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1 CREDENZA NEL PARANORMALE: FRA PSICOLOGIA E PSICOPATOLOGIA GIOVANNI IANNUZZO “...sappiamo bene che sotto qualsiasi cielo, in qualsiasi cultura, i meccanismi cognitivi che rendono possibili le illusioni sono partecipi d’ogni credenza personale e collettiva. Le stesse ideologie sociali, i movimenti religiosi e politici, fanno tutti presa su quelle vele della motivazione soggettiva che sono appunto le “illusioni positive” : il vento della storia, della trascendenza e dell’avventura o del cambiamento, non sarebbero possibili senza questa disposizione della mente umana” (Taylor, 1991). INTRODUZIONE I fenomeni parapsicologici fanno parte della storia e della cultura umana. In fondo, l'interesse propriamente scientifico verso questi misteriosi eventi, indipendentemente dal grado di comprensione di essi raggiunto, è abbastanza recente, se paragonato con la loro storia culturale. La caratteristica sostanziale dei fenomeni che oggi definiamo “parapsicologici” è, insomma, quella di rappresentare in prima istanza delle “credenze”. Alla telepatia, alla chiaroveggenza o alla psicocinesi, insomma si può, o meno, “credere”. Se non si crede alla loro realtà, si crede almeno alla loro possibilità. Senza questo atteggiamento mentale essenziale, l'idea stessa di paranormale non esisterebbe sia nell'immaginario individuale sia in quello collettivo. E' una caratteristica che riguarda, tra i fenomeni in ogni modo oggetto di studi scientifici solo le pretese parapsicologiche. Nessuno metterebbe mai in dubbio che esiste la percezione, né tanto meno 'crederebbe' alla percezione. La percezione semplicemente esiste, e ne siamo tutti consapevoli per il semplice fatto che tutti la sperimentiamo. Nessuno, allo stesso modo, metterebbe in discussione l'esistenza del sogno, perché chiunque, per quanto raramente, ha sognato. Nel caso dei fenomeni parapsicologici, la loro natura particolare, la loro erraticità, il fatto che essi non siano condivisi da tutti, li rende fondamentalmente oggetto di credenza. C'è chi crede alla loro esistenza, e chi no. Ora, mentre è abbastanza facile comprendere perché le persone possano non credere ai fenomeni parapsicologici - il motivo fondamentale essendo legato alla semplice adesione alle nozioni scientifiche acquisite sulla natura del mondo - è abbastanza più difficile spiegarsi i motivi per cui la gente crede al cosiddetto paranormale. Il livello e i modelli di credenza possono modificarsi in differenti periodi storici, ma il dato generale dell'esistenza di una credenza resta, sebbene con modalità

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CCRREEDDEENNZZAA NNEELL PPAARRAANNOORRMMAALLEE:: FFRRAA PPSSIICCOOLLOOGGIIAA EE PPSSIICCOOPPAATTOOLLOOGGIIAA

GIOVANNI IANNUZZO “...sappiamo bene che sotto qualsiasi cielo, in qualsiasi cultura, i meccanismi cognitivi che rendono possibili le illusioni sono partecipi d’ogni credenza personale e collettiva. Le stesse ideologie sociali, i movimenti religiosi e politici, fanno tutti presa su quelle vele della motivazione soggettiva che sono appunto le “illusioni positive” : il vento della storia, della trascendenza e dell’avventura o del cambiamento, non sarebbero possibili senza questa disposizione della mente umana” (Taylor, 1991). INTRODUZIONE I fenomeni parapsicologici fanno parte della storia e della cultura umana. In fondo, l'interesse propriamente scientifico verso questi misteriosi eventi, indipendentemente dal grado di comprensione di essi raggiunto, è abbastanza recente, se paragonato con la loro storia culturale. La caratteristica sostanziale dei fenomeni che oggi definiamo “parapsicologici” è, insomma, quella di rappresentare in prima istanza delle “credenze”. Alla telepatia, alla chiaroveggenza o alla psicocinesi, insomma si può, o meno, “credere”. Se non si crede alla loro realtà, si crede almeno alla loro possibilità. Senza questo atteggiamento mentale essenziale, l'idea stessa di paranormale non esisterebbe sia nell'immaginario individuale sia in quello collettivo. E' una caratteristica che riguarda, tra i fenomeni in ogni modo oggetto di studi scientifici solo le pretese parapsicologiche. Nessuno metterebbe mai in dubbio che esiste la percezione, né tanto meno 'crederebbe' alla percezione. La percezione semplicemente esiste, e ne siamo tutti consapevoli per il semplice fatto che tutti la sperimentiamo. Nessuno, allo stesso modo, metterebbe in discussione l'esistenza del sogno, perché chiunque, per quanto raramente, ha sognato. Nel caso dei fenomeni parapsicologici, la loro natura particolare, la loro erraticità, il fatto che essi non siano condivisi da tutti, li rende fondamentalmente oggetto di credenza. C'è chi crede alla loro esistenza, e chi no. Ora, mentre è abbastanza facile comprendere perché le persone possano non credere ai fenomeni parapsicologici - il motivo fondamentale essendo legato alla semplice adesione alle nozioni scientifiche acquisite sulla natura del mondo - è abbastanza più difficile spiegarsi i motivi per cui la gente crede al cosiddetto paranormale. Il livello e i modelli di credenza possono modificarsi in differenti periodi storici, ma il dato generale dell'esistenza di una credenza resta, sebbene con modalità

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differenti di volta in volta. In realtà, infatti, la 'credenza' è assai spesso aprioristica: intendo dire che essa è presente o assente in maniera del tutto autonoma rispetto ai dati scientifici disponibili. Insomma, indipendentemente dal fatto che i fenomeni paranormali siano veri o no, molte persone credono che essi esistono. E questo basta. DEFINIZIONE E MISURAZIONE DEL PARANORMALE E' ovvio che, parlando di credenze nel paranormale, bisogna intendersi su ciò che si intende per paranormale, poiché, in mancanza di indicazioni precise, il range di fenomeni che può essere definito in questo modo è vastissimo. Se allora indaghiamo quali siano le credenze sul paranormale della gente, a cosa esattamente ci riferiamo? Esistono diverse “scale di valutazione” della credenza nel paranormale (Jones, Russel, & Nickell, 1977; Randall & Desrosiers, 1980; Scheidt, 1973; Thalbourne e Delin, 1993; Tobacik, 1988); uno degli argomenti più indagati è stata la credenza nella percezione extrasensoriale (psi), nei confronti della quale esistono scettici e credenti. Ma si possono anche indagare, in maniera più estensiva altre credenze, come in una scala ideata da Thalbourne e Delin (1993), nella quale vengono prese in considerazione anche la credenza in una vita dopo la morte e quella relativa alla possibilità di contatti con gli spiriti dei defunti. Altri criteri di valutazione prendono in considerazione la psicocinesi, la proiezione del corpo astrale e le guarigioni paranormali, l'astrologia, il mostro di Loch Ness, il voodu, la comunicazione con le piante, il deja-vu, la reincarnazione, la grafologia e altro ancora. Dopo i primi entusiasmi rispetto alla possibilità di misurare un singolo fattore paranormale (Randall & Desrosiers, 1980), si è lentamente imposta la convinzione che un’accurata misurazione della credenza nel paranormale passasse attraverso la misurazione di molteplici fattori (Clarke 1991; Grimmer e White, 1990; Sobal & Emmons, 1982; Thalbourne e Delin, 1983). Questo problema metodologico non è indifferente. Credere nell’esistenza della ESP è proprio la stessa cosa che credere nell'esistenza del mostro di Loch Ness? Se adottassimo rigorosamente questo punto di vista, ci troveremmo a dovere appiattire in maniera indiscriminata tutte le tipologie di credenze. In realtà, c'è chi crede che l'esistenza della ESP sia possibile, e non credere ai dischi volanti, al mostro di Loch Ness. Le credenze quindi possono essere molto selettive, e per valutarle vanno probabilmente considerate molteplici dimensioni. Una conferma dell’utilità di questo approccio è data dai numerosi studi che hanno dimostrato come determinate caratteristiche psicologiche siano associabili soltanto a determinate tipi di credenza, e non ad altre. Tra tutte le scale prese in considerazione nelle ricerche sulla credenza nel paranormale, una particolare attenzione merita quella costruita da Tobacik (Tobacik e Milford, 1983; Tobacik 1988) per la sua diffusione (Lawrence, 1995) e per l’approfondimento psicometrico e concettuale di cui è stata protagonista negli ultimi anni (in relazione alla definizione di paranormale ma soprattutto in

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relazione al problema del numero dei fattori in cui è scomponibile la credenza). Essa nasce nel 1983 (Tobacik e Milford, 1983) attraverso una analisi fattoriale che riduce un iniziale questionario di 61 item ad uno più ristretto di 26 misurati su una scala a 5 punti. Vengono evidenziati sette fattori: Credenze Religiose Tradizionali, Credenza nella psi, Stregoneria, Superstizione, Spiritualismo, Forme di Vita Straordinarie, e Precognizione. Come si può constatare la definizione di paranormale su cui si basa la scala di Tobacik è alquanto ampia; egli riprendendo una definizione di Broad (1949/1978), definisce come paranormale tutto ciò che: a) non può essere spiegato dalle attuali conoscenze scientifiche; b) per essere spiegato comporta una revisione sostanziale dei principi basilari su cui si basano le scienze; c) non è compatibile con le percezioni, credenze e aspettative riguardo la realtà normalmente condivise (Tobacik, 1983; Tobacik, 1995a). Nel 1988 Tobacik (1988) propone una revisione della scala con l’obiettivo di migliorarne la qualità metodologica: gli item diventano 26, la scala assume un range che va da 1 a 7, gli item sulla precognizione diventano e 4 e vengono completamente riformulati, due dei quattro item sulla stregoneria ed uno sulle forme di vita straordinarie vengono sostituiti. Nel 1995 Lawrence (1995) ne mette in discussione i criteri di selezione dei fattori nonché la definizione stessa di paranormale; l’utilizzazione di quattro differenti criteri avrebbe condotto all’estrazione di troppi fattori e l’idea di selezionare quelli dotati di significato interpretativo darebbe troppo spazio alla soggettività (Lawrence addirittura parla di metodica equiparabile ad un test proiettivo!); la definizione di paranormale dovrebbe secondo lui essere più ristretta, comprendendo (Irwin, 1993): a) processi che sono fisicamente impossibile; b) processi che sono al di là del regno delle capacità umane come attualmente sono intese dagli scienziati. Egli applicando l’uso dello scree slope analysis individua invece quattro fattori: Credenze Religiose Tradizionali, Credenza nella psi, Stregoneria, Superstizione. Tobacik (1995a) risponde che è in realtà l’uso della scree slope analysis soggettivo, poiché essa si basa su una lettura intuitiva di un grafico. Successivamente Lawrence, Roe e Williams (1997) e Lawrence e De Cicco (1997) effettuano due nuove somministrazioni della scala giungendo ad un modello a cinque fattori (Oblique Five), mentre Hartman (1999) propone un modello a quattro fattori. Lange, Irwin e Houran (2000) invece, pur confermando la presenza di sette fattori, sostengono che la presenza di sue singoli fattori sia in grado di migliorare le qualità psicometriche della scala (in particolare riferendosi all’effetto del sesso e dell’età ed alla non additività di alcuni item). Tobacik sintetizza probabilmente al meglio i motivi di tali disaccordi: “Una parte della mancanza di accordo sull’analisi fattoriale della PBS è dovuta al fatto che non esistono criteri quantitativi esatti per l’applicazione dell’analisi fattoriale esploratoria. Così, molte decisione sull’analisi dei fattori dipende dal giudizio del ricercatore” (Tobacik 1995b, pag. 142). In attesa di un miglioramento delle qualità psicometriche della scala – miglioramento che tutti i ricercatori auspicano – la scala di Tobacik (1988) rimane attualmente il migliore strumento di misurazione della credenza del paranormale ed i sette fattori, ormai

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abbondantemente in uso, dovrebbero verosimilmente essere abbandonati di fronte ad una convergenza di studi in grado di identificare in maniera inequivocabile il numero dei fattori. I sette fattori hanno infatti consentito di effettuare una notevole mole di ricerche che appare molto produttiva, anche se psicometricamente non perfettamente corretta.

FATTORI PRESI IN CONSERAZIONE IN ALCUNE SCALE PER LA VALUTAZIONE DELLA CREDENZA NEL PARANORMALE

Autore Fattori Sullivan (1982) 1. CREDENZA SUPERSTIZIOSA GENERALE

(ESP, astrologia, UFO, case infestate, bioritmi,lettura dei Tarocchi)

2. FATTORE RELIGIOSO ORTOGONALE (Dio, evoluzione, possessione degli spiriti)

Sobal e Emmens (1982)

1. CREDENZA NEI FENOMENI PSICHICI 2. CREDENZA RELIGIOSA

CREDENZA NELL'ESISTENZA DI ALTRI ESSERI (Mostro di Loch Ness, spiriti)

Clarke (1991)

1. CREDENZE RELIGIOSE TRADIZIONALI 2. CREDENZE PARAPSICOLOGICHE 3. CREDENZE IN FORME DI VITA

STRAORDINARIE Tobacyk (1988)/Tobacyk E Mildford (1983

1. CREDENZA RELIGIOSA TRADIZIONALE 2. CREDENZA NELLA PSI 3. STREGONERIA 4. SPIRITUALISMO 5. SUPERSTIZIONE 6. FORME DI VITA STRAORDINARIE 7. PRECOGNIZIONE

Gimmer e White (1990)

1. SCIENZA POPOLARE 2. OBSCURE UNBELIEF 3. RELIGIONE TRADIZIONALE 4. TERAPIE ALTERNATIVE 5. PARATERAPIE 6. PSI FUNZIONALE 7. PSI STRUTTURALE

LA FUNZIONE DELLA CREDENZA Diversi studi si sono occupati di capire quale sia l'origine delle credenze nel paranormale e quale sia la loro funzione nel contesto della personalità e della vita

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degli individui. La gente può ovviamente credere nel paranormale per una serie di motivi apparentemente plausibili: per aver letto testi scientifici convincenti, per aver letto qualcosa di suggestivo e affascinante (l'articoletto sulla rivista popolare) o anche per personali esperienze “psichiche”. Naturalmente esiste un'altra chiave di lettura. Ci si può infatti chiedere se tutte le persone, di fronte a questi stimoli, reagirebbero allo stesso modo. E la risposta è che dipende probabilmente dalla personalità dell'individuo fare di certe letture (scientifiche o meno) o di certe esperienze (realistiche o meno) un mezzo per credere al paranormale. L'avvicinamento al paranormale, insomma, non sarebbe casuale e solo alcune persone, rispetto alla popolazione generale, si trovano, tutto sommato, in situazioni che incoraggiano la credenza nel paranormale. Allora la credenza nel paranormale può essere spiegata come fatto implicito alla personalità, come se, insomma, esistessero soggetti più o meno “predisposti” a credere al paranormale. E' chiaro che quando parliamo di paranormale ci si riferisce un po' a tutte le credenze relative a fenomeni genericamente irrazionali, e sebbene vari tipi di credenza possano essere differenziati,questo ha abbastanza poca importanza, in realtà. E' come se esistesse un fattore generale che chiamiamo “credenza nel paranormale”. Che poi questa credenza possa essere diversificata in vari modi è tutt'altro argomento. Un argomento che, in effetti (e lo vedremo più oltre) può essere oggetto di valutazioni controverse. Che senso ha, per l'individuo, credere nel paranormale? Una risposta possibile è che questa credenza gli serve per il suo adattamento psicologico. La credenza nei fenomeni paranormali può essere considerato uno dei prodotti della pratica all’auto-inganno che caratterizza in talune occasioni la mente umana. Le credenze, con la loro capacità di dare significato ad eventi apparentemente casuali e incontrollabili, consentono la costruzione di una trama cognitivo-emotiva che favorisce l’adattamento dell’uomo. Detto in altre parole, la mente umana è pronta a ritenere esistenti relazioni inesistenti o quantomeno indimostrabili (“correlazioni illusorie”) purché queste favoriscano il benessere psicologico dell’individuo: “...le illusioni mantengono una immagine favorevole nell’anticipazione degli eventi probabili” (Taylor, 1991). Per alcune persone, quindi, è possibile - è l'opinione dello psicologo americano Schumaker (1987) - costruire una trama concettuale e cognitiva del mondo quotidiano solo credendo nel paranormale. Il fatto che queste credenze possano essere del tutto illusorie, erronee o addirittura false ha poca importanza, in quanto la cosa importante e prioritaria è l'adattamento psicologico. Si tratta di un concetto che è stato bene espresso da Taylor e Brown (1988) quando suggeriscono l'immagine di self-serving illusion (illusione auto-sufficente), in altre parole di un’illusione che è sicuramente falsa, ma che comunque ha la funzione, fondamentale per la salute mentale, di creare un “filtro” attraverso il quale la realtà acquista un suo ordine e un suo senso. Credere in fenomeni come i sogni premonitori, la chiaroveggenza, gli extraterrrestri, ecc., significa ritenere come esistenti enti, leggi o comunque fenomeni per i quali non esiste alcuna condivisa evidenza. Potrebbe stupire il

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pensiero che una persona dotata di normali capacità di ragionamento possa lasciarsi ingannare in tal modo. In realtà una serie di studi hanno inequivocabilmente dimostrato che la nostra capacità di percepire relazioni tra i fenomeni in cui siamo inseriti, può essere considerata come una funzione al servizio del nostro benessere psicologico. La mente sana pratica l’autoinganno per adattarsi all’ambiente e sopravvivere. La credenza nei fenomeni paranormali può essere considerata allora una illusione che nasce da una fiducia eccessiva nelle proprie capacità di controllo personale su eventi che sono per loro natura caotici o inevitabili. Fin da piccolo il bambino sembra possedere una motivazione autonoma a padroneggiare l’ambiente in cui vive (White, 1959): cerca di conoscerlo, e quando è possibile modificarlo, in modo da rendere più probabile il raggiungimento dei suoi scopi. Le persone non sembrano distinguere bene tra eventi i cui esiti sono determinati dal caso, e quindi incontrollabili, da eventi condizionabili da abilità personali. La possibilità di controllare gli eventi è una capacità cui l’uomo non vuole rinunciare. E’ stato dimostrato che quando si sottopongono dei soggetti ad attività in cui il successo è puramente casuale (es. partecipazione ad una lotteria), e in tale attività vengono inseriti fattori normalmente legati a situazioni controllabili (competizione, scelta, familiarità, coinvolgimento, pratica), tali soggetti mettono in atto comportamenti che chiaramente tradiscono un tentativo di controllo ed una quantomeno sfumata percezione della casualità degli esiti in cui sono coinvolti (Langer, 1975). Una semplice coincidenza casuale tra un comportamento prodotto da un organismo ed l’evenienza di un fenomeno esterno può generare la convinzione che quel comportamento possa generare l’evento concomitante. Questo è il senso del famoso esperimento di Skinner sulla “superstizione nei piccioni” (Skinner, 1992) : una contiguità casuale (adventitious reinforcement) tra la somministrazione di cibo (rinforzo) ed un comportamento del piccione, spingeva l’animale a compiere automaticamente quel comportamento nella ‘convinzione’ di poter causare di nuovo l’acquisizione del cibo. Benché la prassi sperimentale su cui si è fondato tale esperimento sia stata criticata (Staddon, 1992), sono stati prodotti nuovi studi che hanno dimostrato in modo inequivocabile, la ‘conflittualità’ della razza umana nei confronti del caso. Soggetti sottoposti ad una prova di problem solving in un gioco computerizzato, tendono a considerare come soluzioni comportamenti assolutamente inefficaci, se questi vengono rinforzati qualche volta in maniera assolutamente casuale (Heltzer e Vyse, 1994). Quindi uno dei processi cognitivi sottostanti la credenza nei fenomeni paranormali è la suscettibilità a credere in correlazioni illusorie (Tobacyk, 1991) : una sorta di bias cognitivo che porta a sostituire coincidenze con connessioni causa-effetto. Non è un caso che i credenti nei fenomeni paranormali tendono a preferire giochi i cui esiti sono determinati dal caso : la percezione di correlazioni illusorie li porta a sovrastimare la loro abilità nel controllare gli esiti di tali giochi (Tobacyk e Wilkinson, 1991). La percezione di tali ingiustificate correlazioni nasce probabilmente dalla incapacità a rinunciare alla possibilità di controllare gli eventi. Per altro si sa che

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una perdita anche temporanea di controllo è ansiogena : meglio illudersi di poter controllare che sentirsi impotenti (learned helplesness) (Matute, 1994). L’uomo ha bisogno di sentirsi capace di svolgere una prestazione perché il percepirsi come in grado di agire sulla realtà è un preludio indispensabile per una efficace azione su di essa. L’auto-efficacia può essere definita come l’aspettativa di poter portare avanti con successo comportamenti necessari al raggiungimento di obiettivi desiderati; l’auto-percezione di sé stessi come ‘efficaci’, modifica pattern di pensieri, azioni e l’arousal emotivo : insomma l’aver fiducia nelle proprie capacità di performance porta concretamente a prestazioni migliori (Bandura, 1982) . Non è un caso che i credenti nei fenomeni paranormali hanno punteggi significativamente più bassi nella scala di misurazione dell’auto-efficacia (Tobacyk e Shrader, 1991). Il credente nei fenomeni paranormali può essere considerato una persona che ha sperimentato il fallimento in una o più aree della propria vita, è convinto di non essere capace di influenzare con il proprio comportamento aspetti rilevanti della sua esistenza, così che, per non rinunciare alla possibilità di influenzare gli esiti della propria vita, è più portato a praticare l’autoinganno : meglio la percezione di un controllo illusorio, che la perdita di controllo. D’altro canto, benché la letteratura sull’argomento non sia chiara (Averill, 1973), sembra che anche l’impatto di uno stimolo doloroso (in termini soggettivi, comportamentali e fisiologici) è ridotto se tale stimolo può essere somministrato, o in qualche misura comunque controllato, dal soggetto stesso che lo riceve (Miller, 1979 ; Geer e Maisel, 1972). Anche la semplice convinzione, non reale, di poter effettuare un controllo su uno stimolo avversivo è in grado di diminuire la sua capacità di indurre stress (Geer, Davison & Gatchel, 1970). L’aspetto che sembra più influire sull’effetto di stimoli dolorosi è, non tanto il senso stesso di controllo in sè, ma il significato che si attribuisce ad una condizione frustrante ; se tale condizione può essere prevista, se ne si conosce la durata e se fa parte di un insieme di circostanze desiderate da un soggetto, allora tale condizione produrrà una frustrazione meno intensa (Thompson, 1981). In altre parole una qualsiasi condizione stressante può essere tollerata meglio se inserita in una trama cognitiva che le dia un senso. La credenza nei fenomeni paranormali può essere così considerata un complesso tessuto di conoscenze che, per quanto ingiustificate, forniscono un modo per controllare e quindi attenuare situazioni potenzialmente minacciose, e di fatto inevitabili. Una persona che sperimenta il fallimento in aree quali ad esempio l’acquisizione di un lavoro o nella gestione della vita amorosa e affettiva, può più facilmente rivolgersi ad un cartomante per ‘conoscere’ ed essere rassicurato su questioni che una mancanza di auto-efficacia personale circonda di una ansia difficilmente gestibile. Le persone mostrano per altro una sorta di ottimismo ingiustificato che le porta a ritenere che alcuni eventi frustranti (come le malattie, gli incidenti, il divorzio...) possano più probabilmente accadere ad altri che a se stessi ; esiste cioè una sorta di motivazione alla protezione di se stessi (Self-Serving bias) che porta a distorcere la percezione della causalità di eventi qualora questi possono

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minacciare la sopravvivenza dell’organismo (Miller & Ross, 1975 ; Kunda, 1987) La nostra mente sembra quindi pronta ad alterare la percezione dei fatti, se questo può servire a sentirsi più protetti. Ad esempio la formulazione di un giudizio sulla covariazione tra eventi comporta una serie di operazioni mentali che possono essere svolte scorrettamente se la nostra mente ha bisogno di confermare convinzioni di cui ha bisogno (Crocker, 1981). E’ realmente difficile raccogliere indizi per confutare le nostre convinzioni se queste ci servono : una teoria sul funzionamento della realtà che ci serve, difficilmente viene abbandonata. Una persona convinta che i sogni premonitori esistono tenderà a selezionare tra i propri sogni solo quelli che si realizzano, tenderà a prendere in considerazione soltanto un campione di sogni che più somigliano ad eventi che si realizzano, distorcerà il contenuto del sogno per farlo somigliare ad un evento realmente accaduto, considererà i sogni che non si realizzano non una confutazione ma una dimostrazione che le nostre capacità premonitrici non sempre funzionano, riterrà la frequenza dei sogni che si realizzano maggiore di quella che non si realizzano, per concludere infine che esistono prove più che convincenti dell’esistenza di fenomeni in realtà invisibili. LA CREDENZA NEL PARANORMALE: SALUTE O MALATTIA? Schumaker afferma che le credenze nel paranormale hanno 'spostato' le tradizionali credenze religiose, quasi a costituire una sorta di 'religione non religiosa' che ha il valore sostanziale di essere “mental health prophilactics”. Credere nel paranormale servirebbe, anche se il costo di questa credenza è l'autoinganno, la sospensione del pensiero razionale e critico e un certo impoverimento della realtà. Se Schumaker pensa, in conclusione, che credere nel paranormale può essere un modo di salvaguardare la propria salute mentale, altri non solo affatto d'accordo. Zusne e Jones (1982) pensano per esempio, esattamente al contrario, che credere nel paranormale sia un segno evidente di instabilità emozionale. E Greyson (1977) ha notato come la credenza nel paranormale sia molto più frequente tra i pazienti con disturbi psicologici. Due altri studiosi (Tobacyk e Mildford,1983) hanno notato la stessa cosa: le persone che credono di più al paranormale sono persone con un cattivo adattamento (rivelato dal Test del Locus of Control). D'altra parte numerose ricerche dimostrano che esiste una correlazione diretta tra credenza nel paranormale e pensiero magico, ed il pensiero magico è tipico di certe gravi forme di disturbo psichiatrico (per esempio il disturbo schizotipico) o comunque di propensione alla schizofrenia. Irwin (1994b) e Woldraft (1997) hanno invece riscontrato un’associazione tra tendenza ad avere esperienze dissociative e credenza (in particolare con la credenza nella psi, nella precognizione, nello spiritualismo e nelle forme di vita straordinarie). Questo ovviamente non significa che credere nel paranormale sia segno di malattia mentale, almeno nella stessa misura in cui credere al paranormale non è segno di salute mentale. E' un dato di fatto che la credenza nel paranormale può essere associata facilmente a disturbi mentali, o comunque a disturbi della sfera emotiva, come hanno tra gli altri ancora visto

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Windholz e Diamant (1974) e Thalbourne (1994, 1998), che hanno evidenziato come i credenti nel paranormale esaminati nel loro studio mostrino risposte tipiche di soggetti schizoidi e di problematiche collegate asse psicotico (ideazione magica e alterazioni percettive). Thalbourne e French (1995) e Andrews e Lester (1998), Thalbourne, Keogh e Crawley (1999), hanno riscontrato invece la presenza di problematiche che riguardavano anche l’umore, notando che la tendenza a credere nei fenomeni paranormali era associata alla presenza di depressione, mania ed esperienze maniaco-depressive. Un’indagine recente di Willging e Lester (1997) non ha rilevato invece alcuna associazione tra disturbi psicologici e credenza in un campione di adolescenti, piuttosto rilevando una relazione con la presenza di esperienze paranormali nell’infanzia D'altra parte non è possibile ignorare il numero notevole di studi compiuti su questo argomento, i cui risultati mostrano come la credenza nel paranormale sia associata con una serie di caratteristiche psicologiche che con la salute mentale hanno abbastanza poco a che vedere, come per esempio ideazione magica, dogmatismo, scarso interesse verso il sociale, convinzione di essere dominati da forze esterne e misteriose (locus di controllo esterno). Allo stesso modo, in genere, la superstizione si collega all'ideazione magica, ma anche a una serie di fattori che denotano un cattivo adattamento psicologico. Il concetto di locus of control è andato assumendo una importanza sempre più determinante nella ricerca sulle credenze. Il costrutto teorico del “locus of control” è stato elaborato nel 1966 dallo psicologo Rotter, e si riferisce alle credenze che possiede una persona relativamente al controllo degli eventi dell'esistenza. Diciamo che le persone, da questo punto di vista possono essere divise in due grandi categorie: quelli che credono che siano personalmente responsabili di ciò che accade loro (e sono definiti individui “interni”); e quelli che ritengono che gli eventi della vita siano determinati da forze esterne che sfuggono al loro controllo, per esempio dal fato, da altre persone o entità, dalla sorte (“individui esterni”). Secondo questo costrutto teorico, insomma, esiste una sorta di continuum di credenze che va da una tendenza alla “internalità” ad una tendenza dalla “esternalità”, con una serie, ovvia, di sfumature intermedie. Esistono delle differenze tra i vari tipi di credenza: per esempio è stato notato, sempre con quel suggestivo strumento che è il Locus of Control, che credenze religiose tradizionali, credenza nello spiritismo e superstizione sono in genere associate ad un Locus of Control esterno, mentre la credenza nella stregoneria e nelle capacità psi è legata maggiormente ad un locus of control interno. Diversa è la situazione per le credenze religiose per così dire “ortodosse”, tradizionali: l'unico tratto comune è una certa frequenza di locus of control esterno, ma le credenze religiose in genere sono associate ad indici di salute mentale, con una maggiore aderenza tra ideale e concetto di se: si trovano correlazioni infatti con un buon funzionamento sociale, con un buon adattamento, con alti interessi sociali. Persino la relazione con l'ideazione magica è variabile, essendo probabilmente correlata con una maggiore o minore intransigenza religiosa.

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Insomma, Schumaker (1987) è un ottimista. I dati riportati dagli studiosi che si sono occupati dell'argomento non sono molto a favore della sua ipotesi, e la credenza nel paranormale più che essere un fattore di salute mentale sembra, al contrario, essere un indice di psicopatologia. A fronte di queste interpretazioni ne esiste un'altra che è particolarmente suggestiva. Si tratta di quel fenomeno psicologico che viene definito “propensione alla fantasia”; questa caratteristica psicologica è tipica di quelle personalità che fantasticano una gran parte del loro tempo, e che sono profondamente assorbiti nelle loro fantasie tanto da essere assorbiti o comunque esperire ciò che stanno “fantasticando” (Lynn e Rhue, 1988). La gente “propensa alle fantasie” è fortemente portata a riportare esperienze parapsicologiche personali (Wilson e Barber, 1983). Insomma, le persone con fantasie intense sembrano più portate ad essere protagoniste di presunti fenomeni paranormali, il che, se fosse così semplice, la direbbe assai lunga sulla realtà di questi fenomeni. In realtà esistono convincenti spiegazioni alternative, per esempio quella che sostiene che persone con grande fantasia possono essere indotte ad avvicinarsi al paranormale, e questa credenza essere a sua volta un modo per produrre autenticamente esperienze psichiche. La propensione alle fantasie in relazione alle credenze paranormali è stata indagata in un campione di soggetti australiani dallo psicologo Irwin (1990a) che ha rilevato come questa caratteristica di personalità sia correlata ad una serie piuttosto complessa di credenze, che vanno dalla credenza in concetti religiosi tradizionali, a quella nella precognizione, nello spiritismo, nella stregoneria, in forme di vita straordinarie e nella superstizione. Le persone così propense alla fantasia sono comunque soggetti particolarmente labili sul piano mentale? Sembra proprio di no. Wilson e Barber (1983), che hanno studiato attentamente il problema, ritengono che la persona con una forte propensione alle fantasie sia sostanzialmente ben adattata, sia nella media per quanto riguarda la salute mentale ed esclude che una estrema propensione alla fantasia sia dovuta ad una certa incapacità a vivere nella vita reale. Certo, è pur vero che in certi disturbi mentali (l’isteria, la schizofrenia) sembra esistere una maggiore incidenza di personalità “inclini alla fantasia”, ma è altrettanto vero che la psicopatologia è in genere indipendente da questa caratteristica di personalità, nel senso che non è ad essa causalmente correlata. Si intende dire che essere inclini alla fantasia è tipico degli schizofrenici e degli isterici, esattamente quanto lo è delle persone medie, in medie condizioni di salute mentale. D’altra parte, negli studi psicometrici condotti su questo argomento (per esempio Rhue e Lynn, 1987) si è visto che solo tra il 10 e il 20 per cento dei soggetti del campione preso in esame presentavano segni di disadattamento; questi studiosi ne conclusero che l'atteggiamento incline alle fantasie non precede disturbi psicopatologici, e che anzi, per un certo numero di persone questo atteggiamento può essere un modo per migliorare il proprio adattamento. Anche in questo caso non tutti sono d'accordo, e due altri studiosi, Huff e Council (1987) hanno riportato risultati meno incoraggianti. Secondo essi, l'alta propensione alla fantasia si associa ad un'alta percentuale di psicopatologia e,

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comunque, a modalità di adattamento decisamente inferiori rispetto a quelle di persone con una bassa attitudine alle fantasie. I “grandi fantasticatori”, presenterebbero con più frequenza rispetto ai “piccoli” fantasticatori tratti schizoidi, disturbi borderline di personalità, ansia, un concetto di se negativo, e una sostanziale incapacità a far fronte allo stress. Questi soggetti potrebbero necessitare, in ogni caso, anche in assenza di psicopatologia, di maggiore sostegno da parte di un insieme di meccanismi di difesa dell'Io per prevenire psicopatologia significativa. Insomma, se si concorda sul fatto che, sicuramente, credere nel paranormale non è affatto indice di salute mentale, c'è un certo disaccordo sul fatto che essere particolarmente inclini alle fantasticherie sia un buon modo di migliorare il proprio adattamento. Uno degli studi più recenti e più interessanti al riguardo è stato condotto da Harvey J. Irwin, che già ripetutamente si era occupato del problema della correlazione tra credenze nel paranormale e tratti di personalità. Egli sottopose ad un triplice questionario un campione di 200 studenti (solo 122 dei quali, comunque, risposero). I tre questionari erano relativi ai tre aspetti in discussione nel suo studio, ovvero la credenza nel paranormale, il livello di adattamento (e quindi di salute mentale) e la propensione alla fantasia. La propensione alla fantasia fu indagata mediante un test chiamato ICMIC (Inventory of Childhood Memories and Imaginings); l'adattamento psicologico mediante l'LMHS (Langner's Mental Health Scale) e la credenza nel paranormale mediante un altro questionario specifico, PBS (Paranormal Beliefs Scale). I risultati della ricerca furono decisamente interessanti. Anzitutto, per l'ennesima volta, i dati di Schumaker vennero smentiti: non solo non risultava che vi fosse una correlazione diretta tra credenza nel paranormale e salute mentale, ma anzi, che credenze maggiori nel paranormale si associano a un maggior numero di sintomi psicopatologici. Williams e Irwin (1991) hanno proposto di discriminare tra credenza normale e patologica. Nel primo caso le persone sono perfettamente consapevoli degli aspetti irrazionali della credenza e degli aspetti cognitivi legati alla percezione del caso; in questi casi l’ideazione magica convive con il pensiero logico. Nel secondo caso invece la credenza è associata in maniera patologica al pensiero magico; essa diventa sintomatica di un funzionamento cognitivo difettoso che porta a non comprendere la natura irrazionale della credenza, che serva piuttosto per far fronte ad esperienze psicopatologiche bizzarre, anomale. La relazione tra credenza nel paranormale e salute mentale dunque esiste, ma è inversa. Soprattutto sono i 'forti credenti' ad avere più problemi con l'equilibrio mentale, mentre lo scetticismo o una credenza molto moderata possono essere meno devianti, e quindi fungere da “self-serving cognitive bias”, e quindi essere realmente un fattore di salute mentale. Riguardo alla relazione tra credenza nel paranormale e propensione alla fantasia, Irwin trovò che essa in realtà esiste. Riguardo alla relazione tra propensione alla fantasia e salute mentale, anche in questo caso la relazione fu evidenziata, nel senso che le persone con 'propensione alla fantasia' presentano anche una maggiore 'propensione' alla psicopatologia,

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presentano cioè più sintomi psicopatologici della media. Insomma esiste un continuum tra credenza nel paranormale e propensione alla fantasia, così come propensione alla fantasia e disturbo mentale. RAGIONAMENTO E CREDENZA NEL PARANORMALE Le persone che credono nel paranormale, insomma, hanno certe caratteristiche di personalità. Quanto queste caratteristiche possono influenzare i ragionamenti a favore o contro il paranormale? Si tratta di un discorso estremamente importante. Gli scettici hanno ripetutamente sostenuto che esiste una relazione inversa tra le capacità di ragionamento (logico) e il grado di credenza nel paranormale, sia come insieme di fenomeni che come trama teorica. Chi crede nel paranormale sarebbe, infatti, dogmatico, credulone e sostanzialmente incapace di ragionamenti critici. Tali ipotesi - perché di questo si tratta - sono state vagliate attraverso una serie di studi sperimentali condotti da diversi psicologi. Alcock e Otis (1980), per esempio, hanno confrontato le capacità di pensiero critico in due gruppi di studenti, uno di “credenti” e l'altro di “scettici” ed hanno dimostrato che gli studenti che credevano nel paranormale erano carenti riguardo al pensiero critico rispetto agli studenti scettici. Risultati simili furono trovati da Gray e Mill (1990), che per valutare la capacità di pensiero critico utilizzarono dei sommari, inventati, di lavori scientifici difettosi. Non si trattava di una differenza dovuta a carenza di intelligenza o cultura: anzi, i due autori sostennero che persone che hanno peraltro ricevuto una formazione valida, sono propense ad accettare il paranormale perché applicano le loro capacità di pensiero critico ad argomenti selezionati, e non a tutti gli argomenti. Più recentemente Mogan e Morgan (1998) hanno confermato la presenza di una associazione negativa tra pensiero critico e due sole forme di credenze: religiose e spirituali. Un altro lavoro (Polzella, Popp e Hinsman, 1975) aveva osservato che le persone che credevano nel paranormale (in particolare nell'ESP), avevano meno successo in un test che implicava prove di ragionamento - sebbene i risultati da loro ottenuti non fossero poi particolarmente significativi. Non si tratta comunque di risultati generalizzabili: anche le performance di fronte ad una prova di sillogismi possono dipendere da diverse variabili, visto che, come è stato dimostrato, anche il ragionamento fondato sui sillogismi può essere alterato dalle convinzioni individuali (Janis e Frick, 1943; Morgan e Morton, 1944). Thalbourne e Nofi (1997) hanno invece osservato come sia l’eccessiva intensità della credenza ad essere associata con la presenza di abilità intellettive inferiori alla media . E' stato Irwin (1991b) a riproporre il problema in termini molto razionali. Le ipotesi possibili sono infatti solo due: i credenti nel paranormale hanno scarse capacità di ragionamento razionale, oppure, il ragionamento a favore o contro la parapsicologia varia con sistematicità in dipendenza del livello di credenza nel paranormale. Per studiare l'argomento Irwin utilizzò un gruppo di studenti ai quali sottopose un questionario fondato su sillogismi e il questionario PBS per la valutazione delle credenze sul paranormale. I risultati di Irwin furono

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interessanti: egli trovò che la capacità di ragionare a favore o contro il paranormale non era in diretta correlazione con il grado di credenza nel paranormale stesso, con una sola eccezione: le persone che avevano credenze paranormali di tipo 'religioso', che sembravano in realtà mostrare una più bassa attitudine al ragionamento critico. Il suo studio contrastava con la massima parte degli studi precedenti, e la discrepanza nei risultati doveva avere una spiegazione. Irwin ritiene che ad influenzare i risultati sia l'atteggiamento del ricercatore. Un ricercatore che è palesemente scettico, trasmette al gruppo di soggetti che sta sottoponendo ai test la sensazione che i credenti nel paranormale siano necessariamente irrazionali, creduloni e dogmatici, un ricercatore che invece appare disponibile verso il paranormale (come appunto Irwin, per esempio) può trasmettere una maggiore sensazione di sicurezza. Questi differenti atteggiamenti possono condizionare le risposte, in quanto nel caso di un ricercatore scettico i soggetti possono essere maggiormente in allarme, e quindi fornire risposte adeguate all'aspettativa del ricercatore (e questo vale anche nel caso opposto). I risultati, quindi, sarebbero dovuti ad un “effetto dello sperimentatore” rilevante quanto non intenzionale. Gli scettici hanno ripetutamente rimarcato come la credenza nel paranormale può essere importante nel fare scambiare per eventi paranormali fatti normali. Questo allora potrebbe essere un indice di disagio sociale, e comunque di inadeguatezza dei programmi scientifici scolastici, che dovrebbero appunto evitare la credenza nel paranormale. E' stato anche rilevato come credere nel paranormale può indurre a trascurare una certa quantità di informazioni non coerenti con una ipotesi paranormale, con un meccanismo di selezione (pag.3). Questa ipotesi è stata successivamente studiata e corroborata sperimentalmente da Smith, Foster e Stovin (1998). Essi hanno osservato come la presenza di un contesto sperimentale favorevole all’esistenza dei fenomeni paranormali era in grado di aumentare l’intensità della credenza del gruppo, e che questa tendenza si produceva maggiormente nei soggetti più intelligenti, creando conseguentemente delle correlazioni spurie tra credenza ed intelligenza. Merla (2000) ha invece notato come sia possibile riscontrare una relazione tra credenza nel paranormale e difficoltà di soluzione di sillogismi solo nel caso in cui il contenuto della credenza e quello dei sillogismi coincide; nessuna differenza era invece riscontrabile per i sillogismi di contenuto neutro. ALCUNE IPOTESI Sono state formulate numerose ipotesi per comprendere le motivazioni della credenza nel paranormale. Una delle più interessanti, di natura sociologica, si fonda sul concetto di “marginalità sociale” (Bainbridge, 1978; Wuthnow, 1976). Secondo questa ipotesi la credenza nel paranormale è maggiormente presente in strati della popolazione caratterizzati da una posizione sociale marginale - quindi con scarsa educazione scientifica e culturale, o disoccupati o comunque persone che sono in una posizione piuttosto bassa sulla scala sociale. Questa condizione si associa ovviamente ad una condizione di alienazione e povertà generale, frustrante, che pertanto renderebbe queste persone più predisposte a credenze

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religiose o 'paranormali', anche come compensazione delle frustrazioni del loro status. In realtà, per quanto interessante, questa ipotesi non è stata dimostrata inconfutabilmente. Esistono delle evidenze, ma esse non consentono di stabilire che l'ipotesi è incontestabilmente vera, anche se suggeriscono la sua fruibilità come orientamento di ricerca. Più interessante appare il problema generale delle credenze individuali, quello che è stato chiamata “ipotesi della visione del mondo” (Zusne e Jones, 1982). Dagli studi empirici effettuati si sono evidenziati alcuni dati di grande interesse: in genere sono più portati a credere nel paranormale persone che hanno avuto (o pensano di avere avuto) esperienze paranormali, con un tipo di relazione tra le due cose che appare sostanzialmente circolare: la credenza incoraggia il coinvolgimento nelle esperienze psichiche, e le esperienze psichiche rafforzerebbero la credenza. Un altro fattore di una qualche rilevanza è la credenza religiosa in generale, che sembra essere positivamente correlata con la credenza nel paranormale. Chi è religioso, insomma, tende ad essere maggiormente un “credente” nel paranormale rispetto a chi non lo è, anche se tale dato non appare univoco. In genere, dal punto di vista psicologico, il 'credente' nel paranormale adotta una visione del mondo soggettiva, non ha particolari attitudini scientifiche nei confronti delle indagini sull'ESP, anche se non ha necessariamente una visione 'antiscientifica' o 'antitecnologica' del mondo. E' un 'dualista' (convinto, cioè, che mente e cervello non siano la stessa cosa), e, detto in termini più palesemente psicologici, adotta il punto di vista di un “locus of control” esterno. Un'altra ipotesi è quella del “deficit cognitivo”. Nel paranormale, insomma, crederebbero solo i creduloni, gli irrazionali, le persone prive di una sana mentalità critica. Ma anche in questo caso, i dati disponibili non sono affatto univoci, anzi questa è forse l'ipotesi meno confermata. Un solo dato presenta una certa importanza ed un certo interesse: quello relativo alla “propensione alle fantasie” (Alcock, 1981). Gli scettici hanno spesso messo in evidenza come esista un legame tra problemi psicologici e credenza nel paranormale. Questa credenza, pertanto,sarebbe la risposta ad un preciso bisogno psicologico. L'ipotesi può essere definita delle “funzioni psicodinamiche”. I dati ottenuti sono abbastanza curiosi, e significativi. Almeno due ricerche (Tobacyk, e Tobacyk e Pirtilla-Backman) hanno trovato che le credenze nel paranormale sono in genere correlate in qualche modo ad alienazione sociale. In realtà, l'interesse sociale, cioè la capacità di trascendere i propri interessi personali, prestando attenzione ai bisogni di altre persone, sembra essere negativamente correlato con la credenza nel paranormale. Insomma il credente, in genere, è sostanzialmente un egoista, al contrario del credente in senso religioso tradizionale. I credenti nel paranormale hanno in genere una motivazione sociale molto bassa, con un'ansia sociale bassa; non sono particolarmente portati a comportarsi in modi socialmente desiderabili, mentre non hanno paura del ridicolo. D'altra parte si tratta di dati perfettamente comprensibili, se pensiamo

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che i credenti nel paranormale hanno in genere un maggiore interesse alle proprie esperienze soggettive che non ai bisogni degli altri. E' stata anche valutata la percezione individuale di se. E' stato evidenziato come alcuni “credenti” nel paranormale hanno un senso grandioso della propria importanza e unicità. Sono tendenzialmente narcisiste. La credenza nel paranormale è stata anche messa in correlazione diretta con una quota di neuroticismo. Inoltre, i credenti nel paranormale con estrema difficoltà modificano le proprie idee, sono tendenzialmente rigidi e dogmatici. Questo potrebbe essere indicativo di un adattamento psicologico abbastanza povero. Shumaker (1987) è convinto (ma è uno dei pochi ad esserlo) che la credenza nel paranormale sia compatibile con un adattamento psicologico superiore. In realtà, altri studi hanno trovato risultati completamente opposti, e la credenza nel paranormale si correla assai spesso con un adattamento psicologico difettuale. IL RUOLO DELLA CULTURA La cultura decide quanto credere nel paranormale, ma soprattutto la forma di questa credenza. Avviene, in qualche modo, ciò che succede con disturbi mentali in culture non occidentali, dove, come dice Devereux: la cultura decide il modo in cui ci si può ammalare di mente, secondo forme codificate a priori. Ma esiste anche un bisogno fondamentale: per mezzo dell'inserimento nel proprio sistema di credenza delle credenze paranormali, l'individuo riesce ad ottenere una trama concettuale per strutturare e rendere plausibili molti eventi che altrimenti potrebbero apparire incomprensibili. La credenza nel paranormale, pertanto, costituirebbe un bias cognitivo, mediante il quale la realtà viene filtrata, aumentando il senso di sicurezza emozionale individuale. La credenza nel paranormale creerebbe pertanto una 'illusione di controllo' su eventi che sono anomali, o che non sono realmente controllabili dall'individuo. Questo dipende molto dalle caratteristiche individuali, ovviamente. I credenti nel paranormale hanno un maggior bisogno di senso di controllo sulla realtà e sul loro mondo in particolare. Ma perché hanno questo bisogno? La credenza nel paranormale è correlata con la propensione alla fantasia, e la propensione alla fantasia appare chiaramente correlata (è uno dei maggiori fattori) con la presenza nella storia personale di esperienze infantili traumatiche, in particolare abuso fisico. I traumi infantili possono pertanto costituire una delle origini delle credenze paranormali. Irwin (1992, 1994) ha trovato una correlazione positiva tra credenze paranormali e abuso fisico intrafamiliare durante l'infanzia. Il bisogno di un maggiore controllo sulla realtà sembra pertanto essere in diretta correlazione con il verificarsi di eventi imprevedibili anche dopo l'infanzia. Qualunque acuta sofferenza può orientare il pensiero di una persona verso il paranormale. La sequenza dei meccanismi psicologici sembra quindi essere: trauma infantile, bisogno di controllo, propensione alle fantasie, illusione di controllo sugli eventi della vita: tutto ciò porta alla nascita e al mantenimento di

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credenze paranormali1 (Irwin, 1993). D'altra parte, la propensione alla fantasia può anche essere incoraggiata dalla famiglia, e sarebbe pertanto necessario studiare anche questo aspetto, oltre a quello dell'abuso fisico. Il bisogno di controllo tende a rendere ancora più rilevanti l'occorrenza di eventi anomali e incontrollabili nella vita dell'individuo. Perché si scelgono le credenze paranormali? Perché queste credenze offrono l'illusione di controllo. La facilitazione delle credenze paranormali per mezzo della tendenza alla fantasia è incoraggiata da una serie di fattori: educazione, ambiente sociale e culturale, i modelli di credenza offerti dalla famiglia, dagli insegnanti, dai media, da altri credenti. Inoltre queste credenze possono ancora maggiormente essere incoraggiate da esperienze paranormali; ma è un circolo vizioso: la credenza nel paranormale e il bisogno di controllo tende a fare interpretare come paranormali esperienze anomale e l'incontro con esperienze che sembrano paranormali tende ad incoraggiare la credenza. Inoltre quando una credenza paranormale fornisce all'individuo un senso di controllo su eventi incontrollabili, si attenua la sensazione di aver bisogno di aiuto, e questo rinforza la credenza nel paranormale e probabilmente anche la sottostante tendenza alle fantasie. Le ricerche sull'origine e il significato della credenza nel paranormale rappresentano un'area di indagine di importanza fondamentale. Esse suggeriscono molte ipotesi, anche se non hanno ancora costruito una teoria forte che comprenda tutti gli aspetti di questa fondamentale caratteristica del comportamento umano. La credenza nel paranormale, infatti, sembra rappresentare una delle costanti psicologiche e sociali della storia dell'umanità. Ignorarne il significato e l’importanza significa anche ignorare millenni di storia evolutiva della mente della nostra specie. BIBLIOGRAFIA ALCOCK, J. E. (1981). Parapsychology: Science or Magic? A Psychological Perspective. Elmsford, NY: Pergamon Press. ALCOCK, J. E., & OTIS, I. P. (1980). Critical thinking and belief in the paranormal. Psychological Reports, 46, 479-482. ANDREWS, L., LESTER, D. (1998). Manic depressive tendencies and belief in life after death. Psychological Reports, 82 (3, Pt 2), 1114. AVERILL, J. R. (1973). Personal control over aversive stimuli and its relationship to stress. Psychological Bulletin, 80, 286-303. 1 Lawrence , Edwards, Barraclough, Church e Hetherington (1995) hanno invece osservato che ad essere legato al trauma infantile è la presenza di esperienze paranormali, le quali a loro volta influenzerebbero lo sviluppo delle credenze.

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© Giovanni Iannuzzo, aprile 2007