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CULTURA E ANTICULTURA Author(s): Ezio Franceschini Source: Aevum, Anno 56, Fasc. 3 (settembre-dicembre 1982), pp. 542-543 Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/20857617 . Accessed: 14/06/2014 21:48 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Aevum. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.129 on Sat, 14 Jun 2014 21:48:34 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

CULTURA E ANTICULTURA

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CULTURA E ANTICULTURAAuthor(s): Ezio FranceschiniSource: Aevum, Anno 56, Fasc. 3 (settembre-dicembre 1982), pp. 542-543Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/20857617 .

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CULTURA E ANTICULTURA

Queste note mi vengono currenti calamo senza preparazione, senza eonsultazione di

altri testi e senza note.

Mi vengono semplicemente dalla lettura di molti articoli con cui e stata accolta e recensita la mia biografia di Concetto Marehesi.

Sono stati molti, infatti, coloro che non sono riusciti a rendersi conto di quale, in realta, sia stata la cultura donde uscirono opere insigni come la Storia della letteratura

latina, il Tacito e il Seneca. Non ho nessuna difficolta a rispondere a questa domanda, ed e proprio questa risposta che mi permette di parlare di cultura e di anticultura nelle nostre Facolta di Lettere.

Intendo per cultura la conoscenza di molte cose, qualunque sia la loro provenien za. E evidente che per parlare di essa bisogna fare riferimento, anche e soprattutto, alia conoscenza di lingue straniere, nelle quali questa cultura si esprime e, particolar

mente, senza escluderne altre (russa, ecc.) il francese, il tedesco e l'inglese. E chiaro

che un uomo colto dovrebbe conoscere almeno queste lingue fondamentali, dato che

malgrado tutti gli sforzi non si e giunti a fissare Fuso di una lingua internazionale

(esperanto, ido) che potesse servire allo scopo. Ora, per limitarmi alia Facolta di Lettere della Universita di Padova, due uomini

vi erano durante il mio corso di studi, che godevano fama grandissima che poi travalico

i confini d'ltalia, Concetto Marehesi e Manara Valgimigli, ed entrambi ignoravano sia

il tedesco sia l'inglese. Dico subito che cosa intendo per ignorare. Ignorare non significa non conoscere le linee fondamentali di una lingua, oppure le poche parole che servono

per un apparato critico, ma non poter conoscere neppure con l'uso del vocabolario il

contenuto di un articolo o di un libro. Dico questo per Marehesi che me ne parlo egli stesso e per Valgimigli che mi voile interprete della sua corrispondenza epistolare col

prof. Gudemann per tutte le questioni relative alia Poetica.

I due grandi filologi dell'Universita di Padova erano dunque uomini di non cultura. Come gmnsero dunque alia fama di cui godettero? Posso dire che mi pare sia stato

cosi: I) Potenza d'ingegno naturale coltivata attraverso applicazione assidua. II) Co

noscenza perfetta ed intera di tutti i testi che studiavano e leggevano durante il loro

insegnamento. Ill) Adesione ad un concetto storico che permetteva loro l'inquadra tura di fenomeni singoli. IV) Trasformazione del loro sapere in un magistero assiduo e fedele.

In questo modo essi poterono giungere a fama grande in un lungo corso di anni. Non e'e dunque da stupire che siano stati molto phi famosi dei professori colti, cioe conoscitori delle lingue straniere, ma che mancavano di uno e di tutti quei requisiti di cui ho parlato sopra.

Si pud chiedere allora a che cosa serva per gli studenti delle nostre Facolta di Lette re lo studio delle lingue straniere. Serve per fare dei docenti colti, non certo per dare alia scuola dei maestri. Perche maestri veri, si nasce e non si diventa; si b fatti tali dall'acu

tezza d'ingegno e non dall'assiduita allo studio. Cultura e anticultura? Certo vi saranno

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sempre, ma non bisogna pretendere di giudicare tutto col metro della cultura, che b un metro sbagliato.

Lo stesso avviene an che in altri campi, che non siano universitarii. Pensate, per

esempio, a S. Francesco che si dice homo simplex et idiota: uomo non di cultura, dun

que. Quando viene rimproverato di non usare, come fonte, ne S. Benedetto ne S. Ago stino risponde seccamente: ? Non parlatemi di S. Benedetto ne di S. Agostino

. . .

(quali due nomi per la cultura medievalel) perche Dio stesso mi disse, etc. etc. ?. Fonte unica b dunque Dio. E difatti S. Francesco b forse Punico autore medievale in cui non

c'e una parola sola desunta certamente da S. Agostino. Parrebbe superbia ed b invece

un ricorrere alia fonte di S. Agostino, il Vangelo. S. Francesco sapeva a memoria ? dob lo aveva nel sangue

? il Vangelo. II resto non lo interessava . . .

Cosi Marchesi e Valgimigli conoscevano ? per lettura diretta ? i testi greci e

latini: che cosa potessero dire (o avessero detto) gli altri, non li interessava. Anticul tura? Si, ma motivata . . .

Ezio Franceschini

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