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1 CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA ISTITUTO ALTI STUDI PER LA DIFESA 65ª SESSIONE IASD Gen. B. Salvatore DE BENEDETTO Gen. B. Piero IOVINO Col. t. ISSMI Francesco LAMBERTI Ing. Cristina Leone Avv. Guido Oscar Costa Dott. Marco Recchia “La leva fiscale ed il ricorso ai finanziamenti europei quali strumenti per un rilancio verso gli obiettivi di Lisbona della ricerca tecnologica nel settore della difesa e duale”

CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA...L‟ampiezza del «catalogo» dei diritti fondamentali contenuto nella Carta dei diritti non consente un‟analisi specifica dei contenuti di ciascun

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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA

ISTITUTO ALTI STUDI PER LA DIFESA

65ª SESSIONE IASD

Gen. B. Salvatore DE BENEDETTO

Gen. B. Piero IOVINO

Col. t. ISSMI Francesco LAMBERTI

Ing. Cristina Leone

Avv. Guido Oscar Costa

Dott. Marco Recchia

“La leva fiscale ed il ricorso ai finanziamenti europei quali

strumenti per un rilancio verso gli obiettivi di Lisbona della

ricerca tecnologica nel settore della difesa e duale”

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SOMMARIO

1. Il Trattato di Lisbona: cenni introduttivi ....................................................................................................3

a. Le norme fiscali nel Trattato ..................................................................................................................3

b. Diritti fondamentali e materia tributaria .................................................................................................5

c. Il principio dell‟unanimità in materia fiscale .........................................................................................6

d. Le competenze fiscali dell‟UE ...............................................................................................................8

e. Sistemi fiscali e concorrenza tra Stati membri .................................................................................... 11

f. Politica di sicurezza e di difesa comune .............................................................................................. 14

g. Ricerca ................................................................................................................................................. 16

2. Le tecnologie duali: applicazioni civili e militari .....................................................................................16

3. Introduzione agli strumenti fiscali e finanziari a supporto della ricerca, sviluppo ed innovazione ..........33

a. L'introduzione di una misura stabile ed automatica di agevolazione fiscale (anche nella forma del

credito d‟imposta) per gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo ............................................... 33

a1) Confronto con gli altri Paesi .............................................................................................................. 35

2) Piano Nazionale Ricerca Militare ........................................................................................................ 39

3) Protocollo di intesa fra Ministero della Difesa e Ministero dell‟Istruzione, dell‟Università e della

Ricerca, in data 16/06/2011; .................................................................................................................... 41

b. Una strategia moderna e coerente con Horizon 2020 di ricerca e sviluppo per le imprese ed una

strategia per l‟utilizzo dei Fondi Strutturali................................................................................................ 41

b1) Horizon 2020 ..................................................................................................................................... 41

b2) Preparatory Action on Defence Research .......................................................................................... 46

b3) Fondi Strutturali ................................................................................................................................ 47

c. La definizione di un meccanismo di garanzia pubblica per favorire la partecipazione del sistema

finanziario (esempio BEI) al finanziamento di grandi progetti di innovazione industriale realizzati da filiere

o reti di imprese .......................................................................................................................................... 49

4. Il Consiglio europeo del dicembre 2013: un‟altra occasione mancata .....................................................50

5. Conclusioni: quali prospettive? ................................................................................................................51

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1. Il Trattato di Lisbona: cenni introduttivi

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009,

costituisce una soluzione di compromesso dopo il fallimento del Trattato che adottava una

Costituzione per l‟Europa, conseguito all‟esito negativo dei referendum tenuti in Francia e nei Paesi

Bassi.

Esso salva infatti la «sostanza» della Costituzione recependo molte delle innovazioni ivi contenute,

ma si limita ad integrarle nel testo dei trattati esistenti senza ricorrere alla forma solenne della

Costituzione con i significati evocativi che essa – unitamente ad altri elementi pure venuti meno (gli

strumenti della legge e della legge quadro, i simboli della bandiera, dell‟inno e del motto) – avrebbe

comportato.

Per quanto riguarda gli effetti del Trattato di Lisbona sui sistemi fiscali, i profili rilevanti possono

considerarsi i seguenti:

a) la più ampia tutela dei diritti fondamentali;

b) la regola dell‟unanimità per la materia fiscale, che viene confermata;

c) le competenze fiscali dell‟Unione, che rimangono invariate;

Occorre preliminarmente tener presente che, mentre alcuni dei profili sopra elencati attengono

all‟organizzazione istituzionale dell‟Unione europea – si pensi, ad esempio, alla conferma della

regola dell‟unanimità o alla invarianza delle competenze dell‟UE in ambito tributario, al mancato

inserimento di principi tributari nel Trattato e alle modifiche riferite alla concorrenza – altri

influenzano in modo più diretto ed immediato i singoli ordinamenti nazionali, come avviene per la

tutela dei diritti fondamentali e per le iniziative in materia di fiscalità ambientale. Tuttavia è la

considerazione complessiva di tutti questi profili che – ferme restando le innegabili diversità tra essi

esistenti – porta a ritenere il Trattato di Lisbona non già un mero ed insignificante tassello del

percorso evolutivo della costruzione europea, ma quale importante momento di riconsiderazione dei

valori che a tale costruzione sono sottesi; riconsiderazione che non può che influenzare anche i tratti

essenziali del momento impositivo.

a. Le norme fiscali nel Trattato

Il trattato di Lisbona riproduce sostanzialmente (artt. 110-113 TFUE) le disposizioni fiscali

dell‟attuale trattato (artt. 90-93 TCE), relative al divieto di discriminazione fiscale dei prodotti

importati e di ristorno delle imposte sui prodotti esportati e/o alla potestà di armonizzazione delle

imposte indirette, che si aggiungono al divieto di dazi doganali interni alla Comunità e delle tasse ad

effetto equivalente ai dazi doganali interni (artt. 25-27 TCE, 30-32 TFUE), nonché delle restrizioni

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quantitative tra gli Stati membri e di ogni altra misura di effetto equivalente (artt. 28-30 TCE e 34-36

TFUE). Le uniche modifiche, oltre a quelle di carattere procedurale o sistematico, come lo

spostamento dell‟attuale art. 94 TCE tra le nuove disposizioni sul ravvicinamento delle legislazioni

(art. 115 TFUE), hanno addirittura un effetto apparentemente riduttivo rispetto alla normativa

vigente. Non è stata infatti riproposta, giacché superata dall‟evoluzione del diritto comunitario,

l‟unica disposizione che contiene un espresso riferimento all‟imposizione diretta, prevedendo

l‟attribuzione agli Stati della facoltà di avviare negoziati «intesi a garantire (…) l‟eliminazione della

doppia imposizione fiscale all‟interno della Comunità» (art. 293 TCE).

La scelta riproduce quella operata con il trattato costituzionale, che, a sua volta, era riduttivo rispetto

al progetto elaborato dalla Convenzione del 2003 che attribuiva all‟Unione poteri nel campo della

cooperazione amministrativa e della lotta alla frode e all‟elusione fiscale. La materia fiscale è rimasta

dunque ancorata alle originarie disposizioni, dettate per la creazione di un‟area di libero scambio,

salvaguardando in sostanza la potestà statale nel settore delle imposte (dirette).

Ciò non significa ovviamente che la materia non abbia conosciuto profondi mutamenti, in quanto

numerosi e significativi sono stati gli interventi della giurisprudenza della Corte di giustizia che, in

sede di tutela delle libertà fondamentali, ha avuto modo di fissare i limiti all‟esercizio delle

competenze dei singoli Stati, costituendo le norme del trattato un vincolo generale della potestà

normativa nazionale nel campo tributario. Va piuttosto rilevato come l‟azione comunitaria di

armonizzazione fiscale non costituisca anche dopo Lisbona una finalità propria della Comunità,

concorrendo invece all‟instaurazione e funzionamento del mercato interno, così come oggi indicato

dall‟art. 3, par. 1, lett. a) TCE. Di fatto, anche in futuro, a seguito dell‟entrata in vigore del nuovo

trattato di riforma, l‟azione comunitaria in campo tributario, specie nel settore delle imposte dirette,

continuerebbe ad essere principalmente il risultato dell‟evoluzione giurisprudenziale. E‟ stata infatti

la Corte ad estendere nel tempo l‟affermazione del divieto dell‟art. 90, 1° c. TCE dalla libera

circolazione delle merci alle altre libertà fondamentali. Riguardo a queste ultime il divieto assume

tuttavia una ampiezza più limitata rispetto al significato che tale divieto assume per le merci,

venendo esso in rilievo non in maniera assoluta bensì attraverso il confronto fra la fattispecie

transnazionale e quella regolata a livello interno.

A fronte degli interventi giurisprudenziali volti all‟eliminazione delle asimmetrie fiscali tra i vari

mercati dei singoli Stati, resta la discrasia tra il contenuto estremamente limitato delle disposizioni

del trattato CE e l‟applicazione che ne ha fatto la Corte. In assenza di un quadro normativo ben

definito, si spiega l‟evoluzione nel tempo della giurisprudenza della Corte, chiamata a confrontarsi

con fenomeni nuovi, tra cui il progressivo affermarsi di competenze fiscali anche a livello sub

statale. In tale ambito è venuta in considerazione la compatibilità dei sistemi fiscali regionali con

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l‟ordinamento comunitario. L‟esame ha riguardato due distinti aspetti, l‟uno relativo alla necessaria

coerenza dell‟esercizio dell‟autonomia tributaria delle regioni con gli impegni di stabilità in capo allo

Stato di appartenenza;

l‟altro alla possibilità di instaurare regimi fiscali differenti su base regionale.

Questione ulteriore e fino ad oggi non oggetto di sufficiente attenzione è quella relativa ai vincoli che

le Regioni, una volta ammessa la possibilità per esse di instaurare un regime fiscale differenziato,

incontrano nell‟esercizio di tale potestà impositiva alla luce dei principi e delle norme del trattato

CE, in particolare del principio generale di non discriminazione sancito dalla Corte di Giustizia come

principio fondamentale del diritto comunitario. Più nello specifico,

emerge che il diritto a non subire

discriminazioni ingiustificate, rientrando fra i diritti relativi alla cittadinanza europea, fa parte del

patrimonio personale dei cittadini degli Stati membri, in quanto cittadini dell‟Unione. Ciò non

significa, tuttavia, allargare l‟influenza del diritto comunitario a tutte le situazioni nazionali

potenzialmente discriminatorie, rimanendo comunque escluse le situazioni che non abbiano alcun

nesso con il diritto comunitario.

A questo punto il quesito da porsi è se e quando le situazioni create

dal differente trattamento sul piano fiscale fra diverse entità infra statali assumano rilevanza ai fini

dell‟applicazione del principio generale di non discriminazione.

b. Diritti fondamentali e materia tributaria

L‟attenzione va ora posta sul contenuto dei diritti fondamentali e sulle possibili interrelazioni

esistenti tra tali diritti e la materia tributaria.

Quanto al primo profilo, lo spirito ispiratore della maggior parte delle previsioni della Carta dei

diritti è fortemente ricognitivo e tutt‟altro che rivoluzionario: come risulta anche dal Preambolo della

Carta stessa, la Carta dei Diritti riafferma i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni

costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea

per la salvaguardia dei Diritti dell‟Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate

dall‟Unione e dal Consiglio d‟Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia

dell‟Unione Europea e da quella della Corte Europea dei diritti dell‟uomo. Sotto questo profilo, la

Carta dei Diritti non introduce ex novo una tutela europea dei diritti fondamentali, ma contribuisce –

e in modo assai significativo, specie all‟indomani del Trattato di Lisbona e dell‟assunzione di valore

giuridicamente vincolante – al consolidamento di una realtà giuridica già radicata nell‟ordinamento

dell‟Unione Europea, specie per merito della Corte di Giustizia che, superando l‟inerzia della

normazione scritta, ha affermato, sin dai primi anni settanta, che i diritti fondamentali costituiscono

parte integrante dei principi generali del diritto (comunitario prima e poi dell‟Unione Europea),

essendo la loro tutela rimessa alla stessa Corte nel quadro degli obiettivi e della struttura dell‟Unione,

tenendo conto delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri.

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L‟ampiezza del «catalogo» dei diritti fondamentali contenuto nella Carta dei diritti non consente

un‟analisi specifica dei contenuti di ciascun diritto. Sotto un profilo generale, tuttavia, non possiamo

non rilevare come l‟impostazione di fondo della Carta dei diritti e, in particolare, la rilevanza

assegnata in tale sede ai diritti di natura sociale – che ricevono espresso riconoscimento e tutela nei

capi III e IV della Carta dei diritti dedicati, rispettivamente, all‟uguaglianza ed alla solidarietà –

concorra, unitamente ad altri elementi di innovazione del Trattato di Lisbona in punto di

individuazione degli obiettivi della costruzione europea di cui si dirà nel prosieguo, a connotare in

senso più spiccatamente sociale – quantomeno, non più solo relativamente ai mercati – la direzione

delle politiche sviluppate dalle istituzioni dell‟Unione Europea. Nella Carta dei Diritti, infatti, i diritti

sociali vengono posti sullo stesso piano «costituzionale» rispetto a quelli civili e politici, sebbene la

loro effettiva parità di rango potrà essere verificata solo nell‟analisi degli indirizzi intrapresi dalle

istituzioni nel loro concreto operare, dovendosi aver riguardo al punto di equilibrio tra valori

economico-concorrenziali e valori sociali che le istituzioni dell‟Unione saranno in grado di

individuare di volta in volta in ciascuno degli ambiti ove si svolgeranno le loro azioni.

Venendo ora ad alcune interrelazioni dei diritti fondamentali con la materia tributaria, ci sembra

opportuno prendere le mosse da quegli ambiti – quelli del c.d. «giusto processo» e del diritto di

proprietà – in relazione ai quali l‟esperienza della CEDU ha sinora mostrato le espressioni più

significative, tratteggiando, in un momento successivo, taluni profili di connessione desumibili dalla

più recente evoluzione della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, tenendo conto, evidentemente,

del contributo che in questo contesto fornisce la struttura della Carta dei diritti.

Quanto alle garanzie del «giusto processo», esse sono previste nell‟ambito CEDU dall‟art. 6, che

rappresenta all‟interno della Convenzione il principale riferimento per l‟individuazione di un

adeguato standard di protezione della persona in rapporto all‟esercizio della giurisdizione,

apprestando tutela sia – e in modo preminente – sul versante del «diritto al processo» in base al § 1,

sia con riferimento ai «diritti nel processo» in base al successivo § 3. È ben noto, al riguardo,

l‟orientamento negativo assunto dalla Corte di Strasburgo in merito all‟applicabilità delle garanzie di

cui all‟art. 6, § 1, della CEDU al processo tributario.

c. Il principio dell’unanimità in materia fiscale

Nonostante l‟allargamento operato dall‟Atto Unico europeo del principio maggioritario ad un‟ampia

serie di materie, la fiscalità è sempre rimasta condizionata all‟adozione del principio dell‟unanimità.

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L‟art. 95, § 1, del Trattato CE (d‟ora in poi, TCE), che prevedeva il procedimento deliberativo a

maggioranza qualificata, veniva infatti espressamente dichiarato, nel medesimo articolo, come non

applicabile alla materia fiscale.

Le istanze provenienti da parte della dottrina tributaristica in ordine alla sostituzione del principio del

voto all‟unanimità con quello a maggioranza qualificata, erano state recepite dalla Commissione

Europea, che ne aveva proposto l‟introduzione in quei casi in cui le disposizioni fiscali fossero

finalizzate ad aggiornare, semplificare o assicurare l‟applicazione uniforme dell‟iva, delle accise e

dell‟imposta sul capitale, a prevenire la frode, l‟evasione e l‟elusione nell‟imposizione diretta ed

indiretta, a coordinare le disposizioni per eliminare restrizioni, discriminazioni e doppia imposizione,

nonché a conseguire gli obiettivi del Trattato in materia ambientale.

Alle proposte di adozione del principio di maggioranza qualificata, si accompagnava, inoltre, quella

di un ampliamento dei poteri del Parlamento Europeo nel processo legislativo, oppure del

conferimento al Consiglio di una maggiore rappresentatività democratica.

Il progetto di Costituzione dell‟Unione europea approvato dalla Convenzione europea il 10 luglio

2003 aveva fatto balenare la possibilità di un cambiamento sul punto. Pur non estendendosi alla

materia tributaria il nuovo e generale principio del voto a maggioranza e del procedimento di co-

decisione tra Consiglio e Parlamento europeo per l‟esercizio della potestà normativa, veniva infatti

previsto il potere di adottare a maggioranza qualificata, una volta verificatane la necessità, leggi o

leggi-quadro europee che avessero ad oggetto la cooperazione amministrativa o la lotta contro la

frode fiscale e l‟elusione fiscale illecita nel settore dell‟imposizione indiretta e dell‟imposta sul

reddito delle società.

Queste disposizioni non sono state tuttavia recepite né nel testo definitivo della Costituzione, che in

materia di armonizzazione e ravvicinamento delle imposte dirette ed indirette (nonché in materia di

fiscalità ambientale), riproponeva la regola dell‟unanimità, senza eccezione alcuna, né nel testo del

Trattato di Lisbona.

A ben vedere, in un‟Unione a ventisette Stati, la persistenza del meccanismo dell‟unanimità, almeno

nella misura in cui abbia ad oggetto fattispecie di rilevanza meramente intracomunitaria, appare

sempre più difficilmente argomentabile.

Il problema risiede, tuttavia, nella pluralità dei modi, e nel loro diverso grado di pervasività, in cui un

determinato obiettivo avente tale rilevanza può di regola essere perseguito. Ciò pare chiaramente

dimostrato dalle numerose ipotesi di regolamentazione che si sono succedute nel dibattito sulla

direttiva sul risparmio, tese tra gli interessi finanziari degli Stati membri da un lato e l‟esistenza del

segreto bancario in alcuni di essi dall‟altro lato. Ebbene, la previsione di una deroga, come proposto,

nei casi di provvedimenti finalizzati al contrasto alla frode od all‟elusione, avrebbe certamente

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legittimato in una simile ipotesi l‟intervento a maggioranza, tuttavia con gli effetti politici che è

agevole immaginare.

Per provare ad avanzare nel processo di integrazione nonostante il principio dell‟unanimità restano,

dunque, solo due strade percorribili.

Da un lato, il ricorso al meccanismo della c.d. «cooperazione rafforzata» nel caso di Stati membri

like-minded. Si tratta tuttavia di un tema bifronte, perché se è vero che un certo obiettivo europeo,

finalizzato allo sviluppo del mercato interno, può essere perseguito tra una ristretta cerchia di Stati, è

anche vero che gli accordi raggiunti in tale sede non devono mai risolversi in un vantaggio per gli

Stati diversi da quelli in seno ai quali sia stato raggiunto l‟accordo.

Dall‟altro lato, il ricorso a fonti di carattere «non legislativo» (cosiddetta soft law), sviluppatosi

soprattutto, per quanto riguarda la materia fiscale, a seguito del nuovo approccio in tema di

armonizzazione e «coordinamento fiscale» avviatosi verso la fine degli anni ‟90.

All‟obiettivo del coordinamento fiscale, si è infatti accompagnata un‟innovazione sul piano delle

forme dell‟azione: le indicazioni contenute in raccomandazioni, guide lines, accordi multilaterali,

note interpretative, comunicazioni e risoluzioni vengono infatti a svolgere un triplice ruolo di

supervisione, stimolo ed indirizzo – dunque, di coordinamento – per la politica fiscale degli Stati

membri, che deve inserirsi nell‟articolato quadro di riferimento dell‟azione comunitaria in materia

tributaria che tali atti vanno a disegnare.

Ne costituisce oggetto, tra l‟altro, anche l‟azione della Corte di Giustizia, nell‟ottica di proporre

modelli comuni di riferimento in sostituzione di misure fiscali da essa giudicate incompatibili con il

Trattato e così evitare risposte asimmetriche nei vari Stati membri, ma straordinariamente

significativa è altresì la soft law analitica e puntuale elaborata dalla Commissione Europea in materia

di aiuti di Stato, servita alla commissione stessa per orientare le scelte di intervento degli Stati

membri, nonché per promuovere e, in certa misura, anticipare il diritto in senso proprio.

d. Le competenze fiscali dell’UE

Il TCE ha da sempre difettato di una considerazione di ampio respiro dei temi legati al fenomeno

tributario. Questa assenza non deve tuttavia sorprendere. Non solo, infatti, la Comunità Economica

Europea nasce come unione doganale, risolvendosi così il fattore fiscale, in chiave strumentale, nel

mancato assoggettamento dei prodotti, al momento del loro passaggio tra uno Stato e l‟altro, a dazi di

esportazione (o di importazione) o a qualsiasi prelievo di effetto equivalente, e nell‟istituzione di una

tariffa doganale comune nei confronti di Paesi terzi rispetto alla Comunità.

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Soprattutto – e più esattamente – ciò che emerge dalla trama del Trattato e ne segna l‟originaria

impostazione è la stretta connessione tra prelievo indiretto e scambi commerciali intra ed

extracomunitari: le disposizioni fiscali sono così destinate ad evitare gli effetti distorsivi causati dalle

imposte alla libera circolazione delle merci, nel duplice senso di eliminazione delle barriere fiscali a

tale libera circolazione e di divieto di qualsiasi utilizzo in funzione discriminatoria del tributo per

favorire la produzione nazionale rispetto a quella proveniente da un altro Stato membro. Una

funzione, pertanto, «riduttiva» dei sistemi di imposizione indiretta interni e dei loro differenziali: in

altri termini, di tipo «negativo».

Al perseguimento di tali obiettivi iniziali e al successivo graduale passaggio dall‟unione doganale al

mercato comune – relativo all‟abolizione di ogni vincolo quantitativo e qualitativo non solo per i

beni e servizi, ma anche per i fattori produttivi – ha dunque concorso l‟azione in materia di

imposizione indiretta, connotando una prima fase della fiscalità comunitaria che ha occupato un

ampio arco temporale e che comunque, pur collocata ormai in secondo piano nel dibattito europeo, è

ben lungi dall‟essersi conclusa.

Ancor più complesso è il terreno dell‟imposizione diretta.

Pur costituendo infatti l‟assenza nel TCE di qualsiasi esplicito riferimento ad essa un problema

ampiamente superato, la circostanza che la base giuridica sia stata rinvenuta nell‟art. 3, lett. h), TCE

(che prevedeva il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al

funzionamento del mercato comune) e nell‟art. 94 TCE (ora art. 115 TFUE), che tuttora prevede la

competenza del Consiglio a deliberare all‟unanimità sulle direttive volte al ravvicinamento delle

disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano

un‟incidenza diretta sull‟instaurazione o sul funzionamento del mercato comune, ha fatto sì che il

terreno sul quale sono nati e si sono sviluppati gli interventi in materia di imposizione diretta è quello

della realizzazione del mercato comune, o meglio ancora, interno, a seguito delle modifiche

intervenute con l‟Atto Unico Europeo.

Gli interventi in tale materia sono stati tuttavia limitati non solo quantitativamente ma anche

qualitativamente, non avendo mai coinvolto aspetti puramente nazionali data la forte resistenza degli

Stati membri ad abdicare in materia di imposizione diretta a favore degli organi comunitari.

Nonostante gli auspici che il Rapporto Neumark conteneva in ordine all‟introduzione di un‟imposta

sulle società armonizzata e al ravvicinamento della struttura della tassazione del reddito delle

persone fisiche, gli interventi di carattere puramente nazionale si sono infatti sistematicamente

arenati sulla considerazione dell‟inopportunità di annullare la leva fiscale a disposizione di ogni

Stato, già fortemente compromessa dal sostanziale azzeramento dei vantaggi derivanti dalla

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selettività dell‟imposizione indiretta e dall‟impossibilità di un‟azione sui cambi per effetto del

passaggio alla moneta unica.

In tale ottica, anche gli obiettivi «minimali» individuati agli inizi degli anni ‟90 dal Comitato Ruding

– incaricato dalla Commissione europea presieduta da M.me Scrivener di individuare le principali

distorsioni di natura fiscale al funzionamento del mercato interno e le misure specifiche per

eliminarle –, consistenti nel raggiungimento di un livello minimo di uniformità nella determinazione

della base imponibile e nella previsione di una forbice di aliquote d‟imposta sugli utili societari

(comprese le imposte locali), avevano finito per formare oggetto di ampie riserve da parte della

stessa commissione e del Consiglio, poiché ritenuti inopportuni sotto numerosi profili.

Quanto sopra, che è alla base dell‟esistenza, allo stato attuale, di sensibili differenze nella

determinazione della base imponibile del reddito delle persone fisiche e delle imprese, nei sistemi di

tassazione di società ed azionisti e nelle aliquote societarie, che finiscono per riflettersi, sia pure

unitamente ad altri non meno rilevanti fattori, sulle condizioni concorrenziali e le relative scelte

localizzative delle imprese operanti all‟interno dell‟Unione, non ha subito modifiche per effetto del

Trattato di Lisbona.

Le competenze fiscali, infatti, non risultano modificate, neanche in parte. Anzi è stato abrogato l‟art.

293 TCE che prevedeva l‟avvio di negoziati tra Stati per la conclusione di accordi per l‟eliminazione

della doppia imposizione. Tale abrogazione consegue peraltro alla constatazione della sua sostanziale

inutilità anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia che ha sistematicamente

rinvenuto in essa una norma meramente «programmatica», sicché ci pare di poter condividere

l‟osservazione di chi non rinviene in tale abrogazione una forma di regressione. La materia delle

imposte sui redditi resta dunque appannaggio dei singoli Stati, senza che sia stato introdotto alcun

ulteriore potere di armonizzazione da parte dell‟Unione europea al di fuori dei limiti sopra esaminati.

Questa soluzione difficilmente può essere criticata.

Da un lato, infatti, essa è coerente con quel richiamato percorso che ha condotto all‟elaborazione del

concetto di coordinamento fiscale. Si delinea infatti a decorrere dalla metà degli anni Novanta – forse

definitivamente – un concetto di armonizzazione per l‟imposizione diretta che non è (né mai lo è

stata) unificazione, ma neanche semplice adeguamento ad un tipo comune: è solo, invece,

approssimazione, convergenza elastica finalizzata ad eliminare le distorsioni più rilevanti. Da un lato

il contenuto del concetto di armonizzazione utilizzato dal Trattato in materia di imposizione indiretta

tende ad affievolirsi in direzione di quello – testualmente indicato dall‟art. 94 TCE (ora 115 TFUE) –

di ravvicinamento, dall‟altro emerge e si consolida un concetto di coordinamento: nozioni – quelle di

ravvicinamento e coordinamento – che costituiscono, rispetto a quella di armonizzazione, forme di

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integrazione maggiormente rispondenti ai principi di necessità e sussidiarietà dell‟azione comunitaria

già sanciti dagli artt. 3 e 5 TCE ed oggi confermati dall‟art. 5 del TUE.

Non si specificano dunque, per gli istituti puramente nazionali, né modelli di imposta, né basi

imponibili comuni, né livelli impositivi uniformi: l‟azione comunitaria si rivolge soltanto, con un

grado di incisività maggiore nell‟imposizione indiretta e minore in quella diretta, ad aspetti

dell‟imposizione che interessano flussi intracomunitari di ricchezza. Per il resto, si guarda più al

coordinamento delle politiche fiscali, sia per evitare che le modalità di esercizio del potere tributario

da parte di uno Stato membro si traducano in un pregiudizio per gli altri Stati membri, sia per far sì

che le scelte in materia di politica fiscale si attuino in quel quadro di riferimento che gli atti adottati

dagli organi comunitari, anche di cosiddetta soft law, vengono a delineare.

Quanto accaduto a livello dei singoli Stati membri a seguito della crisi economica e finanziaria

conferma l‟inevitabilità di tale approccio ed induce per il momento ad accantonare la possibilità di

prevedere forme avanzate di armonizzazione in materia di imposte sui redditi.

L‟analisi comparatistica delle massicce strategie fiscali adottate dagli Stati membri dopo la crisi

consente infatti di evidenziare come la prospettiva fiscale abbia rivestito un ruolo fondamentale, al

punto che appare veramente difficile pensare che agli Stati sia sottratta la leva fiscale in materia di

imposizione diretta.

Ciò nondimeno, tale analisi mostra una mancanza di coordinamento tra le misure adottate a livello

nazionale, sicché pare che, dal punto di vista europeo, ciò dovrebbe costituire almeno uno stimolo

per contribuire al potenziamento del coordinamento fiscale, finalizzato ad aumentare l‟integrazione

fiscale tra gli Stati nel rispetto delle sovranità fiscali nazionali.

e. Sistemi fiscali e concorrenza tra Stati membri

È stato evidenziato in dottrina che la concorrenza non è più di per sé un obiettivo dell‟Unione ma

diventa uno strumento al servizio dei consumatori e in questo quadro aggiunge l‟evasione tra gli

strumenti di distorsione della concorrenza: con la conseguenza del divieto di norme fiscali che

alterino gli scambi, come accade nel caso di un‟imposta sulle società con aliquote eccessivamente

basse. Si evidenzia dunque un secondo profilo: a quello relativo alla valutazione delle misure interne

che abbiano l‟effetto di falsare la concorrenza in nome di determinati valori, si aggiunge quello della

concorrenza fiscale tra Stati membri.

Ora, a partire dalla metà degli anni ‟90 e sino ai giorni nostri l‟intervento europeo in materia fiscale

non è stato più rivolto al solo obiettivo di eliminare gli ostacoli di natura fiscale al raggiungimento

del mercato interno, ma anche a quello di tutelare gli interessi finanziari dei singoli Stati membri.

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L‟integrazione in materia di imposizione diretta non è stata pertanto più vista solo come elemento

(negativo) di perdita di sovranità fiscale per gli Stati membri, ma anche, in un certo senso, come

strumento (positivo) per preservarla. L‟attenzione si è rivolta così alle politiche tributarie sleali e

dannose, finalizzate ad attrarre investimenti produttivi e finanziari dei soggetti non residenti, che

indebolendo le finanze degli Stati membri con pressione fiscale più elevata, ne condizionano la

politica economica e sociale e, in definitiva, le scelte politiche sui livelli di welfare ritenuti più

soddisfacenti. È, pertanto, venuta meno la logica dell‟adeguamento spontaneo «verso il basso», del

cosiddetto race to the bottom, della competizione tra Stati membri, alla quale si imputa una

allocazione non efficiente delle risorse, la mancanza di equità interstatale e la concentrazione del

prelievo verso forme reddituali caratterizzate da scarsa mobilità, in primis il lavoro.

Ciò che ha sollevato, tuttavia, per i più scettici, il triplice rischio di dare vita nei rapporti tra Stati

membri e loro cittadini ad un «cartello fiscale»; di diminuire, nei rapporti tra Stati UE e Stati extra-

UE, l‟attrattività dell‟area euro nei confronti degli altri attori dell‟economia mondiale; di favorire

quegli Stati membri la cui maggiore estensione territoriale e del mercato interno già assicura un

vantaggio competitivo.

Si è attuato, in particolare, un ampio processo di transizione da quell‟approccio ai singoli problemi

(piecemeal approach) che aveva caratterizzato l‟azione dell‟Unione europea sino agli inizi degli anni

‟90, ad un approccio anche globale, ad una visione di insieme dei problemi della fiscalità

comunitaria, in cui la fiscalità viene considerata in relazione ai diversi obiettivi fissati dal Trattato e

in cui vengono in rilievo temi quali la stabilizzazione delle entrate tributarie, il buon funzionamento

del mercato interno e la promozione dell‟occupazione. Nella comunicazione della commissione al

Consiglio verso il coordinamento fiscale nell‟Unione Europea: un pacchetto di misure volte a

contrastare la concorrenza fiscale dannosa, si introduce infatti per la prima volta, sotto l‟ombrello del

coordinamento fiscale, una distinzione tra una concorrenza fiscale legittima ed una «dannosa»

(harmful tax competition), per impedire agli Stati membri di adottare o mantenere misure fiscali che

siano tali da falsare in modo «sleale» il gioco della concorrenza, attraendo in maniera non trasparente

capitali ed imprese di altri Stati membri in pregiudizio dei relativi interessi finanziari (c.d. beggar thy

neighbour). Ciò ha comportato un‟azione sotto un duplice fronte.

Da un lato, essa ha riguardato gli investimenti di origine finanziaria e il progetto in materia di

fiscalità del risparmio si è tradotto – a seguito di lunghe e complesse trattative, che hanno richiesto la

stipula di appositi accordi anche con Stati terzi – nella Direttiva n. 2003/48/CE, in cui è venuto meno

il modello della cosiddetta «coesistenza» tra ritenuta e scambio di informazioni – essendo

quest‟ultimo diventato il meccanismo base, al fine di sancire definitivamente il principio della

tassazione degli interessi nello Stato di residenza del percettore – e si è consentito soltanto in via

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eccezionale e transitoria a taluni Stati di applicare una ritenuta alla fonte sino al raggiungimento di

ulteriori accordi tra l‟Unione e tali Stati terzi aventi ad oggetto un sistema di scambio di informazioni

a richiesta.

Dall‟altro, essa ha riguardato gli investimenti di origine produttiva, tramite l‟introduzione di un

codice di condotta (code of conduct), che ha imposto agli Stati di astenersi dall‟adottare (c.d.

clausola di standstill), ovvero di eliminare (c.d. clausola di rollback), tutte le misure fiscali, di

carattere non generalizzato, in grado di incidere sensibilmente sulla localizzazione delle attività

produttive all‟interno dell‟Unione Europea.

In tale contesto, la soppressione dei regimi ritenuti nocivi alla concorrenza dell‟Unione è passata

talvolta, ove ne ricorrevano i presupposti, attraverso le forche caudine delle disposizioni del TCE in

materia di aiuti di Stato, altre volte ha formato oggetto di eliminazione spontanea, ed altre volte

ancora, infine, di negoziazione con le istituzioni comunitarie in vista dell‟ottenimento di una proroga

al termine per la loro eliminazione.

Dunque, anche sul piano dei comportamenti dei singoli Stati si è preso atto che la concorrenza va

vista in un‟ottica più ampia, al fine di non mettere a repentaglio valori ed obiettivi altrettanto

importanti.

Ci pare, tuttavia, che ciò non possa spingersi al punto da attirare alla tutela comunitaria quei regimi

tributari a carattere generalizzato e non discriminatorio, anche quando si concretino in un‟aliquota

sensibilmente inferiore a quella mediamente applicata negli Stati membri, e dunque a rinvenire nel

Trattato di Lisbona una novità in tal senso. A tale riguardo, fortemente significativa appare la

vicenda dell‟Irlanda, dove il salvataggio delle finanze irlandesi approvato dall‟Unione Europea e dal

Fondo monetario internazionale è stato usato, senza successo, da governi (Francia e Germania),

istituzioni multilaterali (OCSE) e altri soggetti quale pretesto per obbligare Dublino ad aumentare

l‟aliquota dell‟imposta sulle società, attualmente fissata al 12,50%.

Del resto, come è stato osservato, se è vero che la politica fiscale dell‟Irlanda ha consentito che le

società americane investissero in Irlanda più che in Cina, India, Brasile e Russia messe assieme, non

può ritenersi che i problemi causati dal debito sovrano irlandese possano essere addossati al ridotto

livello di tassazione. Anzi, il gettito generato dalla tassazione delle società equivale in Irlanda a quasi

il 3 per cento del PIL, rispetto ad un valore appena superiore all‟1,00% della Germania; né potrebbe

spiegarsi come i mercati dei titoli di Stato abbiano punito severamente paesi come la Grecia, il

Portogallo e la Spagna, in cui le aliquote dell‟imposta sulle società sono da due a tre volte più

elevate.

È pertanto auspicabile che si prenda finalmente atto che una concorrenza sulle aliquote fiscali

costituisce uno dei fattori principali per rendere nuovamente l‟Unione europea un luogo privilegiato

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di investimento per i capitali internazionali e per spingere gli Stati membri ad una gestione virtuosa

dei bilanci sul fronte delle spese. In questa direzione si stanno muovendo diversi Paesi che,

nonostante l‟incremento della pressione fiscale, hanno diminuito le aliquote relative alle imposte sui

redditi societari.

f. Politica di sicurezza e di difesa comune

La politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) sostituisce la precedente politica europea di

sicurezza e di difesa (PESD). Il trattato di Lisbona modifica la denominazione e dedica a tale politica

una nuova sezione nei trattati istitutivi. Pertanto, il trattato di Lisbona segna l'importanza e la

specificità della PSDC, che è però ancora parte integrante della politica estera e di sicurezza comune

(PESC). Oltre a questo nuovo riconoscimento, il trattato di Lisbona introduce anche nuove

disposizioni per lo sviluppo della PSDC. Le principali innovazioni sono finalizzate alla progressiva

creazione di una difesa comune europea. Gli Stati membri possono quindi partecipare a missioni

militari o umanitarie e sono ora legati a una clausola di solidarietà in materia di difesa europea.

Essi hanno inoltre i mezzi per cooperare più strettamente in questo settore, in particolare all'interno

dell'Agenzia europea per la difesa o attraverso la creazione di una cooperazione strutturata

permanente. Sul solco dei precedenti trattati, la PSDC rimane una problematica sostanzialmente

intergovernativa. Il Consiglio dell'UE delibera principalmente all'unanimità. Il finanziamento e i

mezzi operativi delle missioni compiute nel quadro della PSDC sono garantiti altresì dagli Stati

membri. Tra i principali aggiornamenti e nuove disposizioni in ambito PSDC introdotti dal Trattato

di Lisbona si segnalano:

Cooperazione strutturata permanente1: Art. 42.6, Art. 46 del Tue e Protocollo sulla

cooperazione strutturata permanente. Meccanismo specifico in materia di difesa, avente lo

scopo di migliorare le capacità militari degli stati interessati per poter meglio contribuire alle

iniziative europee in questo settore.

o È aperta a tutti gli stati membri che soddisfino determinati criteri in materia di capacità

militari e che sottoscrivano impegni più vincolanti per la realizzazione delle missioni più

impegnative dell‟Ue.

Criteri di riferimento: conseguire elevate capacità militari operative attraverso lo sviluppo di

contributi nazionali e la partecipazione a forze multinazionali, ai programmi europei di

equipaggiamento e all‟attività dell‟Eda; essere in grado di fornire entro il 2010, a titolo

1 Federica Di Camillo e Valérie Miranda L’Unione europea e la politica di sicurezza e di difesa comune

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nazionale o come componente di gruppi di forze multinazionali, unità di combattimento

configurate come Gruppi Tattici (Battlegroups).

Procedure più semplici e accessibili per l‟avvio della cooperazione e l‟ingresso di nuovi

membri; nessun numero minimo di stati partecipanti (a differenza delle cooperazioni

rafforzate, dove è previsto almeno un terzo degli stati membri).

Per costituire la cooperazione strutturata permanente è sufficiente la maggioranza qualificata,

in deroga al principio generale che prevede il ricorso all‟unanimità nel settore Psdc. Tuttavia,

l‟unanimità dei soli partecipanti alla cooperazione è necessaria per assumere le decisioni.

Il trattato di Lisbona amplia e descrive nel dettaglio le competenze dell'Agenzia europea per

la Difesa, finalizzata essenzialmente a migliorare le capacità militari degli Stati membri.

L‟EDA (European Defence Agency) ha due missioni primarie: incrementare le capacità

militari dell‟UE nel settore della gestione delle crisi, e il sostegno alla CSDP attuale e futura.

Per perseguire tali missioni, viene specificato che l‟EDA ha i compiti di identificare i

requisiti operativi delle forze armate epromuovere azioni finalizzate a soddisfarli, rafforzare

la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipare alla definizione di una

politica europea per il miglioramento delle capacità militari.

Punti deboli dell‟agenzia sono però la sua scarsissima dotazione finanziaria, sufficiente a

finanziare quasi solo le spese per il personale. La cooperazione strutturata permanente di cui

all'articolo 42, paragrafo 6 del trattato sull'Unione europea è aperta a ogni Stato membro che

s'impegni, dalla data dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona: a procedere più

intensamente allo sviluppo delle sue capacità di difesa, attraverso lo sviluppo dei suoi

contributi nazionali e la partecipazione, se del caso, a forze multinazionali, ai principali

programmi europei di equipaggiamento e all'attività dell'Agenzia nel settore dello sviluppo

delle capacità di difesa, della ricerca, dell'acquisizione e degli armamenti (l'Agenzia europea

per la difesa).

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g. Ricerca

Nell’ Articolo 179: L'Unione si propone l'obiettivo di rafforzare le sue basi scientifiche e

tecnologiche con la realizzazione di uno spazio europeo della ricerca nel quale i ricercatori, le

conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente, di favorire lo sviluppo della sua

competitività, inclusa quella della sua industria, e di promuovere le azioni di ricerca ritenute

necessarie ai sensi di altri capi dei trattati.

Nell’ Articolo 182 :Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura

legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano un

programma quadro pluriennale che comprende l'insieme delle azioni dell'Unione.

Nel 2013 è stato lanciato Horizon 2020.

2. Le tecnologie duali: applicazioni civili e militari

Lo sviluppo, la conoscenza e l‟impiego delle tecnologie rappresentano il principale fattore evolutivo

delle società moderne e ne determinano il rispettivo posizionamento economico, in termini di catena

del valore, produttività e redditività, nonché di potenza relativa, definita quale capacità di protezione

degli interessi vitali e di influenza sugli altri attori dell‟arena internazionale. Le principali

innovazioni tecnologiche si sviluppano grazie a due fonti di finanziamento, quella privata, legata alla

libertà imprenditoriale, e quella pubblica, determinata dagli obiettivi di politica governativa. In

questo secondo ambito, un ruolo consistente ha storicamente giocato la politica di sicurezza e difesa

dello Stato, che si manifesta in investimenti in ricerca e sviluppo a fini militari. La logica delle due

guerre mondiali e del confronto bipolare ha determinato nel corso del XX sec. una crescita

rapidissima di tecnologie espressamente legate al dominio militare (basti pensare all‟ambito

nucleare, alla missilistica, alle reti di comunicazioni sicure). Dalla fine della guerra fredda, accanto

alla domanda militare declinante, si è affermata in misura crescente una domanda di sicurezza non

più risolvibile, ormai, soltanto con un approccio di tipo militare, essendo contestualmente aumentata

la possibilità di soddisfare tali richieste (di difesa militare e di sicurezza in generale) grazie a

tecnologie che emergono dal tessuto produttivo complessivo.

Il paradigma di trasferimento tecnologico unilaterale e lineare dal militare al civile, tipico del periodo

che va dagli anni „40 agli anni „80, è stato superato da un‟impostazione circolare in cui la

molteplicità degli attori e delle finalità spinge, in contesti di risorse scarse e di elevatissima

competizione su scala globale, a un‟integrazione. La possibilità di impiegare la stessa tecnologia per

soddisfare esigenze di diverso tipo (difesa dello Stato, sicurezza dei cittadini da un ampio spettro di

rischi e applicazioni che possono anche non aver nulla a che fare con la sicurezza) garantisce un

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potenziale di mercato assai più elevato, a costi inferiori e distribuiti su un numero molto più grande

di soggetti.

Le tecnologie duali per loro natura rimangono peraltro di difficile categorizzazione. La dualità,

infatti, può essere determinata dall‟utenza, nel caso dell‟impiego da parte militare di tecnologia

ampiamente diffusa a livello civile, la cui sofisticazione ormai spesso raggiunge o addirittura supera i

requisiti militari (si pensi al settore della crittografia dei dati per il sistema finanziario), o dalla

combinazione originale di più tecnologie di provenienza civile, o, infine, dall‟esplicito impegno

governativo o imprenditoriale a perseguire soluzioni tecnologiche comuni a più attori per problemi

simili (come gli investimenti congiunti nel settore dell‟osservazione della Terra dallo spazio).

La parte introduttiva di questo saggio si limita a individuare quali siano i settori generici più

promettenti da questo punto di vista e a discutere i due modelli di riferimento dell‟attuale e futuro

sviluppo tecnologico occidentale in un ambito di globalizzazione della sicurezza e della difesa: il

modello statunitense, tuttora dominante, e quello (emergente) europeo, legato soprattutto alla

sicurezza civile. A seguire, verrà affrontato il problema del controllo di queste tecnologie duali,

poiché esse presentano a livello costitutivo interrogativi ai regimi preposti al contenimento degli

effetti negativi di una loro utilizzazione. Basti citare le biotecnologie, utili per migliorare la medicina

ma anche passibili di impiego quali armi devastanti, o il più classico ambito nucleare, in cui la

tecnologia serve per la produzione di elettricità o di testate dall‟enorme potere distruttivo. Infine,

saranno presentate alcune considerazioni circa le prospettive future dell‟impatto delle tecnologie

duali sugli equilibri politici globali.

Uno sguardo ora alle principali aree tecnologiche duali.

Parlando di tecnologie duali, è opportuno fare una distinzione tra beni che sono per loro natura duali

e beni il cui utilizzo non proprio rende duali. Per esempio un motore progettato per aerei da carico è

un prodotto intrinsecamente duale: è destinato alla propulsione di aerei, civili o militari che siano.

I meccanismi di lancio per satelliti sono invece progettati e disegnati con uno scopo preciso: possono

però essere utilizzati come sistemi di lancio di missili balistici (o possono fornire le conoscenze per

la costruzione di tali sistemi). Vanno inoltre menzionati i casi in cui è l‟abbinamento di tecnologie a

determinare la dualità: per es., un normale computer disponibile al pubblico che, inserito in una rete

con altre macchine analoghe, può diventare uno strumento di progettazione utilizzabile da

un‟industria militare che non dispone di computer con capacità di calcolo avanzate.

Nel corso degli ultimi decenni il novero delle tecnologie e dei prodotti duali è cresciuto

notevolmente. Il contenuto tecnologico dei materiali militari si è elevato, generando una domanda di

tecnologia che è stata soddisfatta anche dall‟ampio mercato di beni civili (a sua volta sempre più

tecnologicamente avanzato). Con l‟avvento della cosiddetta rivoluzione negli affari militari l‟utilizzo

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di tecnologie civili in campo militare si è fatto ancora più estensivo. Tale rivoluzione mette l‟accento

sulla capacità di raccolta, diffusione e scambio di informazioni sul campo di battaglia. La sua

applicazione pratica ha quindi coinciso con l‟adozione, da parte degli eserciti, di tecnologie di

comunicazione fino ad allora destinate principalmente a uso civile.

Il campo dell‟information technology (IT), ossia la tecnologia della gestione dell‟informazione, è

sostanzialmente duale. Sensori avanzati, insieme a computer e sistemi di comunicazione basati su

tecnologia informatica, sono impiegati dagli eserciti più moderni per l‟acquisizione, il

riprocessamento, la gestione e la comunicazione in tempo reale delle informazioni (video, audio o di

altro genere). Reti di sensori di rilevamento o di tracciamento costituiscono oggi un importante

strumento utilizzato dagli eserciti e dalle agenzie di sicurezza per ottenere informazioni sul campo di

battaglia o in aree sottoposte a controllo. Computer con elevate capacità di calcolo servono anche per

la progettazione di sistemi d‟arma avanzati come aerei da combattimento o missili, e per le

simulazioni di utilizzo. Tuttavia i computer, anche di elevata potenza, sono oggi un bene di massa

disponibile su tutti i mercati e ampiamente usato nei più svariati modi da milioni di persone in tutto il

mondo. Anche strumenti come microfoni, rilevatori di temperatura o di movimento hanno un utilizzo

estensivo in campo civile. Vengono impiegati, per il monitoraggio di macchinari e della

distribuzione di energia elettrica, per la gestione degli inventari e il tracciamento delle merci, o come

sistemi di sicurezza per edifici, abitazioni, infrastrutture. I sensori per uso militare sono parzialmente

differenti da quelli per uso civile: devono necessariamente essere più piccoli, resistenti e capaci di

maggiore autonomia e potenza per essere utilizzati in condizioni estreme e rimanere affidabili.

La tecnologia di base rimane però la stessa.

Beni e tecnologie nucleari sono un‟altra categoria di prodotti interamente duali. Le strutture, i

macchinari, le procedure e i materiali necessari per alcuni metodi di produzione di energia sono

esattamente gli stessi che permettono la produzione di armi atomiche. Uno dei principali modi per

produrre energia dal nucleare consiste nell‟arricchimento dell‟uranio mediante centrifughe; lo stesso

procedimento permette di ottenere uranio altamente arricchito necessario per un ordigno atomico.

L‟arricchimento dell‟uranio non è l‟unico metodo per produrre energia nucleare, e possedere uranio

arricchito non è sufficiente per costruire una bomba atomica: tuttavia, il dualismo delle tecnologie

nucleari costituisce un serio problema di non proliferazione.

Anche il campo dell‟aeronautica è considerato un‟area tecnologica quasi completamente duale (non a

caso le principali industrie aeronautiche operano indistintamente sia nel campo civile sia in quello

militare). Materiali, componenti specifiche (motori, sensori ecc.), tecniche di costruzione,

conoscenze scientifiche del campo aeronautico sono intrinsecamente duali, utili per costruire aerei

civili e militari.

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Specificatamente duale è il settore spaziale, a cui appartiene uno dei sistemi duali più conosciuti e

utilizzati, il global positioning system (GPS). Il GPS, sistema di posizionamento basato su una

costellazione di 31 satelliti, nasce come strumento militare e viene poi aperto all‟uso commerciale

(anche se rimane sotto il controllo del dipartimento della Difesa americano). Oltre al

posizionamento, i satelliti sono poi impiegati per altri scopi civili come comunicazioni audio e video,

produzione di immagini e dati per scopi scientifici, previsioni meteorologiche. Le stesse

applicazioni, tuttavia, sono utilizzate dalle forze armate statunitensi per ottenere informazioni sulle

aree di combattimento, per la comunicazione tra le varie unità, o per il puntamento di missili di vario

tipo. Infine, altre aree scientifiche le cui tecnologie sono principalmente duali sono la chimica e la

biologia. Le armi chimiche e biologiche sono bandite dai trattati internazionali proprio per la loro

terrificante efficacia, e non dovrebbero teoricamente figurare negli arsenali militari. Diversi Paesi

sono però sospettati di possederne. Oltre che nel campo degli armamenti veri e propri, agenti chimici

sono utilizzati in campo militare anche per il miglioramento di esplosivi, combustibili e carburanti, o

per altri usi (ad es., come fumogeni). Lo sviluppo di queste tecnologie duali viene perseguito in

ambito occidentale con diverso impulso e differenti modelli di riferimento.

Uno sguardo più approfondito va ora rivolto al modello statunitense.

Il modello di sviluppo tecnologico dipende da due fattori concorrenti: una forte spesa privata in

ambito tecnologico e una visione di politica pubblica in cui il sostegno alle tecnologie nel settore

militare rimane forte e stabile da decenni. Con una spesa militare in continuo aumento e pari, nel

2007, al 45% di quella mondiale, gli Stati Uniti si distinguono anche per la quantità delle attività

svolte nel campo della ricerca a fini militari. Secondo le stime dell‟Office for management and

budget della Casa Bianca, la ricerca a scopi di difesa nazionale ha rappresentato, nell‟anno fiscale

2009, circa il 60% del budget federale per ricerca e sviluppo (R&D Research and Development).

Un attore di primo piano nella ricerca militare statunitense è il dipartimento della Difesa (D.o.D.,

Department of Defense), il quale finanzia attività di R&D (comprendenti non solo la ricerca, di base

e applicata, e lo sviluppo in senso stretto, ma anche le fasi successive di collaudo e

ingegnerizzazione) sia extra moenia sia intra moenia. All‟interno del DoD, la principale agenzia di

ricerca è la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), il cui obiettivo statutario è

assicurare agli Stati Uniti la superiorità tecnologica rispetto a potenziali avversari. Per le attività

extra moenia, il DoD si avvale, oltre che di una serie di centri privati non-profit, di una rete di

laboratori di ricerca a livello federale, gestiti, tra gli altri, dalla NASA (National Aeronautics and

Space Administration), l‟ente spaziale statunitense, dal dipartimento dell‟Energia (D.o.E.,

Department of Energy) o, dal 2003, dal dipartimento per la Sicurezza nazionale (D.H.S., Department

of Homeland Security). Importante è poi il ruolo delle industrie, che hanno acquisito un peso

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crescente nel finanziamento delle attività di R&S, fino a coprire i due terzi delle relative spese

(Flamm 2005).

Il forte orientamento militare della ricerca statunitense si spiega innanzitutto con la necessità che gli

Stati Uniti hanno sempre sentito di garantire il proprio primato tecnologico. Inoltre, almeno fino alla

fine degli anni „70 del XX sec., gli ingenti investimenti nella ricerca e nell‟industria militare sono

parsi pienamente giustificabili in virtù della fiducia riposta nel meccanismo di spin-off, in base al

quale si riteneva che la semplice ricaduta di conoscenze scientifiche e tecnologiche dal settore

militare a quello civile avrebbe garantito da sola la crescita dell‟economia. Tale paradigma ha

mostrato i suoi limiti già nel decennio successivo, in corrispondenza di un crescente e rapido

sviluppo della tecnologia in settori civili (elettronica, trasporti, macchine utensili) cruciali anche per

la difesa e dall‟emergere, quali leader nel settore, di imprese europee e giapponesi, a detrimento dei

concorrenti statunitensi. In questo nuovo contesto, è emersa dunque una duplice consapevolezza. Da

un lato, il riconoscimento della necessità di elaborare politiche industriali che, sfruttando le

potenzialità del settore civile, potessero favorire lo sviluppo di tecnologie civili da trasferire poi su

prodotti militari (spin-on). Dall‟altro, l‟ammissione che la diffusione delle conoscenze tecnologiche

dal settore militare a quello civile non potesse più avvenire su base automatica, ma dovesse essere il

frutto di specifici investimenti per programmi che fin dall‟inizio avessero previsto un duplice uso,

militare e civile, delle conoscenze sviluppate. In entrambi i casi, la chiave di volta era dunque

rappresentata dalle tecnologie duali.

Dopo una piccola anticipazione costituita dal programma dello Small Business Innovation Research

che, istituito nel 1982 e ancora in corso, prevede il trasferimento di tecnologie sviluppate in

laboratori militari a piccole e medie imprese statunitensi grazie a fondi del DoD, l‟amministrazione

Clinton si fece carico di delineare, nel corso degli anni Novanta, una politica ufficiale in materia di

duali. Obiettivo di tale strategia era servirsi delle caratteristiche e del modus operandi del settore

commerciale per favorire una razionalizzazione, e quindi una maggiore efficienza, del sistema di

produzione militare. Di tale sistema si lamentavano l‟eccessivo divario temporale tra la

scoperta/sviluppo di nuove tecnologie e il loro concreto utilizzo; i costi eccessivi a fronte di budget

militari più limitati; una debolezza intrinseca della base industriale della difesa dovuta soprattutto a

procedure di procurement (acquisizione dei beni) complesse e poco concorrenziali. La

collaborazione tra settore commerciale e Difesa, invece, mediante investimenti diretti nella R&D per

tecnologie duali, l‟integrazione della produzione militare e commerciale e, infine, l‟introduzione di

capacità commerciali nei sistemi militari, poteva rivelarsi la soluzione ideale. Queste politiche hanno

avuto un forte impatto sulle attività del DoD, soprattutto in termini di razionalizzazione delle attività

di ricerca, ormai dedicate sempre più spesso a tecnologie duali, e di utilizzazione di componenti

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commerciali in sistemi d‟arma. Tuttavia, l‟elevata priorità attribuita a livello federale alle politiche

duali non ha avuto largo seguito dopo l‟amministrazione Clinton. Non per questo la dipendenza del

sistema militare statunitense dalle tecnologie civili è diminuita.

La rivoluzione negli affari militari e le tecnologie duali

Nel quadro dello scenario internazionale post-bipolare delineatosi successivamente alla fine della

guerra fredda e agli attentati terroristici dell‟11 settembre 2001, la ridefinizione del nemico contro

cui combattere, come pure la crescente imprevedibilità delle sfide alla sicurezza internazionale,

hanno comportato un ampliamento dei compiti delle forze armate, rendendo necessaria una

trasformazione negli affari militari. Avviata già all‟indomani della prima guerra del Golfo nel 1991,

essa ha subito negli ultimi anni una brusca accelerazione e ha trovato piena attuazione nella recente

operazione Iraqi freedom del 2003. La Revolution in Military Affairs (RMA) consiste in un

significativo cambiamento dei concetti strategici, degli assetti militari e dell‟organizzazione stessa

delle forze armate americane, individuando nella disponibilità delle informazioni il fattore centrale

delle sfide da affrontare. Questo approccio trova la sua massima espressione nella nuova teoria del

network centric warfare, il cui scopo è trasformare il vantaggio di possedere e controllare

informazioni in uno strategico e tattico. Sotto il profilo strategico, il miglioramento del proprio

sistema di raccolta, gestione e condivisione delle informazioni consente agli Stati Uniti di ridurre

l‟indeterminatezza circa l‟origine delle minacce alla propria sicurezza, cui corrisponde, dal punto di

vista operativo, una migliore conoscenza del campo di battaglia, sempre più spesso situato in territori

rischiosi e problematici per le truppe.

Nel quadro di una guerra ormai digitalizzata, la tecnologia, e in particolare l‟IT ampiamente

sviluppata dal settore civile-commerciale, assume un ruolo determinante e il sistema militare

statunitense, intenzionato a mantenere il proprio primato, ne risulta sempre più dipendente. Se nel

passato esigenze di natura militare avevano dato un forte impulso allo sviluppo dell‟informatica (si

pensi, per es., a Internet, che, con il nome di ARPANET – Advanced Research Projects Agency

Network – fu tra i primi progetti finanziati dalla DARPA), ora il binomio risulta invertito. Esempi

principali delle attuali applicazioni duali sono dunque l‟IT, l‟elettronica, i sistemi di comunicazione

digitalizzata e integrata, quelli di navigazione satellitare e a fibra ottica e di identificazione, divenuti

indispensabili per soddisfare le cosiddette capacità C4IEW (Command, Control, Communications,

Computers, Intelligence and Electronic Warfare).

Tale tendenza sembra confermata anche dalla natura dei programmi, esplicitamente duali, finanziati

dalla DARPA nell‟anno fiscale 2009. Tra questi sono infatti inclusi sensori fotonici a banda larga,

utilizzabili sia per i sistemi wireless commerciali sia per applicazioni militari; sensori che in ambito

civile forniranno immagini ad alta definizione utili per la navigazione in auto, per la tutela

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dell‟ordine pubblico e a scopi medici, mentre, a fini militari, forniranno immagini multiscopo;

sistemi laser i quali, oltre il DoD, interesseranno il settore delle telecomunicazioni commerciali;

circuiti integrati tridimensionali, la cui applicazione duale comprende dispositivi di comunicazione

mobile, processori a segnale digitale e sistemi computerizzati integrati e ad alta definizione.

Rilevanti, infine, sono quei programmi che intendono migliorare la qualità del segnale GPS rispetto a

possibili interferenze o in condizioni di difficile utilizzazione.

Le tecnologie duali e la mancata revolution in business affairs

Una questione ancora attuale, in quanto insoluta, nel dibattito americano sulle tecnologie duali

riguarda la razionalizzazione della base industriale della difesa che, secondo i piani proposti fin dagli

anni Novanta del 20° sec. dall‟amministrazione Clinton, poteva ottenersi grazie all‟integrazione della

produzione militare e di quella commerciale. Tuttavia, le ripetute iniziative tese a favorire

l‟inclusione, tra i suppliers (fornitori) della Difesa, di nuove imprese civili hanno ottenuto un

successo limitato, incontrando l‟ostilità tanto dei tradizionali contractors (beneficiari di contratti)

della Difesa quanto delle industrie civili preoccupate per le lungaggini burocratiche tipiche del

dipartimento della Difesa. Le regole del procurement (approvvigionamento) della Difesa sono

rimaste infatti sostanzialmente immutate dai tempi della Seconda guerra mondiale. Il sistema resta

ancora caratterizzato da prezzi amministrati, derivanti da costi particolarmente alti, cicli di sviluppo

piuttosto lunghi e un mercato nazionale poco aperto e concorrenziale.

Sono numerosi invece i fattori che rendono ormai imperativo un cambiamento: in primis, il rapido e

continuo sviluppo dell‟IT che avviene quasi unicamente nel settore commerciale, escludendo di fatto,

anche in termini di budget da destinare ad attività di R&D, le industrie della difesa; in secondo

luogo, la centralità che l‟elettronica e l‟IT rivestono oggi negli affari militari e nel warfare moderno;

infine, i rischi che una produzione sempre più globalizzata di tali tecnologie duali comportano per il

vantaggio nazionale statunitense tanto nell‟ambito civile quanto in quello militare. La proposta più

valida per far fronte in maniera adeguata a tali criticità sembra quindi essere quella, già avanzata in

passato, di un‟integrazione della produzione militare e commerciale, in modo tale da sfruttare le

caratteristiche intrinseche delle tecnologie duali. I vantaggi corrisponderebbero infatti a una

riduzione, grazie alle economie di scala, dei costi fissi di industrializzazione, all‟adozione di pratiche

commerciali di controllo dei costi e all‟eliminazione di costi ulteriori derivanti dall‟applicazione di

una regolamentazione specifica per l‟acquisto di prodotti militari.

Ma quale sarà la tecnologia duale del domani? Un esempio: le nano-tecnologie.

Un settore emergente che promette importanti applicazioni duali in molteplici ambiti, anche e

soprattutto a fini di sicurezza nazionale, è quello delle nanotecnologie, di cui gli Stati Uniti sono

attualmente i leader riconosciuti a livello mondiale. Le applicazioni commerciali delle nano-scienze

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sono ancora agli albori e riguardano, al momento, applicazioni passive di prima generazione, quali

nano-particelle, catalizzatori, rivestimenti esterni e nano-composti, per prodotti cosmetici, parti di

automobili, abbigliamento e attrezzature sportive. Gli investimenti per la ricerca si rivelano dunque

fondamentali in questo stadio: secondo dati forniti dall‟Office of management and budget, la

National Nanotechnology Initiative (NNI) ha ottenuto finora, a partire dal suo lancio nel 2001,

investimenti federali pari a circa 10 miliardi di dollari, di cui 1,5 miliardi per il solo 2009. La ricerca

favorisce inoltre la convergenza delle nanotecnologie con altri settori, incluse le biotecnologie, l‟IT e

le scienze cognitive. Tali contaminazioni produrranno risultati positivi anche per il futuro utilizzo di

queste tecnologie in ambito militare, obiettivo cui si stanno dedicando le diverse agenzie di ricerca

della Difesa. Le applicazioni militari più immediate riguarderanno sicuramente i nuovi materiali, più

leggeri e resistenti di quelli attuali, utili sia per i mezzi di trasporto sia per gli equipaggiamenti dei

soldati. Nel settore dell‟elettronica, le nanotecnologie permetteranno la creazione di sensori e

computer di dimensioni sempre più ridotte utili per il miglioramento delle comunicazioni e dei

sistemi di processamento dei dati o, in un futuro più lontano, se combinati a sistemi nano-meccanici,

per la realizzazione di proiettili ad alta tecnologia. L‟impegno del governo statunitense a favore delle

nanotecnologie è stato finora notevole, ed è auspicabile che tale trend positivo continui per il futuro.

In particolare, è opinione diffusa che, come per le altre tecnologie duali, debba essere attribuito un

sempre maggiore impulso alle innovazioni commerciali e alle loro applicazioni militari, mediante

crescenti finanziamenti in R&D e un maggiore coordinamento tra le varie agenzie federali interessate

(Carafano, Gudgel 2007).

Si analizza ora il modello europeo.

Il quadro che emerge dall‟Europa in materia di R&D è sensibilmente diverso da quello statunitense.

Nonostante si produca un terzo delle conoscenze scientifiche mondiali e si siano conseguiti notevoli

risultati nei settori medico, chimico, aeronautico e delle telecomunicazioni, essa stenta a tenere il

passo con gli Stati Uniti nel tradurre tali eccellenze in servizi e prodotti innovativi («Osservatorio

strategico», 2006, suppl. n. 6). Nell‟arco dell‟ultimo decennio la spesa in R&D dell‟Europa a 27

membri è rimasta sostanzialmente immutata, sempre al di sotto della soglia del 2% del PIL e

inferiore di un punto percentuale rispetto a quella statunitense (European Commission 2008). I limiti

della ricerca europea sono vari, tra cui: la frammentazione delle competenze tra i vari Stati membri,

di ostacolo alla concentrazione delle capacità; i ridotti investimenti in R&D da parte delle industrie;

un apparato industriale hi-tech poco research-intensive e di dimensioni limitate.

La risposta dell‟Unione Europea è stata il lancio, nel 2000, di uno spazio di ricerca europeo (ERA,

European Research Area) che intende creare un terreno favorevole all‟incremento degli investimenti

europei in R&D (fino a raggiungere il 3% del PIL), rendendo così l‟Europa più competitiva. Sebbene

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positivi, i risultati raggiunti non sono finora sufficienti, esistendo ancora forti barriere nazionali a una

reale mobilità dei ricercatori e al trasferimento di conoscenze e tecnologie.

La differenza tra le politiche di ricerca europea e statunitense appare ancora più evidente

confrontando la quota dei rispettivi investimenti in ricerca militare e civile. Mentre, come si è detto,

gli Stati Uniti devolvono circa il 60% del budget a favore di ricerche per la difesa, per l‟Europa tale

proporzione risulta invertita. Con una spesa per la R&S civile pari all‟85% del budget totale,

l‟Europa sembra confermare anche in quest‟ambito il suo status di potenza civile.

Oltre ai singoli Stati membri, l‟unico soggetto deputato a promuovere, a livello sovranazionale,

attività di ricerca militari, con l‟obiettivo statutario di incrementare le capacità di difesa e sicurezza

dell‟Europa e rafforzare il suo potenziale industriale e tecnologico, è l‟Agenzia europea della difesa

(EDA, European Defence Agency), istituita nel 2004. Il budget comunitario di competenza della

Commissione, invece, finanzia esclusivamente la ricerca civile (o duale come si vedrà in seguito),

restando le decisioni in materia di difesa tra le prerogative dei singoli Stati membri.

La ricerca in materia di sicurezza

In Europa il campo della ricerca militare si è tradizionalmente mantenuto distinto da quello civile.

Tuttavia, il recente mutamento del contesto internazionale e l‟emergere di nuove minacce alla

sicurezza europea hanno reso evanescente il confine tra sicurezza e difesa, ora sempre più spesso

ridefinite in termini, rispettivamente, di sicurezza interna ed esterna. In questo nuovo quadro di

riferimento, la Commissione europea ha riconosciuto l‟esigenza di dedicare specifici investimenti

alla ricerca nel campo della sicurezza civile, coordinando così le iniziative degli Stati membri e

favorendo l‟ottimale sfruttamento delle capacità scientifiche, tecnologiche e industriali europee.

Dopo alcune azioni preparatorie a budget limitato avviate tra il 2004 e il 2006, la ricerca in tema di

sicurezza è diventata un progetto specifico del Settimo programma quadro per la ricerca e lo

sviluppo tecnologico (7PQ). Si tratta di uno stanziamento di bilancio piuttosto consistente, oltre 50

miliardi di euro, che finanzia per sette anni (2007-2013) attività di ricerca con uno specifico valore

aggiunto europeo. Esso copre diversi settori, dalla salute ai trasporti, dai prodotti alimentari alle

biotecnologie, dalle nanoscienze alle tecnologie dell‟informazione e della comunicazione, fino allo

spazio e alla sicurezza, questi ultimi con un budget specifico di 1,4 miliardi ognuno. Il Programma

europeo di ricerca in materia di sicurezza ha formalmente natura civile. Non potrebbe essere

altrimenti considerato che la Commissione non ha competenza o potere decisionale in ambito

militare. Tuttavia, di fatto, molte delle tecnologie oggetto delle ricerche finanziate dal 7PQ hanno

natura duale (si pensi, anche nel caso europeo, all‟ICT, Information and Communication Technology,

o alle tecnologie satellitari) e quindi, pur pensate per una prima applicazione di tipo civile, possono

trovare utilizzo anche a fini militari, come, per es., nelle missioni dell‟UE nel quadro della Politica

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europea di sicurezza e difesa (PESD). La sovrapposizione dei concetti di sicurezza e difesa trova

pertanto attuazione concreta nella ricerca a fini di sicurezza, che diventa l‟anello di collegamento tra

ricerca civile e militare e lo strumento con cui ottimizzare le scarse risorse a disposizione in Europa

per la difesa facendo sì che applicazioni militari possano beneficiare dei più ingenti investimenti

civili. Indicativo in tal senso è quanto avviene sul piano industriale, dove si sta colmando, di fatto, la

distanza tra ricerca civile e militare. Le principali industrie della difesa europee (EADS, Thales, BAE

Systems, Finmeccanica) partecipano infatti ai bandi del 7PQ. La dualità delle tecnologie e le sinergie

che ne derivano tra settore civile e militare, dalla fase di R&S a quelle di sperimentazione e

produzione, comportano loro un duplice vantaggio. Da un lato, le industrie, configurandosi anche

come operatori della sicurezza, allargano progressivamente la propria quota di mercato e diventano

più competitive grazie alle economie di scala. Dall‟altro, dal momento che applicazioni di sicurezza

e militari condividono, almeno per i primi livelli della scala tecnologica, la gran parte dei requisiti,

esse riescono a beneficiare dei cospicui investimenti per la ricerca civile per sviluppare tecnologie

che, in un secondo momento, potranno avere un utilizzo a scopi di difesa. Il processo di spin-off

europeo da settore civile a militare appare dunque invertito rispetto a quello degli Stati Uniti, dove,

almeno fino alla seconda metà degli anni Novanta, sono state le enormi risorse a disposizione della

ricerca militare a stimolare e trainare la ricerca civile. Nell‟ottica inversa, anche l‟EDA si è

interessata alle tecnologie duali, considerando la loro centralità per l‟integrazione delle capacità civili

e militari dell‟UE, requisito sempre più sentito nelle missioni PESD. L‟attenzione dell‟Agenzia si

rivolge in particolare alle capacità di informazione e comando, il cui equipaggiamento è spesso

condiviso da militari e civili. Tra i progetti cui l‟EDA partecipa in tal senso, spesso in stretto

coordinamento con la Commissione europea, i più rilevanti riguardano le software defined radio

(cioè collegamenti radio completamente realizzati mediante software), cui ricorrono i militari, ma

anche polizia, guardia costiera, addetti al controllo delle frontiere e al soccorso umanitario, e gli aerei

a pilotaggio remoto che, pur avendo finora un‟applicazione prevalentemente militare, sono sempre

più richiesti anche a scopo civile, per es., come supporto per un più efficace contrasto

all‟immigrazione clandestina o ai traffici illegali.

Lo spazio e le tecnologie duali

Il settore in cui le tecnologie duali trovano più frequente applicazione è lo spazio. Ciò risulta vero

tanto per gli Stati Uniti quanto per l‟Europa, sebbene i rispettivi investimenti in ambito civile e

militare non siano ancora comparabili. Tuttavia, come dimostrato dai crescenti finanziamenti

dell‟Agenzia spaziale europea (ESA, European Space Agency) e dalla previsione di un‟apposita voce

«spazio» nel 7PQ, l‟attenzione che l‟Europa sta dedicando allo sviluppo di un sistema spaziale

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comunitario è crescente. La necessità strategica di sviluppare capacità spaziali autonome è stata già

da tempo riconosciuta dalla politica spaziale europea, che ha rilevato gli effetti positivi di tale scelta

sotto il profilo sia scientifico-tecnologico (incremento degli investimenti) sia industriale (ulteriore

sviluppo dell‟industria hi-tech europea e conseguente riduzione del divario con gli Stati Uniti). Lo

spazio è inoltre un assetto decisivo anche per la PESD: pur orientate principalmente verso il civile, le

tecnologie spaziali europee si rivelano in molti casi adatte anche a un impiego militare. Ne sono la

prova i due più importanti programmi spaziali europei, Galileo e GMES (Global Monitoring for

Environment and Security). Galileo è un sistema di navigazione satellitare globale complementare (e

forse migliore) al sistema GPS americano. Presumibilmente operativo dal 2013, al di là delle

tradizionali applicazioni civili, rappresenterà un ulteriore strumento a disposizione dei decisori

europei per lanciare, e poi gestire, missioni PESD in tempi più rapidi e in maggiore autonomia, senza

necessariamente dipendere dal GPS. L‟iniziativa GMES, invece, già in parte operativa, ha lo scopo

di integrare in un‟unica struttura sovranazionale gli attuali sistemi nazionali di osservazione terrestre

e di crearne altri ex novo a livello europeo per fornire informazioni ambientali a supporto di tutte le

politiche comunitarie interessate (ambiente, agricoltura, pesca, trasporti), inclusa la PESD, nei campi

della protezione civile, dell‟aiuto umanitario e della prevenzione e gestione delle crisi.

In un settore particolarmente impegnativo dal punto di vista finanziario come quello spaziale, il

ricorso a sistemi duali costituisce un indubbio vantaggio per l‟UE. In virtù della comunanza

tecnologica tra capacità spaziali civili e militari, i costi possono essere condivisi tra più ministeri e,

applicando le economie di scala, è possibile evitare inutili duplicazioni. Tuttavia, nonostante i

vantaggi, vi è una certa riluttanza a riconoscere esplicitamente Galileo e GMES quali sistemi duali.

Essi sono infatti formalmente considerati dei programmi civili che dovranno restare sotto controllo

civile. La cooperazione con sistemi di natura non civile e l‟utilizzo a fini militari di informazioni

sensibili fornite da Galileo o da GMES non sono esclusi a priori. Essi, tuttavia, sembra dovranno

costituire un semplice supporto, senza comportare la creazione di strutture militari ufficiali parallele

o sostitutive di quella civile. Si tratta quindi di una soluzione intermedia in un campo, quello della

sicurezza/difesa, che resta caratterizzato da collaborazioni a livello intergovernativo e in cui sembra

esserci ancora poco spazio per un‟integrazione in senso sovranazionale (Alberti 2008).

Oltre a problematiche di natura politico-istituzionale, il ricorso a sistemi duali pone altri interrogativi

tecnici, relativi, per es., alla rapidità, tempestività e affidabilità dei servizi, alla condivisione delle

informazioni e alla loro protezione per evitare usi impropri da parte di terzi, e problemi finanziari,

derivanti dagli scarsi investimenti dei Paesi europei nel settore delle applicazioni spaziali e della

difesa in generale. Per il momento, tali ostacoli sembrano essere più facilmente superabili a livello

nazionale. Caso emblematico in tal senso, sempre nell‟ambito dell‟osservazione terrestre, è la

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costellazione di satelliti italiana COSMO-SkyMed, in corso di dispiegamento e in futuro integrabile

nel GMES. La peculiarità del sistema, concepito, finanziato e realizzato dall‟Agenzia spaziale

italiana (ASI) e dal Ministero della Difesa, è la sua natura esplicitamente duale. Ciò significa che

esso fin dall‟inizio si è rivolto a una duplice categoria di utenti finali: civili e militari. Al fine di

risolvere alcune delle problematiche generalmente poste dai sistemi duali, sono stati adottati alcuni

accorgimenti tecnici. La copertura globale, per es., avviene mediante radar (e non con il sistema

ottico solitamente usato), consentendo di operare in qualsiasi condizione atmosferica e fornendo

immagini ad alta definizione e di qualità superiore, con tempi rapidi di rivista, risposta, ordinazione

dei dati e consegna agli utenti. Inoltre, il nodo della modalità di distribuzione delle informazioni è

stato sciolto predisponendo, in base a regole precedentemente concordate dagli utenti finali, due

canali di diffusione dei dati, con differenti livelli di sicurezza, in base alle informazioni che si

ricevono e il loro successivo utilizzo.

Un sguardo, infine, va rivolto alla regolamentazione delle esportazioni di beni e tecnologie duali.

Il tema del controllo della tecnologia duale ha cominciato a imporsi nel dibattito politico con l‟inizio

della guerra fredda e con la conseguente necessità di impedire che tecnologie aventi possibili

applicazioni militari cadessero in mano all‟avversario sovietico.

In campo occidentale il controllo del commercio di beni duali era coordinato, insieme a quello delle

esportazioni di armamenti, dal CoCom (Coordinating Committe for multilateral export control),

creato nel 1949. Il CoCom includeva tutti i Paesi NATO (North Atlantic Treaty Organization),

tranne l‟Islanda ma con Giappone e Australia, e operava sulla base del principio del consenso, dando

in pratica a ogni membro il diritto di veto sull‟esportazione di un determinato bene da parte di ogni

altro membro.

Alla fine della guerra fredda i membri del CoCom decisero di rimpiazzare il Comitato con un

accordo meno restrittivo, che lasciasse ai singoli membri la responsabilità di determinare quali beni

esportare e che non fosse diretto contro alcun Paese (un accordo quindi il più possibile inclusivo).

L‟Accordo di Wassenaar (WA, Wassenaar Arrangement), successore del CoCom, è stato negoziato

tra il 1994 e il 1996 ed è entrato in vigore nel novembre di quest‟ultimo anno. Vi partecipano 40

Stati, tra i quali la maggior parte dei Paesi europei, gli Stati Uniti e la Federazione Russa (non la

Cina). Esso costituisce oggi il principale strumento di controllo delle esportazioni, sia di armi

convenzionali sia di beni e tecnologie duali. Questi ultimi sono elencati in una lista che viene

aggiornata periodicamente e divisi nelle seguenti categorie: materiali avanzati, sistemi di produzione,

elettronica, computer, telecomunicazioni, strumenti di protezione delle informazioni, sensori e laser,

strumenti di navigazione e avionica, beni e materiali legati alla marina e alla navigazione, sistemi di

propulsione.

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Le norme di Wassenaar impegnano gli Stati partecipanti a controllare le esportazioni o i trasferimenti

dei beni contenuti nella lista; gli Stati sono tuttavia liberi di autorizzare o meno l‟esportazione dei

beni controllati, anche nel caso in cui per un determinato prodotto essa sia già stata negata da un altro

Stato partecipante. Due volte l‟anno gli Stati aderenti riportano tutte le autorizzazioni negate o

rilasciate per l‟esportazione dei beni controllati. Nel caso di prodotti particolarmente sensibili

(elencati in due appositi annessi) la notifica deve avvenire entro due mesi.

Nel corso della guerra fredda, la comunità internazionale (includendo in questo termine Paesi sia

occidentali sia del blocco comunista) aveva elaborato altri regimi di controllo delle esportazioni di

beni duali per contrastare la proliferazione di armi di distruzione di massa. Tali regimi erano destinati

al controllo di tecnologie legate a campi di applicazione specifici. Tra i più importanti vanno

ricordati il Missile technology control regime (MTCR, per il controllo della tecnologia missilistica),

il Nuclear supplier group (NSG, per il controllo di materiali nucleari) e l‟Australia group (AG, per il

controllo di materiali e componenti chimici e biologici). Questi tre regimi hanno in comune il

carattere informale; non si tratta di organizzazioni sovranazionali con il potere di determinare il

comportamento degli Stati membri, ma sono piuttosto forum in seno ai quali gli Stati partecipanti si

impegnano a seguire determinate linee guida nelle esportazioni di beni duali, elencati in apposite

liste di controllo. L‟MTCR è un‟associazione informale, nata nel 1987, composta da 34 Stati che

condividono l‟obiettivo della non proliferazione di sistemi di lancio di armi di distruzione di massa,

primariamente missilistici. Gli Stati membri si impegnano a vigilare sui trasferimenti di missili,

equipaggiamenti missilistici, materiali e tecnologie (incluse quindi tecnologie duali) che possano

essere usati per il lancio di armi di distruzione di massa. La lista MTCR include sistemi missilistici,

razzi e meccanismi di lancio satellitare, ma anche aerei senza pilota, componenti per la realizzazione

e la produzione di tali sistemi e meccanismi di guida (in gran parte, quindi, beni duali).

L‟AG (dal nome del Paese promotore) è un forum informale, nato nel 1985, che ha l‟obiettivo di

impedire la diffusione incontrollata di materiali che possano contribuire alla proliferazione di armi

chimiche o biologiche. Al pari degli altri regimi, anche questo accordo si è dato delle linee guida che

impegnano i partecipanti a vietare i trasferimenti di determinate sostanze chimiche o biologiche a

Paesi importatori che presentino fondati rischi di proliferazione. I controlli sono estesi anche a

materiali di laboratorio, equipaggiamenti e tecnologie legati alla chimica o alla biologia (beni,

quindi, principalmente duali).

L‟SNG, nato a metà degli anni Settanta, si propone di favorire il commercio di tecnologie, materiali

e attrezzature nucleari impedendo però che questi possano essere utilizzati per scopi militari. I

prodotti controllati includono non solo materiali nucleari, ma anche materiali per la costruzione di

reattori, equipaggiamento per il riprocessamento e l‟arricchimento di materiali nucleari e tecnologie

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associate. Nel 1991 l‟NSG ha aggiunto all‟originaria serie di linee guida una seconda serie dedicata

esplicitamente ed esclusivamente a beni duali connessi al nucleare; ossia beni che possano

contribuire alla costituzione di un ciclo nucleare o ad attività di proliferazione ma avere anche altri

utilizzi (per es., nell‟industria). Tuttavia, beni e tecnologie duali in campo nucleare mettono a dura

prova i regimi di controllo delle esportazioni e di non proliferazione. I casi della Repubblica

democratica popolare di Corea e dell‟Irān sono emblematici, poiché questi Paesi sono stati

comunque in grado di sviluppare programmi segreti di arricchimento dell‟uranio, pur essendo

firmatari del Treaty of the non-proliferation of nuclear weapons (noto come Non-proliferation treaty,

NPT, firmato nel 1968, entrato in vigore nel 1970 e poi rinnovato nel 1995). Il Trattato sancisce il

diritto all‟utilizzo dell‟energia nucleare per scopi civili e permette, quindi, l‟acquisto di tecnologie

che possono consentire lo sviluppo di programmi militari segreti. Il carattere duale dei beni nucleari

costituisce, di conseguenza, un serio impedimento per i regimi di non proliferazione.

Va anche sottolineata l‟oggettiva difficoltà di controllare le esportazioni di beni duali in generale. A

volte è l‟utilizzo combinato di diverse tecnologie non duali che ne rende possibile lo sfruttamento per

scopi militari: tale genere di dualità latente non può evidentemente essere sottoposto a controllo.

Inoltre, lo sviluppo tecnologico sempre più rapido complica l‟aggiornamento continuo delle liste di

controllo dei regimi multilaterali. A ciò occorre aggiungere che la redazione delle liste e le procedure

burocratiche per il rilascio delle autorizzazioni devono tenere conto degli interessi di chi produce e

mette in vendita in modo legittimo beni duali, e non possono perciò divenire eccessivamente

restrittive. Un altro punto debole dei regimi di controllo delle esportazioni risiede nel loro carattere

informale. Il rispetto dell‟accordo e delle linee guida, nonché l‟interpretazione delle stesse, viene

lasciato agli Stati membri: è possibile infatti che uno Stato rilasci autorizzazioni per l‟esportazione di

beni negate in precedenza da altri Paesi. Non esiste alcuna istituzione sovranazionale che abbia il

compito di verificare l‟effettiva applicazione degli accordi, così come alcun meccanismo

sanzionatorio nei confronti di eventuali violazioni da parte degli Stati partecipanti. Regole più

restrittive non avrebbero raccolto l‟assenso di un numero abbastanza elevato di Stati e avrebbero

probabilmente determinato il fallimento delle iniziative.

A livello europeo, ogni Paese membro dell‟UE ha introdotto nella propria legislazione delle leggi

finalizzate a regolare esportazioni di beni duali in base agli obblighi assunti con la partecipazione ai

vari regimi internazionali. Per uniformare i regolamenti dei vari Stati membri, l‟UE ha ritenuto di

emanare il regolamento n. 1334/2000, concernente nuove disposizioni in materia di controllo delle

esportazioni dei prodotti dual-use. La regolamentazione è stata successivamente emendata con il

regolamento n. 1167/2008, che assume le modifiche delle liste di beni duali effettuate dal WA,

dall‟MTCR e dall‟AG. La lista europea delle dualità sottoposte al regime comunitario è costituita

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dall‟accorpamento delle liste relative ai suddetti accordi e dai beni soggetti all‟SNG e alla

Convenzione sulle armi chimiche (CWC, Chemical Weapons Convention, firmata nel 1993). La

provenienza di ogni bene elencato dalla rispettiva lista è infatti esplicitamente richiamata dal codice

assegnatogli. La lista europea è composta da dieci categorie, ognuna delle quali è a sua volta

composta da 5 sottocategorie: prodotti, macchinari per la costruzione, materiali, software, tecnologie.

La regolamentazione non è però applicabile per i trasferimenti di beni duali all‟interno dell‟UE. La

circolazione di tali beni entro i confini dell‟Unione è infatti liberalizzata in base al principio del

libero mercato comunitario, con alcune eccezioni per beni duali particolarmente sensibili che

richiedono un‟autorizzazione all‟esportazione (per il loro valore di proliferazione e/o per il loro

altissimo contenuto tecnologico). Tali beni sono elencati in una breve lista che comprende tecnologie

stealth (materiali disegnati per assorbire onde elettromagnetiche, per ridurre la riflessività radar o la

firma radar di un oggetto), particolari componenti di sistemi missilistici, crittografici, alcune sostanze

chimiche (ricin, saxotoxin) e speciali materiali fissili (uranio arricchito, plutonio).

La richiesta di autorizzazione al trasferimento di beni duali in ambito comunitario può anche essere

effettuata da uno Stato membro qualora la destinazione finale del bene sia fuori dall‟Europa. Per

l‟esportazione al di fuori del continente, il regolamento prevede quattro differenti tipi di

autorizzazioni. La prima, l‟unica realmente comunitaria, è la community general export authorisation

e copre la maggior parte delle esportazioni di beni duali verso Stati Uniti, Canada, Giappone,

Australia, Nuova Zelanda, Svizzera e Norvegia, Stati che hanno stretti legami con l‟UE e i cui

controlli di sicurezza sono ritenuti efficienti e sicuri. Per le esportazioni verso altri Paesi è richiesta

un‟autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali. La global authorisation è garantita a un singolo

produttore per esportare un particolare bene in determinati Paesi. Una individual licence è concessa a

un produttore per l‟esportazione a un determinato cliente. Austria, Francia, Germania, Grecia, Italia,

Svezia, Norvegia, Paesi Bassi e Gran Bretagna prevedono inoltre la possibilità di rilasciare

un‟autorizzazione generale nazionale (national general export authorisation). Gli Stati europei

svolgono quindi un importante ruolo nella concessione delle licenze, nella redazione di leggi per

l‟esportazione (che devono comunque rientrare nelle linee guida comunitarie), nella gestione delle

procedure burocratiche e anche nella comminazione delle sanzioni da applicare in caso di violazione

delle normative. Una tale condivisione di competenze e poteri tra UE e Stati membri si spiega con la

riluttanza degli Stati a lasciare alle istituzioni comunitarie la competenza su un‟area così delicata e

strategicamente importante, come quella delle esportazioni di beni duali.

La regolamentazione negli Stati Uniti

La regolamentazione delle esportazioni di beni duali dagli Stati Uniti è regolata dall‟Export

administration act (EAA) del 1979, che costituisce il quadro di riferimento delle Export

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administration regulations. Dopo il 1989 tali regolamenti hanno conosciuto un certo rilassamento,

ma la sostanza del sistema di controllo non è cambiata, e i regolamenti statunitensi per l‟esportazione

di beni duali continuano a rimanere complessivamente più restrittivi rispetto a quelli europei. Il

sistema statunitense prevede una commercial control list dei beni duali in cui rientrano tutti i beni e

materiali compresi nelle liste dei regimi multinazionali di cui gli Stati Uniti sono parte (inclusi WA,

MTCR, NSG e AG). Inoltre la lista statunitense comprende beni che il governo intende tenere sotto

controllo sulla base di tre principali criteri. I beni possono essere inseriti nella lista per ragioni legate

alla sicurezza nazionale (se si tratta di beni la cui esportazione potrebbe contribuire al miglioramento

delle capacità militari di Paesi ostili o non alleati), o per motivi legati alla politica estera (le

esportazioni possono essere vietate se ciò serve a promuovere obiettivi di politica estera o per aderire

agli obblighi internazionali), oppure, infine, se l‟esportazione del bene viene giudicata dannosa per

l‟economia nazionale (criterio inserito negli anni Cinquanta del 20° sec., in un periodo di scarsità di

alcuni materiali, ma ormai desueto e considerato raramente).

La procedura per richiedere una licenza di esportazione di beni duali prevede un esame della

richiesta da parte del dipartimento del Commercio. Il processo di richiesta per le licenze è gestito

dall‟apposito Bureau of industry and security. Tuttavia, è possibile che la competenza per l‟esame

della licenza sia del dipartimento di Stato, del dipartimento della Difesa o di quello dell‟Energia, a

seconda della ragione per la quale il bene è stato inserito nella lista. Nel complesso, il sistema è

giudicato come estremamente lento e macchinoso. Per di più, critiche sono state anche mosse

all‟ampiezza dei criteri della lista, che, secondo molti, finisce per danneggiare inutilmente i

produttori statunitensi.

Le attuali regole per l‟esportazione sono al centro di un acceso dibattito, strutturato essenzialmente

attorno a due posizioni: di coloro che vorrebbero liberalizzare maggiormente le esportazioni e di

coloro che ritengono un‟ulteriore liberalizzazione dannosa per la sicurezza nazionale. La

macchinosità e la lentezza delle procedure costituiscono uno dei principali argomenti dei sostenitori

di una maggiore liberalizzazione, i quali ritengono che l‟eccesso di burocrazia finisca per

danneggiare l‟industria nazionale nel suo complesso. Anche il mantenimento di un‟industria forte e

competitiva, si può notare, costituisce un interesse nazionale di sicurezza, in quanto consente agli

Stati Uniti di mantenere un vantaggio strategico nella creazione di nuove tecnologie da utilizzare

anche per scopi di sicurezza e difesa. Infine, diversi osservatori sottolineano l‟inutilità di avere rigidi

controlli su beni che possono essere acquistati liberamente in altri mercati (per es., su quello europeo

o russo). Al momento, sembra che tali preoccupazioni siano più forti degli argomenti a favore di una

regolamentazione più severa. È possibile, quindi, che si determini un graduale rilassamento dei

regolamenti statunitensi.

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In conclusione, l‟ambito delle tecnologie duali si presenta come un dinamico intreccio di interessi

politici ed economici talora divergenti e la cui sintesi risulta difficile, poiché esse rappresentano allo

stesso tempo un‟opportunità e una minaccia. Gli sviluppi in settori tecnologici duali quali le

nanotecnologie, le biotecnologie, i nuovi materiali, i sensori, lo spazio, le fonti energetiche, l‟IT,

costituiscono un campo d‟innovazione irrinunciabile per il mantenimento della crescita economica

globale e della sicurezza delle società occidentali. Sia il modello statunitense sia quello europeo, pur

partendo da premesse diverse e in qualche misura opposte, mirano allo stesso risultato, ovvero una

posizione avanzata nell‟ambito delle tecnologie duali, che consenta loro di impiegare al meglio

risorse sempre più scarse e conservare, quindi, un vantaggio competitivo economico e strategico

rispetto ai potenziali concorrenti.

Il superamento tecnologico di Paesi terzi non sembra realistico nel breve e medio periodo, ma non si

deve dimenticare come i processi di sviluppo non sempre siano lineari e prevedibili. Soltanto il

presidio costante delle aree di ricerca più promettenti permette di evitare capovolgimenti nella

gerarchia dello sviluppo tecnologico. Vi sono, tuttavia, le avvisaglie di un rapido avvicinamento da

parte di attori sinora meno avanzati, in particolare in area asiatica, grazie ai forti investimenti cinesi e

indiani; la più ampia diffusione delle tecnologie duali, tipica della loro natura, favorisce questo

meccanismo di rapido catch-up. Inoltre, la natura mista pubblico-privata delle soluzioni tecnologiche

consente anche a Paesi relativamente piccoli, in cui però sono presenti grandi capacità intellettuali, di

svilupparsi rapidamente, e un discorso analogo vale per attori di tipo non statuale, siano essi grandi

imprese multinazionali e associazioni o, nel caso più pernicioso, gruppi criminali o terroristici.

Si pongono, pertanto, dei problemi per quanto riguarda gli equilibri di potere internazionali, che

vengono a essere sempre più influenzati dalle capacità di sviluppo delle tecnologie duali e dalle

implicazioni del trasferimento di tali tecnologie verso terzi. Gli attuali regimi di controllo, pensati in

un periodo di relazioni internazionali bipolari o multipolari, risultano sempre meno soddisfacenti,

inadatti a un mondo non polare a potenza diffusa. Gli aspetti regolamentari assumono, dunque, una

rilevanza almeno pari a quella dell‟allocazione di risorse pubbliche nel settore. Le tecnologie duali

sono allo stesso tempo un fattore di crescita della sicurezza e di potenziale minaccia alla stessa. Sta

alla politica internazionale regolare, per quanto possibile, questo fenomeno di primaria importanza

per l‟avvenire delle nostre società.

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3. Introduzione agli strumenti fiscali e finanziari a supporto della ricerca, sviluppo ed

innovazione

Sul piano delle politiche nazionali devono essere poste al centro dell‟azione delle autorità

governative il rafforzamento degli investimenti nella ricerca, sviluppo ed innovazione a 360 gradi,

per affrontare e vincere la competizione globale, attraverso:

• l'introduzione di una misura stabile ed automatica di agevolazione fiscale (anche nella forma del

credito d‟imposta) per gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo; ad oggi è usufruibile solo

dalle PMI e che andrebbe esteso alle grandi industrie

• una strategia moderna e coerente con Horizon 2020 di ricerca e sviluppo per le imprese ed una

strategia per l‟utilizzo dei Fondi Strutturali

• la definizione di un meccanismo di garanzia pubblica per favorire la partecipazione del sistema

finanziario (esempio BEI) al finanziamento di grandi progetti di innovazione industriale realizzati da

filiere o reti di imprese;

a. l'introduzione di una misura stabile ed automatica di agevolazione fiscale (anche nella

forma del credito d’imposta) per gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo

Gli incentivi fiscali per la R&S, che mirano a ridurre il costo marginale delle attività R&D, sono

spesso considerati strumenti migliori rispetto agli aiuti diretti (OCSE, 2012). Questi dispositivi

incoraggiano gli investimenti privati in R&S, stimolando la creazione di imprese di R&S e

permettendo di attirare centri di ricerca di aziende straniere. Il rapporto dell‟AFII2 sottolinea in

particolare l‟importanza del credito d‟imposta per la ricerca. Le norme che conferiscono benefici

fiscali specifici agli eroganti sono contenute nella Legge 21 febbraio 2014, n. 9 (GU Serie Generale

n.43 del 21-2-2014) “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 dicembre 2013,

n. 145, recante interventi urgenti di avvio del piano «Destinazione Italia», per il contenimento delle

tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l‟internazionalizzazione, lo

sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonche‟ misure per la realizzazione di opere pubbliche

ed EXPO 2015. (14G00023)”

Si analizza ora nel dettaglio l‟art.3 della succitata legge :

Credito d'imposta per attivita' di ricerca e sviluppo

A valere sulla proposta nazionale relativa alla prossima programmazione 2014-2020 dei fondi

strutturali comunitari, previa verifica della coerenza con le linee di intervento in essa previste ed a

2 Agenzia francese per gli investimenti internazionali

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seguito dell'approvazione della Commissione europea, (ovvero a valere sulla collegata

pianificazione degli interventi nazionali finanziati dal Fondo per lo sviluppo e la coesione e dal

Fondo di rotazione di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183) è disposta l'istituzione di

un credito di imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo, nel limite

massimo complessivo di euro 600 milioni per il triennio 2014-2016, le cui modalità operative e la

cui decorrenza sono definite, nell'ambito del programma operativo di riferimento o della predetta

pianificazione degli interventi a finanziamento nazionale, con decreto del Ministro dello sviluppo

economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi del comma 12.

Il credito d'imposta di cui all‟art.3 è riconosciuto, fino ad un importo massimo annuale di euro

2.500.000 per ciascun beneficiario e nel limite complessivo di spesa delle risorse individuate per

ciascun anno a tutte le imprese aventi un fatturato annuo inferiore a 500 milioni di euro,

indipendentemente dalla forma giuridica, dal settore economico in cui operano, nonchè dal regime

contabile adottato, nella misura del 50% degli incrementi annuali di spesa nelle attività di ricerca

e sviluppo, registrati in ciascuno dei periodi d'imposta e fino alla chiusura del periodo di imposta in

corso al 31 dicembre 2016, a condizione che siano sostenute spese per attività di ricerca e sviluppo

almeno pari a euro 50.000 in ciascuno dei suddetti periodi di imposta. Sono destinatari del credito

d'imposta anche i consorzi e le reti di impresa che effettuano le attività di ricerca, sviluppo e

innovazione. In questi casi, l'agevolazione e' ripartita secondo criteri proporzionali, che tengono

conto della partecipazione di ciascuna impresa alle spese stesse.

Sono ammissibili al credito d'imposta le seguenti attività di ricerca e sviluppo, inclusa la creazione di

nuovi brevetti :

a) lavori sperimentali o teorici svolti aventi quale principale finalita' l'acquisizione di nuove

conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili, senza che siano previste

applicazioni o utilizzazioni pratiche dirette ;

b) ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per

mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi o permettere un miglioramento dei prodotti,

processi o servizi esistenti ovvero la creazione di componenti di sistemi complessi, necessaria

per la ricerca industriale ;

c) acquisizione, combinazione, strutturazione e utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di

natura scientifica, tecnologica e commerciale allo scopo di produrre piani, progetti o disegni per

prodotti, processi o servizi nuovi, modificati o migliorati. Può trattarsi anche di altre attivita'

destinate alla definizione concettuale, alla pianificazione e alla documentazione concernenti nuovi

prodotti, processi e servizi ; tali attività possono comprendere l'elaborazione di progetti, disegni,

piani e altra documentazione, purchè non siano destinati a uso commerciale ; realizzazione di

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prototipi utilizzabili per scopi commerciali e di progetti pilota destinati a esperimenti tecnologici o

commerciali,quando il prototipo è necessariamente il prodotto commerciale finale e il suo costo di

fabbricazione e' troppo elevato per poterlo usare soltanto a fini di dimostrazione e di convalida.

L'eventuale, ulteriore sfruttamento di progetti dimostrativi o di progetti pilota a scopo commerciale

comporta la deduzione dei redditi così generati dai costi ammissibili ;

d) produzione e collaudo di prodotti, processi e servizi, a condizione che non siano impiegati

o trasformati in vista di applicazioni industriali o per finalità commerciali.

Non si considerano attività di ricerca e sviluppo le modifiche ordinarie o periodiche apportate a

prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre operazioni in corso,

anche quando tali modifiche rappresentino miglioramenti.

Ai fini della determinazione del credito d'imposta sono ammissibili le spese relative a:

a) personale impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo;

b) quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e

attrezzature di laboratorio ;

c) costi della ricerca svolta in collaborazione con le università e gli organismi di ricerca quella

contrattuale, le competenze tecniche e i brevetti, acquisiti o ottenuti in licenza da fonti esterne.

a1) Confronto con gli altri Paesi

Il principale risultato che emerge dal benchmarking, realizzato dal Nucleo Ricerca ed

Innovazione e dal Centro Studi di Confindustria, è la conferma della necessità comune a tutti i

paesi dell‟Unione Europea di migliorare radicalmente il mix di strumenti a supporto della R&I

delle imprese. Altrimenti sarà molto difficile raggiungere il traguardo di una spesa in Ricerca

pari al 3% di Pil. L‟analisi permette di enucleare quattro modelli principali:

Il primo modello che può definirsi, Automatismi e programmi strategici, a cui si ispira il

Canada, con una forte enfasi sugli incentivi fiscali con entità di sgravio tra le più alte nel

panorama mondiale. Un ruolo centrale è anche svolto dai programmi strategici congiunti

tra imprese ed università

Francia, Inghilterra e Spagna rientrano invece nel Nuovo modello Europeo caratterizzato

da un crescente peso degli incentivi fiscali uniti a finanziamenti diretti, sia in conto capitale

che in credito agevolato. Molto strutturato è il sostegno alle nuove imprese high tech, sia

con interventi di natura fiscale e logistica, nonché contribuendo allo sviluppo di un sistema

di venture capital efficace ed articolato.

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Gestione diretta e pianificazione sono invece i perni del sistema di agevolazioni pubbliche

alla R&I delle imprese operativo in Italia e Germania, e che si fonda prevalentemente su

finanziamenti diretti alle imprese, in conto capitale e finanziamento agevolato.

Stati Uniti, Finlandia e Svezia ben sintetizzano il modello basato su Domanda pubblica e

mercato concentrando la loro politica di supporto sulla collaborazione tra ricerca pubblica

ed imprese. Un ruolo decisivo è svolto, in particolare negli Stati Uniti, dalle Agenzie

pubbliche che agiscono come principali acquirenti dei risultati della ricerca. Molto

sviluppato è in entrambi i paesi il sistema di venture capital.

L‟analisi fa emergere quattro modelli:

Il primo è rappresentato da un ampio utilizzo di incentivi fiscali di tipo automatico.

Questi strumenti, come descritto in dettaglio nelle schede paese, garantiscono facilità e

trasparenza nelle procedure, certezza nel finanziamento.. Importante è che queste misure siano

operative per un periodo medio lungo (almeno 10 anni), solo con una tale prospettiva si potrà

influire sulle decisioni di investimento in R&I delle imprese, essendo questi investimenti per

loro natura di medio lungo periodo.

Il secondo riguarda la previsione di pochi programmi strategici (massimo 10) su cui concentrare le

risorse da veicolare come contributo in contro capitale e finanziamento agevolato assegnati con

bando. La scelta dei temi strategici deve essere fatta in base alle priorità del paese e alle tecnologie

abilitanti. In questo ambito si inseriscono considerazioni di sostegno ai cluster tecnologici il cui

sviluppo può avere effetto volano sull‟aumento complessivo del livello di R&I, ma anche le

tecnologie duali per la loro strategicità.

Il terzo riguarda la promozione della collaborazione fra sistema della ricerca pubblico e sistema

delle imprese. Come si è visto nei modelli esaminati diverse possono essere le strade che permettono

l‟innescarsi di un circolo virtuoso ad esempio la previsione di incentivi fiscali alle imprese per le

commesse alle università o agli enti pubblici.

Il quarto è un sistema di agevolazione dirette ed indirette mirato a favorire la nascita e l’attività

di nuove imprese high tech, seguendo il modello francese (es. l‟esenzione dagli oneri sociali per

tutti gli addetti alla ricerca per un periodo di 8 anni dalla creazione dell‟impresa; l‟esenzione per tutto

il personale delle start-up per un periodo di 3 anni dalla loro creazione) oppure agevolare l‟impegno

di capitale privato nei fondi di seed e venture capital diretto alle nuove imprese high tech (es. Regno

Unito, Stati Uniti e Svezia).

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CANADA

Automatismi e collaborazione. Il sistema canadese coinvolge una pluralità di attori di diversa natura, tra i

quali il Governo Federale, i singoli Stati e le Agenzie Federali. Il principale strumento di incentivazione del

Governo Federale è rappresentato dal credito di imposta diretto alle imprese che sostengono spese in ricerca.

L‟entità dello sgravio fiscale offerto è tra i più alti sul panorama mondiale; ai singoli Stati della

Confederazione è concessa la possibilità di attuare misure analoghe a livello locale e la misura globale può

concedere benefici superiori al 50%. Un ruolo fondamentale è svolto dalle Agenzie Federali e dalle

Università; un meccanismo di mathcing-fund garantisce la solidità del rapporto di queste ultime e le imprese.

FINLANDIA

Coordinamento e misure dirette. la crescita vertiginosa della spesa in Ricerca della Finlandia

nell‟ultimo decennio è stata determinata da una precisa scelta strategica: favorire una collaborazione

stabile ed efficace tra impresa ed Università attraverso la realizzazione di programmi di ricerca

congiunti, in parte finanziati dallo Stato. Uno dei punti di forza del successo del modello deriva

dall‟ampia disponibilità di risorse con competenze scientifiche elevate, motivate all‟impiego nella

ricerca; infatti la Finlandia si distingue per essere la nazione, a livello OCSE, che vanta il maggior

numero di personale qualificato di ricerca in rapporto alla forza lavoro attiva (2%). L‟obiettivo viene

perseguito anche grazie ad una serie di misure di corollario, volte a sostenere lo sviluppo dei network

ed a garantire l‟accesso agli opportuni strumenti finanziari alle neo imprese high tech. Un‟altra fetta

consistente del finanziamento pubblico è rivolto ai progetti di ricerca delle imprese, segmentando

opportunamente l‟intensità e la tipologia di misura in base al ciclo di vita dell‟impresa ed alla

dimensione.

FRANCIA

Coordinamento e specializzazione. Il sistema francese ha tre punti cardine: lo sviluppo di progetti nei

settori strategici, la collaborazione tra imprese ed università, il sostegno alle PMI ed alle nuove realtà

high-tech. I mezzi attuativi prevedono meccanismi di incentivazione automatici e finanziamenti

diretti, proficuamente amministrati dai Ministeri di competenza a dall‟Agenzia francese per

l‟Innovazione (ANVAR), la quale ricopre inoltre un ruolo chiave nel coordinamento delle iniziative

nazionali con i programmi regionali. L‟attenzione verso le attività di ricerca è testimoniata da un

favorevole sistema di incentivi fiscali, in questo ambito il credito di imposta rappresenta lo strumento

più consistente, mentre i benefici rivolti alle giovani imprese innovative si contraddistinguono, nel

panorama internazionale, per intensità e durata.

GERMANIA

Finanziamenti diretti alle imprese. La strategia tedesca è concentrata sui contributi diretti alle

imprese e sulla costituzione di infrastrutture per l‟innovazione, non sono presenti incentivi di

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carattere fiscale. Negli ultimi anni, la Germania ha intensificato l‟attenzione agli scambi fra

l‟università e l‟industria e i finanziamenti alle start-ups high tech attraverso una serie di programmi

governativi Ad oggi la maggior parte delle attività di ricerca è svolto dalle imprese,le quali,

soprattutto le PMI, godono di un supporto finanziario consistente. La maggior parte dei

finanziamenti prevede un cofinanziamento da parte del richiedente. Il settore del venture capital sta

registrando negli ultimi anni un notevole sviluppo.

REGNO UNITO

Mercato del capitale di rischio ed incentivi all‟autofinanziamento. Le agevolazioni fiscali

costituiscono la misura di supporto più rilevante a beneficio delle imprese, a queste si affiancano le

sovvenzioni finanziarie, e strumenti specifici per le imprese in fase di start-up; a favore di queste

ultime e delle PMI sono rimarchevoli le misure che facilitano l‟accesso al credito. In termini di

agevolazioni fiscali, il Governo ha realizzato un incremento della deducibilità delle spese in R&S,

elevandole fino al 125% per le Grandi Imprese ed al 150% per le PMI. Nel Regno Unito è

ampiamente diffuso e consolidato il Venture Capital a sostegno delle imprese, rappresentando una

delle realtà con maggior disponibilità di capitale nel panorama europeo.

SPAGNA

Impiego di best-practices. La Spagna ha progressivamente introdotto nel proprio sistema una serie di

misure che hanno favorito l‟aumento della competitività di altri paesi, dalle agevolazioni fiscali al

supporto alla finanza innovativa. Per il sostegno della R&S il governo spagnolo adotta storicamente

forme di finanziamento diretto, fra le quali prevalgono i crediti agevolati rispetto ai contributi a

fondo perduto, ma recentemente ha introdotto delle misure di agevolazione fiscale, fra le quali

spicca il credito d‟imposta per la ricerca e l‟innovazione, il quale può arrivare fino al 50% delle spese

sostenute. Le aliquote previste per il credito sono fra le più alte in Europa.

STATI UNITI D’AMERICA

Strategia globale – Nonostante la presenza ventennale di un credito di imposta, il sistema è trainato

principalmente dalla domanda pubblica. Il compito di determinare i principali programmi di lungo

termine è demandato alle Agenzie Federali, le quali, operando nel rispetto del quadro normativo

federale, amministrano con ampia autonomia i fondi pubblici destinati alla ricerca. Strumenti di

finanziamento e cooperazione sono le principali forme di finanziamento, ovvero le Agenzie svolgono

il ruolo di committente per le attività di ricerca ed attraverso modalità pubbliche di assegnazione

dell‟incarico, lo affidano e si impegnano ad acquisire i risultati conseguiti. Altra caratteristica

peculiare del sistema statunitense è la presenza di venture capital diffusa e consolidata, fortemente

animata da un consistente flusso di capitale privato, oltre che da una onnipresente partecipazione

pubblica.

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SVEZIA

Università ed imprese. Il modello svedese è caratterizzato da un personale altamente qualificato e da

una collaborazione attiva fra le università e le imprese. Il governo punta soprattutto sullo sviluppo

del livello di competenza delle università, specialmente nelle aree di interesse delle imprese. Gli

investimenti del settore privato nella R&S sono notevoli, mentre gli incentivi pubblici per la ricerca

condotta nelle imprese sono estremamente limitati .I programmi di finanziamento diretto alle

imprese prevedono prevalentemente prestiti agevolati che vengono restituiti quando l‟impresa inizia

a realizzare profitti. Non esistono incentivi fiscali per le attività di R&S. Le priorità del piano 2004

sono: la qualità di ricerca, l‟innovazione nelle PMI e il miglioramento delle competenze.

2) Piano Nazionale Ricerca Militare

I programmi di ricerca tecnologica, coordinati dal V Reparto del SGD/DNA (che ne affida poi la

gestione contrattuale alle Direzioni Generali ed Enti Tecnici competenti per materia, ovvero alle

Agenzie internazionali nel cui ambito si sviluppa la cooperazione), hanno per obiettivo la crescita e

la maturazione delle tecnologie necessarie ad assicurare la fattibilità dei futuri programmi di sviluppo

di materiali d'armamento, sia in ambito nazionale che in chiave di cooperazione internazionale.

Una caratteristica comune a molte delle tecnologie che rientrano nell'area d'interesse del V Reparto è

la dualità, vale a dire la possibilità di applicazione sia in campo civile che militare. Dualità che

sempre più spesso, date la natura dei soggetti coinvolti nella ricerca (Università, Industria) e le

dimensioni enormemente superiori del mercato civile (che consentono investimenti ben più elevati

anche nella ricerca), oggi è all'origine di una "ricaduta" in senso opposto a quello tradizionale,

ovvero dalle applicazioni civili a quelle militari.

Le stesse sinergie di cui è possibile beneficiare sul piano produttivo e applicativo possono essere

sfruttate anche a monte, coordinando ed ottimizzando sin dalla fase di studio e ricerca l'impiego delle

risorse civili e militari per attività finalizzate ad obiettivi complementari e condivisi. In parallelo,

un'azione va sviluppata anche per sensibilizzare gli organi istituzionali circa l'importanza della

ricerca, al fine di assicurare l'assegnazione di risorse adeguate.

In ambito nazionale questo obiettivo generale viene perseguito attraverso il monitoraggio delle

iniziative e degli sviluppi in corso in materia di R&T, l'individuazione dei filoni di interesse per la

Difesa e il coordinamento dei soggetti responsabili della ricerca (grandi, piccole e medie imprese,

centri di eccellenza universitari, centri di ricerca pubblici e privati). Lo strumento principale

attraverso il quale il V Reparto di SGD/DNA esprime la propria funzione di indirizzo e

coordinamento è il Piano Nazionale della Ricerca Militare (PNRM - Istruzioni per l'uso), che

rappresenta l'equivalente in ambito Difesa del Piano Nazionale della Ricerca (PNR), pilotato dal

Ministero dell'Università e della Ricerca (MIUR).

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Un'azione analoga viene promossa dal V Reparto di SGD/DNA anche a livello internazionale,

soprattutto europeo e NATO, nell'ambito delle principali organizzazioni che si occupano di ricerca.

Fra queste vanno ricordate in particolare l'Agenzia Europea della Difesa (EDA), la LoI-FA, l'ETAP

(European Technology Acquisition Programme), che raggruppa gli stessi Paesi firmatari della LoI in

un'iniziativa rivolta allo sviluppo delle tecnologie aeronautiche e avioniche, e la NATO Research and

Technology Organisation (RTO), creata nel 1998 con l'obiettivo di promuovere le attività di ricerca

di interesse dell'Alleanza, assicurando una gestione coordinata a beneficio di tutti i paesi aderenti.

Dopo lo scioglimento del Western European Armaments Group (2005) e della WEAO Research Cell

(2006), le attività di ricerca gestite in passato da tali organizzazioni sono transitate nell'ambito del

"Direttorato" per la Ricerca Tecnologica dell'EDA.

Per finanziare la ricerca tecnologica il Ministero della Difesa ha potuto contare nel 2013 di budget di

circa 60 milioni di euro, somma che risulta sensibilmente inferiore a quanto speso da altre nazioni

europee di "peso" comparabile all'Italia. Questa circostanza non facilita lo sforzo in cui la Difesa e

l'Industria nazionale sono impegnate per perseguire due fondamentali obiettivi: mantenersi

aggiornate sul fronte delle nuove tecnologie (al fine di consolidare i settori di eccellenza e di evitare

pericolosi gap nei confronti di altri partner), ed assicurarsi una partecipazione qualitativamente e

quantitativamente adeguata ai programmi internazionali. Una scelta scrupolosa e mirata dei

programmi da finanziare diventa pertanto indispensabile, al fine di ottimizzare il ritorno degli

investimenti e assicurare un efficace presidio delle aree tecnologiche di importanza critica.

Un dato che caratterizza la spesa italiana per la R&T militare è che oltre il 50 % dell'investimento

complessivo programmato - vale a dire più di 30 milioni di euro - si inserisce nel contesto di

programmi comuni europei (EDA 36 %, ETAP 16 %), a fronte di un goal del 20 % indicato dal

presidente dell'EDA Javier Solana e, soprattutto, delle percentuali ben più modeste espresse da Paesi

che, in assoluto, spendono più dell'Italia.

Tale comportamento, del tutto in linea con le finalità della partecipazione agli organismi comunitari

che si occupano di R&T, colloca l'Italia al primo posto fra i Paesi UE in quanto a percentuale di

spesa in programmi di cooperazione e ne fa un punto di riferimento particolarmente credibile per

molti partner, soprattutto per i nuovi membri della UE, che riconoscono ed apprezzano la coerenza e

la linearità dell'atteggiamento italiano.

Oltre ad investire in programmi di cooperazione, l'Italia destina risorse per un ammontare pressoché

equivalente ai programmi nazionali, muovendosi in un'ottica di rigorosa complementarietà al fine di

evitare, per quanto possibile, l'utilizzo non ottimale di fondi dovuto a sovrapposizioni o duplicazioni.

I programmi finanziati nell'ambito del PNRM possono essere raggruppati in quattro settori principali,

a loro volta suddivisi in macroaree strategiche: C4I, NCW, modellizzazione e simulazione, radar

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multifunzione; protezione personale e difesa NRBC ed EM; UAV/UCAV e robotica,

microelettronica, tecnologie satellitari e sensori; veicolo tutto elettrico, idrodinamica e balistica,

strutture e piattaforme, materiali avanzati e propulsione.

Mentre l'esecuzione dei programmi viene affidata, come già rilevato, all'industria, alle Università e ai

Centri di ricerca, la gestione tecnico-amministrativa è assicurata dalle Direzioni Generali tecniche

competenti in materia, che provvedono anche a seguire lo stato di avanzamento dei progetti, a

verificarne gli esiti e, nel caso questi siano favorevoli, ad autorizzarne il proseguimento.

3) Protocollo di intesa fra Ministero della Difesa e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e

della Ricerca, in data 16/06/2011;

Possibilità di co-finanziare programmi di interesse strategico nazionale.

Ipotesi di perseguire iniziative comuni che possano attingere a fondi europei.

Evitare sovrapposizioni e/o duplicazioni di interventi e, piuttosto, favorire una loro virtuosa

integrazione.

Questo protocollo permette di incrementare il budget di riferimento per investimenti nella ricerca

d‟interesse della Difesa

b. una strategia moderna e coerente con Horizon 2020 di ricerca e sviluppo per le imprese ed

una strategia per l’utilizzo dei Fondi Strutturali

b1) Horizon 2020

La Commissione europea ha adottato l‟atteso pacchetto di proposte sul futuro programma quadro per

la ricerca e l‟innovazione - “Horizon 2020” – per il periodo 2014-2020. Horizon 2020 integra in

un'unica cornice, gli attuali strumenti di finanziamento: il Settimo Programma Quadro di Ricerca

(7PQ), il Programma Innovazione e Competitività (CIP) e l'Istituto per l'innovazione e la tecnologia

(IET). Tale programma rappresenterà il nuovo principale strumento di finanziamento europeo nel

settore della ricerca e dell'innovazione, chiamato ad assicurare l‟attuazione dell‟iniziativa faro

“L‟Unione dell‟Innovazione”, nell‟ambito della strategia Europa 2020. La Commissione propone che

il programma sia dotato di ottanta miliardi di euro, 26 in più rispetto alla programmazione 2007-

2013.

Il pacchetto legislativo presentato contiene:

una proposta legislativa per Horizon 2020, che stabilisce gli obiettivi generali, il valore aggiunto

per l‟Ue, la dotazione finanziaria e le disposizioni in materia di controllo, monitoraggio e

valutazione;

una proposta relativa ai programmi specifici per l‟implementazione di Horizon 2020, che ne

stabilisce le modalità di attuazione;

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una proposta di un unico insieme di regole di partecipazione e diffusione, che stabilisce le

modalità di finanziamento e di rimborso delle spese, le condizioni per i criteri di partecipazione,

di selezione e di aggiudicazione e le norme sulla proprietà, sfruttamento e diffusione dei

risultati;

una proposta distinta per la parte di Horizon 2020 che riguarda il trattato Euratom.

Horizon 2020 presenta alcune caratteristiche nuove:

Maggiore semplificazione grazie ad un‟architettura più semplice, un unico insieme di regole, un

utilizzo semplificato del modello di rimborso dei costi, un unico punto di accesso per i

partecipanti, minor burocrazia nella preparazione delle proposte, un minor numero di controlli e

verifiche, con l'obiettivo generale di ridurre il tempo medio di concessione delle sovvenzioni di

100 giorni;

Un approccio integrato aperto a nuovi partecipanti, per garantire la partecipazione di ricercatori

e innovatori eccellenti provenienti da tutta Europa e dal mondo;

L'integrazione di ricerca e innovazione, fornendo finanziamenti che coprano l‟insieme delle

attività che vanno dalla ricerca al mercato;

Maggiore supporto all'innovazione e alle attività vicine al mercato;

Un forte accento sulla creazione di opportunità di business specie in risposta alle più importanti

sfide sociali;

Maggiore spazio ai giovani scienziati garantendo loro la possibilità di presentare le loro idee e

ottenere finanziamenti.

Obiettivi

Le risorse di Horizon 2020 saranno destinate a tre tematiche principali, che corrispondono a quelle

stabilite dalla strategia Europa 2020 e, più in particolare, dall'Unione dell'innovazione.

1.Eccellenza scientifica L‟obiettivo è di incrementare la qualità della base scientifica europea,

sostenendo le migliori idee, sviluppando talenti in Europa, fornendo ai ricercatori l'accesso alle

migliori infrastrutture di ricerca e rendendo l'Europa un luogo attraente per i migliori ricercatori del

mondo. Verrà fornito sostegno alle Tecnologie future ed emergenti (FET), opportunità di sviluppo di

carriera ai ricercatori attraverso le azioni Marie Curie e verranno realizzate infrastrutture di ricerca

(tra cui le e-infrastrutture) accessibili a tutti i ricercatori in Europa e nel mondo.

2.Leadership industriale Saranno forniti importanti investimenti in settori tecnologici industriali

chiave, massimizzato il potenziale di crescita delle imprese europee fornendo loro adeguati livelli di

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finanziamento e saranno aiutate le PMI innovative a crescere per diventare aziende leader a livello

mondiale. Ciò permetterà di costruire una leadership nel settore delle tecnologie abilitanti e

industriali - con particolare attenzione all‟ICT - delle nanotecnologie, dei materiali avanzati, delle

biotecnologie e spaziale; si cercherà infine di facilitare l'accesso al capitale di rischio.

3.Sfide della società Così come previsto dalla strategia Europa 2020, le risorse indirizzate a settori,

tecnologie e discipline diverse, serviranno a poter rispondere al meglio alle nuove sfide sociali. In

particolare il finanziamento sarà focalizzato sui seguenti obiettivi :

• Salute, cambiamento demografico e benessere ;

• Sicurezza alimentare, agricoltura sostenibile e bio-economia ;

• Energia sicura, pulita ed efficiente ;

• Trasporto intelligente, integrato e pulito ;

• Azioni per il clima, l'efficienza delle risorse e delle materie prime ;

• Società innovative, ed inclusive ;

• Società sicure.

Semplificazione

Horizon 2020 prevede una maggiore semplificazione di regole e procedure per i partecipanti ai

programmi di ricerca e innovazione.

La semplificazione, in particolare, servirà a ridurre i costi amministrativi che gravano sui

partecipanti, accelerare i processi di presentazione delle proposte e gestione delle sovvenzioni ed a

ridurre il tasso di errore di tipo finanziario.

Tale strategia di semplificazione verrà attuata attraverso diversi interventi. È, infatti, prevista:

una semplificazione strutturale dell‟architettura del programma grazie anche all‟utilizzo di un

unico insieme di regole di partecipazione;

una semplificazione delle regole di finanziamento attraverso, tra le altre cose, la semplificazione

del rimborso dei costi diretti, la possibilità di fare riferimento ai costi medi del personale, anche

per i proprietari di PMI senza stipendio,

la semplificazione dei tempi di registrazione, un tasso di rimborso unico per tutti i partecipanti,

l‟utilizzo di un tasso di rimborso unico per i costi indiretti.

La metodologia di controllo sarà rivista al fine di raggiungere un nuovo equilibrio tra fiducia e

controllo grazie anche ad una riduzione del numero dei certificati richiesti relativi ai rendiconti

finanziari, una riduzione degli oneri di controllo che gravano sui partecipanti.

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Attraverso queste ed altre misure di semplificazione la Commissione mira a ridurre di 100 giorni il

tempo medio di concessione delle sovvenzioni..

Ampio approccio verso l‟innovazione

Horizon 2020 si propone di finanziare, parallelamente alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, quelle

attività quali design, attività creative, servizi e innovazione sociale che rappresentano un punto di

forza per l‟Europa.

Le tecnologie abilitanti fondamentali (KET), con un budget dedicato, saranno una priorità chiave di

Horizon 2020.

Partecipazione delle Pmi

Sarà garantita un‟adeguata partecipazione delle imprese, in modo particolare delle PMI, ad Horizon

2020: misure specifiche saranno destinate alle PMI innovative che mostrano un‟ambizione a

sviluppare, crescere ed internazionalizzarsi.

Con Horizon 2020 la Commissione desidera destinare circa il 15% del bilancio totale di tutte le sfide

sociali e delle tecnologie abilitanti alle PMI.

In primo luogo, un nuovo strumento consentirà alle PMI, sulla base del modello SBIR (che

incoraggia l‟esplorazione del potenziale tecnologico delle PMI e la commercializzazione dei relativi

prodotti) di presentare domanda di finanziamento, pur partecipando al progetto con altri partner; gli

aiuti saranno quindi concessi in diverse fasi: una fase di fattibilità, una d‟implementazione; una di

follow-up. In secondo luogo, è prevista un‟attività dedicata alle PMI ad alta intensità di ricerca e, in

terzo luogo, anche in materia di accesso al rischio finanziario, si destinerà una forte attenzione alle

PMI. A ciò si aggiungerà quanto previsto dal programma specifico “competitività delle imprese e

PMI”, che mira a migliorare la competitività e la sostenibilità delle imprese e a promuovere una

cultura imprenditoriale.

Cooperazione internazionale

Horizon 2020 si propone di promuovere la mobilità internazionale dei ricercatori, di rafforzare

l'eccellenza dell'Unione e la sua attrattività nel campo della ricerca a livello internazionale, di

affrontare congiuntamente le sfide globali sostenendo le politiche esterne dell'Unione. Tale

approccio verso la cooperazione internazionale in Horizon 2020 sarà condotto in collaborazione con

tre gruppi di paesi:

1. economie industrializzate ed emergenti;

2. paesi del vicinato

3. paesi in via di sviluppo.

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Ampia partecipazione

Horizon 2020 continuerà a stanziare fondi attraverso il lancio di bandi e selezionerà solo i migliori

progetti senza tener conto della distribuzione geografica.

Ciò includerà anche la definizione di stretti legami con il settore dell'istruzione superiore, in

particolare attraverso il programma “Erasmus per tutti” e le Alleanze per la Conoscenza.

La Commissione propone inoltre una più chiara ripartizione dei compiti tra Horizon 2020 e i Fondi

strutturali, rafforzandone al contempo le interazioni. Il sostegno alle regioni, in particolare in materia

di R&I, sarà fornito attraverso la politica di coesione.

Completamento dello Spazio europeo della ricerca

Il Completamento dello Spazio europeo della ricerca (SER) comporta la costruzione di un vero

mercato unico per la conoscenza, ricerca e innovazione, consentendo ai ricercatori, istituti di ricerca

e imprese di competere e cooperare a livello transfrontaliero. Il tema sarà poi trattato in maniera più

approfondita nel programma quadro SER, che sarà presentato dalla Commissione nel 2012.

Horizon 2020 rafforzerà in particolare il sostegno alla mobilità dei ricercatori (anche attraverso le

azioni Marie Curie) e assicurerà la messa in rete del SER (“SER online”).

Horizon 2020 definirà le agende strategiche di ricerca delle Iniziative di programmazione congiunta

(JPI). Al fine di rendere noto ai contribuenti europei come verranno destinati i finanziamenti alle

attività di R&I la Commissione intende inserire azioni di informazione e comunicazione come parte

integrante del programma di attuazione di Horizon 2020.

TECNOLOGIE DUALI

Nella Sfida Sociale Società Sicure, delle attività concernenti tutti i settori d'intervento riguarderanno

anche l'integrazione e l'interoperabilità dei sistemi e dei servizi, compresi aspetti come la

comunicazione, le architetture distribuite e i fattori umani. Ciò presuppone anche l'integrazione di

capacità civili e militari in una serie di compiti che vanno dalla protezione civile agli aiuti umanitari,

dalla gestione delle frontiere al mantenimento della pace. Ne faranno parte lo sviluppo tecnologico

nel settore sensibile delle tecnologie a duplice uso (duali), per garantire l'interoperabilità tra le forze

della protezione civile e quelle militari nonché tra forze di protezione civile a livello mondiale, come

pure l'affidabilità, gli aspetti organizzativi, giuridici ed etici, le questioni commerciali, la tutela della

riservatezza e l'integrità delle informazioni nonché la tracciabilità di tutte le operazioni e trattamenti.

Dato che la ricerca riguarderà in particolare la sicurezza civile, verrà attivamente ricercato un

coordinamento con le attività dell'Agenzia europea per la difesa (EDA), allo scopo di rafforzare la

cooperazione con questa agenzia, in particolare nel già istituito quadro di cooperazione europeo

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(QCE), in considerazione del fatto che vi sono settori di tecnologia a duplice uso che possono avere

applicazioni civili e militari. I meccanismi di coordinamento con le agenzie dell'Unione, come

FRONTEX, EMSA e Europol, verranno ulteriormente rafforzati al fine di migliorare il

coordinamento dei programmi e delle politiche dell'Unione in materia di sicurezza a livello interno

ed esterno, e di altre iniziative dell'Unione.

In considerazione del particolare carattere della sicurezza, saranno adottate disposizioni specifiche in

materia di programmazione e di governance, in particolare con il comitato di cui all'articolo 9 della

presente decisione. Le informazioni classificate, o considerate sensibili, concernenti la sicurezza

saranno protette e nei programmi di lavoro possono essere stabiliti requisiti e criteri specifici

applicabili alla cooperazione internazionale. Di questi aspetti si terrà conto anche nelle disposizioni

adottate in materia di programmazione e di governance per le società sicure.

b2) Preparatory Action on Defence Research

Il documento intitolato Verso un settore difesa e sicurezza più competitivo ed efficiente , pubblicato

nel 2013, comprende un elenco di misure volte a migliorare le prospettive mondiali del settore difesa

europea. La crisi della spesa pubblica induce tagli ai bilanci della difesa, aggravando ulteriormente la

situazione. Dal 2001 al 2010 la spesa dell'UE per la difesa si è ridotta da 251 a 194 miliardi di euro,

mentre i bilanci della difesa sono aumentati in misura significativa nei mercati emergenti. I tagli

praticati al bilancio stanno determinando anche forti ripercussioni sulle industrie che producono gli

equipaggiamenti per le nostre forze armate, con riduzioni dei programmi già in corso e di quelli

futuri. Le riduzioni interessano in particolare gli investimenti in R&S nel settore della difesa, che

sono fondamentali per potenziare le capacità del futuro. Tra il 2005 e il 2010 negli stanziamenti di

bilancio per R&S a livello europeo si è registrato un calo del 14%, portando la cifra a 9 miliardi di

euro; attualmente per R&S nel settore della difesa gli Stati Uniti spendono da soli sette volte di più

rispetto a tutti i 28 Stati membri dell‟UE nel loro insieme. Gli attori emergenti sul mercato globale

della difesa, inoltre, quali i paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), già ora investono in R&S per

la difesa più di Regno Unito, Francia e Germania insieme.

L'industria della difesa è di importanza strategica per la sicurezza dell’Europa e svolge un ruolo

cruciale per l‟intera economia europea. Con un fatturato di 96 miliardi di euro nel solo 2012 e 23

miliardi di euro di esportazioni nel 2011, essa rappresenta un importante settore industriale,

incentrato su ingegneria e tecnologie di alta gamma e in grado di generare innovazione. La ricerca di

punta condotta in questo ambito ha prodotto sostanziali effetti indiretti in altri settori, quali

l'elettronica e l'aviazione spaziale e civile; inoltre garantisce la crescita economica e la creazione di

migliaia di posti di lavoro altamente qualificati. L'industria della difesa in Europa occupa

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direttamente circa 400 000 persone e crea fino a 960 000 posti di lavoro indiretti. Si tratta quindi

di un settore il cui mantenimento è essenziale se l‟Europa intende continuare ad essere un centro

d‟avanguardia a livello mondiale nell'ambito delle tecnologie produttive e dell'innovazione.

Il Piano d‟azione della Commissione Europea include lo Sfruttamento quanto più possibile del

potenziale a duplice uso della ricerca e rafforzare l‟innovazione al fine di garantire l‟uso più

efficiente delle risorse dei contribuenti europei. In particolare: incentrando il proprio impegno

sull'eventuale arricchimento reciproco fra l'ambito della ricerca civile e militare o sul potenziale

a duplice uso dello spazio;

Le sinergie civili-militari andrebbero sfruttate quanto più possibile al fine di garantire la

massima efficienza nell'impiego delle risorse dei contribuenti europei. Mentre le attività di ricerca e

di innovazione condotte nell‟ambito di Horizon 2020 si incentreranno esclusivamente sulle

applicazioni civili, la Commissione valuterà in che modo i risultati in questi settori potrebbero

andare a vantaggio delle capacità industriali e di difesa. In particolare:

Arricchimento reciproco tra ricerca civile e militare

La Commissione intende lanciare una procedura di appalti pre-commerciali per ottenere

prototipi. I primi candidati potrebbero essere i seguenti: rilevamento CBRN, RPAS e

apparecchiature per le comunicazioni basate sulla tecnologia dei sistemi radio definiti dal software.

La Commissione valuterà inoltre la possibilità di sostenere una ricerca connessa con la CSDP ad

esempio mediante un‟azione preparatoria. L‟accento sarà posto sui settori in cui le capacità di

difesa dell‟UE sarebbero più necessarie, possibilmente in sinergia con i programmi di ricerca

nazionali.

b3) Fondi Strutturali

L'articolo 174 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) sancisce che, per

rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale al suo interno, l'Unione deve mirare a ridurre

il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari,

e che un'attenzione particolare deve essere rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione

industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici.

Ridurre gradualmente il divario economico e sociale tra i territori e incrementare le opportunità di

sviluppo per i cittadini che li abitano rappresentano i principali obiettivi della politica di coesione.

Per raggiungere questi fini, in un quadro di governance che coinvolge il livello europeo, quello

nazionale e quello regionale, sono stati elaborati e definiti strumenti finanziari europei, nazionali e

regionali. I fondi che impiegano le risorse necessarie a creare coesione agiscono su due scale: una

europea, l‟altra nazionale. In base ai principi europei, le politiche di coesione riguardano l‟intero

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territorio nazionale, pur con modalità diverse: le regioni del centro nord sono incluse nel gruppo

delle regioni europee più sviluppate; Sardegna, Abruzzo e Molise fra le regioni in transizione,

Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia, fra le regioni meno sviluppate. In base agli stessi

principi, alle Regioni è destinato, per il periodo 2014-2020, complessivamente un contributo europeo

di circa 30 miliardi di euro, di cui 7 per le regioni più sviluppate, 1 per le regioni in transizione e 20

per le regioni meno sviluppate. A tali cifre vanno aggiunti gli importi del cofinanziamento nazionale

(obbligatorio per le politiche di coesione europee), pari agli stanziamenti comunitari. Nel quadro

degli interventi per lo sviluppo regionale, le politiche comunitarie si sommano alle politiche

nazionali, incardinate sul Fondo Sviluppo e Coesione che ha una allocazione nella Legge di stabilità

di circa 54 miliardi distribuiti negli anni di attività dei fondi. Nel complesso le politiche di sviluppo e

coesione conteranno su circa 100 miliardi di euro. Tali risorse devono svolgere, nel ciclo 2014-2020,

un ruolo duplice, ma strettamente integrato: da un lato continuare nell‟azione di potenziamento e

miglioramento dei contesti regionali; dall‟altro assicurare un sostegno, strutturale e non

congiunturale, ai processi di rafforzamento delle imprese, di incremento dell‟occupazione, di

miglioramento del tessuto sociale dopo la grande crisi. Le politiche nazionali (Fondo Sviluppo e

Coesione in corso e previsto per il 2014-20) si orienteranno sulla infrastrutture più importanti, oltre

che su ambiti nei quali le politiche europee non intervengono; i Fondi Strutturali invece investiranno

sulle imprese e sulle aree territoriali, sulle persone e sulle infrastrutture leggere, in coerenza con i

regolamenti comunitari. La strategia europea indica per i Fondi Strutturali 11 grandi aree di

intervento. In questo quadro, la strategia italiana prevede di destinare il 37% delle risorse agli

obiettivi ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione e competitività delle piccole e medie imprese.

La valorizzazione dei beni ambientali e culturali assume un ruolo estremamente importante nel

programma, che conferma, altresì, investimenti rilevanti sia per promuovere l‟inclusione sociale e

combattere la povertà, sia nell‟investimento nella scuola e nella formazione.

La programmazione conterrà programmi operativi regionali, con interventi che richiedono attenzione

alla dimensione territoriale (come le strategie regionali di specializzazione intelligente richieste

dall‟Unione Europea), e richiedono adattamenti e specificazioni; in una logica, tuttavia, di sempre

maggiore integrazione fra le diverse misure sui territori. Nel documento verso un settore della difesa

e della sicurezza più concorrenziale ed efficiente la Commissione incoraggerà il ricorso al Fondo

sociale europeo (FSE) per la riqualificazione dei lavoratori, in particolare per i progetti riguardanti le

competenze richieste, la corrispondenza tra le competenze richieste e offerte e l'anticipazione dei

cambiamenti. La Commissione prenderà in considerazione il potenziale dei Fondi strutturali e di

investimento europei per il sostegno alle regioni che hanno subito ripercussioni negative dalla

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ristrutturazione dell'industria della difesa, soprattutto per aiutare i lavoratori ad adattarsi alla nuova

situazione e per favorire la riconversione economica.

c. la definizione di un meccanismo di garanzia pubblica per favorire la partecipazione del

sistema finanziario (esempio BEI) al finanziamento di grandi progetti di innovazione

industriale realizzati da filiere o reti di imprese

La Banca europea per gli investimenti (BEI) è l'istituzione finanziaria dell'Unione europea. Al tempo

stesso "banca" e "organo" dell'Unione europea, essa contribuisce alla realizzazione degli obiettivi

dell'Unione attraverso il finanziamento di progetti volti a promuovere l'integrazione europea, lo

sviluppo equilibrato, la coesione economica e sociale, nonché lo sviluppo di un'economia fondata

sulle conoscenze e sull'innovazione. Creata nel 1958 dal Trattato di Roma, la BEI si finanzia

attraverso l'acquisizione di prestiti sui mercati dei capitali. A differenza delle banche classiche, non

dispone di risorse commerciali provenienti da depositi di risparmio o da conti correnti. La Banca

europea per gli investimenti sostiene progetti nei paesi dell'UE, nei futuri paesi membri e nei paesi

partner. Assume prestiti sui mercati finanziari e non utilizza quindi i fondi del bilancio dell'UE. I

prestiti vengono erogati a condizioni vantaggiose per finanziare i progetti in sintonia con gli obiettivi

delle politiche UE. Nel 2008 la BEI ha raccolto quasi 60 miliardi di euro. La BEI non persegue scopi

di lucro e concede finanziamenti a un tasso prossimo al costo di raccolta dei fondi.

Servizi

Crediti : accordati a validi programmi o progetti nel settore pubblico e privato. I beneficiari vanno

dalle grandi aziende alle piccole imprese.

Assistenza tecnica : fornita da un team di economisti, ingegneri e specialisti per integrare gli

strumenti di finanziamento della BEI.

Garanzie : a disposizione di un vasto numero di istituti, ad esempio banche, società di leasing,

organismi di garanzia, società veicolo e altri.

Capitale di rischio : le richieste di capitale di rischio vanno inoltrate direttamente a un intermediario.

I prestiti nell'UE

Circa il 90% dei prestiti è destinato a programmi e progetti all'interno dell'UE.

La BEI persegue sei obiettivi prioritari, stabiliti nel piano aziendale della Banca:

Coesione e convergenza

Sostegno alle piccole e medie imprese (PMI)

Sostenibilità ambientale

Attuazione dell'iniziativa "Innovazione 2010" (i2i)

Sviluppo delle reti transeuropee di trasporto e per l'energia (RTE)

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Energia sostenibile, competitiva e sicura.

4. Il Consiglio europeo del dicembre 2013: un’altra occasione mancata

“La difesa conta”. Con questa perentoria affermazione si aprono le conclusioni adottate al Consiglio

Europeo che si è svolto a Bruxelles lo scorso dicembre 2013. Un vertice molto atteso perché

esplicitamente dedicato, dopo molti anni, al tema del rilancio della difesa europea. L‟Unione

Europea infatti è sempre più concentrata sui temi economici e finanziari: anche i giorni precedenti il

vertice odierno sono stati egemonizzati dalle notizie sull‟adozione del Meccanismo unico di

risoluzione in seno all‟unione bancaria, argomento che immancabilmente ha chiamato in causa anche

i leader riuniti a Bruxelles. Il punto era quindi comprendere quanto contasse effettivamente in questo

quadro critico il settore della difesa: molto, ma non troppo. E non solo a causa della crisi economica.

Le parole d‟ordine sono state cooperazione, economie di scala e complementarietà con le strutture

della NATO. Tre sono le priorità individuate dal Consiglio Europeo: aumentare l‟efficacia e la

visibilità della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), rafforzare l‟industria europea della

difesa e migliorare lo sviluppo delle capacità europee.

Per quanto riguarda il primo aspetto, i Capi di Stato e di governo hanno ribadito la peculiarità

dell‟approccio comprensivo europeo alle crisi internazionali, un approccio che concilia strumenti

militari e civili. Tramite le PSDC, oggi l‟UE dispone di 7.000 uomini impegnati in 16 missioni

all‟estero: la natura composita di tali azioni richiede però un ulteriore sforzo di coordinamento fra gli

attori europei, per migliorare l‟efficacia delle operazioni. Il Consiglio Europeo propone poi una

revisione del ruolo dei Battlegroups, le forze di reazione rapida, in modo che siano più flessibili e

facilmente utilizzabili. Tutto questo alla luce delle nuove minacce alla sicurezza europea, a cui

l‟Europa deve rispondere implementando nuove strategie di difesa in tempi brevi. Il CE preme

dunque per la redazione dello EU Cyber Defence Policy Framework e di una Strategia di

Sicurezza Marittima entro il 2014.

In riferimento all‟industria della difesa, se ne riconoscono le ricadute positive in termini di crescita

economica anche al di là dello specifico settore militare. L‟obiettivo è costituire una Base Industriale

e Tecnologica della Difesa Europea (EDTIB), per migliorare le capacità europee, ma anche favorire

occupazione e investimenti. Ecco perché il mercato unico deve essere realmente competitivo, anche

in questo settore.

E non è casuale che l‟attenzione del CE si sia concentrata sullo sviluppo di tecnologie dual-use, che

hanno applicazione sia nel settore militare che in quello civile. Devono aumentare gli investimenti

comuni in questo settore, legando questa strategia anche ai piani di innovazione tecnologica di

Horizon 2020. Un mercato unico richiede poi standard e metodi di certificazione condivisi, così

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come di un forte sostegno al sistema delle piccole e media imprese, che costituiscono una

componente importante dell‟industria della difesa: è necessario aprire alle PMI anche le fasi più

delicate della supply chain di questo settore.

Le divisioni politiche più significative si sono però verificate con maggior forza sul tema delle

capacità di difesa europee, la terza priorità del CE. È stata la Gran Bretagna a porre un freno alle

ambizioni di altri Paesi in questo ambito, deludendo coloro che si aspettavano novità sostanziali dal

Consiglio Europeo. È stato il Primo Ministro David Cameron a porre subito le cose in chiaro, ancora

prima dell‟inizio del vertice. Di fronte ai giornalisti che lo attendevano all‟entrata, Cameron ha

ribadito la contrarietà britannica a qualunque idea di “esercito europeo”, ossia di qualsiasi capacità

militare intimamente europea, che è “sbagliata”, mentre la cooperazione è “giusta”. Una posizione

ribadita anche dal Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, invitato dallo stesso

Cameron al vertice per rivendicare la centralità della NATO nella difesa europea.

Così le conclusioni non sono molto ambiziose in materia: si richiama allo sviluppo di nuove capacità

condivise nel settore dei droni, cyber security, comunicazione satellitare e Air-to-Air refuelling

capacity, per sfruttare nuove economie di scala. Ma l‟opposizione britannica ha bloccato la proposta

supportata da Francia, Spagna, Italia, Polonia e Germania della creazione di una flotta di droni

acquistata e gestita direttamente dall‟Unione.

Siamo dunque alle solite: nessun „big push‟ per la difesa europea. Solo le solite divisioni.

5. Conclusioni: quali prospettive?

Qualche spunto di riflessione conclusivo appare necessario.

Ci si deve innanzitutto porsi la domanda: il coordinamento fra Paesi europei, la capacità di

pianificazione e di anticipazione, la messa in comune di mezzi, sono sufficienti? La risposta

purtroppo è no. Per una vera Politica di Sicurezza e Difesa comune (PSDC), pilastro della Politica

Estera e di Sicurezza, serve un approccio più europeo.

Il settore della difesa Ue ha un ruolo fondamentale dal punto di vista economico: 96 miliardi di euro

di fatturato (2012), 23 miliardi di export (2011), 400.000 posti di lavoro diretti e oltre 1 milione

indiretti. E si tratta spesso di lavoratori altamente qualificati. L‟Italia fattura oltre 10 miliardi e

occupa circa 50mila addetti.

La ricerca nella Difesa fa da volano a settori strategici quali elettronica, spazio o aviazione. Molte

tecnologie di uso civile, - il microonde, la navigazione satellitare o internet, sono nate proprio dalla

ricerca militare. Il consolidamento fiscale e la crisi hanno portato, purtroppo in tutta Europa, a tagli

sostanziali, in particolare alla Ricerca & Sviluppo. Questo aggrava una situazione su cui già pesano

frammentazione del mercato e scarsa cooperazioni tra Stati.

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Dal 2001 al 2010 i bilanci della difesa europei sono passati da 251 a 194 miliardi, mentre quelli dei

Paesi emergenti sono aumentati in misura significativa. Gli stanziamenti per la ricerca sono scesi a 9

miliardi, mentre gli USA spendono 7 volte.

Si è, altresì, ancora ben lontani da un vero mercato unico della Difesa. L'80% degli appalti é

confinato in ambito nazionale. Gli eserciti utilizzano prodotti con standard diversi, spesso non

compatibili fra loro. Basti pensare che l'Ue ha 16 tipi di fregate (gli USA solo uno), 17 linee di

produzione per carri armati (rispetto alle 2 americane) e 4 diversi modelli di aerei da combattimento.

Anche quando gli eserciti utilizzano gli stessi tipi di mezzi, questi non riescono a interagire tra loro

per software o altre tecnologie diverse, con relative grandi difficoltà nelle missioni comuni europee.

In questo modo l'Europa non riesce a essere efficace e a produrre economie di scala. Al contrario,

spende di più per prodotti non necessariamente superiori.

Per rilanciare la competitività di un settore così strategico e non delegare la propria sicurezza ad altri,

si devono, dunque, necessariamente unire le forze. E trovare la volontà per costruire una politica di

difesa più credibile, con un mercato interno davvero integrato ed un'industria competitiva su scala

globale. Solo così si potrà difendere la sovranità nazionale, essendo, al contempo, più efficaci e

risparmiando decine di miliardi, con maggiori ricadute su innovazione e crescita.

Il 24 luglio 2013 la Commissione europea ha adottato la Comunicazione “Verso un settore della

Difesa e della Sicurezza più concorrenziale ed efficiente” che punta a rafforzare la competitività, il

funzionamento del mercato interno e la cooperazione tra Stati membri.

Queste le principali linee, articolate in 4 capitoli.

1 - Verso un Mercato interno della Difesa

La prima priorità è potenziare il mercato interno della Difesa e, in particolare, assicurare piena

applicazione alle due Direttive UE su trasferimenti dei prodotti e Appalti. Quando sono state

applicate in maniera effettiva, le regole esistenti hanno già avuto importanti ricadute in termini

d‟efficienza e apertura del mercato. Continueremo, dunque, a monitorarne l'applicazione.

La comunicazione tocca, anche, il tema degli investimenti stranieri nelle industrie europee con

tecnologie e brevetti rilevanti per il settore. Pubblicheremo un Libro verde consultando le parti

interessate, esplorando anche l'opzione di un sistema di monitoraggio europeo.

2 - Politica industriale più attenta alla Difesa

Per un'industria della difesa più competitiva, con economie di scala, bisogna puntare su

standardizzazione, certificazione, migliore accesso alle materie prime e sostegno alle PMI.

In collaborazione con l‟Agenzia Europea della Difesa (EDA) e gli Stati si potrebbe istituire un

meccanismo per l'elaborazione di norme europee specifiche per prodotti e applicazioni militari,

garantendo al contempo un'adeguata gestione delle informazioni sensibili.

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Basandoci sull‟esperienza civile dell'Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea occorrerebbe valutare

la possibilità di istituire un sistema Ue di certificazione dell‟aereo navigabilità militare per ridurne i

costi. Le PMI svolgono un ruolo centrale nelle complesse catene di approvvigionamento della

Difesa. Sono, tuttavia, più vulnerabili ai tagli e hanno più difficoltà a fare leva sull‟export per

compensare il calo della domanda interna.

Si dovrebbero, quindi, usare tutti gli strumenti a favore delle PMI, come ad esempio la Rete Impresa

Europa, in particolare per avviare partenariati che favoriscano il trasferimento tecnologico,

esaminando anche i modi per promuovere clusters regionali e transfrontalieri, tra settori civili, della

difesa e centri di ricerca.

L‟obiettivo è un accesso sostenibile ed intelligente alle “materie prime critiche” per la Difesa, nel

quadro della strategia europea e del relativo Partenariato per l‟Innovazione sulle Materie Prime.

3 - Maggiori sinergie Militare-Civile

Un terzo cantiere consiste nel rafforzare le sinergie tra settori civile e militare. Si può fare molto di

più per assicurare vantaggi reciproci tra politiche della Difesa e applicazioni in campo civile.

Una prima svolta concreta è offerta da una cooperazione tra programmi di ricerca civile e quello

dell'EDA, nei settori del cosiddetto “duplice uso” (dual use).

La comunicazione apre inoltre a sinergie tra progetti di ricerca per le tecnologie abilitanti

fondamentali e quelli sulla Sicurezza nel quadro di Horizon 2020.

Tuttavia, Horizon 2020 è rivolto esclusivamente alle applicazioni civili, per cui occorrerebbe

esaminare altre vie per sostenere la ricerca nei settori connessi alla difesa.

Si sta promuovendo l'uso di standard ibridi per prodotti con applicazioni sia militari che civili, passo

essenziale per dare un vantaggio competitivo alle imprese europee. Nel 2012 è stata già pubblicata

una "norma ibrida" relativa ai sistemi radio definiti dal software. Prossimi candidati, le norme sul

rilevamento e sul campionamento di eventi chimici, biologici, radiologici e nucleari, i requisiti di

aereo navigabilità e le norme sulla condivisione dei dati.

I programmi di ricerca sullo spazio e la realizzazione dei progetti Galileo, Egnos e Copernicus hanno

ricadute anche sulla sicurezza europea.

Sarà necessario raggruppare la domanda militare e commerciale nel settore della sicurezza, in

relazione alle comunicazioni satellitari (SATCOM). Si lavorerà con l'Agenzia della Difesa ed il

Servizio d‟azione esterna allo sviluppo della nuova generazione di comunicazioni satellitari militari,

di proprietà statale, nonché della capacità ad alta risoluzione.

Si esaminerà la possibilità di sostenere le capacità militari critiche. Sebbene ciò rientri nelle

competenze nazionali, è opportuno ritenere che la Commissione possa dare un contributo anche in

questo campo. Si dispone di una lunga esperienza, ad esempio con l‟Agenzia Frontex incaricata della

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protezione delle frontiere esterne dell‟Unione.

4 - Coerenza tra politiche UE e nazionali

Un quarto tema è quello della coerenza e convergenza tra politiche della Difesa e altre politiche UE.

Ad esempio, le forze armate europee sono interessate a ridurre i consumi energetici. Questo interesse

coincide perfettamente con gli obiettivi “20-20-20” che spingono l'industria verso maggiore

efficienza e sostenibilità.

Anche per i prodotti della Difesa si deve promuovere un accesso effettivo ai mercati terzi,

nell'ambito di una politica commerciale meno ingenua e attenta alla reciprocità.

Italia, Spagna e Portogallo hanno trasmesso un “Position paper” sul rafforzamento della politica

europea di Difesa, concordando sull‟urgenza di accrescere visibilità, impatto ed operatività della

strategia europea.

I progetti (civili) europei SESAR e Galileo, ad esempio, vengono presi a modello dagli stessi

Ministeri di Italia, Spagna e Portogallo come strumenti di futura “convergenza tra interessi militari

nazionali e interessi industriali”.

In particolare, SESAR - il sistema unico per la gestione del traffico aereo europeo - offre opportunità

di sviluppare, con successo, maggiori sinergie tra settori civili e militari, consentendo vaste economie

di scala.

In conclusione, si è nel mezzo di un guado, con il rischio di essere travolti dalla piena se non ci si

avvia con decisione verso la sponda di un'Europa più integrata e politica. Un maggiore

coordinamento nella difesa, nel rispetto delle prerogative nazionali, è un passo necessario nella

giusta direzione.

Se è vero che, citando il Vicepresidente americano Joe Biden, l'Europa resta indubbiamente una

"pietra angolare" della strategia di sicurezza USA, è ben noto che gli Alleati americani hanno ormai

altre priorità strategiche, in particolare nel Pacifico; esortando, contestualmente ed apertamente,

l‟Europa ad assumersi maggiori responsabilità ed a meglio ripartire l'onere in seno all'Alleanza

Atlantica. Nel cantiere aperto per un'Europa più politica – che possa portare un giorno agli Stati Uniti

d'Europa – si deve, quindi, lavorare anche per una difesa più integrata: un'Europa politica, costruita a

partire dalla difesa, è stata uno dei grandi disegni di Alcide De Gasperi.