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TRIMESTRALE DI AGGIORNAMENTO SCIENTIFICO Anno II - N. 4, 2010 Conferimento di medici, XV secolo. Dottori con libri e bottiglie di esemplari. Da 'Le Tresor des Histoires', storia universale dalla Creazione al tempo di Papa Clemente VI

Conferimento di medici, XV secolo. Dottori con libri e ... · Prof. Claudio Ferri, Dr. Davide Grassi Ipertensione e demenza Prof. Giovambattista Desideri, Antonio Camerota, Daniela

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T R I M E S T R A L E D I A G G I O R N A M E N T O S C I E N T I F I C OAnno I I - N. 4, 2010

Conferimento di medici, XV secolo. Dottori con libri e bottiglie di esemplari.Da 'Le Tresor des Histoires', storia universale dalla Creazione al tempo di Papa Clemente VI

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EditoreSINERGIE Edizioni ScientificheS.r.l.Via la Spezia, 1 - 20143 MilanoTel./Fax 02 58118054E-mail: [email protected]

www.patientandcvr.comwww.edizionisinergie.com

Direttore responsabile Mauro Rissa

Direttore scientifico Ettore Ambrosioni

Com itato scientifico Claudio BorghiVittorio CostaAda DormiGuido GrassiGiuseppe ManciaSimone MininniPietro PutignanoEnrico StrocchiStefano TaddeiBruno TrimarcoPaolo VerdecchiaAugusto Zaninelli

Capo redattore Eugenio Roberto Cosentino

A n n o I I - N . 4 , 2 0 1 0

TRIMESTRALEDI AGGIORNAMENTO SCIENTIF ICO

S O M M A R I OPrevenzione: binomio strategia di popolazione e clinicaEttore Am brosioni

Algoritmo dell’ipertensione resistenteDr. Agostino Virdis

Attualità in tema di rischio cardiovascolare nel paziente diabeticoProf. Antonio Ceriello

La modulazione del RAS con gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II: differenze sperimentali e clinicheDott. M aurizio Destro, Dott.ssa Francesca Cagnoni, Dott. Christian A. Ngu Njwe, Alessandra Bertone, Claudio Valizia, Dott. Antonio D’Ospina, Dott.ssa Rossana Scabrosetti

La misurazione della pressione arteriosa a domicilioProf. Gianfranco Parati

Automisurazione della pressione arteriosa e gravidanzaDr. Vincenzo Im m ordino, Dr.ssa Martina Rosticci, Prof. Claudio Borghi

Significato della prescrizione di β-bloccanti nel III millennio. Appropriatezza e prospettive futureProf. Claudio Ferri, Dr. Davide Grassi

Ipertensione e demenzaProf. Giovam battista Desideri, Antonio Cam erota, Daniela Mastroiacovo, Raffaella Bocale

Redazione scientifica Daniela Degli EspositiMarco PombeniElisa Rebecca Rinaldi

Segreteria di redazione SINERGIE Edizioni [email protected]

Im paginazione SINERGIE Edizioni ScientificheS.r.l.

Stam pa ROTO 3 Industria Grafica S.p.A.Via Turbigo, 11/b - 20022 Castano Primo (MI)

Tiratura 37.000 copie

Registrazione presso Tribunale di Milano n. 207 del 28-03-2006

Pubblicazione fuori com m ercio riservata alla Classe Medica.

L’Editore è disponibile al riconoscim ento dei diritti di copyright per qualsiasi im m a-gine utilizzata e della quale non si sia riusciti ad ottenere l’autorizzazione alla ripro-duzione.

Nonostante la grande cura posta nel com pilare e controllare il contenuto, l’Editorenon sarà ritenuto responsabile per ogni eventuale utilizzo di questa pubblicazionenonchè per eventuali errori, om issioni o inesattezze nella stessa.

Copyright ©2010 SINERGIE S.r.l.Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotoco-piata o riprodotta senza l’autorizzazione dell’Editore.

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Prevenzione: binomio strategia di popolazione e clinicaNegli ultimi 50 anni il concetto di prevenzione delle

malattie cardiovascolari, specificamente della malattia

aterosclerotica ed ipertensiva, si è tradotto in pratica nella

rilevazione e nel controllo dei maggiori fattori di rischio

conosciuti, quali l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterole-

mia, il fumo ed il diabete, attraverso raccomandazioni die-

tetiche e di comportamento (attività fisica, astensione dal

fumo). Talvolta sono state intraprese misure su vasta scala

e su popolazioni selezionate per l’alto rischio con l’obiet-

tivo di cambiare favorevolmente la distribuzione dei fatto-

ri di rischio. Tuttavia, non è affatto scontato il passaggio da

una strategia di sanità pubblica, basata sulla rilevazione e

sulla denuncia dei fattori di rischio, ad una strategia orien-

tata alla riduzione della prevalenza dei fattori di rischio

cardiovascolari. Non è né automatico né facile, poiché

significa intervenire precocemente sulle condizioni che

determinano i fattori di rischi. La ricerca epidemiologica

sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari deve met-

tere al primo posto come scelta strategica la prevenzione

dello sviluppo dei fattori di rischio cardiovascolari.

L’esempio dell’ipertensione si presta bene a questo pro-

posito. Sulla base dei risultati di studi clinici controllati, si

può convenire che il controllo degli stili di vita rappresen-

tano misure efficaci su cui basare la strategia dell’inter-

vento precoce e del controllo a lungo termine dell’iper-

tensione arteriosa. Considerando che stime aggiornate

sull’attesa di crescita dell’incidenza e della mortalità per

malattie cardiovascolari, sia nei paesi sviluppati che nei

paesi in via di sviluppo, attribuiscono a questa causa il

60% della mortalità totale, ben si comprende quale sia la

dimensione del problema. Per questo motivo la costruzio-

ne e l’implementazione di un adeguato programma di

prevenzione deve avvalersi di una integrazione armonica

e continuativa delle sue due componenti: quella clinica ad

opera del medico rivolta al singolo paziente, quella basa-

ta su la strategia di popolazione di spettanza di epidemio-

logi, politici, mass media ed autorità sanitarie. Purtroppo

l’esperienza di una efficiente collaborazione fra queste

diverse componenti rimane ancora lungi dall’essere otti-

male. E’ necessario identificare obiettivi comuni e pratica-

bili riducendo i costi ed aumentando il beneficio clinico

utilizzando percorsi dove le diverse competenze e

responsabilità si incontrino e costituiscano le premesse

per una collaborazione sistematica. Nei numeri preceden-

ti abbiamo studiato e affrontato ulteriormente i fattori di

rischio cardiovascolari e le relative interazioni con meto-

dologie adeguate, allo scopo di tradurre i risultati in azio-

ni di prevenzione primaria e secondaria e far progredire le

conoscenze sulla storia naturale delle malattie cardiova-

scolari. L’obiettivo, per il prossimo anno, è di promuovere

da subito azioni preventive e di educazione sanitaria nei

confronti dei principali fattori di rischio documentati. Lo

scopo del nostro progetto editoriale futuro è di creare un

ponte fra la medicina clinica basata sulla multifattorialità

delle malattie cardiovascolari, l’epidemiologia clinica e la

sanità pubblica. Per concludere esprimo tutto il mio

apprezzamento e la mia gratitudine a chi mi ha attribuito

le funzioni di direttore editoriale, per i suggerimenti e

l’aiuto ricevuto da quanti hanno accettato di collaborare

al progetto editoriale-didattico, nella elaborazione dei

casi clinici e nei corsi di aggiornamento ai medici genera-

listi e specialisti. A loro di fatto deve essere attribuito il

merito dei risultati conseguiti.

Infine mi è di grande conforto e soddisfazione la certez-

za che il testimone per la guida dell’intero progetto

verrà raccolto da un collega ed amico, di grande espe-

rienza, assolutamente capace di elevarne la qualità e

l’innovatività dei contenuti.

Ettore Am brosioni

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Algoritmo dell’ipertensione resistente

Per ipertensione resistente si intende quella situazione

clinica nella quale permangono valori di pressione arte-

riosa sistolica e/o diastolica elevati nonostante l’impie-

go di almeno tre farmaci antiipertensivi, compreso il

diuretico, a dosaggi adeguati (1,2). L’ipertensione resi-

stente rappresenta un importante problema clinico, se

si tiene conto del fatto che i pazienti che presentano

una reale resistenza al trattamento antiipertensivo sono

esposti ad un rischio cardiovascolare aggiuntivo elevato

(3). Nella maggior parte dei casi, le cause di ipertensio-

ne resistente (Tabella 1) hanno una origine multifatto-

riale, e devono essere distinte dalla “ipertensione pseu-

doresistente”. Questa comprende l’ipertensione da

“camice bianco”, la scarsa aderenza del paziente ad assu-

mere i farmaci antiipertensivi consigliati, l’impiego di

bracciali non idonei alla circonferenza del braccio, la

non corretta misurazione della pressione arteriosa accu-

rata ed il fenomeno della pseudoipertensione.

Quest’ultimo fenomeno, per lo più evidente nei pazien-

ti anziani, è legato alla ridotta distensibilità arteriosa

che rende fallace la rilevazione sfigmomanometrica dei

valori pressori.

Di fronte ad un paziente con ipertensione resistente, è

fondamentale innanzitutto che il medico esegua una cor-

retta ed approfondita anamnesi, al fine di documentare la

durata, severità e storia naturale dell’ipertensione del

paziente, l’aderenza al trattamento e la risposta alla tera-

pia farmacologica precedente e attuale, compresi gli

eventuali effetti collaterali che potrebbero averne limita-

to l’assunzione o che potrebbero aver indotto il paziente

ad autoridursi le dosi, limitandone pertanto l’efficacia. È

compito del medico riuscire a migliorare quanto più pos-

sibile l’aderenza del paziente alla terapia antiipertensiva,

prescrivendo farmaci con minori effetti collaterali, evitan-

do se possibile di prescrivere quelli che possano peggio-

rare patologie concomitanti. È inoltre importante infor-

mare il paziente riguardo ai possibili effetti collaterali e

discuterne insieme, se dovessero insorgere. Infine, è cru-

ciale semplificare, quanto più possibile, lo schema tera-

peutico, utilizzando combinazioni fisse che limitano il

numero delle compresse giornaliere da assumere. Per

ottenere tutto questo, il medico deve conoscere bene la

storia clinica del paziente nonché la farmacologia clinica

dei farmaci antiipertensivi che intende prescrivere.

Misurare correttamente la pressione arteriosa ed inse-

gnare al paziente una corretta automisurazione domici-

liare dei valori pressori, inclusi l’orario ed i tempi di misu-

razione corretti e l’apparecchio più idoneo evita che alla

visita successiva il paziente riporti valori domiciliari non

veritieri e falsamente elevati.

Nell’identificazione delle cause che favoriscono l’iperten-

sione resistente, il medico deve raccogliere informazioni

Dr. Agostino Virdis Dipartim ento Medicina Interna, Università di Pisa

Per ipertensione resistente si intende quella situazioneclinica nella quale permangono valori di pressione arte-riosa sistolica e-o diastolica elevati nonostante l’impiegodi almeno tre farmaci antiipertensivi, compreso il diureti-co, a dosaggi adeguati.

Il fenomeno della pseudoipertensione, per lo più eviden-te nei pazienti anziani, è legato alla ridotta distensibilitàarteriosa che rende fallace la rilevazione sfigmomanome-trica dei valori pressori.

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su un eventuale errato stile di vita del paziente, che com-

prende, tra l’altro, l’eccessivo introito di sale nella dieta, o

l’abuso di alcool, ed indagare su eventuali assunzioni di

sostanze a scopo voluttuario (cocaina, amine simpatomi-

metiche) e/o terapie farmacologiche concomitanti che

potrebbero interferire sull’efficacia dei farmaci antiiper-

tensivi, quali l’assunzione di estro-progestinici o l’uso abi-

tuale di FANS.

Laddove la storia clinica ne evidenzi il sospetto, è crucia-

le far eseguire tutti gli approfondimenti diagnostici allo

scopo di evidenziare una eventuale causa secondaria di

ipertensione arteriosa. I dati anamnestici o clinici che

devono far sospettare una causa secondaria di iperten-

sione arteriosa comprendono:

• Assenza di storia familiare di ipertensione.

• Storia familiare di feocromocitoma o di iperaldosteroni-

smo primitivo.

• Rilievo di ipopotassiemia non iatrogena

• Ipertensione arteriosa insorta in età <35 e > 60 anni.

• Ipertensione arteriosa severa ad insorgenza improvvisa.

• Ipertensione arteriosa in fase accelerata o maligna.

• Edema polmonare in paziente con normale funzione

cardiaca.

• Comparsa di insufficienza renale (specialmente sotto

ACE-inibitori) od improvviso aggravamento dell’insuffi-

cienza renale.

• Rilievo anche occasionale di rene piccolo o di massa sur-

renalica.

Qualora si sospetti una specifica causa secondaria di iper-

tensione arteriosa, si raccomanda di affidare il paziente

ad un Centro Specialistico di Ipertensione Arteriosa al

fine di approfondire gli accertamenti clinici e strumenta-

li del caso.

Infine, anche in assenza di un sospetto specifico di una

causa secondaria di ipertensione, nel caso in cui il pazien-

te si riveli ancora resistente alla terapia nonostante 6

mesi di un adeguato trattamento farmacologico antiiper-

tensivo, è logico prendere in considerazione di affidare il

paziente ad una valutazione specialistica, tenendo pre-

sente che l’ipertensione resistente si associa ad una

lunga storia di scarso controllo pressorio ed alla presen-

za di danno d’organo subclinico, situazioni che pongono

inevitabilmente il paziente ad un rischio cardiovascolare

aggiuntivo (3).

Bibliografia1. 2007 Guidelines for the Management of Arterial Hypertension: The TaskForce for the Management of Arterial Hypertension of the EuropeanSociety of Hypertension (ESH) and of the European Society of Cardiology(ESC). J Hypertens 2007;25:1105-1187.2. Calhoun DA, Jones D, Textor S, Goff DC, Murphy TP, Toto RD, White A,Cushman WC, White W, Sica D, Ferdinand K, Giles TD, Falkner B, Carey RM.Resistant hypertension: diagnosis, evaluation, and treatment: a scientificstatement from the American Heart Association Professional EducationCommittee of the Council for High Blood Pressure Research. Circulation2008;117:e510-526.3. Cuspidi C, Macca G, Sampieri L, Michev I, Salerno M, Fusi V, Severgnini B,Meani S, Magrini F, Zanchetti A. High prevalence of cardiac and extracardiactarget organ damage in refractory hypertension. J Hypertens 2001;19:2063-2070.

Cause più frequenti di ipertensione resistente

Ipertensione pseudoresistente• Scarsa aderenza al piano terapeutico• Ipertensione clinica isolata (camice bianco)• Impiego di bracciali di misure inadeguate

Stili di vita che contribuiscono all’ipertensione resistente• Incremento ponderale• Elevato consumo di bevande alcoliche• Elevato introito di sodio

Assunzione abituale di farmaci o sostanze che aumentano la pressione arteriosa (liquirizia, cocaina, amine simpatomimetiche, FANS, estro-progestinici di sintesi)

Cause secondarie di ipertensione arteriosa

Danno d’organo irreversibile o poco responsivo alla terapia

Inadeguato trattamento farmacologico• Dosaggi inadeguati• Terapia di combinazione inadeguata (Ca-antagonisti + diuretici; ACE-inibitori + AT1-antagonisti; beta-bloccanti + ACE inibitori)

Tabella 1

È compito del medico riuscire a migliorare quanto piùpossibile l’aderenza del paziente alla terapia antiiperten-siva, prescrivendo farmaci con minori effetti collaterali,evitando se possibile di prescrivere quelli che possanopeggiorare patologie concomitanti.

L’ipertensione resistente si associa ad una lunga storia discarso controllo pressorio ed alla presenza di danno d’or-gano subclinico, situazioni che pongono inevitabilmenteil paziente ad un rischio cardiovascolare aggiuntivo.

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Attualità in tema di rischio cardiovascolare nel paziente diabetico

La diffusione del diabete in tutto il mondo è già nel

2010 di proporzioni epidemiche con una stima di 284,6

milioni di adulti malati (1). Ma ciò che risulta essere più

preoccupante è che la diffusione è aumentata del 15%

dal 2007 (2) e che esistono proiezioni che prevedono

in 438.400 mila il numero di adulti malati di diabete

nel 2030, con un incremento del 54% rispetto alle cifre

del 2010 (1) (Figura 1). Questo drastico aumento nella

diffusione del diabete è dovuto principalmente a pro-

blemi derivanti dallo stile di vita (compresa la dieta, la

mancanza di esercizio fisico e l’obesità) ed è ricono-

sciuto come ciò stia diventando una delle principali

cause di mortalità e morbilità.

Comuni complicanze associate al diabete sono le

malattie cardiovascolari (CVD), l’ictus, le neuropatie,

l’insufficienza renale, la retinopatia e la cecità.

Il diabete di per sé comporta un rischio notevolmente

aumentato di malattia cardiovascolare (CVD) e i tassi di

Prof. Antonio Ceriello Insititut d'Investigacions Biom èdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS), Barcelona, Spain

Diabete nella popolazione generale. Proiezione globale 2030

IDF Diabete Atas 4th edizione

Globale438,4 milioni

+ 54%

<4

4-5

5-7

7-9

9-12

>12

Figura 1

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mortalità sono molto più alti nelle persone con diabe-

te rispetto a quelli senza questa malattia. Quattro

quinti dei pazienti con diabete muoiono a causa di

complicanze cardiovascolari e l'aspettativa di vita è

ridotta di ben 10 anni rispetto a quella delle persone

senza diabete (3). Il rischio di un infarto miocardico in

pazienti diabetici senza malattia coronarica (CAD) pre-

gressa è simile a quello dei soggetti non-diabetici con

nota CAD (4) e si è calcolato che lo sviluppo di diabete

conferisce un rischio cardiovascolare al pari di un

invecchiamento di 15 anni (5).

Pertanto le linee guida di trattamento ora consigliamo

che il diabete venga trattato alla pari di una malattia

coronarica (6). La CVD è la principale causa di mortali-

tà e una delle principali cause di disabilità nel mondo

e, come il diabete, ci sono fattori predisponenti asso-

ciati allo stile di vita che sono attualmente più diffusi

nelle nazioni sviluppate.

L'effetto dei disordini nella regolazione glicemica nei

pazienti con malattia coronarica (CAD) e senza una

diagnosi di diabete, è stato valutato in studi di popola-

zione svolti in Svezia (Glucose Abnormalities in

Patients with Myocardial Infarction [GAMI]) (7) e in 25

paesi europei (Euro Heart Survey) (8). Sulla base dei

risultati del test orale di tolleranza al glucosio (OGTT ),

il 35-37% dei pazienti in questi studi è stato classifica-

to come pre-diabetico e il 18-31% come aventi un dia-

bete di tipo 2. Il fatto che solo il 34-45% dei pazienti

siano stati classificati come normoglicemici è indicati-

vo del livello elevato di disglicemia diagnosticata tra i

pazienti con CAD in paesi relativamente sviluppati.

Un trend preoccupante è stato lo slittamento subito

dallo stato metabolico “normale” della popolazione.

Uno studio del 2008 di Wilhelmsen et al ha valutato i

cambiamenti nei fattori di rischio cardiovascolare in

campioni trasversali nella popolazione maschile di 50

anni a Göteborg; sono stati esaminati intervalli di 10

anni tra il 1963-2003 (9) (Figura 2).

Durante questo periodo di 40 anni sono state osserva-

te diminuzioni nei livelli di colesterolo sierico, nella

pressione arteriosa e nella presenza di fumatori.

Tuttavia, nello stesso periodo, l’indice di massa corpo-

rea, la circonferenza della vita, i livelli di trigliceridi e la

prevalenza di diabete sono aumentati. Per contro, il

grado di attività fisica nel tempo libero è diminuito dal

32% nel 1963 al 24% nel 2003. Anche se il tasso di

infarto miocardico acuto (IMA) nella popolazione si è

ridotto di oltre il 50% tra il 1975 e il 2004, questo può

essere attribuito a farmaci migliori per il trattamento

dell'ipertensione e dell’ iperlipidemia.

Tuttavia, con l'eccezione della presenza di fumatori,

tutti i fattori di rischio cardiovascolare legati allo stile

di vita nella popolazione sono peggiorati. Questa par-

ticolare popolazione è diventata più obesa, svolge

Un fenotipo che cambiatendenze secolari in un modello di fattore di rischio

Wilhelmsen L et al. J Intern Med 2008;263:636

uomini di 50 anni a Goteborg

56

32

17

24,8

87

6.4

1,3

138/91

3,6

22

24

17

26,8

95

5,5

1,7

135/85

6,6

Fattori di rischio

Fumo (%)

Regolare attività fisica (%)

Stress

Body Mass Index

Circonferenza vita (cm)

S-Colesterolo (mmol/l)

S-Trigliceridi (mmol/l)

Pressione arteriosa (mmHg)

Diabete (%)

1963 2003

Figura 2

Esistono proiezioni che prevedono in 438.400 mila il

numero di adulti malati di diabete nel 2030, con un incre-

mento del 54% rispetto alle cifre del 2010.

Complicanze associate al diabete sono le malattie cardio-

vascolari (CVD), l’ictus, le neuropatie, l’insufficienza rena-

le, la retinopatia e la cecità.

Pertanto le linee guida di trattamento ora consigliamo

che il diabete venga trattato alla pari di una malattia

coronarica.

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meno attività fisica tra i suoi soggetti la diffusione del

diabete è aumentata del 83%.

Quindi in questo periodo di tempo, lo stereotipo del

paziente tipo di infarto del miocardio si è “evoluto”, da

relativamente magro, accanito fumatore, verso un sog-

getto relativamente sedentario, obeso, con sindrome

metabolica.

Come abbiamo fin qui sottolineato, diabete e malattie

cardiovascolari sono strettamente intrecciati e, quindi,

la diagnosi e il trattamento del diabete, prediabete e

delle malattie cardiovascolari è stato delineato nelle

linee guida comuni emesse dalla Società Europea di

Cardiologia e dell'Associazione Europea per lo Studio

del Diabete (ESC / EASD) (10).

Queste linee guida richiamano l’attenzione a favore di

un approccio multi fattoriale riguardo allo stile di vita,

al controllo glicemico, e ai fattori di rischio cardiova-

scolare. Queste linee guida raccomandano un'educa-

zione strutturata per quanto riguarda il cambiamento

dello stile di vita (es. dieta, esercizio fisico, cessazione

del fumo) e determinano dei livelli-obiettivo per quan-

to riguarda la pressione arteriosa (<130/80 mmHg;

125/75 <mmHg nel caso di insufficienza renale), l’emo-

globina glicata A1c (HbA1c; = 6,5%), l’FPG (<6,0

mmol/L), il colesterolo totale (<4,5 mmol/L), il C-LDL

(<1,8 mmol/L), l’HDL-C (maschio> 1,0, femmina> 1,2

mmol/L ) e i trigliceridi (<1,7 mmol/L), in aggiunta ad

altri fattori di rischio cardiometabolico.

Questa approccio è supportato dallo studio Steno-2,

in cui in soggetti con diabete di tipo 2 e microalbu-

minuria un trattamento intensivo multifattoriale

e`risultato molto piu efficace nel ridurre le compli-

canze cardiovascolari di un trattamento convenziona-

le (11).

Anche se i dati originati dagli studi clinici hanno dimo-

strato il potenziale del target-driven nel migliorare gli

outcome nei pazienti con diabete, l'attuazione e l'ese-

cuzione di queste terapie nella pratica clinica deve

essere migliorata. Questo può comportare una terapia

regolata sul singolo paziente per raggiungere gli

obiettivi multifattoriali commisurati al livello di rischio

cardiovascolare di ciascuno.

Bibliografia1. Diabetes Atlas. 4th ed. Brussels: International Diabetes Federation; 2009.

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of a death certificate check box in North Dakota. Am J Public Health.

2001;91(1):84-92.

Lo stereotipo del paziente tipo di infarto del miocardio si

è “evoluto”, da relativamente magro, accanito fumatore,

verso un soggetto relativamente sedentario, obeso, con

sindrome metabolica.

Studio Steno-2, in cui in soggetti con diabete di tipo

2 e microalbuminuria un trattamento intensivo mul-

tifattoriale e`risultato molto piu efficace nel ridurre le

complicanze cardiovascolari di un trattamento con-

venzionale.

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La modulazione del RAS con gli antagonisti recettorialidell’angiotensina II: differenzesperimentali e cliniche

I bloccanti recettoriali dell’angiotensina II (ARBs o sartani)rappresentano una classe di farmaci cardiovascolari che hacontribuito in maniera clinicamente rilevante all’ottimizza-zione della terapia dei pazienti ipertesi, lungo tutte le fasidel continuum cardiovascolare (1); con questo termine s’in-tende quella serie progressiva di processi che, partendo dauno o più fattori di rischio, si sviluppa fino a determinare l’in-sorgenza di eventi patologici che, se non interrotti, possonoportare alla cardiopatia terminale, all’ictus, all’insufficienzarenale cronica ed alla morte (Figura 1).I sartani sono da considerarsi una classe eterogenea, in quan-to dotati di differenti gradi di selettività; a questo propositovalsartan, a tutt’oggi, è l’ARB dotato del più alto grado di selet-tività (almeno tre volte superiore rispetto a quello degli altri)

(2) e in base a tale caratteristica è quello che meglio identifical’aspetto più peculiare della modulazione del RAAS ottenibilecon il blocco down-stream a livello recettoriale. I sartani sonoancora oggetto di un vasto progetto di ricerca in ambito car-diovascolare che ha valutato e valuta, oltre all’azione antiper-tensiva, la capacità di queste molecole di inibire/ridurre lacomparsa e la progressione del danno d’organo a livello car-

diaco, cerebrale, renale, vascolare e metaboli-co. Le popolazioni studiate comprendonopazienti ipertesi ad alto rischio cardiovascolarecome quelli affetti da scompenso cardiaco cro-nico di qualsiasi eziologia e/o con compromis-sione della funzione sistolica e/o diastolica,pazienti con cardiopatia ischemica acuta e/ocronica e pazienti affetti da nefropatia secon-daria a diabete mellito di tipo 2. Per quantoriguarda la specifica attività terapeutica, i risul-tati di questi grandi studi hanno, da una parte,confermato il ruolo innovativo e rilevante diquesta classe farmacologica, ma dall’altrahanno evidenziato due sostanziali differenzecoinvolgenti le varie molecole. Una prima dif-ferenziazione è quantitativa, in quanto alcuni

Dott. Maurizio Destro, Dott. Francesca Cagnoni*, Dott. Christian A. Ngu Njwe*, Alessandra Bertone*, Claudio Valizia*,Dott. Antonio D’Ospina*, Dott. Rossana Scabrosetti* Resp.le Centro Diagnosi e Cura Ipert. Arteriosa, Ospedale Unificato Broni-Stradella, PaviaProf. a.c. Scuola Specializzazione Med.Interna Univers. Pavia* Ospedale Unificato Broni-Stradella, Pavia

Ruolo del RAAS nel continuum cardiovascolare.IGT, ridotta tolleranza al glucosio; IVS, ipertrofia ventricolare sinistra;

RAAS, sistema renina-angiotensina aldosterone

Sistemarenina-angiotensina

IpertensioneFattori

di rischioIGT

Ipertensionea elevato rischio

Aterosclerosie IVS Infarto

miocardico

Remodelling

Scompensocardiaco

Cardiopatiaterminalee morte

Figura 1

Valsartan, a tutt’oggi, è l’ARB dotato del più alto grado diselettività (almeno tre volte superiore rispetto a quello deglialtri) (2) e in base a tale caratteristica è quello che meglioidentifica l’aspetto più peculiare della modulazione del RAASottenibile con il blocco down-stream a livello recettoriale.

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principi attivi sono stati estensivamente valutati e altri assaimeno (Tabella 1).Un secondo aspetto di eterogeneità è di carattere qualitativo,poiché le dimostrazioni di efficacia terapeutica nelle diversecondizioni patologiche del continuum cardiovascolare sonostate ottenute con alcuni principi attivi e non con altri. Si puòpertanto affermare che, oltre alle differenze già discusse relati-vamente al meccanismo d’azione, i sartani si differenzianoampiamente per quanto riguarda lo sviluppo clinico dei singo-li principi attivi e, di conseguenza, le conoscenze attualmentedisponibili sull’efficacia nelle specifiche condizioni patologi-che che caratterizzano il continuum cardiovascolare, le posolo-gie ottimali, la necessità di effettuare particolari titolazioniterapeutiche, la durata dei trattamenti e i mar-gini di sicurezza di impiego in termini di rap-porto rischio-beneficio. La citata eterogeneità della documentazionedi efficacia e sicurezza disponibile per i sin-goli sartani ha avuto importanti ricadute, siadi tipo scientifico che di tipo regolatorio. Dal punto di vista scientifico, la solidità delleconoscenze sull’efficacia terapeutica della clas-se ha indotto le più autorevoli società scientifi-che internazionali a modificare le linee guidaper il trattamento delle più importanti condi-zioni patologiche comprese nel continuum car-diovascolare (3). In base a questi dati si eviden-zia chiaramente che l’adozione di un solo sarta-

no per tutte le condizioni di comorbilità del-l’ipertensione arteriosa, realizzandosi al di fuoridelle raccomandazioni ufficiali, non sarebbesuffragato dall’evidenza clinica. Dal punto divista regolatorio, le differenze sostanziali nelladocumentazione clinica a supporto dell’effica-cia terapeutica dei singoli principi attivi hannodeterminato un riconoscimento formale dif-

ferenziato delle diverse indicazioni terapeutiche che sonostate attribuite in maniera specifica ai singoli principi attivi.Due sono le conseguenze pratiche di questa situazione. Laprima è che non tutti i sartani possono essere utilizzati concomprovata e sovrapponibile efficacia per ciascuna delle indi-cazioni attribuite a questa classe farmacologica; infatti, solospecifici principi attivi appaiono ottimali per il trattamentodelle diverse condizioni patologiche, relativamente alle qualisono stati definiti sia lo schema posologico ottimale sia i profilidi efficacia e tollerabilità. La seconda conseguenza pratica èche, chiaramente, dal punto di vista regolatorio con un solo sar-tano non è possibile trattare tutte le comorbilità associateall’ipertensione arteriosa. D’altra parte per i Medici è importan-te conoscere lo spettro d’impiego ottimale di ciascun sartano;tale utilizzo ottimale può essere definito per ogni singolo prin-

Grandi studi sui sartani: numerosità della casistica trattata

Val-HeFT

VALUE,al-SYST,

JIKEI

VALIANTVALVACE

MARVAL I,MARVAL II,

DROP,SMART

NAVIGATOR,VAL-MARC,

GISSI-AF

100.000

Popolazione

Scompenso

Ipertensione

Post-IMA

Diabete,insufficienza renale

Elevato rischiocardiovascolare

Totale pazienti

Valsartan

ELITE-II,HEAAL

LIFE

OPTIMAL

RENAAL

22.400

Losartan

I-PRESERVE

CHOISE

IDNT,IRMA II

14.600

Irbesartan

CHARME

SCOPE,TROPHY,AMAZE

CALM,DIRECT

ACCESS

17.500

Candesartan

DETAIL

TRANSCEND,ONTARGET,

PRoFESS

30.000

Telmisartan

ROADMAP

4.400

Olmesartan

Tabella 1

LosVal IrbeTelm OlmCand

Nef

ro

Ictu

s

= INDICAZIONE APPROVATA AIFA

JIKEI

MARVAL

LIFE

RENAAL

ONTARGETIDNT−IRMA II

SCOPEROADMAP

Cerebro e Nefroprotezione

Figura 2

La classe dei sartani si caratterizza perun’ampia eterogeneità sia per quantoriguarda le proprietà farmacologiche, sia,e forse ancor più, per quanto attiene alladocumentazione clinica che sostiene l’ef-ficacia dei singoli principi attivi nellediverse condizioni patologiche delcontinuum cardiovascolare.

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cipio attivo a partire dalle risultanze cliniche validate dalla lineeguida delle società scientifiche internazionali e dalle indicazio-ni approvate dalle autorità regolatorie. Questa analisi specifica,comprensiva degli aspetti scientifici e regolatori, può essereeffettuata per ciascun principio attivo in relazione ai vari stepche compongono il già citato continuum cardiovascolare. Ciòpermette di definire per ogni sartano, alla luce delle conoscen-ze attualmente disponibili, oltre all’azione antiipertensiva, unprofilo di efficacia ai fini della protezione degli eventi cardio- ecerebrovascolari. Le Figure 2 e 3 evidenziano a questo proposi-to gli studi clinici validati dalla società scientifiche internaziona-li e/o le indicazioni approvate dalle autorità regolatorie, che

attestano la capacità di ciascun sartano inesame di esercitare, attraverso la modulazionedel RAAS, oltre all’azione antiipertensiva ancheuna azione protettiva peculiare e selettivanei confronti di danno d’organo o patologiefrequentemente associate all’ipertensionearteriosa.Alla luce di quanto sinora esposto apparechiaro che la classe dei sartani si caratterizzaper un’ampia eterogeneità sia per quantoriguarda le proprietà farmacologiche, sia, eforse ancor più, per quanto attiene alla docu-mentazione clinica che sostiene l’efficacia deisingoli principi attivi nelle diverse condizionipatologiche del continuum cardiovascolare.In questa situazione complessa è auspicabileche ciascun Medico si familiarizzi con l’impiegodel minor numero possibile di sartani che gliconsenta di trattare tutte le condizioni patolo-giche alle quali il paziente iperteso può andareincontro nell’ambito del continuum cardiova-scolare, non tralasciando una corretta imposta-zione farmacoeconomica, nel senso di effettua-re scelte che garantiscano ai pazienti il migliortrattamento disponibile al minor costo possibi-le. In considerazione della necessità inderoga-bile di mantenere l’appropriatezza d’uso per

ciascun principio attivo, cioè l’impiego nelle specifiche condi-zioni cliniche per le quali esistono evidenze di efficacia forma-lizzate in indicazioni terapeutiche, tale esigenza non può esse-re soddisfatta da un unico principio attivo per tutte le tipologiedi pazienti, ma richiede la disponibilità nel prontuario terapeu-tico di almeno due sartani. Concludendo, allo stato attuale som-mando le evidenze scientifiche, la rimborsabilità e le “indicazio-ni approvate” dall’Autorità Regolatoria (AIFA), solo la disponibi-lità di losartan e valsartan consente al Medico la scelta terapeu-tica più ampia sia per quanto riguarda il controllo dell’iperten-sione sia per il controllo delle comorbilità più frequentementee pericolosamente ad essa associate (Fig. 4).

Bibliografia- Dzau VJ, Antman EM, Black HR, et al. The cardiovascular disease continuumvalidated: clinical evidence of improved patient outcomes: part II: Clinical trialevidence (acute coronary syndromes through renal disease) and future direc-tions. Circulation 2006; 114: 2871-91.- Siragy HM. Angiotensin receptor blockers: how important is selectivity? Am JHypertens 2002; 15: 1006-14.- Mancia G, De Backer G, Dominiczak A et al. 2007 Guidelines for theManagement of Arterial Hypertension: The Task Force for the Management ofArterial Hypertension of the European Society of Hypertension (ESH) and ofthe European Society of Cardiology (ESC). J Hypertension 2007; 25: 1105-187.

LosVal IrbeTelm OlmCand

Post

IMA

Sco

mp

= INDICAZIONE APPROVATA AIFA

Scompenso Cardiaco e Cardiopatia Ischemica

ON

TARG

ET

ELITE II CHARM

VALIANT

VAL−HeFT

Figura 3

LosVal IrbeTelm OlmCand

= INDICAZIONE APPROVATA AIFA

Totale Indicazioni derivanti dai Trial

3

4

1

3

1

2

N! t

otal

e in

dic

azio

ni

Figura 4

Solo la disponibilità di losartan e valsartan consente alMedico la scelta terapeutica più ampia sia per quantoriguarda il controllo dell’ipertensione sia per il controllodelle comorbilità più frequentemente e pericolosamentead essa associate.

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La misurazione della pressionearteriosa a domicilio

La misurazione della pressione con tecnica auscultatoria

nello studio medico ha costituito per diversi anni il fonda-

mento della diagnosi e della gestione dell’ipertensione arte-

riosa. Nonostante essa rimanga sempre la metodica di riferi-

mento nella pratica clinica, negli ultimi 30 anni le sue limita-

zioni, sia nella valutazione della gravità dell’ipertensione, sia

nella predizione del rischio, sono state chiaramente messe

in evidenza. Ciò è avvenuto grazie anche ad un progressivo

aumento dell’impiego degli apparecchi automatici per la

misurazione della pressione a domicilio o nelle 24 ore.

Mentre la disseminazione dell’utilizzo clinico del monitorag-

gio ambulatorio della pressione nelle 24 ore rimane limitata,

soprattutto a causa del suo costo relativamente alto e della

sua attuale limitata disponibilità, l’automisurazione domici-

liare, essendo una tecnica a basso costo e relativamente

semplice, sta diventando uno strumento sempre più impor-

tante nella gestione di routine dei pazienti ipertesi.

Indipendentemente dalla sua relativa semplicità, l’auto-

misurazione domiciliare, per essere utilizzata come un

valido strumento diagnostico richiede un certo grado di

standardizzazione metodologica. Per questo motivo,

recentemente e quasi simultaneamente, due gruppi di

esperti nel campo dell’ipertensione arteriosa in Europa

(società Europea dell’Ipertensione Arteriosa) e negli

USA (American Heart Association) hanno pubblicato

delle raccomandazioni sull’utilizzo di questa tecnica

nella pratica quotidiana.

Entrambi questi documenti riconoscono l’intrinseca

inaccuratezza della misurazione tradizionale in clinica,

e, sulla base delle evidenze disponibili, sottolineano

come l'automisurazione domiciliare offra una stima più

attendibile dei reali livelli di pressione arteriosa di un

dato paziente.

Due sono le principali limitazioni della misurazione in

ambiente clinico. Primo, il numero di valori pressori che

vengono ottenuti in un soggetto con la misurazione

nell'ambulatorio medico è molto basso. Il numero deci-

samente maggiore di valori registrabile con l’automisu-

razione domiciliare permette invece di ottenere una

stima più stabile del livello usuale di pressione arteriosa

di un dato soggetto, consentendo di ottenere un nume-

ro elevato di valori pressori distribuiti su un arco di

tempo anche di settimane o mesi. Secondo, la risposta

emotiva del paziente alla visita da parte del medico può

comportare un notevole aumento della pressione arte-

riosa (noto come effetto cam ice bianco), la cui entità è

molto variabile tra soggetto e soggetto. Questo non si

verifica invece con le metodiche di automisurazione

domiciliare o di monitoraggio nelle 24 ore della pressio-

ne arteriosa, in quanto queste tecniche permettono di

monitorare la pressione arteriosa in condizioni di vita

quotidiana, al di fuori dell'ambiente un po' artificiale di

uno studio medico. La possibilità di superare questi due

importanti limiti della misura di pressione da parte del

medico è uno degli elementi che contribuiscono alla

superiorità prognostica dell'automisurazione domicilia-

re della pressione arteriosa e del monitoraggio presso-

rio dinamico nelle 24 ore a confronto con la misurazio-

ne tradizionale.

Sia nelle linee guida europee sia in quelle statunitensi,

Prof. Gianfranco Parati Dipartim ento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università degli Studi di M ilano-Bicocca;Dipartim ento di Cardiologia, Ospedale S.Luca, IRCCS, Istituto Auxologico Italiano, M ilano

L’automisurazione domiciliare, essendo una tecnica a

basso costo e relativamente semplice, sta diventando

uno strumento sempre più importante nella gestione di

routine dei pazienti ipertesi.

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viene inoltre suggerito un identico valore soglia per

una diagnosi di ipertensione basata sulla media di

ripetute misurazioni domiciliari: si parla di ipertensio-

ne per una pressione domiciliare media ≥ 135/85 mm

Hg. Questo valore è stato dimostrato di essere sostan-

zialmente equivalente alla pressione clinica di 140/90

mmHg. Viene invece considerato livello di pressione

domiciliare normale un valore, ottenuto dalla media di

più misurazioni, inferiore a 130/85 mmHg. In molti

pazienti si notano però delle differenze importanti tra

i valori ottenuti con la misurazione convenzionale

durante la visita medica e quelli ottenuti con l'automi-

surazione a domicilio, così che si possono determinare

discrepanze importanti nella classificazione di un sog-

getto come iperteso o normoteso, a seconda di quale

tecnica per la misurazione della pressione arteriosa

venga presa in considerazione. Sia il documento euro-

peo che quello statunitense riconoscono infatti l’esi-

stenza di quattro categorie di soggetti definite sulla

base delle misurazioni di pressione ottenute in

ambiente clinico e a domicilio. Due categorie, che

costituiscono la maggioranza dei casi, includono i sog-

getti normotesi o ipertesi “sostenuti”, che vengono

classificati nello stesso modo dalle due metodiche. La

terza categoria, nota come ipertensione da camice

bianco o ipertensione clinica isolata, viene caratteriz-

zata da una pressione elevata nello studio medico in

un soggetto con valori di pressione arteriosa domici-

liare o media delle 24 ore normali. Questa condizione

viene ritenuta essere relativamente innocua dal punto

di vista prognostico, anche se vi sono segnalazioni di

una maggiore frequenza di danno d'organo in questi

soggetti a confronto con quelli normotesi sia nello stu-

dio medico che nella vita quotidiana. La quarta catego-

ria si caratterizza per una condizione opposta, e cioè il

riscontro di una pressione domiciliare o media delle 24

ore elevata in un soggetto i cui valori misurati nello

studio medico sono invece sempre nei limiti di norma.

Si tratta della cosiddetta ipertensione mascherata, una

condizione associata ad un rischio cardiovascolare ele-

vato, confrontabile con quello dei pazienti con iper-

tensione "sostenuta".

Per quanto riguarda le indicazioni cliniche della metodi-

ca, la posizione attuale è che l’automisurazione domici-

liare andrebbe utilizzata praticamente in tutti i pazienti

con ipertensione arteriosa, soprattutto se in terapia. Al

contrario, il monitoraggio pressorio nelle 24 ore, essen-

do più costoso e meno disponibile, dovrebbe essere

impiegato solo in casi selezionati. Infatti, anche se il

monitoraggio pressorio nelle 24 ore offre delle informa-

zioni dettagliate di grande valore clinico sul profilo

della pressione arteriosa nelle 24 ore, fornendo dati pre-

ziosi sia sul suo andamento circadiano sia sulle sue

variazioni più a breve termine che possono essere utili

in alcune tipologie di pazienti, l’automisurazione domi-

ciliare permette comunque di ottenere una robusta

stima, anche a lungo termine, della pressione arteriosa

caratteristica di un paziente iperteso. E la diffusione

capillare di questo metodo viene facilitata dalla sua cre-

scente attendibilità, e dalla sua semplicità ed economi-

cità di utilizzo grazie al progresso tecnologico che è in

continua crescita in questo campo, con l’attuale ampia

disponibilità di strumenti per l'automisurazione presso-

ria automatici, basati ormai esclusivamente sulla tecnica

oscillometrica, validati seguendo protocolli standardiz-

zati internazionali, facili da usare ed economici. Rimane

comunque critico che la disponibilità di questi strumen-

ti sia accompagnata dall’educazione dei pazienti sulla

scelta di uno strumento valido, e che l'applicazione di

Vantaggi dell’automisurazione domiciliare della pressione arteriosa nei confronti

della misurazione convenzionale in clinica

Maggiore stabilità dei valori pressori stimati, basata sulla media di numerose misurazioni

Migliore classificazione dell’ipertensione, con identificazione dei casi di ipertensione da camice bianco e mascherata

Migliore predizione del rischio cardiovascolare

Possibilità di meglio stimare la variabilità pressoria (tra giorni, settimane, mesi)

Miglior controllo dell’andamento della pressione in terapiacon maggiore aderenza del paziente alle prescrizioni

Possibile riduzione dei costi nella pratica clinica

Tabella 1

L'automisurazione domiciliare offra una stima più atten-

dibile dei reali livelli di pressione arteriosa di un dato

paziente.

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questa metodica sia sempre sotto stretto controllo da

parte del medico curante, per evitare pericolose autoge-

stioni della terapia da parte del paziente senza supervi-

sione medica.

In particolare l'automisurazione domiciliare viene

riconosciuta come un metodo ideale per il monitorag-

gio della risposta alla terapia antiipertensiva nella

pratica quotidiana. Le misurazioni a domicilio posso-

no essere ottenute su periodi lunghi e la media di

almeno 12 misure (includendo le misure eseguite alla

mattina e alla sera in diversi giorni) può essere consi-

derata sufficiente ad ottenere una buona stima della

pressione arteriosa attuale del paziente. A prescindere

dal fatto che questa tecnica permetta una migliore

valutazione della risposta alla terapia, rispetto alla

misurazione tradizionale, è stato dimostrato che il suo

impiego potrebbe di per se migliorare il controllo

pressorio nella popolazione, probabilmente grazie ad

un maggiore coinvolgimento del paziente nella

gestione del suo stato ipertensivo e ad un conseguen-

te miglioramento della sua aderenza alle prescrizioni

terapeutiche.

In alcune popolazioni di pazienti l’indicazione per ese-

guire l’automisurazione domiciliare è particolarmente

stringente. Questo è il caso di bambini e anziani, catego-

rie nelle quali la capacità della pressione misurata in

ambiente clinico di riflettere i livelli pressori in vita quo-

tidiana è particolarmente limitata. In gravidanza l’im-

portanza di poter ottenere un monitoraggio dei valori

pressori ripetutamente in brevi intervalli di tempo è cri-

tica e l’automisurazione domiciliare potrebbe essere il

metodo ideale. Infine nei pazienti ad alto rischio, come

in quelli con diabete o malattia renale, un monitoraggio

a domicilio può facilitare il raggiungimento dei target

terapeutici e sembra in grado di predire più accurata-

mente la prognosi.

Le linee guida attuali sottolineano la necessità di ulte-

riori sviluppi nel campo dell’automisurazione domicilia-

re, per supportare ulteriormente il suo valore progno-

stico. È inoltre auspicabile una stretta collaborazione

tra i clinici e l’industrie coinvolte nella progettazione a

produzione dei misuratori di pressione, che dovrebbe

guidare ulteriori sviluppi tecnologici, allo scopo di adat-

tare meglio questi strumenti alle esigenze della pratica

clinica.

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In molti pazienti si notano però delle differenze impor-

tanti tra i valori ottenuti con la misurazione convenziona-

le durante la visita medica e quelli ottenuti con l'automi-

surazione a domicilio.

In particolare l'automisurazione domiciliare viene ricono-

sciuta come un metodo ideale per il monitoraggio della

risposta alla terapia antiipertensiva nella pratica quoti-

diana.

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Automisurazione della pressionearteriosa e gravidanza

La patologia ipertensiva in corso di gravidanza costituisce tuttorauno dei problemi più rilevanti della ostetricia del terzo millennio,e le sue possibili complicanze la collocano, nei paesi industrializ-zati, al secondo posto fra le principali cause di mortalità e morbi-lità sia materna che fetale correlate alla gravidanza (1). Occorreprecisare che se disordini ipertensivi di varia natura interessano il5-10% di tutte le gravidanze e fino al 20% delle prime gravidanze,con il termine generico di “ipertensione in gravidanza” vengonocompresi quadri clinici estremamente diversi tra loro sia dalpunto di vista eziopatogenetico che prognostico, e che solo i qua-dri clinici più severi possono evolvere verso gravi complicanzematerne e/o fetali, mentre la maggior parte delle pazienti conipertensione cronica o gestazionale presenterà un decorso favo-revole della gravidanza. La classificazione proposta già nel 1990dall'American College of Obstetric and Gynecologists, successi-vamente rivista dalle principali società scientifiche internazionali(2), indica nella 20a settimana gestazionale una sorta di spartiac-que utile alla corretta interpretazione del riscontro di elevati valo-ri pressori nei diversi momenti della gravidanza (Tab. 1). Secondotale schema, infatti, il riscontro ambulatoriale di elevati valori pres-sori (>140/90 mmHg) prima della 20a settimana di gestazionepermetterebbe di identificare le pazienti affette in realtà da iper-tensione cronica antecedente la gravidanza, mentre il riscontrode novodi elevati valori pressori dopo la 20a settimana, se conco-mitante alla comparsa di significativa proteinuria e/o di sintomiquali cefalea, epigastralgia, disturbi della visione o determinatealterazioni laboratoristiche (iperuricemia, incremento transami-nasi, piastrinopenia, etc) permetterebbe di identificare un quadropiù o meno severo di preeclampsia (PE). A complicare ulterior-mente l’inquadramento diagnostico va ricordato che di norma,nel corso della gravidanza fisiologica, e in maniera ancora piùaccentuata nella maggior parte delle pazienti con ipertensionecronica, si assiste ad una progressiva riduzione dei valori pressori

rispetto ai livelli pre-gestazionali, dovuta sia alle modificazionivascolari che avvengono a livello del letto vascolare uteroplacen-tare, sia alla comparsa di un certo grado di refrattarietà alla azionevasocostrittrice di angiotensina II ed altre sostanze vasoattive (3).Tale fenomeno raggiunge un nadir attorno alla 20a settimana digestazione, periodo in cui è facile riscontrare una riduzione rispet-to ai valori di partenza attorno ai 10-15 mmHg per la PAS e 20-25mmHg per la PAD, mentre successivamente la pressione ricomin-cia a risalire portandosi in prossimità dei valori basali nei giorniimmediatamente precedenti il parto. È facile comprendere che lamancanza di dati relativi ai valori pressori antecedenti la gravi-danza o nelle prime fasi della gestazione potrebbe impedire lacorretta individuazione delle pazienti con ipertensione cronica,ponendo nella seconda metà della gravidanza un problema didiagnosi differenziale con la ipertensione gestazionale e la pree-clampsia. Alla luce di tali considerazioni, e ricordando che il qua-dro clinico e pressorio osservato in un dato momento della gesta-

Dr. Vincenzo Immordino, Dr.ssa Martina Rosticci, Prof. Claudio Borghi Dipartim ento Medicina Clinica e Biotecnologia Applicata Università di Bologna

Classificazione della ipertensione in gravidanza(Mod. da ACOG)

Ipertensione cronica durante la gravidanza(riscontro PA >140/90 mmHg a <20 settimane gestazione)• Essenziale• Secondaria

Ipertensione indotta dalla gravidanza(riscontro PA >140/90 mmHg dopo la 20a settimana gestazione)• Ipertensione gestazionale• Pre-eclampsia*• Pre-eclampsia sovrapposta ad ipertensione cronica

* Rialzo PA associato a proteinuria ≥30 mg/dl o ≥300 mg/24 h con o senza comparsa di edemi declivi

Tabella 1

La patologia ipertensiva in corso di gravidanza la colloca-no, nei paesi industrializzati, al secondo posto fra le prin-cipali cause di mortalità e morbilità sia materna che feta-le correlate alla gravidanza.

La mancanza di dati relativi ai valori pressori antecedentila gravidanza o nelle prime fasi della gestazione potreb-be impedire la corretta individuazione delle pazienti conipertensione cronica, ponendo nella seconda metà dellagravidanza un problema di diagnosi differenziale con laipertensione gestazionale e la preeclampsia.

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zione potrebbe mutare radicalmente nell'arco di pochi giorni,sarebbe importante, fin dalle prime fasi della gravidanza, sensibi-lizzare e istruire tutte le donne, ed in particolare quelle con fatto-ri di rischio anamnestici per preeclampsia (tab.2), ad una correttaautomisurazione dei valori pressori a domicilio. Tale modalità,assai più gradita alle pazienti rispetto al monitoraggio ambulato-riale delle 24 ore, ritenuto in alcuni studi in grado di predirre pre-cocemente lo sviluppo di preeclampsia e ipertensione gestazio-nale (4,5), permetterebbe sia di cogliere tempestivamente varia-zioni repentine dei valori pressori suggestive della comparsa diipertensione gestazionale e/o preeclampsia, identificando cosìquelle pazienti da sottoporre ad un più stretto ed immediatomonitoraggio clinico e laboratoristico, che di identificare i casi diipertensione da camice bianco, assai frequenti nelle donne in gra-vidanza, evitando di trattare aggressivamente pazienti che altri-menti presenterebbero una prognosi sovrapponibile alle gravi-danze nei soggetti normotesi. Per quanto riguarda le modalitàdella automisurazione a domicilio, va ricordato che pochissimi (senon nessuno) dei dispositivi automatici presenti in commerciosono stati validati per il monitoraggio della pressione arteriosa ingravidanza, per cui nella maggior parte dei casi sono consigliatistrumenti validati per l’ipertensione essenziale o strumentimanuali aneroidi, escludendo assolutamente dispositivi da polso.Sicuramente è importante l'estrema accuratezza nella misurazio-ne dei valori pressori, istruendo la paziente a misurarsi la pressio-ne in condizione di tranquillità, seduta (la posizione supina nelterzo trimestre di gravidanza potrebbe determinare una com-pressione della cava da parte dell'utero gravidico con riduzionedel ritorno venoso e attivazione del sistema renina-angiotensina,alterando il dato pressorio), a riposo da almeno 5 minuti con il

braccio all'altezza del cuore e con un bracciale di adeguatedimensioni (frequenti sono i falsi positivi nelle pazienti obese uti-lizzando i bracciali standard) utilizzando, nella misurazionemanuale, la fase V di Korotkoff per la determinazione della PAD,con un intervallo di almeno 3 minuti fra 2 misurazioni ravvicinate,e ripetendo la misurazione, in caso di riscontro di valori alterati, adalmeno 4 ore di distanza (6). Tale misurazione andrebbe effettua-ta, in assenza di fattori di rischio per lo sviluppo della preeclam-psia e/o di rilievo di valori alterati, almeno una volta la settimananelle prime 20 settimane di gestazione e due volte alla settimanasuccessivamente, e da almeno tre volte la settimana a quotidiana-mente nei restanti casi. Resta da chiarire quali siano i valori di nor-malità relativi alla automisurazione della pressione arteriosa nelcorso della gravidanza. In un piccolo studio condotto su donnenormotese con gravidanza che è successivamente giunta a ter-mine senza complicanze, l’utilizzo del dispositivo automatico perla misurazione della pressione arteriosa validato nello studio HOT,con analisi dei valori misurati per 1 settimana nei tre trimestri digestazione, ha suggerito limiti superiori di normalità di 118/73,117/73 e 121/80 mmHg rispettivamente per il primo, secondo eterzo trimestre di gravidanza (7). In un altro studio condotto supazienti in gravidanza normotese o con ipertensione cronica digrado lieve, l’utilizzo a domicilio di uno strumento manuale ane-roide ha permesso di riscontrare una buona concordanza con ivalori di pressione diastolica rilevati in ambulatorio, mentre nelledonne normotese i valori sistolici risultavano più elevati a domici-lio che in ambulatorio (8). In sostanza, si ritiene ragionevole, indi-pendentemente dall’epoca di gestazione, sensibilizzare le donnein gravidanza a rivolgersi al proprio curante per una valutazioneclinica e/o laboratoristica ove i valori pressori rilevati a domiciliosalgano bruscamente o superino i 135/85 mmHg.

Bibliografia1. Broughton Pipkin F. The hypertensive disorders of pregnancy. BMJ 1995; 311:609-613.2. Brown MA, Lindheimer MD, De Swiet M et al. The classification and diagnosis of thehypertensive disorders of pregnancy: statement from the International Society for theStudy of Hypertension in Pregnancy. Hypertens Pregnancy 2001: 20(1): IX-XIV.3. Brown MA. The physiology of pre-eclampsia. Clin Exper Pharmacol Physiol1995; 22: 781-791.4. Bellomo G, Narducci PL, Rondoni F et al. Prognostic value of 24-Hour bloodpressure in pregnancy, JAMA 1999; 282: 1447-1452.5. Hermida Rc, Ayala De. Prognostic value of office and ambulatory blood pres-sure measurements in pregnancy. Hypertension 2002; 40: 298-303.6. Magee LA. Antihypertensives. Best Pract Res Clin Obstet Gynecol 2001; 15 (6): 827-845.7. Denolle T, Daniel JC, Calvez C et al. Home Blood Pressure during normal pre-gnancy. Am J Hypertens 2005; 18: 1178-1180.8. Rey E, Pilon F, Boudreault J. Home blood pressure levels in pregnant womenwith chronic hypertension. Hypertens Pregnancy 2007; 26(4): 403-414.

Fattori di rischio anamnestici per preeclampsia

Nulliparità x 5

Età <16 e >40 anni x 2

Mola Idatidea ed x 10idrope fetale

Familiarità per PE x 5-7(madre, sorelle, zie materne)

Razza Nera x 2

Dieta povera di calcio ?

Obesità x 5

Fattore di rischio RRIncremento peso x 2>15-18 Kg

Pregressa PE x 5-10

Ipertensione cronica, x 5diabete, mal. renali

Cambio partner, metodi ?contraccetivi di barriera

Gravidanze gemellari x 5

Fattore di rischio RR

Tabella 2

In sostanza, si ritiene ragionevole, indipendentemente dal-l’epoca di gestazione, sensibilizzare le donne in gravidanza arivolgersi al proprio curante per una valutazione clinica e/olaboratoristica ove i valori pressori rilevati a domicilio salga-no bruscamente o superino i 135/85 mmHg.

Per quanto riguarda le modalità della automisurazione adomicilio, va ricordato che pochissimi (se non nessuno) deidispositivi automatici presenti in commercio sono stati valida-ti per il monitoraggio della pressione arteriosa in gravidanza

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Significato della prescrizione di β-bloccanti nel III millennio.Appropriatezza e prospettive future

BackgroundI β-bloccanti sono vantaggiosamente usati, da moltedecadi, nel trattamento di diverse condizioni patologiche(1). Ciò malgrado, negli ultimi anni la loro prescrizione hatalvolta generato alcune incongrue perplessità (1), relati-ve alla loro appropriatezza nel trattamento dell’iperten-sione arteriosa. In questo contesto, che le preoccupazioni relative all’ap-propriatezza nella prescrizione dei β-bloccanti sianoincongrue è pienamente confermato dalle Linee Guidaredatte dall’European Society of Hypertension(ESH)/European Society of Cardiology (ESC) sull’iperten-sione arteriosa (2). Ad ulteriore riprova, è di consistenterilievo clinico osservare come non solo nelle sopra citateLinee Guida (2), bensì anche nella loro successiva rivisita-zione operata dall’ESH (3) non ci sia alcun atteggiamentopregiudiziale nei confronti dei β-bloccanti. Al contrario,anzi, il loro uso viene incoraggiato - in quanto definitopreferenziale - in diverse comuni situazioni cliniche con-comitanti e/o conseguenti all’ipertensione arteriosa, qualila cardiopatia ischemica e/o lo scompenso cardiaco (2,3).

I β-bloccanti nelle recenti m eta-analisiL’uso dei β-bloccanti è stato oggetto di tre recenti meta-analisi (4,5,6). In una di queste - comprendente ben 147trial e, pertanto, in atto la più ampia disponibile in assolu-to nell’ambito della terapia antiipertensiva - è stata nega-ta ogni loro presunta inferiorità generalmente intesa. Alcontrario, anzi, è stata ben evidenziata una loro evidentesuperiorità rispetto alle altre terapie nel paziente iperte-so con cardiopatia ischemica (6). Per altro, l’inferiorità deiβ-bloccanti nei confronti degli altri antiipertensivi nellaprevenzione dell’ictus cerebri, indicata in una delle 3

meta-analisi, non resisteva ad una valutazione escluden-te la classe di farmaci notoriamente di riferimento neiconfronti di questo outcome: i calcio-antagonisti diidro-piridinici (6). Responsabile di tale suggerita inferiorità,infatti, era soprattutto lo studio Anglo-ScandinavianCardiac Outcomes Trial-Blood Pressure Lowering Arm(ASCOT-BPLA) (7), in cui però la minore efficacia delβ-bloccante rispetto al calcio-antagonista per quantoriguardava l’ictus cerebri poteva essere ragionevolmenteimputabile alla differenza pressoria tra il braccio β-bloc-cante+diuretico e quello calcio-antagonista+ACE-inibito-re (2,7 mmHg per la pressione arteriosa sistolica a sfavo-re del primo braccio). Per converso, la suggerita possibili-tà che i β-bloccanti siano meno efficaci dei calcio-antago-nisti diidropiridinici nel ridurre la pressione arteriosa cen-trale è suggestiva ed è effettivamente a favore di unainferiorità dei β-bloccanti nei confronti dei calcio-antago-nisti diidropiridinici. Tuttavia, questa pur interessanteosservazione a sfavore dei β-bloccanti è rimasta unica -legata ad un sotto-studio dell’ASCOT denominatoConduit Artery Function Evaluation (CAFE) (8) - ed è, perdi più, da considerarsi limitata solo ed esclusivamenteall’atenololo.

Evidenze a favore dei β-bloccanti Di ancor maggiore rilievo clinico rispetto a quantosopra esposto è il richiamo fatto dalla Task Force

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Il follow up ventennale dello studio UKPDS, infatti, hadimostrato come la mortalità per tutte le cause fosseridotta in modo maggiore dal β-bloccante rispettoall’ACE-inibitore.

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dell’ESH (3) allo studio United Kingdom ProspectiveDiabetes Study (UKPDS) (9). In questo studio, 1.148pazienti affetti da ipertensione e diabete mellito di tipo2 hanno derivato analoghi benefici dal trattamento conun inibitore dell’enzima di conversione (ACE) oppurecon un β-bloccante, durante il trial in fase “attiva”, manon nella vita reale. Il follow up ventennale dello studioUKPDS, infatti, effettuato nella “vita reale” e non nell’am-bito di un trial clinico controllato, ha dimostrato come lamortalità per tutte le cause fosse ridotta in modo mag-giore dal β-bloccante rispetto all’ACE-inibitore (180decessi versus 213 decessi, rischio relativo = 1,23, inter-vallo di confidenza al 95% 1,0-1,51, p=0,047 a favore delβ-bloccante) (9). Quanto sopra indica chiaramente come la terapia antii-pertensiva fondata sul β-bloccante debba essere tantototalmente quanto positivamente rivalutata - in terminigenerali - dal clinico pratico. La loro prescrizione, quindi,è da considerarsi appropriata ed anzi vantaggiosa nelpaziente iperteso, particolarmente se affetto da scom-penso cardiaco e/o cardiopatia ischemica, come enfatiz-zato sia dalle Linee Guida ESH/ESC (2). Ad ulteriore conferma di quanto sia corretta la prescrizio-ne dei β-bloccanti nel terzo millennio, si deve tener contodi come lo scompenso cardiaco sia una patologia estre-mamente comune in Italia, anche nell’anziano. Il suo cor-

retto trattamento, pertanto, deve prevedere l’uso di far-maci altamente efficaci e ben tollerati in tutte le fasce dietà. Per tale motivo, è di particolare interesse un recentestudio in cui sono stati reclutati pazienti ultrasettantenni(età media 78 anni, 28 uomini e 23 donne) con scompen-so cardiaco in classe NYHA II-III, già in trattamento otti-male e con frazione di eiezione <40% (10). Malgrado latitolazione forzata di bisoprololo fino ai livelli massimitollerati (obiettivo = 10 mg al dì), l’insorgenza di ipoten-sione sintomatica è stata osservata solo in 7 pazienti. Ciòin presenza di un consistente miglioramento della perfor-mance, non soltanto cardiaca e, per converso, della com-pleta assenza di qualunque variazione negativa dellecomorbidità (10). La eccellente tollerabilità di bisoprololo, d’altra parte, siè accompagnata alla sua efficacia nel ridurre la mortali-tà e la morbilità anche nel paziente scompensato ultra-settantenne (Figura 1), dimostrata nello studio control-lato su vasta scala Cardiac Insufficiency Bisoprolol Study(CIBIS) II (11). L’appropriatezza prescrittiva dei β-bloc-

canti in generale e di bisoprololo in parti-colare, d’altra parte, è confermata daun’analisi post hoc degli studi CIBIS I e II,in cui è stato osservato un evidente gua-dagno in termini di prolungamento dellasopravvivenza ottenuto grazie al bisopro-lolo, sia usando un modello relativo aibenefici limitati al periodo di trattamentoche un modello attinente ai benefici este-si oltre lo stesso periodo. Per quanto attie-ne, invece, l’ospedalizzazione - che comeè ben noto è la principale responsabile siadel deterioramento della qualità di vitadel paziente scompensato che del cresce-re esponenziale dei costi di gestione rela-tivi allo stesso paziente - un’ulteriore ana-lisi post hoc condotta sui dati del CIBIS II(12) ha dimostrato come il bisoprololo siastato in grado di indurre una sostanzialeriduzione dei ricoveri ospedalieri. Il decre-mento, in particolare, è stato pari al 28%(numero di ospedalizzazioni complessive)

Evidenza del beneficio ottenuto dai β-bloccanti negli anziani.Studio CIBIS II

504540353025201510

50

>71<71Et

anni

Mortalitàtotale

(%)

504540353025201510

50

>71<71Et

anni

504540353025201510

50

>71<71Et

anni

Ospedalizzazioneper tutte le cause

(%)

Ospedalizzazioneper scompenso cardiaco

(%)

Placebo Bisoprololo

Figura 1

La eccellente tollerabilità di bisoprololo, d’altra parte, si èaccompagnata alla sua efficacia nel ridurre la mortalità ela morbilità anche nel paziente scompensato ultrasettan-tenne, dimostrata nello studio (CIBIS) II.

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(Figura 2), al 30% (cause cardiovascolari) e, infine, al 23%(cause non cardiovascolari).

ConclusioniIl trattamento con β-bloccanti si è dimostrato efficace nelmigliorare la sopravvivenza e ridurre le ospedalizzazioni indiversi setting di pazienti: ipertesi (2,3), ipertesi affetti dadiabete mellito di tipo 2 (9), cardiopatia ischemica (2,3) e/oscompenso cardiaco (2,3). Negli studi clinici controllati foca-lizzati su questa condizione, in particolare, è stato dimostra-to come il trattamento con β-bloccanti sia efficace in tutte lefasce di età, tanto per quanto attiene il miglioramento dellasopravvivenza che la riduzione delle ospedalizzazioni. Aquesto proposito, di particolare rilievo è la valutazioneapprofondita dello studio CIBIS II, in cui è stato dimostratocome il bisoprololo sia in grado di migliorare significativa-mente la sopravvivenza (Figura 1) e ridurre del 28% le ospe-dalizzazioni legate a cause cardiovascolari (Figura 2) (11,12).Pertanto, appare evidente come ogni pregiudizio relativoall’appropriatezza prescrittiva dei β-bloccanti sia appunto

tale, come per altro si evince anche chiara-mente sia dalle Linee Guida ESH/ESC (2) chedalla loro recente rivisitazione ESH (3), e vadaquindi senz’altro abbandonato.

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Significativa riduzione delle ospedalizzazioni indotte dai β-bloccanti.Studio CIBIS II

SettimanePlacebo Bisoprololo

111 3121 5141 7161 9181 111101

1200

1000

800

600

400

200

0

Nm

ero

di r

ico

veri p<0.001

Figura 2

Di particolare rilievo è la valutazione approfondita dellostudio CIBIS II, in cui è stato dimostrato come il bisoprolo-lo sia in grado di migliorare significativamente la soprav-vivenza e ridurre del 28% le ospedalizzazioni legate acause cardiovascolari.

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Ipertensione e demenza

Il progressivo invecchiamento della popolazione ha

determinato nel corso degli ultimi decenni un profondo

cambiamento nosografico caratterizzato dalla progressi-

va espansione di alcune condizioni cliniche particolar-

mente frequenti nell’età geriatrica, demenza in primis. La

prevalenza di questa condizione clinica, infatti, raddoppia

ogni 5 anni di età - dal 2,8% tra i 70 e i 74 anni, al 38,6%

tra i 90 e i 95 anni - al punto da essere definita, a ragione,

“epidemia silente del terzo millennio” (1). Il dato appare

decisamente allarmante se si considera la severità della

patologia, che nel volgere di alcuni anni dall’esordio

porta alla completa perdita dell’autosufficienza, e la scar-

sa efficacia delle risorse terapeutiche attualmente dispo-

nibili nell’arrestare o nel rallentare l’iter evolutivo della

malattia (1).

Ipertensione, deterioram ento cognitivo e dem enza

I dati sui centenari dimostrano chiara-

mente come la comparsa di demenza non

rappresenti il destino ineludibile di chi

invecchia (2). All’opposto, lo sviluppo di

un variabile grado di deficit cognitivo

fino alla demenza conclamata rappresen-

ta un’evenienza piuttosto comune in chi

nel corso della vita è rimasto esposto per

anni all’azione lesiva di fattori cardiova-

scolare (3). A tale riguardo, numerose evi-

denze scientifiche hanno dimostrato

l’esistenza di una stretta associazione tra

ipertensione arteriosa e demenza sia di

tipo vascolare che di Alzheimer (4,5). Il

paziente iperteso, inoltre, anche senza

evidenza clinica di malattia cerebrova-

scolare, presenta performance cognitive

mediamente inferiori rispetto al normo-

teso (6). È interessante notare come la rela-

zione tra pressione arteriosa e declino

cognitivo sia di tipo lineare ed evidente già a partire da

valori di pressione normali-alti (6). Tale relazione, analo-

ga a quella da più tempo nota tra pressione arteriosa ed

eventi cerebrovascolari, dimostra l’esistenza di un conti-

nuum di danno cerebrale nel paziente iperteso che spa-

zia da una modesta compromissione delle funzioni cor-

ticali superiori alla comparsa demenza conclamata. In

chiave fisiopatologica l’ipertensione ha tutte le poten-

zialità per favorire la comparsa e la progressione del

deterioramento cognitivo (Figura 1) (4,5,7).

L’ipertensione arteriosa, infatti, rappresenta il più

importante fattore di rischio modificabile per stroke

che, a sua volta, oltre ad esacerbare l’iter evolutivo della

malattia di Alzheimer, espone il paziente ad un aumen-

tato di rischio di demenza (4). Il paziente iperteso anzia-

no, inoltre, è maggiormente esposto a lesioni cerebrova-

scolari ischemiche che, pur decorrendo spesso in forma

Prof. Giovambattista Desideri, Antonio Camerota, Daniela Mastroiacovo, Raffaella BocaleUniversità degli Studi dell’Aquila, Dipartim ento di Medicina Interna e Sanità Pubblica

Meccanismi di danno cognitivo nel paziente ipertesi

Ipertensione

Funz

ioni

cogn

itive

Demenza vascolare

soglia

Demenza degenerativa

no demenza

Demenza degenerativa

demenza

soglia

no demenza

demenza

White matter lesions

ictus

mortemorte

Death

Figura 1 - L’ipertensione può favorire lo sviluppo di dem enza sia inducendo la com parsa di danni cerebrovascolari sia innescando m eccanism i

di neurodegenerazione (m odificata da Ref. 7)

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asintomatica, possono portare allo sviluppo di demen-

za, soprattutto se numerose e bilaterali (4).

L’ipertensione è spesso associata al riscontro di “white

matter lesions”, alterazioni della sostanza bianca cere-

brale caratterizzate da aree di demielinizzazione e

restringimento del lume delle arterie di piccolo calibro

di frequente riscontro in pazienti con deterioramento

cognitivo (4). Da ultimo, è possibile che alterazioni del

flusso ematico cerebrale, distrettuali o diffuse, sostenu-

te dall’esposizione dei vasi cerebrali a livelli tensivi cro-

nicamente elevati, pur senza arrivare a determinare la

comparsa di franche lesioni ischemiche, possano indur-

re una sofferenza metabolica neuronale capace di inne-

scare, nel corso del tempo, i fenomeni infiammatori e

degenerativi neuronali che sottendono alla malattia di

Alzheimer (4,8). Dopo l’estrinsecazione clinica della

demenza i livelli pressori tendono progressivamente a

diminuire, spesso fino alla completa normalizzazione,

probabilmente per la ridotta percezione da parte del

paziente degli stimoli ambientali ipertensivanti e per

l’influenza diretta di lesioni cerebrali dementigene sui

meccanismi di regolazione della pressione arteriosa (9).

Alla luce di quanto sopra esposto è fin troppo evidente

che le strategie di prevenzione cardiovascolare possano

rappresentare anche un efficace strumento per arginare

la progressiva espansione delle demenza nel mondo

occidentale. In linea con queste evidenze le Linee Guida

ESH/ESC 2007 per il trattamento dell’ipertensione arte-

riosa suggeriscono di esplorare routinariamente le fun-

zioni cognitive nel paziente iperteso anziano (10). A tale

riguardo, tra i molteplici test neuropsicologici disponi-

bili, il Mini Mental State Examination sembra possedere

il giusto equilibrio tra sensibilità, specificità e semplicità

esecutiva che è richiesto per un test da applicare in una

popolazione così vasta quale è quella degli ipertesi (11).

Terapia antipertensiva e declino cognitivo

Numerosi studi longitudinali nel corso degli ultimi anni

hanno portato ad ipotizzare che il trattamento antiper-

tensivo possa rappresentare un prezioso strumento per

prevenire la comparsa del deterioramento cognitivo e

della demenza (4,5). Le evidenze più solide al riguardo

derivano dai trial clinici controllati. Nello studio Systolic

Hypertension in Europe (Syst-Eur), condotto in anziani

con ipertensione sistolica isolata, dopo due anni di trat-

tamento con nitrendipina è stata osservata una riduzio-

ne del rischio di demenza del 50% rispetto a quanto

osservato nei pazienti che avevano ricevuto placebo

(12). Il prolungamento del follow-up con estensione del

trattamento attivo anche ai pazienti inizialmente rando-

mizzati a placebo ha dimostrato una riduzione del

rischio di demenza a 4 anni del 55% nei pazienti che

avevano ricevuto un trattamento attivo da subito rispet-

to a quelli inizialmente randomizzati a placebo (13).

Analogamente, nel Perindopril Protection Against

Recurrent Stroke Study (PROGRESS) l’associazione

perindopril/indapamide ha determinato una riduzione

del rischio di demenza del 30% rispetto al placebo nei

pazienti con patologia cerebrovascolare preesistente

(14). Più recentemente il trattamento con l’inibitore del

recettore AT1 dell’angiotensina II candesartan nello

Study on Cognition and Prognosis in the Elderly

(SCOPE) si è dimostrato efficace nel preservare le fun-

zioni cognitive nei pazienti ipertesi anziani con iniziale

deficit cognitivo (15). Del tutto recentemente lo studio

Hypertension in the Very Elderly (HYVET), condotto in

ultraottantenni ipertesi, ha dimostrato una riduzione

del 14% dei nuovi casi di demenza nei pazienti assegna-

ti al trattamento antipertensivo, valore invero non stati-

sticamente significativo probabilmente in ragione della

scarsa potenza dello studio e della prematura interru-

zione dello stesso per evidente beneficio del trattamen-

to attivo nei riguardi degli outcomes predefiniti (16).

Recentemente i risultati di questi studi randomizzati

controllati sono stati raccolti in una metanalisi che ha

dimostrato una riduzione del rischio di demenza per

A n n o I I - N . 4 , 2 0 1 0

24

La prevalenza della demenza raddoppia ogni 5 anni

di età - dal 2,8% tra i 70 e i 74 anni, al 38,6% tra i 90 e

i 95 anni.

Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato l’esi-

stenza di una stretta associazione tra ipertensione arte-

riosa e demenza sia di tipo vascolare che di Alzheimer.

In chiave fisiopatologica l’ipertensione ha tutte le poten-

zialità per favorire la comparsa e la progressione del

deterioramento cognitivo.

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effetto del trattamento antiipertensivo del 13% (Figura

2) ad ulteriore conferma della sua efficacia ai fini della

prevenzione della comparsa di demenza (16). Alla luce

di ciò, è fin troppo ovvio dedurre che l’ottimizzazione

del controllo pressorio debba rappresentare un obietti-

vo da conseguire prioritariamente per tutelare le facol-

tà mentali nel paziente iperteso.

A tale riguardo, alcune interessanti evidenze sembrano

suggerire la possibilità che alcune classi di farmaci anti-

pertensivi presentino un valore aggiunto nella preven-

zione del danno cognitivo nel paziente iperteso. I cal-

cio-antagonisti, in particolare, hanno mostrato nella

generalità dei casi una particolare efficacia protettiva

nei confronti degli eventi cerebrovascolari (17) e del

danno cognitivo (12,13). Alcune evidenze sperimentali

suggeriscono la possibilità che questi presunti effetti

neuroprotettivi e antidegenerativi possano essere

almeno in parte mediati da un effetto benefico sul-

l’omeostasi del calcio a livello cerebrale (18) e da

un’azione di scavenging dei radicali liberi dell’ossigeno

(19). Analogamente, l’effetto protettivo nei confronti

delle funzioni cognitive esercitato dai farmaci attivi su

sistema renina-angiotensina-aldosterone - inibitori del-

l’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-I) e

bloccanti del recettore AT1 dell’angiotesina II (ARB) -

sembra essere almeno in parte indipendente dalla ridu-

zione pressoria (4,5,20). I presupposti biologici delle

particolare efficacia neuro protettiva di questi farmaci

sono da ricercare nell’esistenza di un sistema renina-

angiotensina intrinseco a livello cerebrale capace di

modulare a vari livelli i processi cognitivi, probabilmen-

te attraverso i recettori AT2 e AT4, e di intervenire della

patogenesi del danno neurodegenerativo attraverso

l’induzione di citochine infiammatorie e di radicali libe-

ri dell’ossigeno, l’inibizione del release di aceticolina,

l’accumulo di sostanza ‚-amiloide e la riduzione distret-

tuale del flusso ematico cerebrale (20). Il diverso punto

di attacco di ACE-I e ARB sul sistema renina angiotensi-

na rende ragione di alcune evidenze di una possibile

superiorità degli ARB rispetto agli ACE-I nel migliorare

le performance cognitive (21,22) e nel prevenire la

comparsa di demenza sia di tipo vascolare che di tipo

Hazard ratio (95% Cl)Active (N/n) Placebo (N/n)

0,89 (0,74-1,07)

0,50 (0,25-1,02)

0,84 (0,55-1,30)

0,90 (0,71-1,13)

0,87 (0,76-1,00)

3051/193

1238/11

2365/37

1687/126

3054/217

1180/21

2371/44

1649/137

PROGRESS RR12

Syst-Eur RR10

SHEP RR14

HYVET RR

Combined (random)

Cachran Q=2,409; p=0,491

Test for overall effect; p=0,045

0,2 2,01,00,5

Favours treatment Favours control

Figura 2 - Efficacia del trattam ento antipertensivo nella prevenzione della dem enza (da Ref. 16)

L’ipertensione è spesso associata al riscontro di “white

matter lesions”, alterazioni della sostanza bianca cere-

brale caratterizzate da aree di demielinizzazione e

restringimento del lume delle arterie di piccolo calibro

di frequente riscontro in pazienti con deterioramento

cognitivo.

Il Mini Mental State Examination sembra possedere il

giusto equilibrio tra sensibilità, specificità e semplicità

esecutiva che è richiesto per un test da applicare in una

popolazione così vasta quale è quella degli ipertesi.

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Alzheimer (23), evidenze peraltro in linea con quanto

già ipotizzato anche nei riguardi della prevenzione

dello stroke (24).

Conclusioni

In conclusione, il progressivo invecchiamento della

nostra popolazione sta determinando una progressiva

espansione di quelle fasce di età in cui l’ipertensione è

più frequente e la suscettibilità a sviluppare demenza è

maggiore. L’impatto socio-economico della demenza, già

assai rilevante, appare, quindi, destinato ad assumere

proporzioni ancora maggiori nell’imminente futuro.

L’unica strategia realmente vincente nella demenza

appare essere oggi la prevenzione. In tale ambito, il con-

trollo ottimale dell’ipertensione arteriosa e dei fattori di

rischio cardiovascolare eventualmente associati rappre-

senta un efficace strumento preventivo, ad oggi probabil-

mente l’unica strategia realisticamente perseguibile per

prevenire la diffusione epidemica della demenza negli

anni a venire (25).

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Lo studio Hypertension in the Very Elderly (HYVET), con-

dotto in ultraottantenni ipertesi, ha dimostrato una ridu-

zione del 14% dei nuovi casi di demenza nei pazienti

assegnati al trattamento antipertensivo.

Sistema renina-angiotensina intrinseco a livello cerebrale

capace di modulare a vari livelli i processi cognitivi, pro-

babilmente attraverso i recettori AT2 e AT4.

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