CATTANI, Adelino. Argomentare Le Proprie Ragioni. Organizzare,

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    Suadela #

    Collana diretta daAdelino Cattani

    Suadela lo splendido nome dato dai Romani alla Peithogreca,semidea e personificazione della persuasione.

    Suadela altres assunta a personificazionedella non prepotenza e del rispetto del pensiero altrui.C chi la chiama tolleranza. C chi la chiama civilt

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    LOFFREDO EDITOREUNIVERSITY PRESS

    a cura diA C

    ARGOMENTARE LE PROPRIE RAGIONI

    Organizzare, condurre e valutare un dibattito

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    LOFFREDO EDITORE s.r.l.Via Capri 67 80026 Casoria (NA)http://www.loffredo.it E-Mail: [email protected]

    EAN

    Coordinamento University Press: Ugo Cundari [email protected]

    Finito di stampare nel mese

    In copertina:

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    Indice

    Introduzione 9

    ADELINO CATTANIFilosofi e retori 171. Filosofia e retorica 172. Filosofi contro retori 183. Filosofia, retorica e verit 214. Filosofia e retorica nel dibattito 22

    MANUELE DE CONTI

    Gestire i disaccordi 31

    RAFAEL JIMNEZ CATAORisorse per gestire stereotipi e fenomeni simili 39

    1. Largomento ad ignorantiam 402. Logica e retorica 413. Tipi di clich 41

    4. Risorse disponibili 48

    PAOLO BOSCHIFatti, valori e dibattito 55

    1. La situazione 552. Casi ricorrenti 563. Altri casi 614. Parole valigia 65

    5. Attenzione, capacit e consapevolezza 67

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    PAOLA CANT

    La formazione al dibattito attraverso lanalisi di ragionamenti tratti daiquotidiani 75

    1. Introduzione 752. Tre obiezioni 763. La peculiarit dello strumento formativo 774. La monnezza rom 785. Non desiderare la tesi altrui 80

    6. Un modo per zittire il dibattito 837. Come ti avveleno la sorgente 858. Conclusione 88

    ALFRED C. SNIDERDebate: Critical Method for the 21stCentury 91

    My background 91Why the 21stcentury is different 92

    Why current educational methods fall short 93Debating as important bundle of educational experiences 95Empirical results 96Competitive debating 97Classroom debating 98Conclusions 99

    ANTONIO MARTN SANCHEZCon Acento 101

    CLAUDIO FUENTES BRAVO - CRISTIN SANTIBEZ YEZDiseando debates: preliminares para un enfoque dialgico y crtico 111

    1. Diseando situaciones argumentativas 1122. Fundamentos para un enfoque crtico de debate acadmico 1133. Dilogo, debate y metacognicin. 117

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    4. Caractersticas ideales del debate acadmico como modalidad

    dialgica 1215. La reconstruccin de discusiones crticas 1236. Aportes de un enfoque dialgico cognitivo al diseo de un mo-

    delo de debate 1287. Propuesta general de diseo para un modelo de debate crtico 1318. Conclusiones 133

    CATERINA BOTTECCHIAPalestra di Botta e Risposta: un percorso di autentico arricchimentoformativo 139

    Premessa 139Il torneo di disputa filosofica e la quotidiana attivit didattica 140Conclusione 149

    ROBERTO FALDUTI

    Palestra di botta e risposta al microscopio: considerazioni teorico-prati-che e analisi di una disputa 153

    1. Considerazioni preliminari 1532. Osservazioni sul percorso di dispute 1573- Analisi di una disputa 166

    SENOFONTE NICOLLI

    Non di sole parole. Disputa filosofica e comunicazione non verbale 185

    ALBERTO RIELLOLa parola e il gesto 191

    Il gesto degli altri, ovvero manipolazioni di pensieri illustri 192

    GIULIO ZENNARODialogo e argomentazione: la disputa filosofica come esperienza didattica 195

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    Introduzione

    Se io so di essere fallibile e tu sei consapevole della

    tua fallibilit, allora se ci sta davvero a cuore

    risolvere i problemi io aspetter con ansia le tue

    alternative e le tue critiche e tu sarai grato delle mie

    alternative alle tue proposta e delle mie critiche.

    Insomma discuteremo. E la discussione lanimadella democrazia. (D. Antiseri, Princpi liberali,

    Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, p. 19)

    Il dibattito ha cos tanta parte nella nostra vita, e, incomprensibilmente,cos poca parte nei nostri pensieri. Non abbiamo sempre chiaro quale sia ilsuo senso, non abbiamo presenti quali ne siano i metodi, le procedure, le fi-

    nalit, le diverse tipologie. Ci si affida al dibattito senza averne appreso regolee mosse. Certo si pu entrare in campo e disputare un incontro da dilettante,ma ha la meglio chi mette a frutto la sua capacit dialettica innata o si avvaledellargomento giusto. Si sa bene che in un dibattito non vince sempre latesi migliore, ma quella meglio argomentata; non ha la meglio il discorsogiusto ma quello meglio impostato; non prevale lopinione pi ragionevole,ma quella meglio motivata, vale a dire quella supportata da motivi e cause pi

    che da ragioni. La ragioneinfatti ci che giustifica, la causa ci che deter-mina, il motivo ci che spinge. Ragione, causa e motivo rispondono tutti alladomanda perch?, ma una cosa fornire una spiegazione logica delle nostrescelte, altra cosa indicarne una causa oggettiva e controllabile, altra ancora addurre un motivo soggettivo e valido solo per me.

    Con questa consapevolezza e con lintento di dibattere concretamentesul dibattito, il 18 e 19 novembre 2010 si sono riunite a Padova sette as-sociazioni (ACPD, APOGEO, ERGO, IASC, TORNEO CON ACENTO,

    WDI, ZIP) e studiosi-operatori di sette diverse nazioni (Cile, Israele, Italia,

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    Messico, Slovenia, Spagna, Stati Uniti) per confrontarsi sul valore e sui limiti

    di una formazione al dibattito. Titolo del convegno-laboratorio:Argomentarele proprie ragioni: come organizzare, condurre e valutare un dibattito.Il volume frutto dei colloqui intercorsi durante e dopo quelle giornate, oltre la contin-genza dellincontro.

    Argomentaree non dimostrare, perch entrambi gli atti, pur avendo il me-desimo scopo di provare qualcosa per via inferenziale, sono di natura assaidiversa.

    Ragioni, e non ragione, perch nel dibattito contano le ragioni plurali,conta chi ha pi ragioni o meno torto dalla sua e contano anche la quantit eil modo, oltre che la qualit e le pertinenza.

    Leproprie ragioni,perch, se pur vero che non posso conoscere la miaverit se non conosco la verit degli altri, a ognuno il suo compito: io pos-so comprendere e debbo tenere conto delle ragioni altrui, ma non farmenenecessariamente carico; sar linterlocutore-oppositore che sapr/dovr difen-derle al meglio, quando, come succede perlopi, il contesto controversiale

    e polemico.Questi tre termini caratterizzano e definiscono il dibattito, un atto davvero

    vitale, ma poco tematizzato.Come organizzare, condurre e valutare un dibattito il sottotitolo: a Padova,

    che stata la prima sede universitaria ad introdurre un corso di Teoria dellar-gomentazione, tuttora unico in Italia; in Italia dove una volta si esercitava lapreziosa logica maior, che quella sostanziale e discorsiva, e dove un tempo

    vivevano retori felici, si voluto riflettere su quellatto tipicamente ed esclu-sivamente umano che il dibattito. Un buon dibattito, per quanto scontrosoe polemico possa essere, consente di far emergere quanto di meglio si possadire, quanto di meglio sia mai stato detto e scritto. Un buon dibattito quelloin cui si confrontano due interlocutori, ciascuno dei quali riconosce il diritto,accetta il doverema gode altres delpiaceredi discutere.

    Razionale una persona a cui importa pi di imparare che di avere ragio-ne diceva il liberale Karl Popper, per il quale liberale la persona consapevole

    della propria e dellaltrui fallibilit, e della propria e dellaltrui ignoranza.

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    Tra filosofi e oratori-retori c sempre stato antagonismo, perch il filo-

    sofo mira alla verit in s, loratore mira alla verit in comunit. Verit ededucazione discorsiva-negoziazione sono due valori che si possono contem-perare nel dibattito, in quellarte, la dialettica, che un tempo era qualifica-ta liberalee che oggi definiremmo liberante. Liberante perch promuove lalibert di pensare, la libert di esprimeree la libert di replicare. Liberanteperch incoraggia il pensiero indipendente e, come recita lo slogan appa-rentemente paradossale della campagna promozionale della storica Enciclo-

    pedia Filosoficaconcepita dal Centro di Studi Filosofici di Gallarate ed ora(2010/2011) riproposta, a distanza di sessantanni, in nuovissima rielabora-zione da Rizzoli/RCS, il pensiero degli altri che ci aiuta a pensare con lapropria testa.

    Le sette Associazioni, impegnate in questa sfida teorico-educativa, alfabeti-camente ordinate, sono le seguenti.

    ACPD Associazione per una Cultura e la Promozione del Dibattito,

    lesito di un progetto di formazione al dibattito, chiamato Palestra di Botta erisposta, avviato a Padova dal 2006 e collegato al corso di Teoria dellargomen-tazione attivata dal 2001 nelluniversit patavina. Si propone di introdurrenella scuola la metodologia del dibattito regolamentato. Ispirato allidea chela discussione sia non solo un diritto del singolo e un dovere civico, ma al-tres un piacere, il progetto si attua in forma di torneo a cui partecipano stu-denti degli istituti di istruzione secondaria. (http://www.educazione.unipd.it/

    bottaerisposta)

    APOGEO Acronimo che sta per Analisi Progettazione Organizza-zione Gestione Operativa, Agenzia di formazione fiorentina diretta da Pa-olo Boschi e Lucia Sprugnoli. Opera in diversi settori dintervento, dallaformazione manageriale alla sviluppo della comunicazione e interna edesterna, dal counselling psicologico allacting teatrale (bisogna anche ap-prendere la spontaneit dei gesti in un dibattito). Gestire tempo, conflit-

    ti e frustrazioni, riunioni, collaboratori e colleghi impossibili. Superare

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    lansia e vincere lo stress (condizioni psicologiche rilevanti e ricorrenti

    in un dibattito). Arte del comunicare ma anche del tacere. (http://www.apogeoform.net)

    ERGO Associazione di Pratica e Teoria dellargomentazione. Costitui-tasi nel 2008, ricorrenza del 50 anniversario della pubblicazione del Trattatodellargomentazione di Cham Perelman e del volume di Stephen Toulmin,Gli usi dellargomentazione, per iniziativa di Adelino Cattani, Paola Cant,

    Italo Testa e Paolo Vidali, vorrebbe abbinare teoria e pratica, privilegiando,fin dalla denominazione del gruppo, la pratica alla teoria, lapplicazione e latrasferibilit delle analisi teoriche. Meglio che qualcosa funzioni anche senzaavere completa cognizione del perch (questo sarebbepratica) anzich nientefunzioni avendo tutti piena cognizione del perch (questo spesso la teoria).Lauspicio che teoria e pratica del dibattito si saldino. Cfr. La svolta argomen-tativa. Cinquantanni dopo Perelman e Toulmin. Loffredo 2009. (http://www2.unipr.it/~itates68/ARGO.htm)

    CEAR Centro de Estudios de la Argumentacin y el Razonamiemto,costituito presso lUniversit Diego Portales di Santiago del Cile e diretto daClaudio Fuentes e Cristian Santibaez, che da oltre cinque lustri conducono,in varie forme, unintensa e diffusa opera di formazione al dibattito nelle scuo-le cilene. (http://www.cear.udp.cl)

    CON ACENTO. una iniziativa ideata e animata da Antonio MartnSnchez, rivolta a giovani universitari spagnoli della regione Andalusa. un torneo di dibattito, nellambito del Club di dibattito dellUniversitPablo de Olavide di Siviglia, che intende valorizzare i talenti di intelligen-za, di partecipazione, di impegno dei giovani e della societ andalusa, permezzo del poderoso strumento della parola, delloratoria e della dialettica,allinsegna della semplicit unita alla precisione, della convinzione unitaallapertura, del dinamismo unito allattenzione, della seriet unita alla di-

    sinvoltura. (http://debateconacento.com/quienes.html)

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    IASC International Association for the Study of Controversies. Fondata

    nel 1995 e presieduta da Marcelo Dascal, dedicata alla elaborazione di stru-menti idonei per lo studio e la gestione delle controversie, soprattutto filosofi-che e scientifiche, nella convinzione che la controversia, in tutte le sua forme,dalla polemica virulenta alla discussione pacata, sia il motore del progresso inogni campo. (http://tau.ac.il/humanities/philos/iasc)

    WDI World Debate Institute, Universit del Vermont, USA. Diretto

    da Alfred Snider e attivo dal 1982, il WDI nel corso di un trentennio ha for-mato addestratori e giudici di dibattito di 50 diversi paesi in tutto il mondo,rivolgendosi primariamente ai paesi emergenti e in cui ancora non si diffusala pratica del dibattito formativo, con spirito missionario, mirando ad unosviluppo delle capacit dibattimentali, nella convinzione che una comunit incui si discute liberamente e con competenza sia anche una societ potenzial-mente pi pacifica e pi giusta. (http://worlddebateinstitute.blogspot.com;http://debate.uvm.edu/debateblog/wdi)

    ZIP Za in proti, Zavod za kulturo dialoga- Pro et Contra, Institute forCulture of Dialogue, Ljbljiana, Slovenia. Diretto da Bojana Skrt, responsabiledella Debate Academy Slovena, ZIP, un acronimo che, in lingua slovena, staper Pro e contro, un Istituto per la cultura del dialogo ed un programmadi vasto respiro rivolto a scuole di diversi paesi di ogni livello, dalle mediealluniversit, che mira a diffondere, con tutti i mezzi disponibili, attraverso

    workshops, forum, tornei di dibattito, tavole rotonde, manuali e trasmissioniradio-televisive, la cultura del dibattito. Ad oggi, nellarco di 6 anni ha orga-nizzato oltre 150 eventi, con pi di 5000 partecipanti ed ha costituito pi di60 gruppi di dibattito nelle scuole medie della Slovenia. (www.zainproti.com).

    Il volume diviso in due parti, la prima prevalentemente teorica, la secon-da prettamente operativa. Nella prima si tratta dei fondamenti e delle finalitdi una formazione al dibattito. La seconda dedicata allorganizzazione, alla

    conduzione e alla valutazione del dibattito.

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    Lintroduzione di Adelino Cattani esamina il rapporto, da sempre pro-

    blematico, tra filosofi e retori, rilevando quanta retorica ci sia nella filosofiae quanta filosofia ci sia nella retorica, a dispetto dellantica ostilit fra le due.

    Il tema del disaccordo, della sua genesi e possibilit di superamento, alcentro e nel cuore dellinteresse di Manuele De Conti, infaticabile promotoredi queste iniziative di dibattito formativo e cofondatore della Associazione peruna Cultura e la Promozione del Dibattito - ACPD. Se De Conti tratta dicomegestire il disaccordo, di comegestire stereotipi e fenomeni similisi occupa

    Rafael Jimnez Catao,docente nellUniversit della Santa Croce di Roma.Membro della IASC International Association for the Study of Controversies,egli assiduamente attivo anche in Messico. Al laboratorio padovano del 18-19 novembre 2010 era presente, con un intervento sul tema Arguing our re-asons and other reasons for arguing. Controversies theory and political debite,Amnon Knoll, della School of Philosophy di Tel Aviv, dove opera MarceloDascal, fondatore e presidente della IASC.

    Paolo Boschi, direttore dellAgenzia di formazione Apogeo, di Firenze,

    discute, con chiari esempi illustrativi, quella che, sulla falsariga della episte-mologica pregnanza teorica delle osservazioni, potremmo chiamare la pre-gnanza valoriale dei fatti in un contesto di scambio dialogico/polemico.

    Infine Paola Cant e Italo Testa, ispiratori e membri cofondatori di Ergo,propongono unanalisi della stampa come momento di formazione al dibattito.

    Chiude la sezione dedicata ai fondamenti e alle finalit, il contributo di Al-fred Snider, un apostolo del dibattito, che dirige il World Debate Institute.

    Snider testimonia la rilevanza del dibattito visto come condotta critica peril nuovo secolo, come strumento di cambiamento e di promozione individua-le, scolastica e sociale, i cui esiti sono documentati sia da numerose singoleesperienze (tra cui la sua personale) sia da nascenti ricerche sperimentali sulcampo a lungo termine.

    La parte operativa aperta dallintervento del direttore del Torneo de De-bate con Acento, attivato presso lUniversit Pablo Olavide di Siviglia, Anto-nio Martn Sanchez, il quale riferisce dellesperienza organizzativa spagnolo-

    andalusa in tema di formazione al dibattito competitivo.

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    DallAmerica Latina, precisamente da Santiago del Cile, dove da alcuni

    decenni si sviluppato un forte interesse teorico e pratico per largomenta-zione, Claudio Fuentes Bravo e Cristian Santibnez Yez, che gestiscono ilCEAR, Centro de Estudios de la Argumentacin y el Razonamiemto, costi-tuito presso lUniversit Cilena Diego Portales, delineano i vantaggi di unatrattazione teorica e di una progettazione pratica di natura dialogico-cognitivadel dibattito accademico-formativo a fronte di una trattazione-progettazionetradizionale.

    Caterina Bottecchia e Roberto Falduti, due docenti padovani pionieri inquesta attivit di formazione scolastica al dibattito, mettono a frutto e a di-sposizione la loro competenza filosofica e lesperienza acquisita in qualit dieducatori e di addestratori di torneo. Con acribia e con verificata convinzio-ne, Caterina Bottecchia evidenzia nella Palestra di botta e risposta la natura diun percorso di autentico arricchimento formativo, proponendo altres spe-rimentati esercizi idonei a conseguire gli obiettivi educativi fondamentali ea superare le difficolt di comunicazione che intervengono nel processo di

    insegnamento-apprendimento.Roberto Falduti dedica il suo intervento ad un riesame anche operativo, al

    microscopio, dellesperienza finora condotta, sulla base delle effettive disputesvolte nella Palestra di botta e risposta.Minuziosa la sua analisi di una disputasul tema corretto chiamare scienze le scienze umane?, sorretta da puntua-li considerazioni teorico-pratiche.

    Senofonte Nicolli, dirigente scolastico e supervisore nella Facolt di Scien-

    ze della Formazione nellUniverist di Padova e Alberto Riello, incaricatodallUfficio Scolastico Regionale del Veneto di progetto di educazione al te-atro, un vero form-attore, sottolineano limportanza dellazione oratoria della comunicazione non verbale e del linguaggio del corpo perch non disole parole vive luomo che discute e si nutre il dibattito.

    Chiude il volume il contributo di Giulio Zennaro, professore di filosofia estoria nel liceo Concetto Marchesi di Padova, la cui squadra si aggiudicato iltitolo di magnifico disputante nel Torneo di disputa Palestra di botta e rispo-

    sta dellanno 2010, sulla base di una pionieristica esperienza di formazione

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    al dibattito scolastico, tratta della disputa filosofica come esperienza didatti-

    ca nella prospettiva dellargomentare inteso come forma di dialogo. Zennarooffre un succinto e pregnante epilogo che evidenzia chiaramente la naturacreativa e ricreativa della disputa esercitata nel quadro di una Palestra di bottae risposta, il cui valore riassumibile in quattro punti: 1. lessere, in primoluogo, una sfida e una competizione regolamentata che favorisce la crescita deipartecipanti; 2. il consentire di imparare dai propri errori e dalle sconfitte; 3.il privilegiare negli studenti lattivit di ricerca rispetto alla ripetizione mne-

    monica; 4. lindurre nella classe un atteggiamento di cooperazione efficacevolta a raggiungere un obiettivo comune. Si aggiunga lobbligo di individua-re una preliminare, inderogabile premessa di partenza condivisa, se si vuoleintraprendere qualsiasi dibattito che non sia tra sordi: sembrer paradossale,ma la condizione per discutere di essere daccordo (daccordo su un puntodi partenza comune). Tale premessa condivisibile, pu ricercarsi, ad esempio,nei pi generali diritti umani. Detto in breve, la disputa privilegia il dialogocome metodo e largomentazione come regola, al motto di mai imporre, ma

    sempre spiegare e proporre allassenso.

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    ADELINO CATTANI

    Filosofi e retori

    Abstract

    Lintervento prende le mosse dal duplice quesito: Se e quanta filosofia ci sia nella

    retorica e se e quanta retorica ci sia nella filosofia. La domanda pu suonare sorpren-dente, perch tra filosofia e retorica c sempre stato antagonismo. Lo scontro tra

    filosofi e oratori verte essenzialmente sul rapporto pensiero/linguaggio e sulla rispet-

    tiva concezione di bene: il parlare bene dei filosofi e il parlare bene degli oratori/

    retori. Per il filosofo il bene dicendiconsiste nel dire il vero e il giusto, per loratore

    consiste nel comunicare in maniera persuasiva. La verit, la nuda verit, anche

    quella filosofica, dovrebbe parlare da s e non dovrebbe avere bisogno di orpelli reto-

    rici. Ma una considerazione sia storica sia teorica attesta che la retorica non assente

    dalla filosofia. Anzi si pu sostenere che ogni argomento filosofico inevitabilmente

    retorico e la retorica una forma di filosofia. Perch, per dirla aforisticamente: biso-

    gna avere ragione e bisogna saperla esprimere, ma non basta; bisogna anche riuscire

    a farsela riconoscere.

    1. Filosofia e retorica

    Il rapporto tra filosofia e retorica da sempre stato problematico. Una delleragioni riconosciute il fatto che la storia della retorica come la storia diuna disciplina che si accorciaLa retorica venne morire quando il gusto perla classificazione delle figure soppiant il senso filosofico che animava il vastoimpero retorico, ne teneva insieme le parti e collegava il tutto allOrganonealla filosofia prima (Ricoeur 1976, p. 190).

    Si cercher qui di rispondere allinterrogativo Se e quanta filosofia ci sia

    nella retorica e se e quanta retorica ci sia nella filosofia.

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    18 ADELINO CATTANI

    A tale fine consideriamo in primo luogo che cosa ha fatto/fa chi pratica la

    filosofia e che cosa ha fatto/fa chi pratica la retorica.Che cosa fanno, oggi, i retori? Dopo una lunga eclissi, la retorica tornata

    prepotentemente tornata alla ribalta del sapere in due forme: come teoria ge-nerale del discorso e della comunicazione (retorica come tecnica pregnante etotalizzante, limpero della retorica,pi vasto e pi tenace di qualsiasi imperopolitico - R. Barthes ) e come teoria dellargomentazione (retorica comeantidoto alla violenza e garanzia della democrazia, la retorica delle buone

    ragioni - Ch. Perelman).Che cosa fanno i filosofi? Qualcuno, molto autorevole, ha sostenuto, sem-plicisticamente e drasticamente, che la filosofia morta, che non ha pi nullada dire: ci basta, ci occorre la scienza per spiegare il mondo lo sostengono,ad esempio, Stephen Hawking e Leonard Mlodinow nel loro recente volume,Il grande disegno. Ma per fortuna qualche filosofo in circolazione c ancora.Che cosa fa?

    Dimostra? La risposta chiaramente no, perch la filosofia storicamente

    una sequenza ininterrotta teorie rivali e di pensatori in contrasto fra di loro.Spiega? La risposta : cerca di spiegare, ma la sua spiegazione non mai

    definitiva; mai un filosofo risponde con un s o un no decisivi. E pretenderlosarebbe come chiedere ad un tennista di fare goal, per usare una celebre im-magine di origine neopositivistica.

    I filosofi non dimostrano e non spiegano, ma argomentano e largomenta-zione lo strumento della retorica e della controversia.

    2. Filosofi contro retori

    Platone contro Isocrate, Boezio contro Cassiodoro, omas H. Huxleycontro Matthew Arnold, John Dewey contro Jacques Maritain costituisco-no tutti diversi, opposti punti di vista, quello filosofico e quello oratorio chehanno interagito in modo controversiale lungo tutta la storia del pensiero e

    delleducazione dallantichit ai giorni nostri.

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    In una ipotetica competizione tra filosofi fautori e detrattori della retorica,

    la squadra dei contrari sarebbe preponderante per numero e in forza.Oltre a Platone, una drastica condanna della retorica, giudicata ingannevo-

    le e menzognera, pronunciata da John Locke: la retorica, quel potente stru-mento d'errore ed inganno come il bel sesso ha in s fascini troppo potentiper tollerare che mai si parli contro di essa. E vana cosa denunciare quellearti dell'inganno, nelle quali gli uomini trovano piacere a essere ingannati.(Locke 1999, III, X, 34, p. 572 ).

    Anche Kant si schiera con i detrattori dell'ars oratoria, intesa come artedi persuadere, ossia di abbindolare, con una bella apparenza: l'arte oratoria,in quanto arte di servirsi della debolezza umana ai propri fini (siano suppostio siano realmente buoni quanto si voglia), non merita alcuna stima. I motividella sua condanna, che riecheggia temi e idee antiche, sono spiegati in una notadella Critica del Giudizio(Critica del Giudizio, Sez. I, libro 1, par. 53)e sonoriassumibili nella avversione per la parola impura, asservita e liberticida, di cui laretorica pare l'istituzionalizzazione Critica della Ragion Pura, II, cap. II, sez. III.

    A dispetto dei giudizi espressi dai filosofi sulla retorica, di cui i precedentisono solo una minima campionatura, a met del secolo scorso si riaffermatalimportanza anche filosofica della retorica, ben espressa, ad esempio, da Erne-sto Grassi. Il filosofo italo-tedesco si occupato in particolare del rapporto traretorica e filosofia giungendo alla sorprendente convinzione per cui la retoricanon sarebbe una semplice modalit di espressione finalizzata alla persuasio-ne, bens un atto costituivo e fondante del pensare umano: la retorica non

    qualcosa che si aggiunge alla verit filosofica; la fonte di questa verit.(Grassi 1980). Grassi vede nella retorica il punto di partenza della filosofia,non viceversa1.

    1 Grassi valorizza lumanesimo italiano, contro la tradizione scientista. Considera centralila metaforicit e lingenium che si manifestano nellimmaginazione, nellattivit e nel linguag-gio. Solitamente si ritiene che la metafora non sia altro che un decoro linguistico che nullaaggiunge alla sua sostanza.

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    Tra i pensatori moderni, il primo ad aver portato l'attenzione sulla di-

    mensione ineludibilmente retorica della parola stato Nietzsche (Nietzsche1912). Nietzsche ha non solo parlato di retorica ma ha parlato, e fatto filo-sofia, retoricamente; al punto che stato considerato un poeta manipolato-re, un retore-oratore appunto. Qualcuno lha definito un filosofo contro ifilosofi.

    Ci prova una volta di pi, se ce ne fosse bisogno, che la filosofia es-senzialmente e irrimediabilmente controversiale. Lo non tanto nel senso

    banale per cui non c tesi che un qualche filosofo non abbia sostenuto (se nelamentavano sia loratore Cicerone sia il filosofo Cartesio), quanto nel sensopi pregnante per cui la filosofia un perenne confronto di posizioni diversee contrarie.

    Sia Cartesio sia Nietzsche sono considerati dei filosofi, ma il primo fa fi-losofia in maniera articolata, rigorosa e conformemente ad un modulo logi-co-sillogistico, il secondo in maniera sentenziosa e in forma esplicitamenteretorica. Parimenti, prendiamo Aristotele e Kiekegaard, leggiamo un testo di

    Kant ed uno di Wittgentsein, confrontiamo Heiddeger e Carnap: se tutti sonoa ragione definibili filosofi, significa che filosofia si dice in molti modi, e lafilosofia contempla contenuti e stili quantomai diversi. Qual la differenzatra i pensatori menzionati, se tutti sono filosofi? Ci che li distingue unaparticolare retorica filosofica (Grassi 1980).

    Oggi tendiamo ancora a prendere le distanze dalla retorica. La tradizioneoratoria e quella filosofica hanno divorziato; discorso e ragione, oratioe ratio

    rimangono due approcci concorrenti.Certamente gli oratori dellantichit erano dogmatici: ritenevano che ilcompito delleducazione fosse impartire la verit.

    Certamente la retorica deterior in sofistica.Certamente la retorica divenne poco a poco una vacua arte declamatoria.Ci giustifica la condanna e i giudizi costantemente negativi pronunciati

    dai filosofi nei confronti della retorica, considerata corrotta e corruttrice sottotutti i punti di vista, per i suoi intrinseci vizi di natura cognitiva, metodologi-

    ca, etica e sociale. La retorica stata infatti giudicata:

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    - un ragionare viziosoperch infondata o fondata su basi irrazionali o

    a-razionali;- una procedurafallaceperch superficiale, aforistica, entimematica;- unarte ingannevoleperch indifferente alla distinzione vero/falso o,

    peggio, capace di spacciare il falso per vero.-pericolosaper la sua parzialit, demagogia e potere seduttivo.

    Quando poi la retorica si esercita sul dibattito, c il timore che essa crei

    solo individui brillanti che hanno sempre una risposta apparente per tutto ein ogni occasione, cio disputanti capaci di trovare argomenti fasulli e falseragioni, che sanno sempre come replicare e come mentire.

    3. Filosofia, retorica e verit

    Ma da quando il filosofo ha incominciato ad interrogarsi pi problemati-

    camente sulla verit, integrando il suo interrogarsi sul vero con la clausola ifany e da quando il retore ha ripreso a coltivare i fioretti dialettici oltre chei suoi fioretti retorici, il rapporto tra filosofia e retorica un po cambiato.

    In particolare da quando la filosofia ha preso a occuparsi a fondo del lin-guaggio, il come dire(la forma) non pi in insanabile conflitto con il cosadire(il contenuto).

    Infine, da quando la filosofia fa i conti con la controversia, il filosofo, attore

    solitamente alquanto monologico e solipsistico, deve fare i conti con la dispu-ta, con la disputa intesa sia come forma di scambio dialogico-cooperativo siacome forma di scambio polemico-competitivo.

    Cos oggi possiamo dire che, accanto ai suoi noti limiti e vizi, alla retoricasono riconosciuti i seguenti pregi e valori.

    Dal punto di vista cognitivo, la retorica pu fornire schemi euristicamentevalidi a cogliere i molteplici aspetti del reale.

    Dal punto di vista metodologico, associata con apertura critica.

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    Dal punto di vista etico, associata con prudenza ed antiautoritarismo

    Dal punto di vista sociale, nel contempo indice e promotrice di aperturamentale o se vogliamo dirlo retoricamente, nel tradizionale senso del ter-mine di antidogmatismo, democrazia, tolleranza,

    4. Filosofia e retorica nel dibattito

    Queste quattro dimensioni della retorica e la retorica stessa caratterizzanoquella peculiare attivit umana che contraddistingue luomo, vale a dire ilprocesso del discutere/dibattere.

    Anche in un dibattito si possono utilmente distinguere una dimensionelogico-cognitiva, una metodologica, una etica ed una sociale.

    Il dibattito la terza via tra il monologo e il dialogo, la terza opzione traun duetto e un duello. Un ping-pong di ragioni che rimbalzano da una parteallaltra pare una valida alternativa allindifferenza e allo scontro.

    E se lo scopo di una buona discussione quello di trasformare una con-trapposizione di argomenti (un pro eun contro, un x vale quanto y) in unmodulo selettivo (un pro oun contro, un x migliore di y perch) che con-senta una valutazione ponderata e quindi una scelta fra due posizioni, rientrain essa sia una dimensione filosofica sia una dimensione retorica.

    Nella dimensione filosofica rientrano le regole e i doveri dialettici (logi-ci ed etici) del disputante, operanti a livello normativo (ci che si dovrebbe

    fare).Nella dimensione retorica rientrano le mosse e i dirittioratri(comportamentali e sociali) del disputante, individuabili sul pianodescrittivo (ci che si fa).

    Abbiamo regole dellonesta e leale discussione e mosse dellabile polemi-sta, e di conseguenza due diversi livelli di analisi, quello normativo e quellodescrittivo.

    Il livello descrittivo ci offre una rappresentazione realistica di una situazio-

    ne concreta, il livello normativo ci offre un codice di condotta per ottenere il

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    massimo e il meglio da un dibattito, al fine di elaborare un insieme di stru-

    menti utilizzabili e non utopici per chi discute.Le regole e i diritti filosofici codificati del dibattito sono del tipo:

    1. Non ritenerti infallibile.2. Cerca un punto di partenza comune.3. Attieniti a ci che ritieni vero.4. Porta le prove richieste dallinterlocutore.

    5. Non sfuggire alle obiezioni.6. Non scaricare lonere della prova.7. Sii pertinente.8. Sii chiaro.9. Non deformare la posizione della controparte.10. In caso di dubbio, sospendi il giudizio, se possibile.

    Ma che fare se lavversario non rispetta queste regole e questi doveri? Le

    ipotesi di risposta che comporta questo problema non sono state finora ade-guatamente considerate nel processo educativo.

    Un decalogo integrativo non un controdecalogo di mosse e diritti re-torici potrebbe essere il seguente.

    1. Abbiamo il diritto di mettere tutto in dubbio.2. Abbiamo il diritto di non esplicitare i fatti e gli argomenti sfavore-

    voli.3. Abbiamo il diritto di sottrarci alla strategia dellavversario.4. Abbiamo il diritto di difendere noi stessi e le nostre posizioni.5. Abbiamo il diritto di concludere il nostro discorso. (Diritto elemen-

    tare, ma non sempre riconosciuto quando si discute).6. Abbiamo il diritto di aspirare alla vittoria.7. Abbiamo il diritto di usare i nostri argomenti.8. Abbiamo il diritto di rivolgerci ad una terza parte (giudice, pubblico,

    mediatore).

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    9. Abbiamo il diritto di essere giudicati per quel che diciamo e non per

    quel che abbiamo fatto.10. Abbiamo il diritto di cambiare daccordo con la controparte le re-

    gole della discussione. Il dibattito infatti lunico gioco in cui leregole possono stabilirle e concordarle i giocatori.

    Sono queste le mosse descrittive di uno scambio fattuale che si aggiungonoalle regole normative di una discussione ideale.

    Abbiamo bisogno diritti e di doveri, di regole e di mosse. Diceva John StuartMill nella sua opera dedicata alla libert di parola e di espressione: sono necessariinsieme lordine e la rivoluzione, luguaglianza e la propriet, la cooperazione ela competizione perch luno limiti reciprocamente gli eccessi dellaltro: ciascu-no di questi modi di pensare/agire deriva la sua utilit dalle carenze dellaltro:ma in larga misura lopposizione dellaltro a mantenere ciascuno nei limiti delragionevole buon senso (Mill, 1859, p. 48; 1999, p. 54).

    Logica e retorica, dimostrazione e argomentazione vanno a braccetto nel

    dibattito. Loratore e il disputante devono a essere attrezzati sia di strumentilogici che di strumenti retorici. Non basta pensare bene, occorre parlare bene.Bisogna avere ragione, bisogna saperla esprimere, bisogna riuscire a farselariconoscere.

    In un dibattito il problema riguarda non tanto luso di mosse retoriche(che sembra inevitabile), ma il fatto che chi vi partecipa non sia capace diindividuare e di neutralizzare le fallacie, intenzionali o involontarie, gli errori,

    i trucchi. Se uno si serve di mosse retoriche, sar compito della controparteidentificarle e rintuzzarle.Certo, spesso chi discute platealmente parziale, usa argomenti capziosi,

    espone la questione in modo impreciso, utilizza dati e argomenti unilaterali,travisa lopinione avversa, magari in buona fede. Nelle discussioni accese ilpolemista ricorre intenzionalmente ad invettive, al sarcasmo, ad attacchi per-sonali, a mosse sleali. Ma quanto diceva Martin Luther King a proposito deidiritti civili applicabile anche al dibattito che si vorrebbe civile: Ci che

    deve preoccupare non lurlo delle gente brutale, ma il silenzio degli onesti.

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    Sicuramente il connubio di comunicazione e conoscenza, la combinazione

    di arte della parola e scienza lideale auspicabile: sapientia cum eloquentiae eloquentia cum sapienta era il celebre chiasmo ciceroniano (Cicerone, DeInventione, I, 1).

    Quella prodigiosa alleanza tra pensiero e parola che gli antichi avevanovoluto fu rotta dai discepoli di Socrate che allontanarono da s gli oratori e liprivarono del nome di filosofo che prima era comune agli uni e agli altri (Deoratore, III, 19, 73).

    Il ristabilimento di quella mirabile alleanza ripristinerebbe anche il signifi-cato, la funzione e la forza del logos, concetto cruciale diventato ambiguo. Nonragione o parola, ma ragione eparola, vale a dire quel logosche ci ha permessodi perfezionare quasi tutto ci che abbiamo acquisito civilmente. Infatti illogosche ci ha fornito i criteri di giusto e sbagliato, di onesto e disonesto, prin-cipi senza i quali non saremmo in grado di vivere in societ il parlare bene per noi la prova pi sicura del pensare bene grazie al logos che discutiamodi ci che controverso e che indaghiamo ci che oscuro. In una parola, al

    logosfanno capo tutte le azioni e i pensieri e coloro che se ne servono sono ipi saggi di tutti gli uomini (Isocrate,Antidosis, 254-257).

    Per questo Isocrate reclamava per loratore il titolo di filosofo, perch asuo giudizio laltezza filosofica era raggiunta dalleloquenza oratoria.

    Se un buon uso della parola lindizio pi sicuro di un buon ragionamen-to, come dice in modo interessato ma condivisibile Isocrate, un buon uso deldibattito il segno pi sicuro di una buona societ, perch, potremmo dire,

    con Kimball, Socrate aveva ragione se parliamo della verit, gli oratori aveva-no ragione se parliamo della societ (Kimball 1995, p. XIX).Dibattere unarte liberale e liberante. La persona perfettamente edu-

    cata in tutte quelle arti che sono degne di un libero cittadino colui che haacquisito la libert di pensare, la libert di dire e, pi importante ancora, lalibert di controargomentare in una comunit in cui si valorizzi al massimoil pensiero indipendente la comprensione (nel suo duplice senso di atto dicapire e di atto di far proprio) con il fine di utilizzare il meglio che sia stato

    pensato e detto nel mondo.

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    Cicerone si pone allinizio del suo De inventione(1, 1) questo interrogati-

    vo: se sia maggiore il bene o il male che ha arrecato alla societ e agli uominila copia dicendie leloquentiae studium, cio la retorica.

    Sulla base delle precedenti considerazioni, la nostra risposta : la retoricaha arrecato danni, ma pu arrecare bene se una sufficiente libert/abilit diparola (parresia) distribuita in maniera sufficientemente paritaria ed egalita-ria (isegoria). E questa felice combinazione si ha con lintroduzione sulla scenadel teatro filosofico, accanto al pensatore-protagonista, di un secondo perso-

    naggio che svolga il ruolo di antagonista, di interlocutore o di oppositore, esulla scena pedagogico-sociale con lintroduzione di una adeguata educazionefilosofica abbinata da una formazione al dibattito, come avveniva nella buonatradizione della disputatioscolastica medioevale.

    Filosofia retorica e retorica filosofica possono sembrare due ossimori. Cer-to quella retorica pi unarena passionale, quello filosofico pi un asetticolaboratorio. In unarena sono solleticate le passioni, in un laboratorio contanoi dati. Nella prima le conclusioni sono raggiunte per deliberazione, nel secon-

    do sono il risultato di uninferenza logica.In realt c molta retorica nella filosofia e c molta filosofia nella retorica.

    Anzi, di pi: ogni filosofia retorica. E un filosofo un oratore-retore quasisempre a propria insaputa.

    Come la retorica, la filosofia un mezzo e non un fine. uno strumento.Uno strumento per pensare autonomamente (con la propria testa) e creativa-mente (in modo nuovo e fruttuoso), per produrre argomenti convincenti o

    almeno persuasivi e per giudicare in modo critico (nel doppio senso che ha iltermine critico, ossia in modo valutativo e in modo polemico-oppositivo).Come la dialettica, la filosofia simile alla retorica e da essa diversa, ne

    lanalogo e la controparte. La retorica a sua volta sia subordinata sia coordi-nata rispetto alla filosofia. Ne lantistrophos, per riprendere il discusso termi-ne introdotto da Aristotele per designare rapporto problematico che sussistetra dialettica e retorica. Rapporto che esprimerei in questo modo: entrambeutilizzano la medesima struttura inferenziale, ma mentre la filosofia dovrebbe

    partire dalle premesse per ricavarne una conclusione convincente, la retorica

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    parte dalla conclusione, che gi certezza del retore, per cercare e esplicitare le

    premesse che rendano tale conclusione accettabile alluditorio.In retorica si assumono le conclusioni che si presume siano sostenute e le-

    gittimate da certe premesse, mentre in filosofia si assumono le premesse che sipresume sostengano e legittimino una certa conclusione. Nelluno e nellaltrocaso si parte da assunzioni che bisogna giustificare, non da dati. E la giustifica-zione si costruisce nel dibattito o meglio in quella che un tempo si chiamavala disputatio.

    Cera una volta la disputatio, che combinava insieme dialogo e polemica,ragione e astuzie della ragione, comprensione e persuasione..Potr mai la disputa tornare ad essere, come nei tempi passati, la forma del

    dialogo e il mezzo di formazione al dialogo? Torneranno ad esserci, oltre cheretori, anche disputanti felici? Anche se mai torner unepoca storica in cui laretorica sia, con la filosofia, il vertice massimo delleducazione e del sapere,una buona teoria e una buona pratica dellargomentazione possono ricosti-tuire lequilibrio del chiasmo ciceroniano sapientia cum eloquentia, eloquentia

    cum sapientia.Sempre sia lodato il dialogo: il dialogo latteggiamento giusto per chi vive

    in comunit. Ma sempre sia lodata anche la polemica: la polemica latteggia-mento giusto per chi vuole comprendere.

    Latteggiamento dialogico-cooperativo pi conforme ad uno spirito di ve-rificazione: la discussione in ottica cooperativa mira trovare le soluzioni piaccettabili o le conclusioni pi condivise. Latteggiamento polemico-competi-

    tivoinvece conforme ad uno spirito di falsificazione, per cui la discussionefunge da filtro per individuare le carenze e i limiti delle proposte.Concordia o verit?Pax aut veritas? Senza necessariamente dover operare

    un rovesciamento dei valori alla Nietzsche, una composizione di queste dueesigenze sembra possibile ed necessaria.

    possibilese consideriamo gli aspetti dialogici insiti nella controversia enel dibattito polemico: chi accetta di discutere con qualcuno riconosce valoreallinterlocutore, lo ascolta e prende in considerazione il suo punto di vista e,

    difendendo le proprie idee, insieme cerca di confutare le sue.

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    necessaria se puntiamo ad una verit che va ricercata e non ad una verit

    che va trasmessa e impartita. A render liberi non solo la verit, secondo ildettato evangelico, ma anche la semplice ricerca della verit.

    Il modello educativo contemporaneo si ispira naturalmente pi agli idealifilosofici che a quelli oratori-retorici. Ma non stato sempre cos. Nel passatola cultura pedagogica stata debitrice pi a pensatori come Isocrate, Ciceronee Quintiliano che a Socrate, Platone e Aristotele.

    Aristotele aveva anticipato e cercato di risolvere il problema del dire bene

    da filosofo (dire il vero e il giusto) e dire beneda retore (dire il persuasivo),definendo la retorica la facolt di scoprire ci che c di persuasivo in ogni di-scorso. Aristotele quindi intendeva la retorica non come larte di persuadere,ma la capacit di scoprire tutto ci che ha una funzione persuasiva. Una di-stinzione analoga negli anni Sessanta del secolo corso consentiva di mantenerela scienza distinta dagli usidella scienza, per quanto potenzialmente perversie micidiali fossero questi usi. Ma a molti pu sembrare pi una soluzione-scappatoia che una risposta davvero risolutiva.

    Possiamo forse fare un passo avanti rispetto alla mera distinzione, in dire-zione di una fattibile integrazione.

    Come dicevamo, i filosofi hanno di mira la verit in s, mentre gli oratorihanno in mente la verit in comunit: la verit un valore filosofico, mentre lanegoziazione e leducazione discorsiva sono valori sociali; e i due valori vannocontemperati se si aspira ad uneducazione liberale. Si possono, e si devonoarmonizzare, se si concepisce leducazione non come un processo mediante

    il quale si impartisce la verit, ma un processo che favorisca la ricerca dellaverit.Ricapitolando: in attesa che tutti gli uomini buoni diventino bravi e che

    tutti i bravi diventino buoni, si pu auspicare almeno che i filosofi diventinoun po pi oratori e acquisiscano consapevolezza della loro retoricit e gli ora-tori diventino un po pi filosofi e acquisiscano consapevolezza del loro esserequalcosa di pi che teorici e praticanti della retorica.

    Parlare bene indice e causa delpensare bene. Pensare bene significa anche

    pesare i pro e i contro, confrontandosi con gli altri dialogicamente o polemica-

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    mente. Cio pensare bene anche argomentare e controargomentare. E lar-

    gomentazione lo strumento tipico della retorica e della filosofia. In questacircolarit risiede, ritengo, il rapporto tra filosofia e retorica: argomentare unoperazione che ha natura prettamente retorica e ha finalit prettamentefilosofica.

    Per questo riteniamo che una Palestra di botta e risposta in cui si esercitila disputa filosofica come pratica didattica di formazione al dibattito nellascuola (Nicolli e Cattani 2008) sia utile, preziosa e necessaria.

    BIBLIOGRAFIA

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    State University.

    Hawking, St. e Mlodinow, L. (2010), Il grande disegno, Mondadori, Milano..

    Kant, I. Critica del giudizio

    Kant, I, Critica della ragion pura

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    Mill, J. Stuart (1859). On liberty; trad. it. (1999)Saggio sulla libert. Il Saggiatore, Milano.

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    MANUELE DE CONTI

    Gestire i disaccordi

    Abstract

    Ripensare leducazione al dibattito quanto mai importante per valorizzarne la funzione e

    lefficacia non solo tecnica, ma pedagogica. In questo quadro, disaccordo e biascogni-tivo sono due nozioni fondamentali da problematizzare: il disaccordo, inteso come una

    particolare condizione cognitiva, permette infatti di individuare un momento precedente

    alla comunicazione a partire dal quale poterla orientare; lo studio dei bias cognitivi, inve-

    ce, svelandoci nuove prospettive per guardare ai ragionamenti invalidi e fallaci, pu offrir-

    ci modi nuovi per una pi accurata comprensione del mondo e del nostro interlocutore.

    La necessit di pensare a uneducazione al dibattito deriva dal fatto che la

    formazione al dibattito, intesa come addestramento principalmente tecnica,esige dessere integrata con uneducazione civile, ossia uneducazione della per-sona intesa come cittadino, con particolare riguardo alla convivenza sociale.Gi in passato, infatti, le dispute medievali furono tacciate di rendere sfrontatala giovent e di provocare sommosse (Holberg 1994: pp. 36-7). Nel mio in-tervento, quindi, per mostrare limportanza del riferimento a uneducazionecivileai fini della formazione al dibattito, trattegger alcuni dei concetti su cui

    questa formazione potrebbe basarsi, soffermandomi, sui seguenti punti:

    1) limportanza del concetto di disaccordo per unaformazioneal di-battito, che sia anche uneducazioneal dibattito;

    2) limportanza della consapevolezza dei bias cognitivi in questa for-mazione.

    Come si sa, il modo in cui fatti e situazioni sono descritti struttura il nostro

    modo di percepirli e di reagirvi (Lakoff 2004, p. XV). Anche gli antichi retori

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    ne erano consapevoli; in processo il reo poteva essere considerato ladrooppure

    sacrilegoe un comandante, macchiatosi di aver abbattuto le mura di una citt,poteva evitare la condanna dichiarando di averlo fatto per un bene maggiore:la vittoria. E inoltre quanti uomini considerati perseveranti, ossia uomini lacui condotta al servizio di una causa (reputata) buona, sono giudicati daaltri ostinati, ossia al servizio di una causa (ritenuta) sbagliata? Pertanto nonsar lo stesso descrivere uno scambio comunicativo come lite o dialogo. Glistessi dialoghi socratici, ad esempio, si trasformerebbero nelle socratiche liti

    perdendo il loro riferimento pedagogico per acquisirne uno marcatamente po-lemico. Tuttavia ancora pi importante di un corretto uso dei termini laverea disposizione i concetti per indicare o strutturare situazioni differenti: essi,infatti, permettono di cambiare il modo in cui si vede il mondo (Lakoff 2004,p. XV). Noi abbiamo due differenti concetti di disaccordo e conflitto, maesiste una notevole confusione intorno al loro uso. Non sempre, infatti, nellaletteratura specialistica questi due termini sono distinti (Mizzau 2002, p. 21).Meno ancora nella letteratura non specialistica, in cui parlare o interpreta-

    re le circostanze in termini conflittuali permette addirittura di accattivarsi ilpubblico, o alimentare dannose discussioni, come Deborah Tannen lamenta(Tannen 1999).

    Tuttavia possibile individuare una differenza tra disaccordo e stadi a essosuccessivi in cui sarebbero presenti tratti di conflittualit. La conflittualit,considerata come negazione della soddisfazione di un bisogno da parte di unaltro agente, nel conflitto si presenta come azioni o comportamenti recipro-

    camente ostili degli stessi agenti1

    . Essere in conflitto significa opporsi, signi-fica ostacolarsi, significa lottare. Ci non vale per il concetto di disaccordosecondo il quale possibile essere in disaccordo con il nostro interlocutoresenza esprimere questo dissenso, com possibile essere in disaccordo con uninterlocutore a prescindere dal fatto che esso lo sia con noi. Parlare di disaccor-do non significa perci riferirsi a una situazione di reciproca ostilit tra agenti

    1 Questa definizione si pu ritrovare nella concezione di conflitto in senso stretto pre-sentata da Emanuele Arielli e Giovanni Scotto (Arielli, Scotto 2003, p. 10).

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    manifestata attraverso il loro comportamento, ma significa riferirsi a uno stato

    cognitivo che consiste nel non considerare esistente, vero, certo o corretto quantodetto o fatto dal proprio interlocutore, o terzo. In questo senso, non coinciden-do con lesecuzione di unazione o lassunzione di un comportamento, maessendone precedente, il concetto di disaccordo manifesta il suo potenzialeeducativo per una formazione al dibattito e alla discussione. Infatti, da come sireagisce al disaccordo, la relazione tra gli interlocutori di una discussione potressere pi o meno conflittuale (Arielli e Scotto 2003, p. 83) e la discussione

    pi o meno fruttuosa (Eemeren, Grootendorst 1988, p. 281).Tuttavia il concetto di disaccordo non importante solamente perch in-dividua un momento precedente allazione e allespressione su cui interveniresu di esse per poterle orientare. Il disaccordo acquista la sua importanza allin-terno di qualsiasi democrazia perch la dimensione entro la quale i conflittidovrebbero essere ricondotti. Condurre e trasformare il conflitto in disaccordosignifica passare dal bastone alla parola per poter cos accedere alla risorsa delladiscussione (Arielli, Scotto 2003: pp. 161-74) e del dibattito (Branham 1991,

    p. 16-9). Da un punto di vista opposto, essere in disaccordo ed evitare chedegneri in conflitto significa saper dibattere, saper discutere e al tempo stessomeglio convivere (Cattani, in Cattani et all. 2009, p. 17).

    proprio perch il disaccordo individua un momento anteriore allazionee allespressione, e perch strettamente collegato al dibattito come istituto ecapacit sociale, che il concetto di disaccordo assume un ruolo fondamenta-le in uneducazione al dibattito e allargomentazione.

    A sviluppare la ricerca in questa direzione stata la scuola pragma-dia-lettica di Frans van Eemeren. Dal punto di vista di questa scuola centrale ,infatti, il concetto di disaccordo e lo stretto rapporto che esso intrattiene conlargomentazione. Saper esporre le proprie ragioni esternalizzando il disaccor-do e saperle discutere argomentando diventano i punti fondamentali di unaprocedura finalizzata a risolvere o minimizzare i disaccordi stessi (Eemeren,Grootendorst 1988, p. 286). Attraverso le regole stilate dalla scuola pragma-dialettica sarebbe infatti possibile impostare un dibattito in modo fruttuoso

    poich il rispetto delle regole stesse limita proprio i ragionamenti ingannevoli,

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    34 MANUELE DE CONTI

    ossia le fallacie. E una discussione esente da fallacie una situazione ideal-

    utopica, ma auspicabile.Tuttavia se il dibattito deve essere riconosciuto come uno strumento utile per

    lo sviluppo e lacquisizione della capacit sociale di gestire il disaccordo, e non soloper lo sviluppo delle capacit critico-argomentative o di orientamento decisionale,classiche funzioni ad esso attribuite, una formazione ispirata a uneducazione civilenon pu non comprendere il riferimento ai biascognitivi, ossia agli errori sistema-tici della nostra capacit cognitiva. E questo per due principali motivi:

    1) perch i biasci impedirebbero di individuare strategie opportuneper orientare i dibattiti verso uno sviluppo fruttuoso;

    2) perch, se non correttamente compresi e gestiti, i biascondurrebbe-ro dal disaccordo al conflitto.

    Quando diciamo tutti i politici sono trasformisti commettiamo una evi-dentegeneralizzazione indebita. Tali generalizzazioni determinano assunzioni

    o derivano da assunzioni che si configurano come vere e proprie petizioni diprincipio, in cui cio le conclusioni coincidono con le premesse. Nel casoin esame: se un politico non fosse un trasformista, allora non sarebbe unpolitico. Tali assunzioni che strutturano la nostra percezione del mondo, eche ci conducono alle fallacie appena menzionate, sono gli stereotipi, ossia leopinioni precostituite, generalizzate e semplicistiche (che non si fondano ciosulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripetono meccanicamente),

    su persone, avvenimenti o situazioni.La facilit di reperimento degli elementi a proprio favore, o le aspettative,conducono invece a unaltra fallacia, ossia quella che consiste nellattribuireal proprio interlocutore una tesi pi semplice di quella da lui effettivamentesostenuta facendo apparire noi, con la coda di paglia, e lui, come un fantoccio.Infine, non essere in grado di comprendere lalta probabilit di due eventi traloro indipendenti ci conduce a considerare questi eventi come sorprendente-mente legati da causalit, anzich comprendere le meraviglie della casualit

    (Motterlini 2008: pp. 62-69).

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    Come questi esempi ci indicano spesso gli inganni della nostra facolt co-

    gnitiva, ci inducono a commettere quegli errori di ragionamento che, da unpunto di vista formale o pragmatico, sono chiamati fallacie. Non sto dicendoche i biascognitivi siano lunica causa dei ragionamenti fallaci2. Quello chesto dicendo che la possibilit di spiegare i ragionamenti fallaci anche intermini di biascognitivi apre la strada a nuove possibilit di comprensione enuove strategie di replica. Infatti, se penso che lavare la macchina faccia im-mancabilmente piovere, forse non ho ancora capito che sto commettendo un

    ragionamento fallace che va sotto il nome dipost hoc ergo propter hoc, ossia checonfondo una relazione temporale con una relazione causale, ma anche che,forse, dove lavo la macchina, la probabilit di pioggia molto alta.

    Avendo nuove possibilit di neutralizzare i ragionamenti fallaci perseguire-mo lobiettivo di eliminare alcune delle cause che complicano i dibattiti, favo-rendone uno svolgimento corretto e lineare al fine di minimizzare i disaccordie garantire pi stabili accordi.

    Tuttavia i biasci permettono di perseguire questo obiettivo anche in un

    altro modo. Infatti i bias cognitivi non agiscono solo negli altri. Comprendereche la nostra stessa conoscenza e il nostro stesso giudizio ne sono minacciatipu permetterci di individuare strategie critiche di verifica dei nostri stessiprocessi cognitivi (Vaughn 2008

    :pp. 4-9). E questo risulta importante poich

    che dei vari errori cognitivi a cui si sarebbe soggetti, uno dei pi insidiosi lautocompiacimento. Esso, infatti, condurrebbe a essere sensibilissimi aglierrori cognitivi degli altri ma molto meno ai propri (Pronin 2007, p. 37). In

    questo modo la propria capacit derrore ne risulta sottostimata.Nella direzione delle strategie critiche di verifica dei processi cognitivi simuovono le proposte del critical thinking. Caratterizzato dallattenzione allemodalit di reperimento, valutazione e organizzazione delle conoscenze e cre-denze, il critical thinkingriconosce come spesso luomo, assuma le proprie cre-denze solo perch sono in molti a considerarle vere, o perch queste lo fanno

    2 Infatti i ragionamenti vengono considerati fallaci quando presentano vizi formali o vio-lano alcuni impegni pragmatici.

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    sentire bene. Inoltre anche le emozioni o linteresse personale svolgerebbero

    un ruolo fondamentale nel distorcere i giudizi. Pertanto diventa necessariodotarsi di quei criteri di valutazione delle credenze atti ad evitare di incorrerein questi tranelli. Questo ci condurr a essere pi liberi e a scelte pi consa-pevoli, dato che ci in cui crediamo influenza le nostre azioni e scelte (Pronin2007: pp. 4-21).

    La possibilit di nuove ed efficaci strategie di replica e di verifica soloil primo beneficio che pu derivare dallo studio dei bias cognitivi. Fino al

    2006 gli studi di psicologia cognitiva sulle reazioni al disaccordo arrivava-no a mettere in evidenza come ci sia una generale inclinazione a considerarelinterlocutore con il quale siamo in disaccordo come influenzato da interessipersonali. Pertanto chi ha un punto di vista diverso dal nostro facilmenteaccusato di sostenere tale opinione per proprio tornaconto, per simpatia, peradesione politica, per incapacit di vedere le cose correttamente o per graniti-ca adesione ad una ideologia (Kennedy, Pronin 2008, p. 834). La possibilitdi riferirsi a queste cause di distorsione come a biasavrebbe invece portato a

    concentrarsi maggiormente su di un altro aspetto. Come dimostrano EmilyPronin e Kathleen Kennedy, la tendenza a percepire chi in disaccordo connoi come soggetti a biascognitivi, ossia errori sistematici della capacit cogni-tiva, avrebbe conseguenze infelici: infatti, pi ci sentiremo in disaccordo conil nostro interlocutore, pi avremo la tendenza a percepirlo soggetto a erroree pi questa tendenza sar forte pi saremo inclini a reagire nei suoi confrontiin modo conflittuale (Kennedy, Pronin 2008, p. 846).

    Pertanto se vogliamo educare al dibattito, ossia a un dibattito inteso anchecome strumento utile per lo sviluppo e per lacquisizione della capacit socialedi gestire il disaccordo, risulta fondamentale educare a discutere attraversostrategie che possano condurre a: percepire i propri interlocutori come capacidi obiettivit; essere motivati a intraprendere ulteriori sforzi per una pi ac-curata comprensione del mondo (Kennedy, Pronin 2008, p. 846); ampliarele proprie modalit comunicative e capacit retoriche per meglio trasmettere imessaggi. Solo in questo modo potremmo evitare che le critiche mosse alle di-

    spute medievali, ossia di essere ars rixosa(Brucker, 1975: pp. 532-912) e puri

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    combattimenti tra galli (Holberg 1994), siano rivolte anche ai nostri dibattiti

    scolastici.Le proposte della pragma-dialettica e dellInformal Logic gi tendono a

    questi fini. Il riferimento, infatti, alle regole che una discussione deve rispetta-re per raggiungere risultati validi, di per s ha come obiettivo di evitare, tra glialtri, quegli errori di ragionamento e relazionali che consistono nel combat-tere linterlocutore anzich la sua tesi. Anche le regole conversazionali di PaulGrice assumono in questo contesto un nuovo valore pratico, ossia il rispetto

    della cooperazione che, come ben sappiamo, non ha come suo contrario lacompetizione, bens il conflitto. Infine, oltre allo sviluppo delle proposte diPronin e Kennedy ossia di discutere attraverso strategie che possano motivaread intraprendere ulteriori sforzi per una pi accurata comprensione del mon-do e a percepire i propri interlocutori come capaci di obiettivit, interessantisono le proposte di comunicazione nonviolentaelaborate da Arne Naess. Padredellecologia profonda, facendo riferimento al satyagraha, ossia al tipo di lottanonviolentaprincipalmente gandhiana, Naess elabora una serie di principi sui

    quali la comunicazione dovrebbe basarsi affinch sia uno mezzo per risolvereproblemi, piuttosto che alimentare confitti (Naess 2006: pp. 100-11).

    Concludendo, parlare di disaccordo significa continuare a tracciare la stra-da lungo il solco della nostra tradizione, interessata pi al dibattito che allaviolenza, pi alla libert di espressione che alla forza della repressione. Questoconcetto ci permette infatti di individuare un momento precedente allespres-sione e allazione dal quale poter orientare il proprio comportamento. In par-

    ticolare la comprensione dei bias cognitivi ci pu guidare a individuare nuovestrategie per far fronter agli altrui errori e alle proprie sviste, e a elaborare lestrategie per evitare che un singolo stato cognitivo si traduca in una situazionereciprocamente conflittuale.

    Infine una formazione al dibattito che sia imperniata sullidea di uneduca-zione civile e centrata sui concetti di disaccordo e biascognitivo ci porternon solo a una teoria del dibattito finalizzata allo sviluppo delle capacit criti-co-argomentative, ossia focalizzata sulla conoscenza del soggetto che dibatte;

    non solo a una teoria del dibattito come strumento per orientare le scelte, fo-

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    calizzata su una terza parte rispetto alle due coinvolte nel dibattito, luditorio;

    ma soprattutto a una teoria del dibattito che, oltre ad includere le altre teorie,sia centrata sulla capacit di gestire il disaccordo e quindi focalizzata su coluicon il quale stiamo dibattendo.

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    RAFAEL JIMNEZ CATAO

    Risorse per gestire stereotipi e fenomeni simili

    Abstract

    Gli stereotipi come errore cognitivo sono il versante difettivo di meccanismi di

    semplificazione indispensabili per la vita. Per capirne gli effetti dialettici si devedistinguere fra la loro valenza logica e quella retorica. Nella gestione dialettica

    dello stereotipo che porta ad affermazioni generali che contraddicono la pro-

    pria esperienza, efficace evitare linduzione e poggiare invece sullesempio. Se

    la disputa eristica, le risorse per portare al ridicolo sono spesso a portata di

    mano. Se per il disputatoretiene al rispetto della persona dellinterlocutore e

    cerca la condivisione di una verit, sembra pi efficace una strategia che porti

    linterlocutore a percorrere tutti i passi per raggiungere la conclusione senza

    dipendere dallautorit del partner nel dialogo.

    Se si dovesse presentare questo contributo come studio sul dibattito, sa-rebbe un testo alquanto anomalo, perch viene a proporre accorgimenti cheesulano dai tempi normali di un dibattito. Sono infatti convinto che spesso glistereotipi richiedano tempi molto lunghi. Inoltre io parler qui della rilevanzadellethosnella loro gestione, quindi non in primo luogo del logos, che il

    mezzo di persuasione che pi immediatamente si associa al dibattere. Tempilunghi vuol dire che spesso c poco da fare allinterno di un dibattito, anchese dovesse durare alcune ore. Il superamento di alcuni luoghi comuni puentrare nei parametri temporali delleducazione, della crescita di una persona,della maturazione di un rapporto.

    Nel percorso che far dei diversi tipi di semplificazione cercher di farnotare il loro aspetto positivo, oltre a quello fallace. Questo uno dei motiviper cui ora ho detto semplificazione, che non di per se una denominazione

    negativa, come invece lo stereotipo. Ci sono semplificazioni di pensiero,

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    di espressione, di argomentazione estremamente ordinarie nella nostra vita,

    che hanno un ruolo positivo nella comprensione della realt. Esse sono vitalianche per la comunicazione e per leducazione1.

    1. Largomento ad ignorantiam

    Come approccio alle semplificazioni e alla prevenzione delle loro versioni

    difettive, trovo utile ricorrere a quello schema che a partire da Locke stato chia-mato argumentumad ignorantiam. Esso consiste scrive Adelino Cattani nelconsiderare vera una tesi perch non stata dimostrata falsa o, viceversa, falsaperch non ne stata dimostrata la verit (Cattani 1995, p. 127). La formu-lazione della pragma-dialettica di Frans Van Eemeren dice che largomento adignorantiamconsiste nel concludere che unasserzione vera perch la sua con-traria non stata difesa con successo (Eemeren, Grootendorst 2008, p. 134).

    Non mi trattengo sullinvalidit di questo schema. Vorrei solo ricordarne

    lapplicazione giuridica, che di solito aiuta a capirlo: se il legale di un imputatoconfuta leprovedi colpevolezza presentate dal pubblico ministero, non ha an-coraprovatolinnocenza del suo cliente, ha soloprovatoche la requisitoria delpubblico ministero non prova niente. Se ci sfugge questo particolare rischiamodi trasformare un non-sapere in sapere (Cfr. Cattani 1995, p. 129), che ap-punto lorigine del nome ad ignorantiam.

    Questo schema argomentativo fa vedere con molta chiarezza la relativit della

    nozione di fallacia, il bisogno di metterla in contesto per giudicarla tale o meno.Anche su questo punto trovo innecessario fermarmi, perch chi aduso ai dibat-titi ha lesperienza immediatissima della dimensione vitale della maggior partedei ragionamenti: il loro rapporto con delle persone e con delle risorse cognitive.

    Dellargomento ad ignorantiamci sono difatti usi non fallaci, usi che nes-suno obietterebbe (Cfr. DAgostini 2009, p. 74). C per esempio il valore

    1 Sul ruolo costruttivo delle semplificazioni si veda il punto di vista psicologico in Arcuri,Cadinu 1998: pp.10, 13, 139.

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    della consuetudine o dellesperienza (abbiamo sempre fatto cos; finch non

    si trova un modo chiaramente migliore di farlo, continueremo a fare cos),oppure lassoluzione per mancanza di prove.

    2. Logica e retorica

    Nel caso dellargomento ad ignorantiam, validit e invalidit si giocano

    in buona misura nella sua diversa valenza logica e retorica. unesperienzavitale dei dibattiti: se uno viene confutato ripetutamente, ci non significache la tesi contraria sia stata provata. Questo, da un punto di vista logico.Ma inevitabile che per coloro che seguono il dibattito si consolidi a poco apoco limpressione che la tesi contraria sia valida, forse fino alla persuasione.E questo il punto di vista retorico.

    C un fenomeno ben noto a chi lavora nellambito dei mezzi di comuni-cazione, il cosiddetto stillicidio, che ha unefficacia strabiliante. un gocciolio

    che finisce per formare una vera e propria opinione pubblica spesso senzaalcuna vera e propria ragione. Si potrebbe pensare che linfondatezza ripe-tuta finisse per persuadere del contrario, ma ci non succede perch non ccoscienza dellinfondatezza. Una condizione per lefficacia dello stillicidio la superficialit. In questo caso (e, credo, nellargomento ad ignorantiam ingenerale) naturalmente pi facile che a trarre la conclusione sbagliata sialopinione pubblica che gli esperti della materia. Gi Aristotele distingueva

    fra lopinione (doxa) e lopinione degli esperti (endoxon) (Topici, I, 100a-b).

    3. Tipi di clich

    a. Semplice generalizzazione Errore tassonomico

    Un primo tipo di clich la semplice generalizzazione: fare dogni erba un fascio.

    Lerrore della generalizzazione indebita sta nellapplicare a tutti gli elementi di un

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    gruppo una qualit che possiedono solo alcuni: pochi, o anche molti, ma non tutti.

    Esiste anche il caso in cui nessuno degli individui risponde allattributo affibbiato,oppure questi s, ci sono, ma non stata quella lorigine del clich. Questo ci portaad un altro fenomeno, anchesso diverso dallo stereotipo, che possiamo chiamareerrore tassonomico, come pensare che gli iraniani sono arabi, che i rumeni sono slavi,che i messicani sono sudamericani, che gli scozzesi sono inglesi. Qui non ha sensoparlare di eccezione senza ricorrere a cittadinanze acquisite o alla diversa valenzadellaggettivo a seconda che significhi una razza, una lingua, una nazionalit.

    b. Simbolizzazioni

    Spesso le generalizzazioni hanno un valore metonimico. Sono quindi si-gnificative, non un puro errore, ma sbagliate se non si tiene conto della meto-nimia. Molte denominazioni ufficiali (o almeno storiche) di paesi e di popolihanno questo carattere. Si pensi al significato di Asia, nome del continente

    pi esteso di tutti, che in origine significava una regione ben pi ristretta inparagone. Messico prende il suo nome dal popolo che dominava la maggiorparte del territorio che oggi porta quel nome; molte etnie oggi messicanenon sono assolutamente messicane nel senso etnologico proprio. Argentina un termine legato al Rio de la Plata, che, per quanto grande ed importante(rappresentato addirittura nella Fontana dei Fiumi a Piazza Navona), non hauna rilevanza geografica per tutto limmenso territorio di quel paese.

    Tutto questo di solito pacifico, finch non si alza unetnia per dichiararsistufa di essere chiamata con il nome di suoi antichi dominatori, o una nazioneper sottolineare la propria specificit, diversa dallo stato cui appartiene. Sipensi per esempio ad alcune regioni della Spagna.

    c. Microfondamentalismo

    Ora vediamo un tipo tutto particolare di semplificazione, che non riguar-

    da solo un rapporto fra generalit pi o meno ampie ma fra una realt e le

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    sue versioni. Ci sono infatti realt talmente ricche che solo una pluralit di

    versioni pu esprimere la loro ricchezza, gli argomenti di cui si occupa la fi-losofia, per esempio, ed questo il motivo per cui non esiste una filosofia chepossa essere chiamata quella totale, o quella vera. Anche le forme dellamiciziapresentano una profusione simile, e quelle della societ, della famiglia, dellereligioni, delle diverse arti.

    Luigi Pareyson fa una distinzione fra la verit e le sue formulazioni, cherisponde con precisione a quanto voglio esprimere2. La pluralit di formula-

    zioni della verit pu essere assunta come una pluralit di verit. Ci sono moltisensi in cui certamente esiste una pluralit di verit, ma qui sto segnalando unmalinteso frequente che una delle forme del relativismo. Lestremo oppostoconsiste nel rifiutare quella pluralit prendendo una delle versioni come sefosse la realt piena. Questo pu essere chiamato fondamentalismo. Si pensi aci che succede se si prende una filosofia fra le molte esistenti, per esempio ilmarxismo-leninismo o il tomismo, o la filosofia analitica, e si ritiene la verafilosofia, con esclusione di tutte le altre, il che chiaramente una posizione

    fondamentalista. Lessenziale non il riconoscimento di validit di ci che stato preso, ma lesclusione di validit di tutto il resto.

    Ci sono ambiti dove di solito non ricorriamo al termine fondamentali-smo, e tuttavia si applica lo stesso schema. Per esempio se uno dice che verapittura quella rinascimentale e tutto il resto tentativo di arrivare o corru-zione posteriore; oppure uno che dice che la Sinfonia Incompiutadi Schubert quella di Giulini e le altre sono soltanto approssimazioni; o dire che pizza

    la pizza margherita e tutto il resto sono capricci di turisti. Certo, non stiamo

    2 La parola rivela la verit, ma come inesauribile, e quindi eloquente non solo per quelchessa dice, ma anche per quel chessa non dice: lesplicito talmente significante che apparecome una continua irradiazione di significati, perennemente alimentata dallinfinita ricchezzadellimplicito, s che comprendere significa approfondire lesplicito per cogliervi linesauribilefecondit dellimplicito, senza mai raggiungere la completa esplicitazione, per la sovrabbondan-za della verit, cio non per inadeguatezza della parola, ma proprio per la sua capacit di posse-dere un infinito, cio per una pregnanza di rivelazioni che non per il fatto di aumentare di nu-mero savvicinano a una manifestazione totale, di per s impossibile (Pareyson 1971, p.115).

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    a dare del fondamentalista al poveraccio che non riesce a godersi le molteplici

    interpretazioni dellIncompiuta, ma mi sembra chiaro che lo schema di pen-siero lo stesso.

    Per spiegare questo, Pareyson ricorre al fenomeno dellinterpretazioneartistica, ed afferma che lopera non un oggetto a cui linterprete deb-ba adeguare la propria rappresentazione dallesterno, essendo essa piuttostocaratterizzata da una inoggettivabilit, che le deriva dallessere inseparabiledallesecuzione cha la fa vivere e al tempo stesso irreducibile a ciascuna delle

    proprie esecuzioni3

    .Sono convinto che molto difficile, se non addirittura impossibile, essereassolutamente liberi da questo tipo di semplificazione. qualcosa di vitale.Per un principio di economia mentale e linguistica, non sempre prendiamo inconsiderazione tutte le virtualit di una realt bens solo ci che risulta perti-nente in un contesto determinato. Questo ha una spiegazione nella psicologiacognitiva (Cfr. Arcuri, Cadinu 1998: pp. 10, 13, 139), ma da un punto divista dialettico propongo chiamarlo microfondamentalismo. Eliminare ogni

    microfondamentalismo dalla nostra vita non solo difficile ma inutile e persi-no dannoso. Ci che importante esserne consapevoli.

    d) Eresia

    Penso che sia molto conveniente mantenere distinto il fondamentalismo

    (o microfondamentalismo) da un altro tipo di semplificazione che possiamo

    3 evidente che un rapporto del genere non si pu configurare nei termini di soggetto eoggetto: n linterprete un soggetto che dissolva lopera nel proprio atto o che debba sperso-nalizzarsi per rendere fedelmente lopera in s stessa, ma piuttosto una persona che sa servirsidella propria sostanza storica e della propria insostituibile attivit e iniziativa per penetrarelopera nella sua realt e farla vivere della sua vita; n lopera un oggetto a cui linterpretedebba adeguare la propria rappresentazione dallesterno, essendo essa piuttosto caratterizzata dauna inoggettivabilit, che le deriva dallessere inseparabile dallesecuzione cha la fa vivere e altempo stesso irreducibile a ciascuna delle proprie esecuzioni (Pareyson 1971, p.71).

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    chiamare eresia. Com ben saputo, hairesis significa scelta, e di solito le

    eresie (le pi conosciute sono quelle del cristianesimo) sono consistite nelprendere qualche verit come quella essenziale, e a partire da l giudicare le al-tre o addirittura eliminarle. Fra due testi della Bibbia, per esempio, che appa-iono incompatibili, c chi cerca di trovarne la sintonia ed disposto a lasciareil chiarimento alle future generazioni, e c chi sceglie uno e dichiara laltrouna corruzione del testo, uninterpolazione, un errore del copista.

    Non vorrei insistere di pi su questa distinzione, perch luso sia di ere-

    sia che di fondamentalismo consentono molte sfumature, a seconda dellescelte di classificazione e quindi delle convenzioni lessicali. Ritengo rilevan-te in ogni modo mantenere distinti due tipi di semplificazione, uno che la riduzione di una realt ad una sola delle sue possibili versioni, che undifetto per mancanza di interpretazione, e questo un senso classico del ter-mine fondamentalismo; e un altro che la scelta, non fra versioni ma fragli elementi di cui una realt composta a scapito degli altri, che ci chepossiamo chiamare eresia.

    e) Stereotipo

    E arriviamo ora al tipo di semplificazione che meglio risponde a ci chechiamiamo stereotipo. il caso dellidea generale che contraddice lesperienzaparticolare, anche personale. La definizione di stereotipo che riporta il voca-

    bolario di De Mauro dice: Unopinione precostituita, non acquisita sulla basedi unesperienza diretta e scarsamente suscettibile di modifica (De Mauro1999-2007: Vol. 6, p. 388). Altri vocabolari sono meno precisi. Si badi beneche non solo una semplificazione. Le semplificazioni, torno ad insistere, pos-sono giocare un imprescindibile ruolo pedagogico, a patto che restino apertead integrazioni. Nessuno di noi pu godere del massimo livello di profonditin tutte le sue conoscenze. Anche per luomo di saggezza sconfinata ci sa-ranno sempre campi in cui la sua conoscenza sia piuttosto elementare. Egli si

    dimostrer veramente saggio nella consapevolezza di quellelementarit e nella

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    disposizione ad imparare di pi. Quelle nozioni semplici non sono quindi uno

    stereotipo.Qualche anno fa Marcelo Dascal, delluniversit di Tel Aviv, esperto in

    argomentazione, commentava il suo desiderio di analizzare un giorno la logicache sta alla base di espressioni come questa: Gli ebrei sono dei furfanti, madevo riconoscere che i miei migliori amici sono ebrei. Lespressione citata un caso molto caratteristico, ma non difficile trovare altre categorie umanedove si verifichi questo modo di ragionare. Dal contrasto fra il cliche lespe-

    rienza personale non si passa alla correzione di uno degli estremi, vale a direrivedere il clicho concludere per deduzione che quei carissimi amici sonopure dei furfanti. Invece no, lo stereotipo si mantiene e lesperienza personalesi assume allora come eccezione. Quando ci si trova ad entrare in una di questecategorie stereotipate non strano che uno si senta dire Ma tu sei diverso,o qualche altra formulazione di eccezionalit.

    Lo stereotipo quindi e lesperienza si contraddicono, eppure era dallespe-rienza che si poteva fare uninduzione. Certo, il clich non stato ottenuto per

    induzione (o si fatta una generalizzazione indebita). Quando dal clich si fadeduzione, si ottiene una conclusione che contraddice lesperienza, la qualeviene allora considerata uneccezione. Sono molte le persone che si portanoavanti uno stato irrisolto nella valutazione di una categoria umana. Da unaparte convivono serenamente, forse anche proficuamente, persino in un rap-porto personale impegnato; e dallaltra, conservano una valutazione negativaper la categoria nel suo insieme.

    f) Argomento ad verecundiam

    Certamente non sono da confondere gli argomenti ad ignorantiam e adverecundiam. Tuttavia questultimo illumina bene quanto abbiamo visto, per-ch anche qui lignoranza gioca un ruolo decisivo. Esso trae il suo nome dallavergogna che linterlocutore potrebbe provare nellammettere che non cono-

    sce unautorit che stata citata, e perci laccetta. Chi usa questa mossa come

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    strategia prevede quella reazione di fronte al suo sfoggio di scienza e quindi

    gioca con lignoranza altrui (unita allamor proprio e forse anche alla timidez-za). Gli stereotipi sono spesso efficaci perch chi li accetta lo fa per paura diandare contro unautorit, quella dellautore di moda o quella dellopinionecomune. Spesso solo una vaghissima impressione che quello sia il pensieroimperante, o lopinione degli anticonformisti (se il luogo comune quello), oquello dei progressisti o quello dei conservatori, ecc.

    Un personaggio de Il ritratto di Dorian Graymolto celebre, forse pi anco-

    ra del protagonista, Lord Henry Wotton. Egli ha una rara abilit per asserirecon efficacia il contrario di ci che tutti sostengono o il contrario del buonsenso. Durante un ricevimento, dopo che qualcuno ha augurato a uno dei pre-senti un matrimonio felice, Lord Henry esclama: Quante sciocchezze dice lagente riguardo ai matrimoni felici! Un uomo pu essere felice con qualunquedonna, a patto di non amarla (Wilde 2003, p. 184). Questo espediente gliprocura un invito a pranzo da parte di una vecchia dama, che considera LordHenry un tonico veramente ammirevole, molto migliore di quelli che mi

    prescrive Sir Andrew.Poco dopo, una nobildonna dichiara:

    Io fumo davvero troppo. Dora in poi voglio moderarmi. Non lo fate, Lady Ruxton, per favore disse Lord Henry. La mo-

    derazione una cosa fatale. ()Lady Ruxton lo guard incuriosita.

    Venite da me un pomeriggio a spiegarmi questo. Mi sembra una teoriaaffascinante.Possiamo cos immaginare che si siano incontrati in casa della nobildonna

    e, abbandonata ogni moderazione, abbiano bevuto cinque litri di the a testa.In ogni modo, ammirevole e affascinante quanto dice Lord Henry forse per-ch fa intravedere una giustificazione per le proprie debolezze, ma dal puntodi vista dei motivi per accettarlo il punto di forza sta nel timore di opporsi aqualcosa che a quanto pare tutti sanno, almeno tutti quelli in cui uno si rico-

    nosce. Ecco perch un argomento ad verecundiame porta con s un elemen-

  • 7/23/2019 CATTANI, Adelino. Argomentare Le Proprie Ragioni. Organizzare,

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    48 RAFAEL JIMNEZ CATAO

    to di ignoranza. Cos pure, laccettazione dello stereotipo spesso mossa dalla

    vergogna di non sapere ci che tutti sanno. E poi, certo, dalla comodit diaccontentarsi di quellinformazione.

    4. Risorse disponibili

    E cos possiamo ora pensare alle possibili risorse per la gestione dello ste-

    reotipo. evidente che contro lignoranza c la conoscenza, linformazione.Questo per si pu rivelare una trappola. Bisogna offrire informazione, suquesto non c dubbio, ma pi rilevante ancora il modo di farlo. chiaro chespesso la disinformazione contiene informazione corretta. anche assodatoche lesperienza concreta spesso non riesce a cancellare il clichche contraddi-ce. Nei primi messi del 2010 si parl molto di uno studio che aveva gi unalunga storia e poi pubblicato sulla rivista Political Behavior(Nyhan, Reifler2010), dove si sostiene che le false informazioni non si superano con le retti-

    fiche, anzi spesso le rettifiche le rafforzano. Ci dovuto in buona misura alfatto che leffetto del chiarimento governato da posizioni ideologicamenteprese4. Sebbene la ricerca si incentri sul campo politico, le conclusioni rifletto-no una realt p