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CORIMONDO

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Riallacciare e ricostruire i fili di una memoria spezzata e umiliata anche solo limitatamente ai canti, racconti, biografie: un compito arduo e difficile da portare a termine. I protagonisti e i depositari di questa memoria erano restii al ricordo. Andare in giro per i paesi a “ricercare e cercare” coloro che ricordavano, i grandi ‘alberi’ di cultura e di canto, richiedeva pazienza, calma e amore profondo per la conoscenza della memoria orale e delle storie delle nostre comunità. In questo contesto Corigliano d’Otranto non costituiva sicuramente un’eccezione. Questo contributo, che ci riporta al periodo aureo dell’indagine sul campo e della documentazione dei repertori tradizionali, è anche un lavoro che rende omaggio alle persone vive, agli ultimi epigoni di una civiltà linguistica, ai custodi delle modalità performative, delle tecniche strumentali e vocali, della memoria sonora (e non solo) della comunità di appartenenza.

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Edizioni KurumunySede legale:Via Palermo, 13 – 73021 Calimera (Le)Sede operativa:Via S. Pantaleo, 12 – 73020 Martignano (Le)Tel. e Fax 0832 801528www.kurumuny.it – [email protected]

ISBN 978-88-95161-72-3

Progetto grafico: Lucio MontinaroRemastering ADD Corrado Productions – Supersano (Le) Chiuso in stampa ad aprile 2012

© Edizioni Kurumuny – 2012

Si ringraziano: Rocco Avantaggiato, tutti i cantori che hanno contribuito alla realizza-zione di questa raccolta. Gianni De Santis che ha curato la trascrizione e traduzione deicanti in lingua grica e Ivan Stomeo presidente dell’Istituto “Diego Carpitella”.

Questo volume è stato curato da Luigi Chiriatti e Michele Costa.

Con scritti di Luigi Chiriatti, Michele Costa, Daniele Durante e Sergio Torsello.

L’editore si rende disponibile per eventuali richieste di soggetti o enti che possano vantare dimo-strati diritti sulle immagini riprodotte nel volume.

Indice

5 Con garbo e affetto Luigi Chiriatti

15 Gemme preziose Sergio Torsello

23 Le strine Michele Costa

27 Osservazioni sulla raccolta di Corigliano Daniele Durante

31 I canti

Da sinistra: Nicola Tanieli, Nicola Fonseca e Leonardo Lolli

Con garbo e affettoLuigi Chiriatti

È intorno agli anni 1977-’78 che realizzo le registrazioni dei cantidi Corigliano d’Otranto presenti in questa raccolta. Un periodo incui la ricerca per la documentazione della memoria orale del ter-ritorio relativa ai canti aveva già in gran parte indagato realtà comeMartano (Lucia De Pascalis, le prefiche), Cutrofiano (Ucci), Aradeo(Zimba).

Documentare l’oralità per la ricostruzione di una storia del ter-ritorio si presentava di difficile realizzazione: da qualche anno siregistrava il ritorno degli emigranti nei paesi del Salento.

Gli emigranti rientrano nei paesi salentini, che avevano avuto pic-chi di emigrazione altissimi (24% e oltre), per la stragrande mag-gioranza dopo almeno vent’anni di permanenza nei paesidell’Europa e nelle città del nord Italia. Lo fanno dopo avere rea-lizzato almeno uno dei molti sogni per cui si erano forzatamenteallontanati: la casa di proprietà.

Ritornano con idee e stimoli diversi da quelli con cui erano andativia. Con il desiderio di una nuova umanità e una nuova dignità euna diversa visione della vita.

Una volta tornati rifuggono volontariamente dalle gabbie del loro

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passato, dalle angustie e dalla spietata miseria che li aveva costrettiall’emigrazione e all’abbandono forzato dei loro affetti, dei loroconfini magico-rituali, della memoria del loro territorio.

Riallacciare e ricostruire i fili di una memoria spezzata e umiliataanche solo limitatamente ai canti, racconti, biografie, si presentavaun compito arduo e difficile da portare a termine.

Erano restii al ricordo. La sola idea del ricordare modalità di vita,usi, costumi… Richiedeva un notevole sforzo di pazienza sia daparte loro che dei ricercatori.

Andare in giro per i paesi a “ricercare e cercare” coloro che ricor-davano, i grandi alberi di cultura e di canto, richiedeva pazienza,calma e amore profondo per la conoscenza della memoria orale edelle storie delle nostre comunità.

In questo contesto Corigliano non era sicuramente un’eccezione. A Corigliano arrivo su suggerimento di mia madre che in più di

un’occasione mi aveva detto che se volevo sentire il “bel cantare aparavoce” dovevo andare a Corigliano d’Otranto.

La spinta a recarmi in questo paese veniva anche dalla curiositàdi saperne di più sulla quartina di un canto conosciuto come laStrina ma che non era mai venuto fuori nei precedenti incontri concantori dei diversi paesi che conoscevano, con diverse varianti emodalità musicali, quasi tutti gli altri canti.

Tutte le indicazioni della presenza di questo canto portavano aCorigliano.

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Qui ho conosciuto, dopo diversi e svariati viaggi e appuntamentiandati a vuoto, Luigi Costa, cantore e suonatore di organetto dia-tonico e conoscitore della Strina.

Con minuziosa pazienza mi spiegò che si trattava di un lungocanto di questua eseguito nel periodo che va da Santo Stefano alCapodanno, costituito da alcune strofe in dialetto e altre in grico.

La Strina merita particolare interesse non soltanto perché è co-nosciuto solo a Corigliano, ma anche perché è ancora una dellepoche testimonianze dei Kàlanta della Grecia, cioè dei canti augu-rali che ancora oggi i ragazzi greci sono soliti cantare a Capodannoper ottenere qualche regalo.

Durante il periodo di Natale i contadini di Corigliano smettono ipanni del duro lavoro quotidiano e si trasformano in fini musici epoeti e con i loro strumenti – organetto diatonico, “l’arpa a sonagli”,triangoli di ferro e altri strumenti percussivi – andavano di caselloin casello come sacerdoti di antichi riti a benedire i campi, i raccolti,gli animali, le case, gli abitanti.

Oltre agli strumenti avevano con sé un grande paniere nel qualevenivano sistemati i doni che ricevevano ogni volta che eseguivanola strina: uova, vino, farina, “bianche cuddhure” (formelle di for-maggio fresco).

Tutti i doni raccolti erano successivamente consumati in ungrande festino a cui partecipavano anche i parenti dei suonatori.

I contadini che vivevano nelle masserie erano moltissimi, non

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ascoltavano nessun’altra musica sia perché non avevano tempo, siaper mancanza di mezzi tecnici quali radio e affini e i cantori dellaStrina erano accolti con grandi manifestazioni di gioia.

Corigliano, oltre ad avere l’esclusiva del canto della Strina, si pre-sentava anche come il paese con la più grande presenza di orga-netti diatonici del Salento.

Dopo Luigi e Antonio Costa, suonatori di organetto, ho cono-sciuto Giovanni Avantaggiato, un virtuoso dello strumento.

Giovanni ha cominciato a suonare a undici anni e ha comprato ilsuo primo organetto per 22 lire recandosi con la bicicletta a Brin-disi. La sera successiva ne aveva guadagnate 28 suonando nei fe-stini i ballabili dell’epoca: valer, mazurche, quadriglie, scotis.

Oltre a Luigi e Antonio Costa, Giovanni ricorda molti altri suona-tori di organetto: Nicola Vigna, Codardo (Maccagnune-na), Nino(Puccia), Giovanni (Furmeeddha), Rizzo (Curciulone), Rocco Fag-giano, Gigi Avantaggiato (Picazzena), Gigi Macarone.

Gli organetti erano gli strumenti maggiormente usati durantel’organizzazione dei festini da ballo molto frequenti a Corigliano.

Queste feste da ballo, che servivano anche come momento di in-contro fra i giovani di diverso sesso, venivano organizzati negli an-droni di case private. Ai festini si accedeva liberamente, ma perballare bisognava consumare uova e vino. Sempre sotto il vigilesguardo del maestro di ballo. Qualche volta ballavano solo fra uo-mini per mancanza di ragazze.

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A Corigliano andavo con la vespa 125, il registratore, l’UHR 4400,e a volte accompagnato da Roberto Licci.

Le prime registrazioni (presenti in questa raccolta) sono staterealizzate a casa di Luigi Costa attorniati dalle sue molte figliole,con Antonio Costa e Roberto che accompagnava di tanto in tanto idue con la chitarra.

Poi la compagnia si è via via allargata fino a comprendere Gio-vanni Avantaggiato, Giuseppe Lolli, Giovanni Mangia, AntonioSerra, Nicola Tanieli.

La maggior parte dei canti di questa raccolta è stata registratanella casa di campagna di Luigi Costa in località Ampalasci (vigna).

Le serate trascorse con loro sono state uniche e indimenticabili.Ricordo la loro grande disponibilità, professionalità e serietà du-rante le registrazioni. Erano perfettamente coscienti di fare unacosa importante. Molte volte discutevano appassionatamente pervia di una strofa, di un’intonazione, di un passaggio musicale.

Con l’acquisizione della Strina avevo completato il ciclo dei cantireligiosi e di questua: a Cutrofiano Lu Santu Lazzaru, a Martano laPassione in grico, a Corigliano la Strina.

Di notevole interesse sono anche i canti a paravoce, quale peresempio Quista è la strada di via Pendinu, teatro, a detta di GiovanniAvantaggiato, di grandi serenate e di grandi scontri fra i vari spa-simanti che portavano serenate molte volte a ragazze del tutto al-

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l’oscuro dell’interesse amoroso dei giovani. Ci racconta Giovanni,infatti, che lui era fidanzato ben due anni prima di comunicarlo allaragazza che poi diventerà sua moglie.

Le serenate spesso finivano in grandi tafferugli e scontri tantoviolenti da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine.

A testimonianza di questo sono rimaste delle strofe che così reci-tano: mò ci cantamu nui simu li boni/ mò ci cantati vui stuta lampioni(ora che cantiamo noi siamo i più bravi/ quando cantate voi spegnilampioni); oppure: fioriti tutti quanti fior di cocuzza/ a ci li prude luculu venga muzza (fiori di tutti quanti fiore di zucca/ chi sente pru-rito al culo abbia il coraggio di interrompere la serenata).

Un altro canto sempre registrato a Corigliano Diaviche eseguitoda Luigi Costa all’organetto in un’altra raccolta, con l’aria di stor-nello, qui è eseguito a paravoce.

Via Mazzini 2012Sono trascorsi diversi decenni da quando sono venuto per la

prima volta a casa di Luigi Costa. Era il 1977 e fra quella data e oggisono tornato solo un paio di volte. Qui da sempre abita Luigi Costacon sua moglie Marina. Oggi ottantenni. Lei dritta come un fuso,Luigi un po’ curvo e con qualche acciacco che non ha tuttavia offu-scato il suo carattere dolce e mite. Dopo un periodo abbastanzalungo li rivedo con grande gioia. L’affetto è ricambiato. Arrivo a casaloro accompagnato da Michele Costa, il solo maschio di Luigi e Ma-rina, che di figli ne hanno sette.

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Riprendiamo a dialogare come se ci fossimo visti il giorno prima.Stessa gioia di stare insieme, stessi ruoli di tanti anni fa: Luigi rac-conta, io ascolto, la moglie Marina a confermare le storie o ad aiu-tare il marito quando ha qualche piccolo vuoto di memoria.

Luigi riprende il racconto da dove lo aveva interrotto decenniprima. Mi racconta dei cantori di Corigliano, delle squadre di suona-tori che durante le feste di Natale andavano nelle masserie a cantarela Strina e di un particolare suonatore di organetto, un certo Nino luciecu, che veniva portato durante l’estate nelle masserie a fare la se-rata. Era uso che durante l’estate moltissime famiglie si trasferisseronelle campagne a spaccare i fichi per farli seccare per l’inverno, aventulare i legumi sull’aia e a fare provviste. Di tanto in tanto i suo-natori di organetto allietavano le serate. Nino lu ciecu era un valentesuonatore. A fine serata bisognava pagarlo. Ma contando sul fattoche era cieco cercavano di rifilargli dei pezzi di carta al posto deisoldi. Non c’era niente da fare, Nino non si faceva imbrogliare da nes-suno e finché non aveva il pattuito non si muoveva dall’aia.

Luigi ha comprato il suo primo organetto all’età di nove anni econ i soldi dei festini riusciva a pagarselo.

Fra i vari ricordi di amici comuni, alcuni dei quali ormai scom-parsi, Luigi mi racconta degli innumerevoli viaggi in Grecia a can-tare e a diffondere la “parlata” grica. C’era un fatto che lo divertivamolto. La città di Atene era tappezzata di manifesti del loro gruppoa detta di Luigi “uno cchiui bruttu de l’addhu” (uno più brutto del-

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l’altro) e commenta «Ma se po’? Se po’ trovare cristiani chiui brutti?»(Ma si può? Si possono trovare persone più brutte?) e giù a ridere.

Mi dice che la Passione tu Cristù a Corigliano loro non la canta-vano, almeno fino a quando come gruppo Argalìo non l’hannomessa in repertorio, a cantarla durante la Settimana Santa erano icantori di Martano, di Zollino o di Sternatia.

Chiacchierare con Luigi e con Marina è come immergersi in unadimensione altra. In un mondo che sembrerebbe non esistere più,in cui i confini magico-rituali, i personaggi archetipici di una co-munità, i canti, modi di dire e di pensare sono molto lontani dalpresente. Ma loro lo rendono attuale e vivo perché è il loro pre-sente, la loro visione del mondo. Loro appartengono a pieno titoloa quella umanità che è genitrice di storia e di storie che ci hannolasciato in eredità e che ci permettono di costruirci un immaginariocollettivo che ci permette di appartenere a questa terra.

A tutti loro va dato atto di essere i protagonisti di questa culturache con grande disponibilità e gioia ci hanno consegnato in eredità.

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Da sinistra: Giovanni Mangia e Giuseppe Lolli

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Da sinistra: Giovanni Avantaggiato, Nicola Tanieli, Giovanni Mangia e Luigi Costa

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