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TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Vietata la riproduzione anche parziale

Completa la tua preparazione con la collana Schemi e Schede

Vol. 2/3 - Schemi e Schede di diritto pubblico e costituzionaleVol. 4/2 - Schemi e Schede di diritto amministrativo

Per agevolare la preparazione in termini di rapidità ed efficacia, sull’esempio statunitense, la didattica più recente affianca, allo stu-dio manualistico, alcune avanzate metodologie come, ad esempio, la proiezione di slide per illustrare il percorso logico in cui si sviluppa ciascun argomento.Questa impostazione permette, a quanti vogliano ripassare in tempi rapidi l’intero programma, di costruire un framework, cioè uno schema sistematico generale, cui collegare le fasi di apprendimento contenute nelle singole «schermate».Schemi & Schede, dunque, rappresenta un originale modello di framework che offre a chi studia una visione globale dei contenuti fondamentali di ciascuna disciplina per focalizzare le nozioni apprese, concentrarsi sulle parole chiave, ordinare logicamente i concetti e, infine, fare il «punto» dell’intera materia per superare brillantemente le prove orali.

Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.it ove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

Ideazione e direzione scientifica del Prof. Federico del GiudiceCoordinamento redazionale a cura del dott. Dario di Majo

Revisione e aggiornamento a cura dei dott.ri Pietro Emanuele e Chiara Palladino

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A. (art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Finito di stampare nel mese di aprile 2011

dalla «Rotobook Service s.r.l.» - Via Capri, 67 - Casoria (NA)per conto della ESSELIbRI S.p.A. - Via F. Russo, 33/d - 80123 - Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREmESSA

Il presente volume, giunto alla XIV edizione, offre un quadro completo e aggiornato dei programmi di diritto costituzionale e diritto amministrativo eli-dendo le sovrapposizioni concettuali che inevitabilmente si riscontrano quando lo studio di tali discipline viene svolto su diversi manuali.

In questo manuale, in particolare, in riferimento ai diversi organi dello Stato, la disciplina costituzionale e quella amministrativa sono accorpate e trattate in un’ottica unitaria alla luce dei fondamentali principi di diritto pubblico e costituzionale.

L’opera, suddivisa in due parti — ordinamento costituzionale e ordinamento amministrativo — è completata da box di approfondimento e pratici glossari che facilitano il percorso di apprendimento delle materie e dei lemmi specialistici, giovandosi anche di un dettagliato indice analitico finalizzato ad un immediato reperimento dell’argomento cercato.

Nella stesura del lavoro è stata adottata una forma agile e snella per per-mettere un’assimilazione più agevole e rapida dei principali istituti e delle più rilevanti tematiche trattate.

Il volume, pertanto, rappresenta l’ideale strumento di apprendimento per coloro che necessitano di una preparazione completa in vista del superamento di esami e concorsi pubblici in tempi brevi.

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Gent.le lettore,a completamento del testo, abbiamo pubblicato on-line un’appendice elettronica che

contiene i testi (integrali o commentati) delle principali fonti del diritto pubblico, dei più noti documenti storici costituzionali nonché delle principali Costituzioni straniere.Abbiamo, inoltre, dedicato un’apposita sezione ai documenti internazionali che

riguardano diritti e libertà «fondamentali». Non potevano mancare i riferimenti nor-mativi alla Comunità europea che continua a segnare buona parte delle politiche degli Stati membri. Da ultimo, si è dato ampio spazio alla principale normativa relativa all’ordinamento italiano vigente, a partire dalla Costituzione italiana fino ai singoli Statuti delle Regioni.Visita, dunque, il sito www.simone.it/multimedia/11 per scaricare gratuitamente:

— Documenti storici costituzionali (Magna Charta, Petition of Right, Bill of Right e Dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino);

— Statuti e Costituzioni pre-repubblicane (Statuto Albertino, Statuto del Regno delle Due Sicilie, Statuto del Gran Ducato di Toscana, Costituzione della Repubblica romana e Costituzione della Repubblica sociale italiana);

— Costituzione italiana commentata;— Principale normativa nazionale relativa agli organi costituzionali e alle autonomie

territoriali;— Testi completi degli Statuti delle Regioni ad autonomia ordinaria e delle Regioni

ad autonomia speciale;— Principali Costituzioni straniere vigenti (Stati Uniti, Francia, Germania, Spagna

e Svizzera) con brevi note introduttive;— Principale normativa dell’Unione europea;— Dichiarazioni e Carte internazionali vigenti (Dichiarazione universale dei diritti

dell’uomo, Statuto delle Nazioni Unite, Convenzione per la salvaguardia dei di-ritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Convenzione sui diritti dell’infanzia, Dichiarazione universale sui diritti linguistici e Carta di Algeri).

buon Lavoro!* * *

E5 - Costituzione esplicata. La Carta fondamentale della Repub-blica spiegata articolo per articoloa cura di Federico del GiudiceX Edizione • Pagg. 448 • E 15,00

In appendice:• Statuto Albertino• Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea• Principali siti istituzionali della Repubblica

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PARTE PRImAL’oRdinamEnto

CoStituzionaLE dELLo Stato

Capitolo Primo: L’ordinamento giuridico ................................................. Pag. 7

Capitolo Secondo: Lo Stato ........................................................................ » 10

Capitolo Terzo: L’ordinamento della Repubblica italiana ...................... » 18

Capitolo Quarto: La Comunità internazionale e l’unione europea ....... » 22

Capitolo Quinto: Le fonti del diritto .......................................................... » 31

Capitolo Sesto: La rappresentanza politica .............................................. » 51

Capitolo Settimo: il Parlamento ................................................................. » 60

Capitolo Ottavo: il Governo ....................................................................... » 70

Capitolo Nono: il Presidente della Repubblica ........................................ » 84

Capitolo Decimo: La Corte costituzionale ................................................ » 90

Capitolo Undicesimo: Gli organi di rilievo costituzionale e le autorità indipendenti .......................................................................................... » 95

Capitolo Dodicesimo: La magistratura ...................................................... » 103

Capitolo Tredicesimo: Le Regioni .............................................................. » 110

Capitolo Quattordicesimo: Comuni, Province e Città metropolitane ........ » 128

Capitolo Quindicesimo: i diritti e le libertà fondamentali ....................... » 136

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CAPITOLO PRImO

L’oRdinamEnto GiuRidiCo

Sommario: 1. Società e diritto. - 2. L’ordinamento giuridico. - 3. La norma giuridica.

1. SoCiEtà E diRitto

I concetti di «diritto», «ordinamento giuridico» e «norma giuridica» rimandano tutti alla innata volontà regolatrice di una comunità sociale che si traduce in una serie di prescrizioni capaci di fissare e mantenere un ordine. È questo, del resto, il senso del brocardo latino che accomuna l’uomo, la società e il diritto: «Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius».

Pertanto, nell’ambito di una società giuridicamente organizzata possono indi-viduarsi:— una pluralità di persone (plurisoggettività);— un sistema di norme che regola i comportamenti del gruppo (normazione);— un’organizzazione che assicura la realizzazione degli scopi comuni (organizzazione);— un’adesione della maggioranza alle regole imposte da chi detiene il potere (effetti-

vità).La compresenza di tali elementi consente di qualificare giuridicamente una società

e di definirla, conseguentemente, come gruppo sociale dotato di un ordinamento giuridico.

L’ordinamento giuridico si compone, dunque, di regole di condotta coattive (norme giuridiche) aventi lo scopo di garantire una pacifica convivenza degli uomini.

Al di là di tale definizione generale, esistono molteplici ordinamenti giuridici giacché molteplici sono le finalità e gli interessi che l’uomo persegue.

Fra tali ordinamenti vanno evidenziati quelli a carattere eminentemente politico che si fanno portatori di un fine generale comprensivo di tutti gli aspetti fondamentali della convivenza civile.

L’ordinamento statale rappresenta il modello principe di tale tipo di organizza-zione, la maggiore fra tutte e l’unica portatrice di interessi generali. Le altre comu-nità presenti sul territorio, infatti, perseguono obiettivi particolari, come ad esempio un’associazione sportiva, o territorialmente limitati, come nel caso delle Regioni, delle Province e dei Comuni.

Lo Stato, pertanto, rappresenta l’ambito in cui la molteplicità trova l’unità e i con-fliggenti interessi di diverse organizzazioni trovano sintesi e armonia, contemperandosi ed eventualmente limitandosi per lasciare spazio all’interesse generale.

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8 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

2. L’oRdinamEnto GiuRidiCo

L’ordinamento giuridico, in linea generale, costituisce un insieme di norme dirette a disciplinare una collettività organizzata di persone, sia dal punto di vista dei rapporti che instaura sia dal punto di vista dell’organizzazione che adotta. L’ordinamento, quindi, si definisce «giuridico» quando si compone di norme vincolanti dotate cioè di sanzioni che si applicano in caso di una loro eventuale violazione.

Poiché esistono più gruppi sociali organizzati, esiste anche una pluralità di ordi-namenti giuridici.I criteri utilizzati per la classificazione degli ordinamenti giuridici sono:a) il grado e l’intensità del vincolo che lega gli associati (esempio: il cittadino è legato

indissolubilmente all’ordinamento statale, mentre non lo è ad altri ordinamenti come, ad esempio, un’associazione sportiva);

b) la natura del vincolo con i soggetti dell’associazione: il vincolo può essere neces-sario o volontario;

c) il collegamento (o meno) con un territorio;d) il fine perseguito: esistono ordinamenti a fini morali, religiosi, ricreativi etc.;e) la «fonte» dell’ordinamento: si distinguono gli ordinamenti originari (sorti indipen-

dentemente da altri ordinamenti precedenti, ad esempio lo Stato) da quelli derivati (che devono ad altri ordinamenti la loro formazione, ad esempio le Regioni).

3. La noRma GiuRidiCa

La norma giuridica, nel rispetto del principio della certezza del diritto, costituisce una regola precostituita che disciplina in astratto la condotta dei consociati.La norma giuridica presenta i seguenti caratteri peculiari:a) generalità: poiché si rivolgono alla generalità degli individui, o ad un gruppo più o meno ampio di essi

(ad es. particolari categorie sociali: leggi riguardanti i combattenti, i pensionati etc.);b) astrattezza: in quanto prendono in considerazione dei casi astratti (fat ti spe cie astratte), a cui dovranno

poi ricondursi tutti i casi concreti che presentino gli stessi caratteri contemplati a livello di previsione teorica;

c) novità: poiché pongono «prescrizioni o determinazioni prima inesistenti o, se queste erano già vigenti, le ripropongono mutandone la fonte», ovvero disciplinando in modo diverso la situazione o il compor-tamento (mAZZIOTTI);

d) esteriorità: poiché oggetto della disciplina normativa è l’azione che il soggetto manifesta all’esterno, a nulla rilevando gli elementi interni, psichici o morali, che spingono all’azione;

e) coercibilità (o imperatività): in quanto la loro osservanza da parte dei destinatari è assicurata dalla previsione di una sanzione che l’ordinamento associa all’ipotesi di violazione;

f) positività: perché create, in un determinato momento e per un determinato gruppo sociale, dagli organi e dai soggetti a ciò legittimati. La positività va intesa anche come effettiva vigenza di una norma in un dato momento e contesto.

Dalla definizione della norma giuridica come regola di comportamento obbligato-ria per tutti i consociati se ne evincono gli elementi essenziali, che contribuiscono a differenziarla da tutte le altre norme:

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Capitolo Primo - L’ordinamento giuridico 9

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ea) il precetto: ovvero il comando con cui si impone un determinato comportamento, che può essere positivo (es. paga il tuo debito) o negativo (es. non rubare);

b) la sanzione: ovvero la reazione dell’ordinamento alla inottemperanza, all’inosser-vanza del precetto da parte del destinatario.

Come possono essere classificate le norme giuridiche?Delle norme giuridiche si possono operare varie classificazioni:a) in base al contenuto, si distinguono in proibitive, se contengono un divieto (non rubare, non recare

danno ad altri etc.), precettive, se contengono un comando (paga il debito), e permissive, se concedono delle facoltà di cui il singolo può fare uso o meno (facoltà di ricorrere in appello avverso la sentenza di primo grado);

b) in base alla derogabilità (cioè alla possibilità, per i destinatari, di non seguirle), si distinguono in di-spositive, se regolano un rapporto, ma possono essere liberamente modificate dalle parti (ad esempio il comma 2 dell’art. 1282 c.c. sancisce: «Salvo patto contrario, i crediti per i fitti e pigioni non producono interessi se non dalla costituzione in mora»), suppletive, se regolano un rapporto solo in mancanza di una espressa volontà delle parti (ad esempio l’art. 1063 c.c. che sancisce: «L’estensione e l’esercizio delle servitù sono regolati dal titolo e, in mancanza, dalle disposizioni seguenti...»), e cogenti (o imperative, o assolute, o di ordine pubblico), se non possono essere disapplicate (derogate) neppure mediante l’accordo degli interessati;

c) in base alla sanzione, si distinguono in perfette, se munite di sanzione, e imperfette, se prive di sanzione.

GlossarioCertezza del diritto: principio in base al quale il cittadino può conoscere preventivamente la valutazione giuridica di una condotta e, quindi, le eventuali conseguenze sanzionatorie. Tale condizione è realizzabile solo in presenza di norme giuridiche generali e astratte, chiare e intelligibili, pubbliche e non retroattive, prive di lacune e antinomie.magna Charta Libertatum: carta fondamentale dei diritti e delle libertà promulgata in Inghilterra nel 1215 dopo una lunga lotta tra i feudatari ed il Re Giovanni Senzaterra (1199-1216). Composta di 63 articoli, successivamente ridotti a 47, contiene le prime fondamentali disposizioni concernenti la libertà e l’inviolabilità della Chiesa e dei cittadini, nonché norme regolatrici dei conflitti feudali e ulteriori pre-scrizioni che conferivano particolari prerogative ai baroni. La Magna Charta Libertatum rappresenta il primo documento costituzionale sulle libertà inglesi ed è ancora oggi in vigore.

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CAPITOLO SECONDO

Lo Stato

Sommario: 1. Introduzione. - 2. La sovranità o potere supremo. - 3. Il popolo e la cittadinanza. - 4. Il territorio. - 5. Forme di Stato. - 6. Forme di governo.

1. intRoduzionE

Lo Stato può essere definito come la forma di organizzazione del potere politico, cui spetta l’uso legittimo della forza, su una comunità di persone all’interno di un determinato territorio.Lo Stato è, quindi, un ordinamento:— politico, vale a dire diretto a fini generali, in quanto è portatore dei fini del gruppo

sociale. Si noti, però, che in ogni contesto storico esso è chiamato a sceglier alcune finalità piuttosto che altre (produrre, cioè, «burro o cannoni» a seconda dell’indirizzo politico dominante);

— giuridico, in quanto il sistema delle norme che regolano la condotta dei consociati e degli stessi pubblici poteri ne costituisce elemento essenziale e indefettibile;

— sovrano, in quanto detiene la suprema potestà d’impero, che si impone sul territorio;— originario, in quanto trova in se stesso il fondamento della sua validità, non deri-

vando dalla volontà di alcun ordinamento superiore;— indipendente, in quanto non riconosce alcuna autorità superiore e in quanto si pone

in posizione di parità con gli altri ordinamenti.Lo Stato si compone di tre elementi essenziali:1. un elemento personale (popolo);2. un elemento spaziale (territorio);3. un elemento organizzativo (sovranità).

2. La SoVRanità o PotERE SuPREmo

a) nozioneLa sovranità consiste nel potere supremo dello Stato all’interno del proprio ter-

ritorio (sovranità interna) e nell’indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro Stato (sovranità esterna).

Il concetto di sovranità, dunque, può essere interpretato in una duplice prospettiva, ovvero quale:— sovranità esterna (cd. internazionale), che riguarda i rapporti dello Stato con gli

altri Stati o con le organizzazioni internazionali e si sostanzia nell’effettiva e con-creta autonomia che ciascuno Stato, in virtù della sua originarietà, possiede;

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Capitolo Secondo - Lo Stato 11

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e— sovranità interna, che attiene ai rapporti dello Stato con i cittadini e quanti ri-siedono sul suo territorio, e si manifesta nel potere d’imperio di cui lo Stato è titolare, connotandosi nella supremazia nei confronti di ogni altro soggetto, ente o organizzazione che opera sul territorio statale.

B) La legittimazione del potereIl potere supremo, come detto, consente allo Stato di imporre la propria volontà

anche attraverso l’uso della forza. Può accadere che tale potere sia finanche capace di indirizzare le scelte dell’individuo anche laddove si abbiano idee differenti. In questo caso si parla di «potere sociale» per indicare la capacità di influenzare il comportamento degli individui da parte di chi detiene il potere (cd. «autorità sociale»).Tradizionalmente, coesistono tre differenti tipi di potere:1. potere politico, che permette all’autorità sociale di imporre la propria volontà anche attraverso l’uso

della forza;2. potere economico, che consente all’autorità sociale di detenere il monopolio di determinati beni primari

per spingere la collettività, o anche i singoli, ad assumere un determinato comportamento;3. potere ideologico, che fonda la sua forza su beni immateriali, come le dottrine filosofiche e religiose,

per indurre i singoli a determinati comportamenti attraverso la propaganda. Tale potere nell’era moderna viene esercitato attraverso i mezzi di comunicazione di massa (televisione, giornali, radio etc.).

Affinché la gestione del potere da parte dell’autorità sociale venga accettata dalla collettività, occorre una giustificazione teorica e una conseguente condivisione ideo-logica da parte della maggioranza: è questa la cd. legittimazione del potere.

Storicamente, la fonte di tale legittimazione è stata ricondotta alla volontà divina (potere teocratico) o all’appartenenza alla famiglia regnante (potere dinastico). Oggi, invece, il potere è attribuito imprescindibilmente alla volontà popolare, così come sancito dall’art. 1 della nostra Costituzione.

3. iL PoPoLo E La Cittadinanza

a) ConcettoIl termine popolo indica la comunità di individui cui l’ordinamento giuridico

statale attribuisce lo status di cittadino (mARTINES). La cittadinanza, conseguen-temente, è la condizione cui la Costituzione riconnette una serie di diritti e doveri (bIN-PITRUZZELLA). Il cittadino italiano, per esempio, gode del diritto di votare, ma specularmente deve adempiere ad alcuni doveri come quello di essere fedele alla Repubblica (art. 54 Cost.) o di concorrere alle spese pubbliche (art. 53 Cost.) in ragione della propria capacità contributiva.Rispetto al concetto di popolo si possono individuare ulteriori concetti:— popolazione, che indica l’insieme degli individui che si trovano, in un dato momento, nel territorio di

uno Stato, compresi gli stranieri e gli apolidi. Si tratta di un concetto non giuridico ma demografico;— nazione, che identifica una collettività etnico-sociale caratterizzata dalla comunanza di lingua, razza,

costumi e religione.

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12 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

B) Criteri generali per l’acquisto della cittadinanzaOgni Stato fissa i criteri in base ai quali la cittadinanza può essere acquistata. I

criteri più diffusi sono:— la nascita, in relazione alla quale può rilevare la cittadinanza dei genitori (ius

sanguinis) o il luogo in cui avviene (ius soli). Lo ius sanguinis serve a conservare una maggiore coesione dell’elemento popolo, mentre lo ius soli

viene adottato nei paesi a forte immigrazione, per far sorgere in essi un elemento nazionale omogeneo e rinsaldato dal vincolo di cittadinanza, spesso l’unico legame forte esistente fra diverse etnie (si pensi agli Stati Uniti o al Canada);

— l’estensione, che ricollega l’acquisto della cittadinanza al verificarsi di eventi successivi alla nascita (matrimonio, adozione);

— la concessione dello Stato, subordinata al verificarsi di condizioni o fatti particolari.Poiché i criteri adottati non sono eguali in tutti gli Stati, si possono verificare le ipotesi del:— bipolide, quando un soggetto è considerato cittadino da due diversi Stati (es.: il figlio di emigrato italiano

nato in uno Stato estero);— apolide, quando un soggetto non è riconosciuto cittadino da nessun Stato.

C) acquisto, perdita e riacquisto della cittadinanza italianaLa L. 5 febbraio 1992, n. 91 stabilisce che è cittadino:1) per nascita (art. 1):

— il figlio di padre o di madre cittadini;— chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il

figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono;— il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga trovato il possesso di altra

cittadinanza;2) per estensione:

— il figlio riconosciuto o dichiarato giudizialmente durante la minore età. Se il figlio riconosciuto o dichiarato è maggiorenne conserva il proprio stato di cittadinanza, ma può dichiarare, entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale, ovvero dalla dichiarazione di efficacia del provvedimento straniero, di eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai figli per i quali la paternità o maternità non può essere dichiarata, purché sia stato riconosciuto giudizialmente il loro diritto al mantenimento o agli alimenti (art. 2);

— il minore straniero adottato da cittadino italiano (art. 3);— il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente

da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, qualora non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi. I termini sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi (art. 5 così come sostituito dalla L. 15 luglio 2009, n. 94);

3) per beneficio di legge (art. 4):— lo straniero o l’apolide, del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo

grado sono stati cittadini per nascita:a) se presta effettivo servizio militare per lo Stato italiano e dichiara preventivamente di voler

acquistare la cittadinanza italiana;

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Capitolo Secondo - Lo Stato 13

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eb) se assume pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana;

c) se, al raggiungimento della maggiore età, risiede legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica e dichiara, entro un anno dal raggiungimento, di voler acquistare la cittadinanza italiana;

— lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data;

4) per naturalizzazione (art. 9):— lo straniero quando abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale

interesse dello Stato.La cittadinanza italiana si perde:— per assunzione di impiego pubblico o carica pubblica presso uno Stato estero o un ente internazionale

cui non partecipi l’Italia o per prestazione di servizio militare per uno Stato estero, sempreché non si ottemperi all’intimazione che il Governo italiano rivolge di abbandonare l’impiego, la carica o il servizio militare (art. 12);

— quando si accetti o non si abbandoni un impiego o una carica pubblica, si presti servizio militare senza esservi obbligato o si acquisti volontariamente la cittadinanza di uno Stato estero che si trovi in stato di guerra con l’Italia (art. 12);

— per rinunzia, qualora il cittadino italiano risieda o stabilisca la residenza all’estero (art. 11) oppure, essendo figlio di persona che ha acquistato o riacquistato la cittadinanza, abbia raggiunto la maggiore età e sia in possesso di altra cittadinanza (art. 14).

La cittadinanza italiana si può riacquistare:— per prestazione del servizio militare o assunzione di un impiego pubblico alle dipendenze dello Stato

italiano (anche all’estero) e previa dichiarazione di volerla riacquistare;— per rinuncia da parte di un ex cittadino all’impiego o servizio militare presso uno Stato estero con

trasferimento, per almeno due anni, della propria residenza in Italia;— per dichiarazione di riacquisto con stabilimento, entro un anno, della residenza nella Repubblica, ovvero

dopo un anno dalla data in cui l’ex cittadino ha stabilito la propria residenza nel territorio italiano, salvo espressa rinuncia.

d) La cittadinanza europeaDal 1° novembre 1993 a tutti i cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea

è riconosciuta, oltre alla propria cittadinanza nazionale, anche quella europea. Se-condo quanto stabilito dall’articolo 20 del Trattato sull’Unione europea «è cittadino dell’unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro». La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima». Sono cittadini europei anche coloro che hanno una doppia cittadinanza, di cui una di uno Stato membro e l’altra di uno Stato terzo.

4. iL tERRitoRio

Il territorio è la sede su cui è stabilmente organizzata la comunità statale e su cui lo Stato esercita la propria sovranità.

La precisa delimitazione dei confini del territorio di competenza è una condizione essenziale per garantire allo Stato l’esercizio della sovranità, poiché limita le possibilità che più Stati rivendichino la propria autorità su un medesimo territorio.

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14 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

I confini dello Stato sono distinti in artificiali (se opera dell’uomo) e naturali (se esistenti in natura, come laghi, fiumi etc.).In particolare il territorio comprende:— la terraferma: che abbraccia la parte della superficie terrestre compresa nei confini dello Stato;— il mare territoriale: cioè la fascia costiera di mare su cui si esercita la potestà dello Stato. Tale fascia

tende ad essere fissata, per consuetudine, a 12 miglia dalla costa; tale è il limite esterno anche per la legge italiana;

— la piattaforma continentale, vale a dire i fondi marini e il loro sottosuolo al di là del mare territoriale, fino a 200 miglia marine dalle linee-base a partire dalle quali è misurato il mare territoriale (art. 76 della Convenzione di montego bay del 1982). Su tale piattaforma sono riconosciuti diritti sovrani ai fini dell’esplorazione e dello sfruttamento delle sole risorse naturali. La Convenzione di montego Bay ha individuato anche una zona economica esclusiva, fino a 200 miglia dalla costa, all’interno della quale tutte le risorse economiche sono di pertinenza dello Stato costiero, fatto salvo il diritto degli altri Stati di navigazione, sorvolo e posa di cavi o oleodotti;

— lo spazio aereo sovrastante la terraferma e il mare territoriale (con esclusione dello spazio extra-atmosferico) e il sottosuolo, nei limiti della loro effettiva utilizzabilità;

— il territorio fluttuante, vale a dire:a) le navi e gli aerei mercantili in viaggio in alto mare e sul cielo soprastante;b) le navi e gli aerei militari, ovunque si trovino.

5. FoRmE di Stato

a) definizioneCon l’espressione «forma di Stato» si suole indicare il modo in cui lo Stato risulta

strutturato nella sua totalità (mORTATI), ovvero il rapporto intercorrente fra governanti e governati (mARTINES).

Nell’analisi delle varie forme di Stato bisogna tener conto che nel corso dei secoli si è assistito ad un graduale passaggio dallo Stato assoluto a quello liberale per giungere infine, dopo le esperienze particolari dello Stato totalitario e dello Stato socialista che hanno caratterizzato parte del XX secolo, allo Stato de-mocratico e sociale.

B) Lo Stato per ceti e lo Stato assolutoIl monarca e i signori feudali esercitavano sui propri territori poteri assoluti, necessari per garantire

l’ordine interno e assicurare una comune difesa dai nemici esterni. Tali compiti, tuttavia, col tempo acqui-starono dimensioni sempre maggiori.

In questa fase iniziale della formazione dello Stato moderno (che ha raggiunto la sua massima espressione nelle monarchie europee dal ’500 al ’700), il monarca tende ad esautorare e subordinare gli altri signori feudali, dotandosi a questo scopo di una propria e fedele struttura burocratica e militare. Dall’altra parte, le corporazioni feudali e i nuovi gruppi sociali riuniti in ceti si pongono nei confronti del monarca come potere autonomo, in grado di collaborare con il principe al suo sistema di dominio (Ständestaat o Stato per ceti). A partire dal XIV secolo le grandi monarchie nazionali di Francia, Spagna e Inghilterra, rappresentarono i principali modelli paradigmatici di assolutismo; due secoli più tardi, con l’avvento dell’Illuminismo, sovrani assoluti ma lungimiranti come Federico II di Prussia avrebbero dato vita a forme più riformiste di governo, inaugurando la stagione del cd. dispotismo illuminato.

Tra il XVII e il XVIII secolo l’assolutismo assunse, invece, quella forma razionalizzata che si suole designare Stato di polizia, intendendosi per tale quello Stato che si preoccupa della felicità, del benessere e della sicurezza interna dei sudditi, attraverso un efficiente sistema di polizia (dal greco politeia) nonché della loro difesa da minacce esterne, predisponendo all’uopo idonee strutture militari.

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eC) Lo Stato liberale e lo Stato di dirittoLa trasformazione dell’economia da sistema prevalentemente agricolo a sistema industrializzato segna

il periodo che va dalla fine del XVIII alla metà del XIX secolo e favorisce l’ascesa della borghesia impren-ditoriale le cui richieste di partecipare alla gestione del potere si fanno sempre più pressanti.Elementi caratterizzanti dello Stato liberale sono:— la natura rappresentativa dei sistemi costituzionali, per cui la legittimazione del potere politico è rav-

visata nella volontà dei consociati che eleggono i componenti delle assemblee rappresentative;— l’introduzione di nuove regole di gestione del potere secondo il modello della tripartizione delle funzioni

statali (legislativa, esecutiva, giurisdizionale);— il ridimensionamento dei compiti dello Stato, destinato solo a garantire l’ordine e la sicurezza;— la soggezione dei pubblici poteri alla legge (Stato di diritto).

I l cittadino inizia ad essere tutelato, come individuo, contro lo strapotere del Re e dell’apparato am-ministrativo.

d) Lo Stato socialeCaratteristica precipua dello Stato sociale è l’azione politica finalizzata alla rimozione delle diseguaglian-

ze di fatto esistenti nella società, al fine di realizzare i presupposti per conseguire l’eguaglianza sostanziale fra tutti i cittadini e la concreta partecipazione dei consociati alla vita pubblica e alla gestione del potere.Tale tipo di Stato si distingue per i seguenti caratteri:1. tutela della libera, sicura e dignitosa esistenza di tutti i cittadini;2. impegno statale per raggiungere la piena occupazione;3. intervento statale nel sistema economico e svolgimento di attività di istruzione, assistenza, previdenza,

a favore di tutti i cittadini.Dal punto di vista istituzionale lo Stato sociale si presenta come un’integrazione dello Stato di diritto,

nel rispetto della tradizionale ripartizione dei poteri, dell’assolutezza dei diritti di libertà e del valore pri-mario della legge.

E) Lo Stato totalitarioLe esperienze più significative di questa forma di Stato si realizzarono nell’Italia fascista e nella Ger-

mania nazionalsocialista. Presupposti comuni furono:— l’esaltazione della collettività nazionale e la conseguente svalutazione dell’individuo, ridotto a mero

strumento della prima;— la fiducia nella capacità quasi magica del Capo (Duce o Führer) di interpretare la reale volontà della

Nazione;— il ruolo centrale del partito unico di massa nell’inquadramento, mobilizzazione e indottrinamento delle

masse, cui era richiesta la totale e incondizionata adesione agli indirizzi del regime;— la concentrazione dei poteri nella figura del Capo;— la soppressione delle libertà fondamentali e degli istituti dello Stato liberale (elezioni, separazione dei

poteri, principio di legalità, rispetto delle autonomie locali e sindacali).

F) Lo Stato socialistaNel 1917, in Russia, per la prima volta, sulla base della dottrina marxista-leninista, veniva istaurata una

dittatura del proletariato, che nel 1936 lasciava il posto allo Stato socialista degli operai e dei contadini, concepito sull’idea di una società senza classi sociali nella quale l’interesse e il bene comuni prevalessero sulle aspettative di benessere individuale. Caratteri di tale forma di Stato sono: l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, sistema economico collettivo e pianificato, identificazione fra apparato dello Stato e partito comunista. Tale forma di Stato si diffuse successivamente in Europa orientale, in alcuni paesi afro-asiatici e a Cuba. È entrato in crisi agli inizi degli anni novanta, in seguito al processo di rinnovamento

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16 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

politico che ha portato allo smembramento dell’Unione Sovietica in 15 repubbliche indipendenti e al crollo dei regimi che orbitavano intorno ad essa, collassando poi definitivamente per le conseguenze disastrose dovute alla rigidità del sistema economico, che ha impedito ai paesi socialisti di reggere la concorrenza politica, economica e militare dei paesi capitalisti, ed oggi è una forma quasi del tutto scomparsa.

G) Stato unitario, Stato federale, Stato regionaleUn altro criterio di classificazione delle forme di Stato è quello della dislocazione del potere sul territorio,

alla luce del quale si distingue:— lo Stato unitario, in cui esistono un unico governo e un’unica organizzazione statale, sicché tutte le

istituzioni politiche e le strutture amministrative si collocano ad un solo livello, quello centrale;— lo Stato federale, in cui i membri della federazione hanno una competenza generale in virtù della quale

ciascuno esercita autonomamente nel proprio territorio le funzioni legislative, esecutive e giurisdizionali, fatta eccezione per le materie che sono espressamente attribuite agli organismi federali. In pratica, al Governo centrale si contrappongono i Governi dei vari Stati membri della federazione;

— lo Stato regionale, pur mantenendo ferma l’unità e indivisibilità dello Stato, riconosce la più ampia autonomia territoriale, riservando alcune materie alla competenza, anche legislativa, delle Regioni.

6. FoRmE di GoVERno

a) nozioneCon l’espressione «forma di governo» si intendono i modi in cui il potere è distribuito

tra gli organi principali di uno Stato-apparato e l’insieme dei rapporti che intercorrono tra essi (bIN-PITRUZZELLA).

Non si può capire veramente il concetto di forma di governo senza accennare brevemente al princi-pio della separazione dei poteri. In virtù di tale principio ogni funzione statale (legislativa, esecutiva e giudiziaria) deve essere esercitata da organi diversi, ciascuno dotato di proprio potere di decisione, senza interferenze tra l’uno e l’altro. In pratica:— alla funzione legislativa (esercitata dal Parlamento) spetta il compito di creare la norma giuridica, vale

a dire quella regola generale ed astratta che si rivolge a tutti i componenti una determinata collettività;— alla funzione esecutiva (esercitata dal Governo) spetta il compito di dare concreta attuazione alla norma

emanata;— alla funzione giudiziaria (esercitata dalla magistratura) spetta il compito di interpretare e applicare la

norma, utilizzandola per risolvere le controversie che insorgono. Scopo ultimo di tale separazione è quello di garantire che all’occorrenza un potere possa arrestare l’al-

tro, evitando che uno di essi possa prevaricare e degenerare nell’assolutismo o in atteggiamenti tirannici; in pratica esso costituisce la migliore garanzia affinché sia assicurata la libertà politica dei cittadini (v. anche Cap. IV, par. 1).

Quasi tutti gli Stati contemporanei hanno accolto il principio della separazione dei poteri, anche se in concreto le soluzioni adottate sono diverse, soprattutto con riferimento ai rapporti tra chi esercita la funzione legislativa (il Parlamento) e chi esercita la funzione esecutiva (il Governo). In alcuni Paesi la separazione è netta, mentre in altri esiste un rapporto di fiducia tra il Parlamento ed il Governo; in alcuni Stati al vertice dell’esecutivo è posto un Presidente, mentre in altri la figura del Capo dello Stato è puramente simbolica e il Governo è controllato dal Primo ministro. Questi elementi di differenziazione hanno portato ad individuare nella realtà contemporanea diverse forme di governo: parlamentare, presidenziale, semi-presidenziale e direttoriale.

B) La forma di governo parlamentareSi tratta della forma di governo adottata dalla maggioranza degli Stati contemporanei ed è caratterizzata

dal fatto che il Governo formula un indirizzo politico che si impegna a seguire e di cui è responsabile solo

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edinanzi al Parlamento il quale, a sua volta, può in ogni momento revocarlo, togliendogli la cd. fiducia. La carica di Capo dello Stato può essere assunta da un monarca o da un Presidente eletto, ma in genere gode di limitati poteri e non partecipa alla determinazione dell’indirizzo politico.

La principale caratteristica della forma di governo parlamentare è, quindi, costituita dalla commistione tra la funzione legislativa e quella esecutiva; tra i due organi si instaurano complessi rapporti caratterizzati da una serie di pesi e contrappesi (il cd. balance of powers) per cui il Governo, titolare della funzione esecu-tiva, è sottoposto al controllo del Parlamento, unico organo eletto direttamente dal popolo (corpo elettorale).

C) La forma di governo presidenzialeCon il termine presidenzialismo si indica una forma di governo in cui il principio della separazione dei

poteri è applicato in maniera assai rigida, ed in particolare è assai accentuata la distinzione tra legislativo ed esecutivo.

Le caratteristiche principali della forma di governo presidenziale sono tre: l’esistenza di un Capo dello Stato (Presidente) eletto direttamente dal popolo, l’assunzione da parte del Presidente del doppio ruolo di Capo dello Stato e di Capo del Governo e l’impossibilità per il Parlamento di approvare una mozione di sfiducia che imponga le dimissioni dell’esecutivo.

d) La forma di governo semi-presidenzialeCostituisce una soluzione intermedia tra la forma di governo presidenziale e quella parlamentare. La

sua caratteristica principale, infatti, è data dal doppio rapporto di fiducia che lega il Governo; da un lato quest’organo è nominato dal Presidente della Repubblica, ma dall’altro deve comunque godere della fiducia del Parlamento. La carica di Capo dello Stato è assunta da un Presidente eletto direttamente dal popolo e al quale sono attribuiti rilevanti poteri nella determinazione dell’indirizzo politico.

Il sistema semi-presidenziale è stato adottato in Francia con la Costituzione del 1958 ed è così denominato perché assume contemporaneamente delle caratteristiche proprie del parlamentarismo e del presidenzialismo.

E) La forma di governo direttorialeÈ caratterizzata dal fatto che il Governo (che, in questo caso, assume la denominazione di direttorio)

viene nominato dal Parlamento ad inizio legislatura, ma non può essere successivamente revocato attraver-so un voto di sfiducia, con la garanzia quindi di poter operare in completa autonomia fino alle successive elezioni. Lo stesso direttorio elegge, al suo interno, il Capo dello Stato.

Si tratta di una forma di governo che attualmente è prevista solo nell’ordinamento svizzero.

GlossarioCittadinanza: è la condizione giuridica di chi appartiene ad un determinato Stato; più propriamente è l’insieme dei diritti e dei doveri che l’ordinamento riconosce al cittadino.Convenzione di montego Bay: Convenzione delle Nazioni Unite firmata a montego bay il 10 dicembre 1982 e ratificata con L. 2-12-1994, n. 689. Regolamenta tutti gli aspetti del diritto marino e mira a delineare un codice universale per lo sfruttamento del mare e delle sue risorse economiche.tutela diplomatica e consolare: è quella che forniscono le sedi diplomatiche e consolari di uno Stato ai propri connazionali che si trovano in un paese straniero in caso di violazione dei loro diritti, o in caso di limitazione o privazione della libertà personale ecc.

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CAPITOLO TERZO

L’oRdinamEnto dELLa REPuBBLiCa itaLiana

Sommario: 1. Costituzione e ordinamento costituzionale. - 2. Lo Statuto Albertino. - 3. Il colpo di stato fascista (1922). - 4. Dalla caduta del fascismo alla Costituzione repubblicana. - 5. La Costituzione italiana.

1. CoStituzionE E oRdinamEnto CoStituzionaLE

Il sorgere di un ordinamento giuridico può essere ricondotto alla definizione di un «sistema» che, come evidenziato in dottrina (bARbERA-FUSARO), sia in grado di assicurare:— unità, in base a un principio fondante;— coerenza, rimuovendo le eventuali contraddizioni fra le norme;— completezza, garantendo l’assenza di lacune normative.

Tuttavia, l’ordinamento giuridico per potersi perfezionare e costantemente aggior-narsi necessita di un complesso di principi e valori fondanti e intangibili, cioè di un progetto costituente che spesso viene consacrato in atti costitutivi, statuti etc. e che viene comunemente definito «Costituzione».

In realtà, esistono ordinamenti giuridici statali che, pur non avendo una Costitu-zione in senso stretto (Costituzione formale), sono dotati di un insieme di norme che costituiscono l’ordinamento costituzionale (Costituzione materiale).

È possibile, quindi, definire l’ordinamento costituzionale come quel nucleo di nor-me, scritte e non scritte, che danno forma all’ordinamento giuridico e rappresentano l’elemento strutturale che determina l’identità dello Stato.

L’ordinamento statale italiano, in particolare, si caratterizza per una Costituzione scritta, votata, rigida in senso forte e lunga che rappresenta il risultato di vicende storico-giuridiche che devono essere brevemente studiate per comprendere appieno i presupposti ideologici della Repubblica italiana.

2. Lo Statuto aLBERtinoLo Statuto Albertino, concesso da Carlo Alberto il 4 marzo 1848, era ispirato ai princìpi dello Stato

liberale e del governo «costituzionale puro».Lo Statuto presentava i caratteri di una Costituzione ottriata, cioè concessa unilateralmente e spontanea-

mente dal Sovrano, e flessibile, cioè di grado pari alla legge ordinaria; esso era modificabile con un semplice procedimento legislativo ordinario, che non offriva nessuna garanzia di tutela ai cittadini.

Il testo dello Statuto prevedeva una forma di governo di tipo dualista (Corona, Parlamento), sebbene sbilanciata a favore del monarca, e tentava di conciliare il principio legittimista (relativo alla posizione della Corona) con il principio democratico (che riconosceva il potere della Camera come derivante dalla diretta investitura del popolo) (PIZZORUSSO).

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eIl Re esercitava il potere esecutivo attraverso ministri di sua fiducia e solo davanti a lui responsabili. Il potere legislativo era attribuito al Parlamento, anche se il sovrano godeva anche in questo ambito di ampie prerogative. Il Parlamento era formato dal Senato del Regno, composto da membri scelti dal Re, e dalla Camera bassa, i cui componenti erano eletti e che godeva di poteri più vasti.

Anche il potere giudiziario annoverava al vertice della sua gerarchia la figura del Re, chiamato a sce-gliere i giudici che, anche se dotati di limitata indipendenza, erano gerarchicamente subordinati al ministro di Grazia e giustizia. Si ricordi, infine, che i giudici amministravano la giustizia in nome del Re e non del popolo (PIZZORUSSO).

Per le questioni di politica estera il Sovrano occupava una posizione di preminenza: infatti, quello preposto al portafoglio degli Esteri era sempre un ministro particolarmente gradito alla Corona.

Lo Statuto, essendo una Costituzione breve, si limitava ad elencare genericamente i diritti e le libertà dei cittadini rinviando al legislatore per la normativa di attuazione, senza garantirne in nessun modo l’intangibilità.

3. iL CoLPo di Stato FaSCiSta (1922) Con le elezioni del 1919 fecero il loro ingresso sulla scena politica italiana i grandi partiti di massa

(popolare e socialista), i quali, grazie alla riforma elettorale, avevano assunto una posizione di rilievo costringendo gli ex-interventisti e la borghesia agraria e industriale a coalizzarsi per conservare il potere.

La tolleranza dimostrata dalle autorità nei confronti delle violenze politiche e la debolezza istituzionale del sistema parlamentare resero possibile il colpo di stato dell’ottobre 1922. Le squadre fasciste, che da anni perpetravano ogni genere di violenza su tutto il territorio nazionale, la sera del 27 ottobre 1922 si diedero convegno e si accamparono minacciose alle porte di Roma.

Il Re, con prassi del tutto estranea al regime parlamentare, designò il 29 ottobre Primo ministro benito mussolini, che era alla testa delle squadre fasciste.

mussolini diventò Capo del Governo e diede vita ad una serie di trasformazioni istituzionali che fecero degenerare il regime parlamentare in dittatura.

Il Parlamento perse gradualmente il suo carattere rappresentativo.A capo del Governo e del Paese era collocato il duce, che divideva (solo teoricamente) con la Corona

la responsabilità di governo (cfr. L. 2263/1925).L’unico partito politico riconosciuto dal sistema fu quello «nazionale fascista» e l’appartenenza ad

esso costituì requisito indispensabile per l’ammissione ai pubblici impieghi.Anche le libertà civili, fino ad allora già poco rispettate, furono soppresse definitivamente mentre gli

organi del regime godevano di una quasi totale libertà d’azione di cui si servirono per limitare i più elementari diritti dei cittadini (di domicilio, soggiorno, riunione, associazione, stampa etc.).

4. daLLa Caduta dEL FaSCiSmo aLLa CoStituzionE REPuBBLi-CanaDopo la caduta del fascismo, avvenuta il 25 luglio 1943, la monarchia tentò di ripristinare l’assetto

istituzionale precedente (vale a dire il regime parlamentare fondato sullo Statuto albertino), gestendo la fase di transizione con un governo autoritario presieduto dal maresciallo badoglio, costituitosi il 26 luglio. Il collasso dello Stato italiano dopo l’armistizio dell’8 settembre, rese, però, impossibile un automatico ripristino del previgente regime.

Già il 16 ottobre del 1943 l’esarchia (cioè i sei partiti rappresentati nei Comitati di liberazione nazionale: Democrazia cristiana, Partito comunista, Partito socialista, Partito d’azione, Democrazia del lavoro e Partito liberale) chiese una consultazione popolare per scegliere democraticamente la forma di Stato che avrebbe dovuto assumere l’Italia dopo il fascismo.

Superate le tensioni più forti fra monarchia e forze repubblicane in nome dell’unità della lotta al na-zifascismo, il 12 aprile 1944 Vittorio Emanuele III si ritirò a vita privata, istituendo una luogotenenza del regno a favore del figlio Umberto e affidando ad un’Assemblea costituente, da eleggersi appena possibile, il compito di scegliere fra monarchia e Repubblica.

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20 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

All’indomani della fine della seconda guerra mondiale, il 2 giugno 1946, fu chiesto ai cittadini italiani di scegliere se mantenere in vita la monarchia o dar vita a una Repubblica.

Il referendum istituzionale si tenne contemporaneamente all’elezione dei deputati all’assemblea Costituente, chiamati a redigere la nuova Costituzione.

La consultazione popolare diede (anche se di misura e con strascichi e contestazioni) esito favorevole alla Repubblica, e il 22 giugno si tenne la prima seduta dell’Assemblea costituente, formata da 556 membri. Preso atto che un’Assemblea così numerosa non poteva elaborare un testo costituzionale, si decise, sin dal 15 luglio, di istituire una Commissione ristretta di 75 deputati, col compito di elaborare e predisporre un progetto di Costituzione.

Tale Commissione si articolò, a sua volta, in tre sottocommissioni: diritti e doveri dei cittadini, organiz-zazione costituzionale dello Stato, diritti e doveri nel campo economico e sociale.

A partire dal 4 marzo iniziò la discussione in Aula del progetto di Costituzione, che si concluse con l’approvazione del testo definitivo nella seduta del 22 dicembre 1947, con 453 voti favorevoli e 62 contrari.

La Costituzione italiana è entrata in vigore il 1° gennaio 1948.

5. La CoStituzionE itaLiana

a) StrutturaLa Costituzione italiana si compone di 139 articoli (alcuni dei quali abrogati dalla

L. cost. 3/2001), cui si aggiungono 18 Disposizioni transitorie e finali.I primi dodici articoli del testo costituzionale sono dedicati ai principi fondamentali

della Repubblica, mentre i successivi sono divisi in due parti. La Parte Prima riguarda i diritti e i doveri del cittadino, nell’ambito dei rapporti

civili (artt. 13-28), dei rapporti etico-sociali (artt. 29-34), dei rapporti economici (artt. 35-47) e dei rapporti politici (artt. 48-54).

La Parte Seconda (artt. 55-139) è dedicata all’ordinamento della Repubblica, nell’ambito della quale viene operata una distinzione tra organi costituzionali e organi di rilievo costituzionale.

Devono considerarsi organi costituzionali dello Stato quegli organi che, oltre a godere di una posizione di autonomia qualificata che li configura come «poteri dello Stato», partecipano in diverso modo alla funzione politica. Le loro funzioni sono di-rettamente disciplinate dalla Costituzione ed una loro modifica importa l’emanazione di norme costituzionali.Sono organi costituzionali:— il Presidente della Repubblica;— la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica;— il Governo;— la Corte costituzionale.

Gli organi di rilievo costituzionale sono, invece, quegli organi che, pur non par-tecipando della funzione politica, né essendo essenziali alla struttura costituzionale dello Stato, sono individuati (non disciplinati) dalla Costituzione, la quale rinvia al legislatore ordinario per la disciplina della loro attività.Possono considerarsi organi di rilievo costituzionale:— il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL);

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Capitolo Terzo - L’ordinamento della Repubblica italiana 21

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e— la Corte dei conti;— il Consiglio di Stato;— il Consiglio supremo di Difesa;— le autorità amministrative indipendenti.

B) CaratteriL’Assemblea costituente scelse una Carta costituzionale:— lunga, che disciplinava più dettagliatamente il funzionamento dei singoli organi

costituzionali e che garantiva una tutela più ampia ed esplicita dei diritti dei cittadini;— rigida, non modificabile, cioè, da leggi ordinarie, ma solo da leggi costituzionali

(approvate cioè con un procedimento legislativo che coinvolgesse maggioranze più ampie ed implicasse il consenso di aree politiche più vaste). Il problema del controllo di conformità alla Costituzione delle leggi fu risolto con la creazione di un organo ad hoc: la Corte costituzionale;

— programmatica, nel senso che essa non si limita a sancire regole specifiche e precise per l’organizzazione e l’azione dei pubblici poteri o per la disciplina dei rapporti fra questi e i cittadini, ma stabilisce gli obiettivi e i programmi alla cui realizzazione deve tendere l’attività della Repubblica.

Glossarioassemblea Costituente: organo collegiale straordinario e temporaneo eletto allo scopo di redigere e approvare la Costituzione italiana nonché svolgere le funzioni legislative in sostituzione delle ordinarie assemblee parlamentari. Tale organo restò in carica dal 1946 al 1948 e fu composta da 556 membri. Al suo interno vennero scelti i membri della cd. Commissione dei 75, suddivisa in 3 sottocommissioni, che dopo 6 mesi presentò il progetto di Costituzione che venne discusso in 173 sedute e approvato il 22 dicembre 1947.Statuto albertino: concesso da Carlo Alberto il 14 marzo 1848, costituì dapprima la Carta costituzionale del Regno di Sardegna e, in seguito, del Regno d’Italia. Si definisce «Statuto» per evidenziarne l’origine non rivoluzionaria ma ottriata, cioè per concessione del sovrano. Più volte modificato nel tempo, rimase in vigore fino all’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana, il 1 gennaio 1948.

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CAPITOLO QUARTO

La Comunità intERnazionaLE E L’unionE EuRoPEa

Sommario: 1. Il diritto internazionale. - 2. I soggetti dell’ordinamento internazionale. - 3. L’Organiz-zazione delle Nazioni Unite (ONU). - 4. Costituzione italiana e ordinamento internazionale. - 5. Dalle Comunità europee all’Unione europea. - 6. Le istituzioni dell’Unione europea. - 7. Costituzione italiana e Unione europea.

1. iL diRitto intERnazionaLE

Una delle caratteristiche distintive dello Stato è la sovranità, intesa come indipenden-za rispetto ad influenze di altri soggetti, sia di diritto interno sia di diritto internazionale. Tale caratteristica è, ovviamente, comune a tutti gli Stati, per cui si pone il problema di stabilire quali siano le regole che disciplinano i rapporti tra enti tutti egualmente sovrani.

Il diritto internazionale è, per l’appunto, il complesso delle norme e dei principi che regolano i rapporti intercorrenti tra i soggetti della Comunità internazionale.

2. i SoGGEtti dELL’oRdinamEnto intERnazionaLE

a) La soggettività giuridica internazionalePer comprendere meglio le peculiarità che caratterizzano l’ordinamento internazio-

nale va esaminato il concetto di soggettività rilevante per questo ordinamento.Innanzitutto occorre precisare che, nell’ordinamento internazionale, per acquisire la

qualità di soggetti non basta essere destinatari di diritti e di obblighi (cioè avere la capacità giuridica), ma bisogna anche dimostrare la capacità d’agire, cioè l’attitudine a creare, mo-dificare o estinguere norme internazionali. Questa precisazione implica che sono soggetti dell’ordinamento internazionale solo le «entità giuridiche» capaci di operare sul piano internazionale in maniera effettiva ed indipendente, in primo luogo gli Stati.

B) Lo Stato

Il termine Stato è plurisenso e può assumere diverse accezioni:— Stato-ordinamento, se indica l’ordinamento giuridico statale nel suo complesso,

comprensivo di tutti i suoi elementi costitutivi;— Stato-apparato o Stato-governo, in relazione al solo apparato burocratico e alle

strutture di vertice dello Stato, ossia all’insieme degli organi statali che, in un dato momento storico, esercitano la propria potestà d’imperio sulla collettività presente nel territorio nazionale;

— Stato-comunità, riferito all’insieme dei soggetti appartenenti alla comunità statale e stanziati su un determinato territorio, cui è riconosciuta una propria autonomia sia come individui, che come formazioni sociali.

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Capitolo Quarto - La Comunità internazionale e l’Unione europea 23

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eDal momento che la capacità di agire nella vita delle relazioni internazionali, ovvero la capacità di produrre atti giuridici, vedersi imputare illeciti internazionali, accedere agli organismi deputati al regolamento pacifico delle controversie, è propria degli organi di vertice di un Paese, è allo Stato-apparato che bisogna propriamente attribuire la soggettività internazionale.

Affinché lo Stato, nell’accezione di Stato-governo o Stato-apparato, acquisisca la soggettività di diritto internazionale sono necessari due requisiti:— l’effettività (o sovranità interna), intesa come capacità di un governo di esercitare effettivamente la

propria potestà di imperio sulla comunità stanziata sul territorio nazionale. Per il diritto internazionale, infatti, ciò che rileva è «l’effettivo esercizio delle funzioni sovrane su un territorio e su una popolazione a prescindere dai criteri attraverso i quali si è addivenuti alla titolarità di tali funzioni sovrane e dalle modalità di loro esercizio» (CARbONE);

— l’indipendenza (o sovranità esterna), intesa come parità nei confronti degli altri Stati o di qualsiasi altro ordinamento (che rende lo Stato superiorem non recognoscens).

C) Le organizzazioni internazionaliLe organizzazioni internazionali (OI) possono essere definite come associazioni

di Stati che perseguono interessi comuni a tutti i loro membri, dall’istituzione di forme di cooperazione stabili ad una vera e propria integrazione tra gli Stati stessi.

Trattasi di enti aterritoriali, avendo sede nel territorio di uno Stato, e funzionali, ossia istituiti per svolgere le funzioni loro delegate dagli Stati membri. Sono dotate di uno Statuto e di organi propri, ed essendo costituite mediante trattati non possono definirsi come soggetti originari di diritto internazionale, bensì come soggetti derivati.In base all’area geografica in cui operano, esse si distinguono in:— planetarie, alle quali sono associati Paesi di tutti i continenti (es. ONU);— regionali, i cui Paesi membri appartengono ad una ben identificata area geografica (es. Unione europea,

Unione africana etc.).In base alle competenze loro attribuite dal trattato istitutivo, inoltre, si classificano in:— OI a vocazione universale, quando hanno una competenza tendenzialmente generale, operando in tutti

i settori della vita politica, militare, sociale ed economica (es. ONU, UE etc.);— OI a vocazione settoriale, se dotate di una competenza circoscritta a specifiche materie, ovvero quando

il loro campo di attività è limitato ad un solo settore: militare (NATO, UEO), economico (WTO, FmI, OCSE), umanitario (OmS), o tecnico (ICAO, IATA).

d) Gli individuiLa crescente importanza che, a partire del secondo dopoguerra, ha assunto la di-

gnità dell’uomo negli ordinamenti giuridici nazionali e sovra-nazionali, ha prodotto un cambiamento considerevole per quanto riguarda il rapporto fra Stato e individuo, fra i compiti e i limiti che toccano il primo, i doveri e le possibilità riconosciute al secondo. Se, infatti, prima della seconda guerra mondiale erano gli Stati che si riservavano la tutela delle prerogative e dei diritti degli individui e costituivano gli unici soggetti della Comunità internazionale, oggi, si fa strada l’idea dell’individuo quale soggetto di diritto internazionale, cioè capace di iniziativa per il riconoscimento e la tutela dei propri diritti anche in ambito sovra-nazionale (FOCARELLI).

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24 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

3. L’oRGanizzazionE dELLE nazioni unitE (onu)

L’ONU è la più importante organizzazione operante a livello internazionale ed è l’unica che può contare tra i suoi membri quasi tutti gli Stati che attualmente formano la Comunità internazionale.

La sua istituzione risale al secondo dopoguerra quando, il 26 giugno 1945, fu adottata all’unanimità una convenzione multilaterale, la Carta dell’organizzazione delle nazioni unite, in seguito ratificata da tutti gli Stati firmatari ed entrata in vigore il 24 ottobre 1945.

La complessa struttura organizzativa dell’onu è delineata nell’articolo 7 della Carta, che istituisce quali organi principali:— il Consiglio di Sicurezza, l’organo più importante delle Nazioni Unite, che si occupa delle questioni

riguardanti il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. È composto da 10 membri eletti dall’Assemblea Generale (vedi infra) e da altri 5 (USA, Gran bretagna, Cina, Russia e Francia) permanenti i quali dispongono del cd. diritto di veto, ovvero la facoltà di bloccare l’adozione di una risoluzione del Consiglio manifestando la propria opposizione;

— l’assemblea Generale delle nazioni unite, l’organo plenario dell’ONU, nel quale sono rappresentati tutti gli Stati membri e che ha una vasta competenza (ad es. ammissione, sospensione ed espulsione di un membro, rivolgere raccomandazioni per promuovere la cooperazione internazionale etc.);

— il Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), composto da membri eletti dall’Assemblea per tre anni, si occupa del coordinamento e del raggiungimento dei fini socio-economici dell’ONU, nonché della cooperazione umanitaria e culturale;

— il Consiglio di amministrazione Fiduciaria, il cui compito è ormai è terminato avendo avuto il compito di accelerare il processo di decolonizzazione e di controllare la fase di transizione dei Paesi sottoposti a dominio coloniale alla completa indipendenza;

— la Corte internazionale di Giustizia, un organo giurisdizionale avente il compito di risolvere le controversie giuridiche sottoposte dagli Stati membri. È formata da 15 giudici di differenti nazionalità, eletti dall’Assemblea in base alla loro competenza e levatura morale, che durano in carica 9 anni;

— il Segretariato, avente compiti esecutivi, amministrativi, diplomatici e politici. È presieduto dal Se-gretario generale che rappresenta il più alto funzionario dell’ONU e che viene nominato per 5 anni dall’Assemblea su proposta del Consiglio di Sicurezza.

4. CoStituzionE itaLiana E oRdinamEnto intERnazionaLE

Il momento attuale si contraddistingue per un fenomeno definito «internaziona-lizzazione del diritto costituzionale e costituzionalizzazione del diritto internazio-nale» (PALERmO), evidenziandosi con ciò come ormai, da una parte, gli ordinamenti costituzionali siano sempre più influenzati dalla Comunità internazionale e dalle sue norme e, dall’altra, il diritto internazionale, a base consuetudinaria, vada assumendo i tratti caratteristici del diritto costituzionale soprattutto attraverso l’ampliamento delle norme a carattere vincolante e un sistema giudiziario sempre più incisivo.

In questo contesto, dunque, assumono sempre più rilevanza le disposizioni della Comunità internazionale cui l’Italia si adegua automaticamente in virtù dei principi sanciti dagli artt. 10 e 11 della Costituzione.

In particolare, l’art. 10 comma 1 Cost., stabilendo che «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute», esprime la volontà della Repubblica di aprirsi alla comunità internazionale, impe-

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egnandosi a produrre, nel proprio ordinamento interno, disposizioni in tutto e per tutto coincidenti con le norme internazionali riconosciute dalla comunità di Stati.

La Corte costituzionale, sul punto, ha precisato che, in caso di conflitti fra norme internazionali e norme costituzionali, l’interprete deve procedere alla loro armonizzazione, in virtù dei seguenti principi (sent. 12 giugno 1979, n. 48):— il diritto internazionale preesistente alla Costituzione prevale su di essa, giacché regola situazioni

speciali rispetto alle norme interne;— il diritto internazionale successivo alla Costituzione non può intaccare né alterare i principi fonda-

mentali dell’ordinamento (rispetto della dignità, eguaglianza, etc.).

L’altro riferimento costituzionale relativo alla partecipazione dell’Italia all’ordina-mento internazionale è contenuto nell’art. 11 della Costituzione che prevede: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni interna-zionali rivolte a tale scopo».

L’articolo 11 Cost. prosegue, dunque, l’enunciazione dei principi che orientano la posizione dell’Italia nel consesso internazionale, con riferimento alla guerra e alle limitazioni della sovranità nazionale ritenute necessarie per consentire la partecipa-zione della Repubblica ad organizzazioni internazionali che promuovono la pace e la giustizia fra i popoli.

5. daLLE Comunità EuRoPEE aLL’unionE EuRoPEa

a) i primi passi dell’integrazione europeaIl 18 gennaio 1951 con la firma del Trattato di Parigi fu creata la Comunità econo-

mica del carbone e dell’acciaio (CECa), che ha cessato di esistere nel luglio 2002.La positiva esperienza della CECA fu seguita pochi anni dopo dall’istituzione della

Comunità europea dell’energia atomica (Euratom o CEEa) e della Comunità economica europea (CEE). I due trattati furono ufficialmente firmati a Roma il 25 marzo 1957 e le due organizzazioni poterono cominciare a lavorare a partire dal 1° gennaio 1958.

Con la ratifica dei trattati comunitari è stato istituito un nuovo tipo di ordinamento giuridico (nel campo del diritto internazionale), capace di imporre agli Stati membri determinati comportamenti.

La caratteristica di tale comunità sovranazionale è rappresentata dal fatto che i rapporti fra gli Stati membri non sono improntati alla mera coordinazione intergovernativa per il raggiungimento dei fini dell’ente, ma sono subordinati direttamente (sebbene solo in determinati campi) alla volontà superiore dell’ente stesso. L’ordinamento comunitario è, infatti, in grado di imporsi direttamente ai singoli Stati membri.

B) L’unione europea e l’euroUna tappa importante del processo di integrazione in Europa è rappresentata dalla fir-

ma, il 7 febbraio 1992, del trattato sull’unione europea (cd. trattato di maastricht).

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Con il Trattato di maastricht veniva creata l’Unione europea, un’organizzazione anomala che da un lato inglobava le Comunità europee già esistenti e dall’altro avvia-va la cooperazione tra gli Stati membri anche in settori non strettamente economici, come la politica estera comune, la politica di difesa europea, la cooperazione tra le forze di polizia e tra le autorità giudiziarie. Nasceva in tal modo un’organizzazione la cui struttura viene spesso illustrata attraverso la figura del tempio retto da 3 pilastri.

La seconda grande novità del Trattato di maastricht è quella di aver stabilito le tappe per il passaggio dall’unione economica a quella monetaria, con la conseguente adozione di una moneta unica europea. Tale moneta fu denominata «euro» e dal 2002 è in circolazione in vari Stati appartenenti all’Unione.

Quanti e quali sono gli Stati membri dell’Unione europea?Delle tre organizzazioni comunitarie (CECA, CEE e EURATOm) facevano inizialmente parte solo sei Stati (belgio, Paesi bassi, Lussemburgo, Francia, Germania ed Italia) a cui si sono aggiunti nel 1973 l’Irlanda, la Gran bretagna e la Danimarca; nel 1981 ha aderito la Grecia e nel 1986 la Spagna ed il Portogallo. Nel 1995 hanno aderito all’Unione europea l’Austria, la Finlandia e la Svezia. Nel 2004, inoltre, hanno aderito 10 nuovi Stati: Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Slovenia, Slovacchia, malta e Cipro. Si consideri, infine, che nel 2007 anche la bulgaria e la Romania sono entrate nell’Unione, avendo firmato nel 2005 i trattati di adesione. Attualmente i Paesi membri dell’Unione europea sono 27.

C) il fallimento del progetto di Costituzione europeaNegli ultimi anni si era fatta strada l’esigenza di procedere ad una riorganizzazione

del diritto scritto e non scritto dell’Unione, avviando un lavoro di sintesi che potesse portare alla redazione di una vera e propria Costituzione europea.

Nel 2002 si è, così, deciso di affidare il compito di elaborare una bozza di Costitu-zione ad un apposito organismo formato dai rappresentanti delle istituzioni europee, dei Governi nazionali e della società civile, la Convenzione sul futuro dell’Europa.

Sulla base dei lavori della Convenzione, il 29 ottobre 2004, a Roma, i rappresen-tanti dei 25 Stati membri dell’Unione europea hanno finalmente sottoscritto il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, più semplicemente noto come Costituzione europea.

Successivamente si è aperta la delicata fase della ratifica nei singoli Stati, che si è però interrotta nel momento in cui i cittadini di Francia e Paesi bassi hanno espresso il loro voto negativo alla ratifica della Costituzione in due consultazioni referendarie svoltesi nel 2005.

d) il trattato di LisbonaDopo il fallimento della Costituzione europea, il Consiglio europeo del 21-23 giu-

gno 2007 decise di convocare una nuova conferenza intergovernativa che riprendesse il processo di riforma avviato dalla precedente Conferenza del 2004, con qualche variazione di tipo formale e sostanziale che rendesse maggiormente condivisibile il cambiamento e l’adeguamento necessario dell’Unione da parte degli Stati membri e, soprattutto, dai suoi cittadini.

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eIn particolare, la Conferenza intergovernativa del 2007 decise di abbandonare l’idea di sostituire ai trattati un testo di livello costituzionale, per procedere a una semplice riformulazione degli stessi.

Pertanto, il 13 dicembre 2007 è stato firmato il trattato di Lisbona (ratificato dall’Italia con L. 2 agosto 2008, n. 130) i cui elementi di differenziazione rispetto al testo nel 2004 si traducono in un ridimensionamento degli ambiziosi obiettivi federa-listici da quest’ultimo perseguiti.

Tale trattato, che dopo l’esito positivo del referendum irlandese (2 ottobre 2009) e la ratifica da parte della Polonia (10 ottobre 2009) e Repubblica Ceca (3 novembre 2009), è entrato in vigore il 1° dicembre 2009:— precisa e rafforza i valori fondamentali dell’Unione (art. 1bis, nuovo art. 2 TUE),

mantenendo i diritti esistenti e introducendone di nuovi;— enuncia in modo più esteso gli obiettivi dell’Unione (art. 2, nuovo art. 3 TUE), al

fine di configurare in maniera avanzata il modello europeo di società;— conferisce nuova forza ai diritti fondamentali (Dichiarazione n. 1 e n. 2, nuovo

art. 6 TUE), riconoscendo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e prevedendo l’adesione dell’Unione alla CEDU;

— stabilisce la possibilità per un gruppo di almeno un milione di cittadini di un certo numero di Stati membri di invitare la Commissione a presentare nuove proposte (nuovo art. 11 TUE);

— prevede una modernizzazione e un adeguamento delle istituzioni dell’Unione (nuovo Titolo III TUE, artt. 13-19);

— istituisce la figura del Presidente del Consiglio europeo (nuovo art. 15 TUE), eletto per un mandato di due anni e mezzo (rinnovabile una sola volta), nonché dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che sarà anche vicepresidente della Commissione (nuovo art. 27 TUE);

— conferisce la personalità giuridica unica all’Unione (art. 46A, 47 TUE);— consacra il primato del diritto comunitario sul diritto interno (Dichiarazione n. 17);— dispone che l’Unione e gli Stati membri sono tenuti ad agire congiuntamente

in uno spirito di solidarietà se un paese dell’UE è oggetto di un attacco terrori-stico o vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo (Dichiarazione n. 37).

6. LE iStituzioni dELL’unionE EuRoPEa

Ai sensi dell’art. 9 del TUE (ora 13 TUE) così come sostituito dal trattato di Lisbona, l’Unione dispone di un quadro istituzionale che mira al perseguimento degli obiettivi, la promozione dei valori, la coerenza, l’efficacia delle politiche e delle azioni.Le istituzioni dell’Unione sono:— il Parlamento europeo, che esercita congiuntamente al Consiglio la funzione

legislativa e di bilancio;

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28 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

— il Consiglio europeo, divenuto a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona istituzione a pieno titolo, che dà all’unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali;

— il Consiglio, che esercita anch’esso, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e di bilancio;

— la Commissione europea, cui compete una funzione esecutiva;— la Corte di giustizia dell’Unione europea, con funzioni giurisdizionali;— la Banca centrale europea che con le banche centrali nazionali conduce la politica

monetaria dell’unione;— la Corte dei conti, con funzioni di controllo sulla gestione finanziaria.

7. CoStituzionE itaLiana E unionE EuRoPEa

a) introduzioneAll’epoca della ratifica dei trattati istitutivi delle tre Comunità si pose il problema

del fondamento costituzionale dell’adesione italiana alle Comunità europee. I trattati, comportando un trasferimento di funzioni (legislative, esecutive e giurisdizionali) a favore delle istituzioni comunitarie, esercitavano un’incidenza su norme di livello costituzionale, essendo le competenze degli organi statali fissate direttamente dalla Costituzione. Di conseguenza si poneva il problema se fosse necessario operare con una fonte di rango costituzionale per poter accordare tali trasferimenti.

La dottrina prevalente ritenne che sarebbe stata sufficiente una legge ordinaria, a condizione di reperire nella Costituzione una norma che potesse dare «copertura costituzionale» alla legge di ratifica e di esecuzione dei trattati. Tale fondamento co-stituzionale è stato individuato nell’articolo 11 della Costituzione.

B) Le limitazioni di sovranità previste dall’articolo 11 della CostituzioneL’articolo 11 della Costituzione così recita: «l’Italia… consente, in condizioni di

parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

Il ricorso all’art. 11 Cost. è frutto di una manipolazione interpretativa, come risulta chiaramente dai lavori preparatori dell’Assemblea Costituente. benché il costituente avesse in mente l’Organizzazione delle Nazioni Unite (nel 1947 le Comunità non esistevano ancora), tra le organizzazioni contemplate dalla norma rientrerebbero anche le Comunità europee, di modo che le eventuali deroghe che i trattati rechino a norme costituzionali sarebbero legittime in quanto trovano il loro fondamento nell’art. 11.

Le limitazioni di sovranità, cui l’art. 11 si riferisce, sono da intendersi come re-lative ad operazioni di carattere militare in un contesto in cui l’Italia, da poco uscita dalla seconda guerra mondiale, rinunciava formalmente all’uso della forza bellica e desiderava inserirsi in meccanismi di risoluzione delle controversie che l’ONU aveva predisposto, accettandone i condizionamenti.

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eNonostante fosse questa la ratio dell’art. 11 Cost., si ritenne che con il riferimento alle «limitazioni di sovranità» la norma si prestasse ad essere invocata anche per consentire le forti limitazioni di competenza introdotte dai trattati comunitari. Tali limitazioni concernono non soltanto l’attività normativa dello Stato, ma anche quella amministrativa e giurisdizionale sicché, in conseguenza della stipulazione dei trattati comunitari, i cittadini si trovano sottoposti, oltre che alle autorità nazionali, ad un sistema di pubblici poteri estraneo ed indipendente rispetto ad esse.

La stessa Corte costituzionale, sin dalla sua prima pronuncia, ha invocato l’articolo 11 come fondamento costituzionale dell’adesione alle Comunità europee.

L’articolo 11 Cost. ha costituito, fino all’approvazione della L. cost. 3/2001, l’unico ancoraggio costituzionale della partecipazione italiana all’integrazione europea, a dif-ferenza di altri Stati membri che avevano invece prontamente provveduto ad operare le necessarie modifiche delle loro carte costituzionali.

C) La riforma costituzionale del 2001L’espressione «Unione europea» compare nel testo costituzionale solo con la riforma

del Titolo V approvato con L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3.Con tale provvedimento sono stati inseriti nella Carta costituzionale diverse dispo-

sizioni che disciplinano la partecipazione italiana al processo di integrazione europeo, sia con riferimento allo Stato sia alle Regioni.

Il primo riferimento all’ordinamento comunitario è rintracciabile nel comma 1 del nuovo art. 117 della Costituzione, laddove è inserita una clausola generale di compatibilità della legislazione (nazionale e regionale) con i «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario»; anche se presente nel titolo della Costituzione dedicato alle autonomie territoriali, si tratta di una disposizione che avrebbe trovato una più coerente collocazione nell’ambito dei principi generali, dal momento che è la Repubblica italiana nel suo insieme ad essere vincolata al rispetto degli obblighi derivanti dalla sua partecipazione all’Unione europea.

Il secondo riferimento è riscontrabile nel comma 2 dell’art. 117 Cost., che attribuisce alla potestà legi-slativa esclusiva dello Stato la «disciplina dei rapporti con l’Unione europea», mentre rientra nella potestà legislativa concorrente la disciplina dei rapporti tra le Regioni e l’Unione europea (117, comma 3, Cost.).

La disposizione più innovativa, tuttavia, è rappresentata dal comma 5 dell’art. 117 che così recita: «Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza».

La norma costituzionalizza i principi che disciplinano l’intervento delle Regioni nella formazione e nell’attuazione della normativa comunitaria.

L’ultimo richiamo comunitario è contenuto nell’art. 120 Cost., laddove si attribuisce al Governo il potere di sostituirsi agli enti territoriali nel caso di mancato rispetto della normativa comunitaria.

d) i cd. controlimitiLa norma costituzionale del citato art. 11, naturalmente, fa riferimento a specifiche

«limitazioni» di sovranità e non ad una sua totale cessione.I limiti alla tollerabilità delle incidenze comunitarie sul sistema costituzionale si

possono individuare nella stessa idea di limitazione, la quale non può comportare la compromissione dei valori fondamentali del nostro ordinamento. Da qui l’elaborazione della dottrina dei «controlimiti» da parte della Corte costituzionale.

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30 Parte Prima - L’ordinamento costituzionale dello Stato

Secondo la Consulta il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana e dei principi fondamentali costituisce il presupposto dell’inquadramento del fenomeno comunitario nell’ambito dell’art. 11 Cost., ma anche un limite invalicabile al recepimento di qualunque disposizione comunitaria. Nelle parole della Corte, richiamate dalla sentenza Frontini (sent. 18 dicembre 1973, n. 183), «deve quindi escludersi che sif-fatte limitazioni, concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma sottoscritto da paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato di diritto e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini, possano comunque comportare per gli organi della CEE un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana».

Glossarioautotutela: è la reazione di un soggetto dell’ordinamento internazionale nei confronti di un altro soggetto che non può consistere nell’uso della forza a meno che non si agisca per legittima difesa.Ratifica: è l’atto con il quale lo Stato conferma la propria volontà di aderire ad un trattato internazionale. L’art. 87 Cost. dispone che il Presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionali nel procedimento solenne di loro formazione. È, tuttavia, necessaria, ai sensi dell’art. 80 Cost., una legge di autorizzazione delle Camere per i trattati di natura politica o che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.

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CAPITOLO PRImO

La FunzionE amminiStRatiVa

Sommario: 1. Concetto di amministrazione. - 2. Pubblica Amministrazione: definizione. - 3. Compiti della Pubblica Amministrazione. - 4. Funzione politica e funzione amministrativa. - 5. Gli atti politici. - 6. Gli atti di alta amministrazione.

1. ConCEtto di amminiStRazionE

Il termine «amministrazione» (dal latino «administratio») indica la «condotta», la «gestione», il «governo», riferito a cose o persone. Con esso, quindi, si suole intendere:— l’attività che un qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, svolge in modo

continuativo, per la cura di propri interessi ed il conseguimento di propri scopi;— il complesso di persone e di mezzi che un determinato organismo o soggetto ha a

disposizione per perseguire i propri fini.La nascita di un apparato amministrativo e di un’organizzazione amministrativa

coinvolgente più persone è da ritenersi, pertanto, contemporanea al sorgere di comunità umane associate.

Soltanto nelle civiltà più evolute, però, l’organizzazione sociale raggiunge un tale livello di complessità e di formalità, da poter essere considerata «giuridica».

2. PuBBLiCa amminiStRazionE: dEFinizionE

L’amministrazione, nel senso appena indicato, può riferirsi tanto ai privati (persone fisiche o giuridiche) quanto ai poteri pubblici ed in quest’ultimo caso si parla corren-temente di «Pubblica Amministrazione». Il concetto di Pubblica Amministrazione può essere definito sotto un profilo sia soggettivo che oggettivo.

Da un punto di vista soggettivo, la Pubblica Amministrazione (che di seguito, per brevità, indicheremo con la sigla, di uso corrente, P.A.) è rappresentata dal complesso degli organi dello Stato e degli altri enti pubblici che, direttamente o indirettamente, svolgono concrete funzioni amministrative (il cd. Stato-Amministrazione).

Sotto il profilo oggettivo, invece, per Pubblica Amministrazione si intende l’attività intesa a realizzare il complesso dei fini dello Stato. Di questa attività vanno poste in rilievo tre caratteristiche essenziali:— la concretezza, in quanto l’attività della P.A è tesa al raggiungimento di fini reali

cioè concreti;— la spontaneità, nel senso che la P.A. non è condizionata, nella esplicazione della

propria attività, da alcun impulso estraneo;

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172 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

— la discrezionalità, intesa come ampia libertà di scelta e di decisione per quanto concerne l’adozione dei provvedimenti inerenti alla realizzazione di fini di pubblico interesse.

3. ComPiti dELLa PuBBLiCa amminiStRazionE

I compiti che la legge attribuisce alla P.A. si possono suddividere in tre grandi categorie:a) compiti di organizzazione del corpo sociale: fanno parte di questa ampia categoria

i compiti di organizzazione e manutenzione delle strutture dello Stato, quali:— il riconoscimento delle persone giuridiche;— il conferimento della cittadinanza italiana;— i censimenti;— la gestione, la conservazione e lo sfruttamento dei beni di proprietà dello Stato:

a tali compiti provvedono i singoli ministeri, ciascuno nei limiti delle proprie attribuzioni, nonché le Regioni, nei limiti delle proprie competenze;

— il compimento di opere pubbliche, edilizie, stradali, idrauliche etc.;— la gestione finanziaria dello Stato e degli altri enti pubblici;

b) compiti di conservazione del corpo sociale: tali compiti consistono in tutte le attività che lo Stato svolge per prevenire, evitare e reprimere eventuali turbative interne o esterne al mantenimento della pace sociale. La natura di queste attività è assai eterogenea, essendo alcune di carattere giurisdizionale ed altre di carattere amministrativo.

Rientrano, fra i compiti di conservazione, le seguenti funzioni:— tutte le attività di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza;— le attività relative alla difesa interna ed esterna dello Stato;— le attività di protezione della pubblica incolumità (polizia del traffico, prevenzione infortuni, attività

antincendio, prevenzione pubbliche calamità);— la cd. amministrazione pubblica del diritto privato: cioè tutte quelle attività che la P.A pone in

essere prendendo parte alla costituzione o allo svolgimento di rapporti giuridici privati, al fine di assicurare ad essi certezza e pubblicità e di garantirne la legalità;

c) compiti di benessere del corpo sociale: si fa riferimento con questo termine alle molteplici e disparate attività con cui la P.A. tutela il benessere della collettività. Con l’affermarsi dello Stato sociale, promotore dello sviluppo economico e sociale del Paese, tale tutela diviene compito primario dello Stato.

Fra i più importanti compiti di benessere, ricordiamo:— l’organizzazione e il mantenimento dei servizi sanitari e ospedalieri;— tutte le attività di previdenza sociale, di assistenza e di beneficenza;— le attività di tutela del lavoro;— le attività culturali e l’istruzione pubblica;— le attività turistiche, sportive e le manifestazioni d’arte, gli spettacoli;— la tutela del patrimonio culturale, artistico e scientifico della nazione;

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Capitolo Primo - La funzione amministrativa 173

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— la tutela del paesaggio e dell’ambiente dagli inquinamenti e dalle contaminazioni, nonché dal disordinato sviluppo industriale e urbanistico;

— la tutela della libertà di religione e di culto, e la partecipazione ad attività di carattere religioso;

— gli interventi nell’attività economica delle imprese e dei privati;— la creazione di addizionali posti di lavoro e il miglioramento delle condizioni

di lavoro vigenti;— i controlli e gli interventi nei settori del credito, del risparmio e in materia di

politica monetaria.

4. FunzionE PoLitiCa E FunzionE amminiStRatiVa

L’individuazione e la scelta dei fini di interesse generale dello Stato, in un deter-minato contesto storico, sociale e politico, costituisce oggetto della funzione politica, la quale si esplica mediante gli atti politici, che sono caratterizzati da una particolare forza e da una particolare disciplina. Tipici esempi di atti politici sono gli atti con i quali il Presidente della Repubblica indice le elezioni e i referendum, gli atti di iniziativa legislativa, la scelta dei propri rappresentanti da parte del corpo elettorale, le sentenze della Corte costituzionale.

La funzione esecutiva, o amministrativa, è quella che, invece, mira alla realiz-zazione concreta dei fini dello Stato attraverso statuizioni che permettano di dare effettiva ed immediata operatività alle previsioni contenute negli atti politici.

La funzione amministrativa è, dunque, quella che cura, in concreto, la realizza-zione dei fini pubblici individuati dal potere politico e precettivamente assegnati dal potere legislativo alla P.A. Tale attività deve svolgersi in modo tale da garantire che la soddisfazione degli interessi oggetto delle scelte politiche fatte si realizzi con il minor sacrificio possibile di altri interessi.

Tuttavia, è bene precisare, che «la vocazione della P.A. a porsi come strumento principale di attuazione della legge e di cura degli interessi particolari — la legge prevede, l’amministrazione provvede — non è esclusiva soprattutto perché resta la quota crescente di poteri così ampiamente discrezionali trasferiti all’am-ministrazione, che tutto sono salvo che meramente attuativi» (CAmmELLI).

titolari della funzione amministrativa sono lo Stato-amministrazione e gli enti pubblici autarchici che esplicano tale funzione mediante i loro organi.

5. GLi atti PoLitiCi

Gli atti attraverso i quali si esercita in concreto il potere politico sono definiti atti politici o di governo. Si tratta di quegli «atti con cui viene esercitata l’attività di gover-nare» e, cioè, atti di suprema direzione dello Stato nonché di coordinamento e di con-trollo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca (SANDULLI).

Secondo l’Autore, gli atti politici sono dotati di forza giuridica diversa in quanto, mentre alcuni rientrano nell’ambito del potere legislativo o di quello giurisdizionale (gli atti di normazione primaria e le pronunce della Corte costituzionale sono atti di

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174 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

suprema direzione della cosa pubblica), altri non sono inquadrabili nell’ambito dei poteri tradizionali e possono essere qualificati come atti politici puri.

Si deve in ogni caso ricordare che la definizione sopra riportata non coincide con quella adottata dal Consiglio di Stato, che sembra limitare la categoria degli atti politici ai soli atti di indirizzo politico che, emanati dall’Esecutivo, non rivestono natura amministrativa (C.d.S., sez. iV, 29-2-1996, n. 217; C.d.S., sez. V, 7-10-2009, n. 6167).

a) Caratteri degli atti politiciGli atti politici presentano le seguenti caratteristiche:a) numerus clausus: non sono infatti ammissibili atti politici al di fuori di quelli

previsti, esplicitamente o implicitamente, dalla Costituzione (SANDULLI);b) libertà nel fine: in quanto essi stessi determinano gli scopi della loro sfera di azione.

Su di essi, pertanto, è di regola impossibile un sindacato di legittimità proprio perché non esistono norme di legge formale o sostanziale che ne vincolano la sfera d’azione;

c) non assimilabilità alla categoria degli atti amministrativi: per tale motivo essi, non essendo amministrativi, non sono sindacabili dal giudice amministrativo.

B) tutela del privato nei confronti degli atti politiciGli atti politici si caratterizzano per la loro insindacabilità. Tale aspetto è strettamente conseguenziale

alla loro natura di atti liberi nella determinazione degli obiettivi da perseguire.La sottrazione di tali atti al sindacato dell’autorità giurisdizionale, dapprima sancito dall’art. 31

del R.D. 1054/1924 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato), che, nel riprendere la disposizione di cui all’art. 24 della L. 5992/1889, aveva previsto l’inammissibilità del ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale avverso atti e provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico, è oggi rinvenibile nell’art. 7 del Codice del processo amministrativo, recato dal d.Lgs. 2-7-2010, n. 104 (che ha abrogato il predetto art. 31 R.D. 1054/1924) che esclude espressamente il ricorso al G.A. contro gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico.

Premessa l’esistenza nel nostro ordinamento di tre distinte tipologie di ricorsi amministrativi, nessuno di questi rimedi è ammissibile nei confronti degli atti politici.Infatti:— l’opposizione, come si vedrà più avanti, è un rimedio straordinario limitato alle sole ipotesi tassativa-

mente previste, fra le quali non figurano gli atti politici;— il ricorso gerarchico presuppone l’emanazione dell’atto da parte di un soggetto che abbia un superiore

nella scala gerarchica. Gli atti politici, viceversa, sono tutti emanati da organi superiorem non recogno-scentes;

— il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica è, per legge, alternativo a quello giurisdizionale e, dunque, è automaticamente escluso in tutte le ipotesi di inesperibilità di quest’ultimo: tale è il caso, appunto, degli atti politici.Parimenti esclusa è da ritenersi la possibilità di esperire, avverso atti politici, ricorso innanzi al G.o.

La fruibilità della tutela in menzione, come si avrà modo di approfondire più avanti, è legislativamente limitata alle sole ipotesi in cui la lesione lamentata dal ricorrente concerna un diritto soggettivo (v. art. 2, L. 2248/1865, all. E, sull’abolizione del contenzioso).

Esclusa, come illustrato, la esperibilità di tutti i rimedi utilizzabili a fronte di atti amministrativi, rispetto agli atti in esame opera, tuttavia, un sistema di controlli e di sanzioni di carattere politico, di competenza del corpo elettorale e del Parlamento, i quali possono, ad esempio, non riconfermare gli organi che si siano resi responsabili di una attività ritenuta meritevole di censura, ovvero (con riferimento alle Camere) espri-mersi con un voto di sfiducia.

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6. GLi atti di aLta amminiStRazionE

a) nozioneGli atti di alta amministrazione si configurano come una speciale categoria di

atti amministrativi, la cui peculiarità risiede nell’opera, da essi svolta, di raccordo fra funzione di governo, espressione dello Stato-comunità, e funzione amministrativa, espressione dello Stato-soggetto.

Tali atti si collocano, dunque, in una posizione intermedia tra gli atti politici, quali atti di indirizzo volti alla scelta dei fini da perseguire, ed i provvedimenti stricto sensu amministrativi, diretti all’attuazione concreta delle opzioni effettuate a livello gover-nativo, rappresentando il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico nel campo amministrativo.

È possibile, così, addivenire ad una loro definizione in termini di atti costituenti manifestazioni d’impulso all’adozione di atti amministrativi, funzionali all’attuazione dei fini della legge.

B) tutela dei privatiDalla riconducibilità degli atti di alta amministrazione nell’ambito della più ampia categoria degli atti

amministrativi discende l’integrale assoggettamento al regime giuridico di questi ultimi. In particolare, è dato rilevare l’operatività di tutti quei meccanismi consultivi e di controllo da parte

dello Stato-comunità, volti a verificarne tanto la legittimità quanto l’opportunità; nonché la fruibilità, da parte dei cittadini, degli strumenti ordinari di tutela giurisdizionale nel pieno rispetto di quanto contemplato dall’art. 113 della Costituzione.

Normalmente, dunque, il ricorso giurisdizionale amministrativo sarà proponibile avverso gli atti suc-cessivi emanati per dare esecuzione all’atto di alta amministrazione, per contro non direttamente impugnabile.

Quanto al ricorso al giudice ordinario, si deve in ogni caso osservare che il carattere ampiamente discrezionale degli atti in esame rende difficilmente immaginabili delle ipotesi di lesione diretta, da parte di questi ultimi, di una posizione di diritto soggettivo perfetto, e dunque di giurisdizione radicata in capo al G.O.

In ultimo, va ricordato che il rimedio del ricorso gerarchico rimane in toto escluso, essendo utilizza-bile solo avverso atti emanati da organi posti in una posizione di subordinazione rispetto ad altri, laddove, viceversa, con gli atti di alta amministrazione ci si trova di fronte ad atti che, come dianzi evidenziato, promanano da organi di vertice dell’amministrazione pubblica, in quanto tali superiores non recognoscentes.

GlossarioPrincipio di legalità: è quel principio in virtù del quale i pubblici poteri sono soggetti soltanto alla legge. In diritto amministrativo, in particolare, esso afferma la corrispondenza dell’attività amministrativa alle prescrizioni di legge.Super partes: sono super partes (sopra le parti) tutti quegli organi (come il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale, gli organi di giurisdizione ecc.) che agiscono in funzione neutra, cioè disinteres-sata, a garanzia dell’ordinamento, al fine di assicurare l’osservanza delle leggi, a prescindere da qualsiasi interesse generale o particolare.

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CAPITOLO SECONDO

iL diRitto amminiStRatiVo: nozionE E Fonti

Sommario: 1. Nozione e caratteri del diritto amministrativo italiano. - 2. Le fonti del diritto ammini-strativo. - 3. Disciplina costituzionale dei principi del diritto amministrativo. - 4. I regolamenti (rinvio). - 5. Le ordinanze. - 6. Gli Statuti degli enti pubblici. - 7. La consuetudine. - 8. Le norme interne e le circolari. - 9. La rilevanza della cd. «prassi amministrativa».

1. nozionE E CaRattERi dEL diRitto amminiStRatiVo itaLiano

a) ConcettoL’esercizio della funzione amministrativa è disciplinata dal «diritto amministrativo».Il diritto amministrativo può essere inteso come la disciplina giuridica della

pubblica amministrazione, «nella sua organizzazione, nei beni e nell’attività ad essa peculiari e nei rapporti che, esercitando tale attività, si instaurano con gli altri soggetti dell’ordinamento» (CASETTA). Il diritto amministrativo — che va ricondotto all’alveo del diritto pubblico — delinea, infatti, i profili di organizzazione e di attività delle amministrazioni pubbliche.

B) CaratteriIl diritto amministrativo italiano presenta i seguenti caratteri:a) è diritto pubblico interno: in quanto deriva dalla volontà dello Stato e regola rapporti in cui uno dei soggetti

è necessariamente lo Stato stesso o un ente pubblico (cioè la P.A.) nell’esercizio di potestà amministrative;b) autonomo, in quanto si giova di propri principi e proprie regole, diversi da quelli delle altre branche del

diritto;c) comune, in quanto si riferisce a tutti i soggetti che fanno parte dell’ordinamento e non soltanto a deter-

minate categorie (ciò ha rilievo ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto);d) ad oggetto variabile: in quanto la P.A. in ogni epoca storica persegue fini differenti, abbracciando o

escludendo alcuni campi dalla propria gestione.

2. LE Fonti dEL diRitto amminiStRatiVo

Fonti del diritto amministrativo sono, in ordine di importanza:a) la Costituzione e le altre fonti di rango costituzionale (leggi costituzionali, consue-

tudini e convenzioni costituzionali);b) le norme comunitarie;c) le leggi ordinarie (statali e regionali) e gli atti aventi forza di legge (decreti legislativi

e decreti-legge del Governo);d) i regolamenti, le ordinanze e gli Statuti degli enti minori;e) la consuetudine;f) le norme interne della P.A.

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Le fonti primarie (leggi ed atti aventi forza di legge) sono state analizzate nella Parte I; qui, dopo un breve excursus sui principi costituzionali in materia amministrativa, si tratterà delle norme di diritto europeo, brevemente, per poi soffermarsi sulle fonti secondarie, ovvero regolamenti, ordinanze e statuti degli enti pubblici.

3. diSCiPLina CoStituzionaLE dEi PRinCiPi dEL diRitto ammi-niStRatiVo

La Costituzione prevede diversi principi in materia amministrativa.Essi sono:a) il principio di legalità dell’azione amministrativa, secondo cui l’attività dei pubblici

poteri deve trovare il proprio fondamento nella legge, in quanto espressione della volontà popolare;

b) il principio di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, che impone ai pubblici funzionari l’obbligo di trattare allo stesso modo tutti i cittadini, astenendosi da qualsiasi forma di discriminazione, nel rispetto dell’art. 3 Cost., e di operare con criteri tali da garantire l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa;

c) il principio della riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici (art. 97);

d) il principio del diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell’azione ammini-strativa (artt. 24 e 103, comma 1);

e) il principio del decentramento amministrativo (art. 5), in virtù del quale «La Re-pubblica riconosce e promuove le autonomie locali e attua nei servizi che dipen-dono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento». Il conferimento delle funzioni amministrative, a sua volta, è regolato dai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza;

f) il principio della tutela delle autonomie locali (art. 5);g) il principio del libero accesso dei cittadini ai pubblici impieghi, purché la selezione

avvenga per concorso (artt. 51 e 97 ult. comma);h) il principio della riserva di legge per l’imposizione di prestazioni, personali o

patrimoniali, coattive (art. 23);i) il principio della espropriabilità della proprietà privata, purché a fini di pubblica

utilità, e salvo indennizzo (artt. 42, terzo comma, e 43);l) il principio dell’obbligo di tutti a concorrere alle spese pubbliche attraverso il

pagamento dei tributi (art. 53);m) il principio della programmazione economica (art. 41, terzo comma);n) il principio della indipendenza dei giudici amministrativi (art. 100);o) il principio di sussidiarietà della competenza legislativa statale, per effetto del

quale spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (art. 117 Cost., come modificato dalla L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3).

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178 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

4. i REGoLamEnti (RinVio)

I regolamenti sono atti formalmente amministrativi poiché emanati da organi del potere esecutivo, ed aventi forza normativa, in quanto contenenti norme idonee ad innovare l’ordinamento giuridico. Sul punto si rinvia alla Parte I, Cap. 5, par. 13.

5. LE oRdinanzE

a) Profili generaliIn generale, non è possibile definire con precisione il concetto di ordinanza, in

quanto con questo termine ci si suole riferire a diversi tipi di atti, non necessariamente emanati dall’autorità amministrativa.

Nel campo del diritto amministrativo per «ordinanze» si intendono tutti quegli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza impongono ordini.

Le ordinanze, per essere fonti del diritto, devono avere carattere normativo, e cioè creare delle regole generali ed astratte.

L’esercizio del potere di ordinanza da parte delle amministrazioni pubbliche, che implica pure l’emanazione di ordinanze di necessità e urgenza (v. infra), comporta una deroga al principio di legalità nell’accezione della tipicità dei poteri amministrativi, e precisamente confligge con la regola che impone la previa individuazione degli elementi essenziali dei poteri a garanzia dei relativi destinatari (CASETTA).

Si evidenzia, infine, che, ai sensi dell’art. 21bis della L. 241/1990, i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati aventi carattere cautelare ed urgente sono immediatamente efficaci, a prescindere della loro comunicazione.

B) ClassificazioneSi distinguono:a) ordinanze previste dalla legge per casi eccezionali, di particolare gravità. Tra esse:

— i bandi militari;— le ordinanze emesse dal Prefetto per tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico, sul presupposto del

decreto del Consiglio dei ministri che ha dichiarato lo stato di pericolo pubblico interno (art. 214 T.U.L.P.S.);

— le ordinanze speciali per la visita e la disinfezione delle case, per l’organizzazione dei servizi e soccorsi medici e per le misure di prevenzione da adottare in concreto nei casi di malattie infettive a carattere epidemico (art. 261 T.U. delle leggi sanitarie);

— le ordinanze emesse dal Ministro dell’interno, per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, se la delibera del Consiglio dei ministri sullo stato di pericolo pubblico ha valore per tutto il territorio nazionale (art. 216 T.U.L.P.S.);

— le ordinanze eccezionali in caso di calamità pubbliche e catastrofi nazionali, eventualmente previste da norme ad hoc emanate per far fronte ai singoli eventi calamitosi;

b) ordinanze cd. di necessità. Sono quelle emanate da autorità amministrative espressamente investite di tale potere, per far fronte a situazioni di urgente necessità: la legge attribuisce il potere a determinati organi, ma non prevede anche i casi concreti in cui tale potere deve essere esercitato né pone limiti precisi al contenuto di tali ordinanze; sono le stesse autorità investite del potere che, di volta in volta, al

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verificarsi della situazione di necessità e finché questa perdura, provvedono, con singoli provvedimenti, a farvi fronte. I caratteri delle ordinanze di necessità sono:— sono atti formalmente e sostanzialmente amministrativi;— sono atipiche in quanto la legge si limita ad indicare un’autorità amministrativa alla quale viene

attribuito il potere di porre in essere qualunque tipo di atto;— presuppongono una necessità ed urgenza di intervenire;— sono straordinarie, nel senso che il ricorso ad esse è possibile solo ove la situazione di pericolo

non possa essere fronteggiata con atti tipici;— la loro efficacia nel tempo è necessariamente limitata;— trovano fondamento esclusivamente nella legge;— debbono essere adeguatamente motivate e vanno pubblicizzate con mezzi idonei;— non possono, in nessun caso, derogare a norme costituzionali o a principi generali dell’ordina-

mento e disciplinare materie coperte da riserva assoluta di legge. Inoltre, le cd. ordinanze di necessità vanno distinte dai provvedimenti di urgenza che invece costi-

tuiscono atti tipici e nominati suscettibili di essere emanati sul presupposto dell’urgenza, ma che sono di contenuto predeterminato dal legislatore (es.: requisizione in uso) (CASETTA).

C) Limiti delle ordinanze in generaleLe ordinanze di qualsiasi tipo (tanto ordinarie quanto di necessità), al pari dei regolamenti:— non possono contrastare con la Costituzione;— non possono mai contenere norme penali, per la riserva assoluta di legge imposta dalla Costituzione ex

art. 25 Cost. (PAGLIARO);— non possono di norma contrastare con la legge ordinaria (salvo i bandi militari e quelle per le quali sia

espressamente previsto dalla legge).

6. GLi Statuti dEGLi Enti PuBBLiCiSono atti normativi esterni, espressione della potestà autoorganizzatoria dell’ente, cioè della potestà

che l’ente ha di darsi le regole del proprio assetto strutturale.Essi contengono le norme fondamentali sull’organizzazione dell’ente, sui suoi fini, sui mezzi per

conseguirli.In merito agli statuti degli enti locali, vedi Parte I, Cap. 14, par. 2.

7. LE noRmE intERnE E LE CiRCoLaRi

Tutte le pubbliche amministrazioni emanano norme relative al funzionamento dei loro uffici, o relative alle modalità di svolgimento della loro attività. Queste norme, che si dirigono soltanto a coloro che fanno parte di una data amministrazione, sono definite, dalla dottrina, norme interne.

Le circolari amministrative rappresentano la categoria più importante e controversa di norme cd. interne.

La circolare è un atto non avente carattere normativo, mediante il quale l’ammini-strazione fornisce indicazioni in via generale e astratta in ordine alle modalità con cui dovranno comportarsi in futuro i propri dipendenti ed i propri uffici (CASETTA). In quanto tale la circolare non vincola erga omnes, ovvero non costituisce fonte del diritto ma mera fonte direttiva per gli uffici dipendenti dalla Pubblica Amministrazione emanante.

È utile, comunque, ricordare che, stante il carattere «conoscitivo» delle circolari e della funzione che esse assolvono, non è consentita la loro impugnazione — salvo rari

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e documentati casi — in sede giurisdizionale; detta impugnazione può infatti essere proposta nei confronti del provvedimento cui esse si riferiscono.La dottrina ha individuato i seguenti tipi di circolare:1) circolare organizzativa, contenente disposizioni sull’organizzazione degli uffici;2) circolare interpretativa, recante l’interpretazione di leggi e regolamenti al fine di assicurarne l’uniforme

interpretazione nell’ambito dell’apparato amministrativo;3) circolare normativa, recante precetti (norme di azione) vincolanti per le azioni successive dell’ammi-

nistrazione. Si tratta di norme interne, come tali non vincolanti all’esterno e quindi prive di efficacia lesiva all’esterno;

4) circolare di cortesia, contenente voti augurali, saluti, attestati di stima;5) circolare informativa, tesa a informare su determinati atti o problemi, come la situazione normativa o

l’orientamento della giurisprudenza.

8. La RiLEVanza dELLa Cd. «PRaSSi amminiStRatiVa»

La prassi amministrativa si concreta in un comportamento costantemente tenuto, ma in difetto della convinzione della sua obbligatorietà. Essa, pur non essendo «fonte di diritto», può essere utilizzata per l’interpretazione dell’atto amministrativo al fine di chiarire l’effettivo contenuto di una regola ambigua. L’inosservanza della prassi non dà luogo a violazione di legge, ma può essere sintomo, se non sorretta da adeguata motivazione, di eccesso di potere (CASETTA).

Glossariodelegificazione: con tale termine si indica l’istituto con cui la disciplina di alcune materie (quelle non coperte da riserva di legge) è trasferita dalla fonte legislativa primaria a quella secondaria. In altri termini si tratta di un mutamento di fonte normativa, relativamente ad alcune materie ben individuate.

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CAPITOLO TERZO

LE Situazioni SoGGEttiVE dEL diRitto amminiStRatiVo

Sommario: 1. Profili generali. - 2. Il diritto soggettivo. - 3. Gli interessi legittimi. - 4. Gli interessi semplici e gli interessi di fatto. - 5. Gli interessi collettivi.

1. PRoFiLi GEnERaLi

L’espressione «situazioni giuridiche soggettive» indica, complessivamente, tutte le figure di diritti, poteri, obblighi etc., di cui un soggetto giuridico può essere titolare.Le situazioni soggettive si distinguono in:— attive (o di vantaggio);— passive (o di svantaggio).

Le situazioni di vantaggio costituiscono esercizio di libertà o di discrezionalità, mentre le situazioni di svantaggio danno luogo a posizioni di assoggettamento, limi-tative della libertà dell’individuo (mORTATI).Le posizioni (o situazioni) soggettive attive sono:a) il diritto soggettivo;b) il diritto potestativo;c) la potestà e l’aspettativa;d) l’interesse legittimo;e) l’interesse semplice.Le posizioni soggettive passive sono:a) l’obbligo, che consiste in qualsiasi dovere corrispondente ad una pretesa giuridica

altrui;b) l’onere, consistente nel sacrificio cui un soggetto deve sottoporsi al fine di ottenere

o conservare un vantaggio giuridico.Dalle situazioni soggettive vanno tenuti distinti gli «status».Per «status» si intende la posizione complessiva di un soggetto nell’ambito della collettività generale

o in un corpo sociale minore, caratterizzata da una particolare sfera di capacità, diritti, doveri etc. Si parla così di status di cittadino, o di straniero, riguardo allo stato di cittadinanza; di figlio naturale o legittimo, di celibe vedovo, o coniugato, con riguardo allo stato di famiglia etc. Gli «status» non rappresentano, quindi, delle posizioni soggettive, ma le implicano.

2. iL diRitto SoGGEttiVo

Secondo la definizione tradizionale, il diritto soggettivo è il «potere di agire per il soddisfacimento di un proprio interesse, riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridi-

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182 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

co». In diritto amministrativo la figura del diritto soggettivo è stata delineata soprattutto per la necessità di differenziarla dall’interesse legittimo (vedi paragrafo seguente).

Infatti, la ripartizione della competenza fra il giudice ordinario e il giudice amministra-tivo, nelle controversie coinvolgenti la P.A., è stabilita nel nostro ordinamento in base al tipo di posizione soggettiva che intende far valere chi agisce in un giudizio contro la P.A.:— se chi agisce è titolare di un diritto soggettivo nei confronti della P.A., deve adire

il giudice ordinario (salvi i casi di giurisdizione esclusiva del G.A.);— se chi agisce, invece, è titolare di un interesse legittimo nei confronti della P.A. può

ricorrere soltanto innanzi al giudice amministrativo.Nel campo del diritto pubblico, in conclusione, il diritto soggettivo viene configu-

rato come la più ampia posizione giuridica soggettiva di vantaggio che l’ordinamento giuridico riconosce ad un soggetto in ordine ad un certo bene. Ne deriva che il titolare di un diritto soggettivo può pretendere che tutti gli altri soggetti osservino i doveri imposti dall’ordinamento nel suo interesse.

Diversamente dal diritto soggettivo, la potestà è il potere di agire per il soddisfacimento di un interesse che non è proprio di chi agisce, bensì di un altro soggetto. La principale caratteristica della potestà sta dunque nel fatto che non c’è coincidenza tra chi formalmente la esercita e chi, invece, è l’effettivo titolare dell’interesse tutelato: ciò comporta che la potestà non è un potere libero, perché chi agisce non può farlo per soddisfare il proprio personale interesse né quello di un terzo estraneo, ma deve sempre e soltanto perseguire l’interesse che si ricollega alla potestà.

Dal diritto soggettivo differisce anche l’aspettativa, che è una situazione di attesa. Il titolare dell’aspet-tativa, infatti, non vanta una posizione di diritto soggettivo, ma soltanto una situazione giuridica di vantaggio cui l’ordinamento giuridico riconosce l’attitudine a trasformarsi in diritto soggettivo.

I diritti soggettivi possono distinguersi in:a) diritti soggettivi perfetti: sono quelli attribuiti in maniera diretta ed incondizio-

nata al soggetto. Il loro esercizio è libero, non condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della P.A., la quale non può neppure incidere sfavorevolmente su di essi, comprimendoli o estinguendoli con un proprio provvedimento.

B) diritti condizionati: si ha diritto «condizionato» tutte quelle volte in cui, per motivi di pubblico interesse, viene consentito alla P.A. di limitare o estinguere, seguendo una procedura prevista dalla legge, i diritti dei singoli. Tale è il fenomeno dei cd. diritti condizionati, dei diritti cioè il cui esercizio è sottoposto a condizione, che può essere risolutiva o sospensiva; si distinguono, pertanto, due figure di diritti condizionati:a) diritti sospensivamente condizionati (detti anche «diritti in attesa di espansione»): sono quei diritti

il cui esercizio è inizialmente limitato da un ostacolo giuridico, per la cui rimozione è necessario un provvedimento amministrativo, che, eliminando tale ostacolo, consenta al diritto di espandersi ed acquistare la sua pienezza. È il caso del diritto di costruire sul proprio fondo, per il cui esercizio occorre il rilascio del permesso di costruire o quello del diritto all’esercizio della professione, per il cui espletamento occorre l’iscrizione nel relativo albo;

b) diritti risolutivamente condizionati (cd. fenomeno dell’affievolimento dei diritti): si ha una tale situazione soggettiva tutte le volte in cui il diritto, davanti alla potestà riconosciuta alla P.A. di incidere su di esso, affievolisce ad interesse legittimo.

La P.A., infatti, nel perseguimento dei suoi fini pubblici, può essere ostacolata da diritti facenti capo a soggetti privati; in questi casi la legge può attribuirle il potere di sacrificare tali diritti individuali a

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vantaggio dell’interesse collettivo, per cui, i diritti stessi, davanti a tale potere, «affievoliscono» ad in-teressi legittimi. Così il diritto del proprietario di un suolo edificabile affievolisce ad interesse legittimo qualora la P.A. eserciti legalmente il potere di esproprio riconosciutole dalla Costituzione (art. 42) e dalla legge.

3. GLi intERESSi LEGittimi

a) nozioneNel nostro ordinamento manca una definizione normativa di interesse legittimo,

nonostante la rilevanza che un simile concetto riveste. Tale espressione si deve alla dottrina, la quale si è subito preoccupata di individuarne la portata, al fine di riconoscere agli interessi legittimi piena autonomia rispetto ai diritti soggettivi.

In particolare l’interesse legittimo si «definisce come la situazione soggettiva di vantaggio, costituita dalla protezione giuridica di interessi finali che si attua non direttamente ed autonomamente, ma attraverso la protezione indissolubile ed im-mediata di un altro interesse del soggetto, meramente strumentale, alla legittimità dell’atto amministrativo e soltanto nei limiti della realizzazione di tale interesse strumentale» (CASETTA).

L’interesse legittimo è interesse differenziato e qualificato: differenziato perché «proprio» del soggetto che ne è titolare, come un elemento del suo patrimonio. Non è tale l’interesse condiviso con altri soggetti e/o con la generalità degli individui di tutta la collettività. Qualificato, perché la norma giuridica lo riconosce come meritevole di tutela e ne impone la considerazione all’amministrazione procedente.

B) distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimiDottrina e giurisprudenza hanno proposto vari criteri distintivi fra diritti soggettivi ed interessi legittimi.La differenza tra le due posizioni, secondo GUICCIARDI, va riferita alla natura della norma. L’Autore,

infatti, divide le norme in due categorie:a) norme giuridiche di relazione: regolano i rapporti tra la P.A. ed i cittadini, attribuendo diritti ed

obblighi reciproci; esse tracciano la linea di demarcazione tra la sfera della P.A. e quella del cittadino e la loro violazione da parte della P.A. comporta la lesione di un diritto soggettivo del cittadino;

b) norme di azione: regolano l’esercizio dei poteri della P.A., imponendole un determinato comportamento. Se la P.A. viene meno a tale comportamento essa lede un interesse (legittimo o semplice) del cittadino.Un altro criterio di distinzione si fonda sulla natura vincolata o discrezionale dell’attività esercitata:

nei confronti di un atto vincolato il privato può vantare un diritto soggettivo perfetto; nei confronti di un atto discrezionale può vantare solo un interesse legittimo.

Un terzo criterio, largamente utilizzato in giurisprudenza, si fonda sulla distinzione tra carenza assoluta e cattivo esercizio del potere. In particolare:— nel caso di cattivo uso, da parte della P.A., del proprio potere discrezionale, sussistendo una norma

di legge che le attribuisce il potere di emanare l’atto, si avrà solo la lesione di un interesse legittimo, rappresentato dall’interesse del privato a che la P.A., nell’adottare l’atto, osservi i limiti, le forme ed il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere (interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa);

— nell’ipotesi di carenza assoluta di potere, quando cioè manchi in radice il potere discrezionale della P.A. di interferire nella sfera giuridica del privato, ovvero non sussistano i presupposti di fatto che consentano l’esercizio di tale potere, l’atto amministrativo è considerato inidoneo ad incidere legittimamente sul diritto soggettivo del privato, che quindi sussiste nella sua integrità e può essere fatto valere davanti al giudice ordinario.

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Pertanto, tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell’Amministrazione, si fa valere un in-teresse legittimo e la giurisdizione è del G.a., mentre si ha questione di diritto soggettivo e la giurisdizione è del G.o. quando si contesta la stessa esistenza del potere. In tal modo si è posto il collegamento seguente: carenza di potere-diritto soggettivo, cattivo uso del potere-interesse legittimo.

C) La risarcibilità degli interessi legittimiControversa è stata anche la tematica della risarcibilità o meno degli interessi legittimi.

Nel dibattito precedente alla scelta del legislatore, la giurisprudenza motivava il suo diniego nel modo seguente:1) l’interesse legittimo non pone la relazione tra soggetto e bene della vita (come invece accade con il

diritto soggettivo);2) ai sensi dell’art. 2043 c.c. il danno ingiusto risarcibile può investire solo posizioni di diritto soggettivo

tutelate in via immediata e diretta;3) non configurandosi il danno ingiusto, mancherebbe il rapporto di causalità immediata e diretta tra fatto e danno;4) inconfigurabilità di dolo e colpa della P.A. nell’emettere un atto;5) la risarcibilità (tutela per equivalente) dell’interesse legittimo lo collocherebbe in una posizione privile-

giata rispetto allo stesso diritto soggettivo, che oltre questa tutela non ha anche quella per annullamento (tutela in forma specifica).Tali argomentazioni sono state però scalzate dalla dottrina e dalla giurisprudenza successiva, in quanto

l’art. 2043 c.c. non fa espresso riferimento alle posizioni giuridiche tutelate.Le confutazioni dottrinali sono state poi recepite dal legislatore che, con la L. 142/92 di attuazione della

direttiva CEE 665/89, ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi in materia di aggiudicazione di appalti pubblici e forniture, mentre l’art. 17, comma 1, lett. f) della L. 59/97, ha previsto l’obbligo di indennizzare il privato in caso di ritardata definizione del procedimento.

Sulla scia di questi cambiamenti anche la giurisprudenza ha invertito la rotta: con la sentenza 500/1999, la Cassazione a sezioni unite ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi qualora l’attività illegit-tima della P.A. determini la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. Per ottenere il risarcimento, quindi, è necessario che la lesione dell’interesse legittimo riguardi l’interesse ad un bene della vita meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo.

Successivamente, il principio è stato positivizzato dall’art. 7 L. 21-7-2000, n. 205, norma che ha previsto la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a tutte le controversie risarcitorie nell’ambito della sua giurisdizione sia esclusiva che di legittimità.

La riforma del processo amministrativo, operata con il d.Lgs. 104/2010, recante il Codice del processo amministrativo, ha specificamente introdotto una disciplina organica dell’azione risarcitoria. L’art. 30 del Codice, infatti, disciplina specificamente, nell’ambito dell’azione di condanna, l’azione risarcitoria esperibile contro la P.a per danni da illegittimo esercizio dell’azione amministrativa (quindi a tutela di interessi legittimi) nonché, nei casi di giurisdizione esclusiva, per danni da lesione di diritti soggettivi.

4. GLi intERESSi SEmPLiCi E GLi intERESSi di Fatto

Gli interessi semplici sono quegli interessi vantati dal cittadino nei confronti della P.A. a che questa, nell’esercizio del suo potere discrezionale, si attenga a criteri di opportunità e convenienza (cd. merito amministrativo).

Gli interessi di fatto sono gli interessi, non qualificati né differenziati, ad un qualsivoglia bene della vita. La P.A. garantisce alla comunità non soggettivizzata il godimento di certi beni in virtù di un dovere cui non è correlata alcuna posizione giuridica di vantaggio tutelabile: si pensi, ad esempio, all’obbligo di tenere in buono stato le strade, all’obbligo di illuminarle etc.

Gli interessi di fatto sono del tutto irrilevanti per il diritto.

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5. GLi intERESSi CoLLEttiVi

Sono quegli interessi (es. interesse alla salute, alla tutela dell’ambiente) che fanno capo ad una ben determinata collettività di individui quali associazioni culturali, partiti, comitati di cittadini etc.Si distingue tra interesse collettivo e interesse diffuso:a) interessi diffusi (o adespoti) sono quelli comuni a tutti gli individui di una forma-

zione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente;b) interessi collettivi (o di categoria) sono, invece, quelli che hanno come portatore

un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (es. ordini professionali, associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile.

a) Caratteristiche e figure principaliL’interesse collettivo è:— differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè ad una organiz-

zazione di tipo associativo che si distingue tanto dalla collettività che dai singoli partecipanti; da ciò consegue che la lesione dell’interesse collettivo legittima al ricorso solo l’organizzazione e non i singoli che di essa fanno parte;

— qualificato: nel senso che è previsto e considerato, sia pure indirettamente, dal diritto oggettivo.

B) tutela degli interessi collettiviDiscusso è il problema della tutelabilità davanti al giudice degli interessi collettivi.Dottrina e giurisprudenza, pur se con periodici tentennamenti, sono pervenute al riconoscimento della

tutelabilità giurisdizionale degli interessi diffusi, purché siano imputabili a gruppi sociali determinati. A quest’ultima categoria soltanto diamo il nome di «interessi collettivi», da definire pertanto come quegli interessi che «hanno come portatore un ente rappresentativo di un gruppo non occasionale, (es.: ordini professionali, associazioni private, riconosciute o meno), autonomamente individuabile».

Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, in tema di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, ha elaborato il criterio procedimentale. Trattasi di un criterio in forza del quale la legittimazione processuale va ricollegata alla partecipazione procedimentale: quando, per legge, l’organizzazione è ammessa a partecipare alla fase della formazione del provvedimento amministrativo, si deve ritenere configurabile in capo alla medesima un interesse differenziato e qualificato, con conseguente sua legittimazione ad impugnare il provvedimento, ove questo si riveli lesivo di un suo interesse.

Il suddetto criterio assume un particolare rilievo pratico alla luce dell’intervento della L. 241/1990, la quale, all’art. 9, ha sancito la legittimazione procedimentale dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati. Si può, quindi, ritenere che tale norma costituisca una fonte normativa generale della legittimazione processuale dei portatori di interessi diffusi, con la conseguenza che la legittimazione processuale stessa va ascritta a tutte quelle organizzazioni che siano abilitate a partecipare al procedimento amministrativo successivamente sfociato nell’atto da impugnare.

C) Le azioni collettive di risarcimento (class action)La L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), attraverso l’inserimento dell’art. 140bis nel

D.Lgs. 205/2006, come successivamente sostituito dall’art. 49 L. 99/2009, ha introdotto nel nostro ordinamento l’azione di classe (cd. class action). Si tratta di un’azione collettiva

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186 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

condotta da uno o più soggetti che richiedono il risarcimento del danno non solo a loro nome, ma per tutta la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subito il medesimo illecito.

L’attuale disciplina, in vigore dal 1° gennaio 2010 (ex d.L. 78/2009, conv. in L. 102/2009), dispone che attraverso la class action sono tutelabili:a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti

di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;

b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei con-fronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;

c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. Nelle ipotesi sopra delineate, ciascun componente della classe, anche mediante

associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.

In materia occorre, infine, ricordare quanto previsto dal d.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, recante «Attuazione dell’articolo 4 della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici».

L’art. 1 di tale decreto prevede che, al fine di ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalità stabilite nel presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche e dei concessionari di servizi pubblici, se derivi una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi, dalla violazione di termini o dalla mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un regolamento, dalla violazione degli obblighi contenuti nelle carte di servizi ovvero dalla violazione di standard qualitativi ed economici stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore nonchè, per le pubbliche amministrazioni, definiti dalle stesse in conformità alle disposizioni in materia di performance contenute nel D.Lgs. 150/2009, di attuazione della cd. Riforma brunetta.

Questo ricorso, devoluto alla giurisdizione esclusiva del G.A., non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato dagli atti e dai comportamenti appena descritti, restando fermi, a tal fine, i rimedi ordinari.

Glossariodiritto potestativo: è la situazione giuridica soggettiva che ha per contenuto il potere di un soggetto di produrre determinati effetti giuridici mediante una dichiarazione unilaterale di volontà, al quale corrispon-de una situazione di soggezione del destinatario tenuto a subire tali effetti nella propria sfera giuridica.Uti singuli: si usa questo termine quando ci si intende riferire alle persone singole, considerate indi-vidualmente. Al contrario, con l’espressione uti cives ci si riferisce a tutti i componenti la collettività.

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CAPITOLO QUARTO

i SoGGEtti dEL diRitto amminiStRatiVo

Sommario: 1. Il pluralismo della Pubblica Amministrazione. - 2. I caratteri degli enti pubblici. - 3. Enti pubblici autarchici: caratteri e disciplina. - 4. Le più importanti classificazioni degli enti pubblici. - 5. Gli enti pubblici economici (E.P.E.). - 6. I soggetti pubblici nel diritto dell’UE: l’organismo di diritto pubblico. - 7. La struttura degli enti pubblici: organi e uffici. - 8. Concetto di competenza. - 9. Tipi di competenza. - 10. Il trasferimento dell’esercizio della competenza. - 11. La delega di poteri. - 12. Avocazione e sostituzione. - 13. Il difetto di competenza. - 14. L’esercizio di fatto di pubbliche funzioni (il cd. funzionario di fatto). - 15. L’incompetenza.

1. iL PLuRaLiSmo dELLa PuBBLiCa amminiStRazionE

Nell’ordinamento italiano esiste una pluralità di soggetti, accanto allo Stato, che svolgono funzioni e compiti amministrativi diretti al perseguimento di fini rilevanti per l’ordinamento statale, e che, quindi, possono ritenersi Pubbliche Amministrazioni: si tratta degli enti pubblici.

L’ente pubblico è dotato, quindi, non solo di capacità giuridica privata, compatibile, ovviamente, con la sua natura di persona giuridica, ma anche di capacità giuridica pubblica.

Lo Stato-amministrazione rappresenta il primo e più importante soggetto attivo dell’ordinamento ed è la «persona giuridica pubblica per eccellenza» con caratteristiche esclusive; esso, infatti, si configura come:— ente sovrano: in quanto è sovraordinato a tutti gli altri soggetti che operano nell’or-

dinamento;— ente politico: in quanto persegue fini di interesse generale;— ente necessario e ad appartenenza necessaria, in quanto, da un lato, la sua esisten-

za è indispensabile per il perseguimento dei pubblici interessi e, dall’altro, tutti i cittadini fanno parte di esso.È importante sottolineare come, nel nostro ordinamento, anche lo Stato è soggetto

di diritto, dotato quindi di personalità giuridica.In materia, infine, non può prescindersi dal combinato disposto degli artt. 95, comma

3, e 97, comma 1, Cost., i quali statuiscono, rispettivamente che «la legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri», e che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».

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188 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

2. i CaRattERi dEGLi Enti PuBBLiCi

Col termine «ente» si fa riferimento non solo alle persone giuridiche pubbliche e private, ma anche ai gruppi organizzati che l’ordinamento considera titolari di situazioni giuridiche, pur non attribuendo loro la personalità giuridica, e che sono, denominati generalmente «enti di fatto».

La qualificazione del carattere «pubblico» dell’ente è di più difficile individuazione essendo assai raro che la legge qualifichi espressamente un ente come «pubblico».

L’unico metodo valido per accertare la «pubblicità» di un ente, è quello di guardare al regime giuridico di esso, cioè al complesso di norme e di principi che ne regolano l’esistenza e l’attività nonché l’inserimento nella struttura amministrativa pubblica» (SANDULLI).

Se in tale regime giuridico si può ravvisare la presenza di particolari elementi (cd. indici di riconoscimento), allora si potrà affermare la natura pubblica dell’ente.

La L. 20 marzo 1975, n. 70 (cd. legge sul parastato) ha fornito un criterio formale di individuazione degli enti pubblici, ravvisabile nella istituzione o riconoscimento mediante legge. La nascita di un ente pubblico è, quindi, rimessa all’esclusiva inizia-tiva del legislatore e, qualora intervenga ad opera di altri soggetti, pubblici o privati, è comunque necessario un atto di riconoscimento legislativo; anche la estinzione degli enti pubblici deve essere decretata dalla legge, nelle stesse forme previste per la nascita.La L. 70/1975 ha inoltre suddiviso gli enti pubblici in quattro grandi settori:— gli enti necessari (il cd. parastato), aventi caratteri istituzionali e organizzativi simili a quelli propri

degli organi dello Stato;— gli enti sottratti all’applicazione della L. 70/1975;— gli «altri» enti, non costituiti o ordinati con legge, che non hanno alcuna forma di contribuzione statale;— gli enti inutili, che vennero poi soppressi.

3. Enti PuBBLiCi autaRCHiCi: CaRattERi E diSCiPLina

Gli enti pubblici, che agiscono in regime di diritto amministrativo e possono ritenersi Pubbliche Amministrazioni, sono detti enti autarchici.

Gli enti autarchici godono di un particolare regime giuridico, che si può riassumere nelle seguenti caratteristiche: autarchia, autotutela, autonomia.

L’autarchia è la «capacità degli enti pubblici di amministrare i propri interessi, svolgendo un’attività avente gli stessi caratteri e la stessa efficacia dell’attività ammi-nistrativa dello Stato».

Si ha, pertanto, autarchia quando ad una persona giuridica, che svolge compiti o funzioni di interesse pubblico o rappresenta una comunità di persone, è riconosciuta la titolarità di pubblici poteri o di potestà pubbliche, con la conseguente equiparazione degli atti da questa emanati agli atti amministrativi.

L’autotutela consiste nella possibilità, riconosciuta dalla legge all’amministrazione (dello Stato, o di un ente pubblico autarchico), di farsi ragione da sé (naturalmente secondo diritto, e non arbitrariamente) con i mezzi amministrativi a sua disposizione (e salvo ogni sindacato giurisdizionale).

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Secondo lo schema formulato da bENVENUTI, l’attività di autotutela può distinguersi in:1) autotutela decisoria: attuata attraverso l’emanazione di una decisione amministrativa;2) autotutela esecutiva: consistente nel complesso di attività volte ad attuare, anche contro la volontà dei

destinatari del provvedimento, le decisioni già adottate dall’amministrazione.

L’autonomia, in generale, consiste nel potere di un ente di porre in essere scelte e di emanare atti, con proprie deliberazioni.Si distinguono varie forme di autonomia:a) autonomia politica (o di indirizzo politico): è il potere dell’ente di compiere delle

scelte generali in ordine ai fini da perseguire e ai modi attraverso cui perseguirli. Tale forma di autonomia è riconosciuta allo Stato e alle Regioni;

b) autonomia normativa: è la capacità di un ente di costituire il proprio ordinamento mediante norme aventi la stessa natura ed efficacia delle norme statali, anche se ad esse sottordinate (ROmANO). Posto che le norme emanate dal soggetto dotato di autonomia possono assumere la forma di leggi, Statuti o regolamenti, l’autonomia normativa può a sua volta ulteriormente distinguersi in:— autonomia legislativa;— autonomia statutaria;— autonomia regolamentare.

Nel nostro ordinamento positivo godono di:— autonomia legislativa: tutte le Regioni, sia a Statuto ordinario che a Statuto

speciale, e le Province di Trento e bolzano;— autonomia statutaria: oltre alle Regioni a Statuto ordinario, anche i Comuni, le

Province, le Città metropolitane, le Camere di commercio etc.;— autonomia regolamentare: tutti gli enti territoriali (Regioni, Città metropolitane,

Province e Comuni), nonché gli altri enti ed organi (es.: Prefetto) cui la legge espressamente la conferisce;

c) autonomia organizzatoria: che è la capacità di un ente o di un organo di darsi (o contribuire a darsi) la propria struttura organizzativa (QUARANTA);

d) autonomia finanziaria: capacità dell’ente di imporre propri tributi;e) autonomia gestionale: capacità dell’ente di avere un bilancio proprio, diverso da

quello dello Stato.

4. LE Più imPoRtanti CLaSSiFiCazioni dEGLi Enti PuBBLiCiUna distinzione fondamentale, propria di tutte le persone giuridiche, pubbliche e private, è quella tra

corporazioni e istituzioni:— le corporazioni sono persone giuridiche in cui prevale l’elemento personale (cioè si basano sull’asso-

ciazione di più persone);— le istituzioni sono persone giuridiche nelle quali prevale l’elemento patrimoniale (ad es. gli istituti

previdenziali). Esse sono caratterizzate dal fatto che i beneficiari dei loro servizi sono di solito soggetti diversi da quelli che formano l’amministrazione dell’ente (si pensi agli assistiti di un ente previdenziale).

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190 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

Ulteriori classificazioni sono:a) Enti territoriali ed enti istituzionali Sono enti territoriali, oltre allo Stato, anche le Regioni, le Province, i Comuni, le Aree metropolitane

e le Comunità montane (cd. enti territoriali minori). Gli enti territoriali sono quelli in cui il territorio è uno degli elementi costitutivi strutturalmente inde-

fettibile per l’esistenza dell’ente, e non si configura, semplicemente, come ambito spaziale che delimita la sua sfera d’azione.

Enti non territoriali sono tutti gli altri denominati anche enti istituzionali, nell’ambito dei quali alcuni hanno carattere nazionale, altri locale.

b) Enti nazionali ed enti locali Si dicono locali (o anche circoscrizionali) quegli enti che operano nell’ambito di un territorio circoscritto,

per perseguire fini istituzionali che rientrano in tale circoscrizione. La categoria degli enti locali non coincide con quella degli enti territoriali: gli enti territoriali sono enti locali, ma non tutti gli enti locali sono anche enti territoriali. Infatti, gli enti territoriali si distinguono in quanto il territorio ne costitu-isce un elemento costitutivo ed inoltre perché essi rappresentano gli interessi generali delle collettività stanziate nel loro territorio. Negli altri enti locali, invece, il territorio non è un elemento costitutivo, ma delimita solo l’ambito della loro sfera d’azione e d’interessi. Inoltre essi attendono alla cura di interessi settoriali (si pensi agli ordini professionali, ai consorzi di bonifica etc.). Gli enti nazionali, invece, esercitano la loro sfera d’azione su tutto il territorio nazionale ovvero su un ambito territoriale limitato, ma per perseguire un interesse nazionale e non solo locale (si pensi, ad es., agli enti portuali).

c) Enti strumentali Essi perseguono fini propri ed esclusivi di altro ente (in genere fini dello Stato) da cui ricevono ordini,

direttive, talché il loro margine di autonomia (amministrativa) è minimo. Tra essi, si ricordano l’ISTAT (Istituto Centrale di Statistica), l’INAIL (Istituto Nazione dell’Assistenza per gli Infortuni sul Lavoro), il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), la CRI (Croce Rossa Italiana).

d) Enti ausiliari Completano, integrano, aiutano l’azione statale perseguendo fini che pur non essendo propri ed esclusivi

dello Stato, vengono da quest’ ultimo considerati con intenso interesse. Si ricordano il CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), la LUISS (Libera Università Internazionale Studi Sociali), l’Accademia dei Lincei.

e) Enti necessari Sono necessari quegli enti che, secondo il sistema organizzatorio predisposto dall’ordinamento, debbo-

no esistere necessariamente. Ne sono esempi gli enti territoriali, le Camere di Commercio e gli ordini professionali.

5. GLi Enti PuBBLiCi EConomiCi (E.P.E.)

Gli enti pubblici economici sono una particolare categoria di enti pubblici, che non agiscono in regime di diritto amministrativo, bensì di diritto privato; sono, inoltre, soggetti alla disciplina propria del diritto privato.Essi si distinguono dagli enti pubblici autarchici in quanto:— svolgono in via principale o esclusiva attività di produzione per il mercato e di

intermediazione nello scambio di beni e servizi: cioè una attività economica come gli imprenditori privati (v. art. 2082 c.c.);

— svolgono tale attività sullo stesso piano degli imprenditori privati, cioè in regime di concorrenza con essi, ma realizzano fini pubblici che spesso non si identificano con i fini di lucro propri delle imprese private. Tuttavia, pur non essendo lo scopo di lucro un elemento essenziale dell’E.P.E., è necessario che l’ente operi secondo il

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criterio della obiettiva economicità, cioè di correlazione di costi e ricavi, facendi sì che l’impresa venga esercitata in modo tale che dall’attività si ricavi almeno quanto occorre per coprire i costi dei fattori di produzione impiegati.

Quanto al regime giuridico degli enti pubblici economici, occorre rilevare che:— sono soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese;— non sono assoggettabili al fallimento;— a seconda dell’oggetto sociale dell’impresa stipulano con l’utenza contratti disciplinati dal codice civile;— operano in regime di concorrenza con gli altri imprenditori privati.

Nel quadro di un generale programma di privatizzazione di vasti settori della pubblica economia, si è disposto con L. 29-1-1992, n. 35 che gli enti pubblici economici possono essere trasformati in società per azioni (S.p.A.) conformemente agli indirizzi di politica economica ed industriale e nel rispetto dei criteri di economicità ed efficienza deliberati dal CIPE, su proposta del ministro dell’Economia e delle finanze, d’intesa con i ministri di volta in volta competenti. Con la successiva L. 8-8-1992 n. 359 si è disposto, congiuntamente alla soppressione del ministero delle partecipazioni statali, la trasformazione di IRI, ENI, ENEL ed INA in società per azioni.

Una decisiva accelerazione al processo di privatizzazione è stata impressa, inoltre, dalla legge 14 no-vembre 1995, n. 481 — Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità per la regolazione dei servizi di pubblica utilità — la quale ha istituito le authorities per i servizi pubblici, così ponendo le premesse per la privatizzazione e la concorrenza nei grandi monopoli pubblici come l’elettricità, il gas e le telecomunicazioni in genere. Sono state, così, istituite l’autorità per l’energia elettrica e il gas e l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni (L. 249/1997). La costituzione di tali authorities rende possibile il collocamento delle azioni detenute dallo Stato nelle società derivanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici.

6. i SoGGEtti PuBBLiCi nEL diRitto dELL’uE: L’oRGaniSmo di diRitto PuBBLiCoPreliminarmente, è necessario sottolineare che manca, a livello europeo, una nozione organica ed

unitaria di soggetto pubblico.D’altra parte, ciò che accomuna le diverse nozioni di soggetto pubblico elaborate in ambito europeo è

la spiccata connotazione sostanziale: alla individuazione dei soggetti pubblici, infatti, si procede sulla base di parametri di tipo sostanziale, tra cui, in particolare, quello della sottoposizione dell’ente a dominanza pubblica di carattere funzionale o strutturale.

L’art. 1, par. 9, della direttiva 2004/18 del 31 marzo 2004 (nella formulazione recepita dal d.Lgs. 163/2006 contenente il Codice dei contratti pubblici), stabilisce che si considerano amministrazioni aggiudicatrici, oltre lo Stato e gli enti pubblici territoriali, gli «organismi di diritto pubblico», ossia quei soggetti giuridici «istitui-ti per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale, dotati di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione sia sottoposta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico» (art. 3 co. 26).

La normativa europea, quindi, individua la nozione di organismo di diritto pubblico alla stregua di tre parametri, tutti necessari, ossia il possesso della personalità giuridica, il fine perseguito, costituito dal soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, e la sotto-posizione ad una influenza pubblica.

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7. La StRuttuRa dEGLi Enti PuBBLiCi: oRGani E uFFiCi

Come tutte le persone giuridiche, anche lo Stato e gli enti pubblici hanno una propria organizzazione interna, composta di beni e di persone fisiche, che agiscono per conto dell’ente. Nell’organizzazione di ogni ente pubblico possiamo distinguere gli organi e gli uffici.

a) Concetto di organo e concetto di ufficioL’organo rappresenta la persona o il complesso di persone preposte ad un determi-

nato centro di riferimento di competenza amministrativa e che, pertanto, esercita una pubblica potestà. L’organo, dunque, permette all’ente di rapportarsi con altri soggetti giuridici o comunque di produrre effetti giuridici preordinati all’emanazione di atti aventi rilevanza esterna (CASETTA).Elementi essenziali dell’organo sono dunque:1. il titolare dell’organo stesso (cd. funzionario), il quale è di regola, una persona fisica, legata all’ente da

un particolare rapporto giuridico, che è il cd. rapporto di servizio; come vedremo, titolare dell’organo può anche essere, eccezionalmente, una persona giuridica, nel qual caso ricorre la figura delle cd. or-ganizzazioni - persone giuridiche;

2. l’esercizio di una pubblica potestà da parte del titolare stesso: organo in senso tecnico è, dunque, solo colui che esercita una pubblica funzione (es. Prefetto, Direttore generale o ministro), non anche il funzionario il quale svolge attività meramente esecutiva o materiale (GIANNINI).Il complesso dei poteri e delle funzioni che ciascun organo può esercitare si definisce competenza (v. infra).

Secondo la dottrina dominante, l’ufficio (es. il ministero, la Prefettura) è il com-plesso organizzato di sfere di competenze, persone fisiche, beni materiali e mezzi volto strumentalmente al perseguimento dei fini istituzionali dell’ente.

Gli uffici (che possono servire anche più di un organo) si caratterizzano per la presenza di due elementi:— un elemento funzionale: in quanto ad essi sono attribuite funzioni proprie della

persona giuridica di cui fanno parte;— un elemento strutturale: essi sono, cioè, incorporati stabilmente nella struttura

dell’ente di cui fanno parte.Si è, dunque, in presenza di un organo quando il soggetto ha la veste e la capacità

per impegnare l’ente verso i terzi. Negli altri casi si tratterà di semplici uffici.

B) Rapporto organico e rapporto di servizioTra organo o ufficio e soggetto preposto ad esso esiste un rapporto, detto organico,

sulla cui natura giuridica la dottrina ha per lungo tempo dibattuto.La dottrina più moderna ritiene che il rapporto organico sia un rapporto di im-

medesimazione tra preposto ed organo (o ufficio): il primo è tutt’uno con il secondo e non costituisce un soggetto a sé stante.

Pertanto, il rapporto organico è un rapporto non giuridico, ma meramente orga-nizzativo: un qualsiasi rapporto giuridico presuppone almeno due persone distinte; nel caso di specie, al contrario, non vi è relazione intersoggettiva, ma immedesimazione.

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La configurazione del rapporto organico, quale rapporto non giuridico, è rilevante ai fini della diretta imputazione dell’attività posta in essere dall’organo all’ente di cui costituisce elemento strutturale ed ai fini della qualificazione della responsabilità conseguente agli illeciti commessi dal titolare dell’organo come responsabilità diretta.

Il rapporto di servizio è, invece, quel rapporto che intercorre tra l’ente e tutti coloro che prestano stabilmente la loro attività nell’ambito della sua organizzazione. Si tratta, pertanto, del rapporto giuridico intercorrente tra l’ente e i titolari dei vari organi, nonché tra l’ente e i dipendenti che svolgono attività meramente esecutive o materiali.

Il rapporto di servizio tra la persona fisica e l’ente sorge, in via generale, con un atto amministrativo di assunzione del soggetto, secondo le modalità che vedremo.

In casi eccezionali, tale rapporto può sorgere di fatto, vale a dire in assenza di un atto formale di as-sunzione da parte della P.A.

Il rapporto organico sorge anch’esso, in via generale, con un atto amministrativo, detto di assegnazione (o incardinazione) del soggetto all’ufficio o all’organo.

L’atto di assegnazione presuppone logicamente l’esistenza del rapporto di servizio, a meno che stessa assegnazione non abbia luogo in «via di fatto», cioè in presenza di viziata assunzione in servizio del soggetto e, quindi, in presenza di un rapporto di servizio invalido.

C) Le relazioni fra i diversi organiTra gli organi di una persona giuridica possono instaurarsi diverse relazioni disciplinate dal diritto, che

vengono chiamati rapporti interorganici.Ecco alcuni tipi di rapporti interorganici:a) gerarchia: si tratta del rapporto esterno intercorrente tra organi di grado diverso all’interno di uno stesso

ramo dell’amministrazione. I poteri tipici del rapporto di gerarchia sono:— potere di ordine, che consente di vincolare l’organo subordinato ad un certo comportamento nello

svolgimento della propria attività;— potere di direttiva, mediante il quale si indicano i fini e gli obiettivi da raggiungere, lasciando

sussistere un margine di scelta in ordine alle modalità con cui conseguirli;— potere di sorveglianza sull’attività degli organi subordinati, i quali possono essere sottoposti ad

ispezioni ed inchieste;b) direzione: consiste in un potere autonomo, in via di progressiva evoluzione nelle strutture amministrative, che

non va confuso con quello di gerarchia, e che si estrinseca nelle facoltà, da parte dell’organo sovraordinato, di propulsione, potere e controllo rispetto ai quali il destinatario gode di una maggiore autonomia;

c) coordinamento: meno intenso è il potere di coordinamento che talvolta viene riconosciuto ad un ufficio nei confronti di altri (anche non inferiori gerarchicamente) al fine di indirizzarne l’attività, secondo un disegno unitario in vista di risultati di interesse comune;

d) controllo: tale relazione consiste nella possibilità di effettuare esami e verifiche di atti e attività imputate ad altro organo controllato. Il controllo è doveroso, nel senso che l’organo chiamato ad esercitarlo non può rifiutarsi; è accessorio rispetto ad un’attività principale ed è svolto nella forme stabilite dalla legge.

8. ConCEtto di ComPEtEnza

La competenza di un determinato organo indica la frazione di poteri e di funzioni che esso può, per legge, esercitare per perseguire fini di pubblico interesse. Essa rap-presenta la misura (o quantum) delle attribuzioni di spettanza dell’organo o dell’ufficio che ne è investito.

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194 Parte Seconda - L’ordinamento amministrativo dello Stato

In dottrina si distingue tra competenza esterna e competenza interna.La competenza esterna riguarda i poteri e le funzioni che l’organo può esercitare all’esterno, verso i terzi.Con l’espressione «competenza interna» si suole, invece, impropriamente, indicare l’insieme dei compiti

che sono svolti da ciascun ufficio o organo interno: la competenza in senso tecnico però è solo quella «esterna».

La competenza esterna di un organo amministrativo deve essere determinata dalla legge ordinaria. Infatti, l’art. 97, comma 1, Cost. afferma che «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge», mentre il secondo comma afferma che «nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza».

Si tratta, però, di una riserva relativa di legge, sicché l’intervento del legislatore ordinario è limitato alla fissazione della disciplina di principio, mentre spetta alle fonti secondarie dettare, entro i limiti prefissati dalla legge, la regolamentazione della materia.

9. tiPi di ComPEtEnzaIn ordine al concetto di competenza si deve, in via preliminare, distinguere il significato che comunemente

si attribuisce ad esso, nella sua accezione positiva, da quello avente, invece, portata negativa.Dicesi, infatti, competenza la delimitazione delle specifiche aree di pertinenza dei singoli organi od enti

pubblici. Il termine incompetenza viene, invece, solitamente adoperato al fine di individuare uno dei tre vizi di le-gittimità da cui l’atto amministrativo può essere affetto (gli altri due sono la violazione di legge, l’eccesso di potere).

La competenza degli organi amministrativi suole tradizionalmente distinguersi in tre categorie: per materia, per territorio e per grado.

La competenza per materia comporta la ripartizione delle varie attribuzioni con riferimento ai singoli compiti, per cui vengono a formarsi vari settori all’interno della P.A., caratterizzato ciascuno da un compito particolare. La maggiore e più importante ripartizione della competenza per materia è fatta con l’attribuzione dei compiti ai vari Ministeri, ciascuno dei quali si trova a capo di un ramo particolare dell’amministrazione.

La ripartizione della competenza per territorio presuppone identità di competenza per materia e com-porta, all’interno di uno stesso ramo dell’amministrazione, la ripartizione delle attribuzioni con riferimento all’ambito territoriale di un dato organo.

La competenza per grado presuppone identità di competenza per materia e per territorio e interessa, quindi, organi di uno stesso ramo dell’amministrazione. In base alle attribuzioni per grado viene, in pratica, a formarsi una piramide che ha il suo vertice nel ministro e giunge agli organi periferici che ne costituiscono la base.

10. iL tRaSFERimEnto dELL’ESERCizio dELLa ComPEtEnza

La competenza amministrativa è retta dal principio di inderogabilità in quanto la determinazione delle sfere di attribuzione e le competenze sono rimesse alla volontà del legislatore.

Tuttavia esistono determinati istituti che, pur non operando un trasferimento della titolarità della competenza, determinano lo spostamento dell’esercizio di essa. Tali meccanismi giuridici sono:a) l’avocazione, da parte dell’organo gerarchicamente superiore, dell’affare per cui

è competente l’organo inferiore (v. infra);b) la delega del potere, da parte dell’organo titolare di esso, ad altro organo ammini-

strativo;c) la sostituzione quando, in caso di inerzia di un organo gerarchicamente inferiore,

l’organo superiore si sostituisce ad esso nel compiere un atto vincolato.

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11. La dELEGa di PotERi

La delega di poteri (o delegazione) comporta il trasferimento dell’esercizio della competenza da un organo ad un altro organo (delega interorganica) o da un soggetto ad un altro soggetto (delega intersoggettiva): essa può definirsi come quell’atto ammi-nistrativo organizzatorio per effetto del quale, nei casi espressamente previsti dalla legge, un organo o un ente, investito in via originaria della competenza a provvedere in una determinata materia, conferisce ad un altro organo o ad un altro ente, auto-ritativamente ed unilateralmente, una competenza di tipo derivato in quella stessa materia (QUARANTA).Da tale definizione si ricavano i principi generali per cui la delega:— è ammissibile solo nel caso in cui sia espressamente prevista dalla legge, importando una deroga alla

competenza la quale è coperta da «riserva di legge» (SANDULLI, QUARANTA);— deve essere sempre conferita per iscritto, in relazione al predetto carattere derogatorio.

Quanto agli effetti, la delega trasferisce dal delegante al delegato non già la tito-larità del potere bensì soltanto l’esercizio di esso, mentre titolare resta il delegante. Per effetto della delega, quindi, il delegato viene a trovarsi, rispetto all’esercizio del potere, nella stessa posizione del delegante.

Il potere viene esercitato dal delegato in nome proprio, per cui è lui ad esserne di-rettamente responsabile a differenza da quanto avviene nelle ipotesi di delega di firma.Il delegante, per effetto della delega acquista, nei confronti del delegato:— il potere di impartire direttive relativamente agli atti da compiere nell’esercizio della delega;— il potere di sostituzione in caso di inerzia del delegato nell’esercizio del potere delegato;— il potere di annullamento, in sede di autotutela, degli atti illegittimi eventualmente posti in essere

nell’esercizio della delega;— il potere di revoca della delega.

12. aVoCazionE E SoStituzionE

Con l’avocazione l’organo superiore attribuisce a sé la competenza a compiere un determinato atto di cui è competente l’organo inferiore.

L’avocazione presuppone un rapporto di gerarchia nonché una attribuzione di competenza non esclusiva a favore dell’inferiore.

Anche la sostituzione, come l’avocazione, comporta l’esercizio di un potere da parte di un organo diverso da quello cui il potere stesso è attribuito; a differenza della avocazione, però, la sostituzione presuppone sempre una inerzia del sostituito.Affinché, dunque, possa farsi luogo a sostituzione occorre, come rileva VIRGA, che:— vi sia una previsione di legge che espressamente autorizzi l’intervento sostitutivo;— esista un rapporto di gerarchia tra il sostituto (superiore) ed il sostituito (inferiore);— l’organo inferiore abbia ingiustificatamente omesso di provvedere alla emanazione di un provvedimento;— il provvedimento da emettere sia un atto vincolato nell’emanazione;— l’inferiore sia rimasto inerte anche dopo la formale diffida ad adempiere fattagli dal superiore.

Verificatisi tali presupposti il superiore si sostituisce all’inferiore ed emette lui l’atto che questi avrebbe dovuto emettere.

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13. iL diFEtto di ComPEtEnza

Il difetto di competenza ad emanare un atto o a compiere una attività di diritto amministrativo può dar luogo a tre diverse ipotesi:a) la cd. «acompetenza»;b) l’incompetenza assoluta (v., infra, par. 15);c) l’incompetenza relativa (v., infra, par. 15).

Si ha «acompetenza» quando siano compiuti atti amministrativi non da un organo diverso da quello «competente», bensì da un soggetto che non riveste affatto, nel sistema giuridico, la qualità di organo di un ente pubblico: si tratterebbe, cioè, di un soggetto che non è proprio investito della pubblica funzione (GAROFOLI-FERRARI).Sono casi di acompetenza, quelli in cui:a) l’agente che si arroga la titolarità di una pubblica funzione, non ha mai ricevuto l’investitura di una

pubblica funzione;b) l’agente è stato investito di una pubblica funzione con un atto nullo;c) l’agente, benché validamente investito di una pubblica funzione, è successivamente «decaduto» dall’uf-

ficio, per cui non è più titolare di esso;d) l’agente ha perso l’investitura precedentemente ricevuta in quanto successivamente annullata.

14. L’ESERCizio di Fatto di PuBBLiCHE Funzioni (iL Cd. Funzio-naRio di Fatto)

L’espressione funzionario di fatto viene utilizzata con riferimento a quelle ipotesi in cui l’atto di investitura del titolare dell’organo sia viziato o manchi del tutto.

La soddisfazione della fondamentale esigenza di continuità dell’esercizio della funzione pubblica, nonché di quella della tutela della buona fede e dell’affidamento dei terzi e di quella relativa all’economia dei mezzi giuridici (che comporta la conservazione degli atti amministrativi utili alla P.A.), sono alla base della disciplina del fenomeno del funzionario di fatto. Le medesime esigenze reggono le figure della prorogatio degli organi cessati, della reggenza di organi privi di titolare, e degli analoghi istituti della sostituzione e della supplenza.

Relativamente alle figure riconducibili sotto tale denominazione, non c’è omogeneità di opinioni in dottrina, che in particolare discute relativamente alle ipotesi della usurpazione di funzioni pubbliche (art. 347 c.p.), della occupazione bellica, della prorogatio e della ingerenza autorizzata da un atto di investitura formale, risultato solo in seguito viziato.

Per quanto concerne il regime giuridico degli atti compiuti dal funzionario di fatto, la giurisprudenza, applicando la regola del cd. fatto compiuto, ritiene che, una volta decorsi i termini per l’impugnativa dell’atto di investitura (allorché vi sia), gli atti siano validi, fatta salva sempre la loro impugnabilità per un vizio diverso da quello dell’incompetenza.

Peraltro, parte della dottrina (GALLI) ritiene che tale soluzione non sia applicabile nell’ipotesi di vera e propria usurpazione, in quanto, trattandosi di un’attività penalmente illecita (347 c.p.), gli atti adottati dovrebbero essere considerati atti ab imis nulli, perché provenienti da soggetto sprovvisto della qualità di organo amministrativo.

Secondo parte della dottrina (GALLI), il problema di fondo della controversa tematica del funzionario di fatto è quello relativo alla tutela dei terzi destinatari degli atti dallo stesso emanati.

La giurisprudenza è incline a risolvere detto conflitto facendo ricorso al principio di conservazione, in forza del quale gli atti in questione, ancorché invalidi, devono comunque ritenersi produttivi di effetti nei confronti dei terzi, eccezion fatta per le ipotesi di usurpazione, relativamente alle quali si propende per l’inapplicabilità del citato principio.

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È costante l’orientamento giurisprudenziale che vede nella tutela della buona fede del privato destinatario il fondamento della salvaguardia dell’atto.

Una problematica strettamente connessa a quanto in precedenza esposto attiene alle pretese economiche del funzionario di fatto, ossia alla sussistenza del diritto ad ottenere un compenso per l’attività da questi prestata a favore della P.a.A tale riguardo, solitamente si tende a distinguere due eventualità:— che sia mancato ab origine il titolo legittimante;— che la legittimazione vi sia stata ma, in un momento successivo, questa sia stata dichiarata nulla o

annullata.Nel primo caso, si ritiene che il funzionario possa esperire l’azione di ingiustificato arricchimento;

tuttavia, affinché questa sia possibile, è necessario che la P.A. riconosca l’utilità dell’attività portata avanti dal funzionario di fatto, visto che, se così non fosse, il giudice finirebbe per inserirsi in una attività di tipo discrezionale, riservata all’amministrazione (il riconoscimento, comunque, è anche ammesso per compor-tamenti concludenti).

Nel caso, invece, il titolo legittimante ci sia stato ma poi sia venuto meno, si ritiene che il funzionario abbia diritto ad una retribuzione, ex art. 2126 c.c., secondo il quale la nullità del contratto di lavoro non rileva ai fini retributivi per il periodo in cui il lavoro è stato effettivamente svolto.

15. L’inComPEtEnza

a) incompetenza assolutaTale vizio che dà luogo alla nullità dell’atto, si verifica quando:a) l’organo amministrativo emana un atto in una materia del tutto sottratta alla compe-

tenza amministrativa, e riservata ad un altro potere dello Stato (cd. straripamento di potere o difetto di attribuzioni) (VIRGA, SANDULLI);

b) l’organo amministrativo emana un atto riservato alla competenza di un settore amministrativo completamente diverso (es. un titolo di studio rilasciato dal Sindaco);

c) l’organo amministrativo emana un atto relativo ad un oggetto che si trova nella circoscrizione territoriale di un altro organo amministrativo (incompetenza assoluta per territorio).

B) incompetenza relativaL’incompetenza relativa, quale causa di illegittimità dell’atto amministrativo,

congiuntamente all’eccesso di potere e alla violazione di legge, si realizza quando la violazione della norma che individua il quantum di funzioni spettante all’organo è compiuta da un soggetto (colui che adotta l’atto) nei confronti di un altro soggetto appartenente allo stesso ramo dell’amministrazione.

GlossarioCalmiere: documento con cui la pubblica amministrazione stabilisce il prezzo minimo di vendita di alcuni beni di largo consumo (es.: pane, latte) per evitare che sia troppo alto.Funzionario: è il dipendente dello Stato o di altro ente pubblico che ha la responsabilità di un ufficio.Pubblico ufficiale: persone alle quali la legge affida determinati poteri.