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Cornelli Andrea e Colombo Mocchetti Mauro Presentano:

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Cornelli Andrea

e

ColomboMocchetti

Mauro

Presentano:

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L’AMORE E LA DONNAL’AMORE E LA DONNA

NELLA POESIA RELIGIOSA

NELLA POESIA SICILIANA

NEI POETI SICULO-TOSCANI

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La letteratura religiosa SAN FRANCESCO:

Capostipite della letteratura religiosa del centro Italia si può considerare lo stesso S. Francesco

d'Assisi (1181-1226): col suo Cantico delle creature egli affermò infatti la legittimità di una poesia

devota in volgare, comprensibile anche agli indotti, e non più solo in latino. Il Cantico rappresenta

dunque Il un'iniziativa di notevole rilievo culturale: d'altronde, nonostante il disprezzo della sapienza

mondana che viene attribuito a S. Francesco sino dalle prime biografie, la sua "povertà" anche nel

campo intellettuale è evidentemente una leggenda. Era esperto invece di lingua latina, nella quale

redasse alcune epistole e la regola, nonché probabilmente di lingua d'oc e d'oil. Il Cantico fu

composto forse nel 1224 e destinato alla recita comune e al canto, ma la musica non ci è pervenuta.

Dal seno stesso del movimento francescano e di correnti spirituali affini (Flagellanti e Disciplinati)

nacque il genere letterario più tipico di questa produzione devota in volgare: la lauda o laude,

adattamento della ballata o canzone a ballo profana, di cui venne utilizzata in senso liturgico la

bipartizione in stanze (destinate al solista) e riprese (di spettanza del coro).

VAI A

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Cantico di frate SoleCantico di frate SoleAltissimu, onnipotente, bon Signore,tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, altissimo, se konfano,et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,spetialmente messor lo frate sole,Io qual’è iorno, et allumini noi per lui.Et ullo è bello e radiante cum grande splendore:da te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate ventoet per aere et nubilo et sereno et onne tempo,per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,la quale è multo utile et humile et pietosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore frate focu,per lo quale ennallumini la nocte:et ello è bello et iocundo et robusto et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,la quale ne sustenta et governa,et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato di’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amoreet sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ‘l sosterranno in pace,ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare:guai a.cquelli ke morrano ne le peccata mortali;beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore et rengratiatee serviateli cum grande humiltate.

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COMMENTO AL CANTICOCOMMENTO AL CANTICO

Nell’abbraccio fraterno al creato c’è un atto totale d’amore, quasiun ricambio dell’amore col quale e per il quale Iddio ha generato ilmondo: e in tal ricambio la prova di un’umiltà, di una soggiacenza,anzi di un annullamento nei voleri del Creatore. Eppure il motivodell’amore non è espresso da san Francesco in forme astratte, inconcetti, ma propriamente in immagini, visivamente corte e intese. Sisuole solitamente riscontrare nel modo squisito di dipintura di taliimmagini quasi una prova indiretta della cecità dalla quale il santoera afflitto negli ultimi anni: le figurazioni dell’universo sonoviste piacevolmente, come accarezzate con gli occhi della mente, ocome amorosamente contemplate per un’ultima volta. L’idea di ununiverso bellissimo nasce dalla consapevolezza che esso è frutto divolontà divina; essendo Iddio il sommo Bello, gli elementi della suacreazione debbono esser visti soprattutto o esclusivamente nella loroparvenza di splendore divino, nella loro somiglianza al Bellosupremo.

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Il laudario cortonese tratta per lo più il tema della preghiera alla Madonna, con una ragguardevole finezza Il laudario cortonese tratta per lo più il tema della preghiera alla Madonna, con una ragguardevole finezza letteraria, dovuta senza dubbio alla vicinanza dei Cortonesi ai centri letterari profani di Arezzo e di Firenze: letteraria, dovuta senza dubbio alla vicinanza dei Cortonesi ai centri letterari profani di Arezzo e di Firenze:

donde la presenza di echi della rimeria cortese, per lo più dei Siciliani e dei guittoniani (della cui mediazione non donde la presenza di echi della rimeria cortese, per lo più dei Siciliani e dei guittoniani (della cui mediazione non è da escludere si facesse interprete l’antenato del Petrarca, laico certamente in rapporti coi poeti d’amore della è da escludere si facesse interprete l’antenato del Petrarca, laico certamente in rapporti coi poeti d’amore della scuola toscana). Si ammiri, ad esempio, il preciso tessuto stilistico, soprattutto nella parte centrale, di questa scuola toscana). Si ammiri, ad esempio, il preciso tessuto stilistico, soprattutto nella parte centrale, di questa

lauda:lauda:

LAUDARIO CORTONESE

Fa’mi cantar l’amor di la beata,de quella che de Cristo sta gaudente.

da’mi conforto, madre de l’amore, e mette fuoco e fiamba nel mio core,

ch’io t’amasse tanto a tutte l’ore,ch’io ne tramortisse spessamente.

Femina gloriosa sì benegna,null’altra se ne trova tanto degnacome se’ tu, madonna, c’hai la ‘nsegnadel creatore altissimo vivente.

[I]splendiente luce d’ogne mondodi fin lo ciel di sopra ed in profondo,und’ogne core sta allegro e iocondodi quell’ c’hanno la mente a Dio intendente:

confortami di te, madonna mia,e giorno e notte e l’ora de la dia.Come se’ dolze a chiamar Maria,che par che rimbaldisca tutta gente!

Vergine bella, fior sovr’ogni rosa,senza carnal amor se’ dilettosa:amata fosti e se’ sovr’ogni cosa;nel paradiso se’ la più piacente.

Per voi ne piangon molti sospirando,chiedendo lo tuo amore van gridando,levano li occhi in alto, amirando,Or ti ci dona, gaudio de la gente.

Cominciamento fosti, madre bella,di stare casta, Virgene donzella;per voi fioresc’il mondo e rinovella,reina sovra li angel’ respendente.

Poma col dolze fruttu savorita,l’anima che t’asaggia par smarita;non cura mai d’esta presenta vita,per ciò che ‘l tuo savor suave sente.

Vergene piena di tutto l’amore,chiusesi ‘n voi la gloria con dolzore.Sospiri sì ti mando col mio core,che tu d’amor mi facci stare ardente.

Voi che vivete col carnale amore,cattivi che dormite in amarore,non cognoscete Dio nostro signore,quei che dolz’è sovra dolzor potente.

Or[a] vi confortate in alegranza,voi ch’avete in Dio la gran speranzaMadonna cum Iesù, nostra baldanza,tuttor al Patre son per voi presente.

Madre de Cristo piena di scienzia,in voi è solazzo, gioi’ e sapienzia.Per pietà ci dona cognoscenzia,che sempre teco sia la nostra mente.

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Jacopone da TodiJacopone da Todi

Tutti i motivi spirituali, le istanze ascetiche, i richiami al clima morale dell’età e alle esigenzerinnovatrici, si trovano fusi ed espressi nella poesia di Iacopone da Todi. Frate Minore,assimila e sviluppa i grandi temi del francescanesimo primitivo e degli Spirituali. Vicino aiDisciplinati, nell’accettare il loro modo di poetare, la lauda consolida l’estremismo mistico el’intenso fervore penitenziale, come pure il senso di una religiosità da vivere in fraternità dimoltitudini. Uomo di cultura, è disposto ad accogliere i più vari fermenti della religiositàpopolare, ma tenta una soluzione geniale tra questa e i bisogni di una meditazione austera esolitaria. Impegnato nelle battaglie del suo Ordine e nell’appassionata difesa delle convinzionipersonali, si inserisce con vigore nelle polemiche politiche e religiose più drammatiche di queltempo.

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Il tema Maria-Madre deve essere considerato quello che più espressamente indirizza il poetaverso i toni delicati e commossi della sua più alta ispirazione lirica. La lauda O Vergen più chefemena è da porsi accanto al XXXIII del Paradiso, in una zona di intensa elaborazionepatetica e interiore della materia mariologica, sottratta ad ogni fallace richiamo retorico eimmessa in una calda vibrazione umana. Ancor più effusa e quindi più alta poeticamente è lalauda XCIII, il cosiddetto Pianto della Madonna. Per quanto si possa e debba valorizzare ilmistico e il polemista politico-morale, in definitiva il cantore dell’Evangelo e delle legendaeresta l’aspetto più elevato, oltre che il più caratterizzante, di Iacopone poeta: per l’asciuttezzadel ritmo narrativo, per la straordinaria capacità di ridurre ai sentimenti più semplici il sostratoreligioso della passione, e quindi di offrire un testo di accessibile pietà e di forte concitazione,pur senza ricorrere ad effetti troppo atroci, troppo sconvolgenti, e valorizzando i toni piùdelicati e familiari del suo ampio registro musicale.Nella lettura di tutta la lauda si potranno isolare i temi fondamentali della devozione popolareattorno alla Madonna e alla Crocifissione, ma si guarderà anche al rigore solenne e austerodella parola e alla sua precisa utilizzazione ai fini della concretezza dello svolgimentodrammatico:

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Donna de paradiso,Io tuo figliolo è preso, Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide che la gente l’allide:credo che lo s’occide, tanto l’ho flagellato.’

‘Com’essere prrìa, che non fece follia,Cristo, la spene mia, om l’avesse pigliato?’

‘Madonna, ell’è traduto: Iuda sì l’ha venduto;trente denar n’ha avuto, fatto n’ha gran mercato.’

‘Soccurri Maddalena! Ionta m’è adosso piena:Cristo figlio se mena, com’è annunziato.’

‘Soccurre, donna, adiuta, ca ‘l tuo figlio se sputae la gente lo muta; hòlo dato a Pilato.’

‘O Pilato, non fare el figlio mio tormentare,ch’io te pozzo mustrare como a torto è accusato.’

‘Crucifige, crucifige! Omo che se fa rege,secondo nostra lege contradice al senato.’

‘Prego che me ‘ntennate, nel mio dolor pensate:forsa mo vo mutate de che avete pensato.’

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Traàm for li ladruni, che sian suoi compagnuni:de spine se coroni, ch’è rege s’è chiamato!’

‘O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio!figlio, chi dà consiglio al cor mio angustiato?

Figlio occhi iocundi, figlio, co’ non respundi?Figlio, perchè t’ascundi al petto o’ si’ lattato?’

‘Madonna, ecco la croce, che la gente l’aduce,ove la vera luce dèi essere levato’.

‘O croce, e che farai? El figlio mio torrai?Como tu ponirai chi non ha en sé peccato?’

‘Soccurri, piena de doglia, ca’l tuo figlio se spoglia:la gente par che voglia che sia martirizzato!’

‘Se i tollete el vestire, lassatelme vedere,como el crudel ferire tutto l’ha ensanguenato!’

‘Donna, la man li è presa, ennella croce è stesa:con un bollon l’ho fesa, tanto lo ci ho ficcato.

L’altra mano se prende, ennella croce se stendee lo dolor s’accende, ch’è più moltiplicato.

Donna, lì pè se prenno e chiavellanse al lenno:onne iontur aprenno, tutto l’ho sdenodato.’

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‘E io comenzo el corrotto: figlio, lo mio deporto,figlio, chi me t’ha morto, figlio mio delicato?

Meglio averìano fatto che ‘l cor m’avesser tratto,che ne la croce è tratto, stace desciliato!’

‘Mamma, ove si’ venuta? Mortal me dài feruta,ca ‘l tuo planger me stuta, che ‘l veio sì afferrato.’

‘Figlio, che m’aio anvito, figlio, pate e marito!Figlio, chi t’ha ferito? Figlio, chi t’ha spogliato‘Mamma, perchè ti lagni? Voglio che tu remagni,che serve ei mei compagni, ch’al mondo aio acquistato.’

‘Figlio, questo non dire: voglio teco morire;non me voglio partire fin che mo m’esce ‘l fiato.

C’una aiam sepoltura, figlio de mamma scura:trovarse en afrantura mate e figlio affocato!’

‘Mamma col core afflitto, entro le man te mettode Ioanne, mio eletto sia tuo figlio appellato.

Ioanni, èsto mia mate: tollela en caritate,aggine pietate, ca ‘l cor si ha furato.’

‘Figlio, l’alma t’è ‘scita, figlio de la smarrita,figlio de la sparita, figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio, figlio senza simiglio,figlio a chi m’apiglio? Figlio, pur m’hai lassato!

Figlio bianco e biondo, figlio volto iocondo,figlio, per che t’ha ‘l mondo, figlio, così sprezzato?

Figlio dolze e placente, figlio de la dolente,figlio, hatte la gente malamente trattato!

Ioanni, figlio novello, mort’è lo tuo fratello:ora sento ‘l coltello che fo profitizzato.Che moga figlio e mate d’una morte afferrate:trovarse abraccecate mate e figlio impiccato.’

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LA CENTRALITA’ DI MARIA INLA CENTRALITA’ DI MARIA IN‘DONNA DE PARADISO’‘DONNA DE PARADISO’

Maria è stata la prima che si è supremamente abbassata , è stata rinnegata, purificata dal soffrire.Perciò Jacopone ha scelto di raccontare la passione dal punto di vista della donna de Paradiso (s i not i l’ossimoro implicitodel primo verso). Egli ha fatto di Maria l’assoluta protagonista del testo e specialmente nell’ ampia sequenza conclusiva,quella culminante.

Inoltre le forme di colorito umbro conferiscono un timbro più umano e vicino alla figura di Maria.

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L’ amore ‘fino’L’ amore ‘fino’La poetica dei Siciliani e in genere dei prestilnovisti è fondata sulla concezione cortigianadell'amore 'fino'. Su questa concezione, che ripete nelle sue linee quella dei Provenzali, nonsaranno da spendere troppe parole. Ma andrà notato subito che il grado di spiritualizzazionedi questo amore è assai vario nei diversi poeti, e che nel quadro della curialitas siciliana moltesono le sfumature. Così la concezione dell'amore come rapporto feudale, fondato su unprivilegio, legato a un 'leale omaggio' e a una elencazione dei pregi della persona amata, è alfondo della convenzione di tutti questi poeti, ma non domina esclusiva e riceve varia lucedalla concezione dell'Amore, che assai spesso più della donna è il protagonista della loropoesia. E' sempre, come per i Provenzali, amore extraconiugale, verso donna 'di alto affare',carica assai respinta da madonna, e frequenti risuonano le accuse alla sua infedeltà, chesarebbero inconcepibili in clima stilnovistico. La stessa gioia e il tormento d'amore oraappaiono come momenti necessari della fenomelogia dell'amore, immanenti alla sua stessanatura, ora son visti in dipendenza dell'atteggiamento della donna, in forma spesso materialee utilitaria.

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Rinaldo d’AquinoRinaldo d’AquinoNelle sue canzoni più provenzaleggianti (stanze unissonans e capfinidas) Rinaldo d'Aquino si muove negli schemi e secondol'etichetta del vassallaggio d'amore. Così in quella citata da Dante fra gli esempi di cantiones illustres:

Per fin' amore vao sì allegramentech'io non aggio vedutoomo che 'n gio' mi poss'apareare; e paremi che falli malamenteomo c'à riceputoben da signore e poi lo vol celare.

Il secondo 'omo' ha il valore di 'vassallo', l'hom litges provenzale. Amore è raffigurato come un signore feudale che elargisceun beneficio: il merito, il guiderdone o beneficio, è di servire alla donna, che è carica di tutte le perfezioni:

Ma eo no 'l celeraiocom'altamente Amor m'à meritato,che m'à dato a servirea la fiore di tutta caunoscenzae di valenza,ed a bellezze più ch'eo non so dire.

Insiste su immagini utilitarie: Amore l'ha 'ariccuto', gli ha recato un 'sì alto dono'. Chè il dono d'amore è gratuito eirrecuperabile (dice Andrea Cappellano: 'Amare nemo potest nisi qui amoris suasione compellitur'), ma non è disinteressato;e dopo tante dichiarazioni di assolutezza del dominio d'amore, se ne svela il carattere condizionato e interessato attraversouna serie di precise enunciazioni di diritto feudale, che fissano il rapporto esterno con la donna:

Signoria vol ch'eo serva lealmente,che mi sia ben rendutobon merito, ch'eo non saccia blasmare;ed eo mi laudo che più altamenteca eo non ò servutoAmor m'à cominzato a meritare.

.

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Iacopo da Lentini Iacopo da Lentini

Sarebbe un errore credere, secondo un'immagine convenzionale, che la concezione feudaledell'amore domini ovunque. Questa sottile casistica giuridica, accompagnata da unamonotona fissità di espressioni, si cercherebbe ad esempio per lo più invano in Iacopo daLentini, dove la concezione d'amore appare assai più interiorizzata e l'interesse è rivolto allafenomelogia d'Amore, con una complessità di movimenti psicologici tradotti in luminoseimmagini che non ha l'eguale fra i Siciliani. E' vero che anche Iacopo canta

Guiderdone aspetto avereda voi, donna, cui servirenon m'è noia,

in una canzone che solo il Vaticano gli attribuisce autorevolmente, mentre altri manoscritti laassegnasno a Rinaldo d'Aquino; ma egli insiste continuamente sulla interiorità dell'immagineamorosa che nasce nel cuore (la interna 'pintura'):

La 'namoranza disiosach'è dentro a l[o] mi' cor è natadi voi, madonna, e pur chiamatamerzè, se fosse avventurosa...

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La poetica dell'immagine si esprime nel frequente richiamo analogico all'esperienza delle artifigurative (Meravigliosamente, vv. 4-13, 19-27):

. . . . . . . . .

Com'om che pone mentein altro exemplo pingela simile pintura, così, bella, facc'eo,che 'nfra lo core meoporto la tua figura.

In cor par ch'eo vi portipinta como parete,e non pare di fore. O Deo, co' mi par forte.. . . . . . . . . Avendo gran disio,dipinsi una pintura,bella, voi simigliante, e quando voi non vio,guardo 'n quella figura,e par ch'eo v'aggia avate: come quello che credesalvarsi per sua fedeancor non veggia inante.

E' similmente (La 'namoranza disiosa, vv. 22-24):

tutte fiate, in voi mirateveder mi pareuna meravigliosa simiglianza.

O nella canzonetta Madonna mia, a voi mando, (vv. 41-44):

In gran dilettanza era,madonna, in quello giornoquando vi formai in cerale bellezze d'intorno.

Così l'incapacità di esprimere adeguatamente il sentimento interiore viene rappresentata conanaloghe immagini (Madonna dir vo voglio, vv. 33 - 36, 41- 46):

Madonna, sì m'avenech'eo non posso avenirecom'eo dicesse benela propria cosa ch'eo sento d'Amore;

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E questa fenomelogia d'Amore viene poi dibattuta scolasticamente nelle tenzoni, dibattitiaccademici già frequenti fra i Provenzali, soprattutto tardi, e qui trovano una nuova cornicenella forma del sonetto. Si discute, come nella tenzone dell'abate di Tivoli con Iacopo daLentini (datata dal Santangelo intorno al 1241 quando la corte imperiale fu a Tivoli) e in quellafra Iacopo Mostacci, Pier della Vigna e Iacopo, intorno alla natura d'Amore, se Amore cioè sia'deo' principio trascendente, oppure 'cosa naturale'. E Iacopo, con ironia di fine dialettico chesaprebbe all'occasione fornire una dimostrazione scolastica rigorosa, 'per quia e quanto', econ le carte in regola anche dal punto di vista teologico, si oppone a coloro che ritengono

che Amore ha in sé deitate rinchiosa;ed io sì dico che non è neiente...

sostenendone l'origine naturale; e solleverà poi le proteste del retore Pier della Vigna:

manti ne son di sì folle sapereche credono ch'Amor sia niente...

un anonimo tenzonante darà poi la famosa formulazione analitica della genesi d'Amore:

Tre cose sono in una concordanza,. . . . . . . . .piacere e pensare a disianza:d'este tre cose nasce uno volerelà onde la gente dice che sia Amore.

Come Iacopo la pensava uno dei Siciliani più tardi e ricchi di interessi dottrinali, Mazzeo diRicco, il quale così decreta e sillogizza (Madonna, de l[o] meo 'namoramento, vv. 13-24):

Poi ch'eo non posso segnoreggiare,Amor mi segnorea.Dunque è Amore segnor certanamente: ma non posso già mai considerareche l'amor altro siase non distretta voglia solamente. E s'Amore è distretta volontate,per Deo, madonna, in ciò considerate,c'Amor non prende visibolementema par che nasca naturalemente;e poi c'Amore è cosa naturale,merzè dovete aver do lo mio male.

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Iacopo da Lentini insisteva già originalmente sul momento della visione-rivelazione esull'immagine come fonte di piacere, con una parola che avrà poi tanta fortuna nella temperiestilnovistica, spirito:

cad io non sono mio nè più nè tanto,se non quanto madonna è de mi foreed uno poco di spirito è in meve.

Così in un importante sonetto dottrinale che segue immediatamente, anonimo, nel canzoniereVaticano:

Dal cor si move un spirito, in vedered'in occhi 'n occhi, di femina o d'omo,per lo qual si concria uno piacere...

oppure:

Amor è un[o] desio che ven da coreper abundanza di gran piacimento.

Similmente nella canzone Ben m'è venuto prima cordoglienza, vv. 15-16: 'ch'eo non vorria davoi, donna, sembranza, / se da lo cor non vi venisse amanza'.E questo piacere è fonte del ricordo, dell'amoroso penseri', come dice altrove con unaimmagine intensa di tradizione occitanica:

ca d'onne parte amoroso penseriintrat'è in meve com'aigua in ispogna.

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Il tema della 'rimembranza' suggerisce a Iacopo movimenti di interiorità drammatica(Guiderdone aspetto avere, vv. 46-56):

La bellezza che 'n voi paremi distringe, e lo sguardarede la cera. La figura piacentelo core mi diranca:quando voi tegno mente,lo spirito mi manca e torno in ghiaccio. Nè mica mi spavental'amoroso voleredi ciò che m'atalenta,ch'eo no lo posso avere: und'eo mi sfaccio.

E nel discorso, con la leggiadra movenza di canzonetta:

La rimembranzadi voi, aulente cosa,gli occhi m'arosad'un'aigua d'amore.

Ma la conclusione del Notaro è che 'Amore è cosa di gran dubitanza': in lui non mancanovenature morali e religiose (la donna ha 'angelica figura'; 'quan'eo li parlo moroli davanti / eparemi ch'i' vada in paradiso'; e soprattutto: 'Viso a vedere quell'è paraviso, / che no è altro senon Deo divisare; / 'ntr'aviso e paraviso no è diviso ...'; 'Cristo le doni vita ed eleganza / e sìl'acresca in gran pregio ed onore' ecc.), e il pensiero che sia possibile conciliare sacro eprofano, l'amore con la salvezza, espresso in tono di piana incantevole reverie celeste nelfamoso sonetto Io m'aggio posto in core a Dio servire; se sembra qui di essere sulle sogliedello stil novo guinizelliano, va detto che l'Amore non è ancora elevato a principio ontologico-morale (= bene).

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Guido delle ColonneGuido delle ColonneDel giudice Guido delle Colonne andranno ricordate qui, dal suo piccolo ma singolarmenteunitario e organico canzoniere comprendente cinque canzoni, le due canzoni ammirate daDante come esempio di suprema constructio, e non del tutto indegne della nostraammirazione; mentre fra le tre canzoni minori la più notevole è Gioiosamente canto, nellaquale, in mezzo al lussureggiare 'di metafore lucide e un po' estetizzanti', 'si equilibranotipicamente un movimento di gioia e un perenne indugio di contemplazione retorica'.Della canzone Amor, che lungiamente m'hai menato / a freno stretto senza riposanza,ricchissima di ornamenti retorici, si veda l'ultima stanza (vv. 53-65):

Amor fa disviare li più saggi:e chi più ama men' ha in sè misura,più folle è quello che più s'innamora.Amor non cura di far suoi dannaggi, ch'a li coraggi mette tal calura

che non pò rafreddare per freddura.Gli occhi o lo core sono gli messaggide' suoi incominciamenti per natura. Dunqua, madonna, gli occhi e lo meo coreavete in vostra mano, entro e di fore,c'Amor mi sbatte e smena, che no abento,sì come vento smena nave in onda:voi siete meo pennel che non affonda.

E' il motivo di un amore smisurato e ineluttabile, svolto attraverso una serie di metaforenaturali fortemente sbalzate e un linguaggio ornatissimo, ricco di endiadi, parallelismi eantitesi d'ogni genere.

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Si veda la terza stanza della canzone Ancor che l'aigua per lo foco lassi, esempio distraordinaria abilità metrica, soprattutto nell'ampia sirma indivisa:

Eo v'amo tanto che mille fiatein un'or si m'arrancalo spirito che manca,pensando, donna, le vostre beltate; e lo disio c'ho lo cor m'abranca,crescemi volontate,mettetemi 'n tempestateogna penseri che mai non si stanca. O colorita e blancagioia che lo meo bene,speranza mi mantene,e s'eo languisco, non posso morire:ca, mentre viva sete,eo non poria fallire,ancor che fame e setelo corpo meo tormenti;ma sol ch'eo tegna mentivostra gaia persona,obbrio la morte, tal forza mi dona.

Sono versi in cui, con un lessico arnaldiano in rima (-anca) nella fonte, si tocca nella sirma 'unmassimo di soavità riuscita, non diremo certo presilnovistico' (siamo se mai sulla lina dellepetrose), 'ma altrimenti non reperibile in Sicilia'. E nella stanza precedente, il poeta avevaintrodotto 'nella disputa sulla natura d'amore, entità invisibile, una dichiarazione così esplicitasulla necessità umana, anzi umoristica, dell'amore, che per trovar l'uguale bisogneràscendere fino al Boiardo (Se in vista è vivo, vivo è sanza core)':

Imagine di neve si pò direom che no ha sentored'amoroso calore:ancor sia vivo, non si sa sbaudire.

Sono questi senza dubbio i punti di più alta ricerca lirica e meditativa, nell'incontro conretorica e scienza naturale, a cui sia giunta la cultura poetica siciliana: ne deriva un'ereditàfeconda e ricca di sviluppi ai prestilnovisti e stilnovisti bolognesi e toscani.

Page 22: Cornelli Andrea e Colombo Mocchetti Mauro Presentano :

Giacomino PuglieseGiacomino PuglieseNella canzonetta di Giacomino Pugliese Donna di voi mi lamento, in stanze simmetriche diottonari tutte concluse con la parola-ritornello 'amore' (sì che taluni hanno visto qui unacanzone a ballo o hanno addirittura immaginato l'azione coreografica di una 'ronda' o danza intondo con intervento del coro dei danzatori alla fine di ogni stanza): c'è un innamorato gelosoche accusa la sua donna di tradimento e di villania rimemorando con amarezza, alla luce deipresunti inganni, la nascita di quell'amore:

di voi non ag[g]io confortoe fals'è la tua leanza, quella che voi mi mostrastelà ov'avea tre persone, la sera che mi ser[r]astein vostra dolze pregione,

amore,

mentre la donna cerca di giustificarsi protestando il suo amore e accusando il marito geloso ditenerla segregata, sì che non ardisce più farsi alla porta:

Meo sire, a forza m'avienech'io m'apiatti od asconda, ca sì distretta mi tene,quelli cui cristo confonda, non m'auso fare a la porta;ond'io son confusa, in fidanza, ed io mi giudico morta:tu non n'ài nulla pietanza,

amore.

Alla fine la donna cede, si dichiara disposta a vincere ogni timore e riguardo, e promette didare all'amante una rivalsa tanto memorabile che ne resti 'rimembranza' nel libro del poeta:

Poi che m'ài al tuo dimino,piglia di me tal ve[n]gianza, che 'l libro di Giacominolo dica per rimembranza,

amore.

E alla profferta l'amante sembra quietarsi, per quanto ancora dubitoso di amare 'in perdenza'e donare oro in cambio di rame.

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I rimatori siculo-toscaniI rimatori siculo-toscaniPrestissimo i canzonieri manoscritti della poesia siciliana cominciarono a circolare in Toscana, forse ancora prima della morte di Federico II (1250). Copisti e poeti locali contribuirono gradualmente, con molte incertezze e differenza tra un luogo e l’altro, a trapiantare nel volgare toscano le rime provenienti dalla Magna Curia: del resto, negli anni in cui Federico era presente in Toscana, molti rimatori di qui si unirono al coro dei poeti di corte e le poesie furono scritte, pur con molti sicilianismi, del volgare, o nei volgari di questa regione.I codici che ci hanno trasmesso le rime dei siciliano, tra i quali il più famoso è il Vaticano 3793, ci hanno pure conservato le rime di poeti lucchesi, senesi, fiorentini, aretini, pisani, detti appunto siculo-toscani, che sono stati i tramiti del passaggio di quella grande esperienza lirica in un territorio destinato a diventare in breve il vero crogiolo della nostra maggiore letteratura...I poeti toscani sembrano per lo più prediligere, della poesia siciliana, la forma facile e cantabile della canzonetta, con innesti spesso efficaci di modi popolari e borghesi: in questo ambito viene accolto il tipo metrico della ballata, non usata dai siciliani. È un trobar leu in cui si distingue particolarmente Buonagiunta Orbicciani , notaio di Lucca, ammiratore di Iacopo da Lentini, di cui imita la casistica della nascita e degli effetti del sentimento d'amore, con predilezione per le note psicologiche dell'oppressione amorosa, sentita però sempre, con anticipazioni quasi stilnovistiche, come esperienza privilegiata ed esclusiva...Probabilmente è "colpa" di Dante se così poco si parla dei poeti siculo-fiorentini, dal momento che il sommo poeta, bollando di municipalismo e selvatichezza stilistica tutto ciò che è avvenuto prima dello Stilnovo, ha praticamente cancellato la memoria di queste prime, importanti esperienze, addirittura tacendo il nome di poeti come Chiaro Davanzati e Monte Andrea . Ma anche i poeti fiorentini che vengono prima di Guittone d'Arezzo , che rappresenta un vero discrimine tra i siculo-toscani e ciò che è venuto dopo, sono degni di considerazione, da Neri de' Visdomini a Bondie Dietaiuti a Compiuta Donzella , la prima poetessa della nostra letteratura.

VAI A

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Guittone d’ArezzoGuittone d’ArezzoLe rime di Guittone ripetono situazioni ben note alla tradizione provenzale esiciliana: l’innamoramento a prima vista, l’esaltazione e lo scoramento,l’imprecazione contro l’ingiustizia di Amore; e, poi, i temi ricorrenti inquell’antica lirica: l’orgoglio della donna, la perfidia dei ‘malparlieri’, lostrazio della lontananza.Ma ciò che colpisce è, ancora una volta, la ricchezza espressiva che l’aretino cirivela; il suo gusto per l’esperimento letterario: che ci trascina dalla canzonesostenuta, contrassegnata da puntuali allusioni alla mitologia dell’erotismo dicorte:

ché sì como l’Autorepon; ch’amistà di coreè voler de concordia e desvolere,faite voi me, ché zo volete ch’eo;

alla canzonetta dal ritmo semplice, orecchiabile:

Amor, non ho poderedi più tacere ormaila gran noi che mi fai;tanto mi fa’ dolere,che me pur sforza voglia,amor, ch’eo de te doglia;

dagli accenti tragici dell’amore sublime (‘Voi mi Deo sete e mia vita e miamorte...’ VIII, 33) ai toni popolareggianti di certa sensualità di maniera: che hapotuto esser presa, romanticamente, come l’espressione di una nuova sensibilitàborghese, realistica:

Rapente disianzain me è adimorata per mant’ore,caro amore, de te repleno gire.Amor, perch’ altra usanzame non porea far degno prenditoredel gran riccone - ch’aggio al meo disire

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L’aretino piega alle esigenze della sua polemica alcuni spunti dellatrattatistica cortese: in primo luogo quello della irrazionalità diAmore; un motivo ampiamente svolto dai rimatori provenzali esiciliani: come l’espressione di un potere irresistibile, di unaforza tirannica alla quale non si sfugge. Si traduceva in questo temalo stato psicologico dello sbigottimento, della fragilità dell’uomodinanzi alla donna: il sentimento di una volontaria rinuncia allapropria autonomia. In Guittone tutto ciò s’irrigidisce, per cosìdire. L’irrazionalità di Amore non è più il sintomo di una tipicasituazione psicologica: è una ‘condizione umana’; è la follia:

ché ‘n tutte parte ove distringe Amoreregge follore - in loco di savere...

ed è un’operazione che Guittone ripete per altri temi, utilizzandoper il suo scopo il III libro del De Amore - De repropatione Amoris.

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Bonagiunta OrbiccianiBonagiunta OrbiccianiLeggiamo la canzone Avegna che partensa: il poeta intona un canto d'amore la cui dolcezza disperderà negli accenti della poesiala voce della pena; egli si consuma, per la perdita del suo bene, come una candela al fuoco; è fuori di sè; il suo cuore non avràpiù conforto: si lamenta dei 'malparlieri' che l'hanno ucciso; vorrebbe essere fisicamente morto o non essere nato o non provareciò che prova; ma, per quanto stravolto dal dolore, non intende mutare i propri sentimenti.La canzone è costruita su comparazioni: secondo uno schema lentiniano; il suo centro lirico è nel contrasto - non ignoto allatradizione - fra la disperazione dell'amante e il conforto che sopraggiunge con lo sfogo del canto. Ciò che colpisce,nell'elaborazione di Bonagiunta, è l'estrema abilità dell'artista: la sua capacità di fondere immagini e concetti. i sentimenti sidefiniscono, così, in un movimento di successivi richiami, nel trapasso dell'immagine pittorica alle forme del linguaggiometaforico:

La gioi' ch'eo perdo e lasso,mi strugg' e mi consumacomo candela ch'al foco s'accende; e sono stanch'e lasso:meo foco non alluma,ma, quanto più ci afanno, men s'apprende; e non riprende - alcuna mia vertude,avanti si conchiude,si come l'aire quando va tardando,come l'aigua viva,ch' alor' è morta e privaquando si va del corso disviando.

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La struttura del componimento corrisponde a questi collegamenti: nei quali la ricercaespressiva sembra tradurre una più intima tensione psicologica. Ed è il senso diun'esperienza esclusiva ed opprimente che, nella storia della nostra poesia lirica più antica,va dilatando sempre più il suo significato: da quello erotico originario a quello piùcomprensivo, emblematico - come accade negli stilnovisti - di una realtà sentimentale fermatanell'attimo di un'intensa e immotivata aspirazione.Il Bonagiunta migliore è forse qui: nei momenti, rari, di un intravisto stilnovismo; che nonandrà ricercato nei frammenti, occasionali e scialbi, che alludono variamente al 'cor gentile' ealla sua tematica, quanto nell'impegno letterario di una personalità protesa ad esperienzed'arte sempre meno evasive.L'esistenza di una nota originalmente bonagiuntiana, esile quanto si voglia, all'interno delconvenzionalismo duecentesco, può facilmente riconoscersi all'esame di un sonetto cherichiama da vicino uno simile del Notaio: secondo una sicura segnalazione di G. Contini; epensiamo al sonetto VI che riproduciamo per intero:

A me adovene com'a lo zitelloquando lo foco davanti li pare,che tanto li risembla chiaro e bello,che stendive la mano per pigliare;

e lo foco lo 'ncende, e fallo fello,chè no[n] è gioco lo foco toc[c]are:poi ch'è pas[s]ata l'ira, alora e quellodisia inver' lo foco ritornare.

Ma eo, che trag[g]o l'aigua de lo foco(e no è null'om che lo potesse fare),per lacrime ch'eo getto tutto coco,

chiare e salse quant' è acqua di mare.Candela che s'aprende senza foco,arde e[d] incende e non si po' amortare

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Leggiamo ora il sonetto di Giacomo da Lentini:

[C]hi non avesse mai veduto foco,no crederia che cocere potesse,anti li sembraria solazzo e giocolo so isprendor[e], quando lo vedesse:

ma s'ello lo toc[c]asse in alcun loco,belli se[m]brara che forte cocesse.Quello d'Amore m'ha toc[c]ato un poco:molto me coce; Deo, che s'aprendesse!

che s'aprendesse in voi, [ma]donna mia!che mi mostrate dar solazzo amando,e voi mi date pur pen' e tormento.

Certo d'Amor[e] fa gran vilania,che no distringe te che vai gabando;a me, che servo, non dà isbaldimento.

Non può sfuggire la differenza: l'immagine del fuoco, del Notaio, è soltanto un'elegantevariazione pittorica sul tema della potenza di Amore, del suo fascino e della sua parzialità; nelsonetto di Bonagiunta l'attenzione si concentra, più in profondità, nella descrizione di unasoggezione psicologica - fissata nell'immagine-simbolo - che non si esaurisce nelle formedella galanteria cortese; la soluzione sentenziosa (vv. 13-14) ha la stessa incisività, legata almovimento rapido del periodo, di certe espressioni guinizzelliane e cavalcantiane; e citiamo acaso: 'Amor m'ha dato, a madonna servire: / o vogl'i' o non voglia, così este'; '... questo ètormento disperato e fero, / che strugg' e dole e 'ncende ed amareggia'; e potremmocontinuare.

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Verso l'immagine, definita dalla comparazione, o la metafora - costruita spesso sulla luce e isuoi derivati - gravita il discorso del nostro rimatore. I termini del suo linguaggio figurato sonosempre quelli tradizionali; la materia affettiva, cristallizzata, si esprime attraverso sensazionivisive; come nel sonetto VIII (di diretta derivazione lentiniana):

(De] dentro de la nieve esce lo foco,adimorando ne la sua gialura,e vincela lo sole a poco a poco:devien cristallo l'aigua, tan'è dura;

o nella ballata Tal è la fiamma e 'l foco (IV), in persona di una donna innamorata:

Ismarrire mi fate la mente e lo core,sì che tutta per voi mi distruggo e disfaccio,così come si sface la rosa e lo fiore...

E' il sintomo, infine, di una disponibilità tematica - oltrechè tecnica - la presenza nel'canzoniere' di Bonagiunta di rime sentenziose. Nessuna originalità negli argomenti trattati dallucchese: la natura dell'onore e del piacere, la saggezza e i suoi attributi, l'umiltà e ladiscrezione, la resistenza dell'uomo di valore alle avversità , l'instabilità della fortuna, l’obbligo di mandare ad effetto un'azione bene intrapresa, l'accortezza dei potenti (son IX), laprudenza ed il riserbo.

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Compiuta DonzellaCompiuta DonzellaE’ la prima poetessa della nostra letteratura. Di lei possiamo ricordare il sonetto ‘A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora’, che raffigura la primavera come stagione dell’ amore e della gioia; ma in contrasto a ciò si ha l’attestazione di quel doloroso stato d’inferiorità che marcherà, nei secoli,la condizione femminile.

A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora

acresce gioia a tutti i fin’ amanti:

vanno assieme a li giardini alora

che gli auscelletti fanno dolzi canti;

la franca gente tutta s’inamora

e di servir ciascun trages’ inanti,

ed ogni damigella in gioia dimora;

e me , n’abondan marrimenti e pianti.

ca lo mio padre m’ha messa ‘n errore

e tenemi sovente in forte doglia:

donar mi vole a mia forza segnore,

ed io di ciò non ho disio né voglia

e ‘n gran tormento vivo a tutte l’ ore;

però non mi ralegra fior né foglia.

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Pucciandone MartelliPucciandone MartelliSi rifà ai modi della tradizione siciliana ;destinatario di un sonetto guittoniano (sonetto 215);personalità di rilievo nella Pisa del tempo: lo troviamo fra gli Anziani del 1289; come membrodel maggior Consiglio è citato nel 1298; la sua morte può collocarsi intorno al 1301.Due canzoni, due sonetti e una ballata: queste le rime sue che conosciamo.E' veramente un epigono dei Siciliani: ma non privo di una certa grazia; né insensibile allenovità: come attesta l'uso, sia pure raro e soltanto orecchiato, del motivo guinizzelliano del'cor gentile' (cfr. la canzone Lo fermo intendimento..., vv. 26-31). Ma il linguaggio che gli èfamiliare è quello della poesia siciliana: che gli suggerisce situazioni ed immagini:

Amor, poi ch'a madonna tormentaremi fai come lo mare,quando, di gran tempesta,a la nave non restadi far gravoso afanno...

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Galletto PisanoGalletto PisanoGalletto Pisano è identificabile, ma con qualche dubbio, con un Gallo di ser Agnello, giudice:uno dei legati di pisa al concilio di Lione (1275); Anziano nel 1279 e nel 1288, già morto nelgennaio del 1301.Ricordato da Dante nel De vulgari eloquentia (I, XIII, I) - come esempio toscano di linguamunicipale -, è giunto sino a noi per due canzoni (In alta donna ho miso mia 'ntendansa,Credeam' essere, lasso): sicilianeggiante la prima, composta di stanze 'unissonas' e'capfinidas'; di gusto guittoniano la seconda.La tradizione occitanica sopravvive nel tema dei malparlieri:

Li mai parlier che mettono scordansa,in mar di Seccelìaposs' anegare, u viver a tormento; ca per li fini amanti è giudicato,launqu' è mal parlier, sia frustato:a l'alta donna piace esto conve:

l'influenza guittoniana - già segnalata per alcuni riscontri - si riconosce principalmentenell'impostazione del discorso, costruito per 'antitesi'; nel tema della 'pace'; nell'uso di certemovenze: come ai versi 81-84:

Se mi distringe doglia,non certo è meraviglia,ma crudeltà somigliaa cui non prende doglia e pena monta...

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BacciaroneBacciarone

Bacciarone di messer Bacone: personalità di un certo rilievo nella Pisa del tempo, destinatariodi una lettera di Guittone (Lettere, XXVII); e che sappiamo già morto nel 1291.Gli appartengono tre canzoni: due di polemica antiamorosa (Nova m'è volontà nel cor creata,Sì forte m'ha costretto) e una terza di ispirazione etico-politica (Se doloroso a voler movodire); i sonetti responsivi a Natuccio Cinquino chiudono l'esilissimo corpo delle sue rimesuperstiti.Discepolo di Guittone, il pisano ne riprende gli argomenti della condanna di Amore.I momenti migliori in Bacciarone sono quelli che alludono, nelle canzoni contro Amore, alpeso di un'esperienza sentita tragicamente ed espressa nelle forme, particolarmente efficaci,del linguaggio metaforico:

Non venosi gecchiti di laudareil folle e vano amor, d'ogni ben nudo,li matti che ci covren del su' scudo,il qual manch'è che di ragnuolo telae che li porta isportando a vela.

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Meo AbbracciavaccaMeo AbbracciavaccaDei rimatori pistoiesi Meo Abbracciavacca può considerarsi il più fedele discepolo di Guittone.Appartenente alla famiglia ghibellina dei Ranghiatici, Meo - cioè Bartolomeo - diAbbracciavacca di Guidotto visse nella seconda metà del Duecento, affacciandosi soltantoalle soglie del secolo successivo: nel 1313, infatti, risulta già morto.Conosciamo di lui tre canzoni e nove sonetti: dei quali quattro indirizzati al maestro aretino; fuin corrispondenza, inoltre, con Bindo d'Alessio Donati e con Dotto Reali, due guittoniani:fiorentino il primo, lucchese il secondo.Caratterizza Meo il tentativo di conciliare l'esperienza di Guittone con la materia amorosadella tradizione lirica.Leggiamo la canzone Sovente aggio pensato di tacere. Il poeta non accetta più, se mai l'haaccolta, la tesi di coloro che rappresentano Amore come un despota crudele e irragionevole;ne difenderà la legittimità, pertanto; affermando che Amore:

... solo in gioia ave l'assettoe di gioi' si pastura,non avendo già doglia sua rivera...

ed infatti: non appena si conosce e si desidera il piacere, l'uomo liberamente lo persegue; néil dolore è connaturato con questa esigenza: esso nasce dal ritardo - che rende gravosal'attesa - con cui il desiderio amoroso si realizza. Ha torto, dunque, chi si lamenta di Amore:

ch'è solo volontate chiara e pura,che nasce, immaginato lo dilettoche porge la natura,de la vi[s]ta, monta[n]do i[n] tal maineracome fa lo 'ntelletto,che di gioi' chere sempre la sua spera.

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Amore è una potenza che deriva dall'oggetto amato; il rifiuto di questo sentimento è provocatodal dolore che sopraggiunge: come il freddo impedisce la diffusione del calore, così lasofferenza ostacola l'effetto amoroso; ma è tanto urgente il bisogno di contemplare la chiaraluce del piacere che non si rinuncia ad inseguirla. il poeta ha parlato molto diversamente daquelli che sostengono che il vero Amore ha spento il bene; e non intende continuare adiscutere: egli è convinto che il vero bene risiede solo in un volto amoroso.I più diffusi motivi della lirica cortese - primo fra tutti quello della genesi del sentimentoamoroso (cfr. vv. 37-42 sopra citt.) - si ritrovano in un discorso che ne approfondisce, neesaspera a volte, per la suggestione dell'esperienza guittoniana, la radice intellettualistica; edè questa di Meo un'operazione che spesso si riduce alla ricerca di espedienti puramenteformali: secondo un gusto espressivo sicuramente guittoniano, che si riconosce nellacostruzione 'perplexa' del periodo ('mettendo in obriansa / d'esto mondo parlareintendimento', vv. 2-3); nella scelta di particolari valori fonici: troviamo, come nell'aretino,parole nelle quali si susseguono consonanti mute e liquide o due liquide; vocaboli la cuimisura trascende quella trisillabica, che Dante giudicherà preferibile: 'intendimento','sovraismisuranza', 'dimostramento' ecc.Il moralismo di Guittone sopravvive nella seconda canzone (Madonna, vostr'alteracanoscenza): il tema è la saggezza dell'amata, più stimabile della sua bellezza:

Perciò vo' dico, amanti: non beltatesolo desiderate,ma donna saggia, di beltate pura...

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L'amore, in questo modo, privato della sua sostanza erotica, non contraddice ai principi delmoralismo guittoniano, disponendosi - per la sua natura di esperienza sublime -all'interpretazione stilnovistica: uno stilnovismo, beninteso, non ancora raffinatointellettualmente come quello autentico. Si tratta, infatti di accenni: di rapidi spunti tematici,che alludono ad una bellezza esemplare:

... piacer mi trasse in voi compita,d'ogni valor gradita,di beltade e di gioia miradore,dove tutt'ore - prendeno maineral'altre valente donne di lor vita.

Nella terza canzone (Considerando l'altera valenza) il ricordo guittoniano e le intuizionistilnovistiche si fondono compiutamente: in un discorso che ritrova certe tendenze di un gustobonagiuntiano. Il poeta è felice, anche se tormentato dall'amore: non potrà mancargli laricompensa per il suo leale sentimento; la donna lo esalta ed egli la onora 'com'al leonsoggetta fèra inchina' (v. 24).Il canto procede attraverso reminescenze guittoniane ('ché spesso viso dolze core amaro /tene...'; vv. 28-29), fino all'ultima stanza, dove l'immagine di tipo bonagiuntiano introduce unaccenno stilnovistico:

Como risprende in iscura partutacera di foco apprisa,sì m'ha 'llumato vostra chiara spera.Ché, prim'eo 'maginasse la vedutade l'amorosa intisa,non era quasi punto più che fèra.Ora, ch'empera - mevi amore 'n core,sento ed ho valore,e ciò che vaglio tegno dall'altura,complita in voi figurad'angelica sembianza e di merzede,per cui la pena gioi' lo meo cor crede.

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VisdominiVisdominiIl Visdomini si muove nei limiti fissati dalla tradizione siciliana: che in lui sopravvive in undettato elegante, che accoglie i motivi consueti dell'amore tragico - con una particolarepredilezione per le situazioni più sofferte - ricomponendoli in un canto denso di riminescenzeletterarie, risolte nei nodi di un orecchiabile 'trobar leu'.Ritorna l'invettiva, di ascendenza occitanica, contro il 'geloso' come in L'animo è turbato:

Cristo, co le tue manila gelosia confondi,anzi che tanto abondi, - e viva Amore;

ma il tema si allarga nel senso di una manierata diagnosi psicologica:

Odi com'è fallacela gelosia invidiosa:vita fa dubitosa, - ch'è de[s]fare;ella distrug[g]e pace;ben è feb[b]re ancosciosa,ove tanto mal posa - e duro affare.

Più frequentemente l'esperienza psicologica appare cristallizzata nelle situazioni tipichedell'amore cortese; e sono i momenti più francamente 'siciliani' del nostro rimatore: come in Oiforte inamoranza, dove è ripreso - secondo soluzioni di tipo lentiniano - il tema delladissimulazione dell'amore:

Nulla agio speranza,poi non posso parlare;altro che sospiraree forte pianger non agio conforto.

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Il senso d'un'esperienza tormentosa e al tempo stesso eccitante, il gusto per un linguaggioimmaginoso, di ascendenza 'siciliana', si ritrovano ancora in Perciò che 'l cor si dole:

Oi lasso, com' farangio?ch'i' sto pur in tempesta,né trovo chi mi degni consolare.Nato foss'io salvagioe vivesse in foresta,pur non avess'io conosciuto amare!

il poeta è lontano, ma il suo cuore è vicino all'amata: e prega che non le sia pesante il lungodistacco; s'ella, del resto, conoscesse il suo tormento ne proverebbe pietà:

Così m'aven co' 'l cervio per usanza,credendosi campar morte alungiando,là 'v' ode lo brairefere e va 'l morire;così, 'n pensero voi rafigurando,credo campar: la morte mi sobranza;

la morte lo sopraffà quando ricorda la bellezza della sua donna: gli sembra di possedere,allora, ciò che in realtà ha perduto:

Così com'omo face a tigra in miroveder lo suo disio per claritate,simile Amor m'esmira e mostra 'ngegno...

egli la vorrebbe vicino in carne ed ossa; non resisterà, dunque, al peso dell'amore:

com'albore che troppo è caricato,che frange e perde seve e lo suo frutto,simile, amore, eo mi disperderag[g]io.

non ha scampo: solo la donna potrebbe rianimarlo.