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CONCLUSIONI DEL SIG. MANCINI — CAUSA 145/83
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALEG. FEDERICO MANCINI
dell'11 luglio 1985
Signor Presidente,signori Giudici,
1. Il 13 febbraio 1979, nel pronunciare lasentenza in causa 85/76, Hoffmann-La Roche/Commissione delle Comunità europee(Race. 1979, pag. 461), dichiaraste per laprima volta che « vietando (...) lo sfruttamento abusivo di una posizione dominantesul mercato, l'articolo 86 [del trattato CEE]vuole (...) colpire non solo le pratiche atte adanneggiare direttamente i consumatori, maanche quelle che recano loro un danno indiretto, indebolendo la struttura di effettivaconcorrenza prevista dall'articolo 3, letteraf) ». Riconosceste così che il comportamentodella multinazionale svizzera nel commerciodelle vitamine per uso farmaceutico ed alimentare poteva nuocere tanto alla concorrenza quanto agli scambi fra gli Stati membri e doveva perciò essere neutralizzato esanzionato.
Pur non essendo in possesso di dati precisi,sono persuaso che questa sentenza contribuìpoderosamente a liberare il mercato europeo delle vitamine — un prodotto fondamentale per la fisiologia e l'economia degliuomini contemporanei — dalla stretta monopolistica in cui soffocava da anni e gliconsentì di respirare ancora l'aria corroborante della libertà.
Qualcuno, dunque, vedeva giusto quando,agli inizi del 1973, suggerì alla Commissione
di indagare nelle pieghe nascoste e pressoché inaccessibili di un impero commercialefondato in buona parte su regole e clausoleillecite. In una lettera « personale e confidenziale » inviata il 25 febbraio al signorBorschette, allora commissario responsabiledel settore concorrenza, quel qualcuno chiedeva espressamente all'istituzione comunitaria d'intraprendere un'azione nei confrontidella società Hoffmann-La Roche per violazione dell'articolo 86 trattato CEE. Il ruoloe l'attività dell'impresa sul mercato mondialedelle vitamine erano accuratamente descritte; altrettanto circostanziata era la denuncia delle misure anticoncorrenziali cheessa applicava e imponeva.
La lettera così terminava: « Le chiedo che ilmio nome non sia coinvolto in questo affare. Tuttavia, resto a sua completa disposizione per le altre informazioni e per leprove documentali relative a ciascuno deipunti che ho sollevato. Inoltre, sono prontoin ogni momento a discutere con i Suoi collaboratori o con Lei personalmente qualunque [loro] aspetto e, se necessario, a volarein Belgio o a Roma a questo scopo. Di più,dopo che avrò lasciato La Roche verso ilmese di luglio 1973, sarò persino disposto acomparire davanti a qualunque tribunale pertestimoniare sotto giuramento dell'esattezzadelle mie affermazioni. Confido che mi faccia sapere al più presto in quale modo potròessere di ulteriore aiuto (...) ».
L'autore di questo testo prestava dunqueservizio presso la società svizzera. Oggi il
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suo nome è ben noto: Stanley GeorgeAdams, cittadino maltese e direttore nelladivisione « Affari internazionali » della Hoff-mann-La Roche, a Basilea.
Per la verità, che il signor Adams fosse l'informatore della Commissione nell'affaredelle vitamine non era un segreto da tempo;certamente dal 31 dicembre 1974, quando,sul confine tra Italia e Svizzera, egli si videarrestare dalle autorità di quest'ultimo paeseperché accusato, in base a una denunciasporta dalla Roche, dei delitti di divulgazione di informazioni commerciali e di violazione del segreto industriale (articoli 273 e162 del codice penale elvetico). Per l'ex dipendente della multinazionale cominciò allora una lunga via crucis. Messo in libertàprovvisoria il 21 marzo 1975 grazie al pagamento di una cauzione di 25 000 franchisvizzeri, il 1 ° luglio 1976, dopo un processoin cui alcune udienze ebbero luogo a portechiuse, Adams fu condannato in contumaciadal tribunale penale di Basilea ad un anno dicarcere col beneficio della sospensione e aldivieto di soggiorno nel territorio svizzeroper la durata di cinque anni. Contro questasentenza egli ricorse in appello e poi davantial tribunale federale di Losanna; ma la condanna di primo grado fu confermata e atempo debito divenne definitiva.
So bene che la vicenda di cui Adams è statoprotagonista non si esaurisce in queste poche notizie. Qui, peraltro, raccontare tuttigli eventi — sempre amari e talvolta tragici— che seguirono il suo primo contatto epistolare coi servizi della Commissione non misembra necessario. In effetti, con ricorso145/83 depositato il 18 luglio 1983, egli si èrivolto alla nostra Corte perché, accertata laresponsabilità della Commissione rispetto acerti atti e a certe omissioni che provoca
rono la scoperta della sua identità, condannil'istituzione convenuta al risarcimento deipregiudizi da lui successivamente subiti. AllaCommissione, Adams addebita altresì l'inadempimento dell'obbligo, da essa volontariamente assunto, di consigliare i suoi legalisulla possibilità di ricorrere contro la Svizzera per violazione della convenzione europea sui diritti dell'uomo (articoli 6 e 10).Darò dunque conto dei soli fatti che il ricorrente pone all'origine di detta responsabilità e al solo fine di stabilire se e in qualemisura la condotta della Commissionedebba ritenersi illecita e costituisca la causadei danni di cui Adams chiede il risarcimento.
Conviene inoltre ricordare che il 31 gennaioe il Io febbraio di quest'anno si è tenuta davanti alla seconda sezione della Corte un'udienza istruttoria durante la quale, oltre adAdams, furono sentiti il signor Portmann,avvocato del ricorrente all'epoca del processo di Basilea, e alcuni funzionari dellaCommissione incaricati dell'inchiesta Roche.In quest'occasione, entrambe le parti chiesero che la Corte accertasse anzitutto la responsabilità della Commissione e l'eventualeprescrizione dell'azione promossa dal ricorrente, lasciando semmai a una fase successiva la decisione sull'entità e sulla liquidazione dei danni. Nell'esporre i fatti dellacausa, pertanto, terrò conto anche dei limitiche tale richiesta ci ha posto.
Un'ultima precisazione. In data 29 febbraio1984, il signor Adams ha depositato un secondo ricorso (causa 53/84), diretto a farvalere la responsabilità extracontrattualedella Commissione per aver questa omessodi adire il comitato misto istituito dall'accordo di libero scambio tra CEE e Confederazione elvetica in merito ai provvedimenti
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presi nei suoi confronti dalle autorità svizzere. Poiché in detta domanda si lamentanogli stessi danni di cui si chiede il risarcimento col ricorso 145/83, ne tratterò inquesta sede e precisamente nell'ultimo paragrafo delle conclusioni che vi presento.
2. Dando seguito alla lettera del 25 febbraio 1973, il signor Schlieder, direttore generale della divisione « Concorrenza » dellaCommissione (in seguito « DG IV »), invitòStanley Adams ad incontrarsi con alcunisuoi funzionari per discutere le questioniche egli aveva sollevato. Nel corso di taleriunione, tenutasi a Bruxelles il 9 apriledello stesso anno, s'instaurò tra gli interlocutori un rapporto di franca collaborazione.Adams consegnò alcuni documenti dellaRoche che i funzionari ritennero di relativointeresse. Egli assicurò, tuttavia, di poternefornire altri, più probanti, e ciò fece ilgiorno successivo (10 aprile 1973) dopo essere rientrato a Basilea. Fra le molte carteche inviò figuravano quattordici circolariamministrative interne, denominate « Management Information Memoranda ». A questaspedizione ne seguirono altre due in data 15aprile e 21 luglio 1973, ricche di documentisull'attività commerciale della Roche, tra cuila fotocopia di una lettera che il presidente,signor Adolf Jann, aveva indirizzato ai dirigenti di tutte le filiali. Con la lettera del21 luglio, Adams fece inoltre sapere cheavrebbe lasciato la Roche alla fine dell'ottobre 1973.
Da allora la Commissione sostiene di nonaver avuto più notizie da Adams, così perdendone completamente le tracce. Il ricorrente, per contro, fa presente che già nellasua prima lettera del 25 febbraio 1973 egliscrisse « di aver in programma di lasciare [lasocietà] (...) e di voler avviare una propriaproduzione industriale di carne vicino a
Roma, Italia ». Inoltre, nella sua deposizione davanti a questa Corte, egli ha affermato che in occasione della sua visita a Bruxelles, il 9 aprile 1973, comunicò ai funzionari della DG IV, e in particolare al signorCarisi, la sua intenzione di stabilirsi con lafamiglia a Latina, una piccola città non lontana da Roma, dove appunto si ripromettevadi dar vita a un allevamento industriale disuini. Secondo il ricorrente, la Commissioneera dunque a conoscenza dei suoi progetti edel luogo in cui essi avrebbero dovuto realizzarsi. Egli sostiene, infine, di aver avutoun colloquio telefonico con Carisi agli inizidel novembre 1973 — e perciò qualchegiorno dopo le dimissioni dalla Roche —nel corso del quale comunicò al funzionarioil numero telefonico della casa dei suoi suoceri in Italia, dove avrebbe trascorso qualchemese di vacanza prima di trasferirsi a Latina. Questa circostanza non è stata confermata dai funzionari interrogati nell'udienzaistruttoria a cui peraltro il Carisi non ha potuto intervenire (vedasi più ampiamente subn. 7, in fine).
Allorché l'ultima lettera di Adams giunse aBruxelles, la Commissione aveva già intrapreso lo studio dei documenti da lui spediti,nella prospettiva, assai concreta, di aprireun'inchiesta a carico della Roche. Già datempo, infatti — e precisamente da quandoAdams aveva fornito le prime prove dellesue accuse —, i funzionari della DG IV sierano resi conto di aver tra le mani una faccenda scottante e delicatissima. Vennequindi deciso di procedere con molta prudenza; in particolare, come riferisce il direttore della divisione, fu stabilito di non avviare l'inchiesta presso le filiali Roche primache Adams avesse definitivamente lasciatol'impresa svizzera.
Dopo le sue dimissioni, per contro, ci si sarebbe potuti muovere con maggiore disin-
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voltura. Era infatti convinzione dei funzionari incaricati delle indagini che, cessato irapporto d'impiego tra la Roche e il suo dipendente, proteggere l'identità di quest'ultimo sarebbe stato meno necessario, soprattutto in vista della sua dichiarata disponibilità a confermare le proprie accuse « davantia qualunque tribunale ». Detto altrimenti)essi erano persuasi che, se per por fine allacondotta della Roche, fosse stato utile faraccertare da un organo giurisdizionale lafondatezza degli addebiti mossi nei suoiconfronti, la Commissione avrebbe potutocontare sulla testimonianza di Adams comeex responsabile di un settore commercialedell'impresa.
In base a tali considerazioni, la Commissione attese fino al 22 ottobre 1974, cioèquasi un anno dopo la partenza di Adams,per mettere in moto la sua inchiesta (in precedenza si era svolta, e aveva dato frutti assai magri, solo un'indagine cosiddetta « periferica » presso i clienti abituali della Roche). In quel giorno di autunno, dunque, trefunzionari della DG IV si recarono pressogli uffici della Roche a Parigi: il loro scopoera ottenere ufficialmente dal direttore diquella filiale i documenti che la Commissione possedeva da tempo all'insaputa dell'impresa e su cui avrebbe poi fondato la decisione di infrazione (articolo 86 del trattato). Ogni tentativo risultò però vano. Aldirettore furono persino letti i brani più eloquenti dei « Management Information Memoranda »; inutilmente, tuttavia, perché eglipretese di non conoscerli. Non restava chemostrargli i documenti per ottenerne la dichiarazione di autenticità: ma una decisionedel genere non aveva precedenti ed era
troppo rischiosa perché si potesse prenderlasu due piedi.
« Tornati a mani vuote — afferma nella suadeposizione un altro funzionario della DGIV, il signor Rihoux —, ci chiedemmo se sidovesse archiviare l'inchiesta nonostante leprove schiaccianti di cui eravamo in possesso, oppure andare fino in fondo. Si decisedi valutare innanzitutto gli interessi ingiuoco, soppesando i dati che consigliavanoil loro perseguimento o che ad esso si opponevano. Da un lato, emergeva l'interesse generale della Comunità, che impone allaCommissione di vigilare sull'applicazionedel trattato e in particolare dei principi sanciti negli articoli 85 e 86; dall'altro, potevaancora profilarsi, benché non più vincolanteper l'istituzione, un interesse dell'informatore a mantenere celata la propria identità.Contro l'esibizione dei documenti militavano il modo in cui questi erano giunti alBerlaymont e i segni di riconoscimento chevi apparivano. Stava però di fatto — diceancora Rihoux — che Adams non avevadato alcuna istruzione, nemmeno la piùvaga, su come la Commissione dovesse impiegare le sue informazioni, né aveva chiesto di essere tenuto al corrente del lorouso ». Come ho già detto, infine, i funzionari erano convinti che, una volta lasciataBasilea, « Adams non avesse alcuna particolare ragione di nascondere la sua identità »(cfr. la dichiarazione del signor Pappalardo,anch'egli responsabile dell'inchiesta). Contutto ciò, quando fu presa la decisione diesibire i documenti, gli ispettori della DGIV ebbero cura di scegliere quelli che, oltrea servire da prove per la decisione sanziona-toria, presentassero l'aspetto più anonimo, omeglio più neutro, come le circolari chesono distribuite in copia alle diverse filiali.Inoltre, si provvide ad eliminare dai rispettivi testi tutte le indicazioni che consentissero di risalire ad una specifica fonte.
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Prese queste precauzioni e messa a punto lastrategia da seguire, il 29 ottobre 1974 ifunzionari comunitari si presentarono contemporaneamente ai direttori delle filialiRoche di Parigi e di Bruxelles sperando ancora di persuaderli a estrarre dai loro archivi le carte incriminate. Ma, poiché l'atteggiamento dei due continuò ad essere elusivo o addirittura ostruzionistico, gli uominidella DG IV si risolsero a tirar fuori le 14note amministrative interne e la lettera delsignor Adolf Jann. Così posti di fronte all'evidenza, i responsabili delle filiali, a cui fupermesso di fotocopiare i documenti, confermarono finalmente l'esistenza e l'autenticità di questi ultimi.
Poche settimane più tardi, e precisamente il18 dicembre 1974, l'avvocato Alder depositòin nome della Roche e presso le autoritàsvizzere di polizia una querela per violazione degli articoli 273 e 162 del codice penale elvetico. La denuncia era indirizzataformalmente contro ignoti. Dopo aver esposto le circostanze relative alle visite dei funzionari presso le filiali di Parigi e di Bruxelles e il contenuto dei documenti fotocopiatidai rispettivi direttori, l'avvocato Alder affermava infatti che « la società Hoffmann-La Roche ignora in quale modo la Commissione delle Comunità europee sia giunta inpossesso dei documenti riservati (...). Il colloquio [avuto dal] sottoscritto con i signoriCarisi, Pappalardo e Rihoux l'8 novembre1974 a Bruxelles dà l'impressione che i funzionari della Comunità (...) abbiano ottenuto i documenti in questione senza iniziativa da parte loro e che (...) conoscano coluiche li ha forniti. Non è stato tuttavia possibile sapere il momento in cui essi [li] hannoricevuti ».
Nel suo atto di accusa, dunque, la societàdichiarò che, sulla base del materiale in suopossesso e nonostante le indagini svolte all'interno del gruppo, essa non era in gradodi stabilire l'identità dell'informatore. A conoscenza degli inquirenti, tuttavia, il suo legale portava una certezza ed un sospetto: laprima riguardava la provenienza dei documenti di cui la Commissione aveva ottenutole copie, tutti sicuramente redatti negli ufficidella sede centrale di Basilea. Il secondo siappuntava sul nome del presunto colpevole:Stanley Adams. Nell'atto di querela l'avvocato Alder giustificò questa congettura spiegando che da qualche anno il comportamento di Adams aveva suscitato le critichedei suoi superiori, tanto che nell'estate del1973 la direzione della società gli aveva suggerito di dimettersi. Il fatto che egli avesselasciato la Roche in termini non propriamente cordiali e certe deduzioni ricavabilidal confronto dei documenti originali con lecopie avute dalla Commissione « legittimano— concludeva Alder — il sospetto che ilsignor Adams sia l'autore dei fatti incriminati ».
Il 31 dicembre 1974 il ricorrente fu arrestato. Messo in libertà provvisoria il 21marzo 1975, egli riprese i contatti con laCommissione, rimasti interrotti da quasi unanno e mezzo, e nei primi giorni d'aprile incontrò a Bruxelles i funzionari che avevanocondotto l'inchiesta contro La Roche. Comericonoscono le parti, l'atmosfera del colloquio fu amichevole. Nell'esprimergli la lorosolidarietà, i funzionari promisero ad Adamsche la Commissione avrebbe pagato tutte lespese legali, compresa la cauzione versataper uscire dal carcere. Secondo il ricorrente,
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essi si impegnarono altresì a fornire consigligiuridici al signor Portmann, allora avvocato di Adams, per la preparazione della suadifesa. La convenuta conferma di avere ineffetti provveduto a pagare le spese diAdams e di averlo aiutato in vari modi, anche dopo che le sue traversie giudiziarie ebbero termine, ma nega di aver assunto l'obbligo di collaborare con i suoi legali.
Nel corso dell'incontro, si parlò inoltre degli avvenimenti più recenti. I funzionari vollero sapere da Adams i dettagli delle circostanze in cui aveva avuto luogo il suo arresto e, per parte loro, raccontarono quantoera successo a Bruxelles dopo la sua ultimavisita; in particolare, gli dissero dell'inchiesta che avevano compiuto presso le filialidella Roche. A questo riguardo, anzi, ilsignor Pappalardo ricorda di aver riferito alricorrente che proprio in quell'occasione idirettori di Parigi e di Bruxelles ebbero copia di alcuni tra i documenti da lui forniti:« ne parlai — afferma il funzionario —come " di un'ipotesi [atta a] spiegare quelloche per [noi] era [ancora] inspiegabile e cioèl'identificazione e l'arresto " di Adams.Quest'ultimo — conclude Pappalardo —non sembrò peraltro colpito da tali rivelazioni e non espresse alcuna critica all'operato della Commissione ».
Su questa parte della conversazione i ricordidel ricorrente sono diversi; egli sostiene infatti di non aver mai chiesto ai funzionaripresenti come, a loro avviso, le autoritàsvizzere fossero venute in possesso dei documenti incriminati. Al riguardo, però,giova rammentare che — come risulta dalverbale dell'interrogatorio a cui Adams fusottoposto durante il suo arresto — gli in
quirenti svizzeri gli mostrarono alcuni documenti, precisando che essi erano stati consegnati dai funzionari della Commissione aidirettori delle filiali belga e francese. Il ricorrente non contesta tale fatto, ma affermadi non avergli dato peso, ritenendo che essofosse un espediente usato dalla polizia svizzera per carpirgli una confessione. Tuttavia,dal verbale dell'interrogatorio risulta ancorache Adams riconobbe praticamente di averconsegnato alla Commissione i « Management Information Memoranda»: la cosa —egli ammise — è « del tutto possibile ».
Il 9 giugno 1976, la Commissione adottòuna decisione in cui constatava formalmenteche l'impresa Hoffmann-La Roche avevaabusato della sua posizione dominante sulmercato comunitario delle vitamine. Si concludeva così il primo « round » della vicendache due anni e mezzo più tardi avrebbemesso capo alla sentenza da cui ho preso lemosse.
3. Altri fatti di minore rilievo per il vostrogiudizio ebbero luogo dopo la prima visitadi Adams al Berlaymont; e qui li citeròsenza un ordine preciso. Nel suo atto introduttivo e nella memoria di replica, ad esempio, ¡I ricorrente riferisce di vari colloqui telefonici e di ulteriori incontri avuti coi funzionari comunitari, i primi in epoca precedente e successiva al suo congedo dalla Roche, i secondi dopo che fu dimesso dallecarceri svizzere. Egli menziona altresì alcuniepisodi avvenuti al momento del suo arresto,durante l'interrogatorio e nel corso della detenzione. Vengono inoltre descritti il ruolosvolto in questo periodo dalla Commissionee gli interventi che essa fece a favore diAdams. Il racconto del ricorrente contieneinfine una sezione dedicata al capitolo ita-
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liano della sua storia: esso — ricorderò —non fu molto più fortunato di quello svizzero, dal momento che gli ambiziosi progetti di Adams fallirono quasi sul nascere,essenzialmente per mancanza di fondi, edegli fu costretto a riparare in Gran Bretagnaper sfuggire alle conseguenze civili e penalidel tracollo a cui la sua impresa andò incontro.
La Commissione, dal canto suo, contestal'esattezza di certe deduzioni compiute daAdams e corregge la versione che egli dà dialcune circostanze. A suo avviso, in particolare, non è corretta l'affermazione del ricorrente secondo cui, durante un colloquio telefonico avvenuto nei primi giorni del 1975tra l'avvocato Alder e il signor Schlieder,quest'ultimo confermò espressamente che adinformare la Commissione era stato StanleyAdams. Devo dire che su tale fatto, intervenuto comunque quando già Adams avevaconfessato alla polizia svizzera di aver fornito informazioni alla Commissione, e soprattutto sul contenuto della conversazionetra Alder e Schlieder, non possediamo daticerti; né, com'è ovvio, la Corte può ritenersivincolata da quanto afferma al riguardo lasentenza del tribunale di Basilea. L'episodio,insomma, è troppo poco limpido per contribuire al già difficile accertamento della responsabilità su cui siete chiamati a pronunciarvi.
Ben diverso — diciamo pure paragonabile aquello dei fatti esposti sub n. 2 — è invece ilcontributo che al vostro compito apportal'incontro svoltosi a Bruxelles l'8 novembre1974, e cioè pochi giorni dopo la visita allefiliali della Roche, tra l'avvocato Alder e ifunzionari della DG IV. Di questo colloquio— durante il quale Alder pronunciò minacce che i suoi interlocutori ritennero ricattatorie, ma sostanzialmente prive di base —mi occuperò a fondo sub n. 7. Qui basterà
dire che nel nostro procedimento esso èstato evocato per la prima volta dalla Commissione in sede di comparsa di risposta.Nel ricorso di Adams, dunque, non ve n'ètraccia; egli lo fa invece valere nella replicacome circostanza che aggravò ulteriormenteil pregiudizio da lui subito.
4. Con ricorso in causa 145/83, il signorAdams chiede alla Corte di accertare che laCommissione delle Comunità europee: a)divulgando in più momenti la sua identitàcome informatore nell'inchiesta da essa condotta contro l'impresa Hoffmann-La Roche,ha violato l'obbligo del segreto professionalee ha così provocato il suo arresto, la sua detenzione e la sua condanna da parte delleautorità svizzere; b) è venuta meno all'obbligo di consigliare i suoi legali sulla possibilità di adire la Commissione europea dei diritti dell'uomo.
Per questi fatti e per queste omissioni eglichiede la condanna della Commissione al risarcimento dei danni sofferti e al pagamentodelle spese di giudizio. L'istituzione convenuta, invece, conclude per il rigetto del ricorso, in quanto infondato; rispetto al puntoa), essa eccepisce inoltre, ai sensi dell'articolo 43 protocollo sullo statuto della Corte,la prescrizione dell'azione promossa nei suoiconfronti.
5. Per quanto riguarda la violazione delsegreto professionale, il ricorrente sostieneche i rapporti da lui instaurati con la Commissione ebbero fin dall'inizio il caratteredella confidenzialità. A dimostrarlo sarebbero sia il testo della sua prima lettera, sia iltenore dei colloqui che egli ebbe coi funzionari della DG IV durante l'incontro del 9aprile 1973. Non fosse che per questo motivo, la Commissione era obbligata a non ri-
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velare il suo nome. Tale obbligo, tuttavia,aveva anche una duplice base legale: da unlato, gli articoli 214 trattato CEE e 20 regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n.17; dall'altro, i princìpi che governano lamateria nei diritti degli Stati membri.
Quest'ultima affermazione è sicuramenteinesatta. Beneficiario dei divieti previsti daltrattato e dal regolamento, infatti, è l'imprenditore inquisito e non il confidente.Quanto poi agli ordinamenti nazionali, ècerto che la loro analisi non permette dienucleare una comune disciplina della materia; per di più, le regole che essi dettano intema di responsabilità dell'amministrazioneoffrono all'informatore scarse possibilità ditutela, specie quando l'azione amministrativa persegue precisi obiettivi d'interessepubblico. Naturalmente, la situazione è diversa ove l'amministrazione assuma nei confronti dell'informatore l'esplicito impegno disalvaguardare il suo anonimato e di usare inmodo consequenziale le informazioni da luiricevute. Di tutto ciò Adams si rende conto;e, come abbiamo visto, è in primo luogo all'esistenza di un simile impegno che eglicerca di ancorare l'obbligo della Commissione.
Queste, però, sono solo schermaglie. Il terreno su cui tra le parti si accende lo scontroè diverso: ammesso che un obbligo comunque fondato sussista, è possibile attribuirgliun dies ad quem, è lecito riconoscergli unadurata definita? Adams lo nega. A suo parere, l'obbligo era continuo e assoluto: intali termini, infatti, lo profilava la lettera aBorschette; e in tali termini lo intese lastessa Commissione, come provano variaspetti del suo comportamento nel corsodell'intera vicenda.
La convenuta, per contro, sostiene che, dalmomento in cui Adams lasciò l'impiego, essanon era più vincolata da doveri di segretezza. A limitare in questo modo il suo impegno fu Adams medesimo scrivendo nellasua prima lettera che, una volta dimessosidalla Roche, egli non avrebbe esitato a testimoniare davanti a qualunque tribunale.Com'è possibile deporre in giudizio — sichiede infatti la Commissione — se nondopo aver declinato le proprie generalità?Nel partire da Basilea, inoltre, il ricorrentenon si preoccupò neppure di lasciare allaDG IV il suo nuovo indirizzo; così dimostrando una completa indifferenza per gliulteriori sviluppi dell'inchiesta e per la possibilità che il suo nome vi rimanesse coinvolto.
Come ho detto sub n. 2, Adams contestaquest'ultima affermazione e dichiara di avercomunicato al signor Carisi il recapito cheavrebbe avuto in Italia. Ma il suo argomentofondamentale è d'altro genere. La Commissione — egli afferma — mi ha frainteso.Quando scrissi « sono disposto a testimoniare », non intendevo affatto porre un termine al suo obbligo rinunciando a un anonimato che avevo insistentemente richiesto.Volevo invece dire che sarei stato pronto ascoprirmi — ma per mia decisione e su miainiziativa — una volta che l'inchiesta fosseterminata e la Corte investita di una controversia. Detto altrimenti, io solo avrei potutostabilire il modo e il tempo della mia pubblica apparizione.
Due tesi diametralmente opposte, dunque. Ame sembra più persuasiva la seconda, benché sia enunciata in termini forse troppo rigidi. Anch'essa, tuttavia, non ci porta molto
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lontano, se è vero che fino al 31 dicembre1974 — ossia fino all'inizio della catena dieventi pregiudizievoli per cui Adams chiedeil risarcimento — la convenuta non rivelòapertamente il nome del suo informatore.Propongo perciò di mettere tra parentesi ilproblema del termine e di concentrare l'indagine su altri aspetti dell'obbligo assuntodalla Commissione. Ma ciò suppone che laportata di quest'ultimo sia meglio conosciuta; e per conoscerla è anzitutto necessario analizzare il documento — la lettera aBorschette — da cui l'obbligo fu posto inessere.
La prima parte della lettera, sappiamo, siapre con l'auspicio che la Commissione « intraprenda una qualche azione » nei confronti della Roche, continua descrivendominutamente le pratiche anticoncorrenzialimesse in atto dall'impresa e termina con leseguenti parole: « in cooperazione con glialtri produttori di vitamine non confezionate, [la Roche] (...) ha eliminato la concorrenza leale; e (...) dove non [ha] potuto eliminarla] (...) ha completamente distorto laconcorrenza ». Tutto ciò, afferma Adams, è« chiaro »; e intende dire sufficiente a garantire il buon esito dell' « azione » che eglipropone al suo interlocutore di esercitare.« Chiedo — egli aggiunge allora — di noncoinvolgere il mio nome nella faccenda.Tuttavia resto a (...) disposizione per ulteriori informazioni e prove documentali relative a ciascuno dei punti che ho sollevato(...). Inoltre sono pronto in ogni momento a[incontrare gli ispettori della DG IV] (...). Dipiù, dopo che avrò lasciato la Roche (...),sarò persino disposto ecc. ». In altre parole,il ricorrente era convinto di aver offerto elementi atti per sé soli a giustificare un'iniziativa contro la Roche; tuttavia — ecco ilsenso dell'avversativa — egli poteva avvalorarli in tre maniere: a) dando altre informazioni e/o documenti; b) discutendo coi funzionari della Comunità; e) testimoniando
sotto giuramento sull'esattezza dei dati dalui forniti. La scelta era lasciata alla Commissione. « Confido — così infatti si chiudela lettera — che mi [si] faccia sapere (...) inquale modo potrò essere di ulteriore aiuto ».
Che cosa ricaviamo da tali frasi? Il ricorrente — non v'è dubbio — impose al commissario Borschette un vincolo di segretezzarispetto alla sua identità e cioè alla fontedelle accuse portate contro la Roche. Altrettanto certo, tuttavia, è che detto vincolonon si estende fino ad includere il modo e ilmomento in cui usare le accuse. Per limitareo condizionare anche questi, infatti, Adamsavrebbe dovuto impartire alla Commissionele indispensabili istruzioni; ma egli non lofece. La invitò anzi ad aprir subito l'inchiesta, pur lasciandole la facoltà di domandargli — e di sceglierne le forme — una piùintensa collaborazione. A stregua della lettera, in definitiva, la convenuta poteva utilizzare quanto aveva appreso dal ricorrentecon piena discrezionalità. Purché non divulgasse il suo nome, essa era libera di muoversi nei termini che avrebbe ritenuto più efficaci.
A questo quadro gli eventi successivi nonaggiungono e non tolgono nulla. Invitato aBruxelles per discutere delle sue accuse,Adams si presentò con alcuni documenti acui — sostiene — attribuì carattere riservato. Osservo, tuttavia, che essi furono giudicati di modesto interesse'e che nel resoconto della riunione, redatto dal signor Ri-houx, non si fa parola della loro confidenzialità. In ogni caso, sta di fatto che né inquell'occasione, né nelle tre lettere successivamente inviate, Adams raccomandò allaCommissione di utilizzare con particolare
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prudenza il materiale da lui fornito o di nonutilizzarlo affatto, per il rischio che il suocontenuto potesse rivelare la fonte. Nellasua deposizione davanti a questa Corte, infine, il ricorrente ha ammesso di non avermai precisato agli ispettori della DG IV chedei suoi documenti non si dovesse far usoall'esterno del Berlaymont.
Ciò detto, possiamo fare un passo avanti.Alla Commissione — io credo — Adamsnon dette istruzioni per la fiducia che avevanei funzionari comunitari, nella loro capacità di operare con efficacia, ma allo stessotempo in modo cauto e discreto. La cautela,la diligenza, se del caso la discrezione, sonoinfatti tra le regole fondamentali dell'attivitàamministrativa; e, benché libera di usare idocumenti confidatile come o quandoavesse ritenuto opportuno, la Commissionenon poteva ignorarle. Ecco il punto, allora:si può dire che la Commissione abbia rispettato quelle regole? I metodi da essa sceltiper ottenere dalla Roche le prove di cuiaveva bisogno e le misure prese nel metterliin pratica corrisposero al comportamentoche, in una situazione analoga, terrebbe unuomo ragionevole e responsabile o, comedicevano i romani, un « buon padre di famiglia »?
Adams è convinto che tale corrispondenzanon esista. A suo avviso, l'esibizione dei« Management Information Memoranda » aidirettori delle filiali belga e francese fu unatto quanto meno incauto perché consentìalla Roche di stabilire che, con ogni verosimiglianza, la fonte delle informazioni doveva identificarsi in lui. Tutto all'opposto laCommissione. Oltre a non averle dato direttive — essa afferma — il ricorrente non laavvertì che, divulgando quei particolari do
cumenti, si sarebbe corso il rischio di scoprire la fonte. I funzionari incaricati dell'inchiesta, d'altra parte, scelsero di esibire lecarte più « anonime » e si studiarono di renderle irriconoscibili eliminandone i segni attiad agevolare la ricerca dell'informatore. Sele loro precauzioni abbiano avuto successonessuno ovviamente può dire; ma è significativo che la querela della Roche giustifichii sospetti nei confronti di Adams in relazione ai suoi cattivi rapporti con i superiorie a circostanze riguardanti dati di cui laCommissione non venne mai in possesso.
Tra le tesi così riassunte io preferisco quelladella Commissione. Ricordo che il ricorrente le aveva lasciato libertà di apprezzareil tempo e il modo in cui servirsi delle sueinformazioni. Essa se ne servì a un annodalle dimissioni di Adams e solo dopo che isuoi tentativi di procurarsi le prove, dapprima presso i clienti della Roche, poi dagliarchivi delle filiali di Bruxelles e di Parigi, sierano risolti in un fallimento. Ora, unascelta del genere — cioè ragionevolmentetarda, concepita come extrema ratio e messain atto con le precauzioni che ho ricordato— deve ritenersi conforme alle regole dellaprudenza e della diligenza. Dalla convenuta,in altri termini, non si poteva pretendere piùdi quanto essa fece per tutelare l'anonimatodi Adams.
Concludendo su questo punto, ritengo chenel comportamento tenuto dalla Commissione durante le indagini a carico della Hoff-mann-La Roche non siano ravvisabili illecitisuscettibili di fondare, presenti le condizionidel danno e dell'esistenza di un nesso dicausalità, la responsabilità extracontrattualedell'istituzione convenuta.
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6. Pur difendendosi in primo luogo sulmerito del ricorso introdotto da Adams, laCommissione sostiene che l'azione promossadal ricorrente cade sotto gli strali dell'articolo 43 protocollo sullo statuto della Corte.Tale norma dispone che « le azioni controla Comunità in materia di responsabilitàextracontrattuale si prescrivono in cinqueanni a decorrere dal momento in cui avvieneil fatto che dà loro origine »; e la vostra piùrecente giurisprudenza ne ha chiarito unpunto cruciale stabilendo che il termine peragire « non può iniziare a decorrere primache sussistano tutte le condizioni a cui èsubordinato l'obbligo del risarcimento esoprattutto prima che si sia concretato ildanno da risarcire » (sentenza 27 gennaio1982, causa'51/81, De Franceschi/ Consiglio e Commissione, Race. 1982, pag. 117).
La linea della convenuta è semplice. Dallaricostruzione cronologica dei fatti — essaafferma — emerge che il 1 ° luglio 1976, ecioè nel giorno della sentenza pronunziatadal tribunale di Basilea, le condizioni su cuiAdams fonda l'azione di responsabilitàerano sussistenti. Come ha riconosciuto lostesso ricorrente, gli atti e le omissioni da luiinvocati per provare la violazione del segreto professionale ebbero luogo prima ditale data; altrettanto dicasi per i danni (arresto, detenzione) che ne derivarono e di cuiegli chiede appunto il risarcimento. In talesituazione, il termine per agire è stato ampiamente superato. La domanda del ricorrente, infatti, è giunta alla cancelleria diquesta Corte solo il 18 luglio 1983; ossiaben al di là dei cinque anni previsti dall'articolo 43.
Adams respinge con forza l'eccezione cosìformulata. I suoi argomenti, tuttavia, si riducono ad affermare che dell'illecito su cui
è fondata la responsabilità della Commissione egli ebbe conoscenza nell'agosto del1980. Solo allora, infatti, il suo nuovo avvocato ottenne dal tribunale di Basilea tutti gliatti processuali e, leggendoli, seppe che ifunzionari comunitari avevano mostrato aidirettori delle filiali Roche alcuni tra i documenti da lui ricevuti. Fino a quel momento— sostiene il ricorrente — tale circostanzagli era ignota. In effetti, egli non aveva maivisto i verbali del suo interrogatorio o il fascicolo del suo processo; e, anche se liavesse visti, non li avrebbe compresi essendoi medesimi redatti in una lingua — il tedesco — che egli non conosce.
Che dire di questa tesi? Non v'è dubbio cheper il computo del termine stabilito dall'articolo 43 l'ignoranza sia da prendere in considerazione; essa non dovrà comunque risultare provocata dal soggetto che la invoca.Quest'ultimo, semmai, è tenuto a dimostraredi aver fatto tutto il possibile per conoscere ifatti che sono all'origine del pregiudizio sofferto. Ora, come ho ampiamente riferito subn. 2, Adams stesso riconosce che dell'esibizione dei documenti ai responsabili delle filiali egli fu, durante il suo interrogatorio, informato dagli inquirenti svizzeri. E vero cheil ricorrente dichiara di non aver allorapreso sul serio tale informazione. Ma, cosìargomentando, giunge a un risultato assurdo: subordina cioè l'esercizio dell'azioneex articolo 215 non all'esistenza effettiva dicerti fatti — così l'illecito da cui deriva ildanno —, ma all'opinione che il danneggiato si faccia sulla loro imputabilità ad uncerto soggetto.
Sono comunque convinto che dal suo nuovoavvocato Adams non apprese più di quantoda tempo sapesse. Osservo infatti che nellaquerela della Roche si afferma testualmente:
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« le copie (...) dei documenti (...) in possessodella Commissione (...) sono state fatte [dalpersonale delle filiali francese e belga] co»l'accordo dei funzionari (...) e [subito] inviate(...) a Basilea ». Ora, è certo che di talebrano — più significativo di ogn'altro perché mette in evidenza la volontarietà dellaconsegna effettuata dagli ispettori comunitari — il ricorrente ebbe conoscenza durante il suo interrogatorio, e precisamente il23 gennaio 1975; né, rispetto ad esso, eglipuò invocare la sua ignoranza del tedesco.Come risulta dai verbali, infatti, la querelafu tradotta dall'interprete man mano che ilcommissario di polizia poneva le domandeall'imputato; e gli stessi verbali furono firmati da Adams solo dopo che egli ne ebbeascoltato la traduzione.
Già agli inizi del 1975, in definitiva, Adamsconosceva nei dettagli i fatti che egli adducea sostegno della prima fra le domande in cuisi articola il suo ricorso. L'eccezione di prescrizione posta dalla convenuta è dunquefondata.
7. Non tutti i fatti evocati nel nostro giudizio e suscettibili di fondare la responsabilità della Commissione erano però noti al ricorrente quando fu pronunciata la sentenzadi Basilea. In particolare, come ho riferitosub n. 3, egli dichiara di aver saputo del colloquio svoltosi l'8 novembre 1974 tra l'avvocato Alder e i funzionari della Commissionesolo dalla memoria che quest'ultima ha presentato in corso di causa. L'affermazionepotrebbe non essere del tutto esatta. Nellaquerela della Roche, infatti, Alder menzionatale incontro, precisando di averlo provocato per scoprire come la Commissionefosse venuta in possesso dei « ManagementInformation Memoranda » e della lettera di
Jann. Sul punto — egli aggiunge — i funzionari non gli dettero chiarimenti; mentre auna sua ulteriore domanda, intesa a stabilirese l'informatore fosse una persona estraneao interna alla società, si riservarono di rispondere in un momento successivo. Tuttavia — conclude Alder — in data 6 dicembre1974 il signor Pappalardo gli comunicò pertelefono che la Commissione non intendevarispondere neppure al secondo interrogativoe che non avrebbe più accettato di discuteresull'origine dei documenti.
Avendo avuto conoscenza della querela durante il suo interrogatorio, è dunque verosimile che Adams non ignorasse quest'episodio. Nella querela, peraltro, l'avvocato Alder riferì solo una parte, e non la più interessante, del colloquio che ebbe coi funzionari. Si legga infatti la memoria dellaCommissione. Ai suoi interlocutori — vi siafferma — Alder comunicò l'intento dellaRoche di perseguire il confidente ricorrendoa una norma del codice penale elvetico chepunisce la divulgazione di informazionicommerciali segrete. Egli ventilò inoltre lapossibilità di chiamarli in giudizio come testimoni, perché il pubblico fosse informatodella leggerezza con cui la DG IV conduceva le proprie inchieste; promise infine che,se la Commissione avesse rivelato il nomedell'informatore, la Roche avrebbe rinunciato a ogni azione penale nei confronti dicostui e fornito agli ispettori tutti i documenti di cui avessero ancora bisogno. Perbocca del signor Pappalardo, la Commissione respinse tali proposte.
Questo, dunque, il contenuto integrale delcolloquio. Adams rimprovera alla Commissione di non averglielo comunicato a tempoe, in particolare, di non avergli fatto rilevarei gravi rischi che avrebbe corso se fosse rien-
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trato in Svizzera. La Commissione è così« venuta meno al dovere di diligenza » cheinerisce all'azione amministrativa e tale inadempimento ha « aggravato » il pregiudizioda lui sofferto per la « violazione del segretoprofessionale ».
Osservo che, avanzando l'argomento cosìriassunto, il ricorrente ha in realtà sollevatoun mezzo nuovo, sebbene anch'esso direttoa fondare la responsabilità della convenuta.Gli era lecito farlo? Com'è noto, secondol'articolo 42, paragrafo 2, del regolamentodi procedura la produzione di mezzi nuoviin corso di causa è possibile solo se essi sibasino su elementi di diritto o di fattoemersi per la prima volta durante la fasescritta; d'altro canto, la vostra costante giurisprudenza precisa che, « per poter giustificare la deduzione di un mezzo nuovo incorso di causa », il fatto non deve « esistereo essere noto al ricorrente al momento dellapresentazione del ricorso » (cfr., da ultimo,sentenza 1 ° aprile 1982, causa 11/81, Dür-beck/Commissione, Racc. 1982, pag. 1251).Ora, nel nostro caso non v'è dubbio che talecondizione sussista. Come s'è visto, infatti,quando Adams introdusse il ricorso, le minacce e le proposte di Alder erano conosciute solo da quest'ultimo e dalla Commissione. Il ricorrente non ne sapeva e non nepoteva sapere nulla.
Contro il nuovo addebito la Commissione sidifende affermando anzitutto di non avercreduto che, in base alle leggi svizzere, sipotesse perseguire penalmente una personaper aver fornito informazioni utili a far cessare un comportamento illegittimo. La minaccia d'intraprendere, un'iniziativa del genere fu quindi interpretata dai funzionaricome un « bluff » tentato da Alder perstrappar loro il nome del confidente. Si ag
giunga, da un lato, che Adams aveva datempo abbandonato la Svizzera né si eradetto intenzionato a tornarvi, dall'altro, che,non avendo egli lasciato recapiti, dargli notizie sarebbe stato impossibile. Nel corsodella procedura orale, infine, la convenutaha sostenuto che anche in questo caso l'azione del ricorrente è prescritta. Dal giornodel colloquio tra Alder e i funzionari e ladata di deposito del ricorso è infatti passatopiù di un quinquennio.
Dico subito che, se è vero quanto abbiamoappena osservato sul tempo in cui Adamsseppe del colloquio (o almeno della suaparte più importante), quest'ultima affermazione è inaccoglibile. Ma anche gli altri argomenti della convenuta sono da respingere.
Vediamo perché. Proteggere l'informatoreserbandone l'anonimato non è un fine in sé,ma serve soprattutto a evitargli le possibilirappresaglie di chi è stato danneggiato dallesue confidenze. Ora, come si è visto ampiamente sub n. 6, l'obbligo del segreto gravante sulla Commissione non cessò con lavisita degli ispettori comunitari alle filiali diParigi e di Bruxelles: la Commissione, dunque, era tenuta a vigilare perché tale visitanon sortisse effetti diversi da quelli che l'avevano motivata e, in particolare, che nonavesse conseguenze negative per Adams. Maproprio conseguenze siffatte — una rappresaglia in forma di azione penale con la prospettiva dell'arresto e della condanna —vennero minacciate da Alder nel corso di unincontro che fu esso stesso tra i risultati prodotti da quella visita. Che cosa possa dedur-sene è chiaro: la Commissione avrebbe dovuto prendere tutte le misure necessarie, secondo la normale diligenza, a impedire chequelle minacce diventassero realtà.
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Essa, invece, rimase inerte; e tale passivitànon è giustificabile. Quand'anche l'atteggiamento dell'avvocato Alder potesse far pensare a un « bluff », la posta era tale da imporre di « vedere » se le carte in sua manofossero davvero deboli. Per i giuristi delladirezione « Concorrenza » non doveva essere troppo arduo accertare l'esistenza 'dinorme contenute in un codice di cui labiblioteca comunitaria è certamente fornitae valutare la loro esatta portata medianteuna semplice ricerca di giurisprudenza. Aggiungo che il contenuto delle dette normenon si distacca poi troppo da quello di varidisposti ancora presenti negli ordinamenti dialcuni Stati membri (ad esempio, l'articolo623 del codice penale italiano). Avesseropensato a tutto ciò e si fossero mossi in conseguenza, quei giuristi sarebbero giunti allaconclusione che Alder aveva, sì, cercato diintimidirli, ma che era stato lungi dal « bluffare »; che possedeva anzi carte quanto maisolide.
Resta l'argomento dell'irreperibilità diAdams. Certo: io non nego che, dopo averlasciato il suo impiego, il ricorrente si sia disinteressato dell'inchiesta e sui suoi progettiitaliani abbia offerto indicazioni solo occasionali e notevolmente vaghe. Egli sostienetuttavia di avere, nel novembre del 1973, telefonato al signor Carisi dandogli il suo recapito; e ciò proprio per consentire allaCommissione di rimanere in contatto conlui. Ora, che le cose siano andate in questomodo è molto verosimile. Come sappiamo,Carisi non è intervenuto all'udienza istruttoria; altri funzionari, e in particolare il signorSchlieder, ricordano tuttavia una telefonatadi Adams. Del suo contenuto non sannodirci nulla; ma, tenendo presente il momento in cui fu fatta (i giorni successivi alcongedo dalla Roche) e il luogo da cui provenne (sicuramente l'Italia), non si vede ache cosa essa fosse diretta se non a comunicare l'indirizzo del suo autore.
È pacifico in ogni caso che la Commissionenon tentò neppure di ricercare Adams puravendone tutto il tempo (non si dimentichi,infatti, che alla seconda domanda di Aider ilsignor Pappalardo rispose quasi un mesedopo il colloquio! ). Tanto basta, mi sembra, per concludere che la condotta dell'istituzione non fu conforme all'ordinaria diligenza; e che in essa è pertanto ravvisabileun illecito tale da generare responsabilitàextracontrattuale.
8. Sempre nel ricorso 145/83, Adams rimprovera alla convenuta una seconda omissione. Essa, cioè, non lo avrebbe informatosulla possibilità d'invocare a di lui difesa laconvenzione europea sui diritti dell'uomo,così violando l'obbligo, che aveva assuntovolontariamente, di assistere e di consigliarei suoi avvocati.
Ricordo che la Commissione nega di essersiimpegnata in tal senso e rilevo che il ricorrente non ha fornito prove atte a smentirla.Deponendo davanti alla Corte, è vero, il signor Portmann ha affermato di aver semprepotuto rivolgersi ai funzionari della DG IVper ottenerne informazioni utili allo svolgimento del suo mandato; ma nulla fa pensareche questi contatti, d'altronde occasionali, sisvolgessero nel quadro di un rapporto diconsulenza.
La censura è quindi priva di fondamento.
9. Con ricorso depositato il 29 febbraio1984 in causa 53/84, il ricorrente chiede che
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la Corte: a) condanni la Commissione delleComunità europee a risarcire i danni da luisubiti a séguito degli atti e delle omissioniche essa ha compiuto e che hanno provocato il suo arresto e la sua condanna daparte delle autorità svizzere; b) dichiari chela Commissione avrebbe dovuto portare aconoscenza del comitato misto istituito nelquadro dell'accordo di libero scambio concluso tra la CEE e la Confederazione elvetica (1972) i provvedimenti presi nei suoiconfronti dalle autorità di questo paese econtrari alle regole di detto accordo; e) dichiari che la Commissione dovrebbe notificare alla Svizzera la propria intenzione direcedere dall'accordo di libero scambio senon potrà convincerla, entro un termine ragionevole, a interpretare correttamente e arispettare le norme di diritto internazionalein esso contenute.
La Commissione solleva preliminarmenteun'eccezione di litispendenza; dal momento— essa afferma — che il nuovo ricorso sifonda sui fatti esposti nel ricorso 145/83 eriproduce sostanzialmente le domande diquesto, esso contrasta col principio del nebis in idem e deve pertanto considerarsi irricevibile. In ogni caso, essendo i danni cheAdams lamenta la conseguenza diretta o indiretta del processo penale celebrato neisuoi confronti, gli atti e le omissioni su cuidovrebbe fondarsi la responsabilità dellaCommissione hanno avuto necessariamente
luogo prima che fosse pronunciata la relativa sentenza di condanna ( 1 °luglio 1976);l'azione è dunque prescritta ai sensi dell'articolo 43 statuto della Corte. Nella sua domanda, infine, il ricorrente non precisa: a)quale sia la regola di diritto che la Commissione avrebbe violato; b) in che cosa consista il comportamento illecito dell'istituzione;e) in che modo tale comportamento gli abbia causato un danno. Detto altrimenti,prima ancora di essere infondata, la domanda non risponde alle condizioni previstedall'articolo 215 del trattato.
Dal canto suo, Adams si limita a ribattereche i danni per cui sono stati introdotti idue ricorsi possono essere identici, ma chediversi — ed è quanto conta — sono imezzi sollevati nell'uno e nell'altro. La tesi èdiscutibile; approfondirla (come affrontare ilproblema relativo alla sussistenza delle condizioni stabilite dall'articolo 215) è tuttaviainutile perché non vi sono dubbi che almenoil secondo argomento della Commissionecolga nel segno. In effetti, se è vero che ipregiudizi lamentati nel ricorso in esamenon si differenziano da quelli per cui è statoproposto l'altro, il termine per agire cominciò, anche nei loro confronti, a decorreredalla data della sentenza di Basilea (vedasisupra, n. 6); né ovviamente rileva la circostanza che a provocarli sia stata in questocaso la mancata denuncia delle traversie diAdams al comitato misto CEE-Svizzera.
10. Sulla base dei fatti che è stato possibile accertare nel corso di questo giudizioe alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di:
a) dichiarare ricevibile il ricorso introdotto dal signor Stanley George Adams il18 luglio 1983 in causa 145/83 e, accogliendolo parzialmente, constatare laresponsabilità extracontrattuale della Commissione delle Comunità europee per
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ayer questa omesso di prendere misure intese a preavvertire il ricorrente delrischio che avrebbe corso se fosse rientrato in Svizzera ed avere così violatol'obbligo di normale diligenza a cui è sottoposta la sua azione amministrativa;
b) riservare l'accertamento dell'importo dei danni e la loro liquidazione a un successivo giudizio;
e) respingere per il resto il ricorso 145/83;
d) liquidare le spese della presente causa con la futura pronuncia sull'importo deidanni;
e) dichiarare irricevibile il ricorso presentato dal signor Adams il 29 febbraio 1984in causa 53/84 e, in base all'articolo 69, paragrafo 2, del regolamento di procedura, condannare il ricorrente alle spese.
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