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Catechesi sulla preghiera
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Catechesi sulla preghiera 2010\11
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C A T E C H E S I S U L L A P R E GC A T E C H E S I S U L L A P R E G H I E R AH I E R A
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A]A] II L SIGNIFICATO DELLA L SIGNIFICATO DELLA PREGHIERA NELLA VITAPREGHIERA NELLA VITA E NELLE NELL ’’ INSEGNAMENTO DI INSEGNAMENTO DI GGESÙESÙ
Farò ovviamente solo qualche accenno a riguardo del titolo di questa catechesi, ma credo che per cogliere alcune note essenziali della preghiera non vi sia modo migliore che quello di individuarli negli atteggiamenti concreti e negli insegnamenti del Signore. Se fondamentalmente la vita cristiana è, come dice san Paolo, un continuo divenire “conformi all’immagine del Figlio” di Dio (Rm 8,29), è chiaro che tale “conformità” dovrà assumere anche a questo aspetto così caratteristico di Gesù che fa di Lui “l’uomo orante” per eccellenza.
Vediamo allora alcuni aspetti generali e altri relativi ai singoli Vangeli.
Scorrendo i Vangeli ciò che sorprende è davvero il continuo atteggiamento orante di Gesù. Ricordiamo la prima manifestazione dello “spirito di preghiera” di Gesù al Tempio dopo il pellegrinaggio a Gerusalemme. Gesù ha dodici anni. “Perché mi cercavate? Non sapete che io debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?” (Lc 2,49). Tutta la vita di Gesù possiamo dire che si muove sotto il segno di una ricerca costante della volontà del Padre: “Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv 4,34). Gesù non verrà mai meno a questo atteggiamento di radicale disponibilità verso il Padre: “Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e di nuovo lo glorificherò! ” (Gv 12,27-‐‑28). Così nel Getsemani: “Padre mio, se è possibile, assi da me questo calice; però non come voglio io, ma come vuoi Tu” (Mt 26,39). Vi sarebbero altri testi da considerare e interessanti a riguardo – pensiamo al “Padre nostro”: “sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra” (Mt 6,10) -‐‑, ma ora possiamo dire che Gesù prega per cercare e restare nella volontà del Padre.
Nella preghiera Gesù realizza un contatto intimo e profondo col Padre, si incontra con Lui e aderisce totalmente alla sua volontà di amore: potremmo dire che ogni preghiera di Gesù fa avanzare di qualche passo decisivo il disegno della salvezza. L’evento della Trasfigurazione ci svela poi un altro
aspetto strettamente legato al precedente. Luca lo inserisce in un contesto di preghiera: “Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare” (Lc 9,28) e ci porta a questa rivelazione: “E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo” (Lc 9,35). Altro aspetto della preghiera di Gesù è, per così dire, la ricerca di gradimento da parte del Padre.
Negli ultimi fatti della vita terrena di Gesù, la sua preghiera raggiunge la massima espressione: è la preghiera più bella, più significativa e più commovente: la preghiera cosiddetta “sacerdotale”, nel contesto della ormai prossima Passione. Così prega Gesù: “Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo
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l’opera che mi hai dato da fare. […] Ora io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi” (Gv 17). C’è una connotazione sacrificale della preghiera di Gesù che è essenziale per tutti: non si può pregare se non a condizione di essere in un sincero atteggiamento sacrificale, nel quale si intercede per tutti in virtù del Battesimo che ci ha resi sacerdoti e dove la nostra volontà cerca di coincidere con quella del Padre. Questo aspetto di sintesi a pensarci bene non è affatto scontato nella nostra preghiera e può avere risvolti molto concreti circa la vita quotidiana fatta di lavoro, di studio e di relazioni.
Sempre dal Vangelo di Giovanni e come sviluppo della preghiera sacrificale si apprende l’aspetto di forte intercessione della preghiera di Gesù. Due ambiti in particolare: la preghiera di Gesù per la fede di Pietro (cf Lc 22,32) e quella per i discepoli perché siano “consacrati nella verità” (Gv 17,17) . Sì, Gesù prega perché Pietro non venga meno nella fede e possa confermare in essa i suoi fratelli: è’ la preghiera di Gesù sulla Chiesa, affinché sia fedele alla volontà del Padre e la ricerchi sempre per corrispondervi con filiale fiducia e obbedienza. Vi è anche la preghiera per tutti i discepoli, affinché fedeli al Vangelo, in tutto e per tutto, siano in esso “consacrati”, comprendano cioè di appartenere al Padre e in esso vi trovino la gioia di donarsi per la salvezza del mondo.
Altri aspetti veramente belli della preghiera di Gesù sono quelli dell’esultanza, del perdono, dell’affidamento totale. Luca per introdurre una preghiera bellissima di Gesù precisa che “esultò [di gioia] nello Spirito Santo e disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto”(Lc 10,21-‐‑22). E’ meravigliosa questa gioia, diremmo infantile, di Gesù che si confida al Padre e che ci rivela la sua intimità con Lui e con i piccoli. Commuove davvero. C’è poi la preghiera di perdono: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Gesù invita anche noi a questo reciproco perdono, essenziale per una preghiera autentica. Nel Padre nostro lo ripetiamo: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li abbiamo rimessi – il tempo è di un’azione compiuta – ai nostri debitori (Mt 6,21). Poi dicevo della preghiera di totale affidamento: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito” (Lc 23,46). Da Gesù ci viene consegnata la preghiera di più totale e fiducioso abbandono filiale a Colui che è Padre, suo Padre e mio Padre.
Permettete solo brevi accenni ad alcuni aspetti della preghiera di Gesù specifici dei Vangeli sinottici e di Giovanni.
All’interno dei sinottici senz’altro ciò che emerge con forza è la preghiera di lode e di ringraziamento. Soprattutto in Luca, che possiamo definirlo l’Evangelista della preghiera, si coglie poi come la preghiera debba essere costante nella fiducia attendo da Dio il dono dello Spirito (cf Lc 11,9-‐‑13)1. Altro aspetto da evidenziare è senz’altro la preghiera comune. Matteo parla della preghiera comunitaria all’interno del discorso ecclesiastico di Gesù. Viene sottolineata la sinfonia
1 “Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! ”.
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della preghiera2, nella quale il cuore deve battere all’unisono con quello di tutta la Chiesa, dei suoi pastori e tra fratelli. E’ proprio così, ci chiediamo?
In Giovanni certamente emerge l’atteggiamento contemplativo, di unione tra il Padre e colui che prega (Gv 1; 6; 15; 17 solo per citare alcuni capitoli). Giovanni ci ha scritto un Vangelo che già di per se stesso è preghiera. Essa si svolge sempre nello Spirito Santo, che abita “in noi”, Maestro interiore, Luce d’intelligenza, Paraclito e Guida verso Dio (Gv 14; 16).
Termino con una riflessione di J. Jeremias, un grande teologo e biblista luterano tedesco, su una provocazione di Clemente d’Alessandria circa un detto di Gesù che non figura nei Vangeli: “Chiedete le cose grandi e Dio vi concederà le piccole”. Jeremias commenta: “Le vostre preghiere si muovono sempre sulla sfera del vostro piccolo ‘io’, delle vostre necessità, delle vostre difficoltà, dei vostri desideri. Domandate delle cose grandi: la gloria di Dio, il Regno di Dio onnipotente, il dono delle grandi grazie, il pane di vita e la misericordia infinita di Dio; e tutto questo chiedetelo per l’ora presente, per quaggiù: ‘oggi’. Con questo non si dice che non possiate esporre a Dio le vostre povere necessità personali. Ma queste non devono circoscrivere la vostra preghiera. E’ il Padre vostro che pregate. egli sa tutta. Sa, prima ancora che glielo chiediano, ciò di cui i suoi figli, hanno bisogno. Ed aggiungerà alle grandi grazie i piccoli doni. Gesù disse: “Chiedete le grandi cose e Dio vi concederà le piccole”. Gesù ci insegna a chiedere al Padre le “cose grandi” 3.
Preghiamo
O Padre, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per Cristo nello Spirito Santo.
Amen.
(dalla Colletta XXI del T.O.)
2 In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. (Mt 18,19-‐‑20)
3 J. Jeremias, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento. Ed. Paideia, Brescia 1968
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B]B] LLA DISCIPLINA NELLA PA DISCIPLINA NELLA PREGHIERAREGHIERA.. A.JA.J .. HHESCHEL ESCHEL –– G.G. DDOSSETTI SJOSSETTI SJ
“Parlare di preghiera è per un versante un po’ presuntuoso, nel senso che non ci sono espedienti, non esistono tecniche, non esiste una forma di specializzazione della preghiera come se fosse un qualcosa di matematico. La vita intera dev’essere allenamento alla preghiera. Preghiamo nel modo in cui viviamo. La preghiera dipende non solo da noi, ma anche dalla volontà e dalla grazia di Dio. A volte ci di fronte ad un muro, un muro molto alto e non siamo in grado di scalarlo. E’ difficile passare oltre, ma anche battere il capo contro il muro ha molto senso. In ultima analisi, c’è un solo modo di acquisire la certezza della realtà di qualsivoglia realtà, e questo è battere la testa contro il muro. Allora scopriamo che c’è qualcosa di reale al di fuori della mente”.
Così si esprime A.J.Hescel, uno dei massimi pensatori e mistici ebraici del secolo scorso (1907-‐‑1972).
Quello qui riportato rispecchia bene sia un sentire interiore che a volte ci accompagna nella preghiera e per il quale non dobbiamo spaventarci, ma piuttosto coglierlo come una realtà – lo stare come davanti ad un muro –, sia una via – direbbe Gesù “la necessità di pregare sempre” -‐‑, sia quell’aspetto così delicato della preghiera, tra Dio e l’uomo, di reciproca immersione nell’intimo che rende le cose sempre nuove – “la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Ti farò mia sposa per sempre nella fedeltà” (Osea).
Questo aspetto ci introduce realisticamente in una disciplina che la preghiera porta in sé, rispettosa del mistero che essa conserva.
La nostra riflessione ora si volge alla preghiera cristiana che proprio perché tale contempla in sé l’elemento chiave della preghiera d’Israele: l’ascolto e la benedizione, sono come un tutt’uno.
Sia l’ascolto che la benedizione ci indicano che la preghiera non si può esaurire in un istante, né si muove su una superficie piana. Essa procede attraverso profondità e altezze, lungo deviazioni e vie secondarie. Avanza gradualmente da parola a parola, da pensiero a pensiero, da sentimento a sentimento. E una volta giunti, troviamo, a un livello in cui le parole sono tesori, che i significati sono nascosti, ancora da scoprire: si tratta della
contemplazione del Nome di Dio, nome che designa un esserci costante e operante per il suo popolo, per i suoi figli.
L’ascolto è la prima disciplina nella preghiera: noi ascoltiamo Dio – “Ascolta Israele: Io sono il tuo Dio” (Esodo); “Tu mi sarai figlio e io ti sarò Padre” (Profeti, Isaia); “Figlio mio custodisci le mie parole (Sapienziali, Proverbi) -‐‑ nella consapevolezza che Lui ascolta noi – “Il tuo grido è giunto fino a me” (Esodo); “Al tempo della misericordia ti ho ascoltato” (Profeti, Isaia); “La mia parola non era ancora sulle labbra e Tu, Signore, già la conoscevi tutta” (Sapienziali, Salmo). L’ascolto si
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fa poi reciproca benedizione cosmica: noi benediciamo per il Creato nel quale vediamo l’opera di Dio e a Lui torniamo con la lode; Egli nel Creato contempla l’uomo, sua immagine e somiglianza.
Guardiamo ora alla tipicità della preghiera cristiana. Essa è “preghiera oggettiva”, cioè ancorata alla oggettività della Rivelazione”4,: qu’ trova la sua discilina. Liquidiamo così subito una preghiera sincretista, oggi di moda, dove c’è tutto e di più, dove universi religiosi, che nulla hanno a che fare col cristianesimo, si intrecciano in parzialità e controsensi: è la cosiddetta New Age. Dobbiamo anche stare attenti ad una preghiera cosiddetta antropologica, che assume l’uomo, l’io soltanto, come oggetto e contenuto, che riflette su se stessa. Essa ha un confine molto velato e sottile perché tende a rifarsi fortemente all’aspetto emotivo. Essa perviene a volte anche ad una esplosione per così dire mistica – espressione infelice, ma per capirsi -‐‑, ma tutto resta orientato all’io. Ciò accade nelle religioni orientali così parzialmente assunte in Occidente, tradendo il loro cuore culturale. Per noi credo occorra maggior attenzione ad una preghiera che valuti in ultima istanza tutto sulla base emotiva. E’ questo un rischi costante che corriamo e nel quale spesso cadiamo. La fonte della preghiera non è l’emozione che si prova e tanto meno l’emozione può diventare un criterio a sé di valutazione della preghiera stessa. La preghiera cristiana è ancorata alla Rivelazione. E’ preghiera trinitaria per Cristo, nello Spirito e rivolta al Padre. Preghiera che vive nel mistero della Chiesa, con le sue azioni propriamente salvifiche ed efficaci, ovvero la Liturgia e la Carità: questa è la disciplina della preghiera cristiana.
Sulla linea di quanto detto la disciplina nella preghiera è ben espressa nella Liturgia delle Ore. L’Uffico, le Lodi, l’Ora media, i Vespri e Compieta sono preghiera ufficiale, disciplinata, della Chiesa. Lì si prega con la Chiesa, per la Chiesa e il mondo intero; si compie l’esercizio dell’ufficio sacerdotale del Battesimo. La preghiera delle Ore meriterebbe una catechesi apposita, ma per ora è bene sottolineare come essa sia disciplinata con il resto di tutta la preghiera liturgica della Chiesa ed è consegnata a tutti nell’ambito degli stati di vita di ciascuno. E’ una preghiera che dobbiamo scoprire maggiormente in tutta la sua ricchezza biblica e teologica. Essa non è la preghiera “già pronta”, ma piuttosto porta con sè una storia biblica di uomini in dialogo con Dio, capaci di riconoscere la Sua presenza fedele nella storia e di leggerla alla luce della Parola eterna.
Non si terminerebbe mai di trattare questo tema, dando uno sguardo interessantissimo anche alle tradizione spirituali occidentali, a quella monastica e a quella ortodossa, ma non è ovviamente possibile. Termino limitandomi alla proposta di una preghiera quotidiana disciplinata in tre tempi: mattino, mezzogiorno e sera. La preghiera del mattino è quella che già vede l’alba, il giorno nuovo: essa è quella che ci orienta a Cristo mettendoci nel quotidiano atteggiamento di sequela a Lui come gente che già guarda al giorno eterno. E’ preghiera che vede al centro il Vangelo, magari quello che la Liturgia ci offre. La preghiera a metà giornata contempli l’invocazione allo Spirito che ci guida alla verità e alla comprensione dell’opera di Dio nel tempo, nell’oggi che si sta vivendo.
4 Don Giuseppe Rossetti senior, Conversazioni.
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La preghiera della sera sia il ritorno a casa nelle braccia del Padre, al quale confidare tutto e di tutto rendere grazie. Lui che non prende sonno ci custodisce per il nuovo giorno e per il giorno che non avrà fine. Questo non vuole essere uno schema rigido e formale, ma piuttosto l’invito concreto, gestito nelle modalità proprie di ciascuno, alla “santificazione del giorno e di tutta l’attività umana”5
C] “IL CANTO DI LODE CHE RISUONA ETERNAMENTE NELLE SEDI CELESTI… LA LITURGIA DELLE ORE
“Il canto di lode, che risuona eternamente nelle sedi celesti, e che Gesù Cristo Sommo Sacerdote introdusse in questa terra d’esilio, la Chiesa lo ha conservato con costanza e fedeltà nel corso di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile varietà di forme”.
Così Paolo VI nella Costituzione apostolica Laudis canticum (1 nov 1970), sulla scia del Concilio Vaticano II, introduceva il Popolo di Dio alla preghiera di lode a Dio che perpetuamente la Chiesa celebra a nome di tutto il creato davanti al suo Signore: l’Ufficio divino o Liturgia delle Ore. Grazie al Concilio Vaticano II, con la Costituzione conciliare Sacrosanctum concilium (4 dic 1963), si è anche maggiormente compreso come la Liturgia delle Ore sia “voce della Sposa che parla allo Sposo” (84), anzi, partecipazione alla “preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre” (84). Essa è così “destinata a diventare la preghiera di tutto il Popolo di Dio […] dove ciascuno vi prende parte secondo il ruolo che riveste nella Chiesa e le circostanze della propria vita” (CCC 1175).
Dall’introduzione sopra citata possiamo cogliere alcuni aspetti bellissimi circa la comprensione della Liturgia delle Ore. Essa è canto di lode prima di tutto; un canto perpetuo che risuona dalla terra, ovvero dal cuore di ogni uomo e quindi da ogni cultura. E’ canto che l’uomo eleva a Dio, ma si rende voce di ogni creatura: è canto di lode cosmica. La fine del Prefazio della Preghiera eucaristica IV ci aiuta a comprendere la portata di questa lode cosmica: “Schiere innumerevoli di angeli stanno davanti a Te per servirti, contemplano la gloria del tuo volto, e giorno e notte cantano la tua lode. Insieme con loro anche noi, fatti voce di ogni creatura, esultanti cantiamo: Santo Santo Santo …”. Sì, “fatti voce di ogni creatura”. Meravigliosa è la citazione del Card. Ballestrero che ho già richiamato in un’altra catechesi: “non c’è nessun essere che sia nato per pregare, se non l’uomo. Le pietre non pregano. Pregano quando l’uomo in un gesto religioso le prende e le cambia in altare. Ma è l’uomo che prega. Siamo nati da un divino colloquio e siamo chiamati ad entrare in esso”.
5 Principi e norme per la Liturgia delle Ore, 11.
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Ora, questo canto di lode, è celebrato sulla terra, ma esso “risuona nelle sedi celesti”. Essa è liturgia di lode celeste che ci indirizza al giorno che non conosce tramonto6.
Il Santo Concilio si esprime in modo mirabile a proposito: “Cristo Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terrestre quell'ʹinno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti. Egli unisce a sé tutta l'ʹumanità e se l'ʹassocia nell'ʹelevare questo divino canto di lode. Cristo continua ad esercitare questa funzione sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell'ʹEucaristia, ma anche in altri modi, specialmente recitando l'ʹufficio divino” (SC 83).
Nella Liturgia delle Ore si esercita in modo sublime il sacerdozio battesimale; non vi si prega solo per sé, ma a nome di tutta la Chiesa, in comunione con essa, per essa e per il mondo intero. Questo aspetto, espresso molto chiaramente dal Concilio7, conduce ad una consapevolezza alta della preghiera cristiana, che non può essere espressione di un sentire soggettivo o di gruppo, ma nella sua maturità inserita ed espressione di tutta la Chiesa. Questa preghiera “a nome e secondo le intenzioni della Chiesa” è sempre stato patrimonio della spiritualità cristiana fin dalle origini e ha risuonato nel cuore della gente anche se non sapeva leggere o capire quello a cui assisteva. Oggi c’è una consapevolezza nuova, possibilità nuove che vanno “sfruttate” sapientemente da tutto il Popolo di Dio.
Per tale ragione la Liturgia delle Ore va celebrata bene ovvero con consapevolezza e secondo la sua disciplina. Vediamo innanzitutto alcune cose a riguardo della sua natura e poi alcune note di metodo, tenendo presente ovviamente che è impossibile qui dire tutto.
Circa la comprensione della Liturgia delle Ore aggiungo che essa è preghiera di Cristo rivolta al Padre ed è allo stesso tempo preghiera che esprime l’azione dello Spirito Santo che, unificando tutta la Chiesa, per mezzo di Gesù la conduce al Padre8.
La LdO è suddivisa i sette tempi: Ufficio di lettura, Lodi, Ora media di terza, di sesta e di nona, Vespri, Compieta: “sette volte al giorno io ti lodo” (cf Sal 118,164).
Per la natura liturgica di questa preghiera, essa va celebrata con i suoi ritmi e le sue condizioni.
Per la recita comunitaria è innanzitutto indispensabile e non scontato comprendere che è recita comune, d’assemblea, quindi con la voce di tutti i presenti e in modo corale. Alcune note utili:
ü Non ci devono essere voci che sovrastano le altre quando è preghiera comunitaria e tutti devono far sentire una voce non alta ma sicura, timbrata e corale;
ü I tempi della lode non sono soggettivi: chi detta i tempi è colui che presiede e anche lui deve essere soggetto ai tempi che la salmodia richiede;
6 cfr Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, 15-‐‑16. 7 È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia e alla quale il popolo cristiano, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquistato» (1 Pt 2,9; cfr 2,4-‐‑5), ha diritto e dovere in forza del battesimo (SC 14). 8 cfr Principi e Norme per la Liturgia delle Ore, 3-‐‑9.
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ü I salmi hanno dei segni: generalmente una croce e un asterisco. Essi designano delle pause non solo per il canto, ma anche per la recita che, appunto perché sia una recita corale, vanno rispettate. Non si fanno pause nelle virgole o nei punti e nemmeno tra una strofa e l’altra ma solo dove sono i segni: la croce una pausa brevissima, l’asterisco una pausa di respiro.
ü Non si deve correre nella recita (questo capita soprattutto con il Benedictus, il Magnificat, il Nunc dimittis e altri salmi che si sanno a memoria), ma nemmeno scandire le lettere: occorre imparare a rispettare i tempi di tutti e il modo migliore è stare al tempo di chi presiede, rispettando le pause dovute.
ü Al responsorio breve ci si alza in piedi al momento di chi presiede.
Nel caso della recita personale, consiglio di ripetersi un versetto di ogni salmo per far risuonare questa parola nella vita. Si può sostituire la lettura breve con il Vangelo del giorno o con un’altra lettura biblica.
LA LITURGIA DELLE ORE, PREGHIERA DELLA CHIESA – B. GIOVANNI PAOLO II, UDIENZA GENERALE 4 APR 2001
1. Prima di intraprendere il commento dei singoli Salmi e Cantici delle Lodi, completiamo quest’oggi la riflessione introduttiva iniziata nella scorsa catechesi. E lo facciamo prendendo le mosse da un aspetto molto caro alla tradizione spirituale: cantando i Salmi, il cristiano sperimenta una sorta di sintonia fra lo Spirito presente nelle Scritture e lo Spirito dimorante in lui per la grazia battesimale. Più che pregare con proprie parole, egli si fa eco di quei "ʺgemiti inesprimibili"ʺ di cui parla san Paolo (cfr Rm 8,26), con i quali lo Spirito del Signore spinge i credenti ad unirsi all’invocazione caratteristica di Gesù: "ʺAbbà, Padre!"ʺ (Rm 8,15; Gal 4,6).
Gli antichi monaci erano talmente sicuri di questa verità, che non si preoccupavano di cantare i Salmi nella propria lingua materna, bastando loro la consapevolezza di essere, in qualche modo, "ʺorgani"ʺ dello Spirito Santo. Erano convinti che la loro fede permettesse ai versetti dei Salmi di sprigionare una particolare "ʺenergia"ʺ dello Spirito Santo. La stessa convinzione si manifesta nella caratteristica utilizzazione dei Salmi, che fu chiamata "ʺpreghiera giaculatoria"ʺ -‐‑ dalla parola latina "ʺiaculum"ʺ, cioè dardo -‐‑ per indicare brevissime espressioni salmodiche che potevano essere "ʺlanciate"ʺ, quasi come punte infuocate, ad esempio contro le tentazioni. Giovanni Cassiano, uno scrittore vissuto fra il IV e il V secolo, ricorda che alcuni monaci avevano scoperto l’efficacia straordinaria del brevissimo incipit del Salmo 69: "ʺO Dio vieni a salvarmi; Signore vieni presto in mio aiuto"ʺ, che da allora divenne come il portale d’ingresso della Liturgia delle Ore (cfr Conlationes, 10,10: CPL 512,298 ss).
2. Accanto alla presenza dello Spirito Santo, un’altra dimensione importante è quella dell’azione sacerdotale che Cristo svolge in questa preghiera associando a sé la Chiesa sua sposa. A tal proposito, proprio riferendosi alla Liturgia delle Ore, il Concilio Vaticano II insegna: "ʺIl Sommo
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Sacerdote della nuova ed eterna Alleanza, Cristo Gesù, […] unisce a sé tutta la comunità degli uomini, e se l’associa nell’elevare questo divino canto di lode. Infatti Cristo continua questo ufficio sacerdotale per mezzo della sua stessa Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo intero non solo con la celebrazione dell’Eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente con la recita dell’Ufficio divino"ʺ (Sacrosanctum Concilium, 83).
Anche la Liturgia delle Ore, dunque, ha il carattere di preghiera pubblica, nella quale la Chiesa è particolarmente coinvolta. È illuminante allora riscoprire come la Chiesa abbia progressivamente definito questo suo specifico impegno di preghiera scandita sulle varie fasi del giorno. Occorre per questo risalire ai primi tempi della comunità apostolica, quando ancora vigeva uno stretto legame fra la preghiera cristiana e le cosiddette "ʺpreghiere legali"ʺ -‐‑ prescritte cioè dalla Legge mosaica -‐‑ che si svolgevano in determinate ore del giorno nel Tempio di Gerusalemme. Dal libro degli Atti sappiamo che gli Apostoli "ʺtutti insieme frequentavano il Tempio"ʺ (2,46), oppure che "ʺsalivano al Tempio per la preghiera dell’ora nona"ʺ (3,1). E d’altra parte sappiamo anche che le ‘preghiere legali’ per eccellenza erano appunto quelle del mattino e della sera.
3. Gradualmente i discepoli di Gesù individuarono alcuni Salmi particolarmente appropriati a determinati momenti della giornata, della settimana o dell’anno, cogliendovi un senso profondo in rapporto al mistero cristiano. È autorevole testimone di questo processo san Cipriano, che così scrive nella prima metà del terzo secolo: "ʺBisogna infatti pregare all’inizio del giorno per celebrare nella preghiera del mattino la risurrezione del Signore. Ciò corrisponde a quello che una volta lo Spirito Santo indicava nei Salmi con queste parole: «Tu sei il mio re, il mio Signore, ed io innalzerò a te, o Signore, di mattino la preghiera: ascolterai la mia supplica; di mattino mi presenterò a te e ti contemplerò» (Sal 5,3-‐‑4). […] Quando poi il sole tramonta e viene meno il giorno, bisogna mettersi di nuovo a pregare. Infatti, poiché il Cristo è il vero sole e il vero giorno, nel momento in cui il sole e il giorno del mondo vengono meno, chiedendo attraverso la preghiera che sopra di noi ritorni la luce, invochiamo che Cristo ritorni a portarci la grazia della luce eterna"ʺ (De oratione dominica, 35: PL 39,655).
4. La tradizione cristiana non si limitò a perpetuare quella ebraica, ma innovò alcune cose che finirono col caratterizzare diversamente l’intera esperienza di preghiera vissuta dai discepoli di Gesù. Oltre infatti a recitare, al mattino e alla sera, il Padre nostro, i cristiani scelsero con libertà i Salmi con i quali celebrare la loro preghiera quotidiana. Lungo la storia, questo processo suggerì l’utilizzazione di determinati Salmi per alcuni momenti di fede particolarmente significativi. Fra questi teneva il primo posto la preghiera vigiliare, che preparava al Giorno del Signore, la Domenica, in cui si celebrava la Pasqua di Risurrezione.
Una caratteristica tipicamente cristiana è stata poi l’aggiunta alla fine di ogni Salmo e Cantico, della dossologia trinitaria, "ʺGloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo"ʺ. Così ogni Salmo e Cantico viene illuminato dalla pienezza di Dio.
5. La preghiera cristiana nasce, si nutre e si sviluppa intorno all’evento per eccellenza della fede, il Mistero pasquale di Cristo. Così, al mattino e alla sera, al sorgere e al tramonto del sole, si
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ricordava la Pasqua, il passaggio del Signore dalla morte alla vita. Il simbolo di Cristo "ʺluce del mondo"ʺ appare nella lampada durante la preghiera del Vespro, chiamata per questo anche lucernario. Le ore del giorno richiamano a loro volta il racconto della passione del Signore, e l’ora terza anche la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. La preghiera della notte infine ha carattere escatologico, evocando la veglia raccomandata da Gesù nell’attesa del suo ritorno (cfr Mc 13,35-‐‑37).
Cadenzando in questo modo la loro preghiera, i cristiani risposero al comando del Signore di "ʺpregare incessantemente"ʺ (cfr Lc 18,1; 21,36; 1 Ts 5,17; Ef 6,18), ma senza dimenticare che tutta la vita deve in qualche modo diventare preghiera. Scrive a tal proposito Origene: "ʺPrega senza posa colui che unisce la preghiera alle opere e le opere alla preghiera"ʺ (Sulla preghiera, XII,2: PG 11,452C).
Questo orizzonte nel suo insieme costituisce l’habitat naturale della recita dei Salmi. Se essi vengono sentiti e vissuti così, la dossologia trinitaria che corona ogni Salmo diventa, per ciascun credente in Cristo, un continuo rituffarsi, sull’onda dello Spirito e in comunione con l’intero popolo di Dio, nell’oceano di vita e di pace in cui è stato immerso col Battesimo, ossia nel mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Tratto da “TRADIZIONE APOSTOLICA” ( Sec.) DI PSEUDO-‐‑IPPOLITO, 41
Tutti i fedeli, uomini e donne, la mattina, appena si svegliano dal sonno, prima di ogni altra cosa, si lavino le mani e preghino Dio, quindi incomincino ad occuparsi dei loro affari.
Se tuttavia c'ʹè una predica, le si dia la preferenza, persuasi che Dio parla per bocca di colui che predica. Chi ha pregato così nella chiesa, è premunito contro la fatica del giorno. Chi teme Dio deve considerare una grande perdita il non partecipare all'ʹistruzione.
Quando il predicatore è giunto, tutti si affrettino a recarsi alla chiesa, dove si tiene l'ʹistruzione. L'ʹoratore saprà parlare per l'ʹutilità di ciascuno. Tu sentirai quello a cui non pensavi e trarrai profitto di quanto ti dirà lo Spirito per bocca di chi parla.
In tal modo la tua fede sarà rafforzata dalle parole che sentirai. Ti sarà indicato anche il contegno che devi tenere in casa.
Nei giorni senza istruzione, ognuno prenda un libro sacro e faccia una lettura che serva per il profitto della sua anima.
Se sei in casa, prega a terza (alle nove del mattino) e loda Iddio; se ti trovi fuori in quel momento, prega Dio nel tuo cuore, perché in quell'ʹora il Cristo è stato inchiodato alla croce.
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Pregherai pure a sesta (a mezzogiorno) ricordandoti del Cristo che fu legato alla croce, mentre il giorno si arrestava e regnavano le tenebre. In quell'ʹora farai una preghiera intensa, per imitare Colui che pregò, quando l'ʹuniverso fu oscurato a causa degli ebrei increduli.
A nona (le tre del pomeriggio) prolunga la preghiera e la lode, per imitare l'ʹanima dei giusti che lodano il Dio di verità, il quale si è ricordato dei suoi Santi e mandò il Verbo per portare loro la luce. In quell'ʹora il Cristo, col costato aperto, sparse acqua e sangue, illuminò il tramonto di quel giorno, sino alla fine. E facendo coincidere il ritorno della luce col suo sonno, diede un'ʹimmagine della sua risurrezione.
Prega anche prima che il tuo corpo si conceda il riposo. Verso la metà della notte, àlzati, làvati le mani con acqua e prega. Se hai moglie, pregate insieme; se non è ancora cristiana, ritirati in un'ʹaltra camera per pregare, poi ritorna a coricarti...
Bisogna pregare in quell'ʹora, perché gli antichi, dei quali ci è stata trasmessa questa tradizione, ci hanno insegnato che allora tutto il creato si riposa per un istante per lodare il Signore. Le stelle, gli alberi e le acque si fermano un attimo, e tutto il coro degli Angeli si impegna con le anime dei giusti a cantare le lodi di Dio. Per questo i fedeli debbono essere contenti di pregare in quell'ʹora...
Verso l'ʹora del canto del gallo, àlzati ancora una volta e fa'ʹ lo stesso. In quell'ʹora, mentre il gallo cantava, i figli di Israele hanno rinnegato il Cristo, che noi abbiamo conosciuto mediante la fede; aspettiamo il giorno della risurrezione dei morti, nella speranza della luce eterna.
Così dunque, voi tutti che siete fedeli, se agite a questo modo e ricordate questi misteri, istruen-‐‑dovi gli uni con gli altri e dando l'ʹesempio ai catecumeni, non potrete né soccombere alla ten-‐‑tazione, né perdere l'ʹanima, perché vi ricordate continuamente del Cristo.
Tratto da “PRINCIPI E NORME PER LA LITURGIA DELLE ORE” (Capitolo III)
I. I salmi e il loro rapporto con la preghiera cristiana
100. Nella Liturgia delle Ore la Chiesa prega in gran parte con quei bellissimi canti, che i sacri autori, sotto l'ʹispirazione dello Spirito Santo, hanno composto nell'ʹAntico Testamento. Per la loro stessa origine, infatti, essi hanno una capacità tale da elevare la mente degli uomini a Dio, da suscitare in essi pii e santi affetti, da aiutarli mirabilmente a render grazie a Dio nelle circostanze prospere, da recare consolazione e fermezza d'ʹanimo nelle avversità.
101. I salmi, tuttavia, non offrono che un'ʹimmagine imperfetta di quella pienezza dei tempi che apparve in Cristo Signore e dalla quale trae il suo vigore la preghiera della Chiesa. Pertanto può talvolta accadere che, pur concordando tutti i cristiani nella somma stima dei salmi, trovino tuttavia qualche difficoltà, nello stesso tempo in cui cercano di far propri nella preghiera quei canti venerandi.
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102. Ma lo Spirito Santo, sotto la cui ispirazione i salmisti hanno cantato, assiste sempre con la sua grazia coloro che eseguono tali inni con fede e buona volontà. È tuttavia necessario che ciascuno, secondo le sue possibilità, si procuri «una maggiore formazione biblica, specialmente riguardo ai salmi» (SC 9). Inoltre si deve arrivare ad assimilare bene il modo e il metodo migliore per pregarli come si conviene.
103. I salmi non sono letture, né preghiere scritte in prosa, ma poemi di lode. Quindi anche se talvolta fossero stati eseguiti come letture, tuttavia, in ragione del loro genere letterario, giustamente furono detti dagli ebrei «Tehillim», cioè «cantici di lode» e dai greci «psalmoi» cioè «cantici da eseguire al suono del salterio». In verità, infatti, tutti i salmi hanno un certo carattere musicale, che ne determina la forma di esecuzione più consona. Per cui anche se il salmo viene recitato senza canto, anzi da uno solo e in silenzio, deve sempre conservare il suo carattere musicale: esso offre certo un testo di preghiera alla mente dei fedeli, tuttavia tende più a muovere il cuore di quanti lo cantano, lo ascoltano e magari lo eseguono con «il salterio e la cetra».
104. Chi dunque vuole salmeggiare con spirito di intelligenza deve percorrere i salmi versetto per versetto e rimanere sempre pronto nel suo cuore alla risposta. Così vuole lo Spirito, che ha ispirato il salmista e che assisterà ogni uomo di sentimenti religiosi aperto ad accogliere la sua grazia. Per questo la salmodia, anche se eseguita con tutto quel rispetto che si deve alla maestà di Dio, deve prorompere dalla gioia del cuore e ispirarsi all'ʹamore, come si addice a una poesia sacra e a un canto divino, e massimamente alla libertà dei figli di Dio.
105. Spesso le espressioni del salmo ci offriranno il modo di pregare più facilmente e con maggior fervore, sia quando rendiamo grazie a Dio e lo glorifichiamo in esultanza, sia quando lo supplichiamo dal profondo delle nostre sofferenze. Tuttavia -‐‑ soprattutto se il salmo non si rivolge direttamente a Dio -‐‑ può sorgere talvolta qualche difficoltà. Il salmista, infatti, nella sua qualità di poeta spesso parla al popolo rievocando la storia d'ʹIsraele; talvolta interpella altri, e fra questi magari anche creature prive di ragione. Talora introduce a parlare anche Dio stesso e gli uomini, e anche, come nel salmo 2, i nemici di Dio. È chiaro quindi che il salmo non è preghiera dello stesso tipo di una orazione o colletta composta dalla Chiesa.
Inoltre il carattere poetico e musicale dei salmi comporta che talvolta siano piuttosto cantati davanti a Dio anziché svolgersi in discorso diretto a lui, come avverte san Benedetto: «Consideriamo come ci si deve comportare alla presenza di Dio e dei suoi angeli, e partecipiamo alla salmodia in modo che il nostro spirito preghi all'ʹunisono con la nostra voce» (San Benedetto, Regola monastica 19).
106. Chi recita i salmi apre il suo cuore a quei sentimenti che i salmi ispirano secondo il loro genere letterario: di lamentazione, di fiducia, di rendimento di grazie. Questi generi letterari giustamente sono tenuti in grande considerazione dagli esegeti.
107. Chi recita i salmi, aderendo al significato delle parole, presta attenzione all'ʹimportanza del testo per la vita umana dei credenti.
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Si sa, infatti, che ogni salmo fu composto in circostanze particolari, alle quali intendono riferirsi i titoli premessi a ciascuno di essi nel salterio ebraico. Ma in verità qualunque sia la sua origine storica, ogni salmo ha un proprio significato, che anche ai nostri tempi non possiamo trascurare. Sebbene quei carmi siano stati composti molti secoli fa presso popoli orientali, essi esprimono assai bene i dolori e la speranza, la miseria e la fiducia degli uomini di ogni tempo e regione, e cantano specialmente la fede in Dio, la rivelazione e la redenzione.
108. Chi recita i salmi nella Liturgia delle Ore, li recita non tanto a nome proprio quanto a nome di tutto il Corpo di Cristo, anzi nella persona di Cristo stesso. Se ciascuno tiene presente questa dottrina, svaniscono le difficoltà, che chi salmeggia potrebbe avvertire per la differenza del suo stato d'ʹanimo da quello espresso nel salmo, come accade quando chi è triste e nell'ʹangoscia incontra un salmo di giubilo, o, al contrario, è felice e si trova di fronte a un canto di lamentazione. Nella preghiera puramente privata si può evitare questa dissonanza, perché vi è modo di scegliere il salmo più adatto al proprio stato d'ʹanimo. Nell'ʹUfficio divino, invece, si ha un determinato ciclo di salmi valevole per tutta la comunità ed eseguito non a titolo personale, ma a nome di tutta la Chiesa, anche quando si tratta di un orante che celebra qualche Ora da solo. Chi salmeggia a nome della Chiesa può sempre trovare un motivo di gioia o tristezza, perché anche in questo fatto conserva il suo significato l'ʹespressione dell'ʹApostolo: «Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto» (Rm 12, 15) e così la fragilità umana, ferita dall'ʹamor proprio, viene risanata nella misura di quella carità per la quale la mente concorda con la voce che salmeggia (San Benedetto, Regola monastica 19).
109. Chi recita i salmi a nome della Chiesa, deve badare al senso pieno dei salmi, specialmente al senso messianico, per il quale la Chiesa ha adottato il salterio. Tale senso messianico è diventato pienamente chiaro nel Nuovo Testamento, anzi fu posto in piena luce dallo stesso Cristo Signore, quando disse agli apostoli: «Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi» (Lc 24, 44). Di ciò è esempio notissimo quel dialogo, riferito da Matteo, circa il Messia, Figlio di David e suo Signore (cfr Mt 22, 44 ss) in cui il salmo 109 è riferito al Messia.
Seguendo questa via, i santi Padri accolsero e spiegarono tutto il salterio come profezia di Cristo e sulla Chiesa; e con lo stesso criterio i salmi sono stati scelti nella sacra liturgia. Sebbene talvolta si proponessero alcune interpretazioni alquanto complicate, tuttavia generalmente sia i Padri che la liturgia con ragione vedevano nei salmi Cristo che si rivolge al Padre, o il Padre che parla al Figlio; anzi riconoscevano la voce della Chiesa, degli apostoli e dei martiri.
Questo metodo di interpretazione fiorì anche nel Medioevo, quando coloro che salmeggiavano trovavano in molti codici, scritti in quell'ʹepoca, il titolo preposto a ciascun salmo e così si apriva loro il senso cristologico dei salmi.
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L'ʹinterpretazione cristologica non si limita soltanto a quei salmi che sono considerati messianici, ma si estende a molti altri, nei quali senza dubbio si tratta di semplici adattamenti, convalidati tuttavia dalla tradizione della Chiesa.
Soprattutto nella salmodia dei giorni festivi, i salmi sono stati scelti in base a un certo orientamento cristologico, ad illustrare il quale per lo più vengono proposte delle antifone tratte dagli stessi salmi.
PREGHIERA Signore, la tua bontà mi ha creato, la tua misericordia ha cancellato i miei peccati, la tua pazienza fino a oggi mi ha sopportato. Tu attendi, o Signore misericordioso la mia conversione e io attendo la tua grazia per raggiungere attraverso la conversione una vita secondo la tua volontà. Vieni in mio aiuto o Dio che mi hai creato e che mi conservi e mi sostieni. Di te sono assetato, di te sono affamato, te desidero, a te sospiro, te bramo al di sopra di ogni cosa.
Sant’Anselmo d’Aosta (XI sec.)
D] PREGARE PER VIVERE. Renè Voillaume
“Pregare per vivere” è il titolo di un libro di un grande maestro di vita 9spirituale qual è stato Renè Voillaume. Nato nel 1905, il 19 luglio, a Versailles (Francia), in una famiglia numerosa e profondamente credente, attratto in un rimo tempo dai Padri Bianchi per la missione, dopo la lettura della biografia di Charles de Foucauld, si sente chiamato ad un altro percorso. Superato un periodo d’incertezze e difficoltà, nel 1933 fonda, insieme ad alcuni amici, la prima comunità dei Piccoli Fratelli di Gesù, a El-‐‑Abiodh-‐‑Sidi-‐‑Cheikh, nel Sahara. Per anni collabora con la Piccola sorella Magdeleine, fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù. Nel 1956 fonda i Piccoli Fratelli del Vangelo e nel 1963 le Piccole sorelle del Vangelo. Uomo di grandissima umanità ed elevatissima
9 Renè Voillaume, Pregare per vivere, San Paolo, 2007
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spiritualità ha tracciato il cammino spirituale in anni complessi, assieme ad altri maestri tra i quali fr. Carlo Carretto. Nel 1968 papa Paolo VI lo invita a predicare in Vaticano. Nel 201 si ritira nella fraternità delle Piccole Sorelle di Gesùdi Aix-‐‑en-‐‑Provence. Muore il 13 maggio 2003.
Nella catechesi di oggi vorrei semplicemente lasciare spazio alle parole di questo grande perché umile e umile perché evangelicamente grande maestro e testimone della semplicità e umanità della preghiera cristiana in particolare. Lasciamo la parola a lui. Si sentirà il respiro della preghiera carmelitana, così davvero profondamente filiale e impastata di umanità.
<<Quando ti prepari a pregare, chiediti dunque cosa stai per fare e perché. Devi pregare anzitutto perché, avendoti Dio fatto per lui, è a lui che devi tornare, e la preghiera è come la forza di gravità che suscita e accelera il moto di ritorno al tuo Signore e supremo Bene.
Devi pregare perché il Signore Gesù ti ha amato per primo e tu di rimando l’ami: l’amicizia invoca un dialogo intimo, in cui tu possa esprimere il tuo amore e conoscere Dio per esperienza e amore. Si tratta di giungere a una conoscenza molto semplice, in genere oscura, al di là di ogni parola, in cui le cose divine vengono gustate ora dolci e ora amare. Per questo, la tua preghiera a volte, si ridurrà a non essere che un appello profondo, un’attesa umile, silenziosa ma piena di desiderio, di quella scienza di Dio che soltanto lo Spirito Santo può comunicarti.
Devi pregare perché sei miserabile e infinitamente piccolo e, per essere totalmente vero, devi esprimere la dipendenza del tuo essere supplicando il Signore di venire a colmare la tua insufficienza con la sua pienezza.
Devi pregare, infine, perché il Signore Gesù ti ha chiamato a lavorare insieme con Lui per la salvezza degli uomini, e non solamente partecipando alla sua Croce, ma con una preghiera costante e facendo la tua parte nella sua preghiera de giardino degli Ulivi. Tu hai la cura d’anime: non te ne convincerai mai abbastanza! Ricorda che, pregando con tutta la tua anima e spendendo te stesso, fai il massimo che puoi per salvare e santificare quegli uomini la cui sorte spirituale Gesù ha creduto bene legare alla tua miserabile cooperazione. E’ uno dei grandi compiti della tua vita che niente e nessuno al mondo può rubarti o impedirti di assolvere! Ricordati queste cose e comincia a pregare10>>.
<<La continuità della presenza a Dio non è nella coscienza attuale, esplicita, soprattutto mediante idee o immagini, di questa Presenza, ma consiste nella vigilanza dell’amore. L’attenzione mediante immagini o quella intellettiva non sono che un modo di arrivare alla vigilanza. Il cuore deve vegliare, e può farlo, anche quando l’uomo attende interamente al suo lavoro per farlo bene11>>.
<<L’insegnamento evangelico sulla preghiera possiamo compendiarlo in due punti essenziali: una promessa che Dio si farà incontro a noi quando e come vorrà, ed è la parte del lavoro che tocca a Dio, la parte principale, dato che abbiamo la speranza – che non può andare delusa – che la nostra 10 Dalla Regola di vita dei Piccoli Fratelli di Gesù 11 El-Abiodh-Sidi-Cheikh, 24 marzo 1948
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preghiera si completerà in lui; e un invito pressante alla perseveranza perché sapeva che sarebbe stato per noi difficile pregare, a causa del nostro bisogno di cambiamento e novità.
Non aspettate per pregare quando ne avrete voglia! Smettereste di pregare proprio nel momento in cui ne avreste più bisogno. E’ una pericolosa illusione, cui molti devono attribuire la responsabilità di essersi allontanati da Cristo. Il desiderio della preghiera non può nascere che dalla fede. Desiderare di pregare è già un effetto della preghiera. Vi basti sapere che Dio vi aspetta. Dio desidera vedervi pregare anche quando non ne avete voglia, e forse soprattutto quando non me avete voglia12>>.
<<…esiste un terzo mondo, quello di Gesù Cristo, che fa parte del mondo – inaccessibile – di dio e del mondo delle creature. E’ un terzo mondo in senso vero e proprio, perché non è il mondo del Dio invisibile, ma del suo Verbo incarnato; è il mondo di Cristo, con tutto ciò che con questo mondo ha a che fare come sua causa o suo fine: la Vergine Maria, la Chiesa e i sacramenti, il mondo soprannaturale della grazia cristiana. E’ il mondo della Rivelazione, l’unica realtà che del mondo di Cristo ci fa conoscere tutte le dimensioni e ce ne fa “affermare, insieme con i santi, la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, cioè conoscere l’amore di Cristo che trascende ogni conoscenza (Ef 3,18-‐‑19)13>>.
<<Ho avuto molte volte occasioni di constatare che, quando pretendiamo di non avere il tempo di pregare, il più delle volte non si tratta di vera mancanza di tempo, ma piuttosto di una sorta d’impossibilità psicologica di prenderci il tempo che ci vuole, un’impossibilità provocata da uno stato interiore di tensione e fretta che è l’esatto contrario dell’atteggiamento dell’anima necessario al raccoglimento dello spirito. […] …è importante trovare i modi di arrivare alla calma interiore.
[…] …sarebbe sbagliato non prendere a sufficienza sul serio le condizioni naturali – spesso fatte di fedeltà a cose piccole piccole – di quell’equilibrio umano che è alla base della contemplazione. Quante famiglie cristiane, quante vite religiose e sacerdotali vanno in sfacelo a causa semplicemente dell’assenza di questa elementare sapienza! […] La causa più importante e sottile di questo squilibrio si trova abbastanza spesso dentro di noi. E’ come un senso di frustrazione, di profonda insoddisfazione, di assenza di una felicità che ci sfugge. Spesso non osiamo confessarcelo e, per generosità e fedeltà, ci sforziamo, in una tensione continua della volontà, di dedicarci agli uomini e a Dio in una spoliazione di noi stessi che ci appare inumana. Si ha come l’impressione che la vita spirituale sia un’impalcatura instabile e che tutto crollerebbe, se dovessimo fermarci un istante a riflettere. […]
Dobbiamo recuperare l’equilibrio dell’uomo come Dio l’ha fato, e Cristo l’ha rifatto, e osar guardare a Dio come alla fonte più completa della felicità e della compiutezza di ogni uomo14>>.
12 Gerusalemme, 27 luglio 1951 13 Parte di una conferenza del 1964 14 Casablanca, 5 febbraio 1960
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Nelle raccolte di lettere, scritti e conferenze15 di Renè Voillaume, si possono trovare riflessioni preziose a riguardo di tante domande circa la preghiera in sé. Le cose qui evidenziate in grassetto sono chiavi di comprensione della preghiera, dal mio punto di vista importantissime. Termino con queste ulteriori riflessioni.
<<Sappiamo trovare, mediante le nostre imperfezioni e le nostre stesse debolezze, il segno dell’amore di Dio! L’accettazione del nostro stato di povertà e miseria spirituale offre a Cristo l’occasione di farsi incontro a noi per guardarci. […]
E’ sbagliato pensare che il sangue di Gesù si sia dovuto sparger per il tempo e lo spazio e a ciascuno è stata data una goccia di salvezza, a chi più a chi meno e forse a qualcuno nulla. Cristo non si divide e neanche la sua passione, il suo sangue, il suo sacrificio, il suo amore si dividono. E’ questo che dobbiamo ben comprendere, se vogliamo capire fino a che punto Cristo ci ama, fino a che punto gli apparteniamo ed Egli appartiene a noi16>>.
Cuore di Gesù, che io cerchi di amare in tutte le cose soprattutto in quelle piccole, piuttosto che fare grandi cose per amore. Che io non abbia paura di vedere il fondo della mia miseria e di accettarlo. Perché tu lo vedi meglio di me e ciò non mi impedisce nulla; anzi è proprio per questa miseria che tu mi ami.
Renè Voillaume E] SAN GIOVANNI DELLA CROCE, MAESTRO DI PREGHIERA
San Giovanni della Croce non ha scritto molto in maniera sistematica sulla preghiera, anche se le sue opere sono pienamente intrise di questa realtà, come lo era la sua vita17: non per nulla da Papa Piò XI fu chiamato “dottore dell’orazione”. Una lezione fondamentale che riguarda la preghiera è esposta da Giovanni della Croce nel libro III della Salita del Monte Carmelo (cp 44,4): “Riguardo alle preghiere e alle altre devozioni, le anime, con la loro volontà, non vogliano darsi a cerimonie e modi di pregare diversi da quelli insegnati da Gesù Cristo (Lc 11,1-‐‑2)”. Questo forse a noi dice una cosa scontata, ma non lo era in un periodo di forte devozionismo dove la preghiera era legata essenzialmente alla forma, tralasciando il legame filiale con Dio Padre.
15 Ben fatta è Renè Voillaume, Pregare per vivere, San Paolo, 2007 16 Parte di una conferenza del 1964 17 cf Dizionario carmelitano, Città Nuova, 2007, pg 678 ss
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Il Santo per invogliare alla preghiera invitava a ricercarsi i luoghi più opportuni perché essa potesse esprimere tutto della persona. Era un uomo profondamente contemplativo, capace di trasformare qualsiasi situazione in una opportunità di preghiera, di orazione rivolta a Dio. Soprattutto la natura era per lui pedagoga di preghiera e meditazione. Elemento poi essenziale della preghiera per san Giovanni è il silenzio, per ascoltare la Parola fatta carne e gustare in Essa la comunione col Padre. Egli nella pedagogia alla preghiera utilizzava un metodo semplice: una rappresentazione figurativa dei misteri della vita di Gesù, quindi una riflessione intellettivo-‐‑affettiva su di essi per poi approdare ad un semplice e quieto sguardo d’amore verso Cristo.
Possiamo fare qui una prima sintesi, ovvero per San Giovanni della Croce la preghiera coinvolge tutta la persona, nella sua volontà, intelligenza e affetti; essa è centrata nella persona di Gesù, è fortemente cristocentrica e chiede luoghi e disposizioni, quali la semplicità, il silenzio e l’armonia.
Nel Cantico spirituale (I,6-‐‑12), San Giovanni della Croce si chiede provocatoriamente dove il Signore si è nascosto e dove è possibile entrare in relazione con Lui. Alla domanda risponde con un invito ad entrare nel mistero della propria interiorità, abitata dal Padre e dal Figlio e dallo Spirito Santo, “essenzialmente e presenzialmente nascosto”: accettare e accogliere il mistero di essere abitati, di essere alla presenza di Dio Trinità che dimora dentro di noi è la chiave di volta della preghiera in san Giovanni della Croce. Egli fa di tutto per incantare la persona nella percezione del mistero che l’avvolge. Sempre nell’incanto del Cantico spirituale afferma: “O anima bellissima fra tutte le creature, che desideri tanto conoscere il luogo dove si trova il tuo Diletto, per trovarlo ed unirti a Lui! Ormai ti è stato detto che tu stessa sei il luogo in cui Egli dimora e il nascondiglio dove si cela. Tu puoi grandemente rallegrarti sapendo che tutto il tuo bene e l’intera tua speranza è così vicina a te da abitare dentro di te o, per dire meglio, che tu non puoi stare senza di Lui […] È grande conforto per l’anima sapere che Dio non le viene mai meno, anche se essa è in peccato mortale; quanto meno Egli abbandonerà quella che è in grazia! Che vuoi di più, o anima, e perché cerchi ancora fuori di te, dal momento che hai dentro di te le tue ricchezze, i tuoi diletti, la tua soddisfazione, la tua abbondanza e il tuo regno, cioè l’Amato, che tu desideri e brami? Gioisci e rallegrati con Lui nel tuo raccoglimento interiore, perché lo hai così vicino!” Il Santo è profondamente realista e consapevole delle difficoltà della preghiera, soprattutto nel chiedersi il “perché se l’Amato è dentro di me non lo trovo e non lo sento?” Egli è consapevole di questo: da una parte invita a non lasciarsi occupare il cuore da ciò che è solo minima cosa rispetto alla grandezza che ci è data, dall’altra invita alla vita evangelica, alla imitazione della vita di Gesù. Possiamo allora dire, come seconda sintesi, che per il Santo la preghiera è ricerca e stupore di una presenza stabile, è discernimento e sequela. Ci sono altri aspetti molto importanti da evidenziare. Anche se Giovanni della Croce possiamo dire essere “il mistico” per eccellenza, egli diffida di una preghiera che fonda la sua veridicità nel sentire, nella soddisfazione emozionale, diremmo noi. Per Lui la preghiera la si vive nella fede e nell’amore. Santa Teresa Benedetta della Croce sottolineerà che questa fede e questo amore è quella conoscenza amorosa che ci consente di cogliere Dio per quello che è e non per quello ci
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sembra più opportuno Egli sia18. Come discernere ciò? Lo stesso Giovanni lo indica dicendo che il Signore stesso potrebbe rispondere così: “Se ti ho già detto tutto nella mia Parola, che è mio Figlio, non ho altro da aggiungere. Cosa ti potrei rispondere o rivelare di più? Fissa il tuo sguardo unicamente su di lui, perché in lui ti ho detto e rivelato tutto e troverai in lui anche più di ciò che chiedi e desideri” (Salita del Monte Carmelo, II,22,5) Un altro insegnamento importante riguarda il passaggio dalla meditazione alla contemplazione. Se inizialmente san Giovanni della Croce invita ad usare delle immagini per facilitare l’ingresso nella preghiera e per mettere in campo tutte le facoltà umane, successivamente queste vanno poi abbandonate per lasciarsi condurre alla contemplazione amorosa della comunione con Dio. Quando questo? Indica tre segni19: primo: l’anima trova aridità nella meditazione iniziale per immaginazione -‐‑ normalmente davanti all’aridità ci si ferma: Giovanni dice invece che qui occorre proseguire -‐‑; secondo: anche se la fantasia – facoltà umana verso la quale non temere – si sbizzarrisce a suo piacimento, l’anima non si lega ad essa e non ha voglia di fermare il suo pensiero su cose estranee a Dio; terzo: l’anima trova soddisfazione a starsene in una attenzione amorosa in Dio, in pace interiore, quiete e riposo senza né esercizio né atto delle sue facoltà – intelletto, memoria e volontà – godendo della quiete amorosa e rinunciando ad una comprensione oggettiva – a volte invece si giudica la preghiera sulla base di una capacità discorsiva oppure possessiva del mistero di Dio. Un’ultimo aspetto che qui mettiamo in luce è che per questo grande mistico la preghiera conduce sempre alla vita concreta e infiamma il servizio al bene dei fratelli. Per concludere, Giovanni della Croce ci guida ad una preghiera profondamente filiale e amorosa, semplice e coinvolgente ogni facoltà umana nella fede e nell’amore, ad una preghiera che non si chiude in se stessa ma entra nel vissuto concreto di sé e dei fratelli quale partecipazione dell’amore divino per ogni creatura.
F] SANTA TERESA D’AVILA, L’ARTE DELLA PREGHIERA
Trattare della preghiera in santa Teresa d’Avila è come sondare il mare della Terra, davvero un oceano di sapienza divina e umana. L’idea centrale di tutto l’insegnamento di santa Teresa sulla preghiera è il mistero dell’inabitazione di Dio nell’intimo dell’anima, così che il primo impegno, nell’orazione, è raccogliersi e prendere coscienza della sua presenza che lavora nell’anima. Per Teresa ciò conduce primariamente alla CONOSCENZA DI SÉ e alla eccelsa vocazione di figli di Dio, per comprendere poi Dio, fonte di ogni bene.
18 cf Scientia Crucis, II,2 19 cf Salita del Monte Carmelo, II,13
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Per santa Teresa L’ORAZIONE È STORIA DI AMICIZIA E AMORE con Dio e precisamente CON L’UMANITÀ DEL VERBO. Vi garantisco che a riguardo ha pagine di una commozione unica e quanto proprio oggi restano di una attualità e profezia strabiliante, una risposta sapiente alla confusione non solo mondana ma a volte anche spirituale. Santa Teresa ci indica che il punto di partenza indispensabile di ogni orazione è il Vangelo perché solo quello contiene le parole che uscirono dalla santissima bocca di Gesù e vi si coglie la Sua santa umanità che, nel cammino dell’orazione, cresce, stanza dopo stanza, nell’anima come fatti20. E’ storia, cioè vita quotidiana, ritrovo del quotidiano umano con l’eterno di Dio nella persona di Gesù. Santa Teresa matura nella preghiera una profonda esperienza dell’azione attuale di Dio nella sua anima. Come anche altri mistici evidenziano (sant’Agostino, san Giovanni della Croce, poi santa Teresa Benedetta delle Croce, Itala Mela – per citarne alcuni di cui ho già fatto cenno altre volte), nel centro più intimo dell’anima Dio agisce illuminando l’intelligenza, la volontà e gli affetti e più l’orazione matura più cresce il fuoco dell’amore21 e delle aspirazioni interiori che fanno capire che Dio e veramente la fonte da dove procede la nostra vita. E nell’esperienza viva di questa presenza operante di Dio non sfugge più all’anima la consapevolezza attuale di essere amata da Lui: Dio diventa compagno e protagonista della vita, nonostante i peccati e le cadute di ogni genere […] per farci della sua stessa condizione22. E’ un’amicizia di carattere teologale che trascende e supera il concetto e la realizzazione di quella umana senza mortificarne la sostanza. Nel Cammino di Perfezione così illustra gli inizi della preghiera: “[…] figlie mie, poiché siete sole, cercate di trovare una compagnia. E quale compagnia migliore di quella dello stesso Maestro che ci ha insegnato la preghiera che state recitando? Immaginatevi questo nostro Signore vicino a voi e considerate con quale amore e con quanta umiltà vi istruisce; credetemi, fate il possibile per non privarvi di un così buon amico. Se vi abituerete a tenervelo vicino, se egli vedrà che lo fate con amore e che vi adoperate a contentarlo, non potrete, come suol dirsi, togliervelo d’attorno; vi assisterà sempre; vi aiuterà in tutte le vostre difficoltà; l’avrete con voi dappertutto. Credete che sia poca cosa aver sempre al fianco un tale amico?“23 L’amicizia in Teresa oltre che presenza reciproca e costante è condivisione di tutta la vita nello spirito di quanto afferma san Paolo nelle sue lettere dove amicizia significa, anche, cercare di amare l’altro, parlare con lui con spontaneità, piangere con lui nel dolore, rallegrarsi con lui nelle gioie, non dimenticarlo mai. Gesù, amate dell’uomo, in cambio di un po’ d’affetto e di attenzione, nella preghiera si fa suo servo obbediente e gli manifesta tutto il suo amore24. Nel suo forte temperamento femminile, non affatto sdolcinato, la santa fa poi notare che in questa amicizia Dio resta pur sempre Dio, ma lo fa notare non per marcare una distanza – colmata dall’umanità del Verbo – ma per indicare che chi ne trae vantaggio è l’uomo che riceve “tutti i beni” dell’amore.
20 Castello interiore VII,2,5 21 Castello interiore, II,4 22 Vita 8,4-‐‑6 23 Cammino di Perfezione (Escorial),, 26,1 24 Cammino di perfezione (Escorial), 26,4
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E’ amore che si esprime in un immediato sguardo d’intesa e fiducia. Nell’esperienza di santa Teresa per pregare non occorre avere molta intelligenza o facilità di discorso logico, né occorrono forze fisiche25; occorre invece amare molto. La santa spagnola ha un’espressione bellissima a riguardo, dicendo che Dio “non ama per nulla che ci rompiamo la testa con dei lunghi discorsi e ci capisce anche per via dei segni”26 Dobbiamo lasciare questo aspetto e accennare ai GRADI DELL’ORAZIONE in santa Teresa d’Avila. La santa cerca di sistematicizzare la sua esperienza perché possa diventare un percorso agevole anche per altri. Indica questo cammino nella Vita in quattro gradi -‐‑ o azioni paragonate a un giardiniere che attinge acqua da un pozzo per irrigare il giardino -‐‑, come anche in Cammino di Perfezione, mentre nel Castello interiore in sette Mansioni. Qualunque suddivisione comunque non va pensata in una successione ordinata come siamo soliti pensare noi, ma come un compenetrarsi a vicenda, come uno sviluppo e intensificazione delle stesse esperienze già acquisite, come un crescendi affiatamento e mutua conoscenza fino all’unione delle persone. Un ulteriore aspetto prezioso e comune è che Tersa ha vissuto la fatica di tutti nella preghiera, comprendendo che si tratta della sofferenza di chi vuole iniziare un rapporto con dio mettendosi come protagonista di questa azione. Se così è, la preghiera diventa noia oppure assume un’aria – diremmo noi – cupa, severa, angosciata. Teresa passo dopo passo, riprendendo la preghiera dopo ripetute interruzioni, a seguito del cedimento alla noia e alla stanchezza, sentì che il suo cuore incominciava ad essere mosso per qualche istante dall’affetto e ciò per pura misericordia di Dio. La santa capì, a forza di cadute, che solo Dio poteva essere il protagonista della sua vita spirituale e che era indispensabile arrendersi completamente a Lui. La strutturazione in quattro gradi, soprattutto nella Vita, Teresa l’attinge dalla solida tradizione patristica e monastica a cui aveva attinto fin da giovane e vi ritroviamo i gradi principali della lectio divina: lectio, meditatio, oratio, contemplatio a cui fa indirettamente riferimento. Nel Cammino di Perfezione parla di preghiera vocale, poi di preghiera mentale, quindi di orazione contemplativa e infine di contemplazione perfetta. Le sette tappe del Castello interiore potrebbero essere sintetizzate con una o più parole ciascuna: la conversione, la lotta e la perseveranza, la prova e la nuova conversione, la grazia come esperienza di dono, il rinnovamento della vita in Cristo, le grazie della vita mistica, il culmine del matrimonio spirituale e della totale donazione apostolica27. Le prime tre mansioni appartengono al periodo ascetico, le ultime tre a quello mistico e la quarta ad un periodo misto. In realtà questa distinzione è solo per comodità nostra di lettura; tutto il cammino spirituale di Teresa è un costante intreccio tra la grazia di Dio e la risposta dell’uomo, anche se all’inizio sembra prevalere l’azione della persona umana e poi stanza dopo stanza invece sempre più l’azione libera e gratuita di Dio.
25 Vita, 7,12 26 Cammino di Perfezione (Valladolid), 29,6 27 p. Jesùs Castellano Cervera OCD
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Se vogliamo maturare una preghiera e un cammino cristiano sereno -‐‑ non isolatamente spirituale -‐‑ Santa Teresa d’Avila ci offre una via e una testimonianza quanto mai unica e moderna. Auguro a ciascuno quanto accadde alla grandissima filosofa ebrea Edith Stein che in una notte di lettura della Vita di santa Teresa trovò quella Verità che la condurrà a ricevere il Battesimo e a divenire poi santa Teresa Benedetta della Croce, monaca e martire.
Preghiera allo Spirito Santo (di Santa Teresa d’Avila)
O Spirito Santo, sei tu che unisci la mia anima a Dio: muovila con ardenti desideri e accendila con il fuoco del tuo amore.
Quanto sei buono con me, o Spirito Santo di Dio: sii per sempre lodato e Benedetto per il grande amore che affondi su di me!
Dio mio e mio Creatore è mai possibile che vi sia qualcuno che non ti ami? Per tanto tempo non ti ho amato! Perdonami, Signore.
O Spirito Santo, concedi all'anima mia di essere tutta di Dio e di servirlo senza alcun interesse personale, ma solo perchè è Padre mio e mi ama.
Mio Dio e mio tutto, c'è forse qualche altra cosa che io possa desiderare? Tu solo mi basti. Amen.
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G]G] “S“S IGNORE CI HAI FATTI IGNORE CI HAI FATTI PER TEPER TE”.”. LLA PREGHIERA IN A PREGHIERA IN SSANTANT’A’AGOSTINOGOSTINO
Iniziamo una catechesi sulla preghiera, lasciandoci aiutare di volta in volta da un fratello o una sorella che sono divenuti dei maestri nella preghiera stessa.
Oggi ci accompagnerà Sant’Agostino. Agostino nasce a Tagaste il 13 dicembre 354 e dopo una giovinezza alla ricerca di ciò che è autenticamente vero, peregrinado fra varie correnti filosofiche soprattutto nel manicheismo, a seguito dell’incontro col vescovo Ambrogio e con la Sacra Scrittura, riceve il battesimo il sabato santo nella notte tra il 24 e il 25 aprile 387, assieme al figlio Adeodato e ad Alipio, suo discepolo e amico.
Nel 391 viene ordinato sacerdote e fonda una comunità monastica. Nel 396 viene ordinato Vescovo di Ippona. Muore nel 430 mentre la città è assediata dai Vandali.
Di incalcolabile valore per tutta l’umanità resta la sua testimonianza di vita mirabilmente raccolta nella sua autobiografia Le Confessioni e i suoi scritti filosofico, teologici e di commento alla Scrittura.
Nelle Confessioni Agostino scrive: “Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l'ʹuomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l'ʹuomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te” (I,1,1).
Agostino comprende che la grandezza di Dio non Lo tiene lontano da sè, ma anzi proprio il fatto di riconoscersi creatura da Lui voluta e amata è la chiave di volta per una reciproca ricerca. In Agostino la preghiera è proprio il luogo concreto dove Dio guida l’uomo ed entrambi si incontrano in un divino e umano colloquio. Per Agostino la preghiera ha due connotati ben precisi: essa è fatta con Cristo – nel mistero della sua incarnazione -‐‑ e con la Chiesa – comunità dei fratelli che loda Dio, inscindibilmente legata a Gesù. Al di fuori di ciò non vi è preghiera matura.
Molte sono le preghiere presenti negli scritti di Agostino, ma la Lettera 130 rappresenta un piccolo prezioso trattato. La lettera è diretta a Proba, una nobilissima signora romana rifugiatasi a Cartagine per sfuggire ai Goti di Alarico (410 d.C.), desiderosa di dedicarsi intensamente alla preghiera.
Agostino vi tratta due questioni di fondo: con quali disposizioni dobbiamo pregare e che cosa dobbiamo chiedere pregando; riflette poi anche sul perché dobbiamo pregare se Dio sa ciò di cui abbiamo bisogno.
Sono tre domande che tutti ci poniamo davanti alla preghiera.
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Vediamo le disposizioni. Agostino ne indica quattro: la conversione, l’intenzione, l’attenzione e la purificazione. Non le commento, perché sono anche già sufficientemente comprensibili per il nostro obiettivo, ma le possiamo sintetizzare dicendo che, per mettersi a pregare con frutto, è necessario riconoscere la nostra situazione umana, con la sua precarietà e i suoi limiti, cioè di creatura, e creatura chiamata alla lode di Dio quale luogo in cui già si contempla la comunione piena nella Trinità.
Circa l’oggetto della preghiera, il che cosa dobbiamo chiedere, Agostino è chiaro: la vita beata, quindi la felicità. Dicendo così egli vuole precisare che la preghiera è qualcosa di essenziale, l’espressione del sentimento più comune e profondo di ogni uomo. In che cosa consiste la vita beata? Per Agostino si tratta di volere ciò che si deve volere – come aveva sentito dire da sua mamma, Monica -‐‑ e in questo suo dire indica nella preghiera il criterio della verità sulle cose e sull’esistenza e porta la preghiera stessa alla radice del nostro essere. Nella preghiera chiediamo a Dio di ottenere il bene che più profondamente desideriamo. Ora vi sono cose che desideriamo per se stesse, altre in ordine ad altre cose. Agostino precisa che essendo l’oggetto della preghiera è la vita beata, essa è tale solo se è eterna: così la beatitudine può essere solo nei beni eterni. Perché questo? Perché l’uomo è orientato verso la pienezza, verso l’infinito. Questo lo si sperimenta in tante cose, anche verso i beni che passano, pur comprendendo la loro provvisorietà e relatività. Ma l’uomo è orientato all’infinito (Ci hai fatti per Te, Signore …). Ma il bene eterno, Dio nel suo mistero Uno e Trino, non basta raggiungerlo, occorre, riflette Agostino, esser certi che non lo perderemo più. Qui, per il Santo, entra in campo l’amore che si vive nella preghiera in Cristo e nella Chiesa. Pregare per ottenere la vita beata significa: chiedi i beni eterni, chiedi la vita eterna, chiedi il possesso di Dio, la visione di Dio, l’amore di Dio, la lode di Dio.
Riflettiamo poi sulla necessità della preghiera. Nella lettera a Proba emerge un aspetto in linea con quanto detto prima: la necessità della preghiera sta nel fatto che Dio non dà a chi non chiede per non dare a chi non è in grado di ricevere. Ciò non è da intendersi come una discriminazione, ma al contrario Dio vuole che gli chiediamo le cose di cui abbiamo bisogno, perché desidera che nella preghiera si eserciti il nostro desiderio, per diventare capaci di ricevere quello si prepara a donarci: la vita beata. Al popolo Sant’Agostino dice: “Se tu vai ad attingere l’acqua che ti serve o vino o un’altra cosa preziosa che ti interessa, hai tutta l’attenzione di prendere il vaso più grande che puoi, perché se vai alla fonte con un vaso piccolo porti con te poca acqua e se vai alla botte con un bicchiere porti via poco vimo. quanto più grande è il vaso, tanto maggiore è la quantità di liquido che tu puoi prendere. Di conseguenza, se tu desideri proprio di avere una quantità abbondante di vino o di acqua, devi procurarti un vaso di capacità maggiore. Per Agostino la necessità della preghiera è espressa in termini di desiderio e di carità: desiderio che dilata l’anima, carità che riflette ciò per cui si prega.
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AALCUNE PREGHIERE DI SLCUNE PREGHIERE DI SANTANT’A’AGOSTINOGOSTINO
Abbiamo fede che Dio ci assisterà. Abbiamo fede certamente, se questo è almeno in nostro potere. Egli stesso è il nostro potere. E allora prega con quanto maggiore brevità e sincerità ti è possibile. O Dio che sei sempre il medesimo, che io abbia conoscenza di me, che io abbia conoscenza di te. Ho pregato.
Soliloqui 2,1,1
Dio Padre nostro, che ci esorti a pregarti e ci dai ciò di cui sei pregato, poiché, quando ti preghiamo, viviamo meglio e diventiamo migliori, esaudisci me che rabbrividisco in queste tenebre e porgimi la destra. Fammi vedere la tua luce, richiamami dagli errori e fa'ʹ che, dietro la tua guida, rientri in me ed in te. Amen.
Soliloqui 2,6,9
Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virtù, e la tua sapienza incalcolabile. E l'ʹuomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale, che si porta attorno la prova del suo peccato e la prova che tu resisti ai superbi. Eppure l'ʹuomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti. Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te. Concedimi, Signore, di conoscere e capire se si deve prima invocarti o lodarti, prima conoscere oppure invocare. Ma come potrebbe invocarti chi non ti conosce? Per ignoranza potrebbe invocare questo per quello. Dunque ti si deve piuttosto invocare per conoscere? Ma come invocheranno colui, in cui non credettero? E come credere, se prima nessuno dà l'ʹannunzio?. Loderanno il Signore coloro che lo cercano?, perché cercandolo lo trovano, e trovandolo lo loderanno. Che io ti cerchi, Signore, invocandoti, e t'ʹinvochi credendoti, perché il tuo annunzio ci è giunto. T'ʹinvoca, Signore, la mia fede, che mi hai dato e ispirato mediante il tuo Figlio fatto uomo, mediante l'ʹopera del tuo Annunziatore.
Le Confessioni I,1,1
Chi mi farà riposare in te, chi ti farà venire nel mio cuore a inebriarlo? Allora dimenticherei i miei mali, e il mio unico bene abbraccerei: te. Cosa sei per me? Abbi misericordia, affinché io parli. E cosa sono io stesso per te, perché tu mi comandi di amarti e ti adiri verso di me e minacci, se non ubbidisco, gravi sventure, quasi fosse una sventura lieve l'ʹassenza stessa di amore per te? Oh, dimmi, per la tua misericordia, Signore Dio mio, cosa sei per me. Di'ʹ all'ʹanima mia: la salvezza tua io
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sono. Dillo, che io l'ʹoda. Ecco, le orecchie del mio cuore stanno davanti alla tua bocca, Signore. Aprile e di'ʹ all'ʹanima mia: la salvezza tua io sono. Rincorrendo questa voce io ti raggiungerò, e tu non celarmi il tuo volto. Che io muoia per non morire, per vederlo.
Le Confessioni I,5,5
Dio mio, tu sei il mio difensore, e senza di te la mia lotta contro il male, nella ricerca delle sue origini, sarebbe stata senza esito. Tu non hai permesso che le burrasche dei miei pensieri mi distogliessero dalla fede ricevuta in dono, per la quale io credo che Tu sei il Vivente, che è immutabile la tua realtà, che hai cura degli esseri umani e giudichi con giustizia. Io credo in Cristo tuo Figlio, Signore nostro e nel dono del Tuo Spirito, le Scritture sante garantite dalla tua Chiesa cattolica. In Cristo e nella sua Chiesa tu hai collocato per l’umanità la via della salvezza, verso quella vita che ha inizio dopo questa morte.
Le Confessioni VII,7,11
Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell'ʹintimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto. Entrai e vidi con l'ʹocchio dell'ʹanima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa. Era un'ʹaltra luce, assai diversa da tutte le luci del mondo creato. Non stava al di sopra della mia intelligenza quasi come l'ʹolio che galleggia sull'ʹacqua, né come il cielo che si stende sopra la terra, ma una luce superiore. Era la luce che mi ha creato. E se mi trovavo sotto di essa, era perché ero stato creato da essa. Chi conosce la verità conosce questa luce. O eterna verità e vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra straniera, dove mi parve di udire la tua voce
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dall'ʹalto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me». Cercavo il modo di procurarmi la forza sufficiente per godere di te, e non la trovavo, finché non ebbi abbracciato il «Mediatore fra Dio e gli uomini, l'ʹUomo Cristo Gesù» (1 Tm 2, 5), «che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli» (Rm 9, 5). Egli mi chiamò e disse: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6); e unì quel cibo, che io non ero capace di prendere, al mio essere, poiché «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). Così la tua Sapienza, per mezzo della quale hai creato ogni cosa, si rendeva alimento della nostra debolezza da bambini. Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l'ʹho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.
Le Confessioni VII-X
Signore, Dio mio, ascolta il mio grido, ascolta la mia preghiera. La tua misericordia esaudisca il mio desiderio: sono preoccupato non solo per me, ma anche per servire con amore i fratelli. Le tue Sacre Scritture siano per me una lettura deliziosa e pura; che io non mi inganni su di esse, né inganni gli altri. Signore, prestami ascolto e abbi pietà di me, Signore. Tu sei la luce dei ciechi e la forza dei deboli, la luce di chi vede e le potenza dei forti: ascolta il mio cuore, ascolta la mia voce dal profondo. Tuo è il giorno, tua la notte, al tuo cenno scorrono gli istanti. Concedi uno spazio di tempo per le nostre meditazioni sui misteri della tua Parola che p Legge per noi, perché sei tu che hai detto: “Bussate e vi sarà aperto”. E’ proprio per un tuo disegno che hai fato scrivere tante pagine sui tuoi segreti. Signore, completa la tua opera in me e illuminami. La tua Parola è la mia gioia. La tua Parola supera ogni mio desiderio.
Le Confessioni XI,2,3
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La fiamma dell’amore, Signore, bruci tutto il mio cuore. Nulla in me resti per me che mi orienti verso me stesso, ma bruci tutto e tutto in te arda. Tutto sia preso dal tuo amore, coma avvolto dalle fiamme, che da te si sono sprigionate.
Esposizione sul Salmo 137,2
Signore, tu ci hai chiamato e noi t’invochiamo. Abbiamo udito la tua voce che ci chiamava, ascolta la nostra voce che ti invoca. Portaci dove hai promesso, completa l’opera che hai iniziato. Non abbandonare i tuoi doni, non trascurare il tuo campo seminato, la tua semente entri nel tuo granaio. Sono tante le tempeste del mondo, ma tu sei più potente, poiché hai cerato il mondo. Sono tante le tentazioni, ma non viene mai meno chi ripone la speranza in te, poiché tu non vieni mai meno.
Comm. Evang. Gv 40,10 O Signore, mediatore, Dio sopra di noi, fatto uomo per noi, riconosco la tua misericordia! Tu sei tanto grande eppure ti commuovi per la buona volontà del tuo amore. Tu, anche, consoli, nel tuo corpo, i molti che sono turbati dalle necessità della propria debolezza affinché non finiscano nella disperazione.
Comm. Evang. Gv 52,1-‐‑2
La preghiera alla SS. Trinità Signore nostro Dio, crediamo in te, Padre e Figlio e Spirito Santo. Perché la Verità non avrebbe detto: Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, se Tu non fossi Trinità. Né avresti ordinato, Signore Dio, che fossimo battezzati nel nome di chi non fosse Signore Dio. E una voce divina non avrebbe detto: Ascolta Israele: Il Signore Dio tuo è un Dio Unico, se Tu non fossi Trinità in tal modo da essere un solo Signore e Dio. E se Tu fossi Dio Padre e fossi pure il Figlio tuo Verbo, Gesù Cristo, e il Vostro Dono lo Spirito Santo, non leggeremmo nelle Sacre Scritture: Dio ha mandato il Figlio suo, né Tu, o Unigenito, diresti dello Spirito Santo: Colui che il Padre manderà in mio nome e: Colui che io manderò da presso il Padre.
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Dirigendo la mia attenzione verso questa regola di fede, per quanto ho potuto, per quanto tu mi hai concesso di potere, ti ho cercato ed ho desiderato di vedere con l’intelligenza ciò che ho creduto, ed ho molto disputato e molto faticato. Signore mio Dio, mia unica speranza, esaudiscimi e fa’ sì che non cessi di cercarti per stanchezza, ma cerchi sempre la tua faccia con ardore. Dammi Tu la forza di cercare, Tu che hai fatto sì di essere trovato e mi hai dato la speranza di trovarti con una conoscenza sempre più perfetta. Davanti a Te sta la mia forza e la mia debolezza: conserva quella, guarisci questa. Davanti a Te sta la mia scienza e la mia ignoranza; dove mi hai aperto, ricevimi quando entro; dove mi hai chiuso, aprimi quando busso. Fa’ che mi ricordi di te, che comprenda te, che ami te. Aumenta in me questi doni, fino a quando Tu mi abbia riformato interamente. So che sta scritto: Quando si parla molto, non manca il peccato, ma potessi parlare soltanto per predicare la tua parola e dire le tue lodi! Non soltanto eviterei allora il peccato, ma acquisterei meriti preziosi, pur parlando molto. Perché quell’uomo di cui Tu fosti la felicità non avrebbe comandato di peccare al suo vero figlio nella fede, quando gli scrisse: Predica la parola, insisti a tempo e fuori tempo. Non si dovrà dire che ha molto parlato colui che non taceva la tua parola, Signore, non solo a tempo, ma anche fuori tempo? Ma non c’erano molte parole, perché c’era solo il necessario. Liberami, o mio Dio, dalla moltitudine di parole di cui soffro nell’interno della mia anima misera alla tua presenza e che si rifugia nella tua misericordia. Infatti non tace il pensiero, anche quando tace la mia bocca. Se almeno non pensassi se non ciò che ti è grato, certamente non ti pregherei di liberarmi dalla moltitudine di parole. Ma molti sono i miei pensieri, tali quali Tu sai che sono i pensieri degli uomini, cioè vani. Concedimi di non consentirvi e, anche quando vi trovo qualche diletto, di condannarli almeno e di non abbandonarmi ad essi come in una specie di sonno. Né essi prendano su di me tanta forza da influire in qualche modo sulla mia attività, ma almeno siano al sicuro dal loro influsso i miei giudizi, sia al sicuro la mia coscienza, con la tua protezione. Parlando di Te un sapiente nel suo libro, che si chiama Ecclesiastico, ha detto: Molto potremmo dire senza giungere alla meta, la somma di tutte le parole è: Lui è tutto. Quando dunque arriveremo alla tua presenza, cesseranno queste molte parole che diciamo senza giungere a Te; Tu resterai, solo, tutto in tutti, e senza fine diremo una sola parola, lodandoti in un solo slancio e divenuti anche noi una sola cosa in Te. Signore, unico Dio, Dio Trinità. Amen.