita sulla terra (Ti t o 2, 11-14; Filippesi 1, 9-11; Ro-

mani 13, 6-8).

La giustizia è nella Bibbia un atto sapienzia-le, prerogativa di re e capi ed elemento fonda-mentale della fede, che consente all’uomo dipreparare i tempi messianici. I testi profetici e iSalmi regali affrontano con insistenza il temadell’equità sulla terra: il Re Messia «consolideràil trono di Davide mediante il diritto e la giusti-zia» (Isaia 9, 6; cfr. Isaia 11, 1-10; G e re m i a 23, 5-8; 33, 14-16; Salmi 72; 96, 13; Salmi 98; Salmi 103,6; Salmi 118, 9.19-21). Il tema ritorna nel mes-saggio di Giovanni il Battista (Luca 3, 2-18), che

chiama a preparare la strada al Cristo-Messia«abbassando i monti e colmando le valli» (Luca

3, 4-5, citazione diretta di Is 40, 3-5; cfr. ancheIsaia 35, 8; Baruc 5, 7), ossia combattendo glisquilibri sociali: l’obiettivo ultimo della giustiziasulla terra è consentire a ogni uomo, attraversouna vita dignitosa, di sperimentare e «vedere lasalvezza di Dio» (Luca 3, 6). Giovanni invita aeliminare le disparità tra le persone operandonell’ordinarietà (cfr. Luca 3, 10-14), e mostra co-me la giustizia non sia atto eccezionale, ma im-pegno quotidiano e costante che passa per unuso corretto dei beni, delle ricchezze e dei cari-smi, e per la capacità di guardare con benevo-lenza alle esigenze e alle necessità del fratello.In questo modo, la giustizia non si discosta maidalla misericordia, da un amore capace di com-prensione e di perdono, come quello di Dio.

* Storica e biblista, docente di Ebraico biblico, Grecobiblico ed Esegesi dell’Antico e del Nuovo Testamentopresso la Pontificia Università Gregorianae l’Università Pontificia Regina Apostolorum

NELL’ISLAM

Károly Ferenczy, «Il discorso della montagna» (1896)

D ONNE CHIESA MOND O 20 D ONNE CHIESA MOND O21

testo sacro dei musulmani sono diversi nomi diDio che indicano misericordiosa, perdono, cle-menza, indulgenza e grazia: al ‘afoww, al ghafur,

al karim, al rahim, al tawwab.

È vero che rispondere all’ingiustizia con unacondanna e una pena è ragionevole, ma il Cora-no ricorda all’essere umano che:

a) nessuno raggiunge il bene o può purificar-si senza la grazia di Dio: «Se non fosse per ilfavore di Dio su di voi e la Sua misericordia, divoi neppure uno sarebbe puro giammai, ma Diopurifica chi vuole e Dio è ascoltatore sapiente»(24, 21);

b) Dio perdona le colpe, anzi le può trasfor-mare in bene: «E quando vengono da te quelliche credono ai nostri segni, di’: La pace sia convoi. Il Signore ha prescritto a Se stesso l’A m o re .Per chiunque di voi commette un male perignoranza e poi si pente e si ravvede, Egli alloraè perdonatore e misericordioso» (6, 45);

c) non esiste nessuna colpa che non possa es-sere perdonata da Dio (39, 53);

d) chi vuole essere perdonato da Dio, perdo-ni i suoi prossimi: «Non giurino, coloro cheposseggono mezzi e sostanze, di non dar piùnulla ai parenti, ai poveri e agli emigranti sullavia di Dio; perdonino anzi e condònino: nonamereste anche voi esser perdonati da Dio? Dioin verità è perdonatore, indulgente» (24, 22);

e) la grande rivoluzione umana, sociale, cul-turale e spirituale è poter perdonare e risponde-re con il bene a un male subito. Per questo c’èbisogno di grande volontà, coraggio e sapienza.«Il bene non è uguale al male. Respingi questocon ciò che vi è di più buono e bello (Ahsan),colui che l’inimicizia separava da te diverrà unamico fervente! Ma ciò non lo raggiungerannotranne coloro che sono pazienti, e ciò non loraggiungeranno tranne chi possiede una virtùconsiderevole e grande» (41, 34 e 35).

NELL’EBRAISMO

Stessa radicedi rettitudine e carità

Il libro del D e u t e ro n o m i o 16, 20 dispone:«La giustizia e solo la giustizia segui-rai». Il termine usato per «giustizia» inlingua ebraica è tzedek, ed è la stessa ra-dice della parola usata per «rettitudi-

ne». È anche la radice della parola solitamentetradotta con «carità»: secondo la tradizioneebraica, la sollecitudine per gli altri è una que-stione di giustizia, e questa giustizia non cono-sce distinzioni di ceto, di genere o di etnia.Deuteronomio 27, 19 ordina che al forestiero,all’orfano e alla vedova sia garantita giustizia,poiché una società giusta è giudicata per cometratta i suoi membri più vulnerabili. Israele losa, dato che il suo codice giuridico poggia sullasua esperienza: «Amate dunque il forestiero,poiché anche voi foste forestieri in terra d’Egit-to» (D e u t e ro n o m i o 10, 19; cfr. Levitico 19, 34).

Nel Discorso della montagna, Gesù insegnaai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto:“Occhio per occhio e dente per dente”; ma io vidico di non opporvi al malvagio; anzi se uno tipercuote la guancia destra, tu porgigli anchel’altra» (Ma t t e o 5, 38-39). Questi versetti sonoalla base della comune convinzione cristiana che

l’ebraismo insegni una giustizia retributiva spie-tata, mentre Gesù promuove misericordia e giu-stizia riparativa. È una convinzione sbagliata.Gli ebrei non mozzano arti più di quanto lofacciano i cristiani, anche se Gesù dice: «Se iltuo piede ti scandalizza, taglialo» (Ma rc o 9,45a).

Nella tradizione ebraica la legge del «taglio-ne» o l’adeguare la punizione all’offesa (Esodo21, 24; Levitico 24, 20; D e u t e ro n o m i o 19, 21) nonserve a legittimare la mutilazione fisica; piutto-sto è un principio legale. La sua collocazionenella Torah sfida due approcci comuni ai dannifisici. Il primo, che si trova nel Codice babilo-nese di Hammurabi del diciottesimo secolo pri-ma dell’era cristiana, valuta il danno fisico inbase alla classe sociale; la punizione era diversaa seconda che a commettere l’offesa fosse unnobile, un cittadino comune o uno schiavo. Poi-ché la Genesi insegna che tutti gli esseri umanisono a immagine e somiglianza di Dio, la leggeebraica esige uguale tutela. Il secondo, a cui sifa accenno in Genesi 4, 24, riguarda l’escalationdella violenza. Il codice giuridico previene que-sto tipo di rappresaglia.

di AMY-JILL LEVINE

Interno della moschea Sheikh Lotfollah a Isfahan, in Iran (Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani)

D ONNE CHIESA MOND O 22 D ONNE CHIESA MOND O23

La Bibbia non raccontamai di un israelita che esigeuna compensazione sulla ba-se dell’occhio per occhio, e ilcodice di diritto ebraico post-biblico lo vieta. Gli ebreihanno riconosciuto che lagiustizia senza misericordia èinaccettabile, ma lo è anchela misericordia senza giusti-zia. Pertanto, hanno svilup-pato un sistema per mezzodel quale le vittime avrebberoricevuto un risarcimento perdanni fisici. Per esempio, la Mishnah (BavaQamma 8, 1) afferma: «Colui che ferisce un suosimile è obbligato a [risarcirlo] per cinque capi:(1) lesione, (2) dolore, (3) spese mediche, (4)perdita di reddito [lett.: perdita di tempo], e (5)indegnità». Si tratta di un passo avanti rispettoal codice di diritto romano, Le XII Ta v o l e , chestabilisce: «Se uno rompe a un altro un mem-bro, la vittima può infliggere lo stesso danno almalfattore, ma solo se non si viene a un accor-do».

Interpreti rabbinici successivi spiegano per-ché il senso della Bibbia deve essere il risarci-mento finanziario piuttosto che il danno fisico:«Potrebbe sussistere un caso in cui una personacieca ha accecato un’altra persona, o una perso-na con un membro amputato ha tagliato unmembro a un’altra, o una persona zoppa ne hareso zoppa un’altra. In questo caso, come posso

adempiere letteralmente all’“occhio per occhio”se è già priva del membro che va leso?».

Gesù di fatto non parla di danni fisici. Anzi,cambia argomento. Essere percossi sulla guancianon è la stessa cosa che perdere un occhio. Ilsuo è di fatto un insegnamento, alla buona ma-niera ebraica, contro l’escalation della violenza,poiché uno schiaffo può portare a un pugno,che può portare a un danno ancora più grande.

Perseguire la giustizia significa essere unapersona retta; essere una persona retta significache si persegue la giustizia. E giustizia, nellatradizione ebraica, significa che tutti devono es-sere trattati come figli di Dio, a immagine diDio. Da qui il profeta Michea ribadisce «ciòche richiede il Signore da te: praticare la giusti-zia, amare la pietà, camminare umilmente con iltuo Dio» (Michea 6, 8).

di FRANCESCA MERLO

Dice: «Il lavoro del giudice ecclesiastico consiste nell’applicare la leggea casi concreti. Che sia uomo o donna non cambia nulla». Comun-que Alicia Sloan, 56 anni, americana di Washington, Canon Lawyeral tribunale di Westminster, sposata dal 1992 e mamma di due figli, èfelice di essere donna e di essere giudice. «Io sono un giudice che èdonna, non sono una donna-giudice. È vero che i miei colleghi, perla gran parte, sono uomini. Ma io ho provato imbarazzo una solavolta, il giorno che hanno versato nel loro caffè il latte materno cheavevo lasciato in frigo. Trovavano che il caffè avesse preso un colorestrano! Gliene ho dato dell’altro, ovviamente, e con il latte vaccino».

Dunque non è la donna a fare la differenza, ma la mamma?

Non so quanto effetto abbia l’essere donna sulle mie sentenze. Disicuro senza figli non avrei capito sino in fondo la forza del legame diuna madre per la propria creatura, la sofferenza che prova quando ècostretta a dare il proprio figlio in adozione né il dolore, lo strappodell’interruzione di gravidanza. Non si è buoni giudici senza empatia.

L’empatia comprende le sfumature?

L’empatia è sempre necessaria a qualsiasi giudice. E nella vita nonci sono il bianco o il nero, ma tante sfumature di grigio. L’empatiavale anche per i miei colleghi uomini: i giudici sacerdoti, per esem-pio, non sono padri, ma come tutti, sono stati figli e perciò sannocos’è la famiglia. E l’empatia vale anche al contrario: ho avuto il pri-vilegio di vedermi affidare le storie personali, spesso dolorose, ma

L’I N T E R V I S TA

Alicia Sloan:essere giudice donna

a Westminster

Un particolaredella stele dove è scolpitoil Codice di Hammurabi

D ONNE CHIESA MOND O 24 D ONNE CHIESA MOND O25

Lei è sposata. Pensa sia meglio che i giudici siano sposati, visto che giudicano casi

di matrimonio?

Sono sposata da 26 anni con un uomo meraviglioso che è semprestato di gran sostegno a me e ai nostri figli. Penso che proprio l’esp e-rienza del matrimonio come comunione di vita e di amore mi abbiaaiutato, facendo il giusto paragone, a capire alcuni dei casi che ho af-frontato professionalmente.

Vuol dire qualcosa di suo marito?

Si chiama Chris.

Il matrimonio è solo “finché morte non vi separi”?

La scelta di impegnarsi per la vita nell’amore di un essere umanofallibile non è mai senza rischio, ma sappiamo che qualunque sia ilfuturo, Dio sarà lì a sostenerci. È vero che la società cambia, ma lagente desidera ancora amare ed essere amata, nel bene e nel male,nella malattia e nella salute, fino alla morte. Perciò, finché ci sarannouomini e donne nel mondo, sono sicura che il matrimonio sarà la vo-cazione della stragrande maggioranza.

Non dev’essere facile chiedere l’annullamento.

Molte persone che ho assistito nella richiesta di annullamento mihanno detto di aver trovato il processo “terap eutico”. Sono sicurache altri lo abbiano trovato stressante, ma credo che con un sostegnoadeguato si possa superare.

Ci sono elementi del diritto canonico che ancora oggi penalizzano le donne?

Qualcuno direbbe che la pena canonica per l’aborto procurato pe-nalizza le donne. È importante, invece, ricordarsi che le leggi sonofatte per esprimere i valori di una società. Il neonato nel grembo ma-terno è una persona umana vulnerabile che non ha voce. La leggeparla per lui o per lei, facendo sapere che la sua vita conta. È perquesto motivo che procurarsi un aborto è sanzionato.

S e m p re ?

Il diritto canonico è molto chiaro: la pena non viene applicata insituazioni in cui una persona sta vivendo una forte paura o in cuinon era a conoscenza della pena. A mio parere, questa pena è, abba-stanza giustamente, di rado applicata alle donne che subiscono unaborto. È molto più probabile invece che venga applicata al medico,maschio o femmina, che effettua l’aborto. Ed è un privilegio esseregiudice ecclesiastico in questo momento della storia della Chiesa cheagisce come ospedale da campo per coloro che hanno bisogno di gua-rigione.

sempre piene di speranza, anche di tanti uomini. Faccio tesoro dellafiducia che hanno riposto in me.

Anche lei è stata figlia. E magari i suoi genitori immaginavano per lei un lavo ro

diverso. So che non si guadagna tanto come giudice ecclesiastico.

E invece loro mi hanno sempre incoraggiata. Mai mi hanno spintoverso carriere con stipendi più alti. Ho studiato diritto canonico conil sostegno di tante persone che non dimentico. I professori dell’An-gelicum mi hanno educata all’«amicizia senza paura». Con loro sonostata una studentessa felice.

Vo c a z i o n e ?

Non sono sicura di poter dire che sto seguendo una vocazione ca-nonica, ma ho la forte sensazione che Dio abbia prima suscitato epoi guidato il mio interesse. Come dice il salmista: «Ha concesso ilsuccesso a tutti i miei sforzi e ha realizzato tutti i miei progetti».

La formazione di una donna è diversa?

È la stessa. La vera differenza è tra coloro che sono inviati a stu-diare il diritto canonico da una diocesi o da una congregazione e co-loro che lo fanno autonomamente.

Lei ci è arrivata da sola?

Sì. E, come studente indipendente, dovevo lavorare per guada-gnarmi vitto e alloggio.

Lei è al tribunale ecclesiastico dal 1992. Papa Francesco ha cambiato qualcosa anche lì?

Nel 1983 il Codice aveva già dato un ruolo importante ai laicinell’amministrazione della giustizia: nel turno giudicante un giudicelaico affiancava due ecclesiastici. Papa Francesco ha dato ulterioreimpulso a questo processo: ora, in una causa matrimoniale, i giudicilaici possono essere anche due e l’ecclesiastico uno solo. Ha introdot-to poi altre modifiche che aiutano a servire meglio la causa della giu-stizia rendendo il processo più accessibile a coloro che sono piùsvantaggiati socialmente.

Come vi dividete il lavoro? E come vi comportate in caso di disaccordi?

Il Ponens (Relatore) scrive la sentenza, illustrando le ragioni difatto e di diritto. Gli altri due danno un parere scritto motivando cia-scuno la propria decisione. E il Ponens ne tiene conto. La decisioneè collegiale. Se uno dei membri del Collegio è in forte disaccordo,può scrivere una nota di dissenso, ma avviene raramente. Nel tribu-nale diocesano dove lavoro, abbiamo una visione molto simile. E ini-ziamo ogni sessione invocando l’aiuto di Dio.

ALICIA SLOAN, nata aWashington, D.C., haconseguito la Laurea inteologia e il Master ineducazione religiosapresso la GannonUniversity di Erie inPennsylvania e, nel 1991,la Licenza in dirittocanonico pressol’Angelicum. Nel 1992ha iniziato a lavorarepresso il TribunaleMetropolitano diWestminster comePromotore di giustizia.Difensore del vincolopresso il Tribunale diOslo a partire dal 1995,dal 1996 è stata Giudicepresso il Tribunale diPlymouth. Dal 1997 èGiudice presso ilTribunale diWestminster. Da 27 anniè sposata con ChrisSloan, con il quale hadue figli ormai adulti.

D ONNE CHIESA MOND O 26 D ONNE CHIESA MOND O27

Da Giotto a Greta:l’arte non scarta

di YVONNE DOHNA

L’arte di Giotto rappresenta unasoglia. Nella Cappella degliScrovegni, la raffigurazionedella giustizia è costituita dauna donna, la Virtù per eccel-

lenza sul trono, frontale con i caratteri della bi-lancia e due angeli simili all’allegoria del BuonGoverno a Siena per insegnare l’anima “giusta”.Giotto va oltre e dipinge anche l’ingiustizia inun anziano, che tiene in una mano un arpione enell’altra una spada, armi di rapina e violenza.Non comunica con l’osservatore e non si inte-ressa alle scene di crudeltà sotto i suoi piedi. Lescene sull’altro versante vogliono accompagnareil fedele che entra nella cappella a uno s g u a rd oermeneutico, tra due estremi, «il percorso nellavita reale la beatitudine, aiutati dalle virtù con-tro i pericoli dei vizi». La verità sta nel“paradosso della bellezza”, una tensione in cuila prassi e la teoria si abbracciano nell’essenzadell’interiorità. L’arte ha già realizzato quelloche noi dobbiamo compiere nel nostro metodoteologico. Operare alla “f ro n t i e r a ”, riconoscerele opere di sapienza «per entrare in dialogo conla cultura contemporanea». Questo sguardo cosìparticolare tra giustizia e ingiustizia esisteancora?

Ai nostri giorni, Greta Thunberg è diventatauna nuova allegoria, una “Giovanna d’A rc o ”della protezione ambientale che invece di “ar-mature e spade” impugna “manifesti” per chie-dere un futuro migliore. Il suo volto diventaun’“icona di giustizia”. Il filone artistico è la“forma della luce” per smascherare il male, for-

ma che ritroviamo nel respiro stesso di tantedonne. Questa “iconografia” è classica, una gio-vane donna che simboleggia la «purezza incon-taminata di una cognizione». Ma dobbiamo di-scernere lo sguardo e lasciarci coinvolgere nellatensione degli opposti. Greta, “incita al combat-timento” e allo stesso tempo è onesta, solo inquesta tensione, in questa contraddizione nasceuna giustizia bella, perché la realtà superal’idea. La “purezza dello sguardo”, principio ba-se della visione del mondo di Guardini, è infattiuno “sguardo integrale” che non vuole creareeroi e non intende svalutare la creatività concre-ta vivente. Combinare questo sguardo è unapossibilità affidata a ciascuno di noi e l’«arte èil primo educatore».

CU LT U R A

Un incontroper la libertà

di ELENA BUIA RUTT

La complicata storia del Ghana pre-coloniale del XIX secolo viene narra-ta in modo originale e realistico nelterzo romanzo di Ayesha HarrunaAttah, I cento pozzi di Salaga (Mar-

cos y Marcos), attraverso gli occhi di due giova-ni donne, Wurche e Aminah, alla ricerca dellapropria libertà, in un periodo storico dominatoda violenza e sopraffazione. Il titolo allude aipozzi della vivace città mercantile nel nord delGhana, appositamente costruiti affinché glischiavi, razziati dai predoni e sottoposti ad atro-cità di ogni tipo, vi venissero lavati prima di es-sere venduti.

Ayesha Harruna Attah, una delle voci più si-gnificative della giovane narrativa africana, hatratto ispirazione da un fatto a lei noto e vicino:la storia di una sua trisavola, fatta schiava evenduta proprio a Salaga. La scrittrice ghanese,classe 1983, nata in una famiglia di giornalisti,mostra, attraverso i dettagli domestici e storiciche caratterizzano le storie di queste due donne,come la schiavitù a quel tempo non fosse unaquestione etica, ma una lunga tradizione, non-ché fonte di guadagno in primis per i popoliafricani.

Aminah è un’adolescente che vive una vitastabile e serena con le due mogli e i figli di suopadre; eppure a Botu, il piccolo villaggio in cuiabita, dove stazionano brevemente le carovaneislamiche per commerciare e rifornirsi, inizianoad arrivare voci di persone rapite e portate alla“grande acqua”. Nonostante le preghiere al dioafricano, Otienu, la casa di Aminah, una notte,

viene attaccata dai predoni: la famiglia uccisa,dispersa, ridotta in schiavitù. In modo diame-tralmente diverso, si dipanano invece i fili dellavita di Wurche, giovane donna musulmana afri-cana, la cui nobile famiglia vive in un insedia-mento più vicino alla costa atlantica, arricchen-dosi con la tratta degli schiavi. Wurche detestale normali occupazioni femminili, ama cavalcaree vuole partecipare al governo del suo popolo,consigliando il padre e prendendo parte alleriunioni con gli altri capi. Quando la tribù degliAshanti, le forze britanniche e quelle tedescheiniziano a minacciare il potere e il commerciodella sua famiglia, Wurche viene data in sposaal re dei Gonja, Adnan, per consolidare un’al-leanza politica. Ma il matrimonio non riesce adomarla: nonostante le violenze subite dal mari-to, Wurche mantiene un’indomita forza d’animoche la porta a scappare, lasciando coraggiosa-mente Adnan e, suo malgrado, la propria fami-glia di provenienza.

Un ingegnoso dispositivo della trama di que-sto romanzo fa sì che grazie al personaggio diMoro, schiavo e mercante di schiavi, i destini diAminah e Wurche si incontrino. Entrambe legiovani, pur per ragioni diverse e in circostanzemolto diverse, si innamorano di lui. Wurche fi-nisce per comprare Aminah e l’ultima parte delromanzo dà voce al rapporto tra le due giovanidonne basato su un dislivello gerarchico, ma inrealtà paritario sul piano della stima e dell’affet-to. Entrambe combattono per seguire la loro in-dole, per realizzare il loro sogno, senza piegarsia un mondo maschile insensibile, brutale e arre-trato, abituato a considerare la donna un ogget-to sessuale o una sorta di “animale da lavoro”.La riflessione sull’orrore della schiavitù avvienedunque attraverso una presa di coscienza daparte di entrambe, basata su una reale esperien-za di vita e di incontro.

LIBRI

D ONNE CHIESA MOND O 28 D ONNE CHIESA MOND O29

di GIORGIA SA L AT I E L L O

Èpossibile parlare della giustizia da varie prospettive e in differenti

contesti: l’assoluta giustizia di Dio nelle tre religioni monoteiste, lagiustizia (e l’ingiustizia) umana fotografata e narrata da protagonistie testimoni, collocandosi nel più vasto ambito sociale o anche all’in-terno della Chiesa stessa.

Tutto ciò, però, deve essere inserito in un quadro teologico-antro-pologico capace di suscitare reazioni e ulteriori approfondimenti daparte di chi legge e si deve anche sottolineare che si vuole dare parti-colare risalto allo sguardo e alla sensibilità femminili, nella consape-volezza, che “femminile” indica una particolare sintonia delle donnecon valori che, tuttavia, non sono inaccessibili agli uomini perché so-no condiviso patrimonio umano (cfr. Congregazione per la dottrinadella fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione

dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, [n.14], 2004).

Di conseguenza, il ricorso allo sguardo femminile ha la crucialefunzione di mettere in rilievo sfumature e tratti che, altrimenti, nonemergerebbero in primo piano e correrebbero il rischio di essere mi-nimizzati o, ancora peggio, occultati.

Al centro di questa riflessione vi è, come accennato, la dimensioneantropologica che si interroga sul significato di quella che è, nei limi-ti dell’umana capacità, un’“anima giusta”, ma il discorso deve di ne-cessità muovere dal fondamento di tale giustizia umana, ovvero lagiustizia infinita di Dio.

L’animagiusta

IL PUNTO

Rigorosamente parlando, infatti, la giustizia è solo di Dio, perchési identifica con Lui, come tutte quelle altre perfezioni (verità, bontà,ecc.) che noi per il nostro procedere discorsivo siamo costretti a dif-ferenziare, ma che, in realtà, coincidono nell’assoluta semplicità dellaSua essenza.

La misura della giustizia di Dio trascende radicalmente quella del-la giustizia umana che, in quanto finita e limitata, convive semprecon qualche forma di ingiustizia, e ha una portata molto più am-pia che esprime, innanzi tutto, piena fedeltà alle promesse eall’alleanza e perdono sconfinato che risana e ricomponele fratture e i tradimenti introdotti dal peccato.

Si manifesta, così, in Dio, il nesso, che poi si in-dagherà per l’essere umano, tra la giustizia e la mi-sericordia che possiede un’eccedenza che supera leregole della logica e della stessa giustizia distribu-tiva.

Volgendo, quindi, l’attenzione all’anima giustaci si interroga, innanzi tutto, sul senso con il qua-le la giustizia sia predicabile dell’anima umana esu che cosa questo implichi: quando e perché, cioè,l’anima è giusta?

Avendo visto che la giustizia è primariamente ed es-senzialmente attributo di Dio e della Sua volontà, si puòimmediatamente affermare che l’anima è giusta quando confor-ma gli atti della sua volontà finita a quella infinita di Dio e ne fa lalegge del suo agire, pur nei limiti della sua creaturalità che comportasempre imperfezione e possibilità di errore.

La giustizia per l’anima umana è, così, più il termine a cui il suotendere è dinamicamente orientato, che uno stato indefettibile chenon possa mai comportare cadute e smarrimenti e questo concettoera già presente nell’antichità classica fin da Aristotele, ma riceve unnuovo e impensato spessore con l’avvento del monoteismo biblicoche pone nella perfezione di Dio la meta e la regola dell’umana aspi-razione alla giustizia: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto ilPadre vostro celeste» (Mt 5, 48).

Muovendo, poi, dal dato centrale dell’antropologia biblica, per ilquale l’essere umano è immagine di Dio, si può rilevare che in questaimmagine rientra anche la giustizia e che, pertanto, quella umana èun riflesso di quella divina, lontana dalla perfezione dell’originaleche, tuttavia, ne costituisce il fondamento e il modello.

Bisogna arderedell’ansia di elevareil povero a un livellosup eriore

don Lorenzo Milani

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Lo sguardo della giustizia rimane sempre distaccato, anche quan-do è animata dalle migliori intenzioni, mentre l’anima misericordiosasa piangere con chi piange e asciuga le lacrime, anche di chi ha sba-gliato ed esprime pentimento.

Apparentemente tra giustizia e misericordia vi è un insanabile con-trasto perché la prima, nel suo intento riparatore, non può tenereconto del pentimento, ma scendendo in profondità, il contrastoscompare e la misericordia, innanzi tutto in Dio, è il vertice dellagiustizia e contiene in sé quell’accento di tenerezza che a quest’ulti-ma è estraneo.

Vi è un’unica parola che può esprimere il nesso, che è anche unsuperamento, della giustizia con la misericordia ed essa è amore, nelsenso evangelico di “caritas”, amore sconfinato e infinito nel caso diDio, amore sempre perfettibile per l’essere umano che, comunque,proprio perché immagine di Dio, ne è capace e trova in esso il com-pimento pieno della sua umanità.

Rimane, infine, una domanda cruciale da porre: come possiamo,con i nostri limiti e la nostra imperfezione, saper dare amore, al di làdella pura giustizia?

Come la giustizia è un dono, così anche l’amore non è una crea-zione o una conquista dell’essere umano, ma può essere donato soloin quanto è ricevuto (Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 14), innescan-do un “movimento” che va da Dio alla creatura e da questa al prossi-mo, vicino o lontano.

Se Dio è il modello dell’umana giustizia, ci si può, quindi, chiede-re come sia possibile avvicinarsi a tale modello che costituisce unideale per la vita e per l’agire e si deve subito rilevare che ciò non èpossibile con le sole nostre forze, ma che la giustizia dell’anima è pri-mariamente un dono che Dio elargisce, ma che non può essere auto-nomamente conquistato.

Affermare che la giustizia dell’anima è un dono di Dio non com-porta, però, che questa possa esimersi da un costante impegno nelpraticarla perché anche la giustizia, come tutti gli altri doni di Dio,deve essere fatta fruttificare con le azioni corrispondenti e ciò manife-sta una incessante tensione tra gli atti della persona e la fiduciosa at-tesa del dono divino che li rende possibili.

Il tema della giustizia si rivela qui inscindibile da quello della giu-stificazione che è il prerequisito perché l’anima possa dirsi giusta eoperare di conseguenza: senza fede non c’è giustificazione, ma, d’al-tra parte, sono le opere ad attestare la fede e, quindi, la salvezza delgiustificato.

Tale concetto di giustificazione, in passato oggetto di aspre con-trapposizioni tra la Chiesa cattolica e le Chiese riformate, vede oggiun sostanziale avvicinamento tra le differenti posizioni, poiché si ri-conosce che il primato è sempre di Dio e, dunque, del suo dono gra-tuito, ma si vede anche come nessuno possa essere giusto senza ilpersonale fattivo concorso che, a sua volta, è dono di Dio.

D all’anima giusta si è, in tal modo, condotti alla vita giusta chemanifesta quello che è racchiuso nell’interiorità e il mondo umano ela sua storia si presentano come il teatro in cui si combatte la lottatra giustizia e ingiustizia, tra vittime e carnefici, ponendoci dinanzi auno spettacolo che costantemente si ripropone domandando (soprat-tutto alle donne?) di asciugare le lacrime di tanti innocenti.

Con questi ultimi rilievi il discorso sulla giustizia giunge ad acco-starsi a un altro che è distinto, ma strettamente connesso, ovveroquello sulla misericordia, che già si è sinteticamente accennato ri-guardo alla giustizia di Dio, e qui, senza bisogno di esplicite sottoli-neature, risalta in primo piano la necessità del ricorso allo sguardofemminile.

La misura della misericordia è molto più radicale di quella dellagiustizia perché non si limita a riparare e, ove necessario, a ridistri-buire, ma assume su di sé la sofferenza altrui, accogliendo in sé il do-lore che incontra e facendosi prossimo a chiunque invochi soccorso.

Anonimo Parmense«Le Opere di Misericordia»( p a r t i c o l a re )

INVITO ALLA LETTURA

Eugenio Garin

La giustiziaGuida

Carlo Maria Martini

Sulla giustiziaMondadori

Grazia Deledda

La GiustiziaNewton ComptonEditori

Gherardo Colombo-

Gustavo Zagrebelsky

Il legno stortodella giustiziaGarzanti

Giovanni Maria Flick

Elogiodella dignitàLev

Marta Cartabia

Luciano Violante

Giustizia eMitoIl Mulino

Papa Francesco

La mia ideadi arte(a cura di Tiziana Lupi)

Mondadoried Edizioni MuseiVa t i c a n i

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PERCORSI

lavorano in Caritas, e più specificamente la loropresenza e partecipazione nelle posizioni di lea-dership. La partecipazione al sondaggio, insoli-tamente grande, ha evidenziato l’interesse per laquestione. Tra le 557 persone che hanno rispo-sto, 167 erano uomini. Ecco alcuni risultatiemersi:

— Le condizioni di lavoro presso Caritas ten-dono a essere favorevoli alle donne, permetten-do loro di raggiungere un equilibrio tra esigen-ze lavorative e quelle esterne al lavoro. Oltre il50 per cento delle donne dichiara di essere ab-bastanza soddisfatto dell’equilibrio vita-lavoro, eil 17,14 estremamente soddisfatto. Meno del 5per cento dichiara di non essere per niente sod-disfatto e circa il 25 solo poco soddisfatto.

— Quasi il 60 per cento ritiene che vi sianoalcuni settori in cui è più probabile la presenzafemminile, per esempio comunicazioni, risorseumane e amministrazione, che sono ambiti tipi-camente associati alle donne. Per alcuni di que-sti ruoli si tende a riconoscere un salario più

OS S E R VAT O R I O

Un attestatodi eccellenzaper «Génie féminin»

In occasione dell’avviodella piattaforma per le donneper l’economia di comunioneCogen (Communio Gender)del Movimento dei Focolaridi Kinshasa,è stato conferito un attestatodi eccellenza alle Figlie di San Paolodella Repubblica Democraticadel Congo per la pubblicazionedella rivista «Génie féminin»,trimestrale su tematichedella donna, destinatoalle donne, ma aperto a tutti.Il magazine si rivolgea giovani, mamme e religiosee mira soprattutto a risvegliarela coscienza della donna,i suoi valori e le sue possibilitàattraverso raccontie testimonianze di donnedi spicco nell’arte, nella fede,nella politica, nella scienza,nello sviluppo rurale e nellaeducazione alla pace.Dodici rubriche trattano di casa,famiglia, educazione,scuola, impegno sociale, dirittie doveri delle donne.La diffusione è capillare, soprattuttoa Kinshasa, Lubumbashi,Kisangani,nelle scuole e nelle parrocchie.Nella redazione, insieme alle Figliedi San Paolo, collaborano donneimpegnate in vari ambitiper il progresso della societàcongolese.

Più donnenegli organi di governodella Caritas

di MARTINA LIEBSCH

Caritas internationalis, la Confede-razione cattolica di 162 organizza-zioni impegnate nei soccorsi diemergenza e nel lavoro di svilup-po, ha tenuto la XXI Assemblea

generale dal 23 al 29 maggio a Roma, riunendodelegati di 150 paesi. Oltre alle questioni statu-tarie (tra cui elezione di presidente, tesoriere esegretario generale), tra i temi in agenda ci sonostati quello delle donne in Caritas e delle donnein posizioni di leadership.

In Caritas lavorano molte donne, ma questoancora non si riflette nella loro presenza in ruolidi leadership. La percentuale — per esempio co-me direttori delle organizzazioni di Caritas a li-vello nazionale — negli ultimi dieci anni haoscillato tra il 16 e il 22 per cento.

Nel corso della sua storia, la Confederazioneha condotto numerose riflessioni sulla parità tradonne e uomini al suo interno, guidata da valo-ri e principi dell’insegnamento sociale cattolico,specialmente quelli morali e spirituali della di-gnità umana, della giustizia, dell’uguaglianza edell’impegno per il bene comune.

Le decisioni formali a favore della piena par-tecipazione delle donne nella gestione di Caritasrisalgono all’inizio degli anni Ottanta. Il cam-mino fino a oggi è stato lungo e difficile, conqualche rallentamento. Durante la XX Assem-blea generale nel 2015, le partecipanti hannochiesto all’allora segretario generale, Michel

Roy, di reintrodurre in agenda il tema della par-tecipazione femminile e delle donne in posizio-ni di leadership. Pertanto, tra gli obiettivi delquadro strategico 2015-2019, uno comprendevala promozione di «un’equa rappresentanza diuomini e donne nei ruoli di leadership e di re-sponsabilità, anche negli organi di governo».Questo si è riflesso sugli Standard di gestioneadottati dalla Confederazione.

Alla vigilia della XXI Assemblea generale si ètenuto un Women’s Forum, organizzato dalGruppo di lavoro Donne, al quale hanno parte-cipato settanta donne e dieci uomini.

Spunti sono stati offerti da due relatori ospi-ti: Marta Rodríguez, direttore dell’Istituto distudi superiori sulla donna dell’Ateneo Pontifi-cio Regina Apostolorum, e Lucetta Scaraffia,che ha diretto questa rivista. Il Gruppo di lavo-ro Donne ha presentato i risultati di un sondag-gio Caritas.

L’indagine esaminava la situazione, in mate-ria di pari opportunità, di uomini e donne che

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di ESTELA AL D AV E MEDRANO

Igioielli hanno fatto parte della vita degli uomini e delle donne fin

dall’antichità e costituiscono un elemento culturale molto importan-te. Nel mondo antico — come ancora oggi — i gioielli si utilizzavanoper mostrare la propria identità, il potere acquisitivo e lo status so-ciale al quale si apparteneva. I gioielli sono anche un mezzo per in-dicare i confini simbolici tra alcuni gruppi sociali e altri; hanno quin-di un grande significato simbolico e potere evocativo.

Nelle pagine della Bibbia troviamo molteplici allusioni ai gioielli.Si menzionano pietre preziose come l’agata, lo zaffiro e il diamante(Giobbe 28, 16; Ezechiele 28, 13), nonché metalli molto apprezzati comel’argento e l’oro, quest’ultimo il più ricercato di tutti, in modo parti-colare l’oro di Ofir (1 Re 9, 28; 22, 49; Giobbe 22, 24). I gioielli sonolegati a uomini e a donne, e anche al Tempio di Gerusalemme. LaBibbia descrive nei dettagli l’opulenza e lo splendore del regno diSalomone, sottolineando proprio i contatti e le trattative commercialidel monarca per ottenere oro (1 Re 10, 11), poi utilizzato per la co-struzione del tempio di Gerusalemme: «E d’oro fu rivestito tutto l’in-terno del tempio» (1 Re 6, 22). Ricordando i metalli e le pietre pre-ziose posseduti da Salomone, la Bibbia mostra l’importanza del re.Anche di altri monarchi si segnalano le corone preziose e decoratequale simbolo del potere che ostentano (2 Samuele 12, 30). Così lagrandezza dei re d’Israele è un modo per affermare la grandezza ditutto il popolo ed è anche un segnale della elezione e predilezionedivine. La letteratura sapienziale, a sua volta, presenta l’oro come

SIMBOLI NELLA BIBBIA

Le donne, i gioielliil potere e l’o n o re

basso, nonostante esigano competenze relazio-nali quali collaborazione, lavoro di squadra em e n t o r i n g.

— Oltre il 70 per cento ritiene che la respon-sabilità dei figli e i carichi di lavoro domesticosono il principale fattore che impedisce la parte-cipazione delle donne nelle posizioni di leader-ship.

— Le donne che occupano posizioni di lea-dership nelle loro organizzazioni riferisconoche, per essere prese sul serio, spesso si sentonocostrette ad adottare comportamenti tipicamenteassociati agli uomini. Una di loro ha osservatoche tra le sfide che deve affrontare ci sono quel-le di dimostrare che occupa la sua posizionegrazie alle sue capacità e competenze e ottenererispetto dal suo team, composto da soli uomini.

— Oltre il 50 per cento non pensa che le don-ne vengano pagate meno rispetto agli uomini,ma un ulteriore 36 di fatto non sa. Meno del 10per cento pensa che le donne siano pagate me-no degli uomini nella stessa posizione.

Alcune delle risposte date da uomini sono inlinea con quelle delle donne:

— Alla domanda sul perché le donne potreb-bero non essere coinvolte in posizioni di leader-ship, oltre il 60 per cento indica la responsabili-tà dei figli, seguita dai carichi di lavoro dome-stico, confermando la percezione delle donne.

— Sebbene l’87 per cento degli uomini ri-sponda di non avvertire disuguaglianze o diver-sità di aspettative tra uomini e donne, alcuni deicommenti confermano la percezione delle don-ne, secondo cui nelle posizioni di leadershipnon ci sono abbastanza donne.

— Al fine di agevolare l’avanzamento di car-riera delle donne, gli uomini ritengono chel’orario di lavoro flessibile sia un’importante mi-sura da prendere (74,05 per cento), seguito dalle

opzioni del lavoro agile e del telelavoro (54,43),da indicatori delle prestazioni lavorative più varie aperti (51,90), dal miglioramento delle condi-zioni per il congedo di maternità (48,10) e dal-l’uguale retribuzione a parità di lavoro (41,77).

I partecipanti al Women’s Forum hanno pre-sentato queste richieste alla XXI Assemblea ge-nerale:

1. A livello strutturale assicurare un’equa rap-presentanza di donne nelle strutture di governo,e più in particolare che almeno un terzo delleposizioni del Consiglio di Rappresentanza siaoccupato da donne.

2. Riguardo allo sviluppo delle competenze, unamaggiore formazione all’uguaglianza, compresigli aspetti teologici, ecclesiologici e concettuali,e una formazione volta a preparare leader a tuttii livelli.

3. Riguardo agli Standard di gestione, lo svi-luppo di un orientamento per le organizzazionisull’adozione di politiche di uguaglianza, comeanche il monitoraggio degli Standard relativiall’inclusione di donne e uomini.

4. Riconoscendo che donne e uomini hannoesigenze diverse, offrire pari opportunità in ter-mini di retribuzione e flessibilità del lavoro.

5. Il rapporto annuale del Segretario generaleincluda un capitolo sui progressi riguardo alla pa-rità tra uomini e donne.

Un passo significativo è stata l’a p p ro v a z i o n e ,da parte dell’Assemblea generale, della propostache un terzo dei rappresentanti del Consigliodei Rappresentanti debbano essere donne.

Il fatto che vi sarà una maggiore rappresen-tanza di donne in uno dei più importanti organidi governo di Caritas è una misura importante,che aiuterà a mantenere la questione in agendae a favorire l’attuazione delle altre richieste.

D ONNE CHIESA MOND O 36 D ONNE CHIESA MOND O37

trale che la donna avrà in seguito nel permettere a Giacobbe di otte-nere la primogenitura e alle promesse di Yahvé di compiersi.

Un uso metaforico analogo dei gioielli lo ritroviamo anche nei li-bri biblici di Giuditta ed E s t e r. Si tratta di narrazioni esemplari chehanno come protagonista una figura femminile, dotata di enorme co-raggio, che diviene eroina d’Israele.

Giuditta appare nell’opera che porta il suonome come una vedova ancora in lutto;per questo «si era cinta i fianchi disacco e portava le vesti delle vedo-ve» e digiunava tutti i giorni ec-cetto quelli di festa (Giuditta

8, 5-6). Viene a sapere che ilpopolo d’Israele si trova ingrave pericolo perché Olo-ferne, comandante del-l’esercito di Nabucodo-nosor, si sta preparandoa conquistare la Giudea,il che la induce a ideareun piano. Abbandona ilsuo stato di vedovanza,si toglie il sacco, si lava,si unge di profumo, sipettina e si veste con cura.Inoltre adornò il suo corpocon «collane e infilò i braccia-letti, gli anelli e gli orecchini eogni altro ornamento che aveva e sirese molto affascinante agli sguardi diqualunque uomo che l’avesse vista» (Giu-

ditta 10, 1-4). Così, disposta a far uso della suabellezza, si reca all’accampamento di Oloferne, che vi-ve avvolto nel lusso e del quale si descrivono anche i gioielli (Giudit-

ta 10, 21). Oloferne cade ben presto nella trappola tesagli da Giudit-ta. La invita a un banchetto con l’intento di sedurla; lei si adornanuovamente «delle vesti e d’ogni altro ornamento muliebre» (Giudit-

ta 12, 15) e, approfittando dello stato di ebbrezza dell’uomo, gli tagliala testa, ottenendo così la salvezza di tutto il popolo giudeo.

Anche nel libro di Ester il popolo d’Israele è minacciato di morte,stavolta per mano di un membro molto importante della corte del re

metafora della sapienza (P ro v e r b i 25, 11), sottolineando però che talesapienza è preferibile all’oro e alle pietre preziose (P ro v e r b i 3, 13-14;16, 16). Quest’ultimo insegnamento della tradizione sapienziale ciapre a un’altra visione biblica, in quanto sono molti i testi che nonpresentano un’immagine tanto positiva dei gioielli. Così i profeti as-sociano i gioielli e il lavoro dell’orafo all’idolatria (G e re m i a 10, 9-10;Isaia 2, 6-8; 40, 18-25; vedi anche il brano del vitello d’oro in Esodo

32, fatto proprio con i gioielli d’Israele) e distinguono la “corona su-p erba” dalla “corona di gloria” qual è Yahvé stesso per il suo popolo(Isaia 28, 1-6). Questo diverso significato dei gioielli lo troviamo an-che nei testi biblici dove sono associati alle donne.

Sono molti i passi in cui i gioielli sono collegati a personaggi fem-minili. In Salmi 45 (44), il re d’Israele, l’unto di Yahvé, è accompa-gnato dalla regina adornata d’oro di Ofir e da sua figlia con un vesti-to di gemme e tessuto d’oro. In Isaia 62, 1-5 Gerusalemme è descrittametaforicamente come una donna che Yahvé ha voluto sposare e chetrasforma in una corona preziosa: «Sarai una magnifica corona nellamano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio».

Anche nel Cantico dei Cantici troviamo numerose allusioni ai gioiel-li. Quest’opera, che canta l’amore e l’erotismo con grande libertà esenza pregiudizi, paragona il corpo della donna a ornamenti preziosi.Nelle sue pagine l’amato rivolge all’amata parole come: «Belle sonole tue guance fra i pendenti, il tuo collo fra i vezzi di perle. Faremoper te pendenti d’oro, con grani d’argento» (1, 10-11); «Tu mi hai ra-pito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solotuo sguardo, con una perla sola della tua collana!» (4, 9); «Le curvedei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista» (7, 2).

Un passo eloquente sul tema che stiamo trattando è Genesi 24.Qui Abramo ordina a uno dei suoi servi di recarsi nella sua terra,Aram Naharáyim, per cercare una sposa a suo figlio Isacco. Una vol-ta giunto lì, il servo si accampa presso un pozzo per trovare la donnascelta da Yahvé. Ed ecco che appare Rebecca e, capendo il servo diAbramo che era lei la donna che attendeva, le regala gioielli preziosiche fanno parte dell’accordo matrimoniale che si formalizzerà in se-guito: «Quell’uomo prese un pendente d’oro del peso di mezzo sicloe glielo pose alle narici e le pose sulle braccia due braccialetti del pe-so di dieci sicli d’oro» (Genesi 24, 22). L’allusione che la storia fa aigioielli è degna di nota, in quanto non si ritroverà nella scena nuzialeche avrà poi come protagonisti Giacobbe e Rachele. Mostra indiret-tamente l’importanza che il racconto biblico attribuisce a Rebecca,investendola di dignità regale. Il racconto anticipa così il ruolo cen-

Ester raffiguratain un affresco della chiesa

dei Santi Gervasioe Protasio a Nimis (Udine)

D ONNE CHIESA MOND O 38 D ONNE CHIESA MOND O39

Nello stesso libro di Ezechiele, i gioielli diventano nuovamentesimbolo di ambiguità: gli ornamenti preziosi d’Israele, caratterizzatocome donna e sposa, sono segno della predilezione di Yahvé, ma, inseguito alla sua infedeltà all’Alleanza, diventano elemento di castigo.Alla Israele–sposa infedele verranno strappati i gioielli dai suoi nemi-ci: «Ti spoglieranno delle tue vesti e s’impadroniranno dei tuoigioielli» (Ezechiele 23, 26). «Ti tratteranno con odio e si impadroni-ranno di tutti i tuoi beni, lasciandoti nuda e scoperta» (Ezechiele 23,29). In altri passi dello stesso Ezechiele il possesso di gioielli si deveproprio alla prostituzione d’Israele, che si vende alle potenze stranie-re come una prostituta e li riceve quale frutto dei suoi servigi: «Iquali [uomini] avevano messo braccialetti ai polsi e una corona digloria sul loro capo. Io pensavo di costei, abituata agli adultèri: Oracostoro si faranno complici delle sue prostituzioni. Infatti entraronoda lei, come si entra da una prostituta» (Ezechiele 23, 42-43).

È proprio questa visione più negativa dei gioielli e degli ornamentifemminili a predominare nel Nuovo Testamento. Così nel libro

Estela AldaveMedrano, terziariacappuccina, haconseguito la laurea inTeologia biblica pressol’Universidad deDeusto (Bilbao) e ildottorato in Teologiapresso la stessauniversità. È docentedi Sacra Scrittura nelCentro de EstudiosTeológicos de Aragón(Saragozza) e nellaFacoltà di Teologia diVitoria-Gasteiz. Il suocampo di ricercas’incentra sulle originidel cristianesimo. Tra isuoi lavori ricordiamoMuerte, duelo y

nuevavida en

elcuartoEvangelio.

Estudio Exegético de Jn

11,1-2-12,11 a la luz de

las prácticas rituales de

la antigüedad, 2018,pubblicato dalla casaeditrice Verbo Divino.

Assuero, Amán, deciso a sterminare i giudei. Nel libro si menziona ildiadema reale della prima regina Vasti (Ester 1, 11) e di Ester, che lesuccede (Ester 2, 17). Un dettaglio importante nella trama e per il si-gnificato della storia è che Vasti non acconsente alla richiesta dellosposo di presentarsi a un banchetto con la sua corona; in sostanza, sirifiuta di diventare una proprietà del re da esibire dinanzi agli invita-ti. Tale decisione avrà come conseguenza la sua deposizione da regi-na. All’opposto, Ester userà la sua bellezza per far sì che gli uominidella storia agiscano come lei vuole e per evitare così lo sterminio delpopolo giudeo.

L’associazione tra i gioielli e le donne nell’Antico Testamento nonsempre ha connotazioni così positive come quelle descritte finora.Nel capitolo 3 del profeta Isaia troviamo un’esaustiva descrizione de-gli ornamenti preziosi utilizzati dalle donne che sono simbolo dell’in-fedeltà di Gerusalemme. Il testo menziona le «insuperbite figlie diSion» che «procedono a collo teso» e che sfoggiano «fibbie, fermaglie lunette, orecchini, braccialetti, veli, bende, catenine ai piedi, cintu-re, boccette di profumi, amuleti, anelli, pendenti al naso» (Isaia 3,18-21). Il profeta pronuncia un oracolo di condanna: Gerusalemme,infedele, verrà punita da Dio, «il Signore denuderà le [sue] tempie»(Isaia 3, 17).

Questo passo di Isaia ha degli elementi in comune con un altro te-sto profetico, stavolta di Ezechiele. Il capitolo 16 riguarda ancora Ge-rusalemme, presentata simbolicamente come una donna accudita eamata da Yahvé, il quale a sua volta assume i tratti simbolici di padree sposo fedele.

Gerusalemme fu all’inizio una figlia non voluta e abbandonata cheYahvè raccolse. Una volta raggiunta la pubertà, Lui la vestì e l’ador-nò con cura, facendo gratuitamente di lei la sua sposa e regina: «Tiadornai di gioielli: ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo:misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida co-rona sul tuo capo. Così fosti adorna d’oro e d’argento; le tue vestierano di bisso, di seta e ricami» (Ezechiele 16, 11-13). Gerusalemme pe-rò usa la sua bellezza e la sua fama per prostituirsi, trasformando inidoli i gioielli con cui Yahvé l’aveva abbellita: «Con i tuoi splendidigioielli d’oro e d’argento, che io ti avevo dati, facesti immagini uma-ne e te ne servisti per peccare» (Ezechiele 16, 17). Gerusalemme subi-sce allora il castigo di Yahvé, paradossalmente per mano dei suoiamanti, che «ti toglieranno i tuoi splendidi ornamenti: ti lascerannoscoperta e nuda» (Ezechiele 16, 39).

L’autrice

Benjamin West«Isacco e Rebecca» (1775)

D ONNE CHIESA MOND O 40

dell’Ap o c a l i s s e vengono associati a Babilonia, che nel testo rappresen-ta simbolicamente il potere dell’Impero romano dinanzi al quale lacomunità dei seguaci di Gesù deve resistere mantenendosi fedele alvangelo. Babilonia in 17, 1-4 viene presentata come una «grande pro-stituta», «ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pie-tre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d’oro, colma degliabomini e delle immondezze della sua prostituzione». La stessa cittàche rappresenta Roma appare in 18, 16 come una donna «tutta am-mantata di bisso, di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietrepreziose e di perle!», che sarà spogliata di ogni sua ricchezza.

Infine, troviamo dei riferimenti ai gioielli femminili in due esorta-zioni espressamente indirizzate a donne che facevano parte delle co-munità del cristianesimo nascente. In 1 Pietro 3, 3-4 l’autore della let-tera rivolge loro le seguenti parole: «Il vostro ornamento non siaquello esteriore — capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti—; cercate piuttosto di adornare l’interno del vostro cuore con un’ani-ma incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è preziosodavanti a Dio». In modo analogo, in 1 Timoteo 2, 9, sotto l’autoritàdi Paolo, si sottolinea: «Alla stessa maniera facciano le donne, conabiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e

ornamenti d’oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, co-me conviene a donne che fanno professione di pietà». Queste due te-stimonianze, che fanno parte di una sezione esortativa importante,volta a limitare la libertà di cui le donne cristiane godevano nella ge-nerazione precedente, sono sintomo della preoccupazione per la lorocondotta e intento di far sì che non si dubiti del loro onore, e diconseguenza di quello dell’intera comunità. I gioielli non hanno piùil carattere simbolico che avevano nell’Antico Testamento e l’assenzadi ornamenti esteriori diventa, nel caso delle donne, segno di rispet-tabilità.

Cercate di adornare l’interno del vostro cuorecon un’anima incorruttibile piena di mitezza e di pace:

ecco ciò che è prezioso davanti a Dio