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saggio sulla croce egizia di Iside
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EGITTOLOGIA
LA CROCE D'ISIDE
PASSWORD DI UNA MACCHINA DELLA VITA
Il mito di Osiride e una nuova matematica
Nella biografia, posta alla fine del mio libro in edizione E-Book, I due leoni cibernetici1, dico che
l'idea di portare avanti gli studi descritti in questo testo sono derivati da ricerche fatte sulla
Piramide di Cheope. Ebbene proprio dalle leggende dell'antico Egitto, sul dio Osiride e la dea Iside, ci viene il modo di capire con semplicità il processo matematico seguito in questo testo per
“congiungere” il numero 3,14 e infiniti decimali, noto come pi greco, con un altro, 1,618, anche
questo con infiniti decimali e noto come sezione aurea o divina proporzione, nel Rinascimento.
Ma così come sono non potrebbero mai trovare fra loro relazione, eppure attraverso la quarta
parte del primo e la radice quadrata dell'inverso del secondo, noto come sezione argentea, la
cosa si dimostra possibile, risultando due numeri molto ravvicinati fra loro.
1 http://www.webalice.it/gbarbella/index_081211a.html
Una croce d'Iside o Ankh proveniente dal tesoro di Tutankhamon.
http://en.wikipedia.org/wiki/Ankh
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Ritornando ai due dei dell'antico Egitto suddetti, Osiride - mettiamo - è pi greco, e Iside, sorella
e sposa, è il numero derivato della sezione aurea (Nefti che è sempre accanto a Iside nelle
rappresentazioni iconografiche: vedi illustr. 1).
La leggenda che sappiamo tutti è questa in sintesi:
Osiride regna al fianco della sua sorella e sposa, Iside.
Per gelosia il fratello Seth, dio del male, nel corso di un banchetto, si fa aiutare a
rinchiudere Osiride in un baule e lo getta nel Nilo.
Iside parte alla ricerca della bara e la trova.
Seth, approfittando di una assenza di Iside, si impossessa della bara e riduce il corpo
di Osiride in quattordici pezzi (il doppio di
sette) spargendoli per tutto l'Egitto.
Iside riparte e va alla ricerca delle membra
del suo sposo e ogni volta che ne trova un
pezzo lo seppellisce sul posto e vi fa erigere
dei santuari.
Ecco, è proprio nell'analogo modo che pi greco viene
posto come in una bara e poi in otto fasi viene ridotto
in “pezzi”. Otto per l'esattezza: non che l'abbia
stabilito a priori, perché l'itinerario matematico
descritto nel libro, I due leoni cibernetici, porta a
questa soluzione.
L'E-book, I due leoni cibernetici, è un testo di
matematica che si avvale di un sistema di geometria dei
volumi in cui non si fa correlazione con
l'archeomitologia del dio egizio Osiride, della piramide
di Cheope e dei geroglifici che vi riguardano. Ma con
quanto ho detto sopra già si può capire il legame con
gli argomenti dell'archeomitologia appena menzionati,
fermo restando che è utile, se non necessario,
eviscerare l'E-book almeno per capire i nessi
matematici di Pi greco e Sezione aurea con determinati
geroglifici strettamente legati a Osiride e Iside. Si
tratta dell'Ankh o Croce d'Iside, lo Scettro Wзs e il Dy tradotti in concezioni geometriche.
Scopo di questo saggio è di pervenire appunto ad una interpretazione geometrica di questi
geroglifici e solo così è possibile vederli in relazione fra loro per poi arrivare a concepire il
legame con Pi greco e Sezione aurea. Col prossimo capitolo si inizia dalla piramide di Cheope
concepita in modo geometrico e immaginata come un cristallo.
Illustrazione 1: Da un papiro della
XVIII dinastia dei faraoni dell’antico Egitto, rinvenuto nella tomba dello
scriba Ani e conservato nel British Museum di Londra.
Particolare di Osiride, seduto in un tabernacolo a forma di sepoltura. Iside e Nefti dietro di lui. (Tratto dal 4° vol. dell'«Enciclopedia della Civiltà
atomica», ediz. Il saggiatore)
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Una parabola per il mistero della Grande Piramide.2
La Grande Piramide fu concepita secondo canoni suggeriti dalle credenze religiose esoteriche
vigenti al suo tempo. Non scandalizzi immaginare che il manufatto sia una sorta di pietra filosofale e per questo fu informata al canone della sezione aurea per conferirle l’armonia col
cosmo. Altrimenti come poteva il defunto faraone Cheope, ritenuto un dio in terra, navigare col
dio Ra per raggiungere il regno dei morti? Occorreva che la barca solare, da intravedersi nella
piramide unita ad una parabola della quale si parlerà (naturalmente si tratta di emblemi
metafisici), fosse veramente speciale. Ma, di conseguenza, era necessario che essa fosse idonea a
procedere per il “viaggio del giorno e della notte”, la qualcosa comportava che essa fosse
congegnata anche come corpo di luce oltre che di pietra. Di qui non desti meraviglia immaginare
il complesso piramidale unito ad una parabola sottostante, così come è stata considerata dal
punto di vista della geometria, (illustr. 2) e particolarmente come uno speciale cristallo
somigliante alle note gemme preziose che si incastonano su anelli e collane.
Dati geometrici dell’illustr. 2:
ya = √ [2 / (1 + √5)] = 0,786151377...
xa = ya² / 2 = 0,309016994...
phi = 38,17270763...°
180° – 4phi = 27,30916948...°
yi = tang (180° – 4 phi) = 0,516341175...
xi = yi² / 2 = 0,133304104...
d = 0,080615621...
2 Una parabola per il mistero della grande piramide - http://www.webalice.it/gbarbella/piramide_parabola.html
Illustrazione 2: La piramide con la parabola unite e viste come un cristallo. Caso particolare della
riflessione ottica all’interno.
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La luminosità è un requisito fondamentale delle gemme
preziose e le loro studiate sfaccettature moltiplicano i
giochi di luce scomposta nei suoi colori, cosiddetti
dell’iride, all’interno per sprigionarsi in modo
sfolgorante all’esterno [illustr. 3].
Nessuna meraviglia, dunque, il vedere la piramide di
Cheope come uno speciale cristallo e costatare subito
una particolare proprietà dovuta a un ipotetico raggio
di luce che interagisce con esso. Dall’illustr. 1 si può
capire di che si tratta.
Il raggio IP è normale alla parabola e si imbatte nella
parete C’B’ riflettendosi in Q della parete opposta
C’A’. Prosegue da qui la riflessione luminosa in modo
verticale fino in fondo sulla parabola in R. Si sa che
tutti i raggi verticali confluenti su una parabola si
riflettono convergendo nel fuoco relativo, che nel
nostro caso è il punto F. Naturalmente si è capito che
il punto I di partenza del supposto raggio luminoso è
unico in modo che la sua inclinazione riferita alla verticale sia 180° – 4 phi come indicato
nell’illustr. 2. Phi è il semi-angolo al vertice della piramide. Il simbolo di phi è Φ.
Nessun commento su questo raggio salvo a vedere ora il raffronto con lo spaccato della piramide
di Cheope [illustr. 4], in cui si vedono i vari elementi in causa: la tomba del re e della regina, la
Grande Galleria ed altro.
Ed ecco il fatto meraviglioso che spiega il titolo di questo brano: Una parabola per il mistero della Grande Piramide! Due cose in una: il fuoco F della parabola di arco A’OB’, su cui è posta
la piramide A’B’C’, coincide con un certo punto della tomba della Regina e il raggio verticale
QR della ipotetica luce, all’interno della piramide in questione, coincide con l’asse della tomba del Re.
Il mistero resta, comunque, ma tutto il presente lavoro di geometria, se non altro, è servito ad
aprire un varco per poter intuire cose nuove.
Tuttavia c’è modo di far progredire un certo ragionamento che porterebbe a capire come
potrebbe funzionare l’apparato tombale in questione, la cui rappresentazione monumentale può
servire, naturalmente, come modello simbolico, al di là di ribadire la credenza di cultori di
esoterismo, un apparato per dare nuova vita al faraone Cheope per il quale è stato concepito.
Consideriamolo perciò come un certo immaginario processore rimandato al futuro da far
evolvere.
Illustrazione 3: Taglio di una pietra preziosa. Gioco di luce con la
scomposizione nei colori dell’iride.
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La Tomba del Re fa parte di
una struttura composta da
elementi granitici, che
nell’insieme è chiamata Zed.
In particolare, interessa la
disposizione della parte
superiore a questa camera,
perché è costituita da cinque
ranghi di travi disposte una
accanto all’altra e ognuna,
pesa poco più di 70 tonnellate.
Si tratta di elementi che si
suppongono capaci di produrre
energia elettrica per effetto
piezometrico, come spiegherò
di seguito.
Illustr. 5. Effetto piezoelettrico: applicando una forza a certi materiali viene
prodotta una tensione elettrica.3
3 Sito Internet http://www.hbm.com/it/menu/applicazioni/controllo-di-processi-industriali/articoli-
tecnici/dettagli-degli-articoli-tecnici-ipc/datum/2008/03/19/the-piezo-effect-and-its-applications/
Illustrazione 4: Piramide di Cheope. Sezione trasversale.
Illustrazione 5
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Dunque, sappiamo che il granito è composto in gran parte di quarzo, che è piezoelettrico. L’effetto piezoelettrico è un particolare fenomeno elettromeccanico. Ossia quando questo
materiale è sollecitato da forte pressione, o comunque quando vibra, per esempio in seguito a
una percossa, compaiono delle cariche elettriche sulla superficie.
Il passo è breve, a ragione di ciò, per intravedere nell’enorme
apparato dello Zed una batteria di produzione di energia
elettrica, e questo potrebbe spiegare la natura specifica del
raggio verticale passante per questo manufatto [illustr. 5].
Altrimenti non si fa luce sulla supposta energia segnalata dal
particolare andar di vieni del raggio in questione, passante per
lo Zed, non avendo modo di alimentarsi.
Potrebbe essere la camera della Regina questa fonte, ma
avendo scoperto la funzione di centrale elettrica dello Zed, si
può pensare che sia la Regina l’utilizzatrice dell’energia che
confluisce in lei per dar luogo – mettiamo – alla rigenerazione
vitale. Di qui il percorso attraverso un condotto orizzontale,
poi quello della Grande Galleria e finalmente verso la camera del Re [vedi illustr. 3 e 5].
Nella camera della Regina è ricavata, su una parete, una
nicchia che ha la sagoma simile a quella della sezione
trasversale della Grande Galleria; questo li mette in relazione
diretta. In più nell’anticamera della camera del Re vi sono delle saracinesche in pietra come a
voler far capire che la natura dell’ipotetico flusso vitale, proveniente dalla Regina, confluendo
verso il Re abbia a che vedere con l’acqua, chiaro segno di vita.
Mi fa pensare a questa spiegazione in che modo le ossa si rigenerano, giusto in stretta relazione
ai materiali piezoelettrici.
Il modo in cui molti organismi viventi usano la piezoelettricità è molto interessante: le ossa
agiscono come dei sensori di forza. Applicando una forza, le ossa producono delle cariche
elettriche proporzionali alla loro sollecitazione interna. Queste cariche stimolano e causano la
crescita di nuovo materiale osseo, rinforzando la robustezza della struttura ossea in quelle zone
in cui la deflessione interna è più elevata. Ne risultano strutture con minimo carico specifico e,
pertanto, con eccellente rapporto peso-resistenza.4.
Però un’altra cosa è possibile suggerire come riscontro ideografico, fra i geroglifici egizi, con il
raggio energetico verticale poc’anzi analizzato. Mi viene da intravvederlo nello Scettro o Wзs
nella mano del dio dei morti, Osiride, e di altri dei egizi, nonché in quella dei faraoni assisi sul
trono [illustr. 6].
La cima di questo scettro termina con una forcina di traverso, particolarmente sagomata, che
può benissimo riferirsi alla parete della piramide dove il raggio si riflette; mentre la parte
terminale è munita di un’altra forcina a due punte, che può riferirsi ad un doppio potere legato
4 Sito Internet http://www.hbm-italia.it/custserv/SEURLF/ASP/SFS/ID.813/MM.4,36,34/SFE/techarticles.htm
Illustrazione 6: Lo Zed.
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allo scettro il quale potrebbe trovare riscontro nel bipolarismo dell’ipotetica elettricità del
raggio verticale passante per lo Zed, precedentemente trattato. Vedremo in seguito una
concezione progredita della funzione dello Scettro o Wзs.
Di altro, è interessante costatare che, osservando gli ideogrammi riportati sull’affresco della
cappella funeraria di Thutmose III dell’illustr. 7, lo Scettro, oltre a quello impugnato dal faraone,
è anche rappresentato (in alto, sullo Scettro del faraone) a fianco dell’ideogramma dello Zed (lo
stesso della Camera del Re della Grande Piramide) e da altri segni importanti. Fra questi c’è una
sorta di ciotola (presente in 9 esemplari), dal significato di cesto, che può benissimo correlarsi
con la parabola esibita e così convalidare in cascata il resto delle argomentazioni sostenute sin
qui. Un dettaglio importante, fra i tanti della nutrita rappresentazione di geroglifici e ideogrammi,
è il gonnellino dell'offerente davanti al faraone che ha la chiara foggia della piramide di Cheope.
Non solo, ma la fascia pendente dalla cintola coincide con l'asse passante per lo Zed della
piramide.
Illustrazione 7: Affresco della cappella funeraria di Thutmose III
(sec. XV a.C.).
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Prima di addentrarci nella disamina dei suddetti geroglifici e ideogrammi, in particolare la Chiave di Iside o Ankh e il Dy che vi si accompagna frequentemente, come si vede nell'illustr. 7, ci
occuperemo meglio della geometria della piramide di Cheope per porre in evidenza ciò che è
stato accennato all'inizio, la Sezione aurea. L'Ankh è a forma di croce, superiormente c'è un
anello a forma di uovo capovolto, e il Dy, accanto o sopra, è un triangolo isoscele munito di un
altro triangolino al centro della base.
La sezione aurea5
Si può sostenere che con la parabola è possibile risalire alla concezione della sezione aurea e da
questa alla definizione geometrica, eseguibile con “riga e compasso”, di un triangolo isoscele
simile a quello della sezione trasversale della piramide di Cheope lungo i relativi apotemi [illustr.
2]. Ma per semplificare, almeno in merito alla determinazione del triangolo isoscele in questione,
procederò con il metodo noto della sezione aurea applicata ad un segmento, che stabiliamo sia
l’altezza del nostro triangolo da determinare.
Per costruire la sezione aurea del segmento AB [illustr. 8], si traccia un triangolo rettangolo
ABF, in modo che il cateto BF sia la metà di AB. Per ottenere questa metà, si tracciano due
coppie di archetti a piacere nei punti C e D e poi si uniscono: il punto E di AB è la metà
ricercata. Poi con un arco di cerchio con centro in B si interseca la verticale a B in F. Fa
seguito il congiungimento del punto A con F, sul quale si punta il compasso e si esegue l’arco
che congiunge B con G del segmento AF.
AG è la sezione aurea che si cerca: di qui con il compasso, centrato in A e di raggio AG, si
disegna l’arco che interseca il segmento AB e lateralmente nei punti I ed L di confluenza con un
arco di centro E.
5 Una parabola per il mistero della grande piramide - http://www.webalice.it/gbarbella/piramide_parabola.html
Illustrazione 8: Geometria della sezione aurea per la piramide di Cheope.
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Ed ora l’ultima cosa da fare è tracciare due rette che collegano, B con I fino a intersecare il
prolungamento ortogonale al segmento AB in M, e poi, dalla parte opposta, B con L per arrivare
alla semiretta ortogonale ad AB in N.
Il triangolo MNB è il triangolo della piramide di Cheope eseguito secondo il canone della sezione aurea.
II rapporto AB:AH, che è uguale al rapporto AH:HB, è un numero irrazionale a cui viene
attribuito il valore approssimativo 1,618... Numericamente questo rapporto è espresso da:
(1 ± √5) / 2 ≈ 1,618033989...
Si tratta anche di un numero che deriva dai rapporti fra due termini successivi della serie di Fibonacci al loro limite.
In particolare, eseguendo dei semplici calcoli, si ottiene che la semi-base di MN del triangolo
MNB (che potremo chiamare aureo) è:
MA = AN = √ [2 / (1 + √5)] = 0,786151377...
Colgo l’occasione per dimostrare quanto sia errato affermare che la Grande Piramide è informata
alla sezione aurea ed anche a pi greco. Cioè a dire, in alternativa a quanto poc’anzi
matematicamente acquisito per la versione della sezione aurea, che il quadrato di base della
piramide in questione ha il perimetro idealmente uguale ad un cerchio di diametro pari alla sua
altezza. In tal caso il semi-lato di questo quadrato ideale è 1/8 di pi greco, considerando il
diametro uguale all’unità. Quindi:
M’A’ = A’N’ = 0,785398163...
Ecco dimostrato che le due versioni differiscono fra loro, ma i valori numerici in questione,
riferiti all’unità, sono abbastanza vicini l’uno all’altro.
L'Angolo Argenteo
Altra cosa da porre in evidenza è l'angolo argenteo nella piramide in questione. Su quest'angolo
mi sono intrattenuto nelle nozioni preliminari del menzionato libro E-Book, I due leoni cibernetici, scritto da me. Qui mi sono distanziato dalla concezione dell'angolo aureo che lo vede
parte dell'angolo giro proporzionale alla sezione aurea.
Prima d'altro ho dato valenza alla sezione argentea, l'inverso della sezione aurea, che, a
differenza di questa, trova modo di dar luogo a interessanti implicazioni di ordine geometrico.
Tutto si concentra sull'analisi matematica sul piano della geometria analitica che fa capo alla
trigonometria.
Tant'è che, nel caso dell'angolo aureo convenzionale, si è applicata la regola del rapporto aureo
al circolo, dividendo l'angolo giro opportunamente, come anzidetto. Ma i relativi angoli derivati,
al di là della curiosità appagata, non trovano alcuna applicazione in geometria e tanto meno nelle
altre applicazioni fatte da costruttori, ad esempio gli artisti del Rinascimento, come si sa, a
differenza della sezione argentea.
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Per arrivare al nocciolo della questione, e trattando le cose servendoci della trigonometria,
vedremo che l'angolo corrispondente alla sezione argentea, indicata con Ф, è così espresso.
arcsin 0,6118033988... = 38,17270763...°
A questo punto siamo in grado di costatare che le funzioni trigonometriche del coseno e
tangente di questo angolo risultano uguali fra loro. Infatti:
cos 38,17270763...° = 0,786151377... e
tan 38,17270763...° = 0,786151377...
Di qui, risalendo all'inizio di questa trattazione, vedremo che l'angolo argenteo Ф, appena
rilevato, è quello del semi-angolo al vertice della piramide di Cheope relativo all'illustr. 2 (vedasi
i dati geometrici che vi fanno seguito) e illustr. 8 (angoli ABM o ABN). E poi vale la pena di
evidenziare dell'altro su quest'angolo.
La geometria della sezione argentea, con Ф = 0,618..., porta alla relazione con quella del
pentagramma poiché la metà della sezione argentea, Φ = 0,618033988..., che è 0,309016994...,
corrisponde al seno di 18° sessagesimali. Si tratta del semi-angolo di ogni cuspide del
pentagramma, infatti.
Si deve, dunque, alla geometria del pentagramma la semplificazione del calcolo dell’angolo argenteo Φ attraverso la formula:
Φ = arctan √ (2 sen 18°) = 38,1727070763...° [= arccos √(2 sen 18°)].
Come si vede, già queste costatazioni geometriche danno rilevanza alla sezione argentea da farla
assurgere al superamento di quella aurea, il cui valore numerico, 1,618033989..., non trova tanti
analoghi appigli nel campo della trigonometria.
Ma è solo un piccolo squarcio sulle reali possibilità geometriche della sezione argentea, poiché si
scoprirà tutto un mondo geometrico che lo identifica in modo speciale: in particolar modo
attraverso le intersezioni di coniche.
Ed ora si è in grado di affrontare la trattazione degli ideogrammi Ankh, Dy e lo Scettro o Wзs che si è ravvisato nell'asse passante per la tomba del Re col relativo Zed della piramide di Cheope (segmento QR dell'illustr. 4).
L' Ankh e il Dy dell'antico Egitto
Come preso da una certa cometa del solitario e vagante π greco, mi accingo a procedere per
utilizzare l'«angolo argenteo» appena rilevato, sulla scorta delle suddette possibili indicazioni
intraviste nella piramide di Cheope.
Chi non ha stimato rivelatrice di chissà quali arcani poteri la nota Chiave di Iside, o Ankh, nelle
mani di dei e re dell'antico Egitto? Ma c'è dell'altro su questo ideogramma che forse vale la pena
stimare importante, considerato che esso è quasi sempre rappresentato accanto ad un altro
segno conformato a triangolo isoscele acuto, più o meno di eguali proporzioni, conosciuto col
nome arcano di Dy. Lo abbiamo visto e trattato attraverso l'illustr, 7.
Il mio personale “senso delle cose” mi suggerisce di procedere sulle tracce di questi strani segni
pieni di fascino. Per il caso dell'Ankh ho scelto, come geometria di riferimento, una particolare
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curva, la «Lemniscata di Bernoulli», che mi è sembrata ideale per estrapolarne il possibile
“segreto” matematico relativo.
La «Lemniscata di Bernoulli» (da
lemniscato: lemnisco, corona,
palma) è il nome di un particolare
ovale di Cassini. Si tratta del
luogo dei punti di un piano per i
quali il prodotto delle distanze
PF', PF da due punti fissi F', F
(illustr. 9) è costante e
precisamente è uguale al
quadrato della semi-distanza dei
due punti; è una quartina
razionale bi-circolare con un
punto doppio nodale e tangenti
ortogonali nel punto medio del segmento AB; ha equazione cartesiana: (x^2 +y^) = 2 a (x^2 –y^2);
e polare: ρ = a √ ( cos 2θ).
Per disegnare la lemniscata di Bernoulli occorre fare in questo modo e seguire l'illustr. 10.
1. Per comodità di rappresentazione si stabilisce a = 1 e per conseguenza, b = √ 2;
2. si suddivide sull'asse delle ascisse b in tanti tratti come indicato per cui, A'Q' = 1,41 (√
2);
3. si riportano sull'asse delle ordinate in corrispondenza di ogni tratto suddetto il
corrispondente valore inverso. Esempio, sull'ordinata relativa al tratto di 1,1 (in rosso) si
stacca un valore di 0,909 e così tutti gli altri tratti;
4. si traccia la curva AQ determinata dall'intersezione delle ascisse con le ordinate per ogni
tratto (in rosso). La curva passerà per i punti A, B, C fino a Q;
5. a questo punto si usa il compasso per tracciare gli archi, con centro in A' e con raggio
pari ad ogni tratto sull'ascissa, disegnati in rosso (1,1, 1,2, ecc.) fino ad un punto
imprecisato in cui risulterà la definizione della curva lemniscata di B.;
6. si usa ancora il compasso, ma con centro in F2 che è uno dei fuochi della lemniscata di B,
e si tracciano gli archi con raggi corrispondenti ai prolungamenti dei punti A, B, C, e
successivi della curva di cui al § 4, fino all'asse delle ordinate tracciata in
corrispondenza del fuoco F2;
7. L'incontro di questi archi con quelli fatti in precedenza al § 5, facendo attenzione alle
corrispondenze fra tratti sull'ascissa e ordinate, indicherà la curva della lemniscata di B
nei punti A', S', C', fino a Q';
Ripetendo poi questo procedimento grafico per i restanti tre riquadri cartesiani, si perviene alla
definizione della ricercata lemniscata di Bernoulli.
Illustrazione 9: Lemniscata di Bernoulli.
12
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Siamo ora in grado di pervenire alla geometria da me immaginata della Croce di Iside, nota come
Ankh, e per questo si disegnano due lemniscate messe a croce così come si vede attraverso
l'illustr. 11 successiva. E questa di seguito è la descrizione del percorso grafico
Illustrazione 10: Come si disegna la lemniscata di Bernoulli. Caso di a = 1.
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1. Una delle curve delle due lemniscate, quella in alto, identifica l'anello a forma di uovo
capovolto;
2. si traccia un cerchio passante per i fuochi delle due curve di Cassini (con r = 1 √ 2);
3. sapendo che l'angolo al vertice della piramide di Cheope è il famoso angolo argenteo ф,
si ha modo di pervenire a disegnarla e così indentificare i punti di incontro sul cerchio
tracciato prima. Gli apotemi delle quattro piramidi di Cheope poste in croce
corrispondono ai tre bracci della Croce di Iside, così come si vede nell'illustr. 11.
Abbiamo sotto mano ora la Croce di Iside e resta da capire come fare per ottenere una supposta
geometria del Dy.
Sulla scorta del fatto che entrambe vengono sempre indicate una insieme all’altra, si deve
immaginare che la matrice dell'Ankh, or ora disegnata, sia la stessa per il Dy.
Illustrazione 11: Geometria della Croce di Iside o Ankh.
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Infatti è così.
Dunque, ridisegnando la Lemniscata di B. (illustr. 12), premesso che a = 1, si congiungano F', P
e P', ottenendo così un triangolo isoscele. In seno a questo triangolo si congiungano poi P con
O, che individua il valore della tangente goniometrica dell'angolo argenteo calcolato in
precedenza.
Infatti, sviluppando l'equazione polare della «Lemniscata di B.» si verifica, come di seguito, che
il valore supposto è giusto.
Da: ρ = a √ (cos 2θ) si perviene al valore di θ = 25°, 91364623... che permette di
verificare, appunto, l'esattezza di F'O = FO = 1 / √ 2. Riguardo al triangolo isoscele F'PP', il
semiangolo al vertice F' si calcola con la formula arctg PF/F'F che dà come risultato 13°,
6545848...
Niente di più facile dedurre che quest'angolo conduce all'individuazione dell'angolo argenteo.
Infatti l'angolo in questione si ottiene in questo caso così: Φ = 1⁄2 (90° – 13°, 6545848...) =
38°, 17270762. In tal modo si viene a configurare un triangolo isoscele che è senza dubbio lo
stesso abbondantemente presente nel repertorio degli ideogrammi egizi sotto il nome Dy.
Però del Dy resta da capire (se possibile) a cosa si può riferire il triangolino posto al centro della
base del triangolo grande. Lo farò vedere verso la conclusione.
Il pensiero geometrico degli antichi egizi
Si pone ora la domanda fondamentale per immaginare in che modo gli antichi egizi potevano
concepire tutti i loro geroglifici, ideogrammi e pittogrammi, visto che in questo testo non si fa
che concepire una stretta relazione di tutto ciò con una geometria ancora sconosciuta ai loro
tempi.
Illustrazione 12: Il supposto triangolo isoscele dell'Ankh, visto adagiato sul lato.
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È mia idea che il loro pensiero era assai permeato da concetti matematici, oggi noti, ma che non
potevano capire ed esprimere se non in modo grossolano. La concezione della quadratura del cerchio attraverso il Papiro Rhind ne è la prova.
La storia inizia con lo scriba egizio Ahmes che nel problema n. 50 del papiro Rhind, risalente al
1650 a. C., indica nel modo seguente come ottenere il valore di π, che è poi la suddetta
procedura:
«Dividi il diametro in 9 parti. Prendi 8 parti e costruisci un quadrato 8 per 8. Tale quadrato ha una superficie praticamente uguale a quella del cerchio assegnato».
Dai calcoli risulta che l’area del cerchio, ottenuto col metodo di Ahmes, risulta con un errore
inferiore al 2% rispetto al giusto valore, applicando la nota regola del quadrato del raggio per pi
greco. Nondimeno si deve riconoscere che si tratta di una approssimazione notevole per quei
tempi e non si sa nemmeno come Ahmes l’abbia trovata.
Quindi escludendo nel novero dell'antica accademia
scientifica degli antichi egizi la consapevolezza di una
geometria così come quella che mi è parso di ravvisare
in questa disamina di ipotesi riguardo agli ideogrammi,
l'Ankh, il Dy e lo Scettro Wзs, non resta che pensare
una cosa che però brancola nel buio, ma è l'unica atta a
dare concretezza che è quella di un formarsi a priori di
un pensiero intriso di intelligenza matematica. Ma è
anche un'ipotesi accreditata da parte di studiosi di
egittologia che spiegano la cosa facendo capo a incerte
e vaghe basi di appoggio. Si tratta di reperti ritrovati
che denunciano una cultura superiore a quella
riscontrabile negli antichi egizi. Uno di questi reperti è
la lampada di Dendera.
La lampada di Dendera
Il Tempio di Dendera, situato a circa 2,5
km a sud-est della località di Dendera
(Iunet in antico egizio), è uno dei templi
meglio conservati di tutto l'Egitto.
Tra i molti bassorilievi che decorano il
tempio di Hathor due hanno attirato
l'attenzione in modo particolare; essi
provengono dalle decorazioni della cripta
del tempio. Si tratta di rappresentazioni
simboliche del fiore di loto, associato
all'immagine del serpente,
tradizionalmente legato ai miti egizi della
creazione.
Illustrazione 13: Quadratura del cerchio secondo il Papiro egizio Rhind.
Illustrazione 14: Lampada di Dendera.
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Nel 1894 Joseph Norman Lockyer affermò che si trattasse invece di rappresentazioni di lampade
elettriche ad incandescenza simili ai tubi di Crookes, e che questo documentasse le conoscenze
degli antichi egizi sull'elettricità. Benché nessuna altra scoperta abbia in seguito confermato tale
ipotesi questa ha continuato a trovare proseliti.
Una riflessione di questi studiosi:
Tutte le tombe egizie, scavate sottoterra per decine di metri, sono decorate con disegni e
incisioni di una bellezza unica. L'egittologia ufficiale ci dice che l'illuminazione necessaria
all'esecuzione dei lavori era fornita da torce a fiamma.
Ma quelle torce avrebbero in pochissimo tempo consumato tutto l'ossigeno presente, mentre
quel tipo di lavoro richiedeva un sacco di tempo.
Il CICAP, Comitato di controllo delle affermazioni sul paranormale, si è dovuto arrendere,
dicendo che – in effetti – aveva ragione, e cosi hanno avanzato (e continuano a sostenere)
l'ipotesi che utilizzassero un sistema di specchi per propagare la luce nelle gallerie. Ma sempre
secondo il CICAP, gli egizi non conoscevano il vetro, quindi al massimo potevano essere specchi
di rame.
Un altro reperto, che sembra somigliare a quello di Dendera, è stato il ritrovamento della pila di Baghdad,6 che suggerisce l'idea di una possibile conoscenza dell'elettricità.
In merito alla lampada di Dendera, sorgono non poche perplessità, per esempio il serpente
raffigurato all'interno (quindi siamo sicuri che non avessero il vetro?) viene sempre affiancato,
nei geroglifici, a un simbolo che è stato tradotto nella parola “seref”, antica parola egizia, che
significa “illuminare”.
A questo punto però c'è una cosa che ancora non torna, cosa fanno le persone che vengono
sempre raffigurate sotto la lampada?
Dal canto mio, la rappresentazione della lampada in questione, al di là di immaginare che in
qualche modo gli egizi riuscissero a illuminare i sotterranei dove essi lavoravano come suddetto,
una cosa è certa per me ed è che essi a loro modo disegnavano delle cose di cui però non
riuscivano a spiegare il funzionamento. Altrimenti non ha senso rappresentare una lampada che
poteva essere come una di quelle note ai nostri giorni e, dunque, delineate dal filamento a
incandescenza all'interno di un involucro di vetro ed un bulbo a vite, ma senza tutto il resto
ideografico. Dunque questo potrebbe dar credito all'unica spiegazione concepibile, ossia che gli
antichi egizi avessero ereditato da un'altra civiltà, poi scomparsa, strani e prodigiosi oggetti. Ma
in loro, lontanissimi discendenti di quella civiltà, la cultura si era assai degradata, salvo ad averla
trattenuta sbiadita nel tempo nella mente e perciò non potevano, per esempio, penetrare il lato
scientifico della lampada in discussione. Insomma la lampada di Dendera, e forse altri oggetti
simili, erano per gli antichi egizi reperti da rispettare, se non venerare, ritenendoli appartenenti
ad esseri divini per loro. Questa è la mia opinione che, però, non collima tanto con altre cose
che dimostrano invece la capacità di eseguire opere, come per esempio quella di lavorare pietre
durissime in modo estremamente preciso (fare piccoli fori – mettiamo) che solo con i moderni
utensili diamantati è possibile.
Aggiungo una cosa che torna utile a dar sostegno alla mia ipotesi avanzata sul conto della
Camera del Re e relativo Zed della Piramide di Cheope: vedi illustr. 6. In tal caso ho ipotizzato
che lo Zed fosse un generatore di energia. Ma lo Zed, chiamato anche Djed, è lo stesso che è
6 http://blog.libero.it/mysteri/1830971.html
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posto a sostegno della lampada di Dendera, allegorizzato con due braccia, anche questa ritenuta
una sorta di lampada elettrica.
I due leoni cibernetici
Ed ora è come apprestarmi a chiudere un cerchio, giusto quello cominciato a delineare all'inizio,
poiché ho detto: «Nella biografia, posta alla fine del mio libro in edizione E-Book, I due leoni cibernetici, dico che l'idea di portare avanti gli studi descritti in questo testo sono derivati da
ricerche fatte sulla Piramide di Cheope. Ebbene proprio dalle leggende dell'antico Egitto, sul dio
Osiride, ci viene il modo di capire con semplicità il processo matematico seguito per
“congiungere” il numero 3,14 e infiniti decimali noto come pi greco con un altro, 1,618, anche
questo con infiniti decimali e noto come sezione aurea o divina proporzione nel Rinascimento.
Ma così come sono non potrebbero mai trovare fra loro relazione, eppure attraverso la quarta
parte del primo e la radice quadrata dell'inverso del secondo, noto come sezione argentea, la
cosa si dimostra possibile...».
A questo punto occorrerebbe leggere il mio suddetto E-Book per capire bene in che modo si
arriva al “congiungimento” dei due, π / 4, e √ ф (ф è la sezione argentea).
Ovviamente chiedo troppo ad alcuni di voi che mi leggete, poiché il testo suddetto non è di facile
lettura, eccetto che per chi è preso per la matematica, anche se, non essendo io un accademico
ma un autodidatta, non abbia espresso i vari ragionamenti seguendo la prescritta ortodossia.
Comunque lo scopo del libro in discussione è quello di mostrare un itinerario, fuori dai
ragionamenti accademici, per giungere a indisporre l'accademica concezione di trascendenza intesa per il numero irrazionale Pi greco simboleggiato con π.
Il “congiungimento” di π / 4 con √ ф a questo porta. E in relazione al tema di questo saggio
resta da dare una risposta per arrivare a intuire (ma siamo sempre nel mondo delle ipotesi) a
cosa potrebbe riferirsi quel minuscolo triangolino posto alla base del triangolo che rappresenta
l'ideogramma egizio Dy, e capire in che modo la Chiave d'Iside è una sorta di password come
inteso dal titolo di questo saggio. Perciò ora tenterò una scalata, quel tanto che occorre per giungere a dare queste risposte:
parlerò delle cose salienti che riguardano il suddetto mio E-Book “I due leoni cibernetici”,
perché altrimenti non si afferrano i concetti che concorrono a considerare il misterioso Dy
congiunto alla Chiave d'Iside, due chiavi in una di volta di tutto l'impalcato del libro. Giusta la
concezione di vedere collocata accanto all'Ankh, la Chiave di Iside: una chiave così preziosa che
è posta nelle mani di dei e faraoni nell'iconografia relativa dell'antico Egitto.
Comunque è piacevole e non astruso quel che dirò; chi mi legge converrà che è davvero
allettante perché riguarda la cibernetica attraverso un complesso “pacco di sfere” che io ho
concepito e chiamato “sphere packing” (illustr. 15) allo stato di aggregazione della materia.
Quindi il pacco di sfere viene anche concepito come un poliedro i cui spigoli costituiscono i
centri delle sfere periferiche dell'involucro sferico. (illustr. 16)
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Ma l'argomento della chimica viene appena sfiorato e conta solo capire che “Sphere Packing” è
un particolare involucro a forma sferica contenente determinate sfere, e che funge da modello
geometrico capace di servire da sistema cibernetico di autocontrollo7, appunto. Cosa che si
otterrà seguendo l’itinerario di una piacevole meccanica ingegneristica. Né più e nemmeno
similmente ad un sistema meccanico, del tutto analogo ad una scatola di trasmissioni come quella
di un cambio di velocità o anche a un differenziale di un’automobile. (illustr. 17)
Illustrazione 17: Sphere Packing come scatola di ingranaggi di un variatore continuo di velocità.
7 http://venus.unive.it/miche/cicli_ecosis/0013.htm
Illustrazione 15: Sphere Packing. Illustrazione 16: Poliedro di Sphere
Packing.
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Per quanto concerne il riferimento alchemico dei due numeri, pi greco e sezione aurea, “I due leoni cibernetici”, nulla che impressioni perché i due leoni si rifanno all'alchimia, noti come il
leone verde e leone rosso.
Poche note a riguardo, tanto per dare l’opportunità a chi non conosce l’alchimia di accettarne la
relazione con il procedimento usato dall’autore per “gemellare” i due numeri in questione in
termini matematici.
Generalmente, il Leone è il segno dell’oro, segno sia alchemico che naturale; radice, cioè, delle
proprietà fisico-chimiche di questi corpi. Ma i testi di alchimia danno lo stesso nome alla materia
che, nella preparazione del solvente, accoglie in sé lo Spirito universale, il fuoco segreto. In
ambedue i casi si tratta sempre dell’interpretazione della potenza, dell’incorruttibilità, della
perfezione.
Il primo agente magnetico che serve a preparare il solvente, alcuni lo hanno chiamato Alkaest, –
si chiama Leone verde, non tanto perché possiede una colorazione verde, ma perché non ha
ancora acquisito i caratteri minerali che distinguono chimicamente lo stato adulto da quello
nascente. È un frutto ancora verde ed acerbo, e paragonato al frutto rosso e maturo. È la
giovinezza metallica, sulla quale non ha ancora agito l’Evoluzione, ma che contiene in sé il
germe latente di una energia reale, che più tardi sarà destinata a svilupparsi. È lo stadio in cui
sono l’arsenico ed il piombo in confronto all’argento ed all’oro. Il Leone rosso, dunque,
secondo i Filosofi, non è altro che la stessa materia, o Leone verde, portata mediante speciali
procedimenti a questa tipica qualità che caratterizza l’oro ermetico o Leone rosso.
Essi, come si vedrà, strada facendo nel corso della lettura del libro in questione, fanno da
maestri e nocchieri di viaggi (di qui la relazione con la cibernetica perché “timonieri” dell’ideale
vascello geometrico, Sphere Packing, appunto) che, con meraviglia, non sono da catalogare solo
come concezioni metafisiche, proprio grazie ai risultati ottenuti con l’ausilio della elementare
matematica esibita da me.
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Riprendendo il lato della meccanica ingegneristica di Sphere Packing, si capisce già che le sfere
impacchettate ruotano fra loro immaginandole dotate perifericamente di ingranaggi ideali. Si
tratta di un altro genere di geometria impiegato per l'occasione, tale da permettere una
variazione dei rapporti di velocità, non solo al variare della rotazione degli otto timoni-sfere
segnate in arancione nell'illustr. 17, ma anche perché cambia il genere di dentatura che non è
come quella convenzionale che segue di pari passo il diametro primitivo dell'ingranaggio. E qui
un'altro miracolo dell'immaginazione per ricorrere alla geometria degli anelli di Möbius inseriti in
un anello torico il cui asse circolare è lo stesso della sfera ove si trova. Naturalmente la sfera ne
contiene infiniti, tali da determinare la dentatura ideale necessaria per la trasmissione di Sphere Packing cibernetica.
Con l'illustr. 18 è in mostra il nastro di base “con una faccia”, che tutti conosciamo col nome di
Möbius, mentre l’altro, dell'illustr. 19, è quello che vi deriva, ma con “due facce”. La torsione,
come si vede, è una per l’intero nastro, ossia per 360°, mentre l’altra è due volte l'intero
nastro.
Detto tutto ciò che, tuttavia non dà l'esatta idea di com'è che i due “Leoni cibernetici” hanno
relazione tale da “congiungersi”, ma anche “distaccarsi” però. Dunque si tratta di un ideale
bilanciere di un vero e proprio orologio, anzi un computer fuori dalle concezioni scientifiche
moderne. Meglio ancora, per aderire al tema di questo saggio riposto nel titolo, si tratta di una
macchina della vita in evoluzione nel tempo. E siamo nell'era giusta per concepirla
scientificamente.
Di qui, finalmente siamo giunti alla comprensione di quel triangolino del Dy, ma è una mia
supposizione poiché il Dy, l'Ankh e lo Scettro o Wзs, ma anche altri geroglifici, restano
comunque relegati nel mistero dei simboli di una concezione metafisica che razionalmente resta
impenetrabile.
Siamo giunti a intravedere in Sphere Packing una funzione di base che illuminerebbe in termini
Illustrazione 18: Toro con nastro di base avvolto ad una faccia
(Möbius).
Illustrazione 19: Toro con nastro di base avvolto a due facce.
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geometrici il lato oscuro del mistero di Osiride che è legato al Tempo, giusto l'accostamento del
bilanciere appena detto. E quel più conta la funzione peculiare della Chiave d'Iside o Ankh.
Ora non spiego come funziona il servomeccanismo che fa muovere gli otto timoni-sfere di Sphere Paccking, perché subentra la tematica dei calcoli matematici esibiti nel testo relativo. Tuttavia il
servomeccanismo in questione fa capo alla geometria della lemniscata di Bernoulli e questo si può
capire. E si capisce di conseguenza quanto sia fondamentale la geometria della Chiave di Iside,
l'Ankh, il Dy e lo Scettro o Wзs,che vi derivano.
Dall'illustr. 20 si comprende tutto del nostro bilanciere che oscilla con un angolo piccolissimo,
da me simboleggato con εLB, che può benissimo trovare quale migliore corrispondenza del
misterioso triangolino del Dy.
Il bilanciere non è altro che lo Scettro o Wзs, una volta in mano a Osiride e poi a Iside.
Il bilanciere oscilla assumendo due posizione terminali che sono quelle della radice quadrata della
sezione argentea (inversa della sezione aurea) e di pi greco diviso 4. Il disegno li evidenzia in
rosso e verde in relazione ai due leoni alchemici del titolo del mio libro E-Book.
Ma l'oscillazione è a gradi e non progressiva e sono esattamente 8 i salti che intervallano
l'angolo assunto dai due della sezione aurea e pi greco. Una piccolissima parentesi in proposito.
Nella conclusione del mio libro in questione collego gli otto salti del bilanciere con i chakra della
filosofia yoga che si riferiscono ai centri di forza dei diversi corpi energetici compenetrati in
quello umano.
Illustrazione 20: Ipotesi dei due scettri o WЗS: di Osiride (verde) e Iside (rosso).
In parallelo, mi viene di affacciarmi ad una piccola finestra della scienza senza però
addentrarmici, quella così complessa e affascinante dei salti quantici. Un mondo immenso tutto
da scoprire!
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Appendice
Le due facce di Sphere Packing
Nella conclusione del capitolo precedente ho accennato ad un risvolto degli otto stadi del
supposto bilanciere segnatempo della macchina cibernetica Sphere Packing. Ho introdotto
l'argomento dei chakra della cultura yoga che per certi versi non sembra avere legami con
cultura dell'antico Egitto. Tuttavia entrambe affondano nel mito della storia del nostro pianeta,
dunque c'è la possibilità potenziale che in modo sotterraneo entrambe concordino – mettiamo –
sul piano delle mie congetture sul piano della geometria, visto che ho tradotto ogni cosa
dell'apparato dei geroglifici, ideogrammi e pittogrammi dell'antico Egitto, in questo modo.
Resta però un vuoto da colmare per quanto concerne la cultura dell'astrologia e astronomia
dell'antico Egitto, certamente in stretta relazione con il suddetto apparato dei geroglifici,
ideogrammi e pittogrammi che in qualche modo dovrebbero trovare i segni, con la geometria da
me esibita con Sphere Packing. L'astrologia e l'astronomia non erano così distinte fra loro così
come lo è oggi. Naturalmente se avessi ravvisato qualcosa in merito che poteva avere riflessi –
mettiamo – sulla Croce d'Iside o altro contemplato in questo saggio, mi sarei dato da fare per
esaminarlo, invece no.
Tuttavia il segno che
accomunerebbe la visione degli
antichi egizi in materia degli astri
“serpeggia” comunque nel mio
Sphere Packing allo stesso analogo
modo con cui mi è sembrato di
ravvisare negli otto stadi del
bilanciere segnatempo suddetto, i
chakra dell'antica cultura yoga.
Infatti è così, perché è nel seguito
della storia dei popoli mediterranei
che compare in Francia nel 1500
un personaggio carismatico ritenuto un mago, indovino e
astrologo, Enrico, Cornelia Agrippa.
(Illustrazione 22 a sinistra: Impacchettamenti di sfere.) Fra la molteplicità delle sue produzioni, egli mostra un
magico repertorio di Segni ideografici correlato ai
pianeti8 che, come farò vedere, sono straordinariamente
aderenti alle diverse rappresentazioni di Sphere Packing. E tutto ciò costituisce una faccia della
medaglia del titolo di questo capitolo, che è di natura
esoterica, ma non manca quella di natura scientifica
allineata ai nostri tempi.
8 La Filosofia Occulta o Magia - di Enrico Cornelio Agrippa, vol. II, capitolo XXII - Edizioni Mediterranee Roma.
Illustrazione 21: Il soffitto astronomico nella sala del sarcofago della tomba di SethiI nella Valle dei Re. Raffigura
stelle e costellazioni.
Illustrazione 22: Impacchettamenti di sfere.
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Non è difficile immaginarla già, perché ne ho già parlato nel descrivere la natura geometrica di
Sphere Packing. Infatti mi sono avvalso del concetto dell'impacchettamento di sfere,9 che, oggi, è
oggetto di studio nel campo delle trasmissioni televisive ed altro, oltre che della matematica. Ma
è vero anche che l'idea matematica dell'impacchettamento sfere sorse nel 1600, dunque circa un
secolo dopo al tempo di Agrippa.
Ed ora di volata mostrerò via via le varie correlazioni di Sphere Packing con i segni ideografici
dei pianeti immaginati da Agrippa nel suo libro, La Filosofia Occulta o Magia, segnato fra le
note.
Il segno o carattere del Sole
9 http://www.quadibloc.com/math/pakint.htm
Illustrazione 23: Una vista delle sfere di Sphere P. e relativo poliedro che vi corrisponde. L'ideogramma del segno o
carattere del Sole di Agrippa è segnato in rosso . L'originale
è posto accanto.
24
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Il segno o carattere di Mercurio
Illustrazione 24: Altra vista delle sfere di Sphere P. e relativo poliedro che vi corrisponde. L'ideogramma del segno o
carattere di Mercurio di Agrippa è segnato in grassetto .
L'originale è posto accanto.
25
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Il segno o carattere della Luna
Illustrazione 25: Altra vista delle sfere di Sphere P. e relativo poliedro che vi corrisponde. L'ideogramma del segno o
carattere della Luna di Agrippa è segnato in viola .
L'originale è posto accanto
26
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Il segno o carattere di Venere
Illustrazione 26: Altra vista delle sfere di Sphere P. e relativo poliedro che vi corrisponde. L'ideogramma del segno o carattere di Venere di Agrippa è segnato in grassetto . L'originale è
posto accanto
Arrivati a questo punto, come si vede attraverso l'illustr. 26, le cose si complicano per la
presenza nel disegno di qualcosa di nuovo che non si spiega a prima vista, ma chi ha già letto il
mio scritto Sphere Packing presente sul web e fra gli studi di matematica del mio sito10, sa di che
si tratta.
L'ideogramma di Agrippa presenta una curva non circolare sulla destra, una sorta di falce, e in
Sphere P. vi è riportata facendola dipartire da una delle sfere, quella a destra e poi confluire nel
centro della sfera in alto, posta a 120°. Come si spiega?
Si tratta di un'altra mia invenzione geometrica e riguarda una serie di curve di mia ideazione
ricavate dalle geometrie di figure stellari, ovvero da poligrammi. Una di queste è la curva
dell'ottagramma ed è la stessa del disegno in discussione.
La curva è questa (illustr. 27), completa di abaco per la parte matematica di calcolo:
10 Il geometra pensiero in rete: http://www.webalice.it/gbarbella/lavori.html
27
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Abaco di calcolo Illustrazione 27: Curva dell'ottagramma.
Equazione polare:
ρ = ρ0/cos(θ/3) raggio polare;
ρ0 = r sen(360/4n) raggio cerchio interno;
r = 1 raggio cerchio esterno;
n divisioni del poligramma;
δ = arctan 3 cotan (θ/3) angolo tangente della curva con il raggio polare;
a = 3ρ0 asintoto.
Illustr. 28: Da un papiro della XVIII dinastia dei faraoni dell’antico Egitto rinvenuto nella tomba dello scriba Ani e conservato nel British Museum di Londra. Particolare: Anubi, lo scriba Ani supera il giudizio finale e viene condotto alla presenza di Osiride.
Ed ora, non a caso ho disposto le cose suddette per ultime, perché siamo
alla fine di questo saggio. Ed è il caso di dire “dulcis in fundo”, tutto in
onore della Croce d'Iside o Ankh, tema del saggio non ancora del tutto
sviluppato.
La prima cosa riguarda la curva dell'ottagramma (giusto in armonia degli
otto stadi delle oscillazioni del pendolo di Sphere P., ma è vero anche che
questa è contornata da otto sfere disposte sulla circonferenza della sfera
di contenimento del pacchetto sfere (solo che queste, a differenza del
convenzionale pacchetto studiato dai matematici, sono i centri delle sfere
Illustrazione 28: Partic. Papiro di Ani
28
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suddette a combaciare con la sfera globale).
Ho notato che nei pittogrammi egizi si ricorre spesso a rappresentazioni di fiori muniti di gambo,
nulla di misterioso. Ma se questi hanno relazioni con rappresentazioni che inducono a pensare
che si tratti di concezioni inspiegabili, allora il fiore o i fiori possono avere una valenza
significativa. E si dà il caso che ho la fissazione di tradurre tutto in figure geometriche, al punto
di intravedere in certi fiori, quelli dell'illustr. 28, emblemi di poligrammi, Perché non è possibile
se ho immaginato che la macchina cibernetica Sphere P., da me congegnata servendomi della
geometria, a questo conduce, alla vita che si profila attraverso dei fiori.
Allora perché non credere anche che quei fiori non siano corrispondenti a curve di poligrammi?
E giacché abbiamo sotto mano il curioso Papiro di Ani, mi è sorta l'idea che quella sorta di
congegno davanti allo scriba Ani dà forte l'idea di qualcosa che oscilla. Tutto è sorretto da una
leva che sembra avere due appoggi all'estremità destra. Due punti di contatto che fanno capo ad
una sorta di omino antropomorfizzato. La mano destra alzata che termina con un puntalino e
inizia con una grossa molla che si avvolge per tutto il corpo; la testa è munita di una piccola
molla di senso contrario alla prima. Cosa vuol allegorizzare?
Ma non si spiega nemmeno come si sostiene la leva con tutto ciò che vi è sopra, a meno che quel
pacco di fogli stretti da un laccio stiano a simboleggiare un'energia che da questo si sprigiona e
fa da forza premente per opporsi alla caduta di ciò che sta in lato. Il passo è breve per
immaginare che si tratta, forse, del sapere che il pacco di fogli – di certo un libro – inteso come
fonte traducibile in concezioni vitali in tanti modi posti in atto dall'uomo. L'idea base ce la dà la
fisica dell'elettromagnetismo. E nel caso di Ani è un sapere mistico che fa bene all'anima e lo
spirito.
Ecco la fonte della vita eterna concessa dal dio Osiride in trono nel tabernacolo davanti a lui,
che qui non si vede. Ma è possibile vederlo attraverso l'illustr. 1 dell'inizio di questo saggio.
E i due in uno che sostengono in apparenza il tutto sostenuto sulla leva? Possono benissimo
essere correlati ai due leoni cibernetici del mio E-book e contemporaneamente, nell'insieme, al
bilanciere del tempo esaminato geometricamente facendo capo alla lemniscata di B.: in realtà
servendoci della Chiave di Iside.
E così abbiamo parlato della prima cosa che ho disposto per
concludere questo saggio, la seconda cosa è la versione
evoluta della Chiave di Iside e di Iside stessa. È sapete chi
ce lo dice mostrando il segno? Una cosa che ci riporta a
quello di Costantino I imperatore che fece porre sui labari
del suo esercito prima della battaglia di Ponte Milvio nel 312
d.C. contro Massenzio. Alla croce cristica.
Avete notato il segno ideografico a forma di croce con due
bracci a V del pianeta Venere di Agrippa (illustr. 26)? Non ci
dà l'esatta idea della croce mistica del cristianesimo
sorgente? Come quella dell'illustr. 29 accanto?
La potenza del simbolismo, nei primi secoli cristiani, si
manifesta anche nella croce mistica scolpita sulla pietra. La
pietra è incisa con una croce a Tau (T); il chi (X) traversa
Illustrazione 29: La croce mistica solpita nella pietra.
29
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l'asta del Tau che si arrotonda in ro (P) in alto. Il nome di Cristo e la forma della sua croce sono
riassunti in queste linee. Il Cristo, figlio di Dio, è l'inizio e la fine di tutto; l'alfa e l'omega, inizio
e fine dei segni intellettuali e, per estensione, dell'intelligenza stessa e dell'anima umana,
scortano a destra e a sinistra.
La croce ha schiacciato e domato Satana, il serpente antico. Il serpente si arrotola e si incatena
al piede della croce.
Questo è il lato del cristianesimo, ma ancor prima, la dea Iside, come potenza generatrice e
fecondatrice della natura, viene assimilata a Venere e si riconosce da alcuni attributi propri come
lo scialle, le rose, la situla.
La famosa Venere capitolina e la Venere dell'Esquilino sono ritenute statue di Venere-Iside.
Ambedue le sculture portano infatti i simboli della dea: la prima nuda, con lo scialle posto su
un'idria poggiata in terra, con i capelli annodati, sta per immergersi nelle acque; la seconda,
trovata sull'Esquilino nel 1874, è nuda anch'essa con i sandali ai piedi e in atto di avvolgere con
una benda la capigliatura; ha accanto a sé un vaso decorato con foglie di loto, e un ureo posto su
una “cista” ornata di rose. Potrebbe anche rappresentare una fanciulla del culto isiaco che si
appresta ad un bagno rituale.11
Brescia, 12 luglio 2010
11 Roma egizia: culti, templi e divinità egizie nella Roma imperiale , Boris de Rachewiltz, Anna Maria Partini – Ed.
Mediterranee.