21
CLEOFE MALATESTI, 1421. TRAGICHE NOZZE BIZANTINE ANTONIO MONTANARI «Ci sono molti modi per indurre alla dimenticanza...» Paolo Rossi Niceta Coniate, cancelliere del basileo di Bisanzio, nel romanzo di Umberto Eco Baudolino sostiene: «Non ci sono storie senza senso. […] Solo che ci vuole tempo, bisogna considerare gli accadimenti, collegarli, scoprire i nessi, anche quelli meno visibili». Sono parole appropriate alla vicenda di Cleofe Malatesti. Che si svolge tra Costantinopoli, Costanza, Roma, Rimini (alla cui corte «per lo più» visse 1 ), Mistra l’antica Sparta capitale della Morea, Cipro e Pesaro. Qui nasce all’inizio del secolo (sua madre Elisabetta Da Varano muore nel 1405). Il 19 gennaio 1421 Cleofe sposa Teodoro Paleologo (1396—1448), despota di Morea 2 e figlio dell’imperatore bizantino Manuele II (1350-1425). Di questo matrimonio, concluso nel 1433 con la sua morte forse violenta 3 , i contemporanei non hanno scritto la storia. Od almeno non è giunta a noi alcuna narrazione utile a completare gli scarsi documenti sopravvissuti 4 , tra cui quattro lettere della stessa Cleofe alla sorella Paola Gonzaga. Il velo dell’oblio può non essere casuale. Ha osservato Paolo Rossi: «… ci sono molti modi per indurre alla dimenticanza e molte ragioni per le quali s’intende provocarla. Il “cancellare” […] ha anche a che fare con nascondere, occultare, depistare, confondere le tracce, allontanare dalla verità, distruggere la verità» 5 . 1. Scelta da papa Martino V Per cancellare la storia di Cleofe, bastano le fiamme che distruggono nel 1462 a Rimini gran parte dell’archivio malatestiano (poi spogliato delle carte superstiti fra 1511 e 1520 per iniziativa pontificia), ed il 15 dicembre 1514 a Pesaro la biblioteca ed i documenti della famiglia della giovane, dopo 1 Cfr. C. Clementini, Raccolto istorico, II, Rimini, 1627, p. 208. 2 Cfr. Ch. Diehl, Figures byzantines, II, Paris, 1927 8 , p. 285. 3 «Probabilmente assassinata» (cfr. S. Ronchey, L’enigma di Piero, Milano, 2006, p. 44) per evitare che mettesse al mondo un erede al trono bizantino. È «probabile» pure l’identificazione di Cleofe con la mummia di Mistra che «analisi molto sofisticate» attribuiscono ad «una giovane aristocratica occidentale, per la precisione un’italiana», eventualmente adriatica. Non è certa la natura di «una perforazione all’altezza del cuore» (cfr. ivi, pp. 201-202, 337-340). 4 Sono una cronaca veneto-moreota ed il Chronicon minus di G. Sfrantzes (1401-78), oltre alle orazioni funebri di G. Bessarione (1403-1472) e G. Gemisto Pletone (1355 ca- 1450). 5 Cfr. P. Rossi, Il passato, la memoria, l’oblio, Bologna, 1991, p. 25.

Cleofe Malatesti

Embed Size (px)

DESCRIPTION

1421, le tragiche nozze bizantine decise al concllio di Costanza

Citation preview

CLEOFE MALATESTI, 1421. TRAGICHE NOZZE BIZANTINE

ANTONIO MONTANARI

«Ci sono molti modi per indurre alla dimenticanza...» Paolo Rossi

Niceta Coniate, cancelliere del basileo di Bisanzio, nel romanzo di Umberto Eco Baudolino sostiene: «Non ci sono storie senza senso. […] Solo che ci vuole tempo, bisogna considerare gli accadimenti, collegarli, scoprire i nessi, anche quelli meno visibili». Sono parole appropriate alla vicenda di Cleofe Malatesti. Che si svolge tra Costantinopoli, Costanza, Roma, Rimini (alla cui corte «per lo più» visse1), Mistra l’antica Sparta capitale della Morea, Cipro e Pesaro. Qui nasce all’inizio del secolo (sua madre Elisabetta Da Varano muore nel 1405). Il 19 gennaio 1421 Cleofe sposa Teodoro Paleologo (1396—1448), despota di Morea2 e figlio dell’imperatore bizantino Manuele II (1350-1425). Di questo matrimonio, concluso nel 1433 con la sua morte forse violenta3, i contemporanei non hanno scritto la storia. Od almeno non è giunta a noi alcuna narrazione utile a completare gli scarsi documenti sopravvissuti4, tra cui quattro lettere della stessa Cleofe alla sorella Paola Gonzaga. Il velo dell’oblio può non essere casuale. Ha osservato Paolo Rossi: «… ci sono molti modi per indurre alla dimenticanza e molte ragioni per le quali s’intende provocarla. Il “cancellare” […] ha anche a che fare con nascondere, occultare, depistare, confondere le tracce, allontanare dalla verità, distruggere la verità»5.

1. Scelta da papa Martino V Per cancellare la storia di Cleofe, bastano le fiamme che distruggono nel 1462 a Rimini gran parte dell’archivio malatestiano (poi spogliato delle carte superstiti fra 1511 e 1520 per iniziativa pontificia), ed il 15 dicembre 1514 a Pesaro la biblioteca ed i documenti della famiglia della giovane, dopo

1 Cfr. C. Clementini, Raccolto istorico, II, Rimini, 1627, p. 208. 2 Cfr. Ch. Diehl, Figures byzantines, II, Paris, 19278, p. 285. 3 «Probabilmente assassinata» (cfr. S. Ronchey, L’enigma di Piero, Milano, 2006, p. 44)

per evitare che mettesse al mondo un erede al trono bizantino. È «probabile» pure l’identificazione di Cleofe con la mummia di Mistra che «analisi molto sofisticate» attribuiscono ad «una giovane aristocratica occidentale, per la precisione un’italiana», eventualmente adriatica. Non è certa la natura di «una perforazione all’altezza del cuore» (cfr. ivi, pp. 201-202, 337-340).

4 Sono una cronaca veneto-moreota ed il Chronicon minus di G. Sfrantzes (1401-78), oltre alle orazioni funebri di G. Bessarione (1403-1472) e G. Gemisto Pletone (1355 ca-1450).

5 Cfr. P. Rossi, Il passato, la memoria, l’oblio, Bologna, 1991, p. 25.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 2

che nel 1432 e nel 1503 l’«arrabbiato popolo» della città marchigiana aveva distrutto «le scritture» pubbliche6.

Cleofe muore certamente a Mistra e non a Pesaro come voleva un’infondata tradizione7 che la diceva fuggita nel 1430 verso l’Italia sotto la guida del fratello Pandolfo, arcivescovo di Patrasso, ed approdata a Rimini. Era stata mandata all’altare con la dispensa di Martino V. Il papa l’aveva scelta «personalmente»8 allo scopo di riavvicinare le Chiese di Roma e Costantinopoli, e porre così fine allo scisma d’Oriente del 1054. Da Rimini Cleofe era partita verso Venezia il 18 agosto 1420 con il triste presagio dell’imbarcazione costretta a rientrare in porto per il maltempo. Dovette compiere via terra il viaggio verso la laguna. Qui un’altra promessa sposa l’attendeva per raggiungere la corte bizantina. Era Sofia di Monferrato, destinata a Giovanni Paleologo, fratello dello sposo di Cleofe, e futuro basileo di Costantinopoli.

Anche di Sofia le cronache del tempo offrono scarse notizie. Una c’interessa. Nell’agosto 1425 Sofia scappa da Costantinopoli. Forse la notizia della fuga di Cleofe fu modellata su quella della cognata, mescolandola a quella da Patrasso del fratello arcivescovo Pandolfo. Certo è che nel 1428 Cleofe dà alla luce una bambina, Elena. Di lei le storie (anzi le leggende) non tengono conto quando narrano il rientro in Italia di sua madre. Se ebbe l’intelligenza «imbarazzante» che le è accreditata9, Cleofe non poté abbandonare la sua creatura ad un padre miserabile e fanatico. Ma scelse di percorrere sino in fondo la sua via dolorosa, affrontando ogni evento possibile, anche la morte violenta, pur di vedersi rispettato il diritto a mantenere la propria fede, garantito dalla dispensa papale e dai patti matrimoniali del 29 maggio 141910.

Quando si racconta una storia, da qualche parte bisogna pur partire, ammesso che «sia lecito darle un inizio», ha

6 Cfr. A. Degli Abati Olivieri Giordani, Della patria della beata Michelina, Gavelli, Pesaro, 1782, p. VIII. Il 1432 è l’anno della cacciata dei Malatesti (cfr. infra), ed il 1503 di quella di Giovanni Sforza.

7 Cfr. L. Tonini, Rimini nella signoria de’ Malatesti, Albertini, Rimini, 1880, IV, 1, p. 334: «Morì nel 1433, dicono in Pesaro». Fonte non dichiarata è F. G. Battaglini, Della vita e fatti di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Basini Parmensis poetae opera praestantiora, II, 2, Albertini, Rimini, 1794, pp. 257-698, p. 269. (Cfr. infra n. 52.) Battaglini scrive che, tra le notizie che non avrebbe potuto elencare, c’era quella che Cleofe «infine tornasse a casa». Tonini (ivi, p. 335) aggiunge che Cleofe fu condotta in Italia dal fratello Pandolfo arcivescovo di Patrasso.

8 Cfr. Ronchey, L’enigma di Piero, p. 21. 9 Ivi, p. 44. 10 Cfr. F. Ugolini, Storia dei conti e dei duchi d’Urbino, Urbino, 1859, p. 192. In n. 5 si

indica la provenienza di questi patti: «Archivio centrale, registro delle pergamene d’Urbino, N. 23d». Ugolini ivi riprende questa come altre notizie da un autore ricordato nelle rispettive nn. 3 e 4, J. Dennistoun, Memoirs of the Dukes of Urbino, Illustrating the Arms, Arts, and Literature of Italy, from 1440 to 1630, I, London, 1851, p. 36, n. 2: «A very curious contract, preserved in Archivio Diplomatico at Florence, and dated 29th May 1419, secures to her the exercise of her own religion and native usages during the marriage, and in case of widowhood, permits her return to Italy». Cfr. S. Lampros, Palaiologeia kai Peloponnesiaka, IV, Athenai, 1930, pp. 102-103; O.F. Tencajoli, Principesse italiane, Roma, 1933, p. 117.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 3

osservato Silvia Ronchey. A lei spetta il merito della riscoperta di Cleofe, con particolare attenzione ai decenni successivi alla sua scomparsa. Per ricostruire invece i momenti in cui prima maturò la scelta su Cleofe quale sposa bizantina e poi calò un complice silenzio sulla sua sorte, dobbiamo partire da un altro scenario. Dove, oltre a donne, cavalieri, armi ed amori, si ritrovano pure i papi dell’altro scisma, quello d’Occidente (1378-1417), e persino il capo-brigante Braccio di Montone (1368-1424). Figlio del nobile perugino Oddo, Braccio affamò Roma bloccandone i rifornimenti e finì ingaggiato da Giovanni XXIII, l’antipapa che ebbe la tempra da condottiero spietato degna d’un principe laico.

2. Casa Malatesti, tra nozze e delitti Il 12 luglio 1416 Braccio cattura due capitani di ventura della famiglia Malatesti: il fratello di Cleofe, Galeazzo (1385-1461), figlio del signore di Pesaro Malatesta I «dei Sonetti o Senatore» (1366 ca-1429), ed un suo congiunto, Carlo (1368-1429) signore di Rimini. La parentela fra il ramo marchigiano e quello romagnolo, è in apparenza lontana. Il capostipite è Pandolfo I (1304-1326) figlio del fondatore della dinastia Malatesta da Verucchio che aveva conquistato Rimini nel 1295. Da Pandolfo I sono nati Galeotto I (1299-1385) e Malatesta Antico detto Guastafamiglia (1322-1364). A Malatesta Antico fa capo il ramo marchigiano con suo figlio Pandolfo II (1325-73) signore di Pesaro, Fano e Fossombrone, ed il figlio di costui Malatesta I, padre di Cleofe. Il ramo romagnolo deriva dal fratello del bisnonno di Cleofe, Galeotto I di cui Carlo di Rimini è figlio. A consolidare la parentela, oltre agli affari ed alle imprese mercenarie, sono state due sorelle di Camerino, Gentile Da Varano sposatasi con Galeotto I11 (1367), ed Elisabetta con Malatesta I (1383).

Alla morte del signore di Pesaro Pandolfo II (1373), l’erede Malatesta I ha circa sette anni. Ne assume la tutela Galeotto I di Rimini, per disposizione testamentaria dello stesso Pandolfo II. Galeotto I era ben conosciuto a Pesaro (città che per prestigio allora superava Rimini), avendo esercitato la supplenza per il nipote Pandolfo II durante le sue campagne militari ed i viaggi in Boemia ed Inghilterra. Pandolfo nel testamento ha inserito due clausole. Con la prima diffida i parenti riminesi a non molestare gli eredi del signore di Pesaro nella loro legittima successione, pena il subentro diretto dello

11 Si tratta della seconda moglie di Galeotto Malatesti. La prima è Elisa, figlia di

Guglielmo signore della Valletta e nipote del rettore della Marca d’Ancona. Elisa, sposatasi nel 1324, genera Rengarda e muore come la figlia nel 1366. Anche Gentile (o Gentilina) Da Varano era reduce da un precedente matrimonio, con Gentile Orsini conte di Sovana, a cui dette Nicolina. (La nonna paterna di Cleofe era una Orsini, Paola di Bertoldo.)

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 4

Stato della Chiesa. La seconda prevede che, in mancanza di eredi per Malatesta I, potessero subentrargli le sorelle Paola Bianca ed Elisabetta con i loro figli maschi. Mentre Elisabetta sposa Rodolfo III Da Varano (cugino dell’Elisabetta moglie di Malatesta I), Paola Bianca prende come secondo marito Pandolfo III di Rimini (1370-1427), figlio di Galeotto I il tutore del piccolo Malatesta I di Pesaro.

Rodolfo III (1399-1424), dopo la morte della moglie Elisabetta Malatesti, sposa Costanza Smeducci da cui ha due figli maschi, protagonisti e vittime di episodi atroci fra 1433 e 1434, e due figlie femmine, Ansovina (+1423) e Nicolina (+1429). Ansovina sposa nel 1421 Pandolfo III che avrà come seconda moglie Paola Bianca Malatesti di Pesaro. Nicolina ha due mariti: il primo è Galeotto figlio di Andrea Malatesti detto Malatesta (+1416) il quale era fratello di Carlo di Rimini fatto prigioniero da Braccio di Montone. Il secondo sposo di Nicolina è proprio lo stesso Braccio che nel 1421 ha da lei un figlio, Carlo Fortebraccio. Con il quale si ripristina in famiglia la nobiltà degli avi.

I figli maschi di Rodolfo III e della Smeducci sono Piergentile decapitato il 6 settembre 1433 e Giovanni II, ucciso nello stesso anno dai fratellastri Gentile IV Pandolfo e Berardo III (ammazzati poi nel 1434), figli della prima moglie Elisabetta Malatesti sorella di Malatesta I di Pesaro. Piergentile aveva a sua volta sposato un’altra Elisabetta Malatesti (1407-77), figlia di Galeazzo di Pesaro e quindi nipote di Malatesta I. Questa Elisabetta Malatesti nel 1441, alla morte dell’arcivescovo Pandolfo, è nominata sua erede.

Da Piergentile ed Elisabetta nascono Rodolfo IV Da Varano e Costanza (1428-47). Costanza nel 1444 andrà in moglie ad Alessandro Sforza (1409-73). Gli darà una figlia, Battista, che sposerà Federico da Montefeltro. Nel 1445 Alessandro Sforza diverrà signore di Pesaro. Giovanni II Da Varano ebbe da Bartolomea Smeducci un figlio, Giulio Cesare (1432-1502), che nel 1451 sposerà Giovanna Malatesti (1443-1511), figlia di Polissena Sforza e Sigismondo Pandolfo signore di Rimini.

3. Armi, affari e corti papali Malatesta I dispone del governo di Pesaro e Fossombrone dopo la scomparsa (1385) del tutore Galeotto I, i cui figli si suddividono così il potere: a Galeotto Belfiore (1377-1400) vanno Cervia e Bertinoro, a Carlo tocca Rimini, a Pandolfo III Fano, ad Andrea Cesena. Nel 1404 Pandolfo III aggiunge Brescia, e nel 1408 Bergamo. All’inizio della tutela esercitata a Pesaro, Galeotto I aveva fatto causa a quella signoria, rivendicandone (con soddisfazione) una parte delle rendite quale ricompensa per le supplenze svolte in nome del defunto

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 5

Pandolfo II. Nel 1367 Pandolfo II era stato uno dei signori che avevano accompagnato da Napoli a Roma papa Urbano V appena eletto, per difenderlo dai cardinali contrari al suo progetto (realizzato soltanto per un triennio) di riportare la sede di Pietro da Avignone al luogo originario. I Malatesti sono costretti a giocare un ruolo subalterno alla Chiesa. La loro autorità, che giuridicamente trae origine dalla investitura in temporalibus, in sede politica è limitata dal fatto che non gli appartengono i territori in cui agiscono. Debbono adeguarsi alle alterne vicende del papato, ed essere preparati ad ogni suo cambiamento. Per loro conta soltanto il volere di chi, in punto di diritto, ha titolo alla concessione del vicariato, cioè il pontefice. Fin che Roma è amica, i Malatesti sono salvi. Se il successore di Pietro aziona lo schiacciasassi delle scomuniche, allora è il principio della fine. Succede con Pio II che annienta Sigismondo Pandolfo a metà del secolo XV12. Ma accade ancora prima, in modi più velati, proprio con la famiglia di Cleofe.

Avventurieri in armi e persino modesti banchieri rivali dei prestatori ebrei (talora indispensabili al loro casato13), i Malatesti sono quello che i pontefici permettono e concedono. Da ciò derivano i loro affanni. Ricercano cinicamente posti in prima fila, benemerenze ed imprese militari per irrobustire i loro precari domini. Sono astuti procacciatori d’affari per via matrimoniale, tessendo una rete di protezione che non funziona come sperato. Avevano le capacità professionali e culturali necessarie per raggiungere gli scopi a cui miravano. Ma, a causa dell’investitura e della dipendenza ecclesiastica, non furono mai principi a pieno titolo. I noiosi ma indispensabili intrecci genealogici ripercorsi sin qui, illustrano il contesto inquieto nel quale si svolge la vicenda di Cleofe. Scelta dal papa quando la sua famiglia era in auge, la giovane è poi abbandonata (e forse eliminata14) da quella medesima Roma che, nello stesso anno in cui lei muore, fa decapitare Piergentile Da Varano, marito di sua nipote Elisabetta.

4. Il padre di Cleofe contro lo scisma Malatesta I, il padre di Cleofe, è stato in affari con Urbano VI, prestandogli diecimila fiorini e ricevendo in pegno biennale il vicariato nella città di Orte (1387). Il papa nello stesso anno gli

12 Cfr. A. Montanari, Pietre sul Mediterraneo. Il tempio di Sigismondo Malatesti, in

«Civiltà del Mediterraneo», VI-VII (2007-2008), 12-13, pp. 13-33, 33. 13 Il caso più noto riguarda la fabbrica del tempio malatestiano: nel 1462 Sigismondo

Malatesti ottiene un prestito da Abramo figlio di Manuello di Fano. Cfr. Montanari, «L’Heretico non entri in fiera». Società, economia e questione ebraica a Rimini nei secoli XVII e XVIII. Documenti inediti, in «Studi Romagnoli», LVIII (2007), Cesena, 2008, pp. 257-277, p. 266, n. 47.

14 In Ronchey, L’enigma di Piero, p. 376, si parla della «longa manus della curia romana».

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 6

ha chiesto il suo aiuto per proteggere l’arcivescovo di Ravenna Cosimo Migliorati cacciato dalla città. Bonifacio IX nel gennaio 1391, dopo la conferma del vicariato di Pesaro (con censo annuo di 1.800 fiorini) ed una riduzione sui censi non pagati (valida anche per i suoi fratelli), richiede a Malatesta I di difendere gli interessi della Santa Sede contro i ribelli di Ostra (Montalboddo). Confidando nell’appoggio romano, Malatesta I conquista Todi, Terni, Narni ed Orte, che nel 1395 con modi bruschi il papa chiede indietro.

A Rimini due messi pontifici bruciano pubblicamente le bolle di concessione dei vicariati e dei benefici concessi. Grazie alla mediazione di Carlo, Malatesta I rinunzia a Todi (riconquistata da Pandolfo III) ed alle altre località, e si accomoda con Bonifacio IX. Il quale lo onora con la carica semestrale di «senatore di Roma» e con il condono dei censi non soltanto per Todi (dove subentra il fratello del papa, Giovanello Tomacelli), Terni, Narni ed Orte, ma anche per Pesaro. Una riduzione quadriennale di un terzo del censo (da 1.800 a 1.200 fiorini annui) è concessa a Malatesta I da Gregorio XII nel 1407, causa peste e guerre. Tre anni dopo, il 28 giugno 1410, l’antipapa Giovanni XXIII vuole ricompensare Malatesta I dei danni subìti e delle spese fatte nei servizi ampi e fruttuosi prestati alla Chiesa durante il concilio di Pisa, «circa extirpationem detestabilis scismatis et consecutionem desideratissimae unionis». E gli attribuisce «vita durante» la somma di seimila fiorini all’anno, cifra significativa se paragonata ai 1.200 del censo annuo.

Nella vicenda di Todi agisce anche Pandolfo III signore di Fano, che prende possesso della città e la consegna al ricordato fratello del papa, Giovanello Tomacelli, rettore del patrimonio e del ducato di Spoleto. Nel 1399 Pandolfo III ottiene Osimo con altre località, e difende la Marca d’Ancona al soldo della Chiesa. Sia Malatesta I sia Pandolfo III sono poi oscurati nei rapporti diplomatici con Roma dal loro fratello Carlo, nominato rettore vicario della Romagna dal 1385 (subentrando al padre defunto) e confermato nel 1396 da Bonifacio IX. Che nel 1403 il signore di Rimini incontra personalmente.

La grande stagione malatestiana all’interno della vita della Chiesa comincia all’epoca di Gregorio XII. Eletto nel 1405, il papa si rifugia a Rimini il 3 novembre 1408 mentre si prepara il concilio di Pisa e dopo che Carlo lo ha salvato da un tentativo di cattura da parte dei suoi avversari. Per contattare il collegio cardinalizio, Carlo utilizza Malatesta I che in precedenza si è offerto a Gregorio XII per una missione diplomatica presso il re di Francia, inseritosi nelle dispute ecclesiastiche per interessi personali.

Pandolfo III incontra Gregorio XII a Cesena nel febbraio 1409, prima di recarsi a Bologna assieme a Malatesta I come paciere fra Carlo (governatore di Milano) ed il cardinale

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 7

Baldassarre Cossa, il futuro Giovanni XXIII. Nello stesso 1409 Galeazzo, figlio di Malatesta I, è nominato capitano generale per la Chiesa. Gregorio XII resta inascoltato quando decide di trasferire la sede del concilio ad Udine.

5. Il concilio, da Pisa a Costanza I lavori del concilio a Pisa iniziano il 25 marzo 1409: Gregorio XII è dichiarato deposto. Carlo Malatesti vi arriva come mediatore fra Gregorio XII ed i padri conciliari, ma in sostanza quale suo difensore. Non è accettata la sua offerta di Rimini per sede dell’assise ecclesiastica. Pisa gli pareva non adatta in quanto sottoposta alla dominazione dei fiorentini, avversari di Gregorio XII. Il primo approccio fra Carlo ed il concilio avviene attraverso il padre di Cleofe, Malatesta I, che si era attivato dopo l’elezione di Gregorio XII avvenuta il 2 dicembre 1406, ricevendo in premio il vitalizio del 1410. Mentre era capitano generale di Firenze, Malatesta I aveva avviato negoziati fra lo stesso Gregorio XII e l’antipapa Benedetto XIII (eletto nel 1394), entrambi deposti in contumacia a Pisa il 5 luglio 1409 e dichiarati «scismatici, eretici e notoriamente incorreggibili». Il loro posto, su iniziativa del cardinal Baldassarre Cossa, è preso il 20 giugno 1409 da Alessandro V (che scompare il 4 maggio 1410), detto «il papa greco» provenendo da Candia. Gli succede Giovanni XXIII il 17 maggio.

La collaborazione fra Malatesta I e Carlo in fatti d’arme è ricorrente: le condotte militari sono mestiere di famiglia. Meno nota è quella che riguarda gli aspetti politici e diplomatici, essendo state le cronache sempre impostate in chiave di una rivalità che, se esiste, tuttavia non predomina. Le divergenze operative tra i congiunti Malatesti possono esser anche servite ad allargare lo spettro della loro attività, mirando però ad uno scopo comune, fortificare comunque la dinastia.

Carlo Malatesti, pur avendo visto fallire la sua missione a Pisa con il rifiuto del trasferimento del concilio a Rimini, è tornato alla carica con un messaggio ai padri che giunge quando essi sono già in conclave per scegliere «il papa greco». Carlo interviene ancora presso i cardinali convenuti a Bologna per le esequie di Alessandro V. Al nuovo papa Giovanni XXIII (quel Cossa con cui era stato riappacificato dal fratello Pandolfo III), Carlo scrive da Venezia il 16 aprile 1411. Gli prospetta vari progetti per addivenire alla riunione della Chiesa. Prima di muovergli guerra nello stesso mese come rettore della Romagna per ordine di Gregorio XII e con l’aiuto di Pandolfo III, al fine di «reperire pacem et unionem Sactae Matris Ecclesiae». Gregorio XII in una bolla del 20 aprile 1411 scrive che Carlo, «verae fidei propugnator», aveva giustamente deciso «se de mandato nostro movere, et pro defensione catholicae fidei, ac honore et statu, atque vera unione ac pace universali Ecclesiae».

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 8

In dicembre a Carlo i veneziani, fedeli a Giovanni XXIII, affidano un esercito da guidare contro l’imperatore Sigismondo. Nell’agosto 1412 Carlo resta ferito e deve lasciare il comando al fratello Pandolfo III. Il 24 dicembre 1412 Gregorio XII ritorna a Rimini da Carlo che nel frattempo ha inutilmente tentato di costituire una lega a favore del papa. A Carlo, all’inizio di gennaio 1413, i fiorentini spediscono un messo nella vana speranza di poter convincere Gregorio XII a rinunziare al pontificato, convalidando così l’elezione di Giovanni XXIII, che il signore di Rimini invece considerava nulla.

Nel novembre 1413 Pandolfo III si reca a Cremona per rendere omaggio al re d’Ungheria ed a Giovanni XXIII. Con il re d’Ungheria, che aveva sottratto alla Serenissima i territori di Treviso, Udine, Cividale e Feltre, trattative erano state intavolate da Malatesta I. Al quale si rivolge Giovanni XXIII allo scopo di attirare dalla propria parte Carlo Malatesti. Per consolidare la sua posizione, Giovanni XXIII convoca un altro concilio a Roma, invocando la protezione dell’imperatore Sigismondo. Il quale impone come sede la città di Costanza. Dove ritroviamo Carlo Malatesti. E da dove Giovanni XXIII, dichiarato decaduto, fugge nella notte fra il 20 ed il 21 aprile 1415.

Sia a Pisa sia a Costanza, Carlo s’impone come mediatore fermo ma aperto alle altrui ragioni, oltre che sottile analista e dotto polemista, mettendo in ombra ruolo e figura di Malatesta I. Il quale imita l’atteggiamento di Carlo a favore di Gregorio XII, ed abbandona Giovanni XXIII dimenticando il cospicuo vitalizio da lui ricevuto nel 1410.

6. Da Costantinopoli a Costanza Il concilio di Costanza si apre solennemente il 5 novembre 1414. Il 13 maggio 1415 vi si legge la lettera scritta da Carlo Malatesti a Brescia il 26 aprile, nella sua veste di procuratore speciale di Gregorio XII «ad sacram unionem perficendam». Per ringraziamento Gregorio XII il 13 giugno da Montefiore Conca (località dell’entroterra riminese) concede un vicariato decennale in alcuni castelli della Chiesa ravennate al fratello di Carlo, Andrea Malatesti. Carlo giunge a Costanza sabato 15 giugno. Il 16 si presenta all’imperatore Sigismondo, «significandogli la propria missione, e come fosse diretto a lui, non al Concilio, che Papa Gregorio non riconosceva»15. Nei giorni successivi Carlo visita i deputati delle singole nazioni, con particolari ricevimenti da parte di quelli italiani, inglesi, tedeschi e francesi. A loro illustra la sua funzione di incaricato «ad emettere semplicissima rinunzia a nome» di Gregorio XII.

15 Cfr. Tonini, Papa Gregorio XII e Carlo Malatesti, o sia la cessazione dello Scisma

durato mezzo secolo nella Chiesa di Roma, SC-MS. 1344, Biblioteca A. Gambalunga, Rimini, c. 111r.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 9

Aggiunge però «gli intendimenti suoi sulle formule da osservare» con richiami all’«autorità di scritture e Padri»16.

Il 16 giugno Carlo incontra Manuele II imperatore d’Oriente, che diventerà suocero di Cleofe. A Costanza si trovano anche il patriarca di Costantinopoli Giovanni Rochetaillée [De Rupescissa], e l’amministratore loco episcopi della diocesi di Brescia dal 1413, l’«arcidiacono bolognese»17 Pandolfo, fratello di Cleofe. Pandolfo sarà nel 1417 presente nel conclave18 da cui esce eletto Martino V, e nel 1424 inviato quale arcivescovo alla diocesi di Patrasso dipendente da Costantinopoli. Dall’ottobre 1418 al 1424 Pandolfo è vescovo di Coutances in Normandia, nei duri momenti della conquista inglese durante la guerra dei cento anni.

Il 4 luglio 1415 Carlo legge la bolla di rinuncia di Gregorio XII (scritta a Rimini il 10 marzo), stando seduto al fianco dell’imperatore Sigismondo che presiede la XIV sessione conciliare, intitolata «Sede Apostolica vacante» per sottolineare la svolta ai fini della chiusura dello scisma. Il 6 luglio a Costanza è bruciato vivo Giovanni Huss, seguace di Wycliff e capo di una rivolta autonomistica in Boemia che impensieriva Sigismondo. Huss era stato invitato con un salvacondotto dell’imperatore. Fu attirato nella trappola dai padri conciliari che, non paghi del rogo su cui era stato giustiziato, fecero riesumare le sue ceneri per disperderle al vento come ultimo oltraggio.

Il 15 luglio all’ex Gregorio XII ritornato cardinal Angelo Correr, è conferita a vita la legazione della Marca d’Ancona19. In tale funzione egli utilizzerà i buoni uffici e le armi di Carlo per riportare all’ordine la Chiesa di Recanati passata all’antipapa Giovanni XXIII (nel frattempo arrestato, dopo la fuga da Costanza). Angelo Correr muore a Recanati il 26 novembre 1417. Nello stesso anno a Costanza il 26 luglio è deposto Benedetto XIII per la seconda volta dopo Pisa. L’11 novembre l’elezione di Martino V, Oddone Colonna, pone fine allo scisma20. Lorenzo Colonna, fratello del nuovo papa, è il padre di Vittoria che l’anno precedente è andata sposa a Carlo Malatesti di Pesaro, fratello di Cleofe.

È lecito ipotizzare che il nome di Cleofe sia circolato proprio a Costanza sia per questa sua parentela con il pontefice, sia per la presenza al concilio dell’altro suo fratello, l’arcidiacono Pandolfo, e di Carlo Malatesti signore di Rimini. L’8

16 Ibid. 17 La nomina bolognese risale al 1404. Nel 1407 Pandolfo è eletto governatore

dell’abbazia di Pomposa. Il decreto per l’incarico a Brescia è del 13 ottobre 1413. 18 La delegazione italiana che accompagna i cardinali in conclave (dall’8 all’11

novembre 1417) è composta di sei persone: il nostro Pandolfo, i tre vescovi Francesco Scondito di Melfi, Enrico Scarampi di Belluno e Feltre, e Giacomo de Camplo di Penne ed Atri, l’arcivescovo di Milano Bartolomeo de La Capra, ed il maestro generale dei domenicani Leonardo Dati.

19 Angelo Correr si reca da Rimini a Recanati dove si stabilisce, e da dove il 7 ottobre 1415 ratifica l’operato di Carlo con una lettera al concilio di Costanza.

20 Il concilio si conclude il 22 aprile 1418.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 10

aprile 1418 Martino V spedisce ai sei figli di Manuele Paleologo, designati alla successione, una lettera in cui li autorizza a sposare donne cattoliche21. Nel summit politico-religioso di Costanza, l’unità della Chiesa tanto invocata non poteva limitarsi alla risoluzione dello scisma d’Occidente ma doveva estendersi a quello d’Oriente. Più antico, più complesso e, come gli sviluppi successivi avrebbero dimostrato, esso era meno facile da affrontare e sanare. Se «il grande spettacolo di Costanza costituì il vero punto d’avvio del piano di salvataggio occidentale di Bisanzio»22, indubbiamente allora fu progettato il matrimonio dei due figli di Manuele con Cleofe di Pesaro e Sofia del Monferrato.

7. Da Costanza contro i Malatesti Chiuso il concilio di Costanza il 22 aprile 1418, Martino V torna in Italia. Il 12 ottobre è a Milano, poi verso il 20 va a Brescia. Da dove parte il 25 diretto a Mantova. Per difendere i territori della Chiesa, il papa ha altri contatti con i Malatesti di Rimini e Pesaro. I quali nel frattempo hanno ottenuto la liberazione di Galeazzo di Pesaro e Carlo di Rimini, catturati il 12 luglio 1416 da Braccio di Montone.

All’origine di questa disavventura ci sono fatti d’arme iniziati due anni prima. Nell’estate del 1414 Galeazzo e Carlo avevano lanciato un’offensiva alla Marca d’Ancona (conclusasi con la tregua annuale stabilita il 28 dicembre), e tra aprile e maggio 1415 erano andati contro Macerata. Braccio, assoldato da Giovanni XXIII, aveva risposto devastando i territori malatestiani di Fano, Pesaro, Rimini, Cesena e Forlì. Lo avevano fermato soltanto gli ambasciatori del concilio di Costanza. Inviati per pacificare lo Stato della Chiesa, essi si erano schierati contro tutti i Malatesti. Quando Braccio ha tentato di diventare signore della sua città, Perugia, essa ha chiesto aiuto a Carlo Malatesti di Rimini, intervenuto assieme a Galeazzo. Proprio durante quest’azione militare, essi sono stati imprigionati.

Per la loro liberazione, la moglie di Carlo di Rimini, Elisabetta Gonzaga, si era appellata ai padri conciliari. Malatesta I di Pesaro ed il figlio Carlo avevano percorso tutte le possibili strade diplomatiche. Per il riscatto dei prigionieri alla fine dovettero intervenire il duca di Urbino, Guidantonio di Montefeltro, e Gian Francesco Gonzaga. Guidantonio di Montefeltro era coinvolto dalla moglie Rengarda (sorella di Carlo di Rimini) e dalla sorella Battista, sposa di Galeazzo. Gian Francesco Gonzaga era figlio di Francesco (il fratello di Elisabetta, consorte di Carlo di Rimini) e di Margherita Malatesti (+1399) sorella dello stesso Carlo. Gian Francesco

21 Cfr. Ronchey, L’enigma di Piero, p. 21. 22 Ivi, p. 34.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 11

Gonzaga poi nel 1410 ha sposato Paola Malatesti sorella di Galeazzo e di Cleofe. Ad abundantiam, si consideri che Anna di Montefeltro, sorella di Battista e di Guidantonio, era la vedova di Galeotto Belfiore Malatesti di Cervia (+1400), fratello di Carlo di Rimini. Le ultime fasi della trattativa fra Braccio ed i Malatesti sono condotte da Pandolfo III di Brescia e Malatesta I di Pesaro. Ad accogliere Galeazzo liberato (aprile 1417), si reca ad Iesi sua moglie Battista.

8. Malatesti, l’inizio della crisi Quando Martino V dunque nell’ottobre 1418 passa per Brescia, vi trova Pandolfo III come suo vicario e quale amministratore loco episcopi della diocesi Pandolfo, fratello di Cleofe. Nella successiva tappa di Mantova dove arriva accompagnato da Pandolfo III, Martino V incontra Carlo di Rimini e la moglie Elisabetta. In giugno il papa ha chiesto a Carlo di appoggiare la lega che aveva formato con Napoli, ed un aiuto finanziario per pagare i soldati dello Stato della Chiesa. Carlo e Malatesta I hanno inviato un modesto contingente di soldati.

A Mantova il discorso di Martino V tocca una nota dolente per i Malatesti: la precarietà dei loro possedimenti in Lombardia. È quasi un annuncio di quanto succederà il 24 febbraio 1421 con la fine della signoria bresciana. Nel luglio 1418 un inviato del papa a Brescia ha cercato di indurre Pandolfo III a stipulare la pace con Milano od in alternativa concordare una tregua di sei mesi. In ottobre, prima dell’arrivo di Martino V, Pandolfo III ha avvisato Venezia dell’imminente visita del pontefice per convincerla alla pace con i Visconti. Da Venezia hanno risposto che Milano aveva affidato al papa la questione di Brescia.

La riconciliazione fra Visconti e Malatesti avverrà nel febbraio 1419, con la promessa di Pandolfo III della restituzione di Bergamo e Brescia alla propria morte. Nel novembre 1419 Martino V lo esenta dal censo destinato alla Camera apostolica. L’anno successivo Pandolfo III rompe la tregua, ma assediato e stremato si arrende ricevendo in cambio 34 mila fiorini. Nel 1421 inutilmente Pandolfo e Carlo di Rimini, assieme al vescovo di questa città, supplicano Venezia di accogliere la donazione di Brescia ormai indifendibile dal Malatesti, e chiedono la concessione di un prestito di seimila ducati per assoldare a sostegno della loro causa addirittura quel Braccio di Montone che aveva fatto prigioniero Carlo di Rimini e Galeazzo di Pesaro.

La successiva carriera di Pandolfo III vede la carica di capitano generale della Chiesa (1422) e di Firenze (1423). Il 4 ottobre 1427, egli è colto da malore a Fano dove muore a 57 anni. Si narra che stesse compiendo un pellegrinaggio a piedi da Rimini a Loreto, per invocare la guarigione dai malanni che lo affliggevano, aggravati dalle fresche nozze (12 giugno) con una

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 12

giovane fanciulla, Margherita Anna dei conti Guidi di Poppi. Le cronache malatestiane ricostruiscono la scena della sua scomparsa, con lui «ben confesso e contrito» fra le braccia di frate Iacono della Marcha, noto per le sue predicazioni contro gli hussiti in Ungheria e gli eretici «fraticelli» d’ispirazione francescana nell’Italia centrale. Nel 1399 Pandolfo III aveva compiuto un pellegrinaggio «con onoratissima compagnia al Santo Sepolcro, ove ricevette l’ordine di Cavalleria per mano del Gran Maresciallo d’Inghilterra»23.

Nessuna delle tre spose legittime gli lasciò eredi. Altrettanti figli ebbe dalle sue concubine, Allegra dei Mori (Galeotto Roberto) ed Antonia da Barignano (Sigismondo Pandolfo e Domenico Malatesta Novello). Dopo la morte del padre, essi passano sotto la tutela dello zio Carlo di Rimini che li fa legittimare dal papa Martino V nel 1428. Nello stesso anno Galeotto Roberto prende in moglie Margherita d’Este, figlia del signore di Ferrara.

9. Malatesti cacciati da Pesaro Ritorniamo a Mantova nell’ottobre 1418. Presso Martino V arriva Malatesta I. Il papa gli concede la rinnovazione della signoria di Pesaro e la sede vescovile di Coutances per suo figlio l’ecclesiastico Pandolfo, dal 22 marzo cappellano pontificio, con una rendita annuale di ottomila ducati. Poi giungono i coniugi Battista e Galeazzo di Pesaro. Lei, educata alle umane lettere, amate anche da suo padre Antonio conte di Urbino, si segnala per l’orazione gratulatoria che recita a Martino V. A fine del novembre 1418 dal papa si reca Gian Francesco Gonzaga (cognato di Cleofe) che l’11 gennaio successivo è creato duca di Spoleto. Nel gennaio 1419 Martino V riceve Taddea di Pesaro, sorella di Cleofe. Martino V parte da Mantova per Roma il 30 gennaio. Fa una sosta a Ravenna. Nello stesso anno il papa nomina Guidantonio di Montefeltro, marito di Rengarda sorella di Carlo di Rimini, capitano generale contro Braccio di Montone. Guidantonio, rimasto vedovo di Rengarda nel 1423, l’anno dopo sposa Caterina Colonna, sorella di Vittoria cognata di Cleofe. Dopo queste nozze, nel 1425 Martino V ratifica gli accordi fra Malatesti e Montefeltro.

Pacificata la Chiesa d’Occidente, il papa tenta di ripetere l’operazione con quella d’Oriente. Proprio nel 1419 avviene la scelta di Cleofe e di Sofia, gettate quali vittime sacrificali sull’altare della «ragion di Stato» applicata alle questioni religiose. Ai Malatesti sembra di aver raggiunto la vetta della loro fama internazionale. Nel 1429 con la scomparsa di Carlo di Rimini gran regista degli affari del casato (14 settembre), e di Malatesta I di Pesaro (19 dicembre), escono di scena i

23 Cfr. Clementini, Raccolto istorico, II, p. 194.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 13

protagonisti di una stagione difficile ma con momenti esaltanti come la partecipazione al concilio di Costanza.

All’inizio del 1430 quando Patrasso passa dal dominio veneziano (iniziato nel 1424) a quello bizantino24, l’arcivescovo Pandolfo fugge dalla sua sede e ritorna a Pesaro. Non è una pavida rinuncia alle proprie responsabilità ma un ultimo, inutile tentativo per salvare la sorella rimasta in Morea, dopo aver preso atto del fallimento della missione affidatale25. Il contesto politico nel quale Pandolfo si trova ad agire una volta giunto in Italia, è sfavorevole non soltanto alla sua persona ma pure a tutta la sua famiglia e quindi anche a Cleofe. Un ottimo conoscitore delle carte mantovane osserva: «A riscattar la sorella dalle unghie del marito scismatico s’adoprava assai l’arcivescovo di Patrasso»26.

Il 19 settembre Pandolfo è dichiarato vicario in temporalibus per Pesaro, assieme ai fratelli Galeazzo e Carlo. Con i quali nel giugno 1432 è cacciato da armati al soldo della Chiesa, poco dopo la morte di Martino V e l’elezione di Eugenio IV. Per un accordo tra i Malatesti ed il papa agiscono estensi e veneziani. Questi inviano un contingente a presidio della città. Nel settembre 1433 una rivolta popolare favorisce il richiamo dei Malatesti, dopo che Carlo ha assediato Pesaro e devastato il contado. Il 15 settembre è fatta la pace con il papa, con la perdita di Fano e di Gradara data in garanzia ai parenti di Rimini. I quali poi non la restituiranno, disobbedendo agli ordini di Eugenio IV, conseguenti al riconoscimento de iure dei vicariati malatestiani di Pesaro (1435).

Per gli eredi di Carlo a Rimini cambiano molte cose. Martino V dichiara devoluti alla Chiesa i territori del defunto, ed invia allo scopo un messo in città il 23 gennaio 1430, offrendo il diritto di rivalsa. Il papa vuole alzare il prezzo della concessione, vedere saldati i debiti e ridurre l’estensione del vicariato. L’11 marzo la controversia è chiusa con accordi preliminari raggiunti anche grazie ad Elisabetta, la vedova di Carlo che protegge e guida i tre giovani subentrati nel governo: Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico Malatesta Novello. L’investitura reca la data dell’8 settembre e riguarda soltanto Rimini, Cesena e Fano. La somma da pagare alla Camera apostolica è prestata ai Malatesti da Niccolò d’Este, suocero di Galeotto Roberto, e da banchieri ebraici.

Le soldatesche aggiratesi tra gennaio e settembre 1430 nei territori riminesi, sono identificate in forze inviate dai Malatesti di Pesaro partendo da un successivo, oscuro episodio. Il 9 maggio 1431 a Rimini arriva Carlo di Pesaro con fanti e cavalli, ma Sigismondo Pandolfo lo mette in fuga. Ciò accade nel

24 «Il fatto che Pandolfo fosse cognato del despota Teodoro non aveva impedito ai fratelli Paleologhi di attaccare» Patrasso nel 1428 (Ronchey, L’enigma di Piero, p. 88).

25 Ivi, pp. 88-89. 26 Cfr. P. Torelli, L’archivio Gonzaga di Mantova, Ostiglia, 1920, p. 181.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 14

mezzo dei disordini provocati tra 5 e 9 maggio dall’opposizione aristocratica utilizzando un parente e tutore di Galeotto Roberto. Fanno fallire il moto di rivolta una soffiata fatta a Galeotto Roberto dal suocero Nicolò d’Este, l’ardita reazione militare a Cesena di Sigismondo Pandolfo, appena quattordicenne, la lealtà dei sudditi e le pressioni di Venezia, attenta custode dell’equilibrio della Romagna. Galeotto Roberto scompare il 10 ottobre 1432 a 21 anni. Sigismondo Pandolfo (1417-1468) e Domenico Malatesta Novello (1418-1465) nel 1433 si suddividono il potere. A Sigismondo vanno Rimini e Fano. A Novello tocca Cesena.

I rapporti tra Martino V ed i Malatesti di Pesaro erano diventati tesi a causa della vicenda dell’arcivescovo di Patrasso, Pandolfo. Nel 1429 a difenderlo presso i sovrani bizantini si era recato suo padre Malatesta I, approfittando di una fallita missione d’affari a Mistra affidatagli da Venezia27. Roma non dovette gradire troppo l’iniziativa. Anche perché era facile immaginare che a Mistra egli si fosse incontrato con la stessa Cleofe, venendo a conoscere inquietanti particolari della vicenda che la riguardava. Nei primi mesi del 1430, dopo la scomparsa di Malatesta I, Pandolfo rientra in Italia.

10. Martino V dimentica Cleofe Nel 1427 Martino V era stato informato delle tristi condizioni in cui versava Cleofe, da un appello di Battista di Montefeltro, moglie di Galeazzo di Pesaro28, inviato attraverso l’arcivescovo Pandolfo29. Battista aveva chiesto al papa di soccorrere la cognata perché temeva che la mente della giovane potesse cedere, sentendosi abbandonata «in mediis fluctibus»30. Cleofe «a viro suo cogebatur sequi opinionem Graecorum».

Nel 1427, il 22 gennaio, al pontefice si era pure rivolta Paola Malatesti31 sorella di Cleofe e moglie di Gian Francesco Gonzaga, invocando l’aiuto di cui era bisognosa l’«infelice» sposa assieme al loro padre. La risposta di Martino V fu un solenne decreto che minacciava la scomunica per la giovane, mandata tra i greci con lo scopo di convertirli alla vera fede, se non fosse

27 Cfr. Ronchey, L’enigma di Piero, pp. 72, 126, 217. 28 La missiva, s.d., è pubblicata nel 1782 da Degli Abati Olivieri Giordani nelle Notizie

di Battista di Montefeltro, Gavelli, Pesaro, p. XXXV. La data da noi usata è ipotizzata in Ronchey, L’enigma di Piero, p. 77. Cfr. infra n. 31.

29 Cfr. G. Patrignani, Le donne del ramo di Pesaro, in Donne di Casa Malatesti, a cura di A. Falcioni, II, Rimini, 2005, pp. 787-909, p. 836. Battista il 12 febbraio 1427 comunica a Paola di aver contattato «el signor nostro Pandolfo et monsignor l’arcivescovo» (cfr. Falcioni, Cleofe Malatesti nelle fonti epistolari mantovane, in Donne di Casa Malatesti, cit., pp. 955-968, 965-966).

30 «Timendum namque est, ne mens illa, quae invisibili subsidio roborata hucusque incredibili fortitudine immota permansit, deicenps pusillanimitatem deficiat, praesertim si in mediis fluctibus se derelictam senserit, nec saltem sibi manum porrigi sublevatam».

31 L’appello di Battista a Martino V si può collocare tra questa lettera di Paola al pontefice (22.1.1427) ed una risposta di Battista a Paola del 12.2.1427 (cfr. infra n. 40). Manca la precedente lettera di Paola a Battista.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 15

tornata alla confessione cattolica nel caso in cui se ne fosse allontanata. Il papa confessava lo scopo della missione di Cleofe con un’arroganza che non conosceva umana pietà verso la sposa bizantina. La quale era alle prese con un marito afflitto, nei primi anni del matrimonio, da una vocazione monastica che impedì la immediata consumazione delle nozze. Ed era circondata da una corte che l’aveva costretta ad una formale abiura della sua fede.

L’arcivescovo Pandolfo il primo marzo 1438, alla vigilia del concilio di Ferrara, invia alla sorella Paola un’epistola in cui parla della situazione della Chiesa di Patrasso illegalmente usurpata dai Paleologi32, esprimendo il suo rammarico verso il papa che gli appariva «non molto benivolo» nei suoi riguardi33. Pandolfo sa che a Ferrara è atteso l’imperatore greco Giovanni VIII Paleologo34.

Giovanni VIII aveva sposato Sofia di Monferrato (fuggita nel 1426), ed è fratello di Teodoro vedovo di Cleofe. Pandolfo scrive a Paola che Giovanni VIII ed i suoi fratelli sono quelli «che hanno usurpato» la Chiesa di Patrasso35. Ciononostante, se l’imperatore si accorderà con il concilio, alla fine il pontefice dovrà accontentare Giovanni VIII privando lo stesso Pandolfo della carica di arcivescovo, perché il «papa ha tanto bisogno de esso imperadore». La lunga lettera di Pandolfo a Paola esamina questioni di galateo religioso in un momento confuso che vede opporsi le pretese del primato conciliare a quelle del pontefice. Ed offre un riassunto efficace delle tensioni della corte romana, legate sia alla vicenda particolare di Pandolfo sia a quella ormai archiviata di Cleofe. Ma proprio il passaggio della missiva, in cui si legge che il «papa ha tanto bisogno de esso imperadore», può servire a comprendere il silenzio caduto sulla sorte di Cleofe. La rete di protezione domestica intessuta con le alleanze matrimoniali, a nulla era servita. Cleofe è stata lasciata al suo destino non dai famigliari ma da Martino V, come testimonia la minaccia di scomunica inviatale.

Giovanni VIII al concilio di Ferrara testimonia l’angustia provata dal padre per la minaccia turca36. Costantinopoli tra 1397 e 1399 era stata assediata dagli ottomani: «la popolazione presa nella morsa della fame» aveva desiderato «che la città

32 Cfr. Falcioni, La politica militare e diplomatica di Sigismondo Pandolfo e di Malatesta

Novello, in I Malatesti, a cura di Falcioni e R. Iotti, Rimini, 2002, pp. 137-210, 149. 33 Ivi, pp. 202-203, n. 53. 34 Cfr. G. Broglio Tartaglia, Cronaca malatestiana del secolo XV, a cura di A.G. Luciani,

Rimini, 1982, p. 56. A Ferrara arriva anche il patriarca di Costantinopoli, Giuseppe II. Broglio definisce l’arcivescovo Pandolfo «grande religioso di bona vita» e «dottissimo in iscienza» (p. 33).

35 Nel 1428 Patrasso è attaccata dai Paleologi; nel 1430 passa sotto il loro controllo (Ronchey, L’enigma di Piero, p. 88).

36 Cfr. A. Landi, Il papa deposto. Pisa 1409, l’idea conciliare nel Grande scisma, Torino, 1985, p. 219.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 16

fosse conquistata» per porre fine alle proprie sofferenze37. Nel 1410 Manuele II aveva chiesto ad Alessandro V poco prima che questi morisse, di trattare per l’unificazione della Chiesa d’Oriente a quella d’Occidente. La pericolosità dei musulmani aveva avuto conferma nel 1422 con un altro assedio, fallito per essere troppo esiguo il loro esercito. La presenza di Giovanni VIII a Ferrara nel 1438 è un intermezzo che precede la scena finale del 29 maggio 1453, la conquista turca di Costantinopoli. Mentre nel suo porto si trovano anche navi veneziane e genovesi38 a rappresentare simbolicamente quel terzo incomodo fra autorità laiche e religiose, che è impersonato dal potere economico.

11. Lettere di Cleofe alla sorella L’arcivescovo Pandolfo e Giovanni VIII Paleologo ci hanno introdotto al tema del concilio che si tiene a Ferrara, ma era stato convocato a Basilea da Martino V nel 1431, poco prima della morte (avvenuta in febbraio), per tentare di chiudere lo scisma d’Oriente. Il concilio inizia sotto il suo successore Eugenio IV, eletto il 3 marzo 1431. A Basilea si conducono le trattative con i Greci per riallacciare i rapporti fra la Chiesa ortodossa e la cattolica. Quando si esprimono posizioni sempre più contrarie al primato pontificio, Eugenio IV lo trasferisce a Ferrara (1437). L’arrivo di truppe milanesi a Ravenna, Bologna e Rimini, suggerisce al papa di spostare il concilio a Firenze, dove nel 1439 si stabilisce l’unione delle due Chiese, respinta da quella russa e fortemente osteggiata da Costantinopoli, mentre si elegge l’antipapa Felice V. Il concilio si chiude nel 1442 a Roma.

Il ricordo di Cleofe non dovette mancare fra quanti frequentarono il concilio di Eugenio IV a Firenze. In questa città Sigismondo Pandolfo Malatesti era ben conosciuto per avervi compiuto due viaggi tra 1435 e 1436. Non tutto ciò che è taciuto, è dimenticato. L’ombra di Cleofe non poté non tormentare i severi custodi dell’ortodossia delle due Chiese: la sua morte (violenta o no) raccontava il dissidio provocato all’interno della sua famiglia d’adozione dallo scontro religioso fra Roma e Costantinopoli. Ne fanno fede le quattro lettere39 di Cleofe alla sorella Paola (1426-1428), ed un’epistola inviata40 da

37 Cfr. A. Pertusi, Introduzione a La Caduta di Costantinopoli. Le testimonianze dei

contemporanei, I, Milano, 1997, p. XI. 38 Ivi, p. LXIII. 39 Cfr. in Falcioni, Cleofe Malatesti, pp. 964-968. Le rispettive date sono: 5.10.1426,

26.1.1428, 20.3.1428, 18.7.1428. 40 Apparsa nel 1917 (cfr. Falcioni, Cleofe Malatesti, p. 965), è riprodotta da Ead.,

Pandolfo Malatesti, arcivescovo di Patrasso, in «Bizantinistica. Rivista di studi bizantini e slavi», serie II, I (1999), pp. 73-89, p. 86: il doc. proviene dal fondo Gonzaga in ASMn, carteggio Affari in Rimini, cfr. ivi, p. 81, n. 35.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 17

Battista di Montefeltro alla stessa Paola, sua cognata (12.2.1427). Cleofe parla delle proprie «gravissime pene», chiedendo preghiere per la sua anima «che del corpo non me ne incuro»41, con l’«animo […] asà pieno de tosecho e d’amaritudine»42 per cui si considera «sagurata»43. Battista, sulla presunta conversione di Cleofe, riporta una confessione ricevuta per interposta persona44: «Habito non fa monaco, bench’eo sia stata unta con un poco d’olio, sia certo ch’eo son con lo core così franca como eo fu mai». Seguono particolari sulla «castità et astintentia» del marito di Cleofe, che sembra le abbia promesso di «habitare con lei sei anni et non più». Battista smentisce le parole di Pletone circa la «compiutissima conversione»45 di Cleofe. Ammesso che Cleofe avesse barato con i congiunti dichiarando che «Habito non fa monaco…», si tratterebbe di un’ulteriore conferma del suo essere ostaggio in mano bizantina46.

Nella seconda lettera alla sorella (26.1.1428), Cleofe precisa di non dilungarsi perché non ha tempo, ed aggiunge: «[…] ma se volite savere, scrivite a quello vostro reverendissimo fradello», cioè all’arcivescovo Pandolfo, «che ve n’avixe e save, sarite informata»47. Quel «save» è l’aperta dichiarazione di Cleofe che Pandolfo conosceva le sue sventure, e le avrebbe potute raccontare alla sorella, mentre lei stessa doveva tacere perché non aveva «tempo». Ovvero non era libera di poter comunicare quanto avrebbe desiderato. Il 23.12.1429 Vittoria Colonna e Battista di Montefeltro informano Paola della morte del padre Malatesta I. Parlano del «martirio del suo corpo, che quasi se può dire martirio per le acerbe passioni che sì longo tempo ello ha portato»48. Queste ultime parole sembrano richiamare la vicenda di Cleofe. Il 27.12.1429 Battista scrive da Pesaro alla cognata Paola sempre sulla scomparsa di Malatesta I: «[…] dubito forte ch’el dolore non facia danno assai a la persona vostra, et a nui non bisognaria questa giunta»49.

12. Sua figlia Elena regina di Cipro

41 Lettera del 26.1.1428. 42 Lettera del 20.3.1428. 43 Lettera del 18.7.1428. 44 È il gentiluomo padovano Iacomo de Sancto Agnolo che, da Patrasso, era andato a

trovare Cleofe. 45 Ronchey, L’enigma di Piero, p. 77. 46 Ivi, p. 78: «non possiamo sapere con chi stia barando, se con i bizantini […], o se con i

cattolici per timore della punizione del papa». 47 Cfr. Falcioni, Cleofe Malatesti, p. 966. 48 Cfr. La Signoria di Malatesta ‘dei Sonetti’ Malatesti, a cura di E. Angiolini e Falcioni,

Rimini, 2002, pp. 169-170. (Le biografie di Malatesta I e dei suoi figli Carlo, Galeazzo e Pandolfo, composte da Falcioni, sono in DBI, 68, 2007, pp. 77-81, 21-23, 37-40, 95-97.)

49 Ivi, pp. 170-171.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 18

Forse per motivi soltanto politici50 nel 1427 Cleofe rimane incinta e l’anno dopo partorisce Elena Paleologa. Che è la prima erede diretta al trono di Costantinopoli oltre che di Mistra. Elena sposa nel 1442 Giovanni III di Lusignano (1418-1458), re di Cipro51 (1432-1458), e muore l’11 aprile 1458. La loro primogenita Carlotta (1442-1487) andrà a nozze dapprima (1456) con Giovanni di Portogallo (1433-1457) e poi (1459) con Luigi di Savoia52 conte di Genova (1436-1482). La secondogenita di Elena rinnoverà il nome della nonna Cleofe ed avrà breve vita. Carlotta regna tra 1458 e 1460, prima di Giacomo II il Bastardo (nato nel 1418 da Marietta di Patrasso) che per legarsi a Venezia nel 1468 sposa Caterina Cornaro. Giacomo II uccide il ciambellano di Elena, Tommaso di Morea. Contro Carlotta nel 1459 cerca al Cairo l’aiuto del sultano Al-Achraf Saïd ad-Din Inal. Giacomo II muore il 7 luglio 1473. Il 28 agosto nasce l’erede Giacomo III che scompare il 26 agosto 1474. Caterina Cornaro (1454-1510) regna dal 1473 sino al 1489. Nel 1463 Carlotta è fuggita a Roma. Qui scompare nel 1487. Ed è sepolta in San Pietro.

13. L’imperatore Sigismondo incoronato a Roma La scomparsa di Cleofe va collocata sullo sfondo della crisi del papato dopo la morte di Martino V e l’elezione di Eugenio IV (1431), per nove anni costretto a stare lontano da Roma dagli Orsini, parenti del pontefice scomparso, non avendo mantenuto le promesse fatte loro. Tra 1433 e 1434 avvengono i delitti ricordati in casa Da Varano con la complicità del potere curiale e l’intervento diretto dello stesso Eugenio IV. Che ‘raccomanda’ di non usare clemenza nei confronti di Piergentile, fatto decapitare dal cardinal Giovanni Vitelleschi, legato della Marca ed inviato personale del pontefice.

Nel 1433 visita l’Italia l’imperatore Sigismondo, il protagonista del concilio di Costanza. A Roma è incoronato da papa Eugenio IV. Diretto al concilio di Basilea, sosta il 30 agosto ad Urbino ed a Rimini il 3 settembre. Ad Urbino gli rende omaggio un messo di Elisabetta Malatesti moglie di Piergentile Da Varano e figlia di Galeazzo di Pesaro e di Battista dei Montefeltro signori di Urbino. Piergentile era stato arrestato agli

50 Ronchey, L’enigma di Piero, p. 71. 51 Elena Paleologa è la seconda moglie di Giovanni III. La sua prima sposa, Amadea di

Monferrato (1420-1440), è figlia di Giangiacomo (1395-1445) a sua volta fratello di Sofia (+1434), unita in matrimonio con Giovanni Paleologo e cognata di Cleofe. La madre di Amadea è Giovanna di Savoia (1392-1460) figlia di Amedeo VII il Conte Rosso (1360-1391).

52 In tal modo il titolo di re di Cipro passa ai Savoia che lo conservano puramente onorifico sino al 1946. Luigi di Savoia è figlio di Ludovico (1413-1465) e di Anna di Lusignano (sorella di Giovanni III marito prima di Amadea e poi di Elena Paleologa figlia di Cleofe). Anche Luigi era alle seconde nozze, dopo quelle (1444) non consumate ed annullate (1458) con Annabella Stuart, figlia di Giacomo I di Scozia.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 19

inizi di quell’agosto, e suo fratello Giovanni ucciso dai fratellastri poco dopo. Battista pronuncia davanti all’imperatore Sigismondo una commossa orazione latina per chiedere quanto anche sua figlia Elisabetta implorava per Piergentile, ovvero grazia e liberazione. Tutto è inutile, Sigismondo se ne lava le mani avendo ricevuto una diffida dal papa53. Piergentile, come abbiamo visto, è decapitato il 6 settembre 1433. Battista aveva ricordato all’imperatore anche le sventure dei Malatesti. Ovvero, è immaginabile, pure la sorte di Cleofe54 oltre alla recente cacciata da Pesaro. Dove essi, come s’è scritto, possono ritornare nello stesso settembre 1433 grazie ad estensi e veneziani, e ad una rivolta popolare, quando Carlo devasta il contado ed assedia la città.

La sosta a Rimini dell’imperatore Sigismondo serve a Sigismondo Pandolfo ed al fratello Novello per fortificarsi, ricevendo un’investitura laica contrapposta a quella papale in temporalibus. Ispirati da una rigida Realpolitik, essi non hanno tempo per pensare a Cleofe ed a Mistra. Dove Sigismondo sarebbe andato per la crociata in Morea del 1464-1466 al soldo di Venezia. L’erudito riminese Francesco Gaetano Battaglini nel riproporre (1794) l’Hesperis di Basinio Parmense in lode di Sigismondo55, annota: «quello che forse prima non si sapeva, s’intende» da certi suoi versi dove racconta di «quell’Elena figliuola di Cleofe» regina di Cipro che aveva «recato seco sfortunatamente l’erronea credenza del padre […] con ingiuria della Chiesa latina». Di Elena, nel 1647 Giovanni Francesco Loredano56, ricorderà la vendetta consumata contro Marietta di Patrasso, amante del marito Giovanni III, con il taglio del naso e delle orecchie, nel tentativo forse di farla abortire della creatura che aveva in seno, il futuro re Giacomo II il Bastardo. Anche Elena era allora incinta. Della primogenita Carlotta.

14. Il segreto sugli ambasciatori È la stessa Cleofe a documentare nelle lettere alla sorella Paola i contatti tenuti con lei dalla corte di Pesaro. Il 5.10.1426 cita la partenza da Mistra di un «ambasiadore de nostro signore» (ovvero del padre), indicato come «messer Antonio da

53 Cfr. Patrignani, Le donne del ramo di Pesaro, pp. 852-853. 54 Non si conosce la data della sua morte. Le uniche cronache esistenti ne riferiscono

«in maniera laconica e incidentale»: cfr. Ronchey, L’enigma di Piero, p. 94. 55 L’Hesperis (che esalta i trionfi di Sigismondo su Alfonso d’Aragona, 1448), è nel

primo dei due volumi intitolati Basini Parmensis poetae opera praestantiora. Il secondo è diviso in due tomi. Nel primo sono le Notizie intorno la vita e le opere di Basinio Basini (pp. 1-42) composte da Ireneo Affò (1741-97), ed il testo di Angelo Battaglini (1759-1842, fratello di Francesco Gaetano e bibliotecario alla Vaticana) sulla «corte letteraria» di Sigismondo, suddiviso fra letterati forestieri (pp. 43-160) e riminesi (pp. 161-255). Nel secondo tomo appare il cit. testo di F.G. Battaglini (1753-1810), Della vita e fatti di Sigismondo Pandolfo Malatesta (pp. 257-698).

56 Loredano con lo pseudonimo di Henrico Giblet pubblica a Bologna presso Giacomo Monti le Historie de’ Re Lusignani. Cfr. p. 577.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 20

Fossombrone», che identifichiamo in Antonio Malatesti di Ghiaggiolo57. Costui dal 1429 è preposto nella cattedrale di Fossombrone e nel 1435 diviene vescovo di Cesena. Il ramo di Ghiaggiolo a cui Antonio appartiene, discende da Paolo il Bello che verso il 1269 aveva preso in moglie la poco più giovane quindicenne Orabile Beatrice, figlia di Uberto di Ghiaggiolo. La quale gli dette due eredi, Uberto jr. e Margherita, nata dopo l’uccisione del padre. Anche Uberto jr. fu ucciso (1323). Dal cugino Ramberto, figlio di Giovanni il marito di Francesca da Polenta. Da Uberto jr. derivano in successione Ramberto, Francesco, Nicolò Filippo ed il nostro Antonio da Fossombrone. Nell’albero malatestiano che fa capo a Paolo il Bello, oltre al ramo di Antonio vescovo di Cesena, ce n’è un altro58 in cui più tardi ritorna il nome di Cleofe con due giovani delle quali sappiamo che andarono spose rispettivamente nel 1512 e nel 1614. (Battista a Paola il 12.2.1427 ricorda un «ser Michele» che, infermo, non poté visitare Cleofe, ed un «Christofano venudo a Patras et ha reportato lì ch’ella è più perfida greca del mondo». Per cui, precisa Battista, «non pensamo ch’ella se fide de lui et che tucto questo la facia simulatamente»59).

Il 26.1.1428 Cleofe scrive di un «conte Riciardo» che «se partì de qua». Crediamo possa trattarsi di Ricciardo Guidi Di Bagno (la cui famiglia s’era rifugiata da Firenze a Mantova nel 1417), marito di Filippa Gonzaga, figlia di Guido Gonzaga signore di Novellara e di Ginevra Malatesti. Nata da Malatesta Antico detto Guastafamiglia, Ginevra era zia di Malatesta I di Pesaro padre di Cleofe. Il quale era quindi cugino di Filippa e Ricciardo. Il cognome Gonzaga rimanda alle memorie malatestiane che abbiamo già ripercorso: una Elisabetta Gonzaga era stata moglie di Carlo di Rimini, Gian Francesco Gonzaga era cognato di Cleofe, avendo sposato Paola Malatesti di Pesaro…

Il 20.3.1428 Cleofe invia a Paola un messo, il diacono «Megha Cartofila ch’è hoficiale de Chiesa, el quale mandamo al nostro signore el papa, e anche dal nostro padre e signore». Infine nella lettera del 18.7.1428 ritorna il nome di «messer Antonio», al quale Cleofe ha rivolto la preghiera «che ghe piacia venirve a visitare e ad informare de tute le mie pene, sì che penso che lui virà dalla signoria vostra, e pertanto non me stendo in più scrivere».

Un terzo personaggio, mai nominato nella carte superstiti, potrebbe aver giocato nella vicenda di Cleofe un ruolo

57 In questa lettera si legge anche: «Vero è che ch’io so stata e sto ancora […] cum gravissime pene et cun poco contentamento».

58 Sono i Malatesti di Cusercoli. La prima Cleofe è figlia di Antonio di Galeotto I di Nicolò di Ramberto. (Quel Ramberto da cui discendeva come pronipote Antonio vescovo.) La seconda Cleofe è nipote ex fratre dell’altra: cioè figlia di Cesare di Galeotto II fratello dell’altra Cleofe e figlio di Antonio di Galeotto I.

59 Per ciò, Cleofe è contattata dal cit. gentiluomo padovano.

A. Montanari, Cleofe Malatesti 1421, pag. 21

di mediazione fra la Chiesa di Roma e Costantinopoli. È Ugo Lancillotto di Lusignano, personaggio di tutto rispetto nella vita ecclesiastica romana ma soprattutto zio di Giovanni III re di Cipro sposo (a Nicosia il 3.2.1442) di Elena Paleologa, la figlia di Cleofe e di Teodoro. Nel 1424 Ugo è patriarca latino di Gerusalemme ed arcivescovo di Nicosia. Il 24 maggio 1426 è creato cardinale da Martino V. Ugo di Lusignano è reggente di Cipro per undici mesi durante la prigionia del fratello Janus (1426-1427). Infine diventa vescovo di Palestrina nel 1431, e di Frascati dal 1436 sino alla morte avvenuta ante 24 agosto 1442. A lui si può pensare anche come intermediario per il matrimonio tra suo nipote Giovanni III ed Elena Paleologa, quale ultimo atto di un itinerario diplomatico mediterraneo che tocca Roma, Costantinopoli e Cipro. Nulla sappiamo di missioni ufficiali presso la corte di Costantinopoli in difesa di Cleofe. Le cronache registrano soltanto l’intervento di suo padre Malatesta I che, come si è visto, nel 1429 vi si reca per curare affari della Serenissima60. Inevitabile pensare che seppure in modo informale, la dolorosa vicenda della figlia entrasse nei colloqui con le autorità bizantine, assieme a quella dell’arcivescovo Pandolfo. Sul finire dello stesso 1429, il 19 dicembre Malatesta I esce di scena seguendo nella tomba Carlo di Rimini, scomparso il 14 settembre. Il tragico destino di Cleofe è segnato. Abbandonata dalla Chiesa, è travolta dall’odio curiale contro i Malatesti, che culmina nel macabro rito del 26 aprile 1462: quando tre fantocci raffiguranti Sigismondo signore di Rimini sono bruciati in altrettanti punti di Roma.

60 In Ronchey, L’enigma di Piero, cfr. le fonti bibliografiche a p. 466.