SARDEGNA ARCHEOLOGICAReprints e nuovi studi sulla Sardegna
anticaCollana diretta da Alberto Moravettila civiltfenicio-punicain
sardegna
SARDEGNA ARCHEOLOGICAStudi e Monumenti 3FERRUCCIO BARRECAla
civiltfenicio-punicain sardegnaCarlo Delfino editore3
Prima ristampa 19884
A mia figlia Giovanna, nel XXVIIIcentenario della fondazione
diCartagine, con laugurio di vivere unbrillante avvenire senza
dimenticare laluce del passato.5
6
In unepoca che possiamo collocare fra ilsec. XI e il IX a. C.,
le coste della Sardegnaerano frequentate da navi fenicie.
Questanotizia, che vedremo fondata sopra signifi-cativi indizi
forniti dallarcheologia, conte-nuta, implicitamente nei testi
letterari antichiove attestata la fondazione, alla fine delsec. XII
a. C., delle citt di Utica in Tunisia,Gadir in Spagna e Lixus nel
Marocco, daparte di naviganti semitici e pi precisa-mente di
Fenici, che si recavano con le loronavi a prelevare, nellestremo
occidente delmondo conosciuto, largento e lo stagno davendere sui
mercati del Vicino Oriente.La Sardegna infatti non poteva restare
alungo esclusa dalle rotte di quelle navi che,per i loro viaggi,
sfruttavano specialmente iventi e le correnti marine, fra le quali
im-portantissima la corrente che dallo Strettodi Gibilterra,
toccando le Baleari, raggiungela costa occidentale sarda e la
lambisce danord a sud in direzione del Maghreb. Quellacorrente
rappresentava dunque uno dei mez-zi pi ovvi ed efficaci di cui
potevano servirsii Fenici per ritornare alla loro terra. Questa,con
le sue numerose citt costiere, fra lequali meritano particolare
menzione Ugarit(Ras Shamra con il suo porto a Minet elBeida), A
rado (Ruad), Antarado (Tortosa),Marato (Amrit), Tripoli, Gebal o
Biblo(Gebail), Berito (Beyrut), Sidone (Saida),Tiro (Sur) ed Akko
(Acri), si stendeva, comnoto, fra la catena montana del Libano e
lacosta orientale mediterranea, raggiungendoa sud il monte Carmelo
ed a nord la foce delfiume Oronte. E una regione ricca soprattut-to
di rilievi montani, di promontori e di iso-lette poste a breve
distanza dalla costa: par-ticolarmente propizia dunque alle
attivitmarinare, anche se tuttaltro che priva dirisorse agricole e
specialmente di quelle for-nite dalle vaste estensioni boschive. La
topo-nomastica (in particolare la documentazionerelativa agli
idronomi), larcheologia e lastoriografia antica concordano
nellattestarela presenza di genti semitiche in quella regio-ne fin
da epoca remotissima; presenza cheagli inizi del terzo millennio a.
C. era certa-mente gi stabile e preponderante. Bastacitare in
proposito da un lato la tradizionefenicia, riferitaci da Erodoto,
che facevarisalire la fondazione di Tiro al 2750 a. C.,dallaltro la
cronologia del pi antico stratoarcheologico di cultura sicuramente
semiticaindividuato a Biblo, strato che oggi si dataattorno al 3000
a. C.La civilt elaborata in tale regione dai Se-miti a partire da
quellepoca fino al tempodelle invasioni dei popoli del mare (1200a.
C. circa) spesso definita cananea.Molti studiosi infatti
preferiscono chiamarefenicia solo la civilt dei Semiti che,
dopoquelle invasioni, vissero nella regione li-banese in senso lato
e, di l, si diffusero nelbacino del Mediterraneo ed oltre, con la
fon-dazione di numerose colonie, fra le qualiCartagine, che fu
massima depositaria dellacivilt Semitica in Occidente fino alla
suadistruzione nel sec. II a.C..In realt, non si deve dimenticare
che il ter-mine fenicio, a noi noto attraverso i testigreci e
latini (insieme con la sua defor-mazione romana punico), non fu
maiusato nella loro lingua dai Fenici che, inOriente e in
Occidente, designarono semprese stessi col nome di Cananei.
Daltraparte evidente che i sacerdoti fenici deltempio di Melqart a
Tiro, indicando ad Ero-doto lanno 2 750 a.C. come data di
fon-dazione del tempio e della loro citt, dimo-stravano chiaramente
di considerare quelle-vento come parte integrante della storia
del7PREMESSA
loro popolo, bench avvenuto nellepoca de-finita cananea da
molti studiosi modern,.Finalmente, bisogna tenere presente che
leinvasioni dei popoli del mare, pur arre-cando nuovi contributi di
sangue e di civiltnella regione cananea, non furono in gra-do di
mutarne i caratteri etnici e culturalitanto da rompere la continuit
storica fra le-poca anteriore e quella posteriore al 1200 a.C..I
due termini cananeo e fenicio nonindicano dunque diversit di popoli
e di ci-vilt, ma solo due fasi di ununica civilt,elaborata da uno
stesso popolo, in due tempidel suo lungo divenire storico.E
evidente che una civilt durata tanto alungo e diffusa su una
estensione geograficatanto vasta, doveva necessariamente assume-re
un aspetto multiforme, non solo per na-turale evoluzione interna,
ma anche per lemolte genti (talune in possesso di altissimeforme
culturali) con le quali venne in con-tatto pi o meno intimo e
prolungato il po-polo che la elabor, / primi fra quelle
gentifurono, in ordine di tempo, gli agricoltorisedentari di stirpe
e cultura mediterranea,che i pastori nomadi semitici
trovaronoquando giunsero nella regione libanese e daiquali essi
ricevettero certamente la formulasocio-edilizia che diede origine
alle loro citted il culto agrario per la dea madre dellanatura
feconda (che divenne la feniciaAsh/art) nonch per il suo compagno e
fe-condatore: il giovano dio della vegetazioneche muore e rinasce
ogni anno (cui fu datolappellativo semitico di Adon).Seguirono i
molti secoli di pi o meno di-retta sovranit egiziana (2750-1800 aC.
epoi ancora 1580-1200 aC.) e, limitatamenteai distretti
settentrionali, di dominio ittita(1580-1200 aC. circa).Fu quello il
tempo che vide entrare, dif-fondersi e metter profonde radici nella
re-gione libanese, le arti ed il pensiero religio-so degli Egiziani
che, pur onorando numero-se persone divine, tendevano a
considerarqueste come nomi ed espressioni dellunicovero dio. Non
bisogna dimenticare per che,negli ultimi secoli di quel lungo
periodo, agliinflussi culturali egiziani si affiancarono, inmisura
minore ma pur non trascurabile,quelli
anatolico-mediterranei(particolarmente notevole il culto per la
deavergine guerriera Anal), portati dagli Ittitinel nord della
regione, ove si manifestanche, brillantissimo ma limitato
geografica-mente e cronologicamente, linflusso indoeu-ropeo dei
mercanti micenei, documentatospecialmente dai poemi ugaritici, che
spessoricordano il ricco ed umanissimo pantheondellepopea
greca.Seguirono i secoli che, dopo linvasione deipopoli del mare,
videro affermarsi, aridosso della regione libanese, gli stati
semi-tici degli Ebrei, degli A ramei e degli Assiri,ciascuno dei
quali, con il commercio, la di-plomazia o le armi, contribu in vari
tempi emodi ad arricchire la civilt fenicia di nuovispunti
culturali che per, lungi dallannul-larne lantica eredit cananea,
neprovocarono levoluzione, rafforzandone iltradizionale carattere
semitico. Infatti, dap-prima i contatti economici e diplomatici
conlo Stato ebraico al tempo della monarchiadavidica (sec. X aC.) e
poi laffermazionedella sovranit assiro-babilonese (sec. IX-VIa. C.)
dovettero giovare grandemente alconsolidamento ed alla pi precisa
formula-zione delle concezioni religiose semitiche,formatesi nella
regione libanese prima del1200 a. C. ed in particolare al
rafforzamentodella tendenza monoteistica, insidiata invecefra it
sec. XIV ed il XIII a. C. dagli influssiculturali micenei.Daltra
parte, lo stesso inserimento nelmondo assiro, ricco di spunti
artistici proprie dei popoli soggetti, di cui facevano parteanche
gli Aramei con il loro intenso com-mercio lungo le vie carovaniere
che collega-vano le coste mediterranee con remote re-gioni interne
di elevata produzione artigia-nale quali lUrartu e il Luristan,
aperse ilmondo fenicio a nuovi influssi culturali alta-mente
positivi. Lartigianato fenicio dei me-8
talli, dellavorio e dellosso, gi fiorente pri-ma del 1200 a.
C., ricevette in quel temponuovi, preziosi impulsi che trasmise poi
aipopoli con i quali entr in contatto nellOc-cidente mediterraneo.A
quegli influssi segu ancora il positivocontributo dato alla
spiritualit fenicia dallareligione monoteistica di Zoroastro,
pratica-ta dai Persiani, che conquistarono la regionelibanese nel
sec. VI a. C. e la tennero fino alsec. IV a.C., quando il loro
impero crollsotto i colpi di Alessandro. N si deve di-menticare che
il dominio persiano favor an-che la diffusione tra i Fenici di
tecniche arti-gianali e di motivi artistici elaborati in
altreregioni del gran regno achemenide. Partico-larmente
significative in proposito sono leanalogie tecniche e stilistiche
esistenti fra learchitetture dei palazzi reali di Pasargade
ePersepoli e quelle dei templi costruiti duran-te let persiana a
Biblo e Sidone.La conquista macedone ad opera di Ales-sandro (332
a.C.) inser definitivamente laFenicia nel mondo greco, ad essa
peraltroben noto da secoli, ora come interlocutore edalleato (basti
citare le alleanze di Cartaginecon Selinunte ed Atene nel sec. V
a.C. e congli Italioti nella prima met del sec. IV a. C.),ora (e
molto pi spesso) come pericolosoconcorrente economico e nemico
politico.Di quel mondo, almeno dal sec. VI a.C., iFenici subirono
sempre pi forte (ma giam-mai totale) linflusso nel settore delle
artifigurative e della decorazione architettonica;mentre certe
attivit artigianali (spe-cialmente la lavorazione del vetro e la
tintu-ra dei tessuti) furono invece riconosciute da-gli antichi
stessi come tipiche espressioni delgenio fenicio. Inoltre, ancor
oggi univer-salmente attribuito ai Fenici il merito diavere, fin
dal sec. VIII a. C., fornito alla Gre-cia e, attraverso questa, a
tutto il mondooccidentale antico e moderno, quel fon-damentale
strumento di civilt che lalfa-beto, originalissima creazione dei
Semitinord-occidentali, vissuti fra Sinai e Libanodurante let
cananea. Il processo evolu-tivo dellalfabeto infatti, in base ai
docu-menti archeologici attualmente conosciuti, oggi collocato
dagli studiosi nel secondomillennio a. C., pi precisamente, nel
perio-do compreso fra il XVI ed il XIII sec. a. C.. per evidente
che nuove scoperte archeo-logiche potrebbero provocare una
modificaditale cronologia, rialzandola anche sensi-bilmente, com gi
avvenuto per quella co-munemente accettata verso la met del seco-lo
scorso, quando il pi antico testo feniciaconosciuto era unepigrafe
del sec. Va. C.Del resto, gi oggi, una datazione al terzomillennio
a. C. suggerita, come logica con-seguenza, dalla cronologia
attribuibile allaprima formulazione di un antico libro
magi-co-religioso giudaico: il Sefer Jetzir, di cuifa parte
integrante la teoria della creazionedelluniverso per mezzo dei
ventidue caratte-ri consonantici di un alfabeto identico aquello
fenicio da noi conosciuto. Quel libroinfatti stato datato dal SaIr
e da Papusappunto al terzo millennio a.C.. Pi precisa-mente, essi
hanno sostenuto tale datazionetenendo presente che un brano del
libro,indubbiamente pertinente alla sua for-mulazione originaria,
parla della costellazio-ne del Dragone come di quella contenente
ilpolo celeste settentrionale; posizione che ilDragone aveva nel
terzo millennio a.C., maaveva gi perso definitivamente agli inizi
delsecondo. NE una cos alta cronologia con-trasta con le
conclusioni cui giunta recen-temente la precisa ed acuta analisi
storico-filologica dello Scholem, secondo il quale ilSefer Jetzir
stato redatto per iscritto fra ilsec. III ed il VI d.C., ma in un
ebraico chepotrebbe anche datarsi al sec. Il-Ill d. C. edusando
espressioni prese a prestito dal librodi Ezechiele (sec. VI a. C.).
E neppure vi contrasto fra tale cronologia e quanto affer-mato da
alcuni studiosi, secondo i quali duedottrine cosmo goniche
sostanzialmente9
diverse sarebbero state fuse nel Sefer Jetzired unite da un
metodo simile alla teoria neo-pitagorica, molto diffusa nei secoli
III e II a.C.. Infatti, tenendo presente il caratteremistico e
magico del Sefer Jetzir e la brevitdel suo testo, evidente che una
simile operapu aver ricevuto Imprestiti ed esser statasottoposta a
coordinamenti e nuove formula-zioni fra il sec. VI ed il If a. C.,
ma esser stataformulata una prima volta oralmente nelterzo
millennio a. C. entro una ristretta cer-chia di iniziati, e da
questi esser stata tra-smessa sempre oralmente, di generazione
ingenerazione, fino al momento in cui venneredatta per
iscritto.Finalmente, bisogna tener presente che,dal sec. XII a. C.
in poi, ai contributi etnici eculturali delle varie genti fin qui
ricordate, siaggiunsero quelli che vennero ai Fenici daaltre genti
ancora, fra le quali essi fondaro-no le loro colonie o con le quali
entraronocomunque in contatto per effetto della loroattivit
commerciale: Italici, Etruschi, Celti,indigeni dellAfrica
nord-occidentale, dellaPenisola Iberica, delle Baleari, delle
IsoleMaltesi, della Sicilia, della Corsica e dellaSardegna.Una
civilt mista dunque fu quella fenicia,elaborata nel lungo volger di
quasi tre mil-lenni di storia, da un popolo rimasto
sempreessenzialmente semitico, bench vissutosparso lungo le coste
di tutto il Mediterraneoe persino deli Atlantico, specie dopo
cheCartagine, nel sec. Va. C., ebbe spinto i suoimercanti oltre le
Colonne dErcole, ad inse-diarsi lungo le rotte oceaniche delloro
edello stagno, raggiungendo il Golfo di Gui-nea e le Isole
Britanniche.Una civilt per che, pur nella variet diaspetti che i
tempi ed i luoghi le diedero, mentenne sempre, come il popolo di
cui fuespressione, una sostanziale unit, conser-vando sino alla
fine il suo carattere fonda-mentalmente semitico.Tenendo presente
quanto siamo venuti finqui osservando, facile rendersi conto, da
unlato del motivo per cui non sia possibile com-prendere appieno la
civilt feniciopunicadocumentata in Sardegna, prescindendo daquella
che fu la civilt fenicia nel suo com-plesso; dallaltro perch questa
civilt nonpotrebbe esser conosciuta e valutata adegua-tamente da
chi trascurasse di conoscerne ildivenire storico nelle varie
regioni dellavasta diaspora fenicia ed, in primo luogo, aCartagine.
Questa infatti, nel giro di settesecoli, visse da grande
protagonista una suapropria storia, sviluppando in maniera
auto-noma la civilt fenicia ricevuta dai suoi fon-datori
tirio-ciprioti e diffondendola, arric-chita di nuovi spunti
culturali, nellOc-cidente mediterraneo, attraverso una
propriacolonizzazione ed una propria politica, di cui possibile
riconoscere gli effetti positivi sinoalla fine del mondo antico,
nelle regioni sullequali si era steso il suo dominio. Ri-corderemo
quindi come la storia di Cartagi-ne e della sua civilt si articoli
in et delleorigini (814-654 a. C.), et arcaica (654-480a.C.), et
della riforma (480-410 aC.), etdelle guerre sicule (410-264 a. C.),
et delleguerre romane (264-146 a. C.) e come quel-le et formino
tutte insieme lepoca punicadella civilt fenicia fiorita a
Cartagine,epoca nella quale si pu distinguere ancheuna fase
culturale arcaica (814-480 a.C.),una di transizione (480-410
a.C.)ed una tar-dopunica (410-146 a.C.). A queste poi, segueuna
lunga fase culturale generalmente dettaneopunica (146 a. C. -sec. V
d. C.), durantela quale la civilt fenicia di
Cartagine,sopravvivendo alla distruzione della citt,integrata con
le culture indigene delle regio-ni che avevano fatto parte dello
stato carta-ginese e sempre pi permeata di influssigreci e romani,
and lentamente spegnendo-si, non senza lasciare sign ifictive
traccenella lingua e nelle tradizioni dei popoli chene avevano
fruito per secoli. Fra quei popo-li, particolare interesse per noi
riveste natu-ralmente il popolo sardo, nella cui terra lacivilt
fenicio-punica documentata molto alungo ed in maniera
notevolissima. Pi pre-cisamente, per la storia di questa civilt
in10
Sardegna, si pu proporre il seguente profilocronologico,
suggerito dalla combinazionedei dati letterari ed archeologici
attualmentein nostro possesso: a) epoca degli scalicostieri
stagionali o periodo fenicio I (sec.XI-IX a. C.) con una scarsa ma
significativadocumentazione, per ora limitata al solomateriale
mobile fornito dallepigrafia edalla bronzistica; b) epoca degli
scali costieri permanenti operiodo fenicio H (sec. IX-VII a. C.),
docu-mentata dai pi antichi manufatti mobili edimmobili rinvenuti
nelle citt costiere feniciedi Nora, Bithia, Sulci, Tharros, Othoca
eBosa;e) epoca dellespansione territoriale fenicia operiodo fenicio
HI (sec. VII-Vi a. C.), docu-mentata nelle citt costiere di Nora,
Bithia,Sulci, Tharros ed Othoca, alle quali si deveaggiungere anche
Karali, oltre alcuni inse-diamenti subcostieri (Carbonia-Monte
Sirai,SantadiPani Loriga, Settimo S. Pietro-Cuc-curu Nuraxi, S.
Sperate);d) epoca della conquista armata punica edella
colonizzazione capillare del territorio(sec. VI-IV a. C.),
articolata in periodo puni-co JO (sec. VI-V a.C.) e periodo punico
20(sec. V-IV a.C.), che si distinguono fra loroper il carattere dei
manufatti, riecheggiantequello dellepoca precedente il primo,
prean-nunziante quello dellepoca successiva ilsecondo. La
documentazione archeologica,oltre che da nuove fasi edilizie e da
ulteriorisviluppi urbanistici nelle citt ed insedia-menti gi
menzionati, costituita da ma-nufatti mobili ed immobili scoperti
nellareadi altri insediamenti costieri (es. Muravera-S. Giusta di
Monte Nai, Guspini-S. Maria diNabui (Neapolis) e S. Anna
Arresi-PortoPino) ed interni (es.
Fluminimaggiore-Antas,Sanluri-Bidde Cresia, Senorb-Monte Lunae S.
Teru);e) epoca tardopunica o periodo punico III(sec. IV-III a. C.)
documentata non solo daunulteriore evoluzione urbanistica,
edilizia,artistica ed artigianale nelle citt costiere enegli
insediamenti minori (es. realizzazionedella seconda fase edilizia
nel tempio di SidAddir Babay ad Antas, dei paramenti a bloc-chi
squadrati nelle fortificazioni di Karali,Nora, Bithia e Tharros e
delle necropoli sud-orientale di Karali e settentrionale di
Thar-ros), ma anche dal completamento del pro-cesso di integrazione
etnico-culturalesardopuniCa. Questa, attestata dalla consistente
pre-senza di formule edilizie e manufatti punicinei villaggi
indigeni, e da sopravvivenze dellinguaggio artistico protosardo
nella mone-tazione bronzea ed in altri prodotti dellarti-gianato
punico di Sardegna, accompagna-ta dalla larga diffusione del culto
pun icizza-to di Demetra, sia nelle citt feniciopuniche,sia nei
villaggi protosardi;f) epoca sardo-punica (sec. III-I a.C.)
cor-rispondente ai primi due secoli del dominiodi Roma sulla
Sardegna (238-38 a.C.), seco-li durante i quali non esistevano
ancora lecondizioni etnico-politicoculturali per unavera
romanizzazione dellisola. Questepocasi presenta articolata in
periodo sardo-puni-co 1 (sec. III-II a. C.) e periodo sardo-puni-co
2 (sec. Il-I a. C.), che si distinguono fraloro per il carattere
della civilt, maggior-mente aderente alla tradizione punica nel
1che non nel 2 periodo (eloquenti esempi so-no forniti in proposito
dallepigrafia, che fauso di bellissimi caratteri tardopunici
anco-ra nella prima met del sec. Il a. C., mentreabbandona pi o
meno completamente queicaratteri per usare quelli corsivi (c.d.
neopu-nici) nella prima met del secolo seguente).La documentazione
archeologica di queste-poca dimostra come la civilt
fenicio-punica,integrata con la componente
etnico-culturaleindigena, sia sopravvissuta pressoch intat-ta, con
le sue istituzioni civili e religiose econ le sue tecniche edilizie
e artigianali,nella Sardegna sottoposta al dominio diRoma
repubblicana. Tale sopravvivenza attestata non solo nelle grandi
citt costiere(es. Karali, Nora, Sulci, Tharros) e negliinsediamenti
minori di origine semitica (es.Monte Sirai), ma anche nei luoghi
caratteriz-11
zati da un originria presenza etnica e cultu-rale protosarda
(es. Antas e S. Nicol Gerrei-S. Jaci);g) epoca sardo-punico-romana
(sec. I a.C. -IV d.C.), articolata nei periodi sardopunico-romano 1
(sec. I a. C.-Id. C.), 2 (sec. I-IIId. C.) e 3 (sec. III-IV d. C.),
che si distinguo-no fra loro per il diverso grado di afferma-zione
della civilt romana, con la qualeandava lentamente integrandosi
quellasardo-punica, sotto il governo imperiale diRoma. Nel periodo
I, infatti, ii caratteresardopunico della civilt in Sardegna
anco-ra prevalente nei confronti di quello romano,pur molto
evidente grazie non solo alle strut-ture civili e militari dello
Stato gi da moltotempo presenti nellisola, ma anche adunormai
consistente immigrazione di ele-menti etnici italico-romani. Nel
periodo 2invece, il rapporto si capovolge e divienepreponderante
laspetto romano dellurbani-stica, dellarchitettura e della scultura
monu-mentali, della ceramica vascolare, dellarti-gianato del vetro
e dellepigrafia. Nel perio-do 3 finalmente, stando a quanto
risultadalla documentazione oggi in nostro posses-so, si pu dire
solo che forme di civilt sardo-punica, limitate alle istituzioni
religiose, allalingua, allarchitettura domestica ed alle
suetecniche edilizie, sopravvivono ancora in unaSardegna ormai
romanizzata. La documenta-zione archeologica di questepoca
dimostrache la civilt sardopunica, pi o meno inte-grata con quella
romana, sopravvisse tantosulle coste quanto nelle zone interne. Lo
atte-stano a Karali, Nora, Bithia, Narcao-Terre-seu, Antas, Tharros
e S. Salvatore di Cabras,edifici realizzati secondo tecniche
edilizie eformule architettoniche abnormi o inusitatein ambiente
romano imperiale, ma perfetta-mente coerenti con la tradizione
sardopuni-c adellI-sola.12
Parte primaSTORIA13
14
Questepoca pu dirsi anche della precolo-nizzazione fenicia in
Sardegna, perch nonrisulta, in base alla documentazione oggi
innostro possesso, che i Fenici, pur frequentan-do le coste
dellisola, vi abbiano stabilitoallora alcuno di quegli scali
costieri perma-nenti che, evolutisi in insediamenti urbani,furono
gli embrioni delle loro colonie.Le prove archeologiche
ditalefrequentazione sono ancora molto scarse, masufficienti per
darci la sicurezza della sia pursaltuaria presenza fenicia in
Sardegna neisecoli dallXI al IX a.C.. Pi precisamente sitratta di
tre reperti pertinenti allepigrafia edue alla bronzistica.Il primo
reperto epigrafico un frammen-to di iscrizione fenicia rinvenuto a
Nora, nelterritorio del Comune di Pula, conservato nelMuseo
Archeologico Nazionale di Cagliari e,fino al 1974, ritenuto
databile attorno all800a.C., come la famosa stele di Nora.
Oggiinvece, grazie ad un accurato riesame fattonedal Cross,
sappiamo che il frammento data-bile al sec. XI a.C. e rappresenta
il pi anticodocumento epigrafico fenicio finora scopertoin
Sardegna. Esso per, nonostante il suoeccezionale interesse
storico-epigrafico, non sufficiente a documentare una
presenzapermanente dei Fenici a Nora, non solo per labrevit del
testo superstite, ove non si con-servata alcuna parola che possa
riferirsi a talgenere di presenza, ma anche perch il rap-porto
lasciatoci dallammiraglio cartagineseAnnone, circa il viaggio per
mare da lui com-piuto lungo le coste nordoccidentali dellA-frica
nel sec. V a.C., ci dice inequivocabil-mente come potesse avvenire
che marinaifenici, prendendo piede su di una costa, vifondassero
addirittura un tempio senzalasciare coloni sul posto.Il secondo
reperto epigrafico la famosastele di Nora, anchessa conservata
nelMuseo Archeologico Nazionale di Cagliari eper la cui datazione
concordo con il Cross,che lattribuisce alla seconda met del sec.IX
a.C.. Nemmeno questo documento per,che stato variamente tradotto
dagli epigra-fisti, mi sembra possa dimostrare in modoirrefutabile
la presenza permanente di colonifenici a Nora, nel tempo in cui
venne redatto.Infatti, che sia funerario, votivo o commemo-rativo,
pur sempre un testo che pu riferirsiad una presenza fenicia
occasionale, anzichpermanente.Ancor meno probatorio come
documentodi colonizzazione, ovviamente, per la suabrevit, il terzo
reperto: il piccolo frammentoepigrafico (oggi perduto) rinvenuto a
Bosa egiustamente ritenuto dal Cross coevo o dipoco anteriore alla
stele di Nora.I reperti pertinenti alla bronzistica sonodue
statuette bronzee fenicie, rinvenuteentrambe in ambiente nuragico,
luna neltempio a pozzo di S. Cristina presso Paulila-15Capitolo
IEpoca degli scali costieristagionalio periodo fenicio I(sec. XI-IX
a.C.)
tino, laltra presso il nuraghe di Flumenelon-gu in territorio
di Alghero. La prima, che raf-figura un personaggio seduto, con le
maniunite e portate in avanti, una stola intrecciataattorno al
collo ed un copricapo oggi fram-mentario, resa con uno stile
filiforme esommario, confrontabile con quello di ungruppo bronzeo
rinvenuto in area libanese econservato nellAshmolean Museum di
Ox-ford. La seconda, ora quasi completamentepriva delle gambe,
raffigura un personaggiogradiente, con alto copricapo, mano
destralevata in segno di potenza o benedizione e lasinistra portata
in avanti nellatto di impu-gnare un oggetto, oggi scomparso. Lo
stile diquesta seconda statuetta, alquanto massiccioma piatto, pu
confrontarsi con quello diunaltra, conservata anchessa ad Oxford
eproveniente, come la prima, dallarea libane-se. Bench diversi, i
due stili sono presentientrambi nellarte fenicia, gi nel sec.
XIIIa.C., come afferma lo Harden il quale peraggiunge che
perdurarono a lungo, senza pre-cisarne tuttavia la data finale.
Tenendo pre-sente che si tratta di sculture votive,
quindicaratterizzate da conservatorismo stilistico edalla
possibilit di lunga permanenza in usoe non dimenticando che
manchiamo total-mente di dati stratigrafici, mi sembra
dunqueprudente considerare i due reperti di S. Cri-stina e di
Flumenelongu come giunti in Sar-degna verso il sec. XI a.C.. ovvio
per che,n luno n laltro possono considerarsiprove della presenza
permanente fenicia inSardegna, potendo provenire da qualche
navefenicia di passaggio, entrata in qualche modoin contatto con i
Protosardi del luogo.Nonostante il carattere nonsufficientemente
probatorio dei cinque reper-ti suddetti, ai fini dellindividuazione
di fon-dazioni coloniali fenicie in Sardegna durantequesto periodo
storico, non bisogna tuttaviadimenticare come sia sempre possibile
chenuove scoperte archeologiche forniscano infuturo sicuri
documenti relativi a tali fonda-zioni. Del resto, sar bene tener
presente findora la singolare coincidenza tra la maggio-re antichit
di Nora rispetto a quella dellealtre citt fenicie di Sardegna,
assenta dallefonti letterarie antiche ed il fatto che proprioa Nora
sia stata scoperta la pi antica epi-grafe fenicia dellIsola oggi da
noi conosciu-ta.Circa la rotta seguita dalle navi fenicie
che,16Fig. 1. Le rotte commerciali fenicie attraverso il
Mediterraneo.I Kition-2 Malta - 3 Gaulos - 4 Cossura - 5 Lepcis - 6
Lepcis - 7 Hadrumeturn - 8 Cartagine - 9 Utica - 10 Hippoacra -
IlTamuda - 12 Tingis - 13 Lixos - 14 Mogador - 15 Gadir - 16 Malaga
- 17 Sexi - 18 Abdera - 19 Tharros - 20 Sulci - 21Nota - 22 Karali
- 23 Mozia - 24 Panormos
in questepoca, frequentavano la Sardegna,ritengo possibile
formulare alcune ipotesitenendo presenti le regioni ove quelle navi
sirecavano a prelevare i metalli e le forze natu-rali che esse
potevano sfruttare per i loroviaggi: i yenti e le correnti, nonch
la fre-quenza e la potenza che caratterizzano taliforze durante la
stagione della navigazioneantica. Cos, tenendo presente che le
regionidellOccidente ove i Fenici si recavano a pre-levare metalli
erano la Spagna meridionale,le Bocche del Rodano e (anche se forse
inminor misura) lItalia centrooccidentale, vaosservato in primo
luogo che, durante labuona stagione, i mari sardi sono dominati,in
ordine dimportanza, dal maestrale, dalloscirocco e dal levante. In
secondo luogo vadetto che tali mari, durante quella stessa
sta-17Fig. 2. Aighero, Nuraghe Flutnenelongu. Figura divina in
bronzo. Artigianato siro-libanese. Sec. XI a.C. Cagliari,
MuseoNazionale.
gione, sono percorsi specialmente da corren-ti e moti di deriva
che lambiscono da sud anord la costa orientale dellIsola e da
altriche, dal Mar Ligure, ne raggiungono la costaoccidentale presso
il Capo Caccia e prose-guono verso Sud, incontrandosi poi con
lacorrente balearica la quale, giungendo daovest, investe
costantemente la costa sud-occidentale e spinge un suo ramo verso
laSicilia occidentale.In base a questi dati geografici si pu
dun-que formulare lipotesi che generalmente iFenici costeggiassero
la Sardegna occidenta-le non durante i loro viaggi di andata
bensdurante quelli di ritorno in patria. Tale ipote-si, ovviamente,
riguarda le navi che si recava-no in Spagna ed alle Bocche del
Rodano eche erano favorite, nel viaggio di ritornoverso il sud e
verso la Sicilia occidentale, dalmaestrale e dalle principali
correnti e moti dideriva del mare ad occidente dellIsola.
Eprobabile invece che coloro i quali si recava-no nella regione
metallifera dellItalia cen-tro-occidentale, generalmente seguissero
dasud a nord la costa orientale sarda, sul filodello scirocco ed
anche del libeccio e favori-ti dallabituale andamento estivo delle
cor-renti, come stato costume dei naviganti an-che pi tardi, fino
al sec. XIX.Quanto alla tipologia degli scali stagionali,bisogna
premettere unavvertenza di caratte-re generale, circa la durata
della sosta daparte della nave in transito, che poteva fer-marsi
per breve tempo, cio quanto necessa-rio per rifornirsi di cibo ed
acqua e tuttal piesplorare i luoghi, in vista di altre soste, o
perattendere il ritorno del tempo buono dopogiorni di tempesta; ma
poteva anche essercostretta, da circostanze particolari, ad
effet-tuare una sosta anche di vari mesi. Un esem-pio significativo
in propositoci offerto dallanarrazione relativa alla
circumnavigazionedellAfrica da parte di Fenici ingaggiati
dalfaraone Necao nel sec. VII a.C.. Quei Feniciinfatti, per
rifornirsi di grano, furono costret-ti addirittura a seminarlo,
attendendo quindila raccolta. ovvio che soste del generedovevano
render inevitabile la creazione diaccampamenti simili a quelli che
pi tardi,diedero origine agli scali permanenti fenici,provvisti cio
non solo di alloggi perlequipaggio e depositi per il carico,
maanche di una sia pur rozza protezione perime-trale (forse un
fossato con terrapieno e paliz-zata), di un luogo ove offrire
sacrifici alladivinit e di un altro ove seppellire chi moris-se
durante la sosta.Naturalmente, i siti destinati a
quegliaccampamenti dovevano essere scelti concriteri analoghi a
quelli seguiti per limpian-to degli scali permanenti che, come
vedremomeglio in seguito, erano ubicati su isolettevicine alla
costa, oppure su promontori, odalla foce di fiumi o sulle rive di
lagune, pur-ch adeguatamente protette da vicini rilievi. probabile
per che anche i siti per le brevi18Fig. 3. Paulilatino. Santuario
nuragico di S.Cristina. Figurina bronzea siro-libanese distile
filiforme. Sec. XI. a. C. Cagliari MuseoNazionale.
19Fig. 4. Nora. Frammento epigrafico delsec. XI a. C. Cagliari,
Museo Nazionale.Fig. 5. Nora. Stele fenicia con la menzione, nella
terzalinea, del nome Sardegna (Shrdn). Sec. IX a. C. Cagliari,Museo
Nazionale.
soste fossero scelti, quando possibile, con glistessi criteri,
come sembra suggerirei il gicitato racconto dellammiraglio
cartagineseAnnone.Purtroppo, i rapporti fra i Protosardi e i
Fe-nici durante questa fase storica non sono oggiprecisabili, dato
il silenzio mantenuto in pro-posito dalle fonti letterarie antiche
ed il fattoche i due bronzetti di Paulilatino-S. Cristinae di
Alghero-Flumenelongu, possono esseregiunti in ambiente nuragico nel
bagaglio dimercanti fenici penetrati pacificamente nelretroterra
sardo, ma anche come prede sot-tratte a navi fenicie da razziatori
protosardi,oppure potrebbero esser stati oggetto discambi
commerciali, avvenuti sulla costa fraProtosardi e Fenici.Del resto,
lipotesi che fin dalloraesistessero rapporti commerciali fra gli
uni egli altri, appare del tutto plausibile, dato chedifficilmente
sar sfuggita per molto tempoai mercanti fenici lesistenza di
piomboargentifero in Sardegna e quindi della possi-bilit di
procurarselo, barattandolo con i pro-pri manufatti, durante le
soste delle loro navinellIsola. Possiamo anzi farci anche unideadel
modo come si svolgevano le contrattazio-ni, rileggendo il famoso
brano nel quale Ero-doto descrive il modo come i Cartaginesi,ancora
nel sec. V a.C., compravano loro daibarbari delloccidente; brano
che palesemen-te descrive una prassi consolidata, certo diuso
generale tra i Fenici e di origine moltopi antica dellet in cui
visse Erodoto, tantoda potersi attribuire con sicurezza anche
al-lepoca di cui ci stiamo occupando. Eccodunque la traduzione
dellintero brano erodo-teo:Dopo esser giunti, sbarcano queste
mer-canzie e le espongono in ordine sulla riva,poi tornano su/le
loro imbarcazioni e fannofumo. Gli indigeni, veduto il fumo ed
avvici-natisi al mare, collocano a fianco delle mer-canzie loro che
offrono in cambio e si ritira-no. I Cartaginesi ridiscendono ed
esaminano(quello che gli indigeni hanno lasciato). Segiudicano che
la quantit delloro rispondeal valore delle mercanzie, lo prendono e
sene vanno, altrimenti ritornano alle navi edattendono. Quel/i,
tornando, aggiungonodelloro finch essi non siano soddisfatti.Non si
fanno reciprocamente alcun torto, gliuni non toccando loro prima
che la quantitdeposta sembri loro in rapporto con le mer-canzie,
gli altri non toccando le mercanzieprima che quelli abbiano preso
loro.20
Questa pu definirsi anche lepoca dellaprotocolonizzazione o
colonizzazione prima-ria fenicia in Sardegna, perch quella chevide
sorgere lungo le coste dellisola, adopera di Fenici venuti
dallOriente o dallOc-cidente (ma non di Cartaginesi), una serie
discali commerciali permanenti che, evolven-dosi in centri urbani,
diedero origine, nelcorso dei secoli VIII e VII a.C., a vere e
pro-prie citt coloniali.La prova pi evidente ed irrefutabile diuna
presenza fenicia permanente in Sardegnasi data oggi almeno a! sec.
VIII a.C. ed iltophet di Sulci (S. Antioco). Infatti, in quelluogo
di culto (ove, come noto, si offrivaalla divinit il sacrificio dei
primogeniti, acura e nellinteresse della comunit cittadina)e pi
precisamente nel pi antico dei suoistrati archeologici, si sono
trovati un vasogreco di fabbrica pitecusana, databile consicurezza
attorno al 710 a.C. ed uno di fabbri-ca fenicia, di data non
facilmente precisabilema certamente deposto nel tophet prima
diquello greco e quindi sicuramente databilealmeno al sec. VIII
a.C.. In quel secolo dun-que esisteva il tophet di Sulci e questo
inse-diamento aveva gi una dimensione urbana,almeno nel senso
istituzionale del termine, sedisponeva di un luogo di culto
cittadinoqualera il tophet. E possibile per che Sulcisia stata
fondata anche prima del sec. VIIIa.C. e pi precisamente in
quellultimo scor-cio del sec. IX a.C. in cui le antiche fonti
let-terarie collocano la fondazione di Cartagine(814 a.C.). Infatti
il vaso di fabbrica feniciadi cui parola qui sopra, se per la sua
posi-zione nel tophet, non pu esservi stato depo-sto dopo quello
pitecusano n contempora-neamente a questo e quindi non pu esser
inalcun modo posteriore al sec. VIII a.C.,potrebbe per esser
anteriore a quel secolo,dato che appartiene a un tipo ceramico
carat-terizzato da un conservatorismo talmente21Fig. 6. San tadi.
Santuario della grotta Pirosu-Su Benatzu.Tripode bronzeo di
artigianato indigeno influenzato da inode//i ciprioti. Sec.
IX-Villa. C. Cagliari, Museo Nazionale.Capitolo IIEpoca degli scali
costieripermanentio periodo fenicio II(sec. IX-VII a.C.)
forte che, in mancanza di inequivocabili ele-menti di contesto,
dobbiamo attribuire adogni suo esemplare una cronologia
pru-denziale di almeno due secoli.Possiamo dunque dire che Sulci
esistevasicuramente come citt nel sec. VIII a.C., ma ipotesi molto
plausibile sia stata fondataattorno all800 a.C., cio tra la fine
del sec.IX e gli inizi dellVili a.C.Altrettanto (anche se non
possiamo per oravalerci di una documentazione eloquentecome quella
sulcitana) pu sostanzialmentedirsi di Tharros (S. Giovanni di
Sinis, pressoCabras), dopo i recenti scavi operati nel suotophet
ove, se non si sono trovati vasi grecidatabili al sec. VIII a.C.,
si sono per trovateceramiche fenicie che possono farsi risalirefino
a quel secolo.Finalmente, non bisogna dimenticare cheesistono anche
prove indirette, relative allafondazione di colonie fenicie, sulle
costesarde, durante questa epoca. Sono le provefornite da
insediamenti fenici nella fascia ter-ritoriale subcostiera che,
come vedremo, sor-sero fra il sec. VII ed il VI a.C., quali
coloniesecondarie, in conseguenza della espansionedi citt costiere
fenicie verso il proprio retro-terra.E evidente infatti che tale
espansionepresuppone un sensibile intervallo di tempotra la
fondazione della citt costiera e quelladelle sue colonie
secondarie; intervallo che, agiudicare da quanto sappiamo di
Cartagine,che fu di gran lunga la pi forte ed intrapren-dente delle
colonie fenicie in Occidente, vacalcolato nella misura minima di
quattro ocinque generazioni. In Sardegna, lesempiopi chiaro e
sicuramente valutabife fornitoanche in questo caso da Sulci con la
sua colo-nia secondaria di Monte Sirai (presso Carbo-nia), sorta
verso la met del sec. VII a.C.,come baluardo ma anche avamposto di
Sulcinel quadro della sua espansione territorialenellIglesiente.
Tenendo conto di quantoabbiamo detto pi sopra, la data di
fonda-zione della colonia di Monte Sirai suggeriscedi collocare
quella di Sulci attorno all800a.C., negli stessi anni cio suggeriti
dallana-lisi dei materiali rinvenuti nel tophet di quel-la
citt.Servendosi dello stesso metodo di datazio-ne indiretta, oggi
possibile attribuire aquestepoca anche la fondazione di
Karali(Cagliari), bench i documenti archeologicifinora trovati nel
sito di questa coloniacostiera fenicia non possano risalire oltre
lafine del sec. VII a.C.. Infatti, tenendo presen-te che nel
retroterra caralitano sono stati sco-perti, a S. Sperate, una tomba
fenicia del sec.VII-VI a.C. ed a Settimo S. Pietro, in
localitCuccuru Nuraxi, uno strato di materiali feni-ci dello stesso
periodo, tanto consistente edomogeneo da doversi attribuire non a
rappor-ti commerciali fra Protosardi e Fenici ma adun insediamento
di questi ultimi sul posto, edin considerazione del fatto che, in
quellalocalit, per evidenti motivi geografici, unacolonizzazione
fenicia non poteva essere chela conseguenza dellespansione
territoriale diKarali, logico dedurre che questa citt feni-cia nel
periodo compreso fra il sec. VII e il VIa.C. doveva esistere gi da
alcune gene-razioni ed appare quindi molto plausibilelipotesi che
la sua data di fondazione vadacollocata almeno alla fine del sec.
VIII a.C..Purtroppo dobbiamo ammettere che nonconosciamo il nome di
alcunaltra citt feni-cia di Sardegna, la cui fondazione possa
sicu-ramente collocarsi per validi motivi in que-stepoca storica,
cio tra la met del sec. IX ela met del sec. VII a.C.; cos come non
ancora possibile dire quante colonie, in quel-la stessa epoca, i
Fenici abbiano fondato sullecoste sarde. Le ricerche archeologiche
infattinon sono ancora abbastanza sviluppate perconsentire di
rispondere a tali interrogativi.Esistono pe due significativi
indizi che cipermettono di affermare che, durantequestepoca, un
certo numero di colonie feni-cie doveva esistere tuttattorno
allIsola e nonsolamente in quel settore sud-occidentale oveerano le
tre citt di Karali, Sulci e Tharros. Ilprimo ditali indizi
costituito dal fatto che lerotte delle Bocche del Rodano e
dellItalia22
centro-occidentale, certamente praticate inquestepoca dalle
navi fenicie, esigevanosicuri punti di appoggio lungo le
costenordoccidentali ed orientali sarde.Il secondo indizio invece
rappresentatodalla mancata estensione, a quelle stessecoste, della
colonizzazione greca, benchquesta, durante il sec. VIII a.C., fosse
gi inatto e, sulle coste tirreniche della Sicilia edella Penisola
Italiana, avesse fondato le cittdi Zancle (Messina) e di Cuma. N
questaosservazione contrasta con la notizia fornita-ci da Pausania
circa unantichissima coloniz-zazione greca della Sardegna e quella
forni-taci dallo stesso Pausania, da Solino e da Ste-fano di
Bisanzio, circa la fondazione nel-lisola delle due citt greche di
Olbia edOgryle. l infatti evidente che la prima notiziasi riferisce
ad una colonizzazione greca,avvenuta in et micenea, della quale
forsepresente anche una traccia archeologica neidue templi a
megaron scoperti nel villag-gio nuragico di Serra Orrios presso
Dorgali echiaramente influenzati dallarchitetturagreca micenea.
Tale colonizzazione era dun-que pi antica di quella fenicia in
Sardegna(iniziata non prima della met del sec. IXa.C.) e, a nostro
giudizio, scomparve appun-to quando i Fenici colonizzarono a loro
voltale coste sarde sostituendosi ai concorrentiellenici. A questo
evento storico infatti siriferisce certamente Pausania quando parla
diuna vittoriosa invasione di Libi, nei quali facile riconoscere
coloni fenici venuti dal-lAfrica (evidentemente sulla rotta che
abbia-mo gi detto favorita dai venti di SE e SO),come negli Iberi,
che lo stesso Pausaniadice fondatori di Nora al seguito di Norace,
facile riconoscere coloni fenici partiti dallI-beria. Quanto alle
due citt greche di Olbiaed Ogryle, dopo aver ricordato che non se
ne mai trovata alcuna traccia, appena il casodi osservare che, se
sorsero pi tardi e nonfurono invece fondazioni micenee scomparseper
effetto della citata invasione di Libi,possono esser state
distrutte dai Fenici,durante questepoca e subito dopo la
loronascita. In tal caso, avrebbero subito la stes-sa tragica sorte
che tocc, ad opera di Fenici,in Sicilia, alla colonia greca fondata
da Pen-tatlo sul Capo Boeo, nel sec. VII a.C. e, inAfrica, quella
fondata dallo spartano Dorieo,presso la foce del Kynips, nel sec.
VI a.C. Inconclusione, considerando come non siaverosimile che i
Protosardi, i quali non riu-scirono ad impedire la colonizzazione
feniciain Sardegna, siano stati invece i responsbilidella mancata
colonizzazione greca nellIso-la, bisogna ammettere che i Greci
dovetteroesser tenuti lontani dalle coste orientali
enordoccidentali sarde da un altro popolocolonizzatore nel quale,
durante il periodoche va dal sec. IX al VII a.C., non
possiamoriconoscere altri che i Fenici. Costoro dun-que, nel corso
di quel periodo storico, inappoggio alle rotte del loro
commerciomarittimo, debbono aver fondato un certonumero di colonie
lungo tutte le coste sarde,e non solamente lungo quelle
sudoccidentali,anche se probabile che non tutti gli insedia-menti
abbiano avuto la stessa importanza eprosperit.23Fig. 7. Su/ci,
tophet Olla sta,nnoide di produ-zione euboica di Pitecusa-730-710
a.C.
Quanto ai siti prescelti per la fondazionedei singoli
insediamenti, richiamando quelloche si gi detto nel paragrafo
precedente,possiamo dire che larcheologia confermapienamente
lasserzione di Tucidide, secon-do il quale i Fenici fondavano le
loro coloniesu isolette vicine alla costa, oppure su peni-solette e
promontori. Unisola infatti era ilsito di Sulci, anche se non
ancora possibiledire se fosse naturale o artificiale lo
strettocanale che, ancora in epoca romana, lo sepa-rava dalla
terraferma. certo inoltre che unapenisoletta era il sito ove sorse
Tharros. Malarcheologia integra i dati forniti dalla sto-riografia,
mostrandoci nellinsediamento diKarali lesempio di una colonia
fenicia fon-data utilizzando il tranquillo specchio dac-qua di una
laguna: il cosiddetto Stagno diSanta Gilla.Gli sviluppi edilizi
delle colonie feniciecostiere durante i secoli e talvolta i
millenniche seguirono la loro fondazione, insiemecon la limitatezza
dellesplorazione archeo-logica, non consentono oggi molte
precisa-zioni circa il loro aspetto originario, al qualedel resto
sar fatto cenno nel capitolo relati-vo allurbanistica. Ritengo
possibile invecevalutare, almeno a livello di ipotesi di lavoro,la
consistenza demografica e quindi anchelestensione dellarea urbana
relativa a quegliinsediamenti. Infatti, considerando
labitualecarattere commerciale e non demografico ditutta la
colonizzazione fenicia in questoperiodo storico, la modesta
capienza dellenavi del tempo (che non risulta viaggiasseroin grossi
convogli, come fecero invece, nelsec. V a.C., quelle cartaginesi di
Annone) e lagrande scarsezza di materiali archeologicidatabili a
questo periodo rinvenuti nel sito ditutte le colonie fenicie finora
esplorate inSardegna e altrove, appare verosimile che,inizialmente,
la popolazione di ogni insedia-mento fosse molto scarsa e quindi
occupassearee urbane di estensione molto modesta, senon addirittura
piccola. Volendo formulare incifre tale valutazione, si deve tener
presenteche la media dei coloni lasciati dal cartagine-se Annone in
ciascuno degli insediamenti dalui fondati sulle coste atlantiche
dellAfricanord-occidentale, era di circa 4300 unit, purdisponendo
di mezzi e di potenziale umanoche possiamo ritenere molto superiori
a quel-li fenici dei secoli IX-VII a.C.. E probabilequindi che, in
questo periodo, ogni insedia-mento fenicio in Sardegna contasse
inizial-mente un numero di coloni molto minore:forse non pi di un
migliaio fra uomini edonne, generalmente avvantaggiato per,
neiconfronti degli indigeni, dalla superiorit deimezzi e
dellorganizzazione. probabile che, di solito, i rapporti fraquei
coloni ed i Protosardi siano stati buoni,grazie allaccortezza dei
Fenici che potevagiungere al punto di pagare un tributo
agliindigeni per il territorio sottratto loro dallapropria citt.
Sappiamo che cos fecero lun-gamente in Africa i Cartaginesi nei
confrontidei Libi ed quindi plausibile ipotesi chealtrettanto sia
stato fatto dagli altri colonifenici in Sardegna. Tuttavia non
bisognadimenticare che, come ogni popolo coloniz-zatore, anche i
Fenici, quando necessario alproprio interesse, erano pronti ad
usare anchele armi.Lo documenta forse anche la stele di Nora,ma
certo almeno la fondazione della coloniamilitare fenicia sulcitana
di Monte Sirai pres-so Carbonia, sorta, come vedremo, nel sec.VII
a. C.24
Questepoca pu correttamente definirsianche della
deuterocolonizzazione ocolonizzazione secondaria fenicia,
perchcaratterizzata da unespansione territorialeche fu conseguenza
della fondazione, nellezone subcostiere sarde, di nuove
coloniefenicie, ad opera di quelle precedentementefondate sulle
coste dai Fenici venuti doltre-mare.Abbiamo visto come la
protocolonizzazio-ne fenicia in Sardegna sia
direttamentedocumentata dai manufatti archeologici rin-venuti a
Sulci e Tharros e, indirettamente, daquelli rinvenuti nel
circondano della stessaSulci e di Karali.Abbiamo per visto anche
come eloquentiindizi consentano di affermare che molti
altriinsediamenti fenici dovevano sorgere lungotutte le coste sarde
gi nel sec. VII a.C.,anche se non ne possediamo ancora una sicu-ra
documentazione archeologica. Fra quellierano probabilmente Cornus
(fra S. Caterinadi Pittinuri e Corchinas), Bosa, Carbia (pres-so
Alghero), Nura (presso il lago di Barazze),Turns Libyssonis (Porto
Tomes), Olbia, Sulsio Sulci orientale (presso Tortoli) e
Sarcapos(presso la foce del Flumendosa), a noi noteattraverso le
fonti letterarie greche e romaneod il rinvenimento di tardi
manufatti di cultu-ra fenicio-punica. Ma particolarmente proba-bile
che, oltre Sulci, Tharros e Karali, risal-gano al tempo della
protocolonizzazioneOthoca (S. Giusta) e Bithia (Torre di Chia,nel
territorio di Domus de Maria) ove si sonotrovati manufatti fenici
databili al sec. VIIa.C. e specialmente Nora, il cui sito non
soloha restituito manufatti fenici di quello stessosecolo, ma (come
ho gi ricordto) era consi-derato da Greci e Romani sede della pi
anti-ca citt sorta in Sardegna.Naturalmente, non tutti gli
insediamentidovuti alla protocolonizzazione ebbero egua-le fortuna
e forse taluni rimasero, anchedurante questo terzo periodo fenicio,
sempli-ci scali costieri, senza alcuna espansione ter-ritoriale. Ma
era inevitabile che alcuni altri,dopo essersi consolidati come
centri urbani,fossero spinti, da esigenze demografiche esoprattutto
economiche, a controllare diretta-mente, mediante deduzione di
coloni, il terri-torio sardo circostante. Oggi, le
scopertearcheologiche ci consentono di affermare checerto si
comportarono in quel modo Sulci eKarali, trasformandosi, da
semplici cittcostiere con funzioni di scalo commerciale,in vere e
proprie citt-stato, con un territorioda loro colonizzato.Pi
precisamente possiamo dire che Sulci,nel sec. VII a.C. e
probabilmente verso lamet di quel secolo, fond una sua coloniasul
Monte Sirai, presso Carbonia, in unaposizione ditale importanza
strategica darivelarne con sicurezza il carattere militare,dato che
quellaltura (che non raggiunge i m.25Capitolo IIIEpoca
dellespansioneterritoriale feniciao periodo fenicio III(sec. VII-VI
a.C.)
200 s.l.m. e consente quindi rapidissimiinterventi sul
territorio circostante) controllacontemporaneamente la piana
costiera sud-occidentale sarda antistante Sulci e la grandevia
naturale di penetrazione attraverso laregione montana iglesiente,
rappresentatadalle vallate fluviali di Flumentepido e delCixerri.In
considerazione del fatto che quella viaconsente di raggiungere non
solo fertili terre-ni dinteresse agricolo fino al Campidano
diCagliari, ma anche le zone minerarie monta-ne deli!glesiente,
risalendo le valli che se nedipartono su ambo i lati, il risvolto
economi-co ditale fondazione evidente: creare le pre-messe per il
controllo delle risorse economi-che iglesienti e soprattutto di
quelle minera-rie, rappresentate da giacimenti di ferro
especialmente di piombo argentifero. Il con-trollo delle risorse
agricole infatti dovevaavere unimportanza secondaria per Suiciche,
in quellepoca, poteva alimentarsi a suf-ficienza valendosi di
quanto producevano icampi dellisola di S. Antioco.Del resto, anche
la pianta e la tecnica edili-zia delle strutture murarie fenicie
sul MonteSirai (delle quali ci occuperemo pidiffusamente in
seguito) confermano il carat-26Fig. 8. Sardegna. 1 centri fenici e
punici.
tere militare di quellinsediamento, che certoebbe anche una
funzione protettiva nei con-fronti del territorio circostante e
della stessaSulci. Tale funzione anzi esso non dovevaassolvere da
solo, ma inserito in un sistemafortificato che orlava, con almeno
altri seiinsediamenti coevi, la fascia costiera igle-siente, dalla
posizione di Scruci presso Gon-nesa, attraverso M. Sirai e M. Crobu
di Car-bonia, Corona Arrubia di Nuxis e Pani Lorigadi Santadi fino
a Porto Pino e Porto Botte nelterritorio di S. Anna Arresi.Le gi
citate scoperte di S. Sperate e diSettimo S. Pietro-Cuccuru Nuraxi,
pur senzafornirei una documentazione archeologicaampia come quella
sulcitana, ci consentonooggi di affermare che, fra il sec. VII ed
il VIa.C., anche da parte di Karali fu attuato unmovimento di
espansione territoriale, certocon il duplice scopo di dare maggior
respiroe sicurezza alla citt e di garantirle risorsealimentari
adeguate al suo sviluppo demo-grafico. Purtroppo le ricerche
archeologichenon hanno ancora evidenziato a sufficienza il27Fig. 9.
Abbasanta. Porta a vestibolo nella cinta esterna del nuraghe Losa.
Sec. VII a. C.
28Fig. 10. Nora. Topografia archeologica de//a citt
fenicio-punica. 1-acropoli; 2-ancoraggio orientale; 3-ruderi di
for-tificazioni fenicio-puniche; 4-piazza del mercato; 5-porto
nordorientale; 6-insenatura presso il quartiere punico
sudorien-tale; 7-porto nordoccidentale; 8-Tempio c.d. di Tanit;
9-ruderi di edifici ad Ovest della Piazza del mercato; 10-Tempio
c.d. di Eshmun-Esculapio; Il-ruderi di strutture murarie a blocchi
squadrati, 12-ruderi di un tratto de/le mura urbane; 13-tratto
della via extraurbana; I4-tohet.
perimetro del teritorio colonizzato ma, inbase ad alcuni indizi
forniti dallesplorazionetopografica, possiamo ipotizzare una
pene-trazione ineguale, con una profondit massi-ma di circa km 20
dalla costa, fino ad atte-starsi sulla riva sinistra del Riu Niannu
nelsettore settentrionale, mentre ad est e adovest i confini erano
probabilmente segnatidalle estreme propaggini delle zone
montane.Quanto al tipo degli insediamenti, in attesa diprecisazioni
fornite dagli scavi, possiamopensano sostanzialmente analogo a
quellosulcitano, con la utilizzazione di alture ubica-te in
posizioni strategiche. Finalmente vaosservato che lespansione
territoriale diKarali port questa citt a controllare com-pletamente
lo sbocco al mare delle due vienaturali che mettono in
comunicazione leminiere di rame di Funtana Raminosa, pressoGadoni,
con il golfo di Cagliari, percorrendola media valle del Flumendosa
ed attraver-sando la Trcxenta o la Marmilla ed il Campi-dano
meridionale. probabile dunque chefra gli obiettivi perseguiti dal
movimentocaralitano di penetrazione verso il retroterra,vi sia
stato anche quello di monopolizzare inqualche modo il commercio del
rame fra laBarbagia e la costa meridionale sarda. pi che plausibile
lipotesi che inquestepoca anche altre citt costiere feniciee
specialmente Tharros, abbiano dato originea movimenti di espansione
territoriale analo-ghi a quelli di Sulci e Karali, ma,
purtroppo,mancano ancora le prove sicure.Comunque, da quanto detto
finora scaturi-sce che i dati archeologici in nostro
possessorivelano lesistenza di almeno due citt-statofenicie in
Sardegna, i cui territori, indipen-denti luno dallaltro, si
stendevano in mododiscontinuo sulla fascia costiera e subcostie-ra
sudoccidentale dellIsola, utilizzandone lerisorse agricole e
minerarie.Il punto cui sono giunti gli scavi non cipermette ancora
di precisare la consistenzademografica dei nuovi insediamenti
fenici inquei territori. Unica eccezione (entro certilimiti)
linsediamento di Monte Sirai, oggiabbastanza esplorato per
consentirci di direche dentro il suo perimetro fortificato
potevatrovare alloggio al massimo un migliaio dianime, tenendo
conto che una notevole partedellarea disponibile doveva esser
utilizzataper culture agricole e pascolo del bestiamenecessari alla
vita indipendente della guarni-gione, che si pu valutare fosse di
seicentouomini, almeno durante la successiva etpunica. certo per
che non tutti gli insedia-menti individuati avevano le stesse
dimensio-ni di Monte Sirai e forse questo stesso, ini-zialmente,
non ospit anche popolazionecivile ma solo una guarnigione, che pot
va-riare nella sua consistenza numerica, secon-do i tempi e le
necessit, ma non verosimi-le abbia mai superato la suddetta cifra
di sei-cento uomini.Ovviamente, lespansione territoriale feni-cia
dovette incontrare una decisa opposizioneda parte dei Protosardi
che, del resto, inquellepoca avevano raggiunto, insieme conun alto
livello di cultura materiale e con unapi profonda coscienza dei
propri diritti epossibilit, anche una pi evoluta organizza-zione
politica ed una maggior forza militare.Era dunque inevitabile lo
scontro armato frai due popoli; scontro di cui non parlano lefonti
letterarie antiche, ma che documenta-to archeologicamente dalle
tracce dincendioosservate nello strato fenicio della fortezza
diMonte Sirai, dai ruderi di nuraghi esistentinellarea delle
fortezze fenicie dello stessoMonte Sirai e di Pani Loriga e dai
rifascimurari, databili a questo periodo, che sivedono attorno ad
alcuni nuraghi e che sispiegano solo come intesi a renderli pi
resi-stenti contro i colpi dellarma nuova introdot-ta dai Fenici in
Sardegna: lariete. probabile inoltre che lopposizione proto-sarda
sia stata resa ancor pi decisa dai Greciche, durante il sec. VI
a.C., miravano a colo-nizzare lIsola e quindi avevano tutto
linte-resse a fomentare lodio e il desiderio diriscossa degli
indigeni contro i Fenici. Sap-piamo infatti come, in quel secolo,
lespan-sionismo commerciale dei Focesi, con la fon-29
dazione di Alalia in Corsica, avesse gi por-tato lelemento
greco vicinissimo alla Sarde-gna, di cui, nello stesso secolo,
Biante diPriene proponeva agli Ioni la colonizzazionein massa.Vero
che gli Ioni non accolsero la propo-sta e, come abbiamo visto,
nulla dimostrache, nel sec. VI a.C., esistessero colonie gre-che in
Sardegna; ma anche vero che alme-no parte delle ceramiche greche di
cui si tro-vano sempre pi spesso i frammenti sparsisul terreno
nelle campagne della Marmilla,della Trexenta e dei Campidani,
sconvoltedalle arature profonde, potrebbe esser stataportata da
mercanti greci, avanguardie pi omeno inconscie di quella
colonizzazione chei successivi eventi storici impedirono si
rea-lizzasse.30Fig. 11. Nora. Veduta aerea degli scavi.
Questepoca pu considerarsi articolata indue periodi, entrambi
definibili punici: perio-do punico I (circa 550 -fine sec. V a.C.)
e pe-riodo punico II (fine sec. V-met IV a.C.).I due periodi si
distinguono tra loro per ilcarattere dei manufatti che nel
primoriecheggiano quelli dellepoca precedente,nel secondo
preannunciano quelli dellepocasuccessiva.Lepoca si apre con una
vicenda storicaben documentata dalle fonti letterarie anti-che:
lintervento di Cartagine nellIsola e sichiude con il Il Trattato
tra Cartagine e Romanel 348 a.C., che segue la conclusione
vitto-riosa della III guerra sardopunica.La minaccia rappresentata
dallacontroffensiva dei Protosardi nei confrontidella
colonizzazione fenicia, ed in particola-re della colonizzazione
secondaria, andava,in quel torno di tempo, delineandosi semprepi
gravemente. Daltro canto, soprattuttonegli ambienti commerciali
fenici di Sarde-gna, negli anni intorno alla met del secoloVI a.C.,
dovette diffondersi la notizia dellin-teresse dei Greci, ed in
specie degli Ioni, aduna colonizzazione della Sardegna.Questi
elementi indussero Cartagine ad unintervento per evitare che il
commercio feni-cio, che rappresentava la parte vitale dellasua
attivit, venisse gravemente danneggiatoe, in prospettiva, annullato
in alcuni settoridel Mediterraneo occidentale.Gli storici antichi
dicono che Cartagine in-tervenne in Sardegna, inviandovi un
contin-gente di truppe, sotto il comando di Malco,intorno alla met
del sec. VI a.C. Il nome diMalco non costituisce un vero
antroponimo,ma lindeuropeizzazione di un elemento les-sicale
semitico (mleq) significante re.Conseguentemente dobbiamo
interpretare lanotizia classica nel senso che Cartagineaffid ad un
proprio re il comando del corpodi spedizione in Sardegna.Malco
sbarc nellisola ingaggiando lalotta con un nemico non specificato
dallefonti.Alcuni hanno ritenuto che Malco abbiacombattuto, almeno
in determinati settori,contro i Fenici delle colonie locali.
Lipotesinon pare accettabile in quanto costituirebbelunica
attestazione di una lotta fratricida traFenici. Daltra parte noi
sappiamo da Erodo-to che i Fenici, inquadrati nellesercito
per-siano, si rifiutavano di partecipare ad un con-flito che
vedesse tra i nemici altri Fenici,come accadde, intorno alla fine
del sec. VIa.C., quando Cambise, intendendo marciarealla volta di
Cartagine, dovette rinunziare alprogetto bellico in seguito al
netto rifiuto acombattere oppostogli dalla flotta fenicia.Infine,
bench siano note rivalit tra cittfenicie, come nel caso di
Cartagine ed Utica,non possediamo attestazioni di conflittiarmati
in cui quella rivalit sarebbero sfocia-31Capitolo IVEpoca della
conquistaarmata punicae della colonizzazionecapillare del
territorio(sec. VI sec - met IV sec. a.C.)
32Fig. 12. Thurros. Topografia archeo-logica.1.
Necropolifenicio-punica di S.Giovanni.2. Basilica bizantina di S.
Giovanni.3-5 fortificazioni puniche set-tentrionali, articolate in
tre linee.6. acquedotto romano.7. tophet.8. Tempio di De,netra.9
.Castellum acquae.10.Basilica di S. Marco.11.Terme n.j12.Tempio
punico delle semi colon-ne doriche.13.Terme n.2.14.Tempio delle
iscrizioni puniche./5.quartieri di abitazioni.16..fortificazioni
puniche occidentali./7.fortificazioni fenicie
meridionali.18.Necropoli romana.19.Necropoli
fenico-punica.20.Banchine portuali fenicio-puniche.21.Ruderi di
fortificazioni puniche.22.acropoli feniciopuniche.23.Tempio
fenicio-punico del capo S.Marco.24.Strada daccesso all
acropoli.
te.Da quanto abbiamo detto risulta evidenteche il nemico contro
cui dovette battersiMalco pu essere considerato esclusivamen-te il
popolo protosardo, allora in posizione diostilit nei confronti dei
Fenici.Non possiamo infatti ammettere che i Gre-ci, della cui
presenza in Sardegna sotto formaorganizzata non possediamo alcuna
testimo-nianza, costituissero una forza nemica controcui condurre
un contigente militare da Carta-gine.Malco fu sconfitto
ripetutamente in Sarde-gna. Dovette trattarsi di scontri nei quali
le-sercito cartaginese ebbe la peggio,probabilmente perch il tipo
di guerra attua-to in quella campagna militare fu sostanzial-mente
inatteso da parte di Malco e del suoesercito.La Sardegna,
estremamente pi boscosa dioggi, si presentava costellata da una
miriadedi fortificazioni (i nuraghi), che, nonostante33Fig. 13.
THARROS, inure morto. Probabili banchine portuali fenicio-puniche
ottenute con ladattamento del banco di are-naria nel settore
dellancoraggio orientale.
non si edificassero pi da secoli, dovevanocontinuare ad essere
in uso. Lesercito carta-ginese, avvezzo a combattimenti in
campoaperto, secondo i canoni della tattica militaredi tipo
orientale, si trov a dover condurre daun lato una guerriglia in un
territorio pococonosciuto e difficilmente controllabile, dal-laltro
una guerra di posizione attorno allemunitissime fortezze
nuragiche.Malco, sconfitto, dovette rinunziare allaprosecuzione
della campagna sarda ed il suooperato fu sconfessato dallAssemblea
degliAnziani di Cartagine che gli interdisse ilritorno nella
metropoli africana.Egli si impossess, allora, con la forza,
diCartagine, riaffermandovi il proprio dominiopersonale, fino a che
la riscossa aristocraticanon lo elimin, a causa della politica
tiranni-ca che avrebbe svolto.La campagna di Malco deve
considerarsila prima guerra sardopunica.Il fallimento di questa
guerra non potessere accettato da Cartagine sia perch lapressione
protosarda nei confronti dei centrifenici in Sardegna doveva
continuare a farsisempre pi pesante, sia perch i Greci
incre-mentavano le loro iniziative per insediarsi inSardegna.Gli
Ioni sottoposti alla formidabilepressione persiana, tendevano
infatti adespandersi nel Mediterraneo Occidentale.Daltra parte le
citt greche, sia dellamadre patria, sia del mondo
coloniale,rappresentavano pej Cartagine un potenzialenemico.Ancor
prima per di riprendere i program-mi militari in Sardegna,
Cartagine intese rea-gire al tentativo ionico di monopolizzare
icommerci nel Mediterraneo Occidentale, chesi era manifestato
dapprima con la fondazio-ne di Massalia e successivamente con
ladeduzione delle colonie di Emporion nellI-beria e di Alaha sulla
costa orientale dellaCorsica.In particolare, Alalia costituiva una
baseavanzata, che sembrava preludere alla fonda-zione di una
colonia ionica in Sardegna.Cartagine, resasi conto del pericolo,
strin-se rapporti solidi con gli Etruschi, tanto cheAristotele
asserisce che Etruschi e Cartagine-si costituivano quasi un unico
popolo. Lascoperta delle lamine auree di Pirgi, scritte inetrusco e
fenicio, confermano il regime diaccordo fra Etruschi e Cartaginesi
nel sec. VIa.C..Si arriv allo scontro frontale tra le
flotteetrusco-punica e ionica, nel mare Sardonio,davanti ad Alalia,
intorno al 540/535 a.C..Le fonti greche (in particolare
Erodoto)mascherano leffettivo risultato della batta-glia navale,
attribuendo agli Ioni la vittoria,pur rimarcando il carattere di
vittoria cad-mea, dunque rovinosa anche per il vincitore,ed
asserendo che i Greci abbandonarono, conle navi superstiti, Alalia,
alla volta di Velia.La battaglia di Alahia fu, in sostanza,
unavittoria della coalizione etrusco-punica, cheblocc lavanzata
focese verso la Sardegna.Lesito negativo della I campagna
sardo-punica e il probabile aggravamento dellacondizione delle citt
fenicie nellisolaindussero Cartagine ad intervenire, nellaseconda
met del sec. VI a.C., con una IIcampagna sardopunica, iniziata dopo
la bat-taglia di Alalia e conclusasi entro il 509 a.C.,anno della
stipula del I trattato politico-com-merciale tra Roma e
Cartagine.La II guerra fu combattuta da eserciticartaginesi
comandati dai figli di Magone (ilriformatore delle istituzioni
politiche e mili-tari della Cartagine arcaica), Amilcare
eAsdrubale, i quali riuscirono ad affermare lasovranit di Cartagine
su tutte le coste sardee su vasti tentori del retroterra.Non
possediamo una documentazioneesplicita sui limiti della
penetrazione cartagi-nese in conseguenza della II guerra
sardo-punica.Abbiamo per alcuni indizi a favore di unafortissima
penetrazione verso linterno:innanzi tutto la conquista della
fortezza delSu Nuraxi di Barumini, avvenuta alla fine delsec. VI
a.C. ed attribuita da G. Lilhiu ai Car-taginesi. Abbiamo inoltre la
presenza cartagi-34
nese nella Sardegna centrale attestata da unsistema
fortificato, descritto dettagliatamentepi avanti, che stato
individuato negli annisessanta, ai piedi delle montagne
nuoresi.Tipico esempio, lacropoli di S. Antine diGenoni datata, in
base alla tecnica edilizia, alsec. V a.C. (cronologia confermata
successi-vamente dai saggi stratigrafici ivi condottidalla
Soprintendenza Archeologica di Sassa-ri) e quindi eloquente indizio
che la conqui-sta del territorio limitato dalle linee di
fortifi-cazioni di cui essa fa parte pu essere at-tribuita alla
campagna dei Magonidi.Nella Sardegna settentrionale altri
elo-quenti indizi sono la fortezza di S. Simeonedi Bonorva,
segnalata da G. Lilliu e studiatadallo scrivente, riportabile al
sec. V a.C., lefortificazioni urbane di Guru/is Vetus(Padria) e di
Macomer (forse Macopsisa) elaltra fortezza, di recente scoperta, di
Mular-za Noa (Badde Salighes in territorio di Bolo-tana).Queste
ultime fortificazioni pi che indica-re un confine tra il territorio
occupato daCartagine ed unarea protosarda, sembranoin rapporto
allesigenza di assicurare lalibert di transito sulla Campeda per
con-giungere il nord con il sud della Sardegna.Questo sistema
fortificato della Campeda edei territori contermini indicherebbe
quindiuna precoce penetrazione punica nel norddella Sardena, dove
le fertili zone del Logu-doro e del Meilogu, erano suscettibili di
unampio sfruttamento agricolo.In definitiva lo scopo raggiunto
dalla IIguerra sardo-punica sembra essere statoquello della
conquista cartaginese di tutte lecoste e delle aree interne di
forte interesseeconomico, quindi le zone minerarie (lIgle-siente in
particolare) ed i territori a destina-zione agricola.Loccupazione
di tutte le coste implicitanel testo del I Trattato tra Cartagine e
Roma,nel quale stabilito che in Sardegna nessunromano potr
effettuare una transazionecommerciale se non alla presenza di un
aral-do o di uno scriba (funzionari politico-ammi-nistrativi,
rispettivamente di rango superioreed inferiore), che garantiranno
il negozio perconto dello stato cartaginese. Condizioneevidente per
lesecuzione ditale disposizioneera la presenza dei funzionari
cartaginesi intutti gli scali portuali della Sardegna ed, inspecie,
della costa orientale, pi prossima aRoma.Probabilmente, dopo la
guerra deiMagonidi, la conquista continu con assesta-menti ed
annessioni di territori marginali aquelli occupati nella seconda
met del secoloVI a.C., come ad esempio la regione retro-stante la
fortezza di S. Vittoria di Neoneli,edificata forse nella seconda
met del sec. IVa.C., ma sostanzialmente la conquista carta-ginese
dellisola deve attribuirsi alla secondaguerra
sardo-punica.Cartagine consider certo la Sardegnacome soggetta
interamente alla sua autorit;di fatto per la parte pi interna
dellisolasembra esser rimasta fuori dalla colonizza-zione diretta
punica e quindi probabile siastata solo tributaria della Metropoli
africana.Alla vigilia della terza campagna militarepunica in
Sardegna (e pi precisamente nel378 a.C.) sarebbe stata dedotta,
forse sullecoste orientali sarde, una colonia di Romani.Infatti,
dato il consenso dei codici, pare diffi-cile accettare il
tradizionale emendamento diSardonia (Sardegna) in Satricum o
Sutrium.La mancanza di altre notizie su quellacolonia romana in
Sardegna, in particolare dinotizie riferibili al tempo della I
guerra fraCartagine e Roma, induce per a ritenere chela colonia,
effettivamente fondata, sia stataspazzata via dalla reazione di
Cartagine, allostesso modo che abbiamo ipotizzato per ledue colonie
greche che sarebbero state fon-date in Sardegna.La terza guerra
sardo-punica inizia nel 368a.C., lanno antecedente lo scoppio
delleostilit tra Cartagine e Siracusa, dominataallora dal tiranno
Dionigi il Vecchio. E notocome questo tiranno coordinasse le
azionimilitari con quelle politico-diplomatiche.Non dunque da
escludere che egli abbia35
curato lapertura di un fronte bellico in Sar-degna, fomentando
una rivolta di gruppi sardicontro Cartagine, che costituisse una
diver-sione per la citt africana, indebolita dai pidifficoltosi
rifornimenti granari dalla Sarde-gna e parzialmente distolta dalla
difesa deipropri interessi in Sicilia.Comunque le fonti asseriscono
che nel 368a.C. si ebbe una vasta rivolta di indigenisardi, che
costrinse Cartagine al nuovo inter-vento militare in Sardegna,
destinato a pro-lungarsi negli anni. Entro ii 348 a.C. per
lacampagna militare doveva aver avuto termi-ne, in quanto in
quellanno Cartagine stipulun secondo trattato con Roma, che
presenta-va, a proposito della Sardegna, clausole assaipi
restrittive del primo.Cartagine impone a Roma di non commer-ciare
assolutamente con la Sardegna. Lisolaricever merci romane e laziali
nella secondamet del sec. IV e nel corso del III a.C., maqueste non
potranno attribuirsi generalmentead un commercio diretto, bens
mediato daCartagine.La svolta nei rapporti internazionali allamet
del sec. IV a.C. che si palesa in questotrattato, spiega
agevolmente i grandi rifaci-menti e le ristrutturazioni nelle
fortificazioniche riscontriamo nei centri costieri punici aquel
livello cronologico.In sintonia con queste opere nella
fasciamarittima dellIsola sono anche i restauridella met del sec.
IV a.C. documentati dallefortezze dellinterno.Lorganizzazione del
territorio occupatoda Cartagine fu attuata innanzi tutto con
lacostituzione di sistemi fortificati davanti aiterritori montani,
esterni allarea di occupa-zione militare diretta.Si tratta di
allineamenti di posizioni militarievidenziati in vaste aree della
Sardegna nelcorso delle prospezioni topografiche condot-te da chi
scrive.Pi precisamente si avevano due sistemiprincipali: centro
settentrionale e centroorientale.Il sistema fortificato centro
settentrionaleera incentrato sui capisaldi di Padria, Maco-mer, S.
Simeonedi Bonorva e Mularza Noa diBadde Salighes-Bolotana e
controllava laCampeda.Il sistema centro orientale, che
fronteggia-va la Barbagia el il Nuorese, pu seguirsi apartire da
Sedilo-Talassai nelle loclait diFordongianus-Casteddu Ecciu,
Asuni-S. Gio-vanni, Nureci-Magomadas, Genoni-S. Anti-ne, isiliOvile
Baracci, Orroli-Nuraghe Arru-biu, GoniNuraghe Goni,
BallaoPalastaris.In questo allineamento deve osservarsi chela
funzione di difesa sistematica delle fortifi-cazioni sottolineata
dalla posizione sullariva destra del Tirso o del Flumendosa
occu-pata dalle fortificazioni stesse, per le quali illetto dei due
fiumi costituiva una sorta dismisurato fossato naturale.Oltre gli
insediamenti punici, ovviamentemilitari, che formavano i sistemi
fortificatiinterni, molti altri ne sono stati individuatigrazie a
trovamenti fortuiti scientificamenteverificati, a sistematiche
esplorazioni topo-grafiche ed a metodiche campagne di
scavistratigrafici. Particolarmente numerosi sonoquelli scoperti
nei territori interni ove non eragiunta la colonizzazione fenicia,
ma ubicatiin localit scelte con criteri analoghi a quelliseguiti
durante tale colonizzazione: siti(generalmente elevati) posti in
condizione dipoter controllare incroci stradali e passaggiobbligati
come strettoie (es. Furtei-S. Bia-gio), guadi (es. Senorb-Monte
Luna e S.Teru) ecc., oppure in zone di particolare inte-resse
economico (es. Sanluri-Bidde Cresia,Uselis-S. Reparata,
Fluminimaggiore-Grugua, Carbonia-Sirri, Abbasanta-Losaecc.)
plausibile ipotesi che esigenze econo-miche o militari abbiano
fatto sorgere nuoviinsediamenti anche lungo le coste, ma evi-dente
che solo gli scavi stratigrafici potrannoconsentire di distinguere
tali nuove fondazio-ni da quelle fenicie sopravvissute sotto
Car-tagine e che, in questa epoca, andarono svi-luppandosi
urbanisticamente e tecnicamente,secondo formule culturali fenicie,
arricchitee modificate dal contributo punico.36
Comunque, ritengo si possano indicare co-me molto probabilmente
di origine punicaquelle che ci appaiono inutili alleconomiadelle
citt fenicie costiere ed invece conse-guenze logiche della presenza
punica nelretroterra. Tali sarebbero, ad esempio, i pic-coli
insediamenti della costa iglesiente a norddi Sulci (Paringianeddu,
Porto Paglia, PortoPalma, Gutture Flumini, S. Antine),
chesfruttavano modesti approdi di una costaimportuosa,
evidentemente in funzione del-lattivit di piccole comunit di
pescatori odellattivit mineraria della zona montanaretrostante,
alla quale, per le spedizioni desti-nate a Cartagine od ai lontani
centri costierisardi di lavorazione, riuscivano certo menocostoso
far affluire il minerale a quei piccoliapprodi vicini e di l farlo
proseguire viamare per i grandi porti della costa occidenta-le
sarda, anzich inviano a quegli stessi portivia terra. Probabilmente
punica pu ritenersianche lorigine del porto ubicato nella zonadi S.
Maria di Nabui e che i testi greci chia-mano Neapolis, traducendo
evidentementeun toponimo semitico: Qart Hadasht (CittNuova) o Magom
Hadash (LuogoNuovo). Quel porto infatti, anche a prescin-dere dal
nome che lo dichiara probabilmentepunico, perch pi recente di uno
fondato inprecedenza (e che potrebbe essere statoOthoca, il cui
nome significa in fenicio Vec-chia, cio la Citt Vecchia) appare
crea-to in funzione dellattivit economica svoltanon dai Fenici (che
gi disponevano di Otho-ca stessa e di Tharros) ma dai
Cartaginesi,che occupavano il territorio retrostante e
nesfruttavano le risorse, imbarcandovi quelledestinate a Cartagine
e, comunque, ai mer-cati doltre mare.La funzione che possiamo
attribuire al por-to di Neapolis sembra dunque rivelarne il
ca-rattere fondamentalmente mercantile e quin-di pacifico, anche se
certo che unadeguatacinta muraria ne garantiva la difesa in caso
dinecessit.Probabilmente, altrettanto pu dirsi anchedi altri
insediamenti costieri fenicio-punicidurante questa epoca. Tuttavia,
le scoperteavvenute a S. Giusta di Monte Nai (pressoMuravera),
Karali, Nora, Bithia, Zafferano(presso Capo Teulada), Sulci,
Tharros e Cor-nus, di robuste fortificazioni urbane,
talvoltacomplesse e poderose (es. Tharros), databiliad epoca non
posteriore al sec. V a.C. e quasitutte restaurate nel sec. IV-III
a.C., con evi-dente sforzo di adeguarle ai progressi
dellin-gegneria militare ellenistica, rendono pi cheplausibile
lipotesi che, come in Africa,anche in Sardegna Cartagine abbia
volutorealizzare un sistema fortificato costiero, nonsolo creando,
ove necessario, nuovi capisal-di, ma anche utilizzando, potenziando
e ade-guando ai progressi tecnici dei tempi le forti-ficazioni
urbane degli antichi insediamenticommerciali fenici, trasformandoli
talvolta(come nel caso di Tharros) in vere piazzefor-ti
marittime.Lo stesso problema relativo alloriginefenicia o punica
degli insediamenti costieri,esiste ovviamente anche per quelli
subcostie-ri, almeno nei territori sulcitano e caralitano,ove certo
continuarono ad esistere i vecchiinsediamenti fenici (magari
parzialmentericostruiti e rinforzati nelle loro strutture
edi-lizie, come avvenne della fortezza sulcitanadi Monte Sirai) ma
molto probabilmente nesorsero anche di nuovi, quando Cartaginediede
a tutto il territorio sardo conquistato lasua organizzazione
coloniale. Di questa pos-siamo oggi farci unidea abbastanza
chiaraed attendibile, grazie alle moltissime scoper-te
archeologiche avvenute nelle provincie diCagliari ed Oristano
durante lultimo trenten-nio. Tali scoperte infatti documentano
lesi-stenza, nella Sardegna sud-occidentale, di ungran numero
dinsediamenti feniciopunici,costieri, subcostieri ed interni, per
moltodivesi fra loro per dimensioni e (ubbidendoalle immutabili
leggi del terreno, con i suoirilievi, i suoi corsi dacqua ed i
profili dellesue coste) sparsi nel territorio in modo darender
plausibile lipotesi che questo, inepoca punica, fosse diviso in
distretti, corri-spondenti ad aree geografiche ben definibili
e37
di varia estensione. Osservando i confininaturali di quelle
aree, si nota che ognuno diquei distretti aveva un solo
insediamentogrande, ubicato sulla costa (ovviamente unadelle grandi
citt costiere di origine fenicia opunica), alcuni insediamenti
medi, sparsi nelcircondano costiero ed interno di quello(sopra
unestensione di territorio che puessere anche molto vasta) e molti
altri inse-diamenti piccoli, che chiaramente gravita-vano attorno a
quelli medi.Inoltre, la frequente scoperta di piccoligruppi di
tombe puniche, vicini a quegli inse-diamenti ma non tanto da poter
esser consi-derati pertinenti alle loro necropoli, ha rivela-to
come nelle zone extraurbane vivesseromolti piccoli nuclei di coloni
punici, in abita-zioni isolate o riunite in minuscoli gruppi,simili
agli attuali medaus sardi.Significativi esempi di questo tipo
dicolonizzazione, che possiamo definirecapillare, si hanno nel
Sulcis e nel Campi-dano. Infatti nel Sulcis, che certo corrispondea
parte del distretto punico dipendente dallacitt costiera di Sulci
(nel quale doveva rien-trare tutto lIglesiente, tranne forse i
circon-dari di Nora e Bithia), attorno allinsedia-mento militare di
Monte Sirai gravitavano ipiccoli centri di cui sono stati scoperti
i restia Matzaccara, Brunke Teula, S. Maria diFlumentepido, Barbusi
e Is Sarbutzus.Daltra parte, nel Campidano e piprecisamente nel
territorio del Comune diSanluri, entro un raggio di appena km
5,800,sono stati recentemente individuati ben undi-ci piccoli
abitati punici, che la disposizionetopografica rivela tutti
gravitanti attorno alsito pi elevato ove sorge lattuale Sanluri,cos
da render plausibile lipotesi (certo daverificare proseguendo
lesplorazione) chequesta possa esser sorta sullarea di un abita-to
punico pi grosso ed importante. Questoavrebbe assolto, nei
confronti del territoriocircostante, gli stessi compiti che
linsedia-mento militare di Monte Sirai assolveva neiconfronti del
territorio sulcitano circostante:tutela militare e raccordo
logistico-amministrativo fra i piccoli abitati agricoli ela citt
costiera cui faceva capo leconomiadel distretto. In questo caso,
tale citt costie-ra potrebbe anche essere stata Karali (comesi
pensato in un primo momento), ma piprobabile fosse Neapolis che,
come Sanluri,era a nordovest del Riu Mannu, il quale inve-ce segna
un netta divisione fra il circondanodi Sanluri ed il retroterra di
Karali. evidente che un simile assetto colonialecostituiva un
motivo di pi per disseminarenel territorio guarnigioni permanenti
chegarantissero, oltre la sovranit di Cartagineed uno sfruttamento
efficace e costante dellerisorse economiche sarde, anche la
sicurezzadei numerosissimi coloni sparsi nelle areeextraurbane.
Naturalmente, quelle guarnigio-ni vivevano entro dei forti pi o
meno grandi(la cui tipologia sar illustrata pi avanti),cosicch
logico ritenere generalmente mili-tare lorigine delle citt puniche
interne, datoche attorno al forte con la sua guarnigionedovette
inevitabilmente raccogliersi la primapopolazione civile, formata di
servi, artigianie famiglie pi o meno legittime dei militari.Una
popolazione certamente mista dun-que, cos come doveva esser mista
quella cheviveva nelle aree extraurbane, formata dacoloni semitici
che, secondo la concezioneeconomica punica, vivevano sul terreno
dicui sfruttavano le risorse, ma senza dubbiovalendosi anche di
manodopera servile sardao dei molti Libi, che le fonti letterarie
anticheci dicono deportati allora in Sardegna da Car-tagine. N si
deve dimenticare che anche leguarnigioni erano etnicamente miste,
essen-do composte da mercenari provenienti davarie regioni del
Mediterreaneo, comandateda ufficiali cartaginesi.Lesame storico di
questa epoca delleconquiste territoriali e della
conseguentecolonizzazione capillare dellisola non puprescindere
dallanalisi del rapporto instaura-tosi tra gli indigeni di
tradizione nuragica edi Cartaginesi. opinione corrente che
lacolonizzazione cartaginese abbia avuto effet-ti sostanzialmente
negativi sulla Sardegna.38
Tale colonizzazione avrebbe infatti esorditocon una conquista
violenta, seguita da unesodo in massa delle popolazioni
protosardedalle zone occupate, con il conseguente chiu-dersi in s
stessa della popolazione autocto-na, costretta ad uno stadio
economico disopravvivenza, nella zona interna e pi pove-ra
dellIsola. Daltra parte, la minoranzadegli indigeni, restata nella
regione occupata,avrebbe attuato una forma di colla-borazionismo
nei confronti degli invasori.Inoltre i Cartaginesi, per le esigenze
dellamonocoltura cerealicola che praticarono inSardegna, avrebbero
proceduto ad una siste-matica opera di abbattimento del
patrimonioboschivo locale.Infine a mercenari africani, giunti
inSardegna, inquadrati negli eserciti cartagine-si, viene
attribuita la responsabilit dellin-troduzione della malaria
nellIsola.I protosardi, daltro canto, avrebberoopposto un regime di
resistenza ai Cartagine-si, ritardandone la penetrazione verso
linter-no.Anche sul piano culturale si sarebbe attutauna
sistematica opposizione dei Sardiindipendenti nei confronti dei
Cartaginesi edei collaborazionisti, mentre i Puniciavrebbero
avviato un processo di accultura-zione dei loro sudditi sardi, con
la conse-guente scomparsa delle forme culturali pro-tosarde.In
realt una verifica del dominiocartaginese nellIsola in base alle
fonti lette-rarie antiche sembra testimoniare una situa-zione
simile a quella che la critica storicamoderna ha accreditato.In
particolare si fa riferimento alla IIIguerra sardo-punica per
dimostrare chelantagonismo tra i Cartaginesi e i Sardi per-sisteva
ancora nel sec. IV a.C..Tuttavia la scelta di campo operata dai
Sar-di nel III sec. a.C., a favore dei Cartaginesi econtro gli
invasori Romani durante la I e la IIguerra punico-romana, pu
indiziare unarelazione tra i due elementi etnici alquantodiversa
rispetto a quella che ci si attendereb-be in base alle notizie
storiche sulle fasi dicolonizzazione punica della Sardegna. Aquesto
proposito dobbiamo ricordare anchecome documenti ufficiali, quali i
FastiTriumphales, testimonino ripetutamente levittorie dei Romani
de Poeneis et Sardeis,distinguendo i due elementi, punico e
sardo,evidentemente perch il secondo non eraparte asservita, in un
rapporto mercenario,del primo, ma suo alleato.Inoltre la
documentazione archeologica di-mostra esplicitamente che le
ricostruzionistoriche antiche e moderne sono estrema-mente faziose
nella trattazione del rapportotra Sardi e Punici.Innanzitutto le
testimonianze di culturatardonuragica in et punica, nelle
zonesottoposte al dominio cartaginese, sono tal-mente abbondanti da
farci ritenere che leso-do degli indigeni verso le montagne del
cen-tro abbia riguardato una stretta minoranzadella popolazione.In
secondo luogo il rientro degli abitantinuragici nelle antiche sedi
delle pianure edelle zone collinari conquistate avvenne nonmolto
tempo dopo le distruzioni conseguitealla conquista, con la
creazione di nuovi vil-laggi caratterizzati da dimore, influenzate
datipologie planimetriche ed edilizie semitiche.Inoltre lassetto
dei villaggi e delle singoleabitazioni dimostra quella comodit di
vitache G. Lilliu ha constatato nel villaggio di SuNuraxi di
Barumini, ricostruito dopo laconquista cartaginese di quel
territorio.Finalmente, sin dal sec. IV a.C., comevedremo pi avanti,
la cultura materiale deicentri abitati della Sardegna
caratterizzatasia da elementi di tradizione punica sia daelementi
di tradizione protosarda che siinfluenzano reciprocamente, sicch
non gidi acculturazione deve parlarsi a propositodella civilt
tardo-nuragica, ma di integrazio-ne della cultura semitica e sarda
nella formadella civilt sardo-punica; integrazione che,daltra
parte, era gi iniziata in epoca fenicia,ma si era interrotta
durante gli anni delle-spansione territoriale fenicia e della
conqui-39
sta armata cartaginese.I materiali rinvenuti nel tempio di
Antasdimostrano, indubbiamente, che agli inizi delsec. IV a.C.
lintegrazione era in atto. Piprecisamente ad Antas si verific un
fatto diestremo itneresse storico-culturale. I Cartagi-nesi, giunti
sul posto, allo scorcio del VI sec.a.C., trovarono un culto
protosardo prestatoad una divinit maschile, considerta padre
ecaccitore, Babay, che essi interpretaronocome Sid, la persona
divina maschile cac-ciatrice del mondo semitico. Il fatto per
cheSid, nelle epigrafi di Antas, conservi, comeapposizione, il nome
di Babay dimostra cheil culto protosardo non mor allarrivo
deiCartaginesi, ma sopravvisse condizionandolo stesso culto della
persona divina semitica.Si ebbe dunque, sul piano religioso, un
fe-nomeno di integrazione.Questa situazione si mantenne non
solodurante tutto il periodo punico, come denota-no le epigrafi del
sec. 1V-Il a.C. ma perdurin et romana. I Romani, infatti,
soppresseronel culto ufficiale il nome di Sid ed il suoattributo
punico Addir, ma conservaronolapposizione di Babay, riferendola a
SardusPater, cui dedicato il tempio in et severia-na e che era
semplicemente linterpretazioneromana di Sid Addir.Concludendo
possiamo affermare cheinizialmente larrivo dei Cartaginesi
segnlavvio di un duro scontro con i Protosardi,che si protrasse per
tutta la seconda met delVI e forse per gli inizi del V sec.
a.C.Successivamente per verifichiamo chenelle vaste regioni della
Sardegna dove siafferm la colonizzazione capillare punica iSardi,
convivendo pacificamente con i Puni-ci, godettero di un generale
benessere e, inconseguenza dellintimo e prolungato contat-to con la
civilt semitica, finirono con lacco-glierne numerose forme pur
senza perdere lapropria identit.Ma, come si detto, anche la civilt
puni-ca in Sardegna influenzata, sotto diversiaspetti ed in
particolare nel gusto artistico,dalla cultura protosarda, si
trasform nellapeculiare civilt sardo-punica, che sopravvis-se al
dominio politico di Cartagine, raggiun-gendo con le sue ultime
manifestazioni, lafine dellevo antico.Il quadro delineato ci
dimostra che lacivilt punica costitu un reale progresso perla
Sardegna.LIsola, daltro canto, non vide introdottadai mercenari al
soldo di Cartagine la mala-ria, che recenti studi antropologici
considera-no presente in Sardegna sin da et eneolitica.Infine
lopera di abbattimento di piante frut-tifere attuata nellisola dai
Punici deve esserecorrettamente interpretata in funzione
dellamonocoltura cerealicola che ebbe straordina-rio sviluppo sotto
Cartagine e successiva-mente, sotto Roma come dimostrano i
riferi-menti delle fonti letterarie alla ricchezza fru-mentaria
dellisola.40
Questepoca ben definita cronologicamen-te da due fatti storici,
datati con precisionedalle fonti letterarie antiche: la firma del
secon-do trattato fra Cartagine e Roma nel 348 a.C. elinvasione
(con conseguente annessione)romana della Sardegna, nel 238
a.C..Dunque centodieci anni di storia, durante iquali, come
dimostrano i documenti archeolo-gici, che saranno esaminati in
seguito, si ebbeuna ulteriore evoluzione urbanistica,
edilizia,artistica ed artigianale, sia nelle grandi citt co-stiere
sia negli insediamenti minori. Vistosiesempi ditale evoluzione sono
le nuove necro-poli con tombe a camera ipogeica e a
fossa,realizzate a sud-est di Karali e a nord di Thar-ros, la
costruzione di nuovi paramenti a bloc-chi squadrati nelle
fortificazioni di Karali,Nora, Bithia, Sulci e Tharros, la nuova
faseedilizia del tempio di Sid Addir Babay adAntas, laspetto
calligrafico assunto dai carat-teri alfabetici punici nellepigrafia
e il dilagaredello stile grecizzante nellarchitettura e nellearti
figurative, in Sardegna come nel resto delmondo punico, anche se
con caratteri peculia-ri, certo dovuti non solo a differenti
tradizioniculturali fenicie ed allinsularit della provin-cia sarda,
ma anche alla integrazionesardopunica.Questa, fra il sec. IV e il
III a.C., and ac-quistando sempre maggior consistenza,prodotta
comera da una situazione di fattoirreversibile quale lintima e
prolungata convi-venza fra Protosardi e Punici (senza
dubbiointensificata dopo la fine della terza guerrasardo-punica) e
da fattori strettamente connes-si con lessenza stessa delle due
civit. Si devetener presente infatti che entrambe erano dota-te di
grande vitalit e presentavano caratteriche, espressi dai due popoli
nella loro vita quo-tidiana sullo stesso territorio, non
avevanobisogno di propaganda od imposizione alcunaper esser
valutati positivamente e quindi reci-procamente recepiti.Cos ai
Punici dovette apparir positiva la ci-vilt protosarda specialmente
per lalto livellodella sua arte, caratterizzata da monumentalite
sapiente equilibrio di forme, spiccata ca-pacit di sintesi
figurativa, senso del movimen-to ed abile sintassi compositiva.
Della civiltpunica invece, gli aspetti (sui quali cisoffermeremo in
seguito) che dovettero apparirparticolarmente positivi agli occhi
dei Proto-sardi furono certamente la formula insediativaurbana,
come valida espressione di una com-plessa e matura organizzazione
di vita socio-politica, larchitettura domestica, ledilizia e
letecniche artigianali in genere, per la loro gran-de funzionalit,
come pure la scrittura alfabeti-ca, quale efficacissimo strumento
mnemonicoe dinformazione (forse, ad un certo momento,usato anche a
scopi magici) e, finalmente, lareligione, per le sue elevate
concezioni teologi-che e morali, la sua forte carica di misticismoe
certe innegabili affinit di base con la propriareligione, di sicura
matrice mediterranea.Luna e laltra infatti erano espressioni di
unaspiritualit che prescindeva dalle categorielogiche, per
assurgere ad una concezione uni-taria della divinit, pur nelle
molteplici espres-sioni o forme che le venivano attribuite.
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