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©CLIC.HÉ - Webmagazine trimestrale di fotografia e realtà visuale - All rights reserved - Direttore Responsabile: Luigi Torreggiani - Editore: Associazione Culturale Deaphoto - Reg. Trib. Firenze N° 5767 del 14/04/2010 GENNAIO 2015 N° 18 www.clic-he.it C I V I L E

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Clic.hé è il webmagazine trimestrale di fotografia e realtà visuale edito dall'Associazione Culturale Deaphoto

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Editore:Ass. Culturale Deaphoto

Direttore responsabile:Luigi Torreggiani

Photo-editor:Giulia Sgherri

Caporedattori:Paolo ContaldoSara SeveriniNiccolò Vonci

Progetto graficoe impaginazione:Luciferi Visionibus - [email protected]

Foto di copertina:Mariano Silletti

In redazione:Sabrina IngrassiaSilvia BerrettaChiara Micol SchionaTiziana TommeiAlberto Ianiro

Collaboratori fissi:Sandro BiniDiego CicionesiCaterina Caputo

Servizi tematici:Alberto IaniroAlessandro CaporaleAnna LordiChiara FerrinLuca MorettiMariano SillettiRoberto PetrocchiRosella Centanni

Recensioni, eventi e rubriche:Alberto IaniroDavide TattiSandro Bini

CiViLe

editoriaLe pag. 5

Presentazione aLLe immagini pag. 7

CiViLe – serVizi

Twentyone Pag. 9

Nuovo senso civico Pag. 17

Quel che resta della Roma Vintage Pag. 29

Morire cantando Pag. 37

Seminare il futuro Pag. 49

Ludovicu Pag. 64

Uno sguardo sulla strada Pag. 78

Ricordare per non dimenticare Pag. 89

rubriChe

Haiti Aftermath. Intervista con Riccardo Venturi Pag. 106

reCensioni

MUFOCO. Passato presente e futuro Pag. 112

eVenti

Firenze, The Fauns Pag. 117

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Editoriale

CIVILEDI LUIGI TORREGGIANI

Se ci si pensa bene, non sono poi così tanti i modi che abbiamo per conoscere una civiltà. Conosciamo quelle antiche grazie ai ritrovamenti archeologici, a espressio-ni artistiche come pittura, scultura e architettura, op-pure grazie a testi scritti. Sappiamo molto più di quelle moderne da quando, nella prima metà dell’Ottocento, ha fatto il suo ingresso nella storia la fotografia.

Che lo si voglia oppure no, che si fotografi per esplorare se stessi o il mondo là fuori, sempre, inevitabilmente, una fotografia è in grado di descrivere, più o meno niti-damente, una parte della civiltà in cui è nata. “Non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito e le persone che hai amato” ci ha suggerito a ragione Ansel Adams.Fotografare è esserci: in un luogo, in un tempo, in una condizione; esserci per registrare qualcosa, qualsiasi cosa, e racchiudere quella visione in un’immagine che, presumibilmente, dovrà durare nel tempo.

Ecco allora che mi piace pensare alla fotografia, a tutta la fotografia, prima di tutto come impegno civile. Non c’è bisogno di realizzare esclusivamente immagini di denuncia sociale o di documentazione di particolari tra-sformazioni ambientali: in fondo ogni cosa che fotogra-fiamo oggi racconterà la nostra società, la nostra civiltà (nell’accezione più ampia del termine, che comprende

anche l’inciviltà) in futuro.Ma siamo nel mondo del digitale, del tutti-fotografi, dei miliardi di immagini viste ogni giorno da chiunque e della compulsiva condi-visione social: qualcosa rischia di cancellare, o meglio, di appannare notevolmente, questo nostro piccolo-grande impegno civile. Se il web avrà memoria (ma ne siamo sicuri?) la nostra società sarà di certo raccontata e analizzata anche tra mille anni grazie a que-ste fotografie, anche quelle che alcuni defi-niscono “spazzatura”: anch’esse saranno lo specchio di noi.Ma non bisogna di certo reagire a questa al-luvione smettendo di bere acqua! Occorre far uscire le proprie immagini dagli hard disk,

condividerle… ma non solo per gettarle nel web-mare impetuoso di pixel in cui tutti ci sentiamo soffocare. C’è bisogno più che mai di farle uscire dai microchip dei propri sofisticati sensori per un motivo, con un perché, avendo chiaro l’impegno civile che ci siamo scelti: esse-re, in qualche modo, gli occhi di una società, la cui visio-ne può rimanere nel tempo. Quello che fanno Clic.hé e altre numerose iniziative editoriali simili è proprio que-sto: Tentare di creare un golfo di acque calme in questo mare in burrasca di immagini e provare a raccogliere, filtrare e ordinare qualcosa che, anche in futuro, potrà raccontare di noi.

mi PiaCe PensareaLLa fotografia,

a tutta La fotografia,Prima di tutto Come

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Presentazione alle immagini

CIVILEDI PAOLO CONTALDO

“Per me la fotografia deve suggerire, non insistere o spiegare”Brassaï

Sono molte in questo numero le immagini che suggeriscono, muovono e rompono l’equilibrio statico della disattenzione.

Alberto Ianiro attraverso il suo “Twentyone” ci mette difronte alla dolce consapevolezza di una società inclusiva e responsabile, dove la sindrome di Down diventa occasione di confronto e supporto attivo.Le manifestazioni diventano altrettanti luoghi di civiltà nelle immagini di Alessandro Caporale, piene e straripanti di un “Nuovo Senso Civico”.“Seminare il Futuro”, progetto di Luca Moretti, ripercorre la stessa alchimia di elementi. Etica e partecipazione volte a ristabilire un rapporto sano con la natura, i suoi tempi ed i suoi spazi.

L’accezione positiva muta sull’osservazione realistica e puntuale di Roberto Petrocchi, attraverso “Uno sguardo sulla strada” disarmante termometro della conflittualità e precarietà sociale.Importante e vicino al disagio il racconto “Ludovicu “ di Mariano Siletti. Si parla di una persona scomparsa, ma ancora di più della distanza, della povertà e delle condizioni di una comunità ai margini della nostra impaurita indifferenza.Anna Lordi con “Quel che resta del Roma Vintage” con mette in luce un’ altra delle nostre peggiori contraddizioni. Il nostro territorio ricco di storia e paesaggio deturpato dalla mancanza di rispetto e progettualità da parte dei nostri amministratori.“Morire cantando” di Chiara Ferrin ci mostra con

chiarezza, attraverso immagini di un nuovo asettico quartiere in costruzione, un riempimento che in realtà svuota, una modernità che incute paura.

Il valore contemporaneo della storia trova il suo merito nel progetto “Ricordare per non dimenticare”, dove la Battaglia di Creta del Maggio 1941 è occasione per fare della memoria uno strumento potente per il futuro.

muoVono e romPono L’equiLibrio

statiCo deLLa disattenzione

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CIVILE

Alberto Ianiro

TwENTyONE

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CIVILE

Nell’idea di civile, vengono sicuramente alla mente elementi quali il saper vivere nel rispetto della persona altrui, dell’ambiente e delle cose che ci circondano e con cui continuamente ci rapportiamo.Elementi di valore quali la socialità. Twentyone, perché il cromosoma responsabile della sindrome di Down è il ventuno.In Italia sono trentottomila gli stimati, di cui ventitremila in età

adulta: ne nasce uno su mille. Oltre questi numeri si apre un mondo complesso che va molto oltre lo stereotipo negativo.Questo è un tributo alla loro appartenenza nella nostra società come parte integrante di essa. Trisomia ventuno opera a Firenze, occupandosi delle persone con sindrome di Down e delle loro famiglie, del loro sapere vivere.Del loro essere Civile. ■

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BIOAlberto Ianiro

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Mi stabilisco a Firenze nel 1993 ed inizio a fotografare nel 2007, mi appassiono, studio con Deaphoto e frequento vari professionisti del settore, credo nella fotografia come progetto, ma seguo la pancia. Seguo gli allievi del corso di Progettazione Fotografica e faccio parte staff dei fotografi Deaphoto. Socio fondatore di Clic.hè, ho seguito per diverso tempo l’area tematica del magazine. Ogni tanto scatto delle foto ed ultimamente mi diverto anche a scrivere, con improbabile successo. ■

BIOAlberto Ianiro

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Alessandro Caporale

NUOVO SENSO CIVICO

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Una manifestazione con tantissima gente, civile e pacifica contro l’in-sediamento delle trivelle petrolifi-che in Adriatico davanti alle coste abruzzesi, con dibattiti e momenti musicali. La stessa partecipazione è stata un momento civile contro il malaffare e a favore della salute pubblica, da salvaguardare ad ogni costo. Non è detto che una manife-stazione debba terminarsi sempre con disordini, ci sono tante perso-

ne che manifestano civilmente con i propri famigliari ed anche con bam-bini e ragazzi facendo valere le pro-prie ragioni in maniera ferma, senza farsi sottomettere. Questa manife-stazione con una massiccia parteci-pazione di popolo è stata uno dei momenti più alti di civiltà da parte dei cittadini, al contrario di chi civile non lo vuole essere deturpando e giocando con la salute di grandi e piccini. ■

CIVILE

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ParteCiPazione:un momentoCiViLe

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BIOAlessandro Caporale

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Sono nato nel 1964 a Lanciano in provincia di Chieti, fotografo dall’età di ventidue anni. Nel passato fotografavo e stampavo da me negativi in bianco e nero e, da circa quindici anni ho abbandonato la camera oscura per varie vicissitudini.Ora fotografo di tutto per poi selezionare e dividere per sezioni distinte, m’interessa la fotografia perché tale. Non le esaspero con i ritocchi. L’immagine si forma sempre prima nella mia mente e poi segue lo scatto che la materializza agli occhi delle persone.Fotografo principalmente paesaggi comuni, luoghi quotidiani e alle volte anche banali, però non mi limito a un genere specifico e cerco di indagare vari generi che mi si prospettano per allargare e definire il mio mondo e renderlo fruibile all’osservatore cercando di comunicargli qualcosa. ■

BIOAlessandro Caporale

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Anna Lordi

QUEL CHE RESTADELLA ROMA VINTAGE

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Nell’ambito dell’estate romana si è tenuta la VI edizione della manifestazione Roma Vintage. Per la prima volta il villaggio di ottantamila metri quadrati con stand, aree espositive, negozi e bar è stato allestito nell’area del Parco archeologico di Centocelle, un’area vincolata che contiene al proprio interno ville romane interrate e reperti archeologici, tra cui resti che risalgono fino al VI Secolo a.C.

A manifestazione conclusa, e per molti giorni, nessuno ha trovato il tempo di ripulire l’area. Uno spettacolo davvero desolante per questo Parco immerso nel cuore sud-est di Roma, tra via Casilina, via Togliatti e via Papiria che ha ospitato anche il primo aeroporto italiano, entrato ufficialmente in funzione il 15 aprile 1909 quando wilbur wright venne a dare una serie di dimostrazioni del Flyer. ■

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BIOAnna Lordi

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Nata in provincia di Salerno vivo a Roma da qualche anno. Fotografo per passione, inguaribile sogna-trice, casalinga a mezzo servizio dopo es-sere stata responsabile dell’organizzazio-ne e della comunicazione di un’agenzia di sviluppo locale. ■

BIOAnna Lordi

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Chiara Ferrin

MORIRE CANTANDO

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Nel 2010 ho fotografato quel cantiere perché avrebbe coperto una grossa quantità di terra occupata da coltivazioni ed erba, e perché rispecchiava l’idea attuale e anacronistica di progresso e sviluppo. Il giorno in cui mi recai sul posto mi venne incontro un uomo che si presentò come ingegnere.

Mi chiese se fossi una giornalista e se fossi lì per l’incidente avvenuto il giorno prima. Per quanto ne so nessun giornalista fece un giro in quel cantiere. Morire Cantando nasce da una riflessione legata alla visione tragica che mi dava questo produrre nuove case perfettamente allineate in

schiere sempre più vicine tra loro. L’asfalto che ricopre quella terra ora è adornato di alberi e aiuole periodicamente pettinati, un habitat prodotto a tavolino, dove la natura ha solo valore ornamentale. Molti appartamenti nel quartiere sono rimasti invenduti. Ed io immagino l’inconsapevole cittadino che dal suo nuovissimo nido canticchia allegrotto mentre guarda il vicino da dietro la tendina beige. ■

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nuoVissimo nido

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BIOChiara Ferrin

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Mi occupo principalmente di fotografia di scena collaborando con compagnie e festival, ma inizio nel 1997, da autodidatta, a fotografare le interazioni casuali tra persone e ambiente. Rimane questo il mio principale interesse fotografico, anche nell’ambito teatrale. Dal 2001 al 2004 ho frequentato i corsi serali dell’istituto artistico Venturi di Modena, a indirizzo fotografico. Il tempo utile per imparare le basi della camera oscura. Ho collaborato con VieFestival per le edizioni del 2011 e 2013, con TrasparenzeFestival nelle edizioni 2012 e 2013, con La Corte Ospitale di Rubiera, il teatro di Occhiobello e il teatro Ferrara Off.Lavoro dal 2011 in stretta collaborazione con il regista Giulio Costa, con la compagnia di Modena Teatro dei Venti e tengo laboratori di fotografia di scena, teorici e pratici. ■

BIOChiara Ferrin

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Luca Moretti

SEMINAREILFUTURO

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La nostra epoca segna un ritrovato naturalismo, un bisogno di ricon-ciliarsi con la natura, o almeno con l’idea che ce ne siamo fatti.Su questo sentire si mobilitano ormai molte persone sempre più attente a quello che mangiano, a quello che comprano e per molti la dimensione del consumo ha assun-to un valore etico.

Le fotografie di questa selezione rac-contano di un’iniziativa che si svolge in contemporanea in diverse azien-de agricole d’Italia nel mese di set-tembre, con una semina collettiva di grani di varietà antiche.Nel gesto della semina evidentemen-te si ricerca quel legame con la terra e con la vita dei campi che le nostre generazioni hanno conosciuto solo nel racconto di quelle precedenti. ■

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LegameCon La

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BIOLuca Moretti

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40 anni, vivo a Vecchiano in provincia di Pisa. Prendo fotografie da circa quattro anni. M’interessa il paesaggio, quello antropizzato, forse perché è l’unico possibile.Dal 2013 mi occupo del progetto didattico dedicato alla fotografia presso l’istituto comprensivo di Vecchiano. Segnalato come autore al Rosignano Foto festival 2014, autore ospite alla rassegna Marche fotografia - FacePhotoNews 2014. Partecipo al progetto editoriale collettivo “Questo Paese” a cura di Fulvio Bortolozzo,  presentato nell’ultima edizione di Corigliano fotografia. ■

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Mariano Silletti

LUDOVICU

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Ludovicu è scomparso. Era arrivato a Montescaglioso, con la sua famiglia, dalla Romania. Ludovicu ha appena cinquantasette anni, malato di Morbo di Alzheimer. Un giorno di dicembre del 2013, è uscito da casa e non è più tornato. Veronica, sua moglie, l’ha atteso per ore. Alla fine è venuta alla nostra caserma. La storia di Ludovicu ha toccato la mia anima. Ed io, carabiniere e fotografo per passione profonda, non volevo che questa storia fosse dimenticata. In inverno, la notte, arriva con troppa velocità. La casa di Ludovicu è al centro del paese.

Tutto aveva il sapore della povertà. Le mura umide e scrostate. E poi il dolore di Veronica. La sua stanchezza. Avevamo bisogno dei vestiti di suo marito: ha tirato fuori con lentezza i pantaloni, la biancheria. I cani dovevano annusarli per cercare una traccia. Vorremmo dare una speranza a Veronica. Combattiamo i cattivi presentimenti, vogliamo ritrovare quell’uomo smarrito. Cerchiamo nelle campagne, entriamo in casolari abbandonati. Vi troviamo altre storie, intrecci dei cammini di altri uomini e donne. E’ un

paesaggio di malinconia in questo inverno. Mentre lo cercavamo, ci siamo imbattuti in mille mondi diversi. Altri migranti, i pastori, i contadini, i nostri paesani. Ho guardato a tutti loro con altri occhi. La nostra ricerca è stata ostinata, i miei obiettivi hanno sfuocato, per dire meglio quanto ci stava accadendo. Ho sfiorato un mistero, e me ne sono reso conto. Ho visto paura e dolore. Un uomo svanisce senza lasciare alcuna traccia. Mi sono sentito circondato da ombre e volevo che si dissolvessero. Una primavera, dopo l’inverno. Volevo che ci fosse un conforto anche nel pieno di questi mesi di oscurità. A oggi Ludovicu non è ricomparso. ■

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BIOMariano Silletti

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Sono nato nel 1972 a Pisticci (MT), vivo a Matera.La mia personale ricerca fotografica esplora temi quali la Street Photography e il reportage documentario.Faccio parte del collettivo italiano di fotografia di Strada InQuadra. ■

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Roberto Petrocchi

UNO SGUARDO SULLA STRADA

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Uno sguardo sulla strada per osservare coloro che, loro malgrado, interpretano il ruolo di cittadini in questa società malata. Immagini raccolte negli ultimi anni, in vari luoghi, che accomunano i destini dei più, di chi non è trincerato nelle caste, al riparo dalle inevitabili traversie giornaliere.

Gente senza privilegi, di ogni paese, che subisce una costante inarrestabile erosione dei diritti civili.Lavoro sempre più spesso precario, frequentemente in precarie con-dizioni di sicurezza; retribuito con salari che, continuamente, perdono potere di acquisto.

Indigenza sempre più diffusa, che sfocia in povertà, annientando la dignità individuale.Impotenza nei confronti del “palazzo”, chiuso e opprimente, e dei suoi abitanti: i politicanti, i ceti altolocati, gli intoccabili, i privilegiati, i conservatori di un sistema appositamente predisposto.Dilagante sconforto.Insinuante rassegnazione.Inevitabile protesta. ■

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Costante,inarrestabiLe erosione

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BIORoberto Petrocchi

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Sono un lucchese metalmeccanico, classe 1955, in attesa di pensionamento.Pratico la fotografia dalla fine degli anni settanta, ma solo in questi ultimi anni le ho riservato un posto di rilievo, rispetto alle altre svariate attività e passatempi.Ho frequentato vari corsi e workshop per approfondirne la conoscenza.Non seguo un genere specifico, ma non amo particolarmente la fotografia posata.Cerco immagini. ■

BIORoberto Petrocchi

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Rosella Centanni

RICORDARE PER NON DIMENTICARE

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Plakias, Creta Sud-occidentale, luglio 2013.Tante le immagini di una terra fertile di bellezze naturali, archeologiche e di miti. Sono nel monastero di Preveli. Mi attrae una lapide commemorativa della Battaglia di Creta, maggio 1941.Da qui scatta il mio desiderio di sapere, indagare. Su Internet notizie utili sull’occupazione tedesca e

sull’andamento della guerra. Vado alla ricerca di testimoni.A Vrises, un paesino interno dell’isola, trovo il quasi novantenne Dimitri, che all’epoca aveva 17 anni.Racconta che, per sfuggire alle rappresaglie tedesche, si vestì da mendicante e, coperto da un mantello, zoppicando, si nascose nella montagna vicina. E’ lui stesso a mostrarmi un libro

con i civili caduti del suo paese. Prendo da lui la mia storia.Nel villaggio di Asomatos visito un piccolo museo con reperti di guerra. Nel grande cimitero degli alleati, nella baia di Suda, tra migliaia di lapidi di giovani caduti, mi soffermo su W. Skipper, un sergente neozelandese di ventitré anni. La commozione è tanta. Lascio “posare” le mie immagini per diverso tempo.Oggi le riprendo in mano. ■

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Riaffiora il pensiero: ricordare per non dimenticare,con la speranza che si coltivino sentimenti di pace.Rami di ulivoBraccia protese al cieloInno di pace

Dedico il mio lavoro al giovane w. Skippere a quanti sono caduti

e cadono ancora per la guerra.

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BIORosella Centanni

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Rosella Centanni è nata e vive ad Ancona. Ha iniziato ad appassionarsi di fotografia dagli anni ’90. Ha partecipato a corsi riguardanti la progettazione di un lavoro fotografico, la tecnica del bianconero, la luce, il ritratto, il reportage e la manipolazione di pellicole Polaroid. Ha realizzato, oltre a varie iniziative fotografiche, diverse mostre personali, tra le quali “Nello yemen” (2001), “Il vivere...” (2003), “Oltre lo schermo e sulla scena”(2004), “Sviluppi in scena” (2005), “Al Passetto... un lungo giorno d’estate” (2008), “Suk-ki di fiaba ”(2009), “Sguardi” (2011), “Respiri” e “Oltre lo sguardo” (2012), “N(u)ove donne in salotto” (2014). Nel 2010 ha curato la mostra fotografica “Tra miseria e splendore” nell’ambito del Festival Internazionale Adriatico – Mediterraneo ad Ancona. ■

BIORosella Centanni

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RUBRICHE

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Riccardo Venturi (Roma, 1966) intraprende la carriera di fotogiornalista alla fine degli anni Ottanta, documentando le problematiche sociali italiane ed europee come l’immigrazione clandestina, il sorgere dei movimenti neonazisti in Germania o i primi anni della democrazia

in Albania. In particolare la sua inchiesta-dossier sullo scandalo dei fondi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto in Irpinia gli procura le prime importanti pubblicazioni sui quotidiani e settimanali italiani. Dalla metà degli anni ‘90 si concentra sui conflitti in atto in vari Paesi, innanzitutto

l’Afghanistan, reportage con il quale nel 1997 ha conseguito il prestigioso premio “world Press Photo”, e poi la cronaca della guerra del Kosovo, lavoro che ottiene nel 1999 la Leica Honorable Mention. Da allora fino ad oggi ha continuato a seguire e a viaggiare attraverso innumerevoli paesi in guerra,

RUBRICHE

Interview / Quattro chiacchiere con i fotografi

HAITI AFTERMATH INTERVISTA CON RICCARDO VENTURI

A CURA DI ALBERTO IANIRO

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soprattutto in Africa. Nel corso degli ultimi anni Riccardo Venturi segue e documenta la rivolta di Gezi Park a Istanbul. Venturi ha documentato alcuni fra i più importanti eventi internazionali, come il terremoto in Iran nel 2003 e lo tsunami in Sri Lanka nel 2004, alternandoli con ricerche più personali come quella sulle morti bianche in Italia, realizzando nel 2008 un libro e una mostra in collaborazione con ANMIL, e il progetto riguardante la diffusione della tubercolosi nel mondo, realizzato in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della Sanità che gli ha permesso di conseguire il Premio UCSI per la fotografia nel 2007 e il Premio Marco Lucchetta nel 2008. Ha lavorato con le più importanti agenzie umanitarie mondiali, dall’UNICEF all’UNHCR, dal wHO a MSF e SAVE THE CHILDREN con cui, recentemente ha realizzato un importante lavoro sullo stato dell’infanzia dei bambini italiani. Ha collaborato con le principali testate Italiane e internazionali e ha pubblicato quattro libri, tra cui “Afghanistan il nodo del tempo”, il racconto di sette anni di reportage sul paese (Contrasto Editore, 2004) e “Da Istambul a El Cairo” (Almuzara

Editore , 2010), un libro sull’identità medio-orientale sponsorizzato da Fundación Tres Culturas e realizzato in collaborazione con il giornalista Eduardo del Campo. Di prossima pubblicazione, invece, il libro DPR448, edito da Peliti Associati e commissionato dal Ministero di Giustizia Italiano, che documenta la situazione dei minori in carcere da Palermo a Torino. Nel Gennaio 2010, a 4 giorni dal disastroso terremoto di Haiti, Riccardo Venturi decide di partire per documentare la catastrofe che ha colpito l’isola caraibica, dove ritorna altre due volte per proseguire a testimoniare le condizioni della popolazione haitiana. Con il suo progetto “Haiti Aftermath” ha ricevuto vari premi quali il world Press Photo 2011, primo premio “General news”; Luis Vultena Award, secondo premio; Sophot Award; premio foto dell’anno, menzione d’onore; premio Sony world Photography, finalista; premio Care International, finalista.Haiti Aftermath è un progetto che parte da lontano. Raccontaci di cosa si tratta e qual è l’obbiettivo della campagna di crowdfunding che hai creato per sostenerlo

Il progetto è nato a gennaio 2010, quando ho deciso di partire per Haiti quattro giorni dopo il terremoto che l’ha sconvolta. Non c’erano ancora notizie ufficiali e il numero delle vittime continuava a salire. Era chiaro che si trattava di una catastrofe umanitaria e io volevo capire cosa stava succedendo, documentare la situazione. Non è stato semplice perché ho deciso di partire all’improvviso, tuttavia, da quella volta, mi sono legato e appassionato a questa affascinante terra caraibica e ho deciso che il mio impegno sarebbe andato oltre l’emergenza immediata: volevo continuare a raccontare le storie degli haitiani, capire quanto e in che modo questo evento drammatico si sarebbe ripercosso sulla vita dell’isola. Per questo motivo sono tornato ad Haiti più volte durante questi cinque anni e ho continuato ad informarmi sull’andamento della ricostruzione, che procede lentamente e in modo poco trasparente, e sull’esplosione dell’epidemia di colera, che nel frattempo è diventata una piaga endemica. L’attenzione mediatica è andata scemando sempre più dal 2010 ad oggi e mi sembrava doveroso fare il punto della situazione per ricordare che l’emergenza è ancora in corso. Avendo bisogno sia un sostegno economico che di diffondere il più possibile le motivazioni alla base del mio progetto ho deciso di affidarmi al crowdfunding: i contributi partono da 5 euro e sono alla portata di chiunque abbia voglia di sostenere Haiti Aftermath.Se raggiungerò l’obiettivo, i fondi raccolti saranno utilizzati per coprire le spese di reportage che ho sostenuto durante il viaggio che si è concluso pochi giorni fa e

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soprattutto per stampare il libro fotografico che racconterà i cinque anni di Haiti dopo il terremoto e che sarà composto da circa 60 immagini.Sei appena tornato da Haiti, dove hai svolto anche un lavoro commissionato da Save the Children.

Com’è stato il tuo approccio durante questo ultimo viaggio?C’è qualche aspetto a cui hai scelto di dare particolare risalto?Com’è la situazione, oggi, ad Haiti?Un aspetto su cui mi sono concentrato particolarmente durante il mio viaggio è stato quello della questione politica haitiana, perché è in corso un momento di grande tensione per Haiti. Il 13 dicembre, infatti, ho assistito alla manifestazione che ha avuto come conseguenza diretta le dimissioni del premier Laurent Lamothe e so che le elezioni parlamentari inizialmente previste per il 12 gennaio sono state annullate, cosa che probabilmente aumenterà il livello di tensione. Oltre a questo mi sono occupato di documentare lo stato della ricostruzione, cercando di capire quanto è stato fatto e quanto rimane ancora da fare. Quella che ho visto è una situazione con molte sfaccettature: da Port-au-Prince sono spariti i segni del terremoto, non ci sono più macerie lungo le strade né i grandi campi di sfollati. L’impressione che si ha attraversandola, tuttavia, è che si sia ricostruita “da sola”, mentre uscendo da Port-au-Prince ho visitato un quartiere “fantasma”, che è stato inaugurato un anno fa con centinaia di costruzioni ma con ancora pochissime famiglie. So che stanno ricostruendo il ministero degli Interni ma non molto di più, non ci sono molti cantieri aperti. Interessante è stato anche il

lavoro svolto in collaborazione con Save the Children, per cui abbiamo fatto una serie di interviste molto forti, tra cui quelle a due restavèk: la parola, in creolo haitiano, indica quei bambini (dai 6 ai 17 anni) mandati dai genitori naturali a lavorare presso famiglie più abbienti, con la speranza di offrire loro condizioni di vita più umane. In realtà in moltissimi casi questi bambini vengono purtroppo abusati e maltrattati. La continuazione del progetto Haiti Aftermath avrà tutte queste tematiche al suo interno.

Prima di Haiti sei stato in Kosovo, in Afghanistan e in altri teatri di guerra. Che differenza c’è tra il testimoniare con la fotografia una catastrofe naturale come un terremoto e il testimoniare un conflitto?Il caso di Haiti è un caso particolare perché da un lato è una catastrofe naturale e quindi un evento inevitabile, mentre dall’altro si tratta di un’isola talmente fragile, delicata, talmente già colpita da violenza e povertà che il terremoto di Haiti è stato quasi come un conflitto. Poco dopo il sisma non c’era già più una caserma che funzionasse, non c’era più una sorta di polizia che potesse controllare la città. L’isola era in mano alle gang che hanno fatto razzie e seminato il panico. Al di là di Haiti, però, posso dire che la differenza tra il fotografare un conflitto e il fotografare una catastrofe naturale sta nel fatto che il conflitto mostra violazioni dei diritti umani in maniera evidente e brutale. Se parliamo di un terremoto, invece, la sensazione è quella di abbandono, di fatalità, di problema condiviso anche se, come sempre, le fasce più colpite sono quelle più deboli e già ai margini della società.

Che attrezzatura porti con te?Di solito lavoro in digitale, per poter scattare molto velocemente e spedire al volo il materiale. Tuttavia ho scelto una macchina speciale per il lavoro ad Haiti, una Linhof 6×17 cm. È una vecchia analogica che fa sei scatti in pellicola e mi piace utilizzarla solo per alcuni progetti, di solito quelli personali. Mi piace perché si lavora in modo completamente diverso e la macchina, influenzando i miei movimenti, modifica anche l’atteggiamento nei confronti della foto.

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Pensi che la diffusione di smartphone sempre più avanzati possa portare ad un cambiamento nel mestiere di fotogiornalista?Sicuramente un cambiamento è già in atto e credo che sia iniziato tutto con lo tsunami in Giappone del 2011, basti pensare che molte delle immagini che tutti ricordiamo e che sono finite sui giornali sono state scattate non da fotografi professionisti ma da persone

normali con il loro telefonino. Credo che oggi più che di un fotografo che documenti l’evento in sé ci sia bisogno di qualcuno che sappia individuare, sviluppare e narrare una storia attorno all’evento. Questo i non professionisti non riescono a farlo. Posso dirlo anche perché durante il mio ultimo viaggio ad Haiti ho avuto l’occasione di cimentarmi con la realizzazione di un piccolo reportage interamente fatto con lo smartphone.

Parallelamente al mio progetto, infatti, ho scattato una serie di immagini con il mio smartphone su richiesta di Picwant, una nuova app creata per permettere a chiunque di pubblicare le proprie foto e video realizzati con lo smartphone e venderli online su picwant.com. Ho accettato questo incarico perché sono sempre ricettivo a tutto ciò che è nuovo e sono curioso di esplorare anche questa nuova forma di comunicazione. ■

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RECENSIONI

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L’attività del Museo di Fotografia Contemporanea, MUFOCO, prese avvio nel 2004 a Cinisello Balsamo, ma l’elaborazione del progetto partì nel 1999 su iniziativa di un gruppo di lavoro, che faceva capo a Roberta Valtorta, storica e critica della fotografia, che è l’attuale direttore scientifico. Il Museo si

costituisce come raccolta di fondi fotografici e librari di rilevanza italiana e internazionale, come il fondo dell’agenzia Grazia Neri, del fotografo Federico Patellani o singole collezioni fotografiche come quelle di Gabriele Basilico e Toni Nicolini. A questo si affianca la realizzazione di mostre

monografiche; inoltre un’attenzione specifica viene data alla produzione di progetti di arte pubblica, che sono in linea, come dice Roberta Valtorta nel video “quale museo di fotografia oggi”, con quel processo che avvicina la fotografia e video professionali ai prodotti realizzati comunemente da tutti. Con un

RECENSIONI

recensione

MUFOCO PASSATO PRESENTE E FUTURO

A CURA DI DAVIDE TATTI

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comunicato all’inizio di ottobre 2014, il Museo rende nota la propria crisi finanziaria e ne discute in una conferenza del 10 ottobre, presso il Circolo della Stampa di Milano. Tra gli interlocutori istituzionali presenti, il Sindaco di Cinisello Siria Trezzi chiarisce che il suo Comune ha in totale carico i costi del Museo, non essendo ancora stata rinnovata la convenzione triennale con la Provincia di Milano, decaduta nel 2013, con il conseguente mancato stanziamento annuale di 200.000 euro; se la Provincia non rinnovasse la convenzione, decadrebbe l’elemento giuridico che garantisce il passaggio di competenza dalla Provincia di Milano, che verrà soppressa, al nuovo ente territoriale, la Città Metropolitana. Attualmente il Comune non ha le risorse per sostenere da solo il costo dei dipendenti. Nella sede del Museo a Cinisello incontriamo Fiorenza Melani, responsabile ufficio stampa, che ci spiega che i rapporti con la Provincia di Milano sono stati intensi dall’avvio nel 2004 attraverso Daniela Benelli, assessore alla cultura nella giunta Penati e promotrice del Museo, mentre dal 2009, con la giunta Podestà, le relazioni sono meno frequenti ed è stata

realizzata una sola mostra in collaborazione con la Provincia: “Ieri, oggi, Milano” nel 2012. In generale, aggiunge Melani, gli enti pubblici tendono a finanziare eventi culturali di breve periodo, meno progetti a lungo termine come il Museo di fotografia. Intanto il Museo per finanziarsi, con opere donate da

collezionisti o dai fotografi, il 13 dicembre presso la

Triennale di Milano, indice un’asta con la quale sono stati poi raccolti 50.260 euro. Questo contributo permetterà al Museo di mantenere

aperta la sede a gennaio 2015, di concludere le

consultazioni tra Ente

Fondatore, Regione e Ministero di competenza per ottenere un piano di sostegno economico. La scorsa estate, tra luglio e settembre, il Museo ha ripercorso la propria decennale attività con la mostra: 2004- 2014 opere e progetti del Museo di Fotografia Contemporanea. L’allestimento è stato diviso tecnicamente in materiale fotografico e progetti di arte pubblica, realizzati con video, fotografia, installazioni pubbliche, pubblicazioni cartacee. Sono presenti aree tematiche non rigide ma con punti di convergenza, come la percezione dello spazio urbano secondo i fotografi Gabriele Basilico, Pio Tarantini, Moreno Gentili, Olivo Barbieri, Peter Bialobrzeski,

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Joan Fontcuberta; il paesaggio naturale e antropizzato con foto di Cristina Omenetto, Bepi Ghiotti, Luigi Ghirri; gli ambienti privati simbolo di introspezione soggettiva ripresi da Guido Guidi e Vincenzo Castella; il ritratto contemporaneo nelle immagini di Jitka Hanzlova; le relazioni sociali come appaiono nel progetto sulle partite di calcio amatoriale di Hans Von der Mee. Nell’insieme MUFOCO, durante il 2014, ha proposto un’attività espositiva nella quale la fotografia è pensata come strumento narrativo, storico-documentario e antropologico. La monografia su Roberto Salbitani (Padova 1945) “Storia di un viaggiatore”, in mostra fino a maggio 2014, ha evidenziato una matrice scura della stampa in bianco e nero, collegata ad una visione riflessiva del dato reale. Vengono presentate le sue serie più significative, tra cui “Viaggio” 1974-1982; “Venezia: Circumnavigazioni e derive” 1971-2007. La narrazione prosegue con la mostra “Storie dal sud dell’Italia” (da aprile a dicembre 2014): attingendo ai materiali dei propri fondi, si ricostruisce la storia materiale del meridione italiano nel periodo compreso dalla metà degli anni Quaranta fino ai Novanta. Si mettono in rilievo i fenomeni di problematicità sociale: come

la disoccupazione nelle foto di Uliano Lucas; lo sfruttamento da lavoro nelle miniere di carbone in Sardegna e le risorse dell’agricoltura e allevamento gestite con mezzi modesti, entrambi documentati da Federico Patellani. A questi si affiancano temi legati alla tradizioni popolari, come il carnevale nei ritratti di Marialba Russo. La percezione estetica e soggettiva del paesaggio trova raffigurazione nelle foto sul mare di Carmelo Nicosia. Ferdinando Scianna, invece, ribalta la tradizionale fotografia di moda, facendo percorrere all’indossatrice ambienti sociali siciliani estranei e opposti all’industria del prêt-à-porter. Per definire un doppio

binario stilistico nell’allestimento della mostra, alle foto d’autore in bianco e nero vengono avvicinate piccole foto a colori saturi e brillanti, provenienti dal fondo dell’agenzia Grazia Neri, che ci riportano a una visione più edonistica dei paesaggi del sud italiano. L’attenzione antropologica del Museo, con un nuovo progetto di arte pubblica “la vetrinetta”, si sposta verso gli ambienti domestici. Sotto la guida di Paolo Riolzi, la comunità del territorio di Cinisello è chiamata a fotografare il mobile-vetrina della propria casa e a inviare al Museo il materiale prodotto, un progetto in corso che attende un proseguimento nel 2015. ■

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EVENTI

ARTICOLO COMPLETO E SERVIZIO FOTOGRAFICO:

THE FAUNSFirenze, Tender Club – 1 novembre 2014

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Al Tender di Firenze la prima tappa della turnè italiana del gruppo shoegaze di Bristol capeggiato dalla fascinosa Alison Garner per presentare il nuovo album Litghts.

EVENTI

Firenze

THE FAUNS A CURA DI SANDRO BINI

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