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CONCLUSIONI DEL SIG. MANCINI CAUSA 145/ 83 CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE G. FEDERICO MANCINI dell'11 luglio 1985 Signor Presidente, signori Giudici, 1. Il 13 febbraio 1979, nel pronunciare la sentenza in causa 85/ 76, Hoffmann-La Ro che/ Commissione delle Comunità europee (Race. 1979, pag. 461), dichiaraste per la prima volta che « vietando (...) lo sfrutta mento abusivo di una posizione dominante sul mercato, l'articolo 86 [del trattato CEE] vuole (...) colpire non solo le pratiche atte a danneggiare direttamente i consumatori , ma anche quelle che recano loro un danno indi retto, indebolendo la struttura di effettiva concorrenza prevista dall'articolo 3, lettera f ) ». Riconosceste così che il comportamento della multinazionale svizzera nel commercio delle vitamine per uso farmaceutico ed ali mentare poteva nuocere tanto alla concor renza quanto agli scambi fra gli Stati mem bri e doveva perciò essere neutralizzato e sanzionato. Pur non essendo in possesso di dati precisi, sono persuaso che questa sentenza contribuì poderosamente a liberare il mercato euro peo delle vitamine un prodotto fonda mentale per la fisiologia e l'economia degli uomini contemporanei dalla stretta mo nopolistica in cui soffocava da anni e gli consentì di respirare ancora l'aria corrobo rante della libertà. Qualcuno, dunque, vedeva giusto quando, agli inizi del 1973, suggerì alla Commissione di indagare nelle pieghe nascoste e presso ché inaccessibili di un impero commerciale fondato in buona parte su regole e clausole illecite. In una lettera « personale e confi denziale » inviata il 25 febbraio al signor Borschette, allora commissario responsabile del settore concorrenza, quel qualcuno chie deva espressamente all'istituzione comunita ria d'intraprendere un'azione nei confronti della società Hoffmann-La Roche per viola zione dell'articolo 86 trattato CEE. Il ruolo e l'attività dell'impresa sul mercato mondiale delle vitamine erano accuratamente de scritte; altrettanto circostanziata era la de nuncia delle misure anticoncorrenziali che essa applicava e imponeva. La lettera così terminava: « Le chiedo che il mio nome non sia coinvolto in questo af fare. Tuttavia, resto a sua completa disposi zione per le altre informazioni e per le prove documentali relative a ciascuno dei punti che ho sollevato. Inoltre, sono pronto in ogni momento a discutere con i Suoi col laboratori o con Lei personalmente qualun que [ loro] aspetto e, se necessario, a volare in Belgio o a Roma a questo scopo. Di più, dopo che avrò lasciato La Roche verso il mese di luglio 1973, sarò persino disposto a comparire davanti a qualunque tribunale per testimoniare sotto giuramento dell'esattezza delle mie affermazioni. Confido che mi fac cia sapere al più presto in quale modo potrò essere di ulteriore aiuto (...) ». L'autore di questo testo prestava dunque servizio presso la società svizzera. Oggi il 3540

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CONCLUSIONI DEL SIG. MANCINI — CAUSA 145/83

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALEG. FEDERICO MANCINI

dell'11 luglio 1985

Signor Presidente,signori Giudici,

1. Il 13 febbraio 1979, nel pronunciare lasentenza in causa 85/76, Hoffmann-La Ro­che/Commissione delle Comunità europee(Race. 1979, pag. 461), dichiaraste per laprima volta che « vietando (...) lo sfrutta­mento abusivo di una posizione dominantesul mercato, l'articolo 86 [del trattato CEE]vuole (...) colpire non solo le pratiche atte adanneggiare direttamente i consumatori, maanche quelle che recano loro un danno indi­retto, indebolendo la struttura di effettivaconcorrenza prevista dall'articolo 3, letteraf) ». Riconosceste così che il comportamentodella multinazionale svizzera nel commerciodelle vitamine per uso farmaceutico ed ali­mentare poteva nuocere tanto alla concor­renza quanto agli scambi fra gli Stati mem­bri e doveva perciò essere neutralizzato esanzionato.

Pur non essendo in possesso di dati precisi,sono persuaso che questa sentenza contribuìpoderosamente a liberare il mercato euro­peo delle vitamine — un prodotto fonda­mentale per la fisiologia e l'economia degliuomini contemporanei — dalla stretta mo­nopolistica in cui soffocava da anni e gliconsentì di respirare ancora l'aria corrobo­rante della libertà.

Qualcuno, dunque, vedeva giusto quando,agli inizi del 1973, suggerì alla Commissione

di indagare nelle pieghe nascoste e presso­ché inaccessibili di un impero commercialefondato in buona parte su regole e clausoleillecite. In una lettera « personale e confi­denziale » inviata il 25 febbraio al signorBorschette, allora commissario responsabiledel settore concorrenza, quel qualcuno chie­deva espressamente all'istituzione comunita­ria d'intraprendere un'azione nei confrontidella società Hoffmann-La Roche per viola­zione dell'articolo 86 trattato CEE. Il ruoloe l'attività dell'impresa sul mercato mondialedelle vitamine erano accuratamente de­scritte; altrettanto circostanziata era la de­nuncia delle misure anticoncorrenziali cheessa applicava e imponeva.

La lettera così terminava: « Le chiedo che ilmio nome non sia coinvolto in questo af­fare. Tuttavia, resto a sua completa disposi­zione per le altre informazioni e per leprove documentali relative a ciascuno deipunti che ho sollevato. Inoltre, sono prontoin ogni momento a discutere con i Suoi col­laboratori o con Lei personalmente qualun­que [loro] aspetto e, se necessario, a volarein Belgio o a Roma a questo scopo. Di più,dopo che avrò lasciato La Roche verso ilmese di luglio 1973, sarò persino disposto acomparire davanti a qualunque tribunale pertestimoniare sotto giuramento dell'esattezzadelle mie affermazioni. Confido che mi fac­cia sapere al più presto in quale modo potròessere di ulteriore aiuto (...) ».

L'autore di questo testo prestava dunqueservizio presso la società svizzera. Oggi il

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suo nome è ben noto: Stanley GeorgeAdams, cittadino maltese e direttore nelladivisione « Affari internazionali » della Hoff-mann-La Roche, a Basilea.

Per la verità, che il signor Adams fosse l'in­formatore della Commissione nell'affaredelle vitamine non era un segreto da tempo;certamente dal 31 dicembre 1974, quando,sul confine tra Italia e Svizzera, egli si videarrestare dalle autorità di quest'ultimo paeseperché accusato, in base a una denunciasporta dalla Roche, dei delitti di divulga­zione di informazioni commerciali e di vio­lazione del segreto industriale (articoli 273 e162 del codice penale elvetico). Per l'ex di­pendente della multinazionale cominciò al­lora una lunga via crucis. Messo in libertàprovvisoria il 21 marzo 1975 grazie al paga­mento di una cauzione di 25 000 franchisvizzeri, il 1 ° luglio 1976, dopo un processoin cui alcune udienze ebbero luogo a portechiuse, Adams fu condannato in contumaciadal tribunale penale di Basilea ad un anno dicarcere col beneficio della sospensione e aldivieto di soggiorno nel territorio svizzeroper la durata di cinque anni. Contro questasentenza egli ricorse in appello e poi davantial tribunale federale di Losanna; ma la con­danna di primo grado fu confermata e atempo debito divenne definitiva.

So bene che la vicenda di cui Adams è statoprotagonista non si esaurisce in queste po­che notizie. Qui, peraltro, raccontare tuttigli eventi — sempre amari e talvolta tragici— che seguirono il suo primo contatto epi­stolare coi servizi della Commissione non misembra necessario. In effetti, con ricorso145/83 depositato il 18 luglio 1983, egli si èrivolto alla nostra Corte perché, accertata laresponsabilità della Commissione rispetto acerti atti e a certe omissioni che provoca­

rono la scoperta della sua identità, condannil'istituzione convenuta al risarcimento deipregiudizi da lui successivamente subiti. AllaCommissione, Adams addebita altresì l'in­adempimento dell'obbligo, da essa volonta­riamente assunto, di consigliare i suoi legalisulla possibilità di ricorrere contro la Sviz­zera per violazione della convenzione euro­pea sui diritti dell'uomo (articoli 6 e 10).Darò dunque conto dei soli fatti che il ri­corrente pone all'origine di detta responsabi­lità e al solo fine di stabilire se e in qualemisura la condotta della Commissionedebba ritenersi illecita e costituisca la causadei danni di cui Adams chiede il risarci­mento.

Conviene inoltre ricordare che il 31 gennaioe il Io febbraio di quest'anno si è tenuta da­vanti alla seconda sezione della Corte un'u­dienza istruttoria durante la quale, oltre adAdams, furono sentiti il signor Portmann,avvocato del ricorrente all'epoca del pro­cesso di Basilea, e alcuni funzionari dellaCommissione incaricati dell'inchiesta Roche.In quest'occasione, entrambe le parti chie­sero che la Corte accertasse anzitutto la re­sponsabilità della Commissione e l'eventualeprescrizione dell'azione promossa dal ricor­rente, lasciando semmai a una fase succes­siva la decisione sull'entità e sulla liquida­zione dei danni. Nell'esporre i fatti dellacausa, pertanto, terrò conto anche dei limitiche tale richiesta ci ha posto.

Un'ultima precisazione. In data 29 febbraio1984, il signor Adams ha depositato un se­condo ricorso (causa 53/84), diretto a farvalere la responsabilità extracontrattualedella Commissione per aver questa omessodi adire il comitato misto istituito dall'ac­cordo di libero scambio tra CEE e Confede­razione elvetica in merito ai provvedimenti

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presi nei suoi confronti dalle autorità sviz­zere. Poiché in detta domanda si lamentanogli stessi danni di cui si chiede il risarci­mento col ricorso 145/83, ne tratterò inquesta sede e precisamente nell'ultimo para­grafo delle conclusioni che vi presento.

2. Dando seguito alla lettera del 25 feb­braio 1973, il signor Schlieder, direttore ge­nerale della divisione « Concorrenza » dellaCommissione (in seguito « DG IV »), invitòStanley Adams ad incontrarsi con alcunisuoi funzionari per discutere le questioniche egli aveva sollevato. Nel corso di taleriunione, tenutasi a Bruxelles il 9 apriledello stesso anno, s'instaurò tra gli interlo­cutori un rapporto di franca collaborazione.Adams consegnò alcuni documenti dellaRoche che i funzionari ritennero di relativointeresse. Egli assicurò, tuttavia, di poternefornire altri, più probanti, e ciò fece ilgiorno successivo (10 aprile 1973) dopo es­sere rientrato a Basilea. Fra le molte carteche inviò figuravano quattordici circolariamministrative interne, denominate « Mana­gement Information Memoranda ». A questaspedizione ne seguirono altre due in data 15aprile e 21 luglio 1973, ricche di documentisull'attività commerciale della Roche, tra cuila fotocopia di una lettera che il presidente,signor Adolf Jann, aveva indirizzato ai diri­genti di tutte le filiali. Con la lettera del21 luglio, Adams fece inoltre sapere cheavrebbe lasciato la Roche alla fine dell'otto­bre 1973.

Da allora la Commissione sostiene di nonaver avuto più notizie da Adams, così per­dendone completamente le tracce. Il ricor­rente, per contro, fa presente che già nellasua prima lettera del 25 febbraio 1973 egliscrisse « di aver in programma di lasciare [lasocietà] (...) e di voler avviare una propriaproduzione industriale di carne vicino a

Roma, Italia ». Inoltre, nella sua deposi­zione davanti a questa Corte, egli ha affer­mato che in occasione della sua visita a Bru­xelles, il 9 aprile 1973, comunicò ai funzio­nari della DG IV, e in particolare al signorCarisi, la sua intenzione di stabilirsi con lafamiglia a Latina, una piccola città non lon­tana da Roma, dove appunto si ripromettevadi dar vita a un allevamento industriale disuini. Secondo il ricorrente, la Commissioneera dunque a conoscenza dei suoi progetti edel luogo in cui essi avrebbero dovuto rea­lizzarsi. Egli sostiene, infine, di aver avutoun colloquio telefonico con Carisi agli inizidel novembre 1973 — e perciò qualchegiorno dopo le dimissioni dalla Roche —nel corso del quale comunicò al funzionarioil numero telefonico della casa dei suoi suo­ceri in Italia, dove avrebbe trascorso qualchemese di vacanza prima di trasferirsi a La­tina. Questa circostanza non è stata confer­mata dai funzionari interrogati nell'udienzaistruttoria a cui peraltro il Carisi non ha po­tuto intervenire (vedasi più ampiamente subn. 7, in fine).

Allorché l'ultima lettera di Adams giunse aBruxelles, la Commissione aveva già intra­preso lo studio dei documenti da lui spediti,nella prospettiva, assai concreta, di aprireun'inchiesta a carico della Roche. Già datempo, infatti — e precisamente da quandoAdams aveva fornito le prime prove dellesue accuse —, i funzionari della DG IV sierano resi conto di aver tra le mani una fac­cenda scottante e delicatissima. Vennequindi deciso di procedere con molta pru­denza; in particolare, come riferisce il diret­tore della divisione, fu stabilito di non av­viare l'inchiesta presso le filiali Roche primache Adams avesse definitivamente lasciatol'impresa svizzera.

Dopo le sue dimissioni, per contro, ci si sa­rebbe potuti muovere con maggiore disin-

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voltura. Era infatti convinzione dei funzio­nari incaricati delle indagini che, cessato irapporto d'impiego tra la Roche e il suo di­pendente, proteggere l'identità di quest'ul­timo sarebbe stato meno necessario, soprat­tutto in vista della sua dichiarata disponibi­lità a confermare le proprie accuse « davantia qualunque tribunale ». Detto altrimenti)essi erano persuasi che, se per por fine allacondotta della Roche, fosse stato utile faraccertare da un organo giurisdizionale lafondatezza degli addebiti mossi nei suoiconfronti, la Commissione avrebbe potutocontare sulla testimonianza di Adams comeex responsabile di un settore commercialedell'impresa.

In base a tali considerazioni, la Commis­sione attese fino al 22 ottobre 1974, cioèquasi un anno dopo la partenza di Adams,per mettere in moto la sua inchiesta (in pre­cedenza si era svolta, e aveva dato frutti as­sai magri, solo un'indagine cosiddetta « pe­riferica » presso i clienti abituali della Ro­che). In quel giorno di autunno, dunque, trefunzionari della DG IV si recarono pressogli uffici della Roche a Parigi: il loro scopoera ottenere ufficialmente dal direttore diquella filiale i documenti che la Commis­sione possedeva da tempo all'insaputa del­l'impresa e su cui avrebbe poi fondato la de­cisione di infrazione (articolo 86 del trat­tato). Ogni tentativo risultò però vano. Aldirettore furono persino letti i brani più elo­quenti dei « Management Information Me­moranda »; inutilmente, tuttavia, perché eglipretese di non conoscerli. Non restava chemostrargli i documenti per ottenerne la di­chiarazione di autenticità: ma una decisionedel genere non aveva precedenti ed era

troppo rischiosa perché si potesse prenderlasu due piedi.

« Tornati a mani vuote — afferma nella suadeposizione un altro funzionario della DGIV, il signor Rihoux —, ci chiedemmo se sidovesse archiviare l'inchiesta nonostante leprove schiaccianti di cui eravamo in pos­sesso, oppure andare fino in fondo. Si decisedi valutare innanzitutto gli interessi ingiuoco, soppesando i dati che consigliavanoil loro perseguimento o che ad esso si oppo­nevano. Da un lato, emergeva l'interesse ge­nerale della Comunità, che impone allaCommissione di vigilare sull'applicazionedel trattato e in particolare dei principi san­citi negli articoli 85 e 86; dall'altro, potevaancora profilarsi, benché non più vincolanteper l'istituzione, un interesse dell'informa­tore a mantenere celata la propria identità.Contro l'esibizione dei documenti milita­vano il modo in cui questi erano giunti alBerlaymont e i segni di riconoscimento chevi apparivano. Stava però di fatto — diceancora Rihoux — che Adams non avevadato alcuna istruzione, nemmeno la piùvaga, su come la Commissione dovesse im­piegare le sue informazioni, né aveva chie­sto di essere tenuto al corrente del lorouso ». Come ho già detto, infine, i funzio­nari erano convinti che, una volta lasciataBasilea, « Adams non avesse alcuna partico­lare ragione di nascondere la sua identità »(cfr. la dichiarazione del signor Pappalardo,anch'egli responsabile dell'inchiesta). Contutto ciò, quando fu presa la decisione diesibire i documenti, gli ispettori della DGIV ebbero cura di scegliere quelli che, oltrea servire da prove per la decisione sanziona-toria, presentassero l'aspetto più anonimo, omeglio più neutro, come le circolari chesono distribuite in copia alle diverse filiali.Inoltre, si provvide ad eliminare dai rispet­tivi testi tutte le indicazioni che consentis­sero di risalire ad una specifica fonte.

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Prese queste precauzioni e messa a punto lastrategia da seguire, il 29 ottobre 1974 ifunzionari comunitari si presentarono con­temporaneamente ai direttori delle filialiRoche di Parigi e di Bruxelles sperando an­cora di persuaderli a estrarre dai loro ar­chivi le carte incriminate. Ma, poiché l'at­teggiamento dei due continuò ad essere elu­sivo o addirittura ostruzionistico, gli uominidella DG IV si risolsero a tirar fuori le 14note amministrative interne e la lettera delsignor Adolf Jann. Così posti di fronte all'e­videnza, i responsabili delle filiali, a cui fupermesso di fotocopiare i documenti, con­fermarono finalmente l'esistenza e l'autenti­cità di questi ultimi.

Poche settimane più tardi, e precisamente il18 dicembre 1974, l'avvocato Alder depositòin nome della Roche e presso le autoritàsvizzere di polizia una querela per viola­zione degli articoli 273 e 162 del codice pe­nale elvetico. La denuncia era indirizzataformalmente contro ignoti. Dopo aver espo­sto le circostanze relative alle visite dei fun­zionari presso le filiali di Parigi e di Bruxel­les e il contenuto dei documenti fotocopiatidai rispettivi direttori, l'avvocato Alder af­fermava infatti che « la società Hoffmann-La Roche ignora in quale modo la Commis­sione delle Comunità europee sia giunta inpossesso dei documenti riservati (...). Il col­loquio [avuto dal] sottoscritto con i signoriCarisi, Pappalardo e Rihoux l'8 novembre1974 a Bruxelles dà l'impressione che i fun­zionari della Comunità (...) abbiano otte­nuto i documenti in questione senza inizia­tiva da parte loro e che (...) conoscano coluiche li ha forniti. Non è stato tuttavia possi­bile sapere il momento in cui essi [li] hannoricevuti ».

Nel suo atto di accusa, dunque, la societàdichiarò che, sulla base del materiale in suopossesso e nonostante le indagini svolte al­l'interno del gruppo, essa non era in gradodi stabilire l'identità dell'informatore. A co­noscenza degli inquirenti, tuttavia, il suo le­gale portava una certezza ed un sospetto: laprima riguardava la provenienza dei docu­menti di cui la Commissione aveva ottenutole copie, tutti sicuramente redatti negli ufficidella sede centrale di Basilea. Il secondo siappuntava sul nome del presunto colpevole:Stanley Adams. Nell'atto di querela l'avvo­cato Alder giustificò questa congettura spie­gando che da qualche anno il comporta­mento di Adams aveva suscitato le critichedei suoi superiori, tanto che nell'estate del1973 la direzione della società gli aveva sug­gerito di dimettersi. Il fatto che egli avesselasciato la Roche in termini non propria­mente cordiali e certe deduzioni ricavabilidal confronto dei documenti originali con lecopie avute dalla Commissione « legittimano— concludeva Alder — il sospetto che ilsignor Adams sia l'autore dei fatti incrimi­nati ».

Il 31 dicembre 1974 il ricorrente fu arre­stato. Messo in libertà provvisoria il 21marzo 1975, egli riprese i contatti con laCommissione, rimasti interrotti da quasi unanno e mezzo, e nei primi giorni d'aprile in­contrò a Bruxelles i funzionari che avevanocondotto l'inchiesta contro La Roche. Comericonoscono le parti, l'atmosfera del collo­quio fu amichevole. Nell'esprimergli la lorosolidarietà, i funzionari promisero ad Adamsche la Commissione avrebbe pagato tutte lespese legali, compresa la cauzione versataper uscire dal carcere. Secondo il ricorrente,

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essi si impegnarono altresì a fornire consigligiuridici al signor Portmann, allora avvo­cato di Adams, per la preparazione della suadifesa. La convenuta conferma di avere ineffetti provveduto a pagare le spese diAdams e di averlo aiutato in vari modi, an­che dopo che le sue traversie giudiziarie eb­bero termine, ma nega di aver assunto l'ob­bligo di collaborare con i suoi legali.

Nel corso dell'incontro, si parlò inoltre de­gli avvenimenti più recenti. I funzionari vol­lero sapere da Adams i dettagli delle circo­stanze in cui aveva avuto luogo il suo arre­sto e, per parte loro, raccontarono quantoera successo a Bruxelles dopo la sua ultimavisita; in particolare, gli dissero dell'inchie­sta che avevano compiuto presso le filialidella Roche. A questo riguardo, anzi, ilsignor Pappalardo ricorda di aver riferito alricorrente che proprio in quell'occasione idirettori di Parigi e di Bruxelles ebbero co­pia di alcuni tra i documenti da lui forniti:« ne parlai — afferma il funzionario —come " di un'ipotesi [atta a] spiegare quelloche per [noi] era [ancora] inspiegabile e cioèl'identificazione e l'arresto " di Adams.Quest'ultimo — conclude Pappalardo —non sembrò peraltro colpito da tali rivela­zioni e non espresse alcuna critica all'ope­rato della Commissione ».

Su questa parte della conversazione i ricordidel ricorrente sono diversi; egli sostiene in­fatti di non aver mai chiesto ai funzionaripresenti come, a loro avviso, le autoritàsvizzere fossero venute in possesso dei do­cumenti incriminati. Al riguardo, però,giova rammentare che — come risulta dalverbale dell'interrogatorio a cui Adams fusottoposto durante il suo arresto — gli in­

quirenti svizzeri gli mostrarono alcuni docu­menti, precisando che essi erano stati conse­gnati dai funzionari della Commissione aidirettori delle filiali belga e francese. Il ri­corrente non contesta tale fatto, ma affermadi non avergli dato peso, ritenendo che essofosse un espediente usato dalla polizia sviz­zera per carpirgli una confessione. Tuttavia,dal verbale dell'interrogatorio risulta ancorache Adams riconobbe praticamente di averconsegnato alla Commissione i « Manage­ment Information Memoranda»: la cosa —egli ammise — è « del tutto possibile ».

Il 9 giugno 1976, la Commissione adottòuna decisione in cui constatava formalmenteche l'impresa Hoffmann-La Roche avevaabusato della sua posizione dominante sulmercato comunitario delle vitamine. Si con­cludeva così il primo « round » della vicendache due anni e mezzo più tardi avrebbemesso capo alla sentenza da cui ho preso lemosse.

3. Altri fatti di minore rilievo per il vostrogiudizio ebbero luogo dopo la prima visitadi Adams al Berlaymont; e qui li citeròsenza un ordine preciso. Nel suo atto intro­duttivo e nella memoria di replica, ad esem­pio, ¡I ricorrente riferisce di vari colloqui te­lefonici e di ulteriori incontri avuti coi fun­zionari comunitari, i primi in epoca prece­dente e successiva al suo congedo dalla Ro­che, i secondi dopo che fu dimesso dallecarceri svizzere. Egli menziona altresì alcuniepisodi avvenuti al momento del suo arresto,durante l'interrogatorio e nel corso della de­tenzione. Vengono inoltre descritti il ruolosvolto in questo periodo dalla Commissionee gli interventi che essa fece a favore diAdams. Il racconto del ricorrente contieneinfine una sezione dedicata al capitolo ita-

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liano della sua storia: esso — ricorderò —non fu molto più fortunato di quello sviz­zero, dal momento che gli ambiziosi pro­getti di Adams fallirono quasi sul nascere,essenzialmente per mancanza di fondi, edegli fu costretto a riparare in Gran Bretagnaper sfuggire alle conseguenze civili e penalidel tracollo a cui la sua impresa andò incon­tro.

La Commissione, dal canto suo, contestal'esattezza di certe deduzioni compiute daAdams e corregge la versione che egli dà dialcune circostanze. A suo avviso, in partico­lare, non è corretta l'affermazione del ricor­rente secondo cui, durante un colloquio te­lefonico avvenuto nei primi giorni del 1975tra l'avvocato Alder e il signor Schlieder,quest'ultimo confermò espressamente che adinformare la Commissione era stato StanleyAdams. Devo dire che su tale fatto, interve­nuto comunque quando già Adams avevaconfessato alla polizia svizzera di aver for­nito informazioni alla Commissione, e so­prattutto sul contenuto della conversazionetra Alder e Schlieder, non possediamo daticerti; né, com'è ovvio, la Corte può ritenersivincolata da quanto afferma al riguardo lasentenza del tribunale di Basilea. L'episodio,insomma, è troppo poco limpido per contri­buire al già difficile accertamento della re­sponsabilità su cui siete chiamati a pronun­ciarvi.

Ben diverso — diciamo pure paragonabile aquello dei fatti esposti sub n. 2 — è invece ilcontributo che al vostro compito apportal'incontro svoltosi a Bruxelles l'8 novembre1974, e cioè pochi giorni dopo la visita allefiliali della Roche, tra l'avvocato Alder e ifunzionari della DG IV. Di questo colloquio— durante il quale Alder pronunciò mi­nacce che i suoi interlocutori ritennero ricat­tatorie, ma sostanzialmente prive di base —mi occuperò a fondo sub n. 7. Qui basterà

dire che nel nostro procedimento esso èstato evocato per la prima volta dalla Com­missione in sede di comparsa di risposta.Nel ricorso di Adams, dunque, non ve n'ètraccia; egli lo fa invece valere nella replicacome circostanza che aggravò ulteriormenteil pregiudizio da lui subito.

4. Con ricorso in causa 145/83, il signorAdams chiede alla Corte di accertare che laCommissione delle Comunità europee: a)divulgando in più momenti la sua identitàcome informatore nell'inchiesta da essa con­dotta contro l'impresa Hoffmann-La Roche,ha violato l'obbligo del segreto professionalee ha così provocato il suo arresto, la sua de­tenzione e la sua condanna da parte delleautorità svizzere; b) è venuta meno all'ob­bligo di consigliare i suoi legali sulla possibi­lità di adire la Commissione europea dei di­ritti dell'uomo.

Per questi fatti e per queste omissioni eglichiede la condanna della Commissione al ri­sarcimento dei danni sofferti e al pagamentodelle spese di giudizio. L'istituzione conve­nuta, invece, conclude per il rigetto del ri­corso, in quanto infondato; rispetto al puntoa), essa eccepisce inoltre, ai sensi dell'arti­colo 43 protocollo sullo statuto della Corte,la prescrizione dell'azione promossa nei suoiconfronti.

5. Per quanto riguarda la violazione delsegreto professionale, il ricorrente sostieneche i rapporti da lui instaurati con la Com­missione ebbero fin dall'inizio il caratteredella confidenzialità. A dimostrarlo sareb­bero sia il testo della sua prima lettera, sia iltenore dei colloqui che egli ebbe coi funzio­nari della DG IV durante l'incontro del 9aprile 1973. Non fosse che per questo mo­tivo, la Commissione era obbligata a non ri-

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velare il suo nome. Tale obbligo, tuttavia,aveva anche una duplice base legale: da unlato, gli articoli 214 trattato CEE e 20 rego­lamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n.17; dall'altro, i princìpi che governano lamateria nei diritti degli Stati membri.

Quest'ultima affermazione è sicuramenteinesatta. Beneficiario dei divieti previsti daltrattato e dal regolamento, infatti, è l'im­prenditore inquisito e non il confidente.Quanto poi agli ordinamenti nazionali, ècerto che la loro analisi non permette dienucleare una comune disciplina della mate­ria; per di più, le regole che essi dettano intema di responsabilità dell'amministrazioneoffrono all'informatore scarse possibilità ditutela, specie quando l'azione amministra­tiva persegue precisi obiettivi d'interessepubblico. Naturalmente, la situazione è di­versa ove l'amministrazione assuma nei con­fronti dell'informatore l'esplicito impegno disalvaguardare il suo anonimato e di usare inmodo consequenziale le informazioni da luiricevute. Di tutto ciò Adams si rende conto;e, come abbiamo visto, è in primo luogo al­l'esistenza di un simile impegno che eglicerca di ancorare l'obbligo della Commis­sione.

Queste, però, sono solo schermaglie. Il ter­reno su cui tra le parti si accende lo scontroè diverso: ammesso che un obbligo comun­que fondato sussista, è possibile attribuirgliun dies ad quem, è lecito riconoscergli unadurata definita? Adams lo nega. A suo pa­rere, l'obbligo era continuo e assoluto: intali termini, infatti, lo profilava la lettera aBorschette; e in tali termini lo intese lastessa Commissione, come provano variaspetti del suo comportamento nel corsodell'intera vicenda.

La convenuta, per contro, sostiene che, dalmomento in cui Adams lasciò l'impiego, essanon era più vincolata da doveri di segre­tezza. A limitare in questo modo il suo im­pegno fu Adams medesimo scrivendo nellasua prima lettera che, una volta dimessosidalla Roche, egli non avrebbe esitato a testi­moniare davanti a qualunque tribunale.Com'è possibile deporre in giudizio — sichiede infatti la Commissione — se nondopo aver declinato le proprie generalità?Nel partire da Basilea, inoltre, il ricorrentenon si preoccupò neppure di lasciare allaDG IV il suo nuovo indirizzo; così dimo­strando una completa indifferenza per gliulteriori sviluppi dell'inchiesta e per la possi­bilità che il suo nome vi rimanesse coin­volto.

Come ho detto sub n. 2, Adams contestaquest'ultima affermazione e dichiara di avercomunicato al signor Carisi il recapito cheavrebbe avuto in Italia. Ma il suo argomentofondamentale è d'altro genere. La Commis­sione — egli afferma — mi ha frainteso.Quando scrissi « sono disposto a testimo­niare », non intendevo affatto porre un ter­mine al suo obbligo rinunciando a un anoni­mato che avevo insistentemente richiesto.Volevo invece dire che sarei stato pronto ascoprirmi — ma per mia decisione e su miainiziativa — una volta che l'inchiesta fosseterminata e la Corte investita di una contro­versia. Detto altrimenti, io solo avrei potutostabilire il modo e il tempo della mia pub­blica apparizione.

Due tesi diametralmente opposte, dunque. Ame sembra più persuasiva la seconda, ben­ché sia enunciata in termini forse troppo ri­gidi. Anch'essa, tuttavia, non ci porta molto

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lontano, se è vero che fino al 31 dicembre1974 — ossia fino all'inizio della catena dieventi pregiudizievoli per cui Adams chiedeil risarcimento — la convenuta non rivelòapertamente il nome del suo informatore.Propongo perciò di mettere tra parentesi ilproblema del termine e di concentrare l'in­dagine su altri aspetti dell'obbligo assuntodalla Commissione. Ma ciò suppone che laportata di quest'ultimo sia meglio cono­sciuta; e per conoscerla è anzitutto necessa­rio analizzare il documento — la lettera aBorschette — da cui l'obbligo fu posto inessere.

La prima parte della lettera, sappiamo, siapre con l'auspicio che la Commissione « in­traprenda una qualche azione » nei con­fronti della Roche, continua descrivendominutamente le pratiche anticoncorrenzialimesse in atto dall'impresa e termina con leseguenti parole: « in cooperazione con glialtri produttori di vitamine non confezio­nate, [la Roche] (...) ha eliminato la concor­renza leale; e (...) dove non [ha] potuto eli­minarla] (...) ha completamente distorto laconcorrenza ». Tutto ciò, afferma Adams, è« chiaro »; e intende dire sufficiente a garan­tire il buon esito dell' « azione » che eglipropone al suo interlocutore di esercitare.« Chiedo — egli aggiunge allora — di noncoinvolgere il mio nome nella faccenda.Tuttavia resto a (...) disposizione per ulte­riori informazioni e prove documentali rela­tive a ciascuno dei punti che ho sollevato(...). Inoltre sono pronto in ogni momento a[incontrare gli ispettori della DG IV] (...). Dipiù, dopo che avrò lasciato la Roche (...),sarò persino disposto ecc. ». In altre parole,il ricorrente era convinto di aver offerto ele­menti atti per sé soli a giustificare un'inizia­tiva contro la Roche; tuttavia — ecco ilsenso dell'avversativa — egli poteva avvalo­rarli in tre maniere: a) dando altre informa­zioni e/o documenti; b) discutendo coi fun­zionari della Comunità; e) testimoniando

sotto giuramento sull'esattezza dei dati dalui forniti. La scelta era lasciata alla Com­missione. « Confido — così infatti si chiudela lettera — che mi [si] faccia sapere (...) inquale modo potrò essere di ulteriore aiuto ».

Che cosa ricaviamo da tali frasi? Il ricor­rente — non v'è dubbio — impose al com­missario Borschette un vincolo di segretezzarispetto alla sua identità e cioè alla fontedelle accuse portate contro la Roche. Altret­tanto certo, tuttavia, è che detto vincolonon si estende fino ad includere il modo e ilmomento in cui usare le accuse. Per limitareo condizionare anche questi, infatti, Adamsavrebbe dovuto impartire alla Commissionele indispensabili istruzioni; ma egli non lofece. La invitò anzi ad aprir subito l'inchie­sta, pur lasciandole la facoltà di domandar­gli — e di sceglierne le forme — una piùintensa collaborazione. A stregua della let­tera, in definitiva, la convenuta poteva uti­lizzare quanto aveva appreso dal ricorrentecon piena discrezionalità. Purché non divul­gasse il suo nome, essa era libera di muo­versi nei termini che avrebbe ritenuto più ef­ficaci.

A questo quadro gli eventi successivi nonaggiungono e non tolgono nulla. Invitato aBruxelles per discutere delle sue accuse,Adams si presentò con alcuni documenti acui — sostiene — attribuì carattere riser­vato. Osservo, tuttavia, che essi furono giu­dicati di modesto interesse'e che nel reso­conto della riunione, redatto dal signor Ri-houx, non si fa parola della loro confiden­zialità. In ogni caso, sta di fatto che né inquell'occasione, né nelle tre lettere successi­vamente inviate, Adams raccomandò allaCommissione di utilizzare con particolare

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prudenza il materiale da lui fornito o di nonutilizzarlo affatto, per il rischio che il suocontenuto potesse rivelare la fonte. Nellasua deposizione davanti a questa Corte, in­fine, il ricorrente ha ammesso di non avermai precisato agli ispettori della DG IV chedei suoi documenti non si dovesse far usoall'esterno del Berlaymont.

Ciò detto, possiamo fare un passo avanti.Alla Commissione — io credo — Adamsnon dette istruzioni per la fiducia che avevanei funzionari comunitari, nella loro capa­cità di operare con efficacia, ma allo stessotempo in modo cauto e discreto. La cautela,la diligenza, se del caso la discrezione, sonoinfatti tra le regole fondamentali dell'attivitàamministrativa; e, benché libera di usare idocumenti confidatile come o quandoavesse ritenuto opportuno, la Commissionenon poteva ignorarle. Ecco il punto, allora:si può dire che la Commissione abbia rispet­tato quelle regole? I metodi da essa sceltiper ottenere dalla Roche le prove di cuiaveva bisogno e le misure prese nel metterliin pratica corrisposero al comportamentoche, in una situazione analoga, terrebbe unuomo ragionevole e responsabile o, comedicevano i romani, un « buon padre di fami­glia »?

Adams è convinto che tale corrispondenzanon esista. A suo avviso, l'esibizione dei« Management Information Memoranda » aidirettori delle filiali belga e francese fu unatto quanto meno incauto perché consentìalla Roche di stabilire che, con ogni verosi­miglianza, la fonte delle informazioni do­veva identificarsi in lui. Tutto all'opposto laCommissione. Oltre a non averle dato diret­tive — essa afferma — il ricorrente non laavvertì che, divulgando quei particolari do­

cumenti, si sarebbe corso il rischio di sco­prire la fonte. I funzionari incaricati dell'in­chiesta, d'altra parte, scelsero di esibire lecarte più « anonime » e si studiarono di ren­derle irriconoscibili eliminandone i segni attiad agevolare la ricerca dell'informatore. Sele loro precauzioni abbiano avuto successonessuno ovviamente può dire; ma è signifi­cativo che la querela della Roche giustifichii sospetti nei confronti di Adams in rela­zione ai suoi cattivi rapporti con i superiorie a circostanze riguardanti dati di cui laCommissione non venne mai in possesso.

Tra le tesi così riassunte io preferisco quelladella Commissione. Ricordo che il ricor­rente le aveva lasciato libertà di apprezzareil tempo e il modo in cui servirsi delle sueinformazioni. Essa se ne servì a un annodalle dimissioni di Adams e solo dopo che isuoi tentativi di procurarsi le prove, dap­prima presso i clienti della Roche, poi dagliarchivi delle filiali di Bruxelles e di Parigi, sierano risolti in un fallimento. Ora, unascelta del genere — cioè ragionevolmentetarda, concepita come extrema ratio e messain atto con le precauzioni che ho ricordato— deve ritenersi conforme alle regole dellaprudenza e della diligenza. Dalla convenuta,in altri termini, non si poteva pretendere piùdi quanto essa fece per tutelare l'anonimatodi Adams.

Concludendo su questo punto, ritengo chenel comportamento tenuto dalla Commis­sione durante le indagini a carico della Hoff-mann-La Roche non siano ravvisabili illecitisuscettibili di fondare, presenti le condizionidel danno e dell'esistenza di un nesso dicausalità, la responsabilità extracontrattualedell'istituzione convenuta.

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6. Pur difendendosi in primo luogo sulmerito del ricorso introdotto da Adams, laCommissione sostiene che l'azione promossadal ricorrente cade sotto gli strali dell'arti­colo 43 protocollo sullo statuto della Corte.Tale norma dispone che « le azioni controla Comunità in materia di responsabilitàextracontrattuale si prescrivono in cinqueanni a decorrere dal momento in cui avvieneil fatto che dà loro origine »; e la vostra piùrecente giurisprudenza ne ha chiarito unpunto cruciale stabilendo che il termine peragire « non può iniziare a decorrere primache sussistano tutte le condizioni a cui èsubordinato l'obbligo del risarcimento esoprattutto prima che si sia concretato ildanno da risarcire » (sentenza 27 gennaio1982, causa'51/81, De Franceschi/ Consi­glio e Commissione, Race. 1982, pag. 117).

La linea della convenuta è semplice. Dallaricostruzione cronologica dei fatti — essaafferma — emerge che il 1 ° luglio 1976, ecioè nel giorno della sentenza pronunziatadal tribunale di Basilea, le condizioni su cuiAdams fonda l'azione di responsabilitàerano sussistenti. Come ha riconosciuto lostesso ricorrente, gli atti e le omissioni da luiinvocati per provare la violazione del se­greto professionale ebbero luogo prima ditale data; altrettanto dicasi per i danni (arre­sto, detenzione) che ne derivarono e di cuiegli chiede appunto il risarcimento. In talesituazione, il termine per agire è stato am­piamente superato. La domanda del ricor­rente, infatti, è giunta alla cancelleria diquesta Corte solo il 18 luglio 1983; ossiaben al di là dei cinque anni previsti dall'arti­colo 43.

Adams respinge con forza l'eccezione cosìformulata. I suoi argomenti, tuttavia, si ri­ducono ad affermare che dell'illecito su cui

è fondata la responsabilità della Commis­sione egli ebbe conoscenza nell'agosto del1980. Solo allora, infatti, il suo nuovo avvo­cato ottenne dal tribunale di Basilea tutti gliatti processuali e, leggendoli, seppe che ifunzionari comunitari avevano mostrato aidirettori delle filiali Roche alcuni tra i docu­menti da lui ricevuti. Fino a quel momento— sostiene il ricorrente — tale circostanzagli era ignota. In effetti, egli non aveva maivisto i verbali del suo interrogatorio o il fa­scicolo del suo processo; e, anche se liavesse visti, non li avrebbe compresi essendoi medesimi redatti in una lingua — il tede­sco — che egli non conosce.

Che dire di questa tesi? Non v'è dubbio cheper il computo del termine stabilito dall'arti­colo 43 l'ignoranza sia da prendere in consi­derazione; essa non dovrà comunque risul­tare provocata dal soggetto che la invoca.Quest'ultimo, semmai, è tenuto a dimostraredi aver fatto tutto il possibile per conoscere ifatti che sono all'origine del pregiudizio sof­ferto. Ora, come ho ampiamente riferito subn. 2, Adams stesso riconosce che dell'esibi­zione dei documenti ai responsabili delle fi­liali egli fu, durante il suo interrogatorio, in­formato dagli inquirenti svizzeri. E vero cheil ricorrente dichiara di non aver allorapreso sul serio tale informazione. Ma, cosìargomentando, giunge a un risultato as­surdo: subordina cioè l'esercizio dell'azioneex articolo 215 non all'esistenza effettiva dicerti fatti — così l'illecito da cui deriva ildanno —, ma all'opinione che il danneg­giato si faccia sulla loro imputabilità ad uncerto soggetto.

Sono comunque convinto che dal suo nuovoavvocato Adams non apprese più di quantoda tempo sapesse. Osservo infatti che nellaquerela della Roche si afferma testualmente:

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« le copie (...) dei documenti (...) in possessodella Commissione (...) sono state fatte [dalpersonale delle filiali francese e belga] co»l'accordo dei funzionari (...) e [subito] inviate(...) a Basilea ». Ora, è certo che di talebrano — più significativo di ogn'altro per­ché mette in evidenza la volontarietà dellaconsegna effettuata dagli ispettori comuni­tari — il ricorrente ebbe conoscenza du­rante il suo interrogatorio, e precisamente il23 gennaio 1975; né, rispetto ad esso, eglipuò invocare la sua ignoranza del tedesco.Come risulta dai verbali, infatti, la querelafu tradotta dall'interprete man mano che ilcommissario di polizia poneva le domandeall'imputato; e gli stessi verbali furono fir­mati da Adams solo dopo che egli ne ebbeascoltato la traduzione.

Già agli inizi del 1975, in definitiva, Adamsconosceva nei dettagli i fatti che egli adducea sostegno della prima fra le domande in cuisi articola il suo ricorso. L'eccezione di pre­scrizione posta dalla convenuta è dunquefondata.

7. Non tutti i fatti evocati nel nostro giu­dizio e suscettibili di fondare la responsabi­lità della Commissione erano però noti al ri­corrente quando fu pronunciata la sentenzadi Basilea. In particolare, come ho riferitosub n. 3, egli dichiara di aver saputo del col­loquio svoltosi l'8 novembre 1974 tra l'avvo­cato Alder e i funzionari della Commissionesolo dalla memoria che quest'ultima ha pre­sentato in corso di causa. L'affermazionepotrebbe non essere del tutto esatta. Nellaquerela della Roche, infatti, Alder menzionatale incontro, precisando di averlo provo­cato per scoprire come la Commissionefosse venuta in possesso dei « ManagementInformation Memoranda » e della lettera di

Jann. Sul punto — egli aggiunge — i fun­zionari non gli dettero chiarimenti; mentre auna sua ulteriore domanda, intesa a stabilirese l'informatore fosse una persona estraneao interna alla società, si riservarono di ri­spondere in un momento successivo. Tutta­via — conclude Alder — in data 6 dicembre1974 il signor Pappalardo gli comunicò pertelefono che la Commissione non intendevarispondere neppure al secondo interrogativoe che non avrebbe più accettato di discuteresull'origine dei documenti.

Avendo avuto conoscenza della querela du­rante il suo interrogatorio, è dunque verosi­mile che Adams non ignorasse quest'episo­dio. Nella querela, peraltro, l'avvocato Al­der riferì solo una parte, e non la più in­teressante, del colloquio che ebbe coi fun­zionari. Si legga infatti la memoria dellaCommissione. Ai suoi interlocutori — vi siafferma — Alder comunicò l'intento dellaRoche di perseguire il confidente ricorrendoa una norma del codice penale elvetico chepunisce la divulgazione di informazionicommerciali segrete. Egli ventilò inoltre lapossibilità di chiamarli in giudizio come te­stimoni, perché il pubblico fosse informatodella leggerezza con cui la DG IV condu­ceva le proprie inchieste; promise infine che,se la Commissione avesse rivelato il nomedell'informatore, la Roche avrebbe rinun­ciato a ogni azione penale nei confronti dicostui e fornito agli ispettori tutti i docu­menti di cui avessero ancora bisogno. Perbocca del signor Pappalardo, la Commis­sione respinse tali proposte.

Questo, dunque, il contenuto integrale delcolloquio. Adams rimprovera alla Commis­sione di non averglielo comunicato a tempoe, in particolare, di non avergli fatto rilevarei gravi rischi che avrebbe corso se fosse rien-

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trato in Svizzera. La Commissione è così« venuta meno al dovere di diligenza » cheinerisce all'azione amministrativa e tale ina­dempimento ha « aggravato » il pregiudizioda lui sofferto per la « violazione del segretoprofessionale ».

Osservo che, avanzando l'argomento cosìriassunto, il ricorrente ha in realtà sollevatoun mezzo nuovo, sebbene anch'esso direttoa fondare la responsabilità della convenuta.Gli era lecito farlo? Com'è noto, secondol'articolo 42, paragrafo 2, del regolamentodi procedura la produzione di mezzi nuoviin corso di causa è possibile solo se essi sibasino su elementi di diritto o di fattoemersi per la prima volta durante la fasescritta; d'altro canto, la vostra costante giu­risprudenza precisa che, « per poter giustifi­care la deduzione di un mezzo nuovo incorso di causa », il fatto non deve « esistereo essere noto al ricorrente al momento dellapresentazione del ricorso » (cfr., da ultimo,sentenza 1 ° aprile 1982, causa 11/81, Dür-beck/Commissione, Racc. 1982, pag. 1251).Ora, nel nostro caso non v'è dubbio che talecondizione sussista. Come s'è visto, infatti,quando Adams introdusse il ricorso, le mi­nacce e le proposte di Alder erano cono­sciute solo da quest'ultimo e dalla Commis­sione. Il ricorrente non ne sapeva e non nepoteva sapere nulla.

Contro il nuovo addebito la Commissione sidifende affermando anzitutto di non avercreduto che, in base alle leggi svizzere, sipotesse perseguire penalmente una personaper aver fornito informazioni utili a far ces­sare un comportamento illegittimo. La mi­naccia d'intraprendere, un'iniziativa del ge­nere fu quindi interpretata dai funzionaricome un « bluff » tentato da Alder perstrappar loro il nome del confidente. Si ag­

giunga, da un lato, che Adams aveva datempo abbandonato la Svizzera né si eradetto intenzionato a tornarvi, dall'altro, che,non avendo egli lasciato recapiti, dargli no­tizie sarebbe stato impossibile. Nel corsodella procedura orale, infine, la convenutaha sostenuto che anche in questo caso l'a­zione del ricorrente è prescritta. Dal giornodel colloquio tra Alder e i funzionari e ladata di deposito del ricorso è infatti passatopiù di un quinquennio.

Dico subito che, se è vero quanto abbiamoappena osservato sul tempo in cui Adamsseppe del colloquio (o almeno della suaparte più importante), quest'ultima afferma­zione è inaccoglibile. Ma anche gli altri ar­gomenti della convenuta sono da respingere.

Vediamo perché. Proteggere l'informatoreserbandone l'anonimato non è un fine in sé,ma serve soprattutto a evitargli le possibilirappresaglie di chi è stato danneggiato dallesue confidenze. Ora, come si è visto ampia­mente sub n. 6, l'obbligo del segreto gra­vante sulla Commissione non cessò con lavisita degli ispettori comunitari alle filiali diParigi e di Bruxelles: la Commissione, dun­que, era tenuta a vigilare perché tale visitanon sortisse effetti diversi da quelli che l'a­vevano motivata e, in particolare, che nonavesse conseguenze negative per Adams. Maproprio conseguenze siffatte — una rappre­saglia in forma di azione penale con la pro­spettiva dell'arresto e della condanna —vennero minacciate da Alder nel corso di unincontro che fu esso stesso tra i risultati pro­dotti da quella visita. Che cosa possa dedur-sene è chiaro: la Commissione avrebbe do­vuto prendere tutte le misure necessarie, se­condo la normale diligenza, a impedire chequelle minacce diventassero realtà.

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Essa, invece, rimase inerte; e tale passivitànon è giustificabile. Quand'anche l'atteggia­mento dell'avvocato Alder potesse far pen­sare a un « bluff », la posta era tale da im­porre di « vedere » se le carte in sua manofossero davvero deboli. Per i giuristi delladirezione « Concorrenza » non doveva es­sere troppo arduo accertare l'esistenza 'dinorme contenute in un codice di cui labiblioteca comunitaria è certamente fornitae valutare la loro esatta portata medianteuna semplice ricerca di giurisprudenza. Ag­giungo che il contenuto delle dette normenon si distacca poi troppo da quello di varidisposti ancora presenti negli ordinamenti dialcuni Stati membri (ad esempio, l'articolo623 del codice penale italiano). Avesseropensato a tutto ciò e si fossero mossi in con­seguenza, quei giuristi sarebbero giunti allaconclusione che Alder aveva, sì, cercato diintimidirli, ma che era stato lungi dal « bluf­fare »; che possedeva anzi carte quanto maisolide.

Resta l'argomento dell'irreperibilità diAdams. Certo: io non nego che, dopo averlasciato il suo impiego, il ricorrente si sia di­sinteressato dell'inchiesta e sui suoi progettiitaliani abbia offerto indicazioni solo occa­sionali e notevolmente vaghe. Egli sostienetuttavia di avere, nel novembre del 1973, te­lefonato al signor Carisi dandogli il suo re­capito; e ciò proprio per consentire allaCommissione di rimanere in contatto conlui. Ora, che le cose siano andate in questomodo è molto verosimile. Come sappiamo,Carisi non è intervenuto all'udienza istrutto­ria; altri funzionari, e in particolare il signorSchlieder, ricordano tuttavia una telefonatadi Adams. Del suo contenuto non sannodirci nulla; ma, tenendo presente il mo­mento in cui fu fatta (i giorni successivi alcongedo dalla Roche) e il luogo da cui pro­venne (sicuramente l'Italia), non si vede ache cosa essa fosse diretta se non a comuni­care l'indirizzo del suo autore.

È pacifico in ogni caso che la Commissionenon tentò neppure di ricercare Adams puravendone tutto il tempo (non si dimentichi,infatti, che alla seconda domanda di Aider ilsignor Pappalardo rispose quasi un mesedopo il colloquio! ). Tanto basta, mi sem­bra, per concludere che la condotta dell'isti­tuzione non fu conforme all'ordinaria dili­genza; e che in essa è pertanto ravvisabileun illecito tale da generare responsabilitàextracontrattuale.

8. Sempre nel ricorso 145/83, Adams rim­provera alla convenuta una seconda omis­sione. Essa, cioè, non lo avrebbe informatosulla possibilità d'invocare a di lui difesa laconvenzione europea sui diritti dell'uomo,così violando l'obbligo, che aveva assuntovolontariamente, di assistere e di consigliarei suoi avvocati.

Ricordo che la Commissione nega di essersiimpegnata in tal senso e rilevo che il ricor­rente non ha fornito prove atte a smentirla.Deponendo davanti alla Corte, è vero, il si­gnor Portmann ha affermato di aver semprepotuto rivolgersi ai funzionari della DG IVper ottenerne informazioni utili allo svolgi­mento del suo mandato; ma nulla fa pensareche questi contatti, d'altronde occasionali, sisvolgessero nel quadro di un rapporto diconsulenza.

La censura è quindi priva di fondamento.

9. Con ricorso depositato il 29 febbraio1984 in causa 53/84, il ricorrente chiede che

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la Corte: a) condanni la Commissione delleComunità europee a risarcire i danni da luisubiti a séguito degli atti e delle omissioniche essa ha compiuto e che hanno provo­cato il suo arresto e la sua condanna daparte delle autorità svizzere; b) dichiari chela Commissione avrebbe dovuto portare aconoscenza del comitato misto istituito nelquadro dell'accordo di libero scambio con­cluso tra la CEE e la Confederazione elve­tica (1972) i provvedimenti presi nei suoiconfronti dalle autorità di questo paese econtrari alle regole di detto accordo; e) di­chiari che la Commissione dovrebbe notifi­care alla Svizzera la propria intenzione direcedere dall'accordo di libero scambio senon potrà convincerla, entro un termine ra­gionevole, a interpretare correttamente e arispettare le norme di diritto internazionalein esso contenute.

La Commissione solleva preliminarmenteun'eccezione di litispendenza; dal momento— essa afferma — che il nuovo ricorso sifonda sui fatti esposti nel ricorso 145/83 eriproduce sostanzialmente le domande diquesto, esso contrasta col principio del nebis in idem e deve pertanto considerarsi irri­cevibile. In ogni caso, essendo i danni cheAdams lamenta la conseguenza diretta o in­diretta del processo penale celebrato neisuoi confronti, gli atti e le omissioni su cuidovrebbe fondarsi la responsabilità dellaCommissione hanno avuto necessariamente

luogo prima che fosse pronunciata la rela­tiva sentenza di condanna ( 1 °luglio 1976);l'azione è dunque prescritta ai sensi dell'ar­ticolo 43 statuto della Corte. Nella sua do­manda, infine, il ricorrente non precisa: a)quale sia la regola di diritto che la Commis­sione avrebbe violato; b) in che cosa consi­sta il comportamento illecito dell'istituzione;e) in che modo tale comportamento gli ab­bia causato un danno. Detto altrimenti,prima ancora di essere infondata, la do­manda non risponde alle condizioni previstedall'articolo 215 del trattato.

Dal canto suo, Adams si limita a ribattereche i danni per cui sono stati introdotti idue ricorsi possono essere identici, ma chediversi — ed è quanto conta — sono imezzi sollevati nell'uno e nell'altro. La tesi èdiscutibile; approfondirla (come affrontare ilproblema relativo alla sussistenza delle con­dizioni stabilite dall'articolo 215) è tuttaviainutile perché non vi sono dubbi che almenoil secondo argomento della Commissionecolga nel segno. In effetti, se è vero che ipregiudizi lamentati nel ricorso in esamenon si differenziano da quelli per cui è statoproposto l'altro, il termine per agire comin­ciò, anche nei loro confronti, a decorreredalla data della sentenza di Basilea (vedasisupra, n. 6); né ovviamente rileva la circo­stanza che a provocarli sia stata in questocaso la mancata denuncia delle traversie diAdams al comitato misto CEE-Svizzera.

10. Sulla base dei fatti che è stato possibile accertare nel corso di questo giudizioe alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di:

a) dichiarare ricevibile il ricorso introdotto dal signor Stanley George Adams il18 luglio 1983 in causa 145/83 e, accogliendolo parzialmente, constatare laresponsabilità extracontrattuale della Commissione delle Comunità europee per

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ayer questa omesso di prendere misure intese a preavvertire il ricorrente delrischio che avrebbe corso se fosse rientrato in Svizzera ed avere così violatol'obbligo di normale diligenza a cui è sottoposta la sua azione amministrativa;

b) riservare l'accertamento dell'importo dei danni e la loro liquidazione a un suc­cessivo giudizio;

e) respingere per il resto il ricorso 145/83;

d) liquidare le spese della presente causa con la futura pronuncia sull'importo deidanni;

e) dichiarare irricevibile il ricorso presentato dal signor Adams il 29 febbraio 1984in causa 53/84 e, in base all'articolo 69, paragrafo 2, del regolamento di proce­dura, condannare il ricorrente alle spese.

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