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CO ARS M news s La carità nel pensiero e nell’opera di Giulio Salvadori: un aiuto per i nostri tempi di crisi Potente è la parola se l’alimenta il sangue: vive indarno chi vive per sé; ma chi, amando, al commesso lavoro dà la vita, in più vita risorge. Giulio Salvadori Poeta di Monte San Savino numero uno dicembre 2011

COMARS news · senso del nostro lavoro. A Monte San Savino occorre tenere gli occhi ben aperti perché può capitare la Grazia. La Grazia è come il vento prima di primavera, quando

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La carità nel pensiero e nell’opera di Giulio Salvadori:un aiuto per i nostri tempi di crisi

Potente è la parolase l’alimenta il sangue:vive indarnochi vive per sé;ma chi, amando,al commesso lavorodà la vita,in più vita risorge.

Consorzio Sociale

Giulio SalvadoriPoeta di Monte San Savino

num

ero

uno

dice

mbr

e 20

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Sommario

Editoriale: La carità in tempi di crisi 3

La legge 381 compie vent’anni 5

Michele: dalla filosofia alla terra 7

Scambiarsi poesie a Monte San Savino 9

Sonia - Matteo - Eleonora 12

La carità nel pensiero e nell’opera di Salvadori 15

5 x 1000 a servizio delle nostre opere 18

3

Edito

rial

e Che il nostro stare assieme divenga spunto per approfon-dirne le ragioni non è scontato. Ogni volta che ci rechiamo a Monte San Savino, e in questi ultimi tempi in maniera più sistematica per via di un progetto che racconteremo in questo numero, siamo riedificati (cioè rifatti) e consegnati al senso del nostro lavoro.A Monte San Savino occorre tenere gli occhi ben aperti perché può capitare la Grazia. La Grazia è come il vento prima di primavera, quando “abita già sotto la neve il prato e sussurrano i rami disadorni e c’è un vento tenero ed alato”.Tu lo sai che può capitare, ma non la puoi pretendere, devi soltanto attendere. Questa volta avviene attraverso volti gio-vani: Adriano me ne ha presentati tre, il futuro delle opere di Monte San Savino. Occorre essere visionari per vedere il futuro, ma io questo faccio di mestiere. Sono educatore e nipote di un maestro d’ascia: noi, nonno, vediamo gli scafi già varati, che veleggiano sotto un maestoso vento di ma-estrale portando in mare, sotto la linea di galleggiamento, l’opera viva, cioè quella che nessuno vede ma che consente alla barca di andare via sicura.Cercavo, anche questa volta, qualcosa del Salvadori che mi intriga sempre per quella figura ieratica, per quel suo volto ossuto e barbuto. Quando arriviamo nella notte alle Logge e ci accoglie il so-lerte direttore, il primo sguardo è a quel busto lì davanti che attende chi lo possa considerare. E’ un pezzo importante di Monte San Savino: una città infatti è i suoi uomini migliori.Il giorno dopo il mio ritorno a Chioggia vedo arrivare, man-dato da Gisella, un lavoro formidabile sulla carità in Giulio Salvadori di Marta Sciabolini e così la mia conoscenza fa un decisivo passo avanti.L’esergo che apre questo numero è una strofa di Giulio rife-rita da Marta.

Potente è la parolase l’alimenta il sangue:vive indarno chi vive per sé;ma chi, amando, al commesso lavorodà la vita, in più vita risorge.

La carità nel pensieroe nell’opera di Giulio Salvadori: un aiuto per i nostri tempi di crisi…

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Riecheggia in questa fulminante strofa di Giulio la lezione di Paul Claudel ne “L’annuncio a Maria”: Forse che fine della vita è vivere? Forse che i figli di Dio resteranno con fermi piedi su questa miserabile terra? Non vivere, ma morire, e non digrossar la croce ma salirvi e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna!E ancora Marta Sciabolini, cita la lezione di realismo di Giu-lio Salvadori: “Bisogna che arriviamo a veder le cose nella realtà; non da lontano, ma da vicino; non andando in carroz-za, ma a piedi; non attraverso le esaltazioni del sentimento e della fantasia, ma con la chiarezza di vista tranquilla che vede subito quello che c’è da fare; non movendo un mondo fra noi e il nostro dovere, mentre occorre solamente movere la nostra mano. Bisogna che dalla ragione della forza e della vanità dove camminiamo sui trampoli, discendiamo sui nostri piedi, in quella dell’amore.” E non appare un vero programma in questi tempi di crisi questa descrizione che dice il punto di partenza di ogni azione sociale, quella riforma dell’io che viene prima di ogni riforma del mondo?Ci siamo mossi non per ambizione di novità, ma svegliati dagli urti della realtà, che nell’ora presente non tarda a farsi sentire a chi dorme, come chi, dovendo andare in un paese lontano, svegliandosi, s’accorge che ha fatto tardi e che il treno sta per partire. Abbiamo sentito il bisogno di trovar-ci preparati all’avvenire: abbiamo interrogato noi stessi e abbiamo visto che eravamo in difetto tutti; che non potevamo dire, al paragone della luce che si faceva in noi, di essere veramente onesti, perché non facevamo veramente il nostro dovere; che non potevamo, se credenti, giustificarci con la nostra fede, perché non avevamo l’amore pronto al sacrifizio che dà la fede viva. Abbiamo sentito tutti il peso dell’egoismo che ci aggrava e ci umilia, la triste soma di vergogna e di dolore che portiamo con noi; e abbiamo ardentemente desi-derato d’esserne liberati, di avere il palpito del cuore libero e vivo, di poter partecipare ai dolori e alle gioie degli altri, di poter operare a loro vantaggio. Abbiamo insomma sentito il bisogno di combattere, prima di tutto in noi medesimi il male, e di fare il bene, cioè prima di tutto il nostro dovere. Non ab-biamo voluto riformare il mondo, abbiamo voluto riformare noi stessi.Il segreto delle nostre opere è questo cominciare sempre dall’io, da quest’opera viva mai finita su cui silenziosamente lavorare di maglio nella concretezza di gesti della nostra quo-tidiana costruzione (Marta ricorda il cappotto donato da Sal-vadori a un povero mentre sta andando a far lezione all’Uni-versità, o i vestiti regalati ai suoi studenti…) Concretezza di uomini che partono dall’unica riforma possibile, quella del proprio cuore, come ci sarà evidente anche nell’intervento ri-portato di Fabio Valocchia per il ventesimo anniversario della 380.Avanti così amici, dietro i santi che ci hanno preceduto. E’ questa, oggi, per noi, la stella di Natale. Piergiorgio

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Venerdì 4 novembre si è svol-to ad Arezzo, nel teatro della Bicchieraia, una convention per festeggiare i 20 anni dal-la nascita della Legge 381, la famosissima legge che rico-nosce giuridicamente le Coo-

perative Sociali, dal tito-lo: “I venti anni della Legge 381.Storia ef u t u r o

del-la coo-

peraziones o c i a l e ” .

L’ inv i to e r a

rivolto a tutti,

grandi e piccoli,

e sinceramente la risposta è stata più che positiva, con un’affluenza di pubblico no-tevole.Dopo il rituale saluto del sin-daco Fanfani e l’introduzione sul tema della giornata da par-

te del Vice Presidente della Provincia Mirella Ricci, è intervenuta la prof.ssa

Vera Zamagni dell’Universi-tà di Bologna, che ha illustrato perfettamente gli albori delle Cooperative e lo sviluppo che le stesse hanno avuto nel tem-po, e successivamente la dott.ssa Laura Bongiovanni, presi-dente dell’associazione Isnet, che ha mostrato dati statistici significativi riguardanti la Co-operazione Sociale ad Arezzo in questi tempi di crisi. Non potevano di certo mancare all’appello due figure “sto-riche” della Cooperazione Sociale aretina: la Presidente

della Cooperativa sociale Koinè Grazia Faltoni e

il Vice Presidente del Consorzio Coob Fabio Valocchia.L’incontro si è rive-

lato una grande oc-casione per capire come

muoversi e in che modo af-

frontare la crisi

La Legge compie vent’anni381di Matteo Valocchia

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economica che sta affliggendo il nostro Paese. Grazia, rappre-sentante di una Cooperativa di tipo A, ha illustrato le difficol-tà che il mondo cooperativo si trova ad affrontare tutti i giorni a causa della burocra-zia sottolineando il fatto che è oramai molto tempo che si parla di riduzione ed elimina-zione dell’iter amministrativo ma mai è stato fatto realmente qualcosa di utile in questa di-rezione.Prendendo spunto dalla di-chiarazione di Grazia, la pa-rola è passata a Fabio, il quale inizialmente si è anche lui sof-fermato sul problema della bu-rocrazia e sul continuo ritardo nei pagamenti che la Pubblica amministrazione accumula nei

confronti del privato. Mi ha particolarmente colpito una parte del suo intervento, quan-do ad un certo punto pone la domanda. “come comportarsi di fronte alla crisi? Accusan-do, maledicendo e imprecando contro i responsabili della crisi o rimboccarsi le maniche per venirne fuori?È essenziale il modo in cui ci si pone di fronte a questa si-tuazione: il fatto di lamentarsi e basta non porterà mai niente di buono e costruttivo. Se in-vece guardiamo la realtà con occhi positivi, cerchiamo il bello anche nelle situazioni più difficili, com’è senza dubbio quella che noi stiamo attraver-sando, tutto cambia. Questo corrisponde un po’ anche alla

mission della cooperativa so-ciale di tipo B: chi lavora in questo settore sa che è difficile riuscire trovare lavoro a sog-getti svantaggiati, figuriamoci in un momento come questo! Questo però non può e non deve fermare l’obbiettivo dei cooperatori, bensì deve dare un’ulteriore spinta e grinta af-finchè possa essere realizzata la missione della cooperativa e il desiderio della persona.”È proprio da qui che uno deve ripartire: dall’io della persona che gioca sicuramente un ruo-lo fondamentale in questo. Si tratta di mettersi in discussione e rischiare la faccia per cer-care di appagare quella sete di felicità tua e delle persone che ti stanno accanto.

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A che serve la filosofia? E a che serve la musica? Quella che s’è fatta da ragazzi con i propri amici fino ad arriva-re alla band, la mitica band, luogo artistico e covo di emo-zioni, atomica di psiche. Lui è un filosofo sputato come si dice, uno che non si guarda allo specchio la mattina, uno socraticamente bello, che sa di non sapere, ma cerca tena-cemente il senso di quello che fa tra musica e filosofia. Uno che non studia per accade-mia ma perché deve servire a qualcosa e per questo è capa-ce di litigare con Parmenide, mica l’ultimo venuto...Michele mi racconta la sua crisi con la filosofia, finché incontra un filosofo giusto. Trattasi di un certo Emma-nuel Mounier autore di una frase che appare nella vita del nostro Michele in un vo-lantone di Natale di qualche anno fa: “È dalla terra, dalla solidità, che deriva necessa-riamente un parto pieno di

gioia [...] e il sentimento pa-ziente dell’opera che cresce, delle tappe che si susseguo-no, aspettate quasi con cal-ma, con sicurezza. Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne” In quel momento preciso la terra di Michele era Roma, i suoi studi, l’incontro con Francesca di Urbino, la sua tesi: un percorso di storia del-la pedagogia che passa attra-verso il lavoro di MacIntyre su Newmann. “Non ne potevo più di studiare, la conoscen-

za pensavo doveva essere un piacere e la tesi lo era...” Poi si ritorna a casa, alla vecchia buona musica e si costruisce un luogo, uno studio-capan-none. E’ una ricerca preziosa, in macchina mi fa sentire un suo pezzo mentre viaggiamo e… caspita che sound! mi di-cono le mie educatrici che di questa musica si intendono più di me. In mezzo a questa incertezza, in questo procedere per pro-ve e passioni a Michele arri-va una e-mail di Adriano che cerca un educatore.

Michele:dallafilosofiaallaterra...

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Qui vien da ridere perché di queste storie nelle nostre ope-re se ne incontrano a decine: è il metodo con cui sempre sia-mo scelti noi, non i migliori ma i più piccoli e i più dispo-nibili a lasciarsi fare, come il piccolo Davide che pascolava il gregge... Così Michele comincia e va bene così come è. Comincia a San Martino dove trova tracce di storia presente: Rolando e Marna custodisco-no un volto che lo richiama. “A partire dal primo giugno, anche se non capivo quale fosse la mia mansione speci-fica. Arrivo ad anno scolastico finito, frequento la mattina lì da loro, faccio un po’ di spe-se e di giochi. Ma comincio a misurarmi con la realtà: pri-mum vivere deinde filosofa-

re. E capisco che cosa signi-fica che é dalla terra, cioé da come uno si muove di fronte a questi piccoli, bisognosi di tutto, nella loro ricerca di af-fetto che richiede una risposta semplice a problemi semplici: “M’hanno rotto un gioco, mi hanno offeso...”. All’inizio io facevo paura ai bambini, mi dice Michele stupito lui stesso di come sia cambiata in così poco tempo la considerazione dei piccoli su di sé. E’ dalla terra… cioè dall’espe-rienza vissuta, che vengono le risposte. Noi possiamo solo stare con i piedi ben piantati.

Non è così, Michele?

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“Quanto più una persona é potente, come certezza di coscienza, tanto più il suo sguardo, anche nel modo piú abituale di andare per stra-da, abbraccia tutto, e non gli scappa niente. Vede anche la foglia gialla in mezzo alla pianta verde....” Luigi Giussani

A r r i v i a m o nella val di Chiana nottetem-po dopo aver superato le bru-me del Polesine, il porto delle nebbie dove é iniziato il no-stro viaggio. Ci aspettano due giornate di lavoro, incontri con maestre educatrici e alcu-ni giovani di questa realtà che ormai ci sta diventando fami-liare. Viaggiamo in quattro: Silvia, Mara, Valentina e il

sottoscritto.E deve esserci un buon moti-vo se viaggiamo nottetempo dal Po agli Appennini.Il giorno dopo, di buon mat-tino, la nostra équipe dovrà essere presente nelle scuole elementari per effettuare alcu-ni test sui ragazzi e restituire il risultato alle maestre.

Mentre l’équipe fa questo la-voro, io parlerò con alcuni giovani che Adriano mi vuol presentare. E’ un momento particolare per questa realtà, il tempo di un passaggio anche fisico verso la nuova grande sede costruita ex novo. Si la-sceranno gli uffici della sto-rica sede, in parte sotto terra

di Monte San Savino in cui i telefonini non prendono e per questo sono lasciati tutti in esposizione su una sedia sotto una magica finestra. E’ un lavoro addolcito dalle colline di questa terra be-nedetta da Dio:

mi reco ad Alberoro di buon mattino pensando che quel nome sa di alba e di oro, e mi ci perdo, finalmente volen-dolo, senza ascoltare il navi-gatore che non comprende la mia voglia di spaesaemento. Qui è proprio giusto perdersi, spaesarsi per cercare terre più

Scambiarsi poesiea Monte San Savino.

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pettinate, declivi più dolci, albe-ri più maestosi e solitari.A sera c’è un tavolo di lavoro di donne. Io mi metto ad osservare in un angolo e vedo che cosa vuol dire maternità: questa attenzione alle piccole cose, ai minuti pro-gressi dei bambini con una ca-pacità di immedesimazione che mi commuove (da noi si parla di madresia che è intraducibile). Ammiro la professionalità della Dottoressa Mara Gazzi, sbircio le sue schede di lavoro e ci trovo un’azione di rinforzo per i mo-vimenti della bocca e della lin-gua, le piccole azioni quotidiane considerate nel loro svolgersi. Ma quanta fede si deve avere per dedicarsi a queste minuzie, per non perdere la speranza che qualcosa cambi. Che cosa so-stiene la speranza di questo ta-volo di donne? Mara è il punto da guardare: lei, così schiva e riservata nelle relazioni, diventa un fiume in piena nel suo lavoro e ci costringe a guardare il parti-colare, a partire dal modo in cui ci si toglie una maglia miman-doci con tenerezza tutte le pic-cole grandi acquisizioni che un bambino in difficoltà può com-piere. Silvia contrappunta con la sua esperienza, Grazia riprende e precisa, Valentina guarda stu-pita, Cinzia aggancia alla sua esperienza e io mi godo questo presepe di donne di cui sono so-lamente spettatore stupito. Intanto sbircio tra le mille cose di Bandallegra e l’occhio mi corre su una poesia di autunno. Se c’è una cosa che mi piace sono le poesie sul tempo che ci ridanno sempre il passo giusto sulla nostra vita e me ne porto via una che parla di foglie che cadono sì che la chioma dell’al-bero è tutta a terra e le radici in cielo. Mi pare abbia a che fare con noi e mi fa venire alla mente

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un’altra formidabile poesia di autunno che scrivo su un fo-glio. Così io porterò a casa la poesia di Monte San Savino e a Monte San Savino rimarrà Rilke. La sera ceniamo con Cinzia e famiglia Zanon a Bandal-legra e facciamo matte risate sul tema del lupo da portare sull’altra riva senza che man-gi l’agnello e quest’ultimo mangi il cavolo. Il piccolo Michele fa infinite variazio-ni sul tema fino a prospettare l’intervento di uno psicologo dei lupi. Nessuno ci aveva an-cora pensato!Il giorno dopo si va a mangia-re nella casa di riposo presso il centro diurno per disabili. Lì c’è solo da guardare Cristina per come si rapporta con que-sta umanità: è la personaliz-zazione del rapporto, quello che fior di psicologi vorreb-bero insegnare negli infiniti corsi di formazione. É la tra-sfigurazione della realtà per cui proprio questo gruppo di persone può recitare Shake-speare o può produrre quadri che farebbero furore in una realtà di mare come la nostra. Non so trattenermi dall’acqui-starne uno fatto con pezzi di legno vecchio, del tulle azzur-ro mare e un pezzo di vecchia botte. Invito Cristina a venirci a trovare anche con qualcu-no dei suoi collaboratori per vedere il nostro ambiente re-cettivo e la possibilità di una visita nella vicina Venezia. Occorre vedere più in là, da noi si dices stravedamento, cioè quando l’aria è così fina che uno viaggia con lo sguar-do oltre i limiti fisici. Occorre vedere in quegli “objets trou-vés” ciò che dà valore al qua-dro e lo rende unico.

Noi tutti siamo objets trouvés, oggetti trovati, la nostra forza è proprio questa unicità che ci rende irripetibili agli occhi del Padre. A pranzo conosco Alessio un giovane non ve-dente e apprezzo Stefano che con molta semplicità lo affian-ca dando il giusto aiuto, né più né meno di quanto deve essere dato perché Alessio possa re-lazionarsi, crescere. Si tratta di un’intelligenza degli atti che sono per la persona, per il suo sviluppo possibile.Perché è sempre la crescita l’obiettivo, qualsiasi circo-stanza, situazione, patologia ci si pari davanti. Lo capisco meglio nel racconto che Ste-fano mi fa di un recente fatto doloroso accaduto nella strut-tura psichiatrica che dirige. E’ morta una loro assistita, con la cui famiglia c’era sempre stata un po’ di conflitto. Si sa come sono queste famiglie, talora sono in una posizione di pretesa nei confronti delle strutture ospitanti, talora vor-rebbero sostituirsi ad esse e magari perpetuare una sorta di dipendenza nei confronti dei congiunti, il padre, l’indoma-ni della morte della figliola, ha voluto ringraziare Stefano donando una televisione e di-cendo parole che mai ci si sa-rebbe aspettati. Penso proprio che questo sia il metodo di quell’opera che è la vita:acuire la vista, abbracciare tut-to senza farsi scappare niente, scorgere la foglia gialla in mezzo alla pianta verde…Ci siamo scambiati poesie a Monte San Savino.

Alberi d’autunno Quante foglie son caduteLa notte scorsa!Pare che gli alberi Si siano girati sottosopra.E abbiano adessoLa chioma in terraE le radici in cielo. J.R. Jimenez

AutunnoCadon le foglieCadon da lungi Come fioccandoda remote selveChe avvizziscan nei cieliEd è nell’atto quasiuna volontà di annientamento.Lungo le notti la terra pesante cade dagli astri nella soltitudine.Tutti cadiamo,questa mano cadeGuardati intornoe tutto intorno cade. Ma uno Spirito c’è che questo immenso universo cadere dentro le manicon insonne pietà regge ed eterna. R.M.Rilke

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Sonia ha grande passione educativa e viene da Cortona. Per me Cortona è il trionfo dello Spirito con il Beato An-gelico, le mura etrusche, i sapori che prendono il meglio dalla val di Chiana e da quella del Tevere. Sonia da Corto-na viene qui ogni giorno, per provare ad incastrare le persone come piccoli pez-zi di puzzle che costruiscono il grande mosaico della vita di Monte San Savi-no e dintorni. E sceglie i pezzi con cura perché debbono colorare i rapporti, debbono reggere il bisogno, che è tan-to, di chi è solo, piagato, demente. “Si potrebbe pensare che un amministrati-vo si occupi di carte, ma le carte qui da noi dicono rapporto, relazione”. E così Sonia è attenta alle carte, cioè alle per-sone, ed ha imparato ad abbracciare a valorizzare ciò che incontra. “Del resto è un ambito in cui sei in rapporto con amici, una telefonata a Palmieri e ti ri-solve il problema”.Sonia è preoccupata per l’oggi, per

questi ragazzi che crescono: Chiara la sua figliola più giovane ha 14 anni ed è aperta alla vita, desiderosa di anda-re ad Arezzo, cercare, trovare amicizie, ama la pallavolo, ama le lingue perché si sente cittadina del mondo. E noi geni-tori sappiamo, vorremmo avessero una vita grande e bella, ma allo stesso tem-po sappiamo che il mondo è là dove sei stato posto, il mondo è davvero nei tuoi occhi. E quel senso di vuoto che attra-versa la realtà può essere colmato an-dando dentro i fatti, nella testimonian-za di una positività. Un adulto sa dove riposa la certezza della sua giornata, della sua vita. E i figli, anche quando non sembra, ci guardano. Ci guardano sempre. E possono accorgersi che nel sì quotidiano, che somiglia a quello di della giovane quattordicenne ritratta dal Beato Angelico, è il Mistero di tutta la vita. Occorre cercare, magari a Cor-tona, sotto la stufa di casa tua...

Sonia

Sonia da Cortona

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“Somiglio a mio padre: stu-diare no, lavorare sì”.A Matteo piacciono i rappor-ti umani, incontrare gente, i lavoratori nei vari cantieri, condividere i problemi, occu-parsi di ciò che manca. Deve stare molto attento ai vari progetti, si occupa delle cer-tificazioni e di tante altre cose

all’ombra di Adriano con cui occupa un grande tavolo su cui triangola problemi. Si tratta di persone, talora svan-taggiate che assicu-rano spazzamenti di strade, pulizie, cuci-ne, lavanderie, Una dozzina di cantieri sparsi tra cui viag-giare incessante-mente. E’ giovanis-simo Matteo, 20 anni di sogni, ma deve aver passato già qualche anno per i cantieri a spazzare strade a Camucia, a pulire le scuole di Monte San Savino. Si sen-te fin in fondo

un operaio, uno di loro, as-solutamente alla pari. Ha un senso di solidarietà e vuol fare sentire ai suoi com-pagni di lavoro che non sono soli, che hanno la società ac-canto, che sono seguiti, volu-ti bene. Gli piace andarli a vedere sul campo, appianare problemi di gente che talora ha alle spalle storie difficili di esclusione sociale…

“Di questo lavoro, di questi problemi, di queste coopera-tive ho sentito parlare fin da piccolo, e nelle cooperative c’è tutta gente che mi può in-segnare, ed io voglio essere amico di tutti . Di Adriano mi piace la grinta, è per me un insegnamento sul campo, basta guardare e si impara come stare, cosa fare”.Matteo ha una grande fede juventina, ereditata anche quella dal suo babbo e coltiva un sogno, fare il procuratore sportivo di calcio. Vorrebbe iscriversi ad un corso e im-parare a scovare e proporre talenti di quello sport forte come una fede.“Qui per me non è di meno, ma questa è una creatura dei miei. Ed io vorrei provare a fare qualcosa di mio”. C’è in Matteo questo desiderio giusto di differenziazione, come la voglia di trovare la sua strada davvero, magari su percorsi diversi da quel-li familiari. E’ giusto questo desiderio di dire io, di met-tersi alla prova anche su al-tro, questa creatività che ti fa cercare altrove. Perché comunque anche quello che hai avuto devi riconquistar-telo. Insomma Matteo cerca la sua libertà di uomo ed ha trovato gente che scommette sulla sua libertà, ma intanto per non fargli perdere tempo lo aiutano a guardare dei ma-estri e continuare a sognare. Matteo non rinunciare al tuo sogno!

il sogno dei vent’anni.

Matteo

Matteo

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Eleonora è una delle giovani che lavorano in Comars. Mi dice subito che lei non frequenta i cantieri, i centri diurni, insomma lei è una contabile pura, un animale d’ufficio. Ma io vi assicuro che gli uffici di Comars sono cantieri aperti e anche se Eleonora non ha i rappor-ti che hanno Luisa e Gisella, ha lo sguardo aperto ed interrogante di una che vuol impara-re al più presto il segreto dei rapporti. Intanto si allena con il piccolo Tommaso che porta al nido prima di venire al lavoro perché lei ha il privilegio di abitare qui vicino. Subito dopo gli studi di ragioneria lei si è inserita qui: ”Posto vicino a casa, stabile, una gran fortuna insom-ma che tento di meritare quotidianamente, con persone più grandi che ti trattano bene…” Dopo la scuola ebbe un rapporto lavorativo con uno studio commerciale e lì ha imparato molto. Poi si è affidata a Gisella e il suo ap-prendimento continua giorno per giorno. E si sa come è la contabilità, c’è sempre qualcosa che emerge e che merita attenzione: un parti-

colare, un accento, non si è mai tranquilli.Lei è nata lo stesso giorno di Adriano e si considera bella tosta come lui. Avverte il diso-rientamento presente soprattutto per le nuove generazioni. Talora guarda il suo Tommaso e non le par vero sia già così grande. Ama leg-gere e cita i libri di D’Avenia che le racconta-no una prospettiva di speranza.C’è una possibilità di educare il proprio cuo-re e quindi quello delle nuove generazioni, a partire da quel qualcosa di nuovo che inizia oggi, da subito: alle una, alle dodici, alle sei, alle dieci nella coscienza del Mistero presente. Anche nel tuo ufficio così vicino a casa e alla scuola di Tommaso.

Eleonora

Eleonor

a

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La caritànel pensiero e nell’opera di

GiulioSalvadori

di Marta Sciabolini

1.Carità, amore puro senza ritornoLa prima domanda che a me è sorta appena mi sono trovata a preparare questo incontro è stata: noi, oggi, che cosa intendiamo per carità? O meglio, che cosa è effettivamente la carità? Perché non può essere un valore che cambia di significato di volta in volta, a seconda di chi ne parla, a seconda delle epoche, dei costumi e della società; la carità cristiana è una ed è sempre la stessa che si tratti dell’Ottocento o del Duemila.La carità è un termine, soprattutto per noi che viviamo la realtà della Chiesa, abbastanza conosciuto e utilizzato. Eppure io ho subito avvertito, e leggendo poi Giulio Salvadori questo primo avvertimento è andato accrescendosi, come una grande ignoranza in me su cosa effettivamente significasse. Comunemente,

e credo che questo topos interpretativo sia vero per tutti, per carità intendiamo il fare del bene all’altro o al povero in maniera più specifica; cioè carità come donare qualcosa all’altro per renderlo più felice. Questo concetto abbastanza banale non è sbagliato, ma non è esauriente. Scrive lo stesso Salvadori in un saggio su San Francesco che poi andremo a leggere più compiutamente nel corso dell’incontro:

Comunemente per carità s’intende elemosina, e nulla si può dare quando nulla si ha. Ora questo è un grande errore: non perché l’elemosina non possa essere atto di carità; ma perché la carità non si manifesta solo con l’elemosina, e l’elemosina stessa non è solo di beni materiali.

Andiamo quindi a guardare la parola carità nella sua valenza filologica. Se si guarda in un qualsiasi dizionario di latino, al lemma caritas, caritatis si

legge un primo significato che è carestia, quindi la mancanza di una certa cosa che pertanto implica il bisogno di ricevere qualcosa da un altro che supplisca a questa mancanza; è implicito pertanto il concetto di donazione. Come secondo significato troviamo invece stima, affetto, amore, dove questo concetto rimanda all’etimologia della parola carità.Il termine carità deriva infatti dal greco charis che significa gratis, gratuito; pertanto, come spiega Giussani nel capitolo sulla Carità in Si può vivere così?, «la carità implica l’assenza di ragioni, cioè di tornaconto, di calcolo, di proporzionalità ad attese: un ritorno insomma.». E ancora: «La carità abolisce totalmente, totalmente nel senso assoluto del termine, ogni ritorno. Vale a dire: la carità agisce per puro amore, solo per amore». Vi chiedo di ricordarvi bene questo concetto di «puro amore» e di amore senza ritorno.Addentriamoci allora nella vita di Salvadori guardando

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al motivo della carità come adesso abbiamo detto. Immagino che tutti qui conosciamo, magari per somme linee, la vita del nostro poeta caratterizzata da un’infanzia vissuta nel nostro paese all’insegna della fede, quindi di una giovinezza trascorsa principalmente a Roma, patria in quel periodo, siamo negli ultimi anni dell’Ottocento, della novità culturale della società attuale, dove Giulio abbandona la fede per abbracciare la corrente che gira attorno alla rivista della Cronaca Bizantina del Sommaruga, dove il motto programmatico è quello di «porre tutto in discussione a cominciare da Dio, tranne che Giosuè Carducci» e quindi le varie peregrinazioni in qualità di docente tra le varie città italiane con una novità nel cuore: il ritorno alla fede.Mi preme soffermarmi su un anno cruciale nella vita del Salvadori, ovvero il 1885, anno in cui in una lettera al Fogazzaro Giulio annuncia di essere «ritornato cristiano».Cosa era accaduto quell’anno lì? Giulio si trovava ad insegnare, dall’anno precedente alla lettera citata, Letteratura italiana presso il Liceo classico di Ascoli Piceno. Giulio ha 22 anni ed è ancora intriso della realtà mondana delle amicizie romane e del positivismo ideologico della Cronaca Bizantina, ma ecco che accade un fatto che lo stravolge a tal punto da fargli cambiare vita: si innamora.Breve appunto: questa è la grandezza di Cristo, cioè il fatto che ti prende con degli avvenimenti ben precisi, non attraverso apparizioni mistiche o frasi dal cielo, ma con dei fatti concreti. A me questo fatto che il Mistero ti afferra in quanto Presenza

reale, tangibile nel quotidiano, affascina sempre molto.Insomma Salvadori si innamora, ma è un amore impossibile. Infatti Amalia Gallo, la donna amata, è una giovanissima donna di 24 anni sposata e con tre figli; mentre leggevo questo episodio pensavo «Che sfortuna! Proprio di lei doveva innamorarsi?», ma sarebbe un’esclamazione errata poiché proprio da una circostanza così difficile passa la conversione di Giulio e quindi il suo destino di bene.Questa condizione di moglie e di madre della Gallo fa capire a Salvadori che deve attuarsi una mortificazione in lui di questo impulso verso di lei, scriverà infatti nel 1921 a Mario Barberis:

Sentii che delitto è turbare una famiglia, portarci il disordine ed il dissolvimento e il principio della rovina nei figli…Sentii che io da me non avevo la forza di fare quello che la mia coscienza voleva che facessi, o di non fare quello che voleva che non facessi. E allora chiesi la forza a Lui che solo me la poteva dare e l’ebbi. Avevo la spada per troncare e troncai, non ostante che il mio cuore sanguinasse, non ostante che mi spezzassi la carriera, perché troncare voleva dire allontanarsi e allontanarsi voleva dire questo.

Non poteva essere uno sforzo meramente umano quello di allontanare l’impulso verso di lei, altrimenti non ce l’avrebbe fatta, l’uomo è fragile, da solo non ce la fa, aveva bisogno di una svolta e grida a Dio, come scrive

Nello Vian, uno dei maggiori studiosi del Salvadori nonché allievo del poeta: «Quanto risulta è che il superamento della passione ebbe carattere di intima violenza, egli sentì angosciosamente che le ragioni umane di resistere alla passione non bastavano e gettò il suo grido a Dio» e Dio rispose mutando l’atteggiamento di Salvadori verso Amalia. Non è che fece in modo che lui smettesse di amarla, ma fece sì che lui potesse guardarla in un modo diverso, più vero.Salvadori dedica a questa giovane tre sonetti raccolti in una triade intitolata Occhi lucenti, il fatto che Giulio si dedicasse alla poesia è indice della grandezza di questo uomo: cos’è infatti il poeta se non una persona che vede le stesse cose che vedi tu, ma che ha la capacità di osservarle con uno sguardo diverso, cioè le guarda di più? Come ricorda Fanfani in uno scritto commemorativo, citando le parole del Nostro stesso:

Il poeta non è un sognatore. Il poeta è un essere vivente che si immette con la sua poesia nella vita, per riscaldarla con la propria presenza.

Insomma, nel terzo sonetto di Occhi lucenti, ovvero l’ultimo, quello che potremmo definire il sonetto dell’addio, le ultime due strofe suonano così:

Addio, dolce signora. Un giorno, io penso, rivolgerete per la via degli anni li occhi che avran sorriso tanto, invano:allor, pensando a chi sarà lontano, udrete, solo, oltre i mendaci affanni,il grido del mio puro amore immenso.

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Non è che smette di amarla, ma il suo sguardo innamorato cambia: infatti nei primi due sonetti di Occhi lucenti la poesia si snoda in una descrizione affascinante e fisica dell’amata, mentre nel terzo sonetto dell’addio la descrizione lascia spazio alla nostalgia e all’amore vero, «un amor che per sé gioia non vuole», come dice nella prima strofa, e si conclude con quella espressione: «puro amore immenso».E’ chiaro perché vi ho citato in particolare questo episodio della vita di Salvadori? Torniamo all’etimologia della parola carità, ovvero il charis greco che significa, dicevamo, gratuito; e infatti afferma ancora Giussani: «La carità è amore puro, si esaurisce nel volere il bene dell’altro ed è il bene-bene che vuole dell’altro, cioè il suo destino, cioè il suo rapporto con Cristo». Ora è chiaro perché ho calcato la mano su quest’episodio, perché è un momento cruciale nella vita di Salvadori, è il fatto che cambia, stravolge, la sua vita ed è l’attuarsi della carità, dell’amore vero, gratuito, senza ritorno all’amata, ma perché questo avvenga c’è bisogno della Presenza di Cristo, è Lui che ti cambia lo sguardo, è Lui che origina una novità in come guardi l’altro: per cui impari a volergli bene davvero, cioè a desiderare il suo bene, si attua un «puro amore immenso», puro perché senza ritorno, immenso perché appartiene a un Altro, è il Mistero a renderlo così totale. La carità non è tanto fare il bene quanto volere il bene dell’altro.Questo bene così disinteressato di Salvadori verso l’altro lo testimonia anche uno scritto commemorativo della nipote di Giulio, Lisa, che abiterà

nella casa dello zio per alcuni anni, a partire dagli anni dell’adolescenza.Piccolo appunto significativo: questa testimonianza, di cui adesso vi leggerò alcune parti, così come altre testimonianze che vi citerò, le ho tratte dalla Salvadoriana, una rivista, uscita per un certo periodo, che ha raccolto testimonianze sulla vita del Salvadori. Mi ha subito incuriosito la citazione in copertina, tratta da uno scritto di Giulio pubblicato nell’Ora presente, rivista di cui Salvadori fu direttore e che nacque con la nascita dell’associazione caritatevole dell’Unione per il bene, di cui avremo modo di parlare poi; che reca queste parole:

Potente è la parolase l’alimenta il sangue:vive indarno chi vive per sé; ma chi, amando, al commesso lavoro dà la vita, in più vita risorge.

Che potremmo dire essere una frase programmatica di cosa è la carità: chi vive per sé stesso vive inutilmente, mentre compie la sua vita, cioè il suo destino, «in più vita risorge», chi «amando» (!) dona la sua vita a ciò che gli è richiesto. Questa è la carità: un amore puro all’altro, senza ragioni, senza tornaconti personali, è un dono totale di se che ti fa vivere la vita in un modo più bello, ti fa «risorgere».Torniamo quindi alla nipote Lisa, che a causa di un lutto, ovvero la morte della madre, si trova costretta ad andare ad abitare dallo zio Giulio e dalla sorella di questo Giuseppina, che a quel tempo abitavano nel Rione Regola di Roma.Lisa è una ragazza vispa e abbastanza ribelle, desiderosa coi suoi fervidi studi di crearsi la gloria, si autodefinisce «donna ferma di volontà

anche se errata». Ecco come ci presenta lo zio Salvadori nei suoi confronti:

Si era accorto lo zio Giulio, nel suo dolce e fermo silenzio, di tal sogno [quello della gloria e del potere]?Con la stoltezza della giovinezza io credevo di no. Ma egli aveva indovinato. Mi seguiva: senza imposizioni, seminando la parola che sembrava smarrirsi nel mio torbido cuore e invece lasciava traccia, ignota a me, creatura umana, ma palese nel mistero dell’anima, avvenne che cominciassi, talvolta a soffermarmi dinanzi a lui con stupore.Quanta dolcezza e quanta bontà! E poi perché quando tutti gli altri mi tacciavano di ribelle e mi scusavano solo adducendo la mia passione per la poesia, egli non mi colpiva mai, né mi scusava, ma veniva vicino e passandomi la mano sulla fronte mi diceva: «Quante nuvole su questa fronte! Bisogna sgombrarle perché torni limpida!», senza inveire e senza punire.[…] E pensavo: Ma dove trova dunque quella grande ala di bene per ricoprirne ogni male e per placare ogni affanno?Ma dove quella dolcezza con tutti, più palese con gli orgogliosi e gli stolti, che credevano farsi forti con la voce grossa o con le distanze create dagli intrighi degli uomini?

Fine prima parte,il seguito nel prossimo numero

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Il Centro diurno “L’Arca”, gestito dalla Coope-rativa Sociale “L’Arca1”, con oltre vent’anni di esperienza, accoglie persone diversamente abili e ad oggi in particolare gli ospiti sono nove. Ogni ragazzo viene seguito da un’equipe di educatori che propongono interventi educativi individuali tesi a mantenere, aumentare o far nascere ex novo capacità ed autonomie importanti.Di particolare rilevanza è l’attività teatrale che, attiva ormai da più di dieci anni, ha portato alla costituzione di una compagnia di teatro stabile chiamata “StrAbilia”, formata dai nostri ospi-ti uniti ad altri soggetti diversamente abili del territorio aretino, a bambini e ragazzi di “Bandal-legra” e “Bandamedie” (servizi gestiti dall’Asso-ciazione “L’Arca”), Altra importante attività del Centro è quella artigianale con lavori svariati come decoupage e carta riciclata: nell’ultimo anno è iniziata la produzione di quadri con materiale di riciclo.

San Martino accoglie fino ad un massimo di 12 minori di entrambi i sessi temporaneamente impossibilitati a permanere nel nucleo familiare. L’affidamento dei minori alla comunità avviene attraverso il Tribunale per i Minori e i Servizi Sociali dei Comuni di appartenenza.La Comunità è nata nel 2006 (14 luglio)Responsabile: Rolando [email protected]

tel / fax 057597494

5x1000“L’Arca è un’Associazione ONLUS (organiz-zazione non lucrativa di utilità sociale) e per questo può usufruire del 5 per mille. È una pro-cedura molto semplice: in sede di dichiarazio-ne dei redditi (qualsiasi sia il modello che usa-te) potete mettere la vostra firma e il nostro codice fiscale 01003500517 nello spazio dedicato al 5 per mille.Una piccola parte delle tasse che pagate an-dranno - direttamente! - all’Arca. Vi sembrapoco? No, per noi è tantissimo, perché tante gocce formano il mare e noi abbiamo un ocea-

no di bisogni! È importante far sapere di questa possibilità anche a parenti e amici, date loro il nostro codice fiscale. Il meccanismo del 5 per mille funziona esattamente come l’8 per mille: insomma potete firmare sia per l’uno che per l’altro senza problemi.Ecco un modo semplice, bello e gratuito, per aiutarci. Attraverso il 5x1000 sosteniamo le nostre opere come “Bandallegra”, il Centro Diurno per i ragazzi disabili e la Comunità Educativa San Martino che accoglie bambini e ragazzi in difficoltà.

L’Arca

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IL CENTRO POLIFUNZIONALER.A. “G. CIAPI” Il Centro Polifunzionale è ubicata a Monte San Savino, in via Ciapi n.11. I posti complessivi sono 25, destinati esclusivamente ad anziani ed inabili autosufficienti, oltre a 6 posti autorizzati per il Centro Diur-no. Il Centro Polifunzionale è gestito dal mese di luglio del 2011 e fino a giugno 2016, dal Consorzio Sociale COMARS onlus di Monte San Savino. L’équipe di lavoro è così composta:1 Responsabile di Struttu-ra,1 Infermiere Professionale,1 Terapista della Riabilitazione,1 Animatore,5 Addetti all’Assistenza di base, 2 Cuoche, 4 Addetti ai Servizi Generali.

Centro Polifunzionale CiapiVia Ciapi n. 1152048 Monte San Savino (AR)Tel. e fax 0575/844893

Per reclami e suggerimenti -Ufficio QualitàConsorzio Sociale COMARS onlusVia Sansovino, 28 - 52048 Monte San Savino (AR)Tel. 0575/844161 0575/844364 fax 0575/844550Rif. Adriano Di Sisto - e.mail [email protected]

HOTEL LOGGE DEI MERCANTICorso Sangallo 40/4252048 Monte San Savino (AR)Tel: 0575/810710 Fax: 0575/[email protected]

L’hotel Logge dei Mercanti è un antico palazzo del Milleseicento che un tempo costituì la vecchia farmacia del borgo. Le 13 camere, una diversa dall’altra per decori e rifiniture, con travi a vista oppure impreziosite da antichi affreschi, propongono un’atmosfera di grande pregio ed eleganza grazie all’arredamento d’epoca che si sposa con elementi moderni e funzionali. La sala delle colazioni si trova sotto il livello stradale in un suggestivo contesto medievale.

RIFERIMENTI: Valentina Valocchia

RESIDENZA PSICHIATRICA VILLANOVALa residenza pschiatrica Villanova è gestita dal Comars dal 1° luglio 2000, può ospitare in regime residenziale 14 persone di entrambi i ses-si. Fino ad oggi ha ospitato 55 persone, quasi tutti con disturbi psico-tici gravi e qualche ragazzo/a con disturbi di personalità. Attualmente ha 13 ospiti (2 donne e 11uomini di età media 40/50 anni) quasi tutti seguiti da servizi delle USL umbre. Il Coordinatoreè Stefano Tusino

[email protected] - 3289555749 tel. e fax di Villanova 0758757003.

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Telefono 0575844364 - 0575844161Fax 0575844550E-mail [email protected]

La carità nel pensiero e nell’opera di Giulio Salvadori:un aiuto per i nostri tempi di crisi

Potente è la parolase l’alimenta il sangue:vive indarnochi vive per sé;ma chi, amando,al commesso lavorodà la vita,in più vita risorge.

Consorzio Sociale

Giulio SalvadoriPoeta di Monte San Savino

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