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Ceramica altomedievale a vetrina pesante e ceramica medievale a vetrina sparsa provenienti dallo scavo di San Sisto Vecchio in Roma: analisi tecnologica e proposta interpretativa INTRODUZIONE Lo studio che intendo presentare nelle pagine seguenti fa parte di una serie di ricerche condotte nel recente passato su materiale ceramico proveniente dallo scavo di San Sisto Vecchio in Roma 1 . Poiché detto studio si è svolto presso l'Istituto di Tecnologia Ceramica del Centro Archeologico dell'Università di Leiden (Paesi Bassi), ritengo necessario iniziare la mia presentazione con una breve nota sull'impostazione teorica e metodologica dell'Istituto, così che i criteri adottati, le analisi e le relative conclusioni vengano a trovarsi nella giusta prospettiva. Alla fine degli anni '60 l'archeologo olandese Henk Franken, fondatore dell'Istituto, confrontato col compito di dover pubblicare una grande quantità di ceramica del I millennio a.C. da lui scavata in Giordania, trovò inadeguate al suo scopo le possibilità di ordinamento del materiale offertegli dai metodi tradizionali di classificazione. Fu così che, in collaborazione col ceramista e scultore Jan Kalsbeek, egli mise le basi di un nuovo metodo di classificazione che può definirsi sostanzialmente basato sulla genesi del prodotto. Tutti i fenomeni fisici che sono ripetutamente osservabili in un manufatto ceramico, e in base ai quali generalmente tale materiale viene classificato (forma, decorazione, rivestimento, colore, impasto etc.), altro non sono in effetti che il risultato di una certa tecnica di lavorazione, applicata a una materia prima dotata di determinate proprietà, al fine di ottenere un prodotto che corrisponda a certe esigenze. Si può supporre allora che analizzando il materiale dal punto di vista tecnico-artigianale, non solo si otterrà un ordinamento di esso corrispondente a una realtà concreta, quella del vasaio, ma sarà anche possibile spiegare i fenomeni constatati togliendoli dalla loro astrazione. Conseguenza di una tale concezione è che prodotti di un'argilla con caratteristiche analoghe, realizzati con tecniche di fabbricazione simili, saranno considerati un “tipo” a prescindere da varianti, per esempio nella forma, non ritenute essenziali dal punto di vista artigianale, realizzate con materia e tecnica differente saranno considerate “tipi” diversi. Come dunque classificazioni tecnologiche non sempre coincidono con classificazioni visuali, così anche il concetto di tradizione artigianale basato su questi criteri per così dire ‘interni’ può differire dal concetto di tradizione basato su osservazioni ‘esterne’ 2 .[394] Grazie al carattere ambivalente della tecnologia, che è legata sia all’ambiente fisico di una produzione che a quello sociale ed economico, il prossimo passo è quello di considerare l’informazione derivata dalla ceramica come una delle espressioni delle interrelazioni uomo- ambiente, di vedere cioè la ceramica come un prodotto ‘ecologico’ per eccellenza 3 . È questo il fondamento teorico, che sta alla base delle ricerche che si svolgono presso l’Istituto di Tecnologia Ceramica dove oggi le attività si dividono in due distinti campi: gli studi strettamente tecnologici applicati al materiale archeologico, e la ricerca etnoarcheologica condotta in Sardegna 4 . Quest'ultima può brevemente definirsi come l’attenta osservazione dei mutamenti a cui va soggetta una produzione ceramica in un contesto in completa trasformazione — quale è appunto quello sardo tra gli anni ‘20 e gli anni ‘80 — e la definizione delle variabili alle origini di tali mutamenti. Ciò non ai fini di voler stabilire dirette analogie tra contesti attuali e antichi, ma inteso piuttosto come 1 Si tratta di una serie di studi sperimentali riguardanti anfore romane (ANNIS 1976; SCHURING 1984); ceramica da fuoco tardoromana, altomedievale e medievale (SCHURING 1986; 1987) e terra sigillata africana (SCHURING 1988). 2 FRANKEN-KALSBEEK 1969; FRANKEN-KALSBEEK 1975; FRANKEN 1983. 3 II termine “ceramic ecology” fu introdotto da F. MATSON (1965, pp. 202-217) per indicare un tipo di impostazione pluridisciplinare degli studi ceramici che già caratterizzava l’opera di A. Shepard il cui libro Ceramics for the Archaeologist fu pubblicato per la prima volta nel 1954. 4 I risultati di questa ricerca vengono pubblicati annualmente nel Newsletter Department Pottery Technology I: (1983-)

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Ceramica altomedievale a vetrina pesante e ceramica medievale a vetrina sparsa provenienti dallo

scavo di San Sisto Vecchio in Roma: analisi tecnologica e proposta interpretativa

INTRODUZIONE

Lo studio che intendo presentare nelle pagine seguenti fa parte di una serie di ricerche condotte nel recente passato su materiale ceramico proveniente dallo scavo di San Sisto Vecchio in Roma1. Poiché detto studio si è svolto presso l'Istituto di Tecnologia Ceramica del Centro Archeologico dell'Università di Leiden (Paesi Bassi), ritengo necessario iniziare la mia presentazione con una breve nota sull'impostazione teorica e metodologica dell'Istituto, così che i criteri adottati, le analisi e le relative conclusioni vengano a trovarsi nella giusta prospettiva.

Alla fine degli anni '60 l'archeologo olandese Henk Franken, fondatore dell'Istituto, confrontato col compito di dover pubblicare una grande quantità di ceramica del I millennio a.C. da lui scavata in Giordania, trovò inadeguate al suo scopo le possibilità di ordinamento del materiale offertegli dai metodi tradizionali di classificazione. Fu così che, in collaborazione col ceramista e scultore Jan Kalsbeek, egli mise le basi di un nuovo metodo di classificazione che può definirsi sostanzialmente basato sulla genesi del prodotto. Tutti i fenomeni fisici che sono ripetutamente osservabili in un manufatto ceramico, e in base ai quali generalmente tale materiale viene classificato (forma, decorazione, rivestimento, colore, impasto etc.), altro non sono in effetti che il risultato di una certa tecnica di lavorazione, applicata a una materia prima dotata di determinate proprietà, al fine di ottenere un prodotto che corrisponda a certe esigenze. Si può supporre allora che analizzando il materiale dal punto di vista tecnico-artigianale, non solo si otterrà un ordinamento di esso corrispondente a una realtà concreta, quella del vasaio, ma sarà anche possibile spiegare i fenomeni constatati togliendoli dalla loro astrazione. Conseguenza di una tale concezione è che prodotti di un'argilla con caratteristiche analoghe, realizzati con tecniche di fabbricazione simili, saranno considerati un “tipo” a prescindere da varianti, per esempio nella forma, non ritenute essenziali dal punto di vista artigianale, realizzate con materia e tecnica differente saranno considerate “tipi” diversi. Come dunque classificazioni tecnologiche non sempre coincidono con classificazioni visuali, così anche il concetto di tradizione artigianale basato su questi criteri per così dire ‘interni’ può differire dal concetto di tradizione basato su osservazioni ‘esterne’2.[394]

Grazie al carattere ambivalente della tecnologia, che è legata sia all’ambiente fisico di una produzione che a quello sociale ed economico, il prossimo passo è quello di considerare l’informazione derivata dalla ceramica come una delle espressioni delle interrelazioni uomo­ambiente, di vedere cioè la ceramica come un prodotto ‘ecologico’ per eccellenza3. È questo il fondamento teorico, che sta alla base delle ricerche che si svolgono presso l’Istituto di Tecnologia Ceramica dove oggi le attività si dividono in due distinti campi: gli studi strettamente tecnologici applicati al materiale archeologico, e la ricerca etnoarcheologica condotta in Sardegna4. Quest'ultima può brevemente definirsi come l’attenta osservazione dei mutamenti a cui va soggetta una produzione ceramica in un contesto in completa trasformazione — quale è appunto quello sardo tra gli anni ‘20 e gli anni ‘80 — e la definizione delle variabili alle origini di tali mutamenti. Ciò non ai fini di voler stabilire dirette analogie tra contesti attuali e antichi, ma inteso piuttosto come

1 Si tratta di una serie di studi sperimentali riguardanti anfore romane (ANNIS 1976; SCHURING 1984); ceramica dafuoco tardoromana, altomedievale e medievale (SCHURING 1986; 1987) e terra sigillata africana (SCHURING 1988).2 FRANKEN-KALSBEEK 1969; FRANKEN-KALSBEEK 1975; FRANKEN 1983.3 II termine “ceramic ecology” fu introdotto da F. MATSON (1965, pp. 202-217) per indicare un tipo di impostazionepluridisciplinare degli studi ceramici che già caratterizzava l’opera di A. Shepard il cui libro Ceramics for theArchaeologist fu pubblicato per la prima volta nel 1954.4 I risultati di questa ricerca vengono pubblicati annualmente nel Newsletter Department Pottery Technology I: (1983-)

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scuola di esperienza di situazioni reali da usare poi come strumento interpretativo. Il concetto base che costituisce il canovaccio di questo studio etnoarcheologico è quello dei modi di produzione, particolarmente secondo il modello proposto da David Peacock per la ceramica di età romana5. Un concetto che implicando definizioni di interrelazioni tra: chi produce e dove (produttori, centri di produzione e materie prime), come si produce e quanto (tecnologia e scala), che cosa si produce e per chi (funzione e distribuzione), si rivela particolarmente adatto per l’analisi sia di contesti etnografici che di contesti archeologici6.

Tornando alle ricerche tecnologiche, i metodi attraverso i quali queste si effettuano sono assai semplici e facilmente riproducibili in un laboratorio archeologico. Un ceramista professionale è impiegato stabilmente all'Istituto, ma apparecchiature per analisi fisico-chimiche sofisticate mancano nel laboratorio. [395] A esami di tal genere si ricorre infatti soltanto se, dopo lo studio del materiale secondo i metodi solitamente applicati, importanti interrogativi posti dal ricercatore e rimasti insoluti si considerassero risolvibili con più raffinati metodi di indagine7.

Come ho detto, alcune classi di materiale tardo romano e medievale proveniente dallo scavo di Sisto Vecchio in Roma sono state analizzate seguendo questi criteri nel recente passato. A questo proposito mi pare di poter affermare che, se è vero che le quantità scarse e le condizioni molto frammentarie del materiale hanno impedito di giungere a risultati definitivi, ho tuttavia la convinzione che certi aspetti messi in rilievo in questi studi in qualche modo sperimentali, possano essere considerati indicativi e stimolanti per ricerche future. Lo stesso può dirsi della ricerca comparativa condotta su campioni di invetriata tardo antica e altomedievale presentata altrove in questo volume (infra pp. 603-621), che costituisce la ‘seconda parte’ di un'unica indagine. La ‘prima parte’ dello studio è un analisi tecnologica, svolta secondo i criteri e i metodi appena esposti, su materiale comunemente noto come “ceramica a vetrina pesante altomedievale” e “ceramica a vetrina sparsa medievale” (nella terminologia anglosassone rispettivamente “Forum Ware” e “Sparse Glaze”) proveniente dallo scavo di San Sisto Vecchio in Roma.

Le ricerche su questa classe ceramica, assai caratteristica dal punto di vista formale e decorativo, hanno una storia relativamente lunga. Il primo trovamento, la cui portata è rimasta fino a questo momento ineguagliata, risale all’inizio del secolo e fu opera di Giacomo Boni8. Indagini sistematiche in merito risalgono però agli ultimi venticinque anni e hanno avuto in concomitanza al sorgere e fiorire dell’archeologia medievale in Italia9.

Guardando allo stato attuale delle conoscenze rispetto a quello della seconda meta degli anni Sessanta, i progressi sono innegabili: il materiale è ora assai meglio definito tipologicamente, cronologicamente e anche dal punto di vista della composizione dell’impasto e della vetrina10[396]. Non si è tuttavia potuti ancora giungere a un consenso di opinioni rispetto alla sua precisa

5 PEACOCK 1982, pp. 6-11.6 Oltre a PEACOCK 1982, vedi in proposito anche BALFET 1965 e VAN DER LEEUW 1977.7 VAN AS 1984. Per i metodi di analisi vedi anche RYE 1981, pp 3-5.8 Si tratta del noto deposito di 81 brocche intere e 1500 frammenti rinvenuto dal Boni (BONI 1901, pp. 89, 97-98)nellavasca del Fonte di Giuturna al Foro Romano. Questo trovamento fu alle origini della denominazione “Forum Ware” chepiù tardi lo studioso inglese David Whitehouse (WHITEHOUSE 1965) attribuì a questa ceramica.9 Dopo alcune brevi trattazioni del materiale nell’ambito di più ampi studi come per esempio quelli del WALLIS (1901,pp. 5-9), del BODE (1911, p. 5) e particolarmente del BALLARDINI (1964, p. 140-147),le prime ricerche specifiche dicarattere tipologico e cronologico si devono particolarmente a D. WHITEHOUSE (1965, pp. 55-63; 1967, pp. 42-53;1969, pp. 141-143; 1978; pp.475-499; 1980a, pp. 65-82) e a O. MAZZUCATO (1968a, pp. 8-12; 1968b: 147-155;1972).10 Oltre a quelli citati alla nota precedente, contributi di rilievo per la tipologia e la datazione del materiale sono:MAZZUCATO 1976, pp. 5-6; MARINONE CARDINALE 1979, pp. 250-251; 1982, pp. 551-561; WHITEHOUSE1980b, pp. 125-156; PAROLI 1985, pp. 173-244; MANACORDA et al. 1986, pp. 511-544; BONIFAY et al. 1986;PAROLI 1990, pp. 314-356; CIPRIANO et al. 1991. Per la composizione dell’impasto e della vetrina: WILLIAMS-OVENDEN 1978,pp. 507-520; BONIFAY et al. 1986, pp.79-95; D’AMBROSIO et al. 1986, pp. 601-609.

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datazione11 e al problema delle origini e dello sviluppo della produzione, mentre ancora si discute su quale sia la più giusta ed efficace denominazione12.

IL CONTESTO ARCHEOLOGICO

Lo scavo presso la chiesa di San Sisto Vecchio alla Passeggiata Archeologica fu un saggio di limitate proporzioni effettuato in un quadro di studi architettonici e topografici sulle basiliche titolari del IV e V secolo, e diretto in primo luogo alla ricostruzione della basilica Crescentiana, edificata negli ultimi anni del IV secolo sotto Siricio (384-399) e consacrata secondo il Liber

Pontificalis tra il 399 e il 401 da papa Anastasio I13.[397] La cronologia dello scavo copre un arco di tempo che va dal II al XVIII secolo della nostra era. La stratigrafia, caratterizzata da una serie di rialzamenti del terreno, fu a più riprese profondamente disturbata14. Nel 782 papa Adriano I (772­795) demolì il quadriportico della basilica paleocristiana limitando l’ingresso al portico, con relativo rialzamento e spianamento del terreno antistante la chiesa. A questo intervento segue ancora un rialzamento, attribuito al IX secolo, che precede una radicale trasformazione avvenuta nel 1210-20. Allora il pavimento della chiesa e tutta l’area ad essa circostante furono fortemente rialzati (75 cm circa), le navatelle della basilica paleocristiana a tre navi furono sacrificate e fu annesso un convento15. Successivamente si intervenne in profondità particolarmente nel XVI secolo, mentre nel secolo XVIII fu effettuato un vero e proprio scavo16. In alcuni punti tuttavia la stratigrafia rimase relativamente indisturbata. Si tratta del livello della costruzione della basilica della fine del IV

11 BONI 1901, p. 60 associa la trasformazione in latrina del fonte di Giuturna alla “riduzione al culto cristiano di alcuni locali dell’attiguo palazzo imperiale dove è tornato in luce il ritratto di papa Zaccaria “greco” del secolo VIII”. Dentro la vasca del fonte, che cessò di esser tale intorno alla metà dell’VIII secolo (Zaccaria: 741-752), Boni dice in seguito di aver trovato, tra l’altro, le brocche invetriate (pp. 89 e 97-98) sulla cui posizione ‘stratigrafica’ egli però non da particolari. BALLARDINI 1964, pp. 140-143 considera le brocche cadute incidentalmente a diverse riprese nella vasca nel periodo precedente la definitiva trasformazione del fonte sotto Zaccaria. Egli perciò le data all’VIII, ma stranamente aggiunge “ forse anche IX secolo ”. Whitehouse nelle pubblicazioni degli anni ‘60 e ‘70 citate alle note 9 e 10 pare anch’egli propenso a vedere l’inizio della produzione intorno all’800, ma successivamente (WHITEHOUSE 1981, pp. 583-587; IDEM, 1982, pp. 327-333; IDEM 1985, pp. 105-108; IDEM et al. 1985, pp. 206-207), propone una cronologia tardo-antica del “Forum Ware” e una altomedievale della ceramica a vetrina sparsa. Secondo la stratigrafia di Santa Cornelia (WHITEHOUSE 1967, p. 52; 1980b, pp. 125-156), quella della Crypta Balbi (BONIFAY et al. 1986, pp. 80­81; PAROLI 1990, pp. 315-316; CIPRIANO et al. 1991) e quella di San Sisto Vecchio (infra) l’inizio della produzione del “Forum Ware” dovrebbe datare alla fine dell’VIII secolo. MARINONE CARDINALE (1979; 1982) e MAZZUCATO (1968a; 1968b; 1972, 1976) sono per una più tarda datazione dell'inizio della produzione: rispettivamente a dopo il IX e alla metà X-metà XI secolo. 12 II FRANCOVICH (1983) fa un’efficace messa a punto dello status quaestionis sul problema della continuità della produzione dell’invetriata dal tardo antico all’alto medioevo. In proposito vedi anche MENEGHINI-STAFFA 1985. Per quanto riguarda l’evolversi della produzione, WHITEHOUSE (1985) propone di considerare la ceramica a vetrina pesante e la ceramica a vetrina sparsa come due classi distinte e appartenenti a due diverse epoche: la prima al VI-inizio VII secolo, la seconda alla fine dell’VIII e piuttosto al IX secolo. Opinione questa non accettata dalla PAROLI (1990, p. 315) che nella Crypta Balbi constata due grandi fasi successive di un’unica produzione. Ciò concorda coi trovamenti di San Sisto Vecchio e viene confermato dall’analisi tecnologica del materiale proveniente da quel contesto. Per una discussione sulla denominazione del materiale vedi WHITEHOUSE 1985a e PAROLI 1990, pp. 314-315.

Liber Pontificalis 41 (Anastasius) c. 1; GEERTMAN 1968/69. 14 Tali rialzamenti paiono diretti a ovviare alla situazione particolarmente acquitrinosa del luogo. È noto che nel medioevo la malaria vi imperversava, finché nel 1575 il convento dovette per questa ragione essere abbandonato: BERTHIER 1919-1920, I, pp. 128, 165, 284, 358, II, pp. 9 ss. Il livello attuale si trova a 3,50 m circa da quello di una costruzione tardo-adrianea che fu demolita per la costruzione della basilica Crescentiana. Il livello del 1210/20 si trova a 2,50 m circa dal livello di demolizione dell’edificio tardo-adrianeo. 15 Per l'intervento di Adriano I nel 782 vedi Liber Pontificalis 97, c. 73 e GEERTMAN 1968/69. Per la fondazione del convento intorno al 1210 e i relativi interventi nella chiesa sotto Innocenzo III, vedi KOUDELKA 1961, pp. 48 ss. 16 Cfr. LANCIANI, Forma Urbis Romae, Tab. 42.

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secolo; dello spianamento del terreno a lavori ultimati dell’inizio del V secolo; degli strati tra il V e il 782, anno dell’intervento di Adriano, e di un rialzamento attribuito al IX secolo.

LA CERAMICA A VETRINA PESANTE ALTOMEDIEVALE E A VETRINA SPARSA MEDIEVALE

Il materiale invetriato esaminato — un totale di poco più di 1300 frammenti — proviene in massima parte dagli strati tra il V secolo, epoca della costruzione della basilica, e l’intervento del 1210 circa. In particolare: dai gruppi stratigrafici immediatamente precedenti la spianata del 782; dal livello del 782; da quelli successivi del IX secolo e dal rialzamento del 1210. Il materiale è assai frammentario; per lo più si tratta delle caratteristiche brocche, mentre altre forme sono eccezionali (Figg. 1-4 e 5-12). [398]

Invetriata tardoantica non se ne è rinvenuta a San Sisto Vecchio e solo per qualche frammento trovato assieme alla vetrina pesante altomedievale in contesti dell’ultimo quarto dell’VIII secolo, si pensa che possa appartenere alla produzione invetriata contemporanea o appena precedente il “Forum Ware” altomedievale17. [399]

17 La supposizione si basa su certe differenze rilevate piuttosto nell’impasto e nella vetrina. La stratigrafia non consente maggiore precisione e i pochi frammenti rivenuti sono di dimensioni troppo ridotte per confronti tipologici. Uno di questi frammenti (SSV 10) compreso nella ricerca comparativa pubblicata in questo volume (infra, p. 603 ss ) rivelava delle caratteristiche mineralogico-petrografiche differenti da quelle del “Forum Ware” altomedievale.

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ANALISI TECNOLOGICA

La ricerca da me condotta in collaborazione col geologo Pieter Stienstra e col ceramista Loe Jacobs, consta di un esame della materia — corpo ceramico e vetrina — e della ricostruzione della tecnica di manifattura.

L’analisi del corpo ceramico constava di: — analisi mineralogico-petrografica macro-e microscopica (stereoscopio e sezioni sottili);— analisi del colore;— porosimetria.L’analisi della vetrina constava di:— esame stereoscopico;— tests termici (prove al forno).La ricostruzione della tecnica di manifattura è stata fatta attraverso l’esame delle tracce

rilevabili nel corpo ceramico. Da queste tracce o “attributi” si risaliva ai metodi di preparazione dell’impasto, di modellazione, di cottura per ricostruire infine le sequenze tecniche proprie dei diversi gruppi di manufatti18.

Per ragioni di spazio i risultati saranno qui molto sommariamente esposti e solo per quegli aspetti considerati rilevanti. Ciò implica che dovranno farsi delle affermazioni che in questa sede non potranno essere adeguatamente argomentate. Ci si riserva però di pubblicare la completa relazione a breve scadenza19.

Come giustamente afferma Lidia Paroli nei suoi studi sui reperti della Cripta di Balbo20, l'ipotesi affacciata che la ceramica a vetrina pesante altomedievale (“Forum Ware”) e quella a vetrina sparsa medievale (“Sparse Glaze”) possano rappresentare due differenti tradizioni artigianali, è da escludersi. L'analisi tecnologica conferma che si ha a che fare con un’unica tradizione. D’altra parte però, come del resto già risultava da numerosi altri studi e in particolare da un accurato esame visuale eseguito sempre dalla Paroli sul materiale della Cripta di Balbo21, alcune differenze precise e ricorrenti constatate nei reperti giustificano una divisione del materiale in gruppi, basata sia sui caratteri del corpo ceramico che sulla tecnica di lavorazione. [400] Di queste differenze nell’impasto e nella lavorazione è possibile dare una spiegazione dal punto di vista artigianale mettendo certi fenomeni in reciproca relazione.

I risultati dell’indagine si riferiscono solamente alla collezione di San Sisto Vecchio che, come ho già detto, è modesta e assai frammentaria. Soltanto in un secondo momento si farà riferimento a certi dati forniti dalla situazione assai più completa e dettagliata del contesto della Cripta di Balbo.

Corpo ceramico

Cominciando dalla materia prima e dalle sue proprietà, le argille usate per la manifattura della ceramica a vetrina pesante altomedievale e di quella a vetrina medievale sono da considerare per così dire imparentate pur differenziandosi in alcune caratteristiche.Omogeneità si constata nel tipo degli inclusi che indicano la natura vulcanica della zona di provenienza dei manufatti. In particolare la presenza augite sanidino e plagioclasio coincide col quadro geologico del territorio di Roma e del Lazio settentrionale e conferma i risultati di precedenti analisi fatte su materiali proveniente da altri contesti22. Entrambe le argille

18 FRANKEN-KALSBEEK 1975; RYE 1981, pp. 4-5.19 Si considera per tale pubblicazione il prossimo fascicolo (1992) della rivista “ Archeologia Medievale”.20 PAROLI 1985, pp. 208-209; MANACORDA et al. 1986, pp. 516-520; PAROLI 1990, p. 315.21 Vedi citazioni alla nota precedente e BONIFAY et al. 1986.22 WILLIAMS-OVENDEN 1978, pp. 508, 509; D'AMBROSIO et al . 1986, pp. 602-603, 605-606; BONIFAY et al .1986, pp.88-91.

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sono ferruginose, ma mentre una è sabbiosa e poco calcarea, l'altra è povera di sabbia e ha una massa di fondo assai ricca di carbonato di calcio di granulometria finissima. Questa differenza di composizione si rivela nei diversi attributi del materiale, a cominciare dal colore in genere più chiaro dei manufatti calcarei, nella copertura - la vetrina - e ha, come vedremo, degli effetti anche in cottura.

Nell'ambito dei due tipi di argilla sono possibili ulteriori distinzioni. Dei manufatti realizzati con l'argilla sabbiosa - indicata d'ora in poi come “impasto sabbioso" -una parte ha infatti una quantità di macrogranuli - inclusi di granulometria superiore ai 125 µ -stimata in percentuali di peso tra il 10-12%23. Molti di questi inclusi hanno un diametro apparente tra i 250 ai 600 µ e sono di forma irregolare, angolosi o subangolosi. Tra essi manca il carbonato di calcio. La matrice si presenta poco compatta, povera di microgranuli (inclusi di diametro inferiore a 125 µ) e pur essa priva di carbonato di calcio24. Questo tipo di tessitura si indicherà come C (Tav. H, 1)

Un secondo gruppo di reperti di impasto sabbioso, la cui tessitura viene denominata B, si distingue da C per una minore quantità di macrogranuli - da 2 a 10% - di granulometria inferiore (da 150 a 500 µ.) e per la presenza di carbonato di calcio, sia tra gli inclusi che nella matrice, la quale è pure poco compatta (Tav. H, 2). [401]

Questa distinzione si ritiene giustificata in quanto basata su differenze rilevanti per la manifattura: le differenze constatate nella quantità e granulometria degli inclusi devono essere sensibili nella lavorazione, in particolare nella formazione dei vasi, senza contare che per la tessitura C non può escludersi completamente che una parte della sabbia sia stata aggiunta di proposito e che il carbonato di calcio sia stato eliminato dal vasaio25.

Per quanto riguarda l'argilla poco sabbiosa e calcarea — indicata brevemente come "impasto calcareo" — in essa la quantità dei macrogranuli varia da O a 2% e la loro granulometria da 150 a 250 µ con qualche granulo più grosso isolato. La matrice è assai fine e compatta, più ricca dunque di minerali argillosi e contiene una notevole quantità di carbonato di calcio di grana finissima. Tale tessitura è stata denominata A (Tav. H, 3). Un certo numero di reperti assegnati a questo gruppo in base alla percentuale degli inclusi, mostra una matrice meno calcarea e particolarmente ricca di mica chiara e biotite e di feldspati a sfaldatura tabulare, tuttavia, poiché tale distinzione è risultata assai meno costante e definibile di quella tra C e B,si è preferito non considerare a sé stante questa tessitura ma denominarla A1 (Tav.H, 4). In particolare nelle tessiture A e A1 si constatano notevoli quantità di materiale organico in parte o del tutto combusto.

Teoricamente si potrebbe supporre che se i due impasti sabbioso e calcareo sono naturali, usati cioè dal vasaio così come rinvenuti nel sedimento, l'impasto sabbioso provenga da strati più profondi e viceversa quello calcareo da strati più superficiali, il che sarebbe confermato anche dalla presenza di materiale organico (radici filiformi superficiali?) in un certo numero di reperti, evidente anche a occhio nudo specie nella zona della base e del fondo (Figg. 17, 18). Naturalmente, dal momento in cui si comincia a pensare a impasti preparati dall'uomo, le possibilità si moltiplicano.

Tecnica di modellazione

Per quanto riguarda la versatilità dei diversi tipi di impasto ai fini della modellazione dei vasi, non è stato possibile constatare delle differenze costanti e dunque significative. Nei reperti cioè non si sono trovati segni che autorizzino a pensare che i diversi tipi di impasto ponessero dei limiti al vasaio per quanto riguarda, per esempio, le misure dei manufatti (diametri e altezze), o lo spessore delle pareti, o le forme.

Sotto questi aspetti si rileva la stessa varietà nei due tipi di impasto e nelle diverse tessiture, mentre con composti decisamente magri come C e B, specie C, ci si sarebbe aspettati qualche segno indicante una scarsa plasticità della materia e, viceversa, con un impasto certamente più plastico come A, sarebbe stato logico, per esempio, un controllo degli spessori per evitare l'eccessivo ritiro. L'unica osservazione che può farsi a questo proposito è che certe forme massicce presenti nelle tessiture B e A mancano in C. In proposito

23 Per il metodo di stima applicato vedi JACOBS 1983, pp. 6-7. 24 La presenza di carbonato di calcio non risultava né dalle analisi mineralogiche, né da un test con una soluzione di HC1. 25Visto il quadro geologico di Roma e dintorni (SCHURING 1986, pp. 184-185), colpisce questa assenza di carbonato di calcio. E ben possibile però che questo, pur presente nel deposito, sia stato accuratamente eliminato nella lavorazione (cfr. ANNIS-JACOBS 1989/90).

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bisogna però aggiungere che quest'ultima tessitura è anche quella più scarsamente rappresentata nella collezione. [402]

Un particolare nella tecnica di attaccatura dei beccucci sembra dover essere messo in relazione con le proprietà delle materie prime. Con gli impasti sabbiosi i beccucci, asciugando rapidamente, non hanno bisogno di essere sostenuti e possono restare isolati (Fig. 5) Con gli impasti calcarei invece, in modo particolare quando si tratta di cannelli lunghi o massicci, essi devono essere sostenuti. Ciò avviene aggiungendo un pezzetto di argilla alla base, o saldandoli al collo per mezzo de noti diaframmi traforati, oppure legandoli all'orlo tramite una staffa. Argilla e calce al contrario della sabbia assorbono acqua e i beccucci, essendo pesanti e avendo bisogno di un lungo periodo di asciugatura, tendono a cadere durante questa fase. I fori praticati nei diaframmi favoriscono l'asciugatura (Figg. 6, 7, 8). Bisogna aggiungere però che per quanto riguarda la presenza di questi sostegni per evitare la caduta dei beccucci in fase di asciugatura, non solo il tipo di argilla ma anche la forma delle brocche e relativi beccucci, il punto di attacco e la tecnica di attaccatura giocano un ruolo: con un beccuccio corto e sottile, applicato alto e tirato indietro, per esempio, il sostegno diviene superfluo (Fig.9)26.

Per il resto, nei reperti di San Sisto Vecchio la decorazione a rilievo alto, applicata con singoli pezzetti di argilla sparsi o allineati, si ha solamente con gli impasti sabbiosi (tessiture C e B) (Figg. 1, 10). Con questi impasti inoltre base e fondo sono sempre assottigliati al tornio, sul quale i vasi ritornano in posizione rovesciata dopo una prima fase di asciugatura. La rifinitura della base a mano con un coltello,è invece limitata agli impasti calcarei e micaceo-calcarei (tessiture A e A1) (Figg. 16-18).

Vetrina

Un elemento molto importante nella tecnica di manifattura è la vetrina. L’analisi fisico chimica dell'Ovenden (analisi spettrometrica di assorbimento atomico27 l’ha dimostrata di uguale composizione nei due gruppi "Forum Ware” e “Sparse Glaze”, il che è un altro attributo accomunante. Il fatto che questa sia applicata a crudo, non cioè in forma di fritta nè su biscotto ha delle conseguenze per la tecnica di applicazione per la cottura e per l'aspetto che essa assume sui due differenti impasti.

La vetrina potrà essere applicata in abbondanza con minor rischio su impasti sabbiosi in quanto, come ho appena detto, la sabbia non assorbe acqua, al contrario dell’argilla e del carbonato di calcio. Più tecniche di applicazione possono essere usate - e in certi reperti si ritengono usate – anche in concomitanza: versamento, aspersione e breve tuffo di parti del vaso nella soluzione. Trattandosi di manufatti crudi, l'immersione sembra doversi escludersi per ovvie ragioni28. A parità di tecnica di applicazione e di quantità e qualità di rivestimento, con impasti ricchi di sabbia il risultato sarà migliore in quanto il quarzo presente nell’impasto favorisce la vetrificazione29. [403]

Con impasti calcarei la tecnica di applicazione a versamento per le ragioni suddette comporta più rischi e, se è vero che nel materiale di San Sisto Vecchio vediamo questa tecnica applicata anche sugli impasti calcarei (Fig. 3), abbiamo tuttavia constatato che, specie nel caso di vasi a pareti relativamente sottili, con tale impasto si preferisce la tecnica dell' aspersione da cui derivano le ben note chiazze irregolari (fig. 14). Nelle brocchette biconiche a pareti particolarmente sottili, con grandi beccucci rivoltati, ampie anse a nastro, base assottigliata a coltello e vetrina limitata alla parte centrale del ventre, che caratterizzano la fine della produzione (fine XI-XIII sec.)30, l’applicazione si limita a una fascia nettamente delineata o a una sottile pennellata (Figg 4, 15)31. C'è inoltre da dire che a parità di qualità di rivestimento, di quantità di applicazione e di condizioni di cottura, la vetrina applicata a crudo sugli impasti calcarei avrà un aspetto

26Cfr. per il repertorio formale PAROLI 1990 passim. 27 WILLIAMS-OVENDEN 1978, pp. 513, 515. 28 Per le diverse tecniche di applicazione vedi CUOMO DI CAPRIO 1985, pp. 110-114 29 Il quarzo che ha un ruolo veramente determinante nel processo di vetrificazione è quello contenuto nella soluzione del rivestimento, tuttavia anche quello contenuto nell’impasto favorisce la vetrificazione (RHODES 1973, pp. 85-89; 104­106; RYE 1981, p. 45). 30 Vedi PAROLI 1990 pp. 321-323; 348-353 e infra Tav. 1 schema riassuntivo. 31 PAROLI 1990, pp. 321-323 distingue tra la vetrina sparsa estesa a quasi tutta la superficie del vaso, denominata “vetrina sparsa A” e quella ridotta a una fascia mediana che col passar del tempo diviene sempe più sottile denominata “vetrina sparsa B”.

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assai più opaco e irregolare di quella applicata sugli impasti sabbiosi per le reazioni che avvengono tra corpo ceramico e rivestimento quando l’impasto è ricco di carbonato di calcio estremamente fine32.

La vetrina gioca un ruolo determinante anche nella cottura a causa dell'atmosfera che si crea nel forno. Quest'ultima sarà fortemente riducente per lo sviluppo dei gas in una fornace dove ci sia prevalenza di materiale abbondantemente invetriato il che avrà delle conseguenze sul colore dei manufatti (corpo ceramico e vetrina) e sul processo di fusione di impasto e rivestimento: l'ossido di ferro, per esempio in atmosfera riducente funziona da fondente33. Così i colori più scuri e il maggior numero di casi di devetrificazione del rivestimento per eccesso di cottura si hanno tra i reperti più abbondantemente invetriati e viceversa i colori più chiari e i casi di insufficiente fusione tra quelli più scarsamente coperti di vetrina, che in genere sono gli impasti calcarei. A proposito della cottura c'è da aggiungere che le brocchette con vetrina molto limitata appartenenti alla fine della produzione, hanno spesso subito una cottura appena sufficiente per l'impasto ma non per la vetrina che è giunta sì a ebollizione ma non alla fusione34. Tali vasi per la loro forma e lo spessore sottile non sono adatti a sostenere il peso del carico e perciò devono stare in alto nel forno dove le temperature sono inferiori.

SVILUPPI

Nell'arco di tempo che intercorre tra l'ultimo quarto dell'VIII e il primo quarto del XIII secolo si constatano i seguenti fenomeni: [404]

IMPASTI Predominanza iniziale degli impasti sabbiosi: nei gruppi stratigrafici datati alla fine dell'VIII secolo

solo reperti di tessitura C. Successivamente, negli strati attribuiti al IX secolo si ha predominanza della tessitura B ma C è pure attestata mentre cominciano a comparire limitatamente anche gli impasti calcarei di tessitura A. Nel rialzamento del 1210 gli impasti calcarei hanno la netta predominanza, nelle tessiture sia A che A 1 (Tav. H, 1-4).

FORME Da medie e grandi, con sviluppo verticale e curvature pronunciate, a medie e piccole, schiacciate

con curvature deboli e basi assottigliate a coltello (Figg. 1-4).

DECORAZIONE Pasticche o pinoli a rilievo alto, applicati singolarmente, sparsi o allineati, talvolta uniti a incisioni

fatte con punteruolo nei reperti di tessitura C (Figg. 1, 10). Scaglie a rilievo basso, applicate a strisce verticali, o linee ondulate incise profondamente e accuratamente in manufatti di tessitura B (Figg. 11, 12). Incisioni ondulanti leggere e irregolari incise affrettatamente sui manufatti di tessitura A estesamente invetriati (Fig. 13). Una pennellata di vetrina sul ventre nelle brocchette tarde di tessitura A e A 1 (Figg. 4, 15).

VETRINA Estesa (nei manufatti di tessitura C anche interna), spessa e — negli impasti sabbiosi — brillante,

diminuisce gradualmente in estensione, spessore e brillantezza con la crescente presenza degli impasti calcarei fino a ridursi a delle chiazze nella parte mediana del vaso o a una pennellata sul ventre, spesso opaca e vescicosa (Figg. 1-3; 14-15).

Traducendo i fenomeni descritti in termini di analisi tecnologica, la prima constatazione è, come ho già detto, che dalla fine dell'VIII all'inizio del XIII secolo abbiamo a che fare con

32 HARKORT 1958, pp. 62-63.33 GRIMSHAW 1971, pp. 275-297; RICE 1987, pp. 354, 355.34 Il punto di ebollizione e quello di perfetta fusione della vetrina non coincidono: la seconda avviene a una temperaturasuperiore o in un momento successivo di esposizione a una determinata temperatura (RHODES 1973, pp. 87, 121;HODGES 1976, p. 47). Anche l'impasto mostra spesso un nucleo bluastro segno di cottura insufficiente.

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un'unica tradizione artigianale. Gli attributi discriminanti nella tecnica di realizzazione dei prodotti sono infatti limitati a pochi punti non fondamentali nelle sequenze di manifattura35.

Una differenza di rilievo è quella delle diverse proprietà degli impasti delle cui conseguenze tecniche e formali ho già parlato. Ho anche parlato dell'uniformità nella tecnica di formazione sia del corpo del vaso che delle appendici. Una progressiva tendenza alla semplificazione e alla standardizzazione di forme e decorazione va ovviamente di pari passo col crescere della quantità dei prodotti. Solo nelle brocchette biconiche di tessitura A e A1 che caratterizzano l'ultima fase della produzione si constata qualche differenza di maggior rilievo. A parte la modellazione al tornio che, sia per le proporzioni dei vasi che per la semplicità delle forme, causa indubbiamente minori difficoltà di esecuzione ed esige minor tempo, l'assottigliamento di base e fondo a mano e non, come nelle brocche precedenti, al tornio, è un altro segno di semplificazione. [405]

35 Cfr. RYE 1981, p. 4, Table 1.

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[406]

L'assottigliamento manuale è tecnica veloce per cui non è necessaria particolare perizia, a differenza che per l'assottigliamento al tornio propria dei manufatti precedenti (Figg. 16-18). Oltre a ciò, in queste brocchette vi sono delle indicazioni di frettolosità nella realizzazione. Ho già detto dell'argilla nella quale si constata la presenza di materiale organico, forse radici filiformi superficiali (Figg. 17-18). Per quanto poi riguarda l'impasto, grumi di argilla non sciolta e calcinelli talvolta assai grossi, evidentemente non eliminati, denunciano una certa frettolosità nelle preparazione (Figg. 18-19). In questi manufatti più tardi inoltre, le fasi di asciugatura sono ridotte a due rispetto alle tre dei manufatti più antichi e la cottura è appena sufficiente per l'impasto dove spesso il nucleo non è ossidato36, mentre la vetrina giunge ad ebollizione ma non a perfetta fusione per cui può avere un aspetto vescicoso.

Grazie alla precisa analisi visuale eseguita dalla Paroli sul materiale della Crypta Balbi37

dove la situazione stratigrafica era assai meglio articolata e precisa che a San Sisto Vecchio, è ora possibile combinando i dati tracciare il seguente sviluppo (Tav. 1).

Il "Forum Ware" altomedievale comincia a essere prodotto in Roma e dintorni nell'ultimo quarto dell'VIII secolo o poco prima in quantità molto limitate e con impasti sabbiosi prevalentemente di tessitura C. La vetrina è brillante quasi sempre estesa a tutto il vaso; nelle forme si constata un influsso delle forme bizantine del tardo VII e dell'VIII secolo; la decorazione plastica, incisa o composita, è assai variata.

Nel IX secolo questa produzione cresce notevolmente in quantità mantenendo gli impasti sabbiosi, ma la tessitura B sembra prevalere ora sulla C mentre cominciano a comparire gli impasti calcarei di tessitura A. La vetrina continua a essere spessa ed estesa, le forme assai varie i vasi decorati con decorazione plastica e incisa, pure molto variata, predominano su quelli non decorati.

Dall'ultimo quarto del IX secolo alla metà del X si ha un incremento eccezionale della produzione con semplificazione e uniformazione della decorazione (file di petali) e standardizzazione delle forme. La vetrina ancora abbondante e "pesante" si limita però generalmente all'esterno e alla parte alta del vaso. Gli impasti calcarei sono in deciso aumento. [407]

36 SHEPARD 1980 (1976), pp. 21, 216; RYE 1981, p. 108, RICE 1987, p. 334. 37 PAROLI 1985; MANACORDA et al. 1986; PAROLI 1990.

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Nella fase successiva, quella definita dalla Paroli "transizionale" — seconda metà X-prima metà XI — c'è il netto predominio degli impasti calcarei di tessitura A con le conseguenze tecniche illustrate più sopra. La vetrina è dunque generalmente opaca e chiazzata — a macchia — ma in certe forme il rivestimento è ancora relativamente "pesante" e esteso (tecnica a versamento), in altre più ridotto leggero e chiazzato (tecnica ad aspersione). La decorazione, se presente, è incisa. [408]

Nell'ultima fase della produzione, cioè dalla seconda metà dell'XI fino all'inizio del XIII gli impasti sono esclusivamente calcarei e micaceo-calcarei di tessitura A e A1. Le forme sono ridotte alle brocchette biconiche con beccucci molto espansi e ripiegati all'indietro e ampie anse a nastro, fondo rifinito a coltello dove la vetrina è appena spruzzata o applicata con pennello (vedi schema riassuntivo Tav. 1).

CONSIDERAZIONI FINALI E PROPOSTE INTERPRETATIVE

Nello sviluppo della produzione altomedievale e medievale a vetrina pesante e a vetrina sparsa, alcuni fenomeni rilevati invitano a qualche considerazione supplementare. Sarebbe

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interessante stabilire, per esempio, se il passaggio dagli "impasti sabbiosi" agli "impasti calcarei", col finale predominio di questi ultimi, fu un fatto del tutto casuale o se esso fu almeno in parte, una scelta consapevole. Non è infatti impossibile che la scoperta di certe proprietà tecniche e funzionali legate agli impasti calcarei siano state decisive per il predominio di una determinata zona di produzione dove si trovavano piuttosto tali argille. Tentativi di individuare tale zona in base a degli studi esistenti sulla situazione geologica di Roma e dintorni non hanno per ora dato risultati soddisfacenti38. Ma essendo il Lazio, come giustamente faceva notare il Whitehouse39, una regione che si presterebbe a uno studio come quello condotto dal Mannoni in Liguria, un'impostazione della ricerca secondo strategie e metodologie che già hanno dato i loro frutti potrebbero condurre in tempi relativamente brevi a dei risultati concreti e definitivi40.

Per quanto riguarda la funzione, il grande trovamento del Boni dentro il Fonte di Giuturna indica che, in ogni caso le brocche che costituiscono il grosso della produzione, erano probabilmente usate per acqua. Alle origini della produzione la vetrina pesante è spesso interna e esterna. Non stupisce che un impasto che si è rivelato assai poroso sia invetriato all'interno, mentre la vetrina esterna, oltre che la stessa funzione chiudente (e rafforzante), può avere anche funzione estetica. Anche quando il rivestimento si limita all'esterno coprendolo abbondantemente, esso, specie negli impasti sabbiosi, diminuirà sia la porosità che la permeabilità del vaso. Quest'ultima è una proprietà inerente alla funzione del vaso da acqua, ma ovviamente non deve essere eccessiva41.[409]

Nella ceramica a vetrina sparsa è chiaro che non si può parlare di funzione impermeabilizzante della vetrina. Col genere di impasto che caratterizza questa produzione — che come vedemmo è più argilloso e assai meno sabbioso —, il manufatto sottoposto a giusta cottura potrebbe avere avuto il grado di permeabilità ideale per un vaso da acqua, così che una vetrina abbondante non era necessaria. La vetrina rimane per tradizione come elemento estetico o, se si vuole, distintivo. Coprire completamente è dispendioso, richiede tempo e comporta maggior rischio per cui probabilmente vien fatto solo a richiesta — per un prezzo maggiore — o per tradizione di bottega. In questa luce potrebbe vedersi il fenomeno del periodo "transizionale".

A questo punto vorrei riprendere un discorso che non è nuovo nell'archeologia medievale in Italia in quanto anche altri studiosi ne hanno in più occasioni sottolineato l'importanza: la funzione della tecnologia nell'identificazione del livello organizzativo della produzione, o se si vuole, il legame tra produzione ceramica e società42.

La vetrina pesante altomedievale del tipo "Forum Ware", si rinviene all'inizio in quantità limitatissime43. Nello scavo della Cripta di Balbo essa si trova “ associata a un diverso tipo di invetriata con rivestimento solo interno e con forme comuni alla ceramica bizantina (chafing dishes)

anch'essa riferibile, come la ceramica a vetrina pesante, a produzione locale ”44. Questo fenomeno delle quantità limitate nella produzione invetriata, che si rileva anche in epoca tardo antica, fu per molto tempo registrata come 'assenza' di invetriata ed è alla base della nota teoria della 'perdita

38 Cfr. SCHURING 1986, pp. 184-185.39 WHITEHOUSE 1985, p. 105.40 MANNONI 1975. Vedi anche D'AMBROSIO et al. 1986 con relativa bibliografia.41 Una giusta permeabilità della parete, che non deve essere confusa con la porosità di un corpo ceramico (SHEPARD

1980, 125-126; RYE 1981, p. 26), è una delle proprietà dei vasi da acqua (ANNIS 1984; 1985b).42 Per esempio: MANNONI 1975; BLAKE 1978; 1981; HODGES 1982; ARTHUR-WHITEHOUSE 1982; PATTERSON 1985;ARTHUR 1986.43 Questa scarsità si rileva nell'ultimo quarto dell'VIII secolo a Santa Cornelia, a San Sisto Vecchio e alla Cripta diBalbo. L'abbondanza dei trovamenti del sacrario di Giuturna assieme alla tipologia già evoluta del materiale ritrovatoin quel luogo farebbe pensare piuttosto a una fase relativamente avanzata della produzione (IX-X secolo?).

PAROLI 1990, p. 315. Alcuni frammenti di questa ceramica definita dalla Paroli "pre-Forum Ware" sono stati compresi nelle analisi presentate nel mio articolo pure in questo volume (infra pp. 603-620). Cfr. inoltre, supra,

PAROLI, pp. 353-355.

44

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della tecnica'. Personalmente sarei incline a pensare che la ceramica a vetrina pesante altomedievale che sembra precedere di qualche decennio il "Forum Ware" (metà-seconda metà VIII secolo), sia stata inizialmente prodotta in un ristretto numero di botteghe, situate in Roma stessa o nelle immediate vicinanze, dove si usava un tipo d'impasto assai sabbioso, forse resistente al fuoco, per cui in questi casi la vetrina interna aveva in primo luogo la funzione di isolare il contenuto del vaso dal corpo ceramico troppo poroso onde ottenere buon rendimento termico45 [410]. Un tipo di impasto con caratteristiche qualitative e quantitative assai simili lo si ritrova nella fase iniziale del "Forum Ware" (ultimo quarto dell'VIII secolo), quando della produzione fanno parte anche certe forme di tradizione bizantina46. Si potrebbe dunque presumere — ma solo ulteriori ricerche archeologiche e tecnologiche potranno confermare questa ipotesi — che la ceramica invetriata "pre-Forum Ware" e quella appartenente alla fase più antica del "Forum Ware" siano nate nella stessa tradizione artigianale. La scarsità dei rinvenimenti e la varietà di forme e decorazioni suggeriscono rispettivamente una scala ridotta della produzione e una breve distanza tra produttore e consumatore, il che da a quest'ultimo la possibilità di influenzare direttamente i prodotti. Ciò potrebbe significare un modo di produzione del tipo definito dal Peacock individual workshop, una forma produttiva di livello organizzativo semplice che può esistere accanto a modi di produzione più complessi in un unico contesto. Secondo questo modello, pochi artigiani in laboratori singoli si 'specializzano' nella produzione di un certo manufatto per venire incontro a una determinata richiesta — generalmente limitata — di mercato. Accanto a questo modello, si può pensare anche alla manifattura di vasi di un tipo 'speciale', fuori cioè dalla manifattura ordinaria e per una clientela ristretta, nell'ambito della produzione di alcune officine di organizzazione più complessa. L'uno e l'altro modello spiegherebbero la presenza di vasi con macchie di vetrina 'occasionali' fabbricati in quelle stesse botteghe (e cotti negli stessi forni) nelle quali l'invetriata si produce come prodotto straordinario47.

La progressiva semplificazione e standardizzazione di forme e decorazione, che inizia alla fine del IX secolo, va di pari passo col crescere delle quantità del materiale e con l'allargarsi dell'area della distribuzione. Si deve dunque pensare a un'organizzazione produttiva assai più vasta e complessa di quella iniziale, una forma cioè di (rural) workshop industry che comporta maggior controllo da parte del gruppo degli artigiani con conseguente minore libertà del singolo, un certo grado di razionalizzazione della produzione dal punto di vista tecnico e economico, una certa divisione di compiti, presenza di servizi ausiliari e di intermediari per la distribuzione. [412] La distanza tra il produttore e il consumatore è cresciuta, il prodotto è standard, anonimo, si produce prevalentemente per un mercato e l'individuo gioca un ruolo trascurabile48. Le testimonianze sia etnografiche che archeologiche dell'esistenza di diversi modi di produzione l'uno accanto all'altro sono numerose49.

L'ultima delle mie considerazioni vorrei dedicarla al fenomeno della repentina riduzione del repertorio praticamente alle sole brocchette parsimoniosamente invetriate dell'ultima fase della produzione che, come vedemmo, corrisponde anche a una notevole semplificazione della tecnica di fabbricazione, e alla altrettanto repentina sparizione delle brocche estesamente invetriate50. Sono incline a interpretare questo fenomeno come una forma di selezione artigianale. Una decisione cioè dei produttori di eliminare dalla manifattura un certo prodotto, evidentemente non più abbastanza

45 La porosità del corpo ceramico è una proprietà funzionale nei vasi da fuoco. Cfr. RYE 1976 e SCHURING 1986, pp.190-199. Per la funzione della vetrina interna rispetto al rendimento termico vedi SCHIFFER 1990.46 PAROLI 1990, p. 315; CIPRIANO et al. 1991.47 Cfr. ANNIS 1985a, 1985b.48 PEACOCK 1982, pp. 25-43; 90-111.

Per esempio, vedi PEACOCK 1982, pp. 75-80; BALFET 1973; ANNIS 1988; MANNONI-MAGI 1974; MANNONI 1975; BLAKE 1978; SALVATORE 1982; PATTERSON 1985. 50 MANACORDA et al. 1986, p. 520; PAROLI 1990, pp. 321-325.

49

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redditizio, forse anche perché non più sufficientemente richiesto51. Persisteva tuttavia una forte domanda di vasi con delle determinate proprietà, destinati a una precisa funzione. Alla frettolosità che si è constatata nella realizzazione delle brocchette tarde potrebbe non essere estranea la concentrazione di questa produzione in un numero relativamente limitato di botteghe situate in alcuni centri specializzati in questo prodotto 'tradizionale', le quali dovevano far fronte a una domanda pressante52 . Quali fossero le ragioni di tale sele zione è difficile dire. Per restare nell'ambito della produzione ceramica, non pare fenomeno da sottovalutare l'emergere, verso la fine del XII-inizio del XIII secolo, accanto alla ceramica invetriata e decorata di importazione, la produzione della ceramica fine denominata laziale, a ingobbio sotto vetrina, a ramina e a vetrina stannifera di cui la forma più diffusa — il boccale con beccuccio a mandorla e corpo ovoidale — è considerato l'erede della vecchia brocca a vetrina pesante. [413] Nuovi materiali, nuove tecniche nuova organizzazione dei produttori — urban workshop industry — propria dei nuovi contesti cittadini del medioevo centrale.

M. BEATRICE ANNIS

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51 Cfr. ANNIS 1985a; 1985b. A un'analisi macroscopica gli impasti si rivelano alquanto omogenei: PAROLI 1990, pp. 323-324. Per quanto

riguarda il concetto di 'specializzazione', come giustamente fa rilevare RICE (1987, pp. 183-191; 1989, p. 110), se non si vuole rimanere nel vago, sarà bene distinguere in questo senso la specializzazione dei produttori, quella dei centri di produzione e quella legata alle materie prime, cioè alla presenza di determinate risorse naturali selezionate per determinate funzioni; vedi pure ANNIS-JACOBS 1989/90.

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