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Copyright © Avvenire GIACOMO GAMBASSI INVIATO A PALERMO uando Francesco Puglisi apre la porta di casa, alle sue spalle compare un ritratto del fratello. È quello di don Pino, il prete martire uc- ciso dalla mafia venticinque anni fa. Sor- ride il “sacerdote scomodo” nel dipinto che gli hanno regalato. Come faceva sempre. Questo condominio bianco al- la periferia di Palermo non è lontano da Brancaccio, la roccaforte di Cosa Nostra dove la famiglia Puglisi abitava. Proprio di fronte alla casa dei genitori don Pino è stato assassinato nel giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre 1993. «È u- na piaga sempre viva», sussurra France- sco che tutti chiamano Franco. Ha 73 an- ni. Il fratello sacerdote ne aveva otto più di lui. «Lo hanno ammazzato – prose- gue Francesco – perché, prima che arri- vasse lui nella chiesa di San Gaetano, i ri- ferimenti di Brancaccio erano i boss. Poi il perno è diventato il parroco. Ma non chiamatelo “prete antimafia”. No, lui non è mai stato “anti”: è sempre stato “pro”. A cominciare dai bambini. Aveva inizia- to da loro nel quartiere. Insegnava ai ra- gazzini a dire “per favore”, “grazie”, “pre- go”. Parole sconosciute e assurde in un ambiente segnato dalla malavita. Paro- le di civiltà che hanno fatto paura alla mafia». Non è un appartamento-santuario quel- lo di Francesco, oggi pensionato con un passato da bancario. Sono poche le foto di don Pino, per lo più in bianco e nero. Una è nel grande mobile del soggiorno dove tutto è pronto per il pranzo della festa. «Ogni domenica lo zio Pino man- giava qui», racconta Carmelo, figlio di Francesco e nipote del prete della “in- surrezione evangelica”. Al suo fianco ha la moglie e il bimbo di pochi mesi. «Spes- so arrivava in ritardo – continua –. Cele- brava l’ultima Messa del mattino a mez- zogiorno e poi si fermava fra la gente che chiedeva di lui. “Non sono un ufficio co- munale. Quando le persone ti cercano, devi essere disponibile”, ripeteva. Poi si sedeva fra noi. Scherzava. Magari ascol- tava le radiocronache delle partire o ve- deva in tv il Gran Premio. Sosteneva che in famiglia si ricaricava». Il volto di Car- melo si fa scuro. «Ci manca lo zio. Ci manca molto». E Francesco aggiunge: Q «Avremmo preferito che fosse ancora fra noi...». Oggi è beato. «Però la sua assen- za ci provoca un immenso dolore». E, quasi per smorzare la tensione, cambia tono. «Certo, non ci siamo mai accorti di avere un santo in casa», dice accennan- do un sorriso. Papa Francesco gli renderà omaggio il prossimo 15 settembre durante la sua visita a Palermo nel giorno del 25° anni- versario della morte. Lo hanno invitato proprio i fratelli Puglisi, Francesco e Gae- tano, con una lettera dello scorso no- vembre. «Gli raccontavamo il nostro so- gno di accoglierlo in quella che è stata la nostra abitazione a Brancaccio e che og- gi è la casa-museo di don Pino dove giun- gono pellegrini da tante parti del mon- do», rivela Francesco. Così accadrà. I fra- telli daranno il benvenuto al Papa all’in- gresso del condominio al civico 5 di piaz- za Anita Garibaldi dove padre Puglisi è stato colpito dai sicari dei fratelli Gra- viano. «Siamo quasi imbarazzati – am- mette Francesco –. È un grande onore poterlo incontrare come famiglia Pugli- si nel luogo del martirio di nostro fratel- lo». E la mente torna a quando Pino de- cise di entrare in Seminario. «Era già al- le superiori, faceva le magistrali. Siamo cresciuti in una famiglia di profonda fe- de. Mia mamma pregava perché un fi- glio diventasse sacerdote. Quando Pino aveva quattordici anni, venne in visita nella parrocchia l’allora arcivescovo di Palermo. Pino era catechista. L’arcive- scovo gli chiese: “Perché non ti fai pre- te?”. E lui gli rispose: “Non sento la voca- zione”». Due anni dopo la chiamata del Signore sarebbe stata definitivamente e- vidente. Se c’è una priorità che padre Puglisi ha avuto chiara fin dall’inizio del suo mini- stero, era quella dei giovani. «Aveva la passione per l’insegnamento. E amava i ragazzi. Poi sui ragazzi ha sempre fatto breccia. A Brancaccio tutto ciò ha dato fastidio», afferma il fratello. «Lo accusa- vano anche di essere amico degli atei. Ma lui replicava: “Guardiamo a ciò che ci unisce”. Era un uomo del dialogo, del- la riconciliazione, della pazienza». Fran- cesco lo definisce un «prete di strada», non sicuramente un «eroe». E sottolinea: «Anche per questo ha fondato il Centro di Accoglienza Padre Nostro a Brancac- cio. Non era un presidio con una con- notazione ecclesiale ma una porta aperta a chiunque, soprattutto ai lontani e a chi era nel bisogno». Oggi Francesco Pugli- si fa parte del consiglio direttivo. «Per ac- quistare la sede, pagata 290 milioni di li- re, Pino fece un mutuo che garantì con il suo stipendio di insegnante. Non riu- scì mai a estinguerlo. Venne ucciso pri- ma...». Una pausa. «Comunque per rac- cogliere un po’ di fondi ideò una lotte- ria. Il primo premio era una cucina. Andò dalla Guardia di Finanza e si fece vidi- mare tutti i biglietti: così un terzo del ri- cavato andò in tasse. “Perché lo hai fat- to?”, gli domandammo. “Devo dare l’e- sempio. Anche così mostriamo che co- s’è la legalità”, rispose secco». Oggi il Centro ha contribuito a realizza- re i segni di “3P” fra le macerie sociali di un agglomerato che è stato in mano al- le cosche: i campi sportivi, gli sportelli di aiuto, le case di accoglienza. «Quan- do vedo i bambini giocare in quelle strut- ture, mi commuovo perché penso che senza la lungimiranza di don Pino sa- rebbero rimasti per strada», mormora Angelina, moglie di Francesco. E lui pre- cisa: «Mio fratello voleva rivoluzionare Brancaccio con il Vangelo in mano. E og- gi il Centro prosegue sulla stessa strada anche attraverso il progetto dell’asilo ni- do» che sorgerà per ricordare il beato a un quarto di secolo dal delitto. Nei mesi che precedettero l’uccisione le minacce della mafia si erano intensifi- cate. «Ma in famiglia lui non ne parlava», spiega Francesco. Adesso uno dei killer, il collaboratore di giustizia Gaspare Spa- tuzza, ha chiesto perdono e ha detto di essersi convertito. «Se è sincero, sarà il Si- gnore a giudicarlo con misericordia. E, sempre se è sincero, come fratelli Pugli- si potremmo anche essere disposti a per- donarlo». Lo sguardo di Francesco si po- sa su un’immagine del fratello con la ta- lare, ancora giovane sacerdote. «Ormai la vita della nostra famiglia – conclude con un filo di voce – non è più soltanto nostra. Siamo chiamati a testimoniare la profezia di Pino, prete semplice e u- mile che ha donato la vita per il riscatto della sua gente anche a costo di finire nel mirino della mafia». (2 - Continua. La precedente puntata è uscita il 15 luglio 2018) © RIPRODUZIONE RISERVATA Un gesto concreto di solidarietà per celebrare il 25° anniversario del martirio del beato Pino Puglisi, il prete siciliano ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 di fronte alla sua casa di Palermo. Il Centro di Accoglienza Padre Nostro, voluto dallo stesso padre Puglisi nel capoluogo siciliano, e la Fondazione Giovanni Paolo II, insieme con l’arcidiocesi di Palermo, il Comune di Palermo e Avvenire intendono realizzare l’ultimo sogno del sacerdote “profeta” per il suo quartiere Brancaccio a Palermo: la costruzione del nuovo asilo nido. Posiamo insieme la prima pietra. È possibile contribuire al “sogno” di padre Pino Puglisi attraverso: - bonifico bancario intestato a Fondazione Giovanni Paolo II utilizzando il seguente IBAN IT84U0503403259000000160407 (va inserito anche l’indirizzo di chi versa nel campo causale); - bollettino sul conto corrente postale n. 95695854 intestato a Fondazione Giovanni Paolo II, via Roma, 3 - 52015 Pratovecchio Stia (AR). Causale: “Asilo Don Puglisi”; - carta di credito o PayPal sul sito www.ipiccolidi3p.it. Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, con i tuoi familiari o amici. Facendo una donazione si avrà diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla legge. I dati saranno trattati ai sensi dell’art.13, regolamento europeo 679/2016 (c.d. “GDPR”). IL GESTO Come contribuire al nuovo asilo di “3P” DALLINVIATO A PALERMO l mio compito qui? È tenere a bada questi teppistelli». Sguar- do fermo e corpo massiccio, Stefano Taormina scherza mentre è se- duto davanti a una scrivania appena dietro la porta d’ingresso del “punto so- ciale” del Centro Padre Nostro. Un pre- sidio fra le “saracinesche” di Brancac- cio, nei sottoscala dei condomini mon- ster che sono ancora lo specchio dell’e- marginazione e del disagio sperimen- tati giorno dopo giorno nel quartiere di Palermo entrato nell’immaginario col- lettivo come il bunker di Cosa Nostra. In quattro stanze ci sono una sorta di asilo nido, il recupero scolastico, i la- boratori del gruppo giovani. Tutte ini- ziative scaturite dalle intuizioni di pa- dre Pino Puglisi. E a dare il benvenuto ai ragazzi che le frequentano e alle lo- ro famiglie c’è appunto Stefano. Ha 61 anni ed è stato condannato all’erga- stolo. Ne aveva 21 quando è finito in carcere. «Ho iniziato rubando le auto. Poi ci sono state le rapine e gli omici- di». Oggi è in semili- bertà. Esce dal peni- tenziario al mattino e rientra alla sera. E tra- scorre la giornata co- me custode di una delle strutture del Centro Padre Nostro fondato dal sacerdo- te beato nel 1991. «Ho conosciuto il presi- dente Maurizio Arta- le durante uno dei suoi colloqui in car- cere. Di solito non prende persone che hanno sulle spalle pene da scontare co- me le mie. Ma si è fidato...». E adesso lui si definisce un suo «collaboratore». A Brancaccio Stefano è nato. «E ci ho vissuto nel pieno del potere mafioso – dice –. Oggi qualcuno con quella men- talità è rimasto. Ma soprattutto riman- gono i tanti problemi del quartiere. Qui i ragazzi crescono da soli, abbandonati. Già avere la terza me- dia è una conquista. Nessuno insegna le minime regole di ci- viltà». Lo fa, invece, il Centro Padre Nostro sulle orme di Puglisi. «Ha trasformato il quartiere – sostiene Stefano –. Se abbia- mo campi sportivi, aiuti alle famiglie, un auditorium, lo dobbiamo al Cen- tro». Lui non ha conosciuto di persona il sacerdote martire. «Però si parlava molto del parrinu nella zona durante quegli anni». Nel 2018 spiega che «per me padre Puglisi è tutto». E confida: «Ho la sua immaginetta anche nel por- tafoglio. Però non riesco a dipingerlo». Perché Stefano si è scoperto pittore die- tro le sbarre. «Ho ini- ziato grazie a un com- pagno di cella france- se. E mi sono appas- sionato. Mi reputo an- che un discreto artista, ma non quando c’è di mezzo don Pino. Ho provato a ritrarlo mol- te volte. Ma mi emo- ziono sempre. Il pen- nello inizia a tremare e sono costretto a fermarmi». Stefano è stato anche il testimonial del Progetto Pari, un percorso per pro- muovere “buone relazioni” nelle scuo- le superiori di Palermo voluto dal Co- mune con il Centro Padre Nostro. «Agli studenti ho raccontato la mia adole- scenza. Perché ci vuole davvero poco a passare dal bullismo alla delinquenza, da una bravata ai reati. Così a loro ri- peto: non fatevi ingan- nare, non cedete ai ri- chiami dei soldi facili». Quindi rivela: «Già i miei insegnanti mi chiamavano delin- quente». Oggi va orgo- glioso della sua fami- glia. «Mia moglie lavo- ra e abita non lontano da qui. I miei due figli sono già sistemati: lui è un imprenditore, lei ha un ingrosso». Eppure, continua, «le mie notti sono segnate dagli incubi per quello che ho fatto. Non ho mai nascosto gli errori che ho commesso. Infatti sto pagando». Poi la voce si abbassa. «In carcere ho avu- to anche un infarto. Il pensiero di aver rovinato un’intera famiglia con le mie mani mi ha talmente tormentato che il cuore ha ceduto. Se sono ancora vivo, lo devo alla polizia penitenziaria che mi ha salvato». Il suo riscatto è iniziato proprio in cella. «Io, che non avevo mai avuto voglia di studiare, ho preso due diplomi. E ho seguito corsi di compu- ter, idraulica, elettrotecnica». Con i suoi quadri, venduti in una mostra a Torino, ha aiutato anche quattro ragazzi rima- sti orfani dopo l’alluvione del 1994 in Piemonte. «Un sogno che ho adesso? Poter stringere la mano a papa France- sco e avere da lui una benedizione. So che sarà a Palermo per rendere omag- gio a don Pino. Chissà se ci sarà la pos- sibilità di abbracciarlo...». Giacomo Gambassi © RIPRODUZIONE RISERVATA I « La storia di Stefano, in carcere per omicidio, che oggi è custode dei ragazzi. «A loro dico: non fatevi ingannare» «Io, condannato all’ergastolo, rinato grazie al suo sorriso» «Mio fratello Pino Puglisi, non eroe ma prete di strada» Il sacerdote ucciso dalla mafia raccontato dai familiari Ha finalmente una piscina il quartiere dimenticato di Brancaccio a Palermo, la “terra” di padre Pino Puglisi ancora segnata dalla violenza e dal degrado. L’ha realizzata il Centro Padre Nostro fondato proprio dal prete beato come avamposto sociale che traduce il Vangelo in promozione umana fra le vie di un abitato con un passato legato a Cosa Nostra. La piscina per i ragazzi è stata inaugurata a inizio luglio nel parco giochi “Padre Puglisi - Padre Kolbe” che il Centro ha creato a due passi dalla chiesa di San Gaetano e che in queste settimane è invasa dai piccoli per il Grest. Certo, strutture come queste danno fastidio ai potentati locali. Qualche giorno fa è stata presa di mira piazza Anita Garibaldi dove è stato assassinato don Puglisi: divelti i dissuasori e danneggiati i lampioni che illuminano la statua del sacerdote. E anche il campo da calcetto e pallavolo, poco distante da lì, è stato recintato con il filo spinato per non finire preda di atti vandalici. Perché poco dopo che è stato aperto, in una notte, sono scomparse le porte e l’intera recinzione. «Potevamo rivolgerci al padrino di turno e i responsabili sarebbe saltati subito fuori – racconta il presidente Maurizio Artale, più volte minacciato –. Invece abbiamo fatto regolare denuncia ma tutto si è insabbiato anche per l’omertà diffusa». Sono più di centoventi le querele che il Centro ha sporto in questi anni per azioni intimidatorie e avvertimenti. «Ma non ci fermeranno – conclude con decisione Artale –. E non faremo passi indietro». (G.Gamb.) IL FATTO C’è la nuova piscina Ma non si fermano le minacce e i raid Stefano Taormina Il colloquio I genitori, la vocazione, l’impegno a Brancaccio, la passione educativa Il beato nelle parole di Francesco, uno dei due fratelli, e del nipote Carmelo. «Insegnava ai ragazzi a dire “grazie” o “per favore”. Vocaboli assurdi nella terra di Cosa Nostra» Il Papa? «Così lo abbiamo invitato E lo accoglieremo con commozione nella nostra casa luogo del martirio» A destra, la tomba di padre Pino Puglisi nel Duomo di Palermo Sotto, i familiari del prete beato: da destra il nipote Carmelo, il fratello Francesco e la cognata Angelina (Gambassi) CATHOLICA 17 Domenica 29 Luglio 2018

CATHOLICA - fondazionegiovannipaolo2.org · porta di casa, alle sue spalle ... Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, con ... In quattro stanze ci sono una sorta

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GIACOMO GAMBASSIINVIATO A PALERMO

uando Francesco Puglisi apre laporta di casa, alle sue spallecompare un ritratto del fratello.

È quello di don Pino, il prete martire uc-ciso dalla mafia venticinque anni fa. Sor-ride il “sacerdote scomodo” nel dipintoche gli hanno regalato. Come facevasempre. Questo condominio bianco al-la periferia di Palermo non è lontano daBrancaccio, la roccaforte di Cosa Nostradove la famiglia Puglisi abitava. Propriodi fronte alla casa dei genitori don Pinoè stato assassinato nel giorno del suo 56°compleanno, il 15 settembre 1993. «È u-na piaga sempre viva», sussurra France-sco che tutti chiamano Franco. Ha 73 an-ni. Il fratello sacerdote ne aveva otto piùdi lui. «Lo hanno ammazzato – prose-gue Francesco – perché, prima che arri-vasse lui nella chiesa di San Gaetano, i ri-ferimenti di Brancaccio erano i boss. Poiil perno è diventato il parroco. Ma nonchiamatelo “prete antimafia”. No, lui nonè mai stato “anti”: è sempre stato “pro”.A cominciare dai bambini. Aveva inizia-to da loro nel quartiere. Insegnava ai ra-gazzini a dire “per favore”, “grazie”, “pre-go”. Parole sconosciute e assurde in unambiente segnato dalla malavita. Paro-le di civiltà che hanno fatto paura allamafia».Non è un appartamento-santuario quel-lo di Francesco, oggi pensionato con unpassato da bancario. Sono poche le fotodi don Pino, per lo più in bianco e nero.Una è nel grande mobile del soggiornodove tutto è pronto per il pranzo dellafesta. «Ogni domenica lo zio Pino man-giava qui», racconta Carmelo, figlio diFrancesco e nipote del prete della “in-surrezione evangelica”. Al suo fianco hala moglie e il bimbo di pochi mesi. «Spes-so arrivava in ritardo – continua –. Cele-brava l’ultima Messa del mattino a mez-zogiorno e poi si fermava fra la gente chechiedeva di lui. “Non sono un ufficio co-munale. Quando le persone ti cercano,devi essere disponibile”, ripeteva. Poi sisedeva fra noi. Scherzava. Magari ascol-tava le radiocronache delle partire o ve-deva in tv il Gran Premio. Sosteneva chein famiglia si ricaricava». Il volto di Car-melo si fa scuro. «Ci manca lo zio. Cimanca molto». E Francesco aggiunge:

Q

«Avremmo preferito che fosse ancora franoi...». Oggi è beato. «Però la sua assen-za ci provoca un immenso dolore». E,quasi per smorzare la tensione, cambiatono. «Certo, non ci siamo mai accorti diavere un santo in casa», dice accennan-do un sorriso.Papa Francesco gli renderà omaggio ilprossimo 15 settembre durante la suavisita a Palermo nel giorno del 25° anni-versario della morte. Lo hanno invitatoproprio i fratelli Puglisi, Francesco e Gae-tano, con una lettera dello scorso no-vembre. «Gli raccontavamo il nostro so-gno di accoglierlo in quella che è stata lanostra abitazione a Brancaccio e che og-gi è la casa-museo di don Pino dove giun-gono pellegrini da tante parti del mon-do», rivela Francesco. Così accadrà. I fra-

telli daranno il benvenuto al Papa all’in-gresso del condominio al civico 5 di piaz-za Anita Garibaldi dove padre Puglisi èstato colpito dai sicari dei fratelli Gra-viano. «Siamo quasi imbarazzati – am-mette Francesco –. È un grande onorepoterlo incontrare come famiglia Pugli-si nel luogo del martirio di nostro fratel-lo». E la mente torna a quando Pino de-cise di entrare in Seminario. «Era già al-le superiori, faceva le magistrali. Siamocresciuti in una famiglia di profonda fe-de. Mia mamma pregava perché un fi-glio diventasse sacerdote. Quando Pinoaveva quattordici anni, venne in visitanella parrocchia l’allora arcivescovo diPalermo. Pino era catechista. L’arcive-scovo gli chiese: “Perché non ti fai pre-te?”. E lui gli rispose: “Non sento la voca-

zione”». Due anni dopo la chiamata delSignore sarebbe stata definitivamente e-vidente.Se c’è una priorità che padre Puglisi haavuto chiara fin dall’inizio del suo mini-stero, era quella dei giovani. «Aveva lapassione per l’insegnamento. E amava iragazzi. Poi sui ragazzi ha sempre fattobreccia. A Brancaccio tutto ciò ha datofastidio», afferma il fratello. «Lo accusa-vano anche di essere amico degli atei.Ma lui replicava: “Guardiamo a ciò checi unisce”. Era un uomo del dialogo, del-la riconciliazione, della pazienza». Fran-cesco lo definisce un «prete di strada»,non sicuramente un «eroe». E sottolinea:«Anche per questo ha fondato il Centro

di Accoglienza Padre Nostro a Brancac-cio. Non era un presidio con una con-notazione ecclesiale ma una porta apertaa chiunque, soprattutto ai lontani e a chiera nel bisogno». Oggi Francesco Pugli-si fa parte del consiglio direttivo. «Per ac-quistare la sede, pagata 290 milioni di li-re, Pino fece un mutuo che garantì conil suo stipendio di insegnante. Non riu-scì mai a estinguerlo. Venne ucciso pri-ma...». Una pausa. «Comunque per rac-cogliere un po’ di fondi ideò una lotte-ria. Il primo premio era una cucina. Andòdalla Guardia di Finanza e si fece vidi-mare tutti i biglietti: così un terzo del ri-cavato andò in tasse. “Perché lo hai fat-to?”, gli domandammo. “Devo dare l’e-sempio. Anche così mostriamo che co-s’è la legalità”, rispose secco».

Oggi il Centro ha contribuito a realizza-re i segni di “3P” fra le macerie sociali diun agglomerato che è stato in mano al-le cosche: i campi sportivi, gli sportellidi aiuto, le case di accoglienza. «Quan-do vedo i bambini giocare in quelle strut-ture, mi commuovo perché penso chesenza la lungimiranza di don Pino sa-rebbero rimasti per strada», mormoraAngelina, moglie di Francesco. E lui pre-cisa: «Mio fratello voleva rivoluzionareBrancaccio con il Vangelo in mano. E og-gi il Centro prosegue sulla stessa stradaanche attraverso il progetto dell’asilo ni-do» che sorgerà per ricordare il beato aun quarto di secolo dal delitto.Nei mesi che precedettero l’uccisione leminacce della mafia si erano intensifi-cate. «Ma in famiglia lui non ne parlava»,spiega Francesco. Adesso uno dei killer,il collaboratore di giustizia Gaspare Spa-tuzza, ha chiesto perdono e ha detto diessersi convertito. «Se è sincero, sarà il Si-gnore a giudicarlo con misericordia. E,sempre se è sincero, come fratelli Pugli-si potremmo anche essere disposti a per-donarlo». Lo sguardo di Francesco si po-sa su un’immagine del fratello con la ta-lare, ancora giovane sacerdote. «Ormaila vita della nostra famiglia – concludecon un filo di voce – non è più soltantonostra. Siamo chiamati a testimoniarela profezia di Pino, prete semplice e u-mile che ha donato la vita per il riscattodella sua gente anche a costo di finire nelmirino della mafia».

(2 - Continua. La precedente puntataè uscita il 15 luglio 2018)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Un gesto concreto di solidarietà per celebrare il 25°anniversario del martirio del beato Pino Puglisi, il prete sicilianoucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 di fronte alla sua casa diPalermo. Il Centro di Accoglienza Padre Nostro, voluto dallostesso padre Puglisi nel capoluogo siciliano, e la FondazioneGiovanni Paolo II, insieme con l’arcidiocesi di Palermo, il

Comune di Palermo e Avvenireintendono realizzare l’ultimo sognodel sacerdote “profeta” per il suoquartiere Brancaccio a Palermo: lacostruzione del nuovo asilo nido.Posiamo insieme la prima pietra.

È possibile contribuire al “sogno” dipadre Pino Puglisi attraverso: - bonifico bancario intestato aFondazione Giovanni Paolo IIutilizzando il seguente IBANIT84U0503403259000000160407 (va

inserito anche l’indirizzo di chi versa nel campo causale);- bollettino sul conto corrente postale n. 95695854 intestato aFondazione Giovanni Paolo II, via Roma, 3 - 52015 PratovecchioStia (AR). Causale: “Asilo Don Puglisi”;- carta di credito o PayPal sul sito www.ipiccolidi3p.it.Partecipa al progetto con la tua parrocchia o associazione, coni tuoi familiari o amici. Facendo una donazione si avrà dirittoalle agevolazioni fiscali previste dalla legge. I dati sarannotrattati ai sensi dell’art.13, regolamento europeo 679/2016 (c.d.“GDPR”).

IL GESTO

Come contribuire al nuovo asilo di “3P”

DALL’INVIATO A PALERMO

l mio compito qui? È tenere abada questi teppistelli». Sguar-do fermo e corpo massiccio,

Stefano Taormina scherza mentre è se-duto davanti a una scrivania appenadietro la porta d’ingresso del “punto so-ciale” del Centro Padre Nostro. Un pre-sidio fra le “saracinesche” di Brancac-cio, nei sottoscala dei condomini mon-sterche sono ancora lo specchio dell’e-marginazione e del disagio sperimen-tati giorno dopo giorno nel quartiere diPalermo entrato nell’immaginario col-lettivo come il bunker di Cosa Nostra.In quattro stanze ci sono una sorta diasilo nido, il recupero scolastico, i la-boratori del gruppo giovani. Tutte ini-ziative scaturite dalle intuizioni di pa-dre Pino Puglisi. E a dare il benvenutoai ragazzi che le frequentano e alle lo-

ro famiglie c’è appunto Stefano. Ha 61anni ed è stato condannato all’erga-stolo. Ne aveva 21 quando è finito incarcere. «Ho iniziato rubando le auto.Poi ci sono state le rapine e gli omici-di». Oggi è in semili-bertà. Esce dal peni-tenziario al mattino erientra alla sera. E tra-scorre la giornata co-me custode di unadelle strutture delCentro Padre Nostrofondato dal sacerdo-te beato nel 1991. «Hoconosciuto il presi-dente Maurizio Arta-le durante uno dei suoi colloqui in car-cere. Di solito non prende persone chehanno sulle spalle pene da scontare co-me le mie. Ma si è fidato...». E adesso luisi definisce un suo «collaboratore».

A Brancaccio Stefano è nato. «E ci hovissuto nel pieno del potere mafioso –dice –. Oggi qualcuno con quella men-talità è rimasto. Ma soprattutto riman-gono i tanti problemi del quartiere. Qui

i ragazzi crescono dasoli, abbandonati.Già avere la terza me-dia è una conquista.Nessuno insegna leminime regole di ci-viltà». Lo fa, invece, ilCentro Padre Nostrosulle orme di Puglisi.«Ha trasformato ilquartiere – sostieneStefano –. Se abbia-

mo campi sportivi, aiuti alle famiglie,un auditorium, lo dobbiamo al Cen-tro». Lui non ha conosciuto di personail sacerdote martire. «Però si parlavamolto del parrinu nella zona durante

quegli anni». Nel 2018 spiega che «perme padre Puglisi è tutto». E confida:«Ho la sua immaginetta anche nel por-tafoglio. Però non riesco a dipingerlo».Perché Stefano si è scoperto pittore die-tro le sbarre. «Ho ini-ziato grazie a un com-pagno di cella france-se. E mi sono appas-sionato. Mi reputo an-che un discreto artista,ma non quando c’è dimezzo don Pino. Hoprovato a ritrarlo mol-te volte. Ma mi emo-ziono sempre. Il pen-nello inizia a tremare esono costretto a fermarmi».Stefano è stato anche il testimonial delProgetto Pari, un percorso per pro-muovere “buone relazioni” nelle scuo-le superiori di Palermo voluto dal Co-

mune con il Centro Padre Nostro. «Aglistudenti ho raccontato la mia adole-scenza. Perché ci vuole davvero poco apassare dal bullismo alla delinquenza,da una bravata ai reati. Così a loro ri-

peto: non fatevi ingan-nare, non cedete ai ri-chiami dei soldi facili».Quindi rivela: «Già imiei insegnanti michiamavano delin-quente». Oggi va orgo-glioso della sua fami-glia. «Mia moglie lavo-ra e abita non lontanoda qui. I miei due figlisono già sistemati: lui è

un imprenditore, lei ha un ingrosso».Eppure, continua, «le mie notti sonosegnate dagli incubi per quello che hofatto. Non ho mai nascosto gli errori cheho commesso. Infatti sto pagando». Poi

la voce si abbassa. «In carcere ho avu-to anche un infarto. Il pensiero di averrovinato un’intera famiglia con le miemani mi ha talmente tormentato che ilcuore ha ceduto. Se sono ancora vivo,lo devo alla polizia penitenziaria chemi ha salvato». Il suo riscatto è iniziatoproprio in cella. «Io, che non avevo maiavuto voglia di studiare, ho preso duediplomi. E ho seguito corsi di compu-ter, idraulica, elettrotecnica». Con i suoiquadri, venduti in una mostra a Torino,ha aiutato anche quattro ragazzi rima-sti orfani dopo l’alluvione del 1994 inPiemonte. «Un sogno che ho adesso?Poter stringere la mano a papa France-sco e avere da lui una benedizione. Soche sarà a Palermo per rendere omag-gio a don Pino. Chissà se ci sarà la pos-sibilità di abbracciarlo...».

Giacomo Gambassi© RIPRODUZIONE RISERVATA

I«La storia di Stefano,

in carcere per omicidio,che oggi è custode deiragazzi. «A loro dico:non fatevi ingannare»

«Io, condannato all’ergastolo, rinato grazie al suo sorriso»

«Mio fratello Pino Puglisi,non eroe ma prete di strada»Il sacerdote ucciso dalla mafia raccontato dai familiari

Ha finalmente una piscina ilquartiere dimenticato diBrancaccio a Palermo, la “terra” dipadre Pino Puglisi ancora segnatadalla violenza e dal degrado. L’harealizzata il Centro Padre Nostrofondato proprio dal prete beatocome avamposto sociale chetraduce il Vangelo in promozioneumana fra le vie di un abitato conun passato legato a Cosa Nostra.La piscina per i ragazzi è statainaugurata a inizio luglio nel parcogiochi “Padre Puglisi - PadreKolbe” che il Centro ha creato adue passi dalla chiesa di SanGaetano e che in queste settimaneè invasa dai piccoli per il Grest.Certo, strutture come questedanno fastidio ai potentati locali.Qualche giorno fa è stata presa dimira piazza Anita Garibaldi dove èstato assassinato don Puglisi:divelti i dissuasori e danneggiati ilampioni che illuminano la statuadel sacerdote. E anche il campo dacalcetto e pallavolo, poco distanteda lì, è stato recintato con il filospinato per non finire preda di attivandalici. Perché poco dopo che èstato aperto, in una notte, sonoscomparse le porte e l’interarecinzione. «Potevamo rivolgerci alpadrino di turno e i responsabilisarebbe saltati subito fuori –racconta il presidente MaurizioArtale, più volte minacciato –.Invece abbiamo fatto regolaredenuncia ma tutto si è insabbiatoanche per l’omertà diffusa». Sonopiù di centoventi le querele che ilCentro ha sporto in questi anni perazioni intimidatorie e avvertimenti.«Ma non ci fermeranno – concludecon decisione Artale –. E nonfaremo passi indietro». (G.Gamb.)

IL FATTO

C’è la nuova piscinaMa non si fermanole minacce e i raid

Stefano Taormina

Il colloquioI genitori, la vocazione, l’impegnoa Brancaccio, la passione educativaIl beato nelle parole di Francesco,uno dei due fratelli, e del nipoteCarmelo. «Insegnava ai ragazzi adire “grazie” o “per favore”. Vocaboliassurdi nella terra di Cosa Nostra»Il Papa? «Così lo abbiamo invitatoE lo accoglieremo con commozionenella nostra casa luogo del martirio»

A destra,la tombadi padre

Pino Puglisinel Duomodi Palermo

Sotto,i familiaridel prete

beato:da destra

il nipote Carmelo,il fratello

Francescoe la cognata

Angelina(Gambassi)

C A T H O L I C A 17Domenica29 Luglio 2018