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1 a edizione UN PATRIMONIO DI BENE COMUNE Carta Etica

Carta Eticacartaetica.avis.it/Carta_Etica.pdf · 1.Premessa 04 1.1 La carta etica: perché e per chi? 05 1.2 Il percorso di costruzione della carta etica 05 1.3 La carta etica: ipotesi

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1a edizione

UN PATRIMONIO DI BENE COMUNE

CartaEtica

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Io mi impegno sul mio onore:

1a osservare le regole seguenti, è volontariamente

che io offro il mio sangue ad ogni ammalato, chiunque esso sia;

2a sorvegliare la mia salute e a non abbandonarmi ad alcun eccesso

che potrebbe recare danno ad essa;

3a presentarmi a tutti gli esami di controllo della mia salute;

4a non dimenticarmi che la salute o la vita di un malatopossono dipendere dalla dimenticanza di queste regole;

5a rispondere ad ogni chiamata per trasfusione;

6 a rispettare l’anonimato del malato,

come io pure sarò per lui solo un donatore anonimo;

7a rimanere degno di essere un donatore di sangue

rispettando le regole della morale, della buona condottae della solidarietà umana.

Vittorio Formentano

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1a edizione

UN PATRIMONIO DI BENE COMUNE

CartaEtica

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1. Premessa 04

1.1 La carta etica: perché e per chi? 051.2 Il percorso di costruzione della carta etica 051.3 La carta etica: ipotesi di base e prospettive metodologiche 061.4 Istruzioni per l’uso: come è fatta e come funziona la carta etica 07

2. Il dono e il donatore 09

2.1 Il significato del dono 092.2 I motivi del dono 102.3 Il dono tra individuo e collettività 10

3. Vivere l’associazione 12

3.1 Le voci dal campo 123.2 Le dimensioni in gioco 13

COINVOLGIMENTOAPPARTENENZAPARTECIPAZIONE E RESPONSABILIZZAZIONE

4. Una triplice identità 15

4.1 La semplicità 154.2 L’impegno 164.3 La responsabilità 16

5. Relazionalità interna 17

5.1 Rapporto donatore - dirigente 175.1.1 Le voci dal campo 17

INDICE

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5.1.2 Le dimensioni in gioco 18CONSAPEVOLEZZACOMUNICAZIONECOINVOLGIMENTOCRESCITA

5.2 Rapporto dirigente - dirigente 205.2.1 Le voci dal campo 205.2.2 Le dimensioni in gioco 21

CONOSCENZA E TUTELA DEL TERRITORIOCOMUNICAZIONE, COORDINAMENTO E INTEGRAZIONE TRA I DIVERSI LIVELLI ASSOCIATIVITRASPARENZA E DEMOCRATICITÀ DEI PROCESSI ORGANIZZATIVI

5.3 Rapporto dirigente - dipendente 235.3.1 Le voci dal campo 235.3.2 Le dimensioni in gioco 24

CONOSCENZA E DEFINIZIONE DEGLI AMBITI PROFESSIONALICO-PROGETTAZIONECONDIVISIONE E DELEGAFORMAZIONE E CRESCITA PROFESSIONALE

6. Avis 2.0 Prospettive evolutive 26

6.1 Le voci dal campo 266.1.1 Le dimensioni in gioco 27

APERTURA AL NUOVOCULTURA DIFFUSA E CONDIVISA DI CRESCITA E DI RICAMBIO GENERAZIONALEVALORIZZAZIONE DELLE DIFFERENZA DI GENERECAMBIAMENTO E PROGRESSO

7. L’associazione e gli Altri 31

7.1 Le voci dal campo 317.1.1 Le dimensioni in gioco 33

DIFFUSIONE DI UNA CULTURA CONDIVISARAPPRESENTATIVITÀ POLITICA E TERRITORIALEIDENTITÀ APARTITICA

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Avis opera da 86 anni per diffondere una cultura solidale tra icittadini su tutto il territorio nazionale.E sin dal momento della sua nascita l’obiettivo perseguito si basasu fondamenta di tipo etico, insite nel gesto gratuito del dono,e questa valenza ci viene riconosciuta anche dai nostri principaliinterlocutori.AVIS, da sempre, si riconosce in alcuni valori fondanti:• gratuità del dono• anonimato del gesto• attenzione ad uno stile di vita sano e positivo• aggregazione e socializzazione• fiducia• reciprocità• cittadinanza solidale come fondamento di una convivenza civile basata su partecipazione, responsabilità, cooperazione• volontariato inteso come esperienza che forma e arricchisce

in senso umano, civile e culturale• democrazia e concreta partecipazione alla vita associativa.Valori permeati dalla solidarietà concreta che rappresenta ilcomune denominatore del nostro agire.A tutto questo si aggiunge un ulteriore valore associativorappresentato dal prendersi cura tanto del malato, cui è indirizzataprioritariamente la nostra azione, quanto dei soci. Infatti AVISè, a tutti gli effetti, un’Associazione universalistica in quantorivolta non solo agli associati, ma anche all’esterno e pertantoil suo valore essenziale è quello di produrre beni relazionali checircolano all’interno ed all’esterno dell’Associazione stessa.

Peraltro AVIS è una organizzazione complessa, una fitta rete dipersone (soci donatori, responsabili associativi, collaboratori), disedi, di interlocutori e come tale prevede momenti di dialetticainterna. È quindi indispensabile rinsaldare il patto associativo,riconoscendosi in obiettivi comuni, legati dai nostri valori,attraverso una governance democratica, responsabile e partecipata.Gli scopi sociali perseguiti da Avis sono molteplici e la loro analisievidenzia che abbiamo una missione estremamente complessa,delicata e di grande responsabilità, che impegna i singoli membridell’Associazione al rispetto di un sistema di valori e di principidi comportamento con essi coerenti. Pertanto abbiamo ritenutoopportuno ripensare alle nostre azioni richiamandoci ai valorifondanti, ad un’etica della responsabilità e della partecipazione.Sulla base di queste considerazioni e “sulla oggettivaconstatazione della complessità della nostra realtà associativa,sulla consapevolezza del proprio essere bene comune e sullatensione a rimettersi in discussione” (Giuseppe Scaratti), abbiamodeciso di realizzare questa Carta Etica: “Un patrimonio dibene comune”. Nell’iter che ha portato alla sua stesura sonostati coinvolti numerosi “attori” associativi che hanno contribuitocon le loro narrazioni a evidenziare quei punti maggiormentesignificativi della quotidiana attività avisina.I principali obiettivi perseguiti sono stati: a) l’individuazione degliaspetti prioritari e le relative problematiche etiche ritenutesignificative per Avis, b) l’esplicitazione dei riferimenti valorialiche stanno alla base della nostra attività, c) l’individuazione dimodalità più efficaci in grado di consolidare l’identità associativa

La carta etica: perché e per chi?

Premessa1

04

?

1.1

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Il percorso di costruzione della carta eticaNell’affrontare il tema della Carta etica, i punti di partenza sonostati il nostro essere socio volontario e il nostro fare associazione.Abbiamo cercato di individuare le buone prassi e le problematicheconcrete attraverso una modalità di lavoro che ha coinvoltodirettamente i soci impegnandoli in processi di:• ASCOLTO nella fase di individuazione di esperienze e storie

concrete che hanno assunto declinazioni differenti sulla basedi diverse caratteristiche strutturali, geografiche, organizzativedelle sedi locali di appartenenza;

• ANALISI delle narrazioni, con lo scopo di intercettare ledimensioni etiche maggiormente significative;

• VALIDAZIONE ovvero verifica di una convergenza di opinionisu larga scala rispetto alla effettiva rilevanza degli aspettivaloriali individuati;

• CREAZIONE della carta etica come strumento di lavoroflessibile e in continua trasformazione.

La carta etica è stata concepita come strumento fruibile daparte di tutta l’associazione, sia in senso individuale, ma anchecollettivo per percorsi di approfondimento e riflessione.La modalità di lavoro adottata ci ha permesso di pervenire aduna rappresentazione dell’esperienza associativa che haconsentito di tenere in considerazione diverse sfaccettaturerelative ad aspetti organizzativi, processuali e relazionaliriassumibili nelle seguenti dimensioni:• Socio donatore - dono: le motivazioni che spingono le persone

a donare ed i plurali significati associati al gesto del dono.• Socio donatore - Associazione: le modalità di relazione che

il socio instaura con l’organizzazione e con la vita associativain termini di diverso grado di impegno, di coinvolgimento e diresponsabilità nei confronti di obiettivi e mission dell’associazione.

• Socio donatore - socio donatore: la qualità della relazionetra i donatori che aderiscono al patto associativo.

• Socio donatore - socio dirigente: attese e aspettative reciprocheche si declinano in diversi approcci ad aspetti di promozione,comunicazione e coinvolgimento.

• Socio dirigente - socio dirigente: la gestione dei rapporti deiprincipali protagonisti della politica e delle strategieorganizzative, all’interno della rete associativa.

• Socio dirigente - collaboratori: la modalità di delega,condivisione e coinvolgimento del personale che opera invario modo all’interno delle strutture dell’associazione.

• Socio - Associazione - Società: l’immagine dell’Associazione,la rappresentatività associativa, le relazioni con le istituzionie con l’altro volontariato.

• Associazione - cittadinanza: le forme in cui le caratteristichee le problematiche della collettività si riflettono sulla vitaassociativa (la partecipazione del genere femminile, i percorsidi integrazione degli immigrati, il coinvolgimento delle giovanigenerazioni, etc.).

Alberto Argentoni e Antonio Ragazzi05

e di prevenire/ridurre palesi difformità, incongruenze e contenziosi.Quanto si legge nelle pagine seguenti vuole rappresentare unostrumento dinamico messo a disposizione di tutta l’Associazioneal fine di favorire una discussione interna che mantenga viva laCarta Etica stessa ed i suoi contenuti, facilitandone la loroapplicazione concreta, con momenti di confronto e possibili suesuccessive rielaborazioni. Auspichiamo quindi che la messa a

disposizione di questa Carta Etica rappresenti per tuttal’Associazione un fondamentale punto di riferimento per ilconsolidamento dell’operatività, basata su principi etici e valoriali,e che consenta una costante, ma serena, negoziazione erinegoziazione dei patti condivisi qualora gli stessi vengano pervari motivi disattesi o non rispettati.

Buona lettura. Il presidente Vincenzo Saturni

1.2

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La carta etica:ipotesi di base e prospettive metodologicheDal punto di vista metodologico la realizzazione della cartaetica è partita da un assunto relativo alla consapevolezza chei valori del proprio essere bene comune per la collettività el’offerta di servizi che Avis mette a disposizione dipendonodalla qualità dell’esperienza associativa che si riesce a garantire.Di qui la prospettiva di una carta etica che rappresentasseun’opportunità per rimettersi in discussione, affrontando concoraggio questioni inerenti dimensioni delicate e impegnative,connesse alle concrete modalità ed espressioni attraverso lequali si manifesta e si traduce in pratica quanto si ritrovadichiarato a livello di pronunciamenti formali e di missionscritta (scopi, attività e loro implicazioni).Se infatti non ci si prende cura delle relazioni tra persone, gruppie nella stessa istituzione, se non viene mantenuta viva la tensionea una comune appartenenza e l’adesione a idee e valori, se nonsi diffondono atteggiamenti e sensibilità a supporto di pratichee azioni condivise e convergenti, il sistema istituzionale e operativoè esposto a un rischio ricorrente, nelle grandi come nelle piccoleorganizzazioni. Quello della perdita di significato e dellaframmentazione, in cui prevalgono spinte opportunistiche estrumentali di varia natura, unite al sovrapporsi confusivo diinteressi personali e collettivi, senza legami che facciano dacollante e vincolo rispetto a significati riconosciuti e capaci diorientare accordi, azioni e comportamenti conseguenti.Per questo la carta etica doveva essere concepita e impostatacome un percorso capace di attribuire senso alla articolataesperienza dell’associarsi per sostenere, promuovere e diffonderela pratica della donazione come valore condiviso.La scelta metodologica conseguente è stata quella di unapproccio che consentisse di avvicinare concrete pratiche sociali,aspetti attraverso i quali l’etica è di fatto in azione nella

quotidianità dei contesti e delle situazioni vissute, snodi edimensioni di criticità in cui riferimenti normativi e regoleoperative si incrociano ed entrano in contatto con i reali scenariistituzionali, organizzativi, sociali e professionali della vitaassociativa e operativa di Avis.Le fasi e le dimensioni sopra richiamate (vedi il percorso dicostruzione della carta etica) richiamano un orientamentolontano da astrazioni e formulazioni teoriche, ma fortementeancorato alla valorizzazione dei saperi pratici e degliapprendimenti esperienziali che gli attori del sistema Avis hannomaturato in riferimento a ciò che viene diffusamente sentitoe riconosciuto come dotato di significato e valenza etica nellavita associativa di Avis.In concreto sono state realizzate interviste a testimoni privilegiatie focus group con soci e appartenenti a diverso livello, peracquisire conoscenze relative a diffusi repertori di pratica, incui i diversi interlocutori hanno raccontato e richiamatosituazioni ed eventi riconosciuti come rilevanti, esemplari,oppure altre in cui c’è discussione rispetto a quanto vieneritenuto giusto e ingiusto, corretto e scorretto, tollerato eintollerabile, opportuno e inaccettabile, equo e iniquo nell’ambitodell’esperienza associativa AVIS.L’intento non è stato quello di produrre una mera formulazionedi indicazioni di tipo prescrittivo, che aggiungessero ulterioriregole a vincoli già esistenti e prefigurati da regolamenti enorme deontologiche, ma di intercettare e proporre repertoridi azione che configurano punti di riferimento, oggetti didiscussione, direzioni e linee guida per l’agire operativo,professionale e organizzativo quotidiano. Di qui la possibilitàdi esercitare su tali pratiche uno sguardo dall’esterno edall’interno, cercando di coglierne le prevalenti manifestazioni,

06

1.3

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Istruzioni per l’uso:come è fatta e come funziona la carta eticaLa Carta etica, così come è stata pensata e realizzata, intendelasciare spazio alle personali interpretazioni e alle moltepliciletture. In questo senso colui che si avvicina al documento èinvitato a navigare tra i capitoli della carta cogliendo possibiliconnessioni e spazi di ulteriore approfondimento, che saràpossibile segnalare per le future redazioni di un lavoro incontinua evoluzione e co-costruzione.

Nello specifico la Carta è costruita per argomenti esottoargomenti che riguardano temi organizzativi importantie delicati, con cui occorre confrontarsi e misurarsi.

I capitoli presentano una struttura modulare flessibile checomprende:• uno spazio introduttivo in cui sono raccolte alcune domande

che intendono accompagnare il percorso di interpretazionee di riflessione del lettore;

• le “voci dal campo”, spunti estratti dalla viva voce di coloro

che hanno partecipato al percorso di orientamento etico eche hanno lo scopo di non disperdere la ricchezza e le pluralisfaccettature delle narrazioni raccolte;

• le dimensioni in gioco, in cui vengono proposti e commentatii valori ritenuti importanti per rafforzare l’ossatura eticadell’Associazione attraverso le storie.

Per agevolare la lettura della carta abbiamo inserito elementidi richiamo per quanto concerne da un lato la connessione trale diverse storie e gli aspetti etici in esse implicati, dall’altro larilevanza degli stessi che è emersa dallo studio quantitativo.

Nel concreto accanto ad alcune testimonianze compaiono duesimboli:

indica le storie eticamente più rilevanti;

indica possibili collegamenti fra i diversi argomenti (il numero si riferisce alla pagina) 07

le modalità di articolazione ed espressione, i diversi interlocutorida esse sollecitati, le trame relazionali che le supportano.La fase successiva è consistita nel mappare questi repertori dietica in azione, individuando nuclei e temi emblematici e ricorrentiper sottoporli alla validazione di un campione rappresentativodi appartenenti AVIS. Il questionario in tal modo somministratoè servito a evidenziare quale e quanto riscontro di riconoscimentoe di importanza venisse attribuito alle situazioni eticamenterilevanti proposte, consolidando i primi esiti del lavoro qualitativofatto attraverso le interviste e i focus group.Le narrazioni e le situazioni riportate in questa Carta etica sonoil risultato di questo paziente lavoro di ascolto, ricognizione,

elaborazione e sintesi, che ha tenuto conto di indicazioni eriferimenti a 360° e risulta ancorato a evidenze empirichesituate e diffuse nello specifico contesto AVIS.La disponibilità di una Carta etica impostata secondo talicoordinate potrà costituire un importante patrimonio diriferimento per il consolidamento di una diffusa e radicatacultura operativa, che consenta spazi per una costantenegoziazione e rinegoziazione di accordi, così come diriarticolazione dei patti e dei significati condivisi quando gliaccordi presi vengono per vari motivi disattesi o non rispettati.

Giuseppe Scaratti

1.4

20

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Alcune delle narrazioni, inoltre, vengono presentate in paralleload evidenziare diverse prospettive ed interpretazioni nei confrontidi una medesima tematica.

Anche l’utilizzo che potrà essere fatto della carta etica assumenumerose declinazioni e sfaccettature. Tra i possibili usi diquesto strumento, lasciati comunque alla fantasia e alle esigenzedei singoli lettori, ci sembra interessante proporne alcuni:• base per percorsi di formazione, come catalogo di buone

pratiche riconosciute, condivise e riproducibili oppure repertoriodi modelli esplicativi per la ricerca di soluzioni e la gestionedelle relazioni;

• occasione di riflessione su obiettivi, indicatori operativi elinee guida;

• risorsa per percorsi di auto-analisi individuale e collettiva;• spunto per progetti di politica istituzionale.

Siamo consapevoli di non aver affrontato in modo esaustivole numerose problematiche connesse all’attività associativa diAvis. Restano da indagare diverse aspetti, tra i quali, peresempio l’utilizzo delle risorse (economiche, beni e servizi) e lagestione delle incompatibilità.

L’idea di fondo è quella di perseguire un percorso congiuntoe condiviso di approfondimento e arricchimento dello strumentostesso, per il quale chiediamo i fondamentali contributi di tuttigli attori coinvolti nella relazione con AVIS.A tale scopo invitiamo ad inviare materiali, proposte,suggerimenti all’indirizzo email: [email protected].

Silvia Apollonio e Silvia Ivaldi

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Il significato del donoIL DONO È ESPRESSIONE DI LIBERTÀ

Se dono e controdono sono equivalenti allora non c’è differenza tra il dono e lo scambio mercantile interessato e razionale

Noi ci facevamo quattro ore di macchina per arrivare a Cagliari per donare il sangue, arrivavamo a destinazione stanchi, quasidistrutti e dovevano ancora farci il prelievo. Perchè lo facevamo? Perché dicevamo e pensavamo ‘devo andare io a donare,voglio che lui abbia il MIO sangue!, voglio dare il MIO sangue a LUI!’. Se ci penso ora mi rendo conto che erano tutte stupidate…

Il concetto di gratuità è insito nel gesto della donazione. Io credo che ormai siano pochissimi i donatori che vanno a donare

Il Dono e il Donatore2

09

Il rapporto di dono è in primo luogo un fenomeno di reciprocità.Nel dono c’è restituzione, anche se non è la restituzione mercantile.

J.T. GODBOUT

Il dono rappresenta una dimensione complessa e ambivalente all’interno della quale sonorintracciabili elementi di gratuità, generosità, spontaneità ma anche di egoismo e diaspettativa di restituzione. Il significato del dono assume quindi declinazioni differentiin relazione alle caratteristiche dei contesti, degli spazi relazionali e degli attori in gioconella relazione donativa.

Che cosa conferisce senso alle concrete azioni e ai comportamenti che stannoalla base del dono del sangue? Quali sono gli incentivi motivazionali?Quali gli atteggiamenti verso la donazione?

2.1

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IL DONO È CONSAPEVOLEZZA DI RECIPROCITÀ

La restituzione è spesso nel dono stesso: c’è una ritorno immediato di energia per colui che dona, il quale ne esce ingrandito

Io quando finisco di donare, non so come mai, ma è come se mi sentissi rinato, mi sento meglio dentro. Può essere unaquestione psicologica, oppure una questione fisica dovuta al rinnovo del sangue. Fatto sta che quando finisco il prelievo giànon vedo l’ora di tornare. Per me donare vuol dire dare una parte di me stesso agli altri, ma vuol dire anche dare un sensoalla mia vita, sentire che sto facendo qualcosa di buono.

IL DONO È UN DOVERE

La donazione di sangue dovrebbe essere obbligatoria. Secondo me dovrebbe diventare legge!: quando arrivi a compierediciotto anni, sei chiamato a recarti ai centri di donazione. Se risulti idoneo devi donare almeno una volta all’anno, se poilo desideri, anche di più!

I motivi del donoPer la professione che svolgo, che è quella di agente della polizia stradale, vedo moltissimi incidenti con feriti gravi e con morti.Questo mi ha fatto realizzare con più forza, con più impatto diciamo, il fatto che c’è molta gente che ha bisogno di sangue. Quindibanalmente più sangue c’è disponibile più vite si riescono a salvare e mi è venuto abbastanza naturale poi sviluppare il desideriodi donare una parte di me stesso agli altri.

Io mi sono avvicinato alla donazione perché mio fratello più grande donava e quindi vivevo indirettamente quell’esperienza,mi aveva anche spiegato delle cose. Quando lui non ha potuto più donare per problematiche sue, allora ho deciso che l’avreisostituito in questo gesto importante.Ho iniziato a donare all’AVIS circa dieci anni fa, nel 2002, perché avevo parlato con il presidente regionale che mi aveva spiegato

15

pensando di ricevere in cambio qualche cosa. Questo è un dato di fatto: il principio etico di Formentano della gratuità del donoormai lo possiamo dare per scontato in Italia!

Tutti dovremmo cercare di dare senza ricevere niente in cambio perché altrimenti la parola dono perde di significato e disenso: se do qualcosa di mio per avere indietro qualcos’altro allora non è donare. Il dono deve essere gratuità!

Io ho iniziato a donare per gioco, poi la cosa si è fatta invece coinvolgente e interessante perché mi sono reso conto chedando una parte di me potevo aiutare a salvare molte persone!

10

2.2

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Il dono tra individuo e collettivitàIl donatore compie questo gesto perché lo vuole fare spontaneamente, è un gesto assolutamente intimo e individuale. Quindiil fatto che ci sia un controllo medico come ‘restituzione’ mi sembra già una cosa più che sufficiente. Non mi passerebbemai per la testa di chiedere qualcosa all’associazione. Ad esempio io ho cercato di evitare l’elettrocardiogramma qua in Avisspiegando che, facendo attività sportiva e avendo il tesserino agonistico, lo faccio già tutti gli anni per conto mio, per cuiho detto ‘evitiamolo’. Insomma bisognerebbe fare tutto ciò che è in nostro potere per gravare meno sull’associazione proprioper lo spirito che c’è dietro.

Il gesto della donazione tende a dipendere esclusivamente dalla volontà del singolo. Per cui io vado a donare perché da solodecido di farlo, e non perché ricevo particolari sollecitazioni.La cosa che legittima ancora di più il concetto che sia una pura e semplice iniziativa personale è il fatto che quando inizi adonare, alla tua azione non viene dato risalto: io mi ricordo la prima volta che sono venuto qua, ero contento di aver donato,ma ero anche un po’ deluso perché come ero entrato uscivo. Quello della donazione è un gesto molto importante, e nonmi fraintendete, è giusto che rimanga nella sfera della normalità e che non venga assolutamente enfatizzato nulla. Non c’èstato però niente che mi abbia fatto rendere conto di essere entrato a far parte di un ambiente che si impegna attivamentenel volontariato. Io mi aspettavo qualcosa di diverso, un’accoglienza differente, invece sono entrato, ho donato, ho compilatodei documenti e me ne sono andato via. 14

quali fossero le implicazioni della donazione. Volevo donare già da tempo, ma non riuscivo a decidermi perché l’idea stessa difare la donazione un po’ mi spaventava.

La donazione per me è nata come ‘occasione’ mentre facevo il militare. Un giorno venne il colonnello a dire che chi avrebbedonato il sangue avrebbe mangiato per quattro giorni carne e avrebbe fatto quattro giorni di vacanza per andare a casa. Io iniziaicosì… per la voglia di tornare a casa e non per la voglia di donare. Il gioco però è iniziato nel ’74 e ora mi ritrovo ad essere nellefile del nazionale.

13

2.3

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Le voci dal campoI grandi centri hanno un diverso approccio nei confronti del donatore e della donazione. Intendo dire che le grandi città,come Brescia, Bologna, Milano sono realtà industriali: fanno 400-500 donazioni al giorno. La donazione diventa una catenadi montaggio. Per carità una bella catena di montaggio che racchiude in sé molti valori importanti. Nei centri più piccoliperò viene data più importanza alla dimensione relazionale.Favorire e sviluppare un senso di appartenenza non deve diventare e sconfinare nel puro e semplice desiderio di apparire,attraverso un meccanismo simile a quello dei villaggi turistici in cui le persone hanno una divisa che dà loro visibilità all’esterno.Avis per adesso non ha divise o cose simili e io penso che molte persone non entrino in AVIS proprio perché sanno chenell’Associazione rimarranno anonimi.

Si sta rischiando di perdere il donatore! Il coinvolgimento del donatore non è solo una questione di partecipazione alleassemblee, di rendicontazione ecc. Questi sono tutti dati formali. Bisogna invece che ci siano continui processi di scambio,di interazione e co-progettazione. L’Avis non può essere un’associazione piena di generali senza neanche un soldato semplice!

12

Vivere l’Associazione3

L’associazione rende l’uomo più forte e mette in risalto le doti delle singole persone.I. CALVINO

Se consideriamo la nostra esperienza e i nostri sforzi,rileviamo subito che tutte le nostre azioni e i nostri desideri sono legati all'esistenza di altri uomini.

A. EINSTEIN

Che cosa è l’associazione? Che cosa significa essere socio? Quali valori e dimensioni entranoin gioco nell’esperienza di vita dell’associazione e dell’associazionismo?Esiste una relazione ideale tra socio donatore e associazione? Qual è il ruolo degli attoricoinvolti? Quali le loro responsabilità? Come si declinano le diverse esperienze associativee i significati attribuiti all’associazione stessa?

3.1

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Questo vuol dire che l’associazione e la dirigenza non favoriscono la formazione di un senso di appartenenza tra i socidonatori. Nel concreto l’unica cosa che fanno è quella di consegnarti la tessera ad indicare che sei diventato socio. Ricordoinfatti che la tesserina mi è arrivata a casa con i primi esami del sangue, ed è stata una cosa che mi ha fatto piacere, inquanto gesto di gratificazione, però è rimasta l’unica cosa che hanno fatto.

Le dimensioni in giocoCOINVOLGIMENTO Quando si incomincia a dire ‘noi’

“La svolta è stata quando ad un certo punto si ammalaronoi miei genitori, in particolare il papà che ha avuto bisogno disangue. Un medico mi ha detto ‘tentiamo l’ultima carta conuna ulteriore donazione di sangue per il papà’. E ai tempi ilsangue non si trovava in tutti gli ospedali, bisognava andarea prenderlo da altre parti con una richiesta medica. Io sonoandato con quella. Quando sono arrivato mio papà era morto.Ho quindi capito che bisognava che mi dessi una ‘scrollatina’.Mi sono trovato insomma nella circostanza di comprenderedi più e meglio che non bastava essere donatori, ma chebisognava promuovere in toto la donazione, bisognavadiventare apostoli della donazione di sangue. Da quel momentolì allora ho aderito alla proposta del mio dirigente di entrarenel consiglio direttivo dell’Avis e di conoscere megliol’Associazione.

“La mia prima donazione l’ho fatta grazie all’allora PresidenteRegionale. Frequentavamo la stessa parrocchia e parlavamomolto, ha avuto quindi l’occasione di espormi i principi dell’Avise soprattutto ciò a cui sarei andato incontro donando. Avevogià in mente di andare a donare, ma l’idea del prelievo di 450grammi di sangue mi faceva un po’ paura. Lui mi ha convintosemplicemente parlandomi e spiegandomi, cercando dicomprendere anche le mie perplessità. ”

”APPARTENENZA Oltre lo sforzo di un’apparente aggregazione

“Per la tipologia del gesto che facciamo, penso che nonsia così facile sviluppare rapporti umani all’internodell’associazione. Io arrivo, mi siedo, e mi ritrovo ‘in batteria’sul lettini della donazione insieme agli altri soci. Siamo quindianche un po’ impossibilitati ad allacciare rapporti. In realtànon si riesce a creare gruppo anche perché la frequenza concui si va a donare è limitatissima: una donazione ogni tremesi non ti consente certo di andare al di là della saltuaria

“Quando io ho fondato l’Avis comunale ho proposto finda subito tutta una serie di manifestazioni per coinvolgerei donatori in modo ragionato, in base alle loro passioni: c’eraquello a cui piaceva pescare, l’altro che amava andare in bici,l’altro ancora che aveva la passione per il calcio e quindi hoproposto diverse iniziative basate su tutti questi interessi.Domenica scorsa ad esempio abbiamo fatto la chiusura dellaventicinquesima edizione del torneo di calcetto. Attività di

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3.2

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chiacchierata. In zona è diverso: si crea una situazione piùdivertente perché arriva il camion attrezzato e lì ci conosciamobene o male tutti di vista il rapporto umano è molto diverso,è più ‘intimo’ e goliardico. L’atmosfera è davvero moltopiacevole.

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questo genere resistono nel tempo e registrano un alto livellodi partecipazione. Hanno infatti partecipato ben 12 squadree siamo partiti nell’81.

”PARTECIPAZIONE E RESPONSABILIZZAZIONEColtiva la convinzione di non essere solo un donatore in quanto tale ma anche un potenziale dirigente associativo

“Ho fatto poi il donatore per 25 anni senza attivarmi inaltro modo nell’associazione, perché il mio lavoro non me loconsentiva. La mia vita associativa è iniziata nove anni faquando mi hanno nominato presidente regionale. Ma quandoero donatore chiedevo sempre ‘cosa fa la mia Avis, come sicomporta la mia comunale’? Volevo sapere cosa faceva lamia associazione con il sangue che riceveva, desideravo avereinformazioni, volevo sapere come venivano spesi i soldi cheloro incassavano con la mia donazione. Pretendevo sempreuna maggiore chiarezza e trasparenza. Il socio donatore dioggi non va neanche alle assemblee, perché non è coinvolto,non si sente partecipe, entra dona e se ne va. È moltoimportante invece che l’Associazione si impegni in questosenso. E’ anche vero che per far partecipare e responsabilizzareil donatore, non basta mandare una letterina ogni tanto: ilsocio deve essere interpellato e coinvolto, non dicoquotidianamente ma quasi. E per farlo ci sono diversi modi:lettere, sms, mail, telefonate, feste ecc.

“Ad un certo punto il presidente dell’Avis, conoscendo anchei miei e sapendo che donavo mi ha proposto di entrarenell’associazione. All’inizio ero un po’ refrattario, poi mi sonoiscritto. Mi hanno invitato all’assemblea di fine anno e parlandodi manifestazioni che volevano organizzare, ho cominciatoa dare il mio contributo, a presentare qualche idea su comeagire operativamente. All’epoca all’assemblea c’eranopochissimi donatori iscritti e quindi l’intento era quello diattirarne il più possibile, di coinvolgere il maggior numero dipersone. Da quel momento hanno iniziato a farmi parteciparealle riunioni, alle serate e piano piano mi sono inserito, primacome semplice consigliere e poi per un ricambio generazionale,il classico ricambio che si cerca sempre all’interno delle Avispiccole, ho ricoperto la carica di vicepresidente. Ho fatto poiil primo mandato di presidente e ho lasciato successivamentead un altro ragazzo che aveva fatto lo stesso mio percorso.

””

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La semplicitàIl dono come azione individuale e gesto altruistico.La donazione è una condizione molto personale, interiore, quasi segreta. Intendo dire che se io voglio donare, prendo la miadecisione vengo qua e lo faccio e me ne vado.

La tutela della propria salute come attesa principale nei confronti dell’associazioneÈ importante che ci sia un investimento da parte dell’associazione per quanto riguarda la salute del donatore. Dovrebbe esserenormale la presenza di controlli che esulano anche dagli esami specifici che si fanno nel momento della donazione. Questoperché è abbastanza facile trovare nuovi donatori, è invece meno scontato mantenere quelli che già donano…

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Una triplice identità4

La principale speranza di armonia risiede nella pluralità delle nostre identitàche si intrecciano l’una con l’altra e sono refrattarie a divisioni drastiche lungo linee di confine invalicabili.

A. SEN

Il dono consente una lettura articolata delle relazioni tra le persone e permette anche disuperare la dicotomia tra individualismo e collettivismo. In quest’ottica il gesto delladonazione che lega donatore, donatario e associazione, si declina ed esprime in formeplurali, portando all’individuazione di possibili differenti atteggiamenti, intenzioni easpettative nei confronti del comportamento stesso e dell’associazione.

4.1

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L’impegnoIl dono come azione sociale e condivisa e come elemento di caratterizzazione e appartenenza associativaIo partecipo attivamente alle diverse riunioni dell’Avis comunale, talvolta do il mio contributo anche per iniziative diverse, comemanifestazioni, attività di promozione ecc. Insomma buona parte del mio tempo libero la dedico all’associazione. Detto questoio considero ancora il termine donatore come un accrescitivo di socio e non viceversa.

Il riconoscimento sociale del gesto della donazione come impegno associativoSecondo me l’associazione dovrebbe impegnarsi di più a far sentire il donatore come uno che entra in un ambiente, come unoche si impegna nel volontariato. Non basta far rimanere questi significati impliciti nel gesto: è compito di AVIS come associazioneevidenziarli in qualche modo.

La responsabilitàIl dono come azione solidale e parte di un percorso di impegno sociale ed umano più ampioIl donatore non dovrebbe essere solo donatore in quanto tale, ma anche membro dell’associazione. Decidendo di associarsi lapersona rafforza automaticamente la valenza del gesto stesso: unendosi agli altri il donatore sviluppa la consapevolezza del‘suo ruolo politico’ e del suo potere di interloquire con le diverse istituzioni relativamente alla materia di sua competenza.

L’impegno primario dell’associazione è quello di promozione del diritto e del dovere di partecipazione alle decisioni politichein ambito sanitarioLa società deve riconoscere il ruolo che svolge il donatore associato, il quale deve riuscire ad ottenere il diritto di esprimersinelle giuste sedi, consapevole del fatto che le sue azioni come quelle di tutta l’associazione hanno conseguenze a livello politico,sulle modalità di utilizzo del sangue, sulla regolamentazione trasfusionale e via dicendo.

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4.2

4.3

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Rapporto donatore-dirigente

Le voci dal campoIl rapporto con i dirigenti non esiste, non so neanche chi siano sinceramente.La cosa che legittima ancora di più il concetto che donare sia una pura e semplice iniziativa personale è il fatto che quandoinizi a donare, alla tua azione non viene dato risalto: io mi ricordo la prima volta che sono venuto qua, ero contento di averdonato, ma ero anche un po’ deluso perché come ero entrato uscivo. 17

Il Social network associativo5

Fiducia e sfiducia tra gli interlocutori, ambiguità e chiarezza dei messaggi diventano elementi decisivinella comunicazione proprio allorché i rapporti tra gli organismi non avvengono più sulla base di semplici segni

di umore, che producono una risposta automatica, ma sono mediati da forme espressive che esigono un’interpretazioneB. GIACOMINI

Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso… lavorare insieme un successo.H. FORD

L’incontro tra socio donatore e socio dirigente sottende complessi processi relazionalie di gestione delle attese e delle aspettative reciproche che richiama alcune questionifondamentali:In che modo si pone il socio dirigente rispetto agli altri soci donatori?Quali canali di comunicazione vengono attivati?Come vive il socio donatore la relazione con il dirigente?In quali forme si mantiene vivo il senso di partecipazione ad un agire comune?

5.1

5.1.1

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Io un problema che sento tanto è la scarsa capacità di far partecipare tutti i soci: all’assemblea comunale difficilmente partecipanotutti i donatori perché non si sentono associati, entrano in Avis per donare e basta. Ci sono invece dei momenti in cui è richiestoal donatore di esprimersi. E solo l’espressione della sua volontà porta ad una gestione davvero democratica dell’associazione.Altrimenti si finisce per essere sempre i soliti dieci, che parlano tra di loro, decidendo in gruppo ristretto chi fa il segretario. Quandopoi finiscono i due mandati e non si può più essere presidente, si rimescolano le carte, ma le persone sono sempre le stesse.

Avis alla base è molto varia: i donatori presentano una diversità, una ricchezza e una varietà straordinaria, mentre spessoin altre associazioni i soci sono un po’ più omogenei. Il peccato però è che questa diversità non arriva e non viene mantenutaa livello dirigenziale.

Le dimensioni in giocoCONSAPEVOLEZZA Una questione di conoscenza reciproca

“Secondo me la dirigenza in Avis ha il ruolo di gestireaspetti meramente organizzativi e pratici, per così dire‘aziendali’ e di processo della struttura. Non c’è una particolareattenzione nei confronti del donatore se non con dei messaggi‘istituzionali’. Non si percepisce un’attività strutturata inquesto senso. Magari perché esistono poche risorse umaneed economiche e quindi i dirigenti si concentrano su quelleche sono fondamentalmente le attività utili a mantenere inpiedi l’associazione.

“Ciò che mi ha portato a fare il passo da semplice donatricea persona impegnata nella vita associativa è stato il contattodiretto con il presidente della mia Avis comunale, checonoscendo anche la mia storia e il mio impegno in ambitosociale in senso più ampio, ha cercato di inserirmi nel contestoAvisino. Mi ha fatto comprendere che la donazione del sangueha alle spalle un’organizzazione che ha l’obbligo di esserecapillare, precisa, rigorosa. È stata l’idea di poter dare unsupporto in questa direzione che mi ha stimolato. ””

COMUNICAZIONE Lo scambio che va oltre le parole

“Ogni tanto mi mandano una mail di informazione abbastanzainteressante e che ricevo con periodicità. Questo è sicuramenteun modo per mantenere costante e viva la relazione, ma nonbasta. Infatti il dirigente dovrebbe aiutare il donatore adavere una conoscenza più approfondita delle implicazionidella donazione, delle necessità di sangue esistenti, o ancoradell’utilizzo che viene fatto del sangue che dona, della strutturae del funzionamento dell’associazione. Questo sarebbe

“Questo per dire che esiste una buonissima comunicazionetra noi donatori e i dirigenti. È proprio una relazione basatasul rapporto di amicizia. Per quanto riguarda i livelli comunalee provinciale sono in ottimi rapporti con i dirigenti e non c’èquel distacco che esiste tra il superiore e il dipendenteall’interno dei normali contesti lavorativi. Perché in Avis siail socio donatore sia il socio dirigente si sentono coinvoltinell’unico obiettivo della donazione e della salvaguardia della

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5.1.2

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sicuramente un modo anche per dare più importanza al gestoche il donatore fa. Io, per fare un esempio banale, so che dalsangue ricavi una serie di ‘prodotti’ medici che poi vengonoutilizzati in modo diverso, ma è una cosa che conosco nonperché me l’hanno spiegata.

salute. Esistono in concreto momenti istituzionali di scambiocon le riunioni che sono per lo più finalizzate alla discussionedi argomenti specifici, e poi per quanto mi riguarda, quandoho del tempo a disposizione, passo in sede a salutare persapere se va tutto bene e per scambiare qualche idea.” ”

COINVOLGIMENTO Creando una qualche forma di solidarietà

“Inizialmente, da bravo dirigente, mandavo ai donatori larelazione morale lunga due pagine. Invece in questo ultimomandato in una sola pagina ho scritto tutto il resoconto, gliobiettivi raggiunti e quelli degli anni a venire. Faccio la listadella spesa. È brutto dirlo ma è così, perché col tempo hoscoperto che quando spedisco le relazioni a casa nessuno lelegge, quindi è inutile scrivere 3 o 4 fogli: chi ha intenzionedi informarsi si informa comunque. Mi è capitato di chiederea qualche donatore se aveva ricevuto ciò che avevo mandatoloro, ma la risposta era sempre: ‘ah sì, ho visto, ma no, nonho letto’. Quindi mi sono messo l’anima in pace e non cispreco neanche più le parole.

“Mi è capitato una volta un donatore che si è arrabbiatoperché non lo chiamavamo costantemente ogni tre mesi.Quando l’ho contattato in ritardo era sinceramente moltoirritato. Lui ci tiene: per lui non essere chiamato è un’offesa.Gli ho spiegato con calma che tendiamo a chiamare in basealle esigenze e che, essendo aumentato il numero dei donatori,può succedere che a volte ‘slittiamo’ con i tempi. Alla fine misono accordata con lui promettendogli che ogni tre mesi loavrei contattato. E da quel giorno effettivamente sonostata sempre puntuale e lui è soddisfatto e contento. ”

”CRESCITA Diventare generativi

“La cosa peggiore è che ci sono molti soci a cui piace donare,ma a cui non interessa per nulla la vita associativa. Questoda ancora più spazio a quei dirigenti che non hanno nessunaintenzione di lasciare il proprio posto facendo crescere qualcunaltro. Ci sono persone quindi che fanno i padri padroni nelleloro sedi. E tutto questo comporta una fortissimacristallizzazione di AVIS : una grande difficoltà a stare dietroai cambiamenti sociali e demografici… siamo indietro di 20anni insomma!

“La mia è un’Avis piccola, ha 150 donatori iscritti, lepotenzialità del territorio però, secondo me sarebbero maggiori.Infatti abbiamo 6.500 abitanti su tutto il territorio comunaleche è diviso in nove frazioni. Per noi è un po’ problematicoandare nelle diverse frazioni a fare promozione, un po’ perchésiamo in una posizione collinare, distante da tutte le altre epoi perché sulla carta nel direttivo siamo in 10 ma nella realtàlavoriamo in 3. Quello che voglio dire è che potenzialità cene sarebbero, peccato che noi contiamo 150 donatori efacciamo 150 donazioni l’anno, considerando anche che c’ègente che dona 4 volte l’anno! Quando noi facciamo letelefonate di routine per invitare i soci a donare, molti di loroci dicono che non vogliono essere disturbati più di tanto. Cidicono ‘io sono iscritto, non mi disturbate, io vengo a donarequando voglio’. ”

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Rapporto dirigente-dirigente

Le voci dal campoIo osteggio l’autonomia, ma ho sempre privilegiato e difeso il ‘ruolo’, nel senso che se nelle nostre Avis tutti i presidenti capisseroche compiti hanno da svolgere sul loro territorio, avrebbero tantissimo lavoro da fare. Alle assemblee dico sempre: ‘Voi presidentidell’Avis, dovreste conoscere tutte le persone sul territorio, dovreste avere un ruolo superiore a quello del sindaco, dovreste avvicinarei giovani e le persone, dovreste lavorare con tutte le associazioni che avete sul territorio. Se voi fate queste cose, i risultati vedreteche arrivano’.

Io non ci vado mai alle Assemblee nazionali perché non c’è niente che rappresenti le mie esigenze… io sono poco per lechiacchiere e sono più per i fatti e all’assemblea nazionale si chiacchiera e basta. Tu devi essere aperto ad accogliere tutto,a condividere dove è possibile, a sostenere anche economicamente, se necessario, un’Avis di base, cioè devi essere parteintegrante di tutto il sistema. Se tu vuoi sentire un’Avis unita devi essere il primo a dare l’esempio di unitarietà.

Abbiamo uno statuto associativo che ci taglia le mani: dando autonomia gestionale e amministrativa alle AVIS di base, succedeche il passaggio di informazioni e di dati utili a conoscere la nostra organizzazione, viene meno. Nel senso che se un’Aviscomunale o provinciale non ha intenzione di passarti le informazioni, senza problemi non lo fa.

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La relazione tra i soci dirigenti è caratterizzata da dinamiche complesse e non scontateche coinvolgono necessariamente sia processi organizzativi, culturali e contestuali siacaratteristiche individuali.Le modalità con cui vengono sperimentati quotidianamente i processi relazionali sideclinano concretamente lungo un continuum che vede ai suoi estremi da un latodinamiche di partecipazione, dialogo e confronto, dall’altro giochi di potere, autorità econtrollo verticale.Su quali valori si basano e con quali atteggiamenti si estrinsecano i rapporti tra dirigenti?Quali i principi democratici da rispettare?In quale modo sono garantite trasparenza e correttezza nell’attività del dirigente?

5.2

5.2.1

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Le dimensioni in giocoCONOSCENZA E TUTELA DEL TERRITORIO Cogliere i diversi segnali e orientarli

“Noi abbiamo scoperto poco tempo fa che ci sono deigruppi che utilizzano il nome Avis ma che non sono affiliateall’associazione e non riusciamo a capire come facciano afare un’attività vera e propria: hanno degli iscritti, comefanno a tesserarli? Io ho scoperto questa cosa per caso perchéc’è una ragazza della provincia di Pavia che sta facendo unostage in ufficio stampa e che fa la volontaria per questogruppo che usa il nostro nome. Ho controllato e questa sedenon esiste. Probabilmente è un’organizzazione autonomache si fa chiamare Avis i cui soci sono quelli della sede diPavia, però non ne siamo certi. Tutto questo è grave perchésono schegge impazzite che è necessario controllare. Io sonoconvinta in Italia si verifichino tantissime situazioni simili aquesta. Ciò significa che le Avis di coordinamento intermedio(Provinciali e Regionali) non hanno il polso della situazionedel loro territorio.

“Io agisco sempre in questo modo: sono sempre presentedirettamente o indirettamente alle assemblee comunali comepresidente, quando non posso io personalmente mando ilmio vice. Ma, da quando ci sono io, l’Avis Regionale non hamancato un’assemblea comunale. Perché è giusto riconoscerealle Avis di base il grosso lavoro che fanno e che va valorizzato.Anche perché noi tendiamo troppo spesso a dimenticare chela nostra forza sono i donatori, e se loro non sono consideratidalle proprie Avis rischiamo di perderli. Il consiglio regionaledeve essere fatto da persone di cui ci si fida e che rappresentanole diverse realtà del territorio. A tutti questi è necessario dareun ruolo e delegare il lavoro se necessario, perché quando leAvis sono 46 come nel mio caso, si riesce a gestirleautonomamente, ma se sono un centinaio e più è impossibilee quindi bisogna andare a turno sul territorio. La costanteperò deve essere l’ente superiore sempre presente.

””COMUNICAZIONE, COORDINAMENTO E INTEGRAZIONE TRA I DIVERSI LIVELLI ASSOCIATIVIVarcando i confini individuali in uno slancio collettivo

“ A livello nazionale abbiamo una grossa difficoltà ad avere la conoscenza esatta di dove si trovano le nostre 3.300 sedi. Avolte sono le Avis stesse che chiedono a noi informazioni. I livelli intermedi che sono di coordinamento (provinciali e regionali)non è possibile che non conoscano il loro territorio. Se partiamo dal presupposto che per aprire una sede Avis è il provincialeche ti deve dare il benestare, vuol dire automaticamente che è a conoscenza dell’esistenza delle Avis di base. Il fatto che poichiedano i dati a noi del Nazionale mi fa pensare che aprano le sedi e poi non le supervisionino e non le controllino. Abbiamoappena fatto l’Assemblea e le Avis Regionali dovevano mandare l’elenco dei presidenti perché da statuto è previsto questoprocedimento. È stato difficilissimo perché non ce li avevano. Quello che voglio dire è che sarebbe molto importante, alcontrario, che le Avis di coordinamento conoscessero a fondo il loro territorio. ”2622

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5.2.2

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TRASPARENZA E DEMOCRATICITÀ DEI PROCESSI ORGANIZZATIVI Far crescere responsabilità diffusa

“Mi sono presentato in consiglio regionale con un programma ben definito. Avevo analizzato lo stato della situazione e mi eroreso conto di cosa bisognava fare. Sono entrato con una condizione economica pesante, mi sono ritrovato un’Avis che lavoravasenza un minimo di collaborazione e coordinamento in termini dirigenziali. Quindi la prima cosa che ho fatto è stata quella dipresentare un programma preciso dell’esecutivo individuando obiettivi di breve-medio e lungo termine. Nel giro di pochi mesi horipristinato gli incarichi in comitato, nei cobus, al centro servizi volontariato ecc. Il primo anno per effetto di questo nostro impegnosono riuscito ad avere 25.000 euro di finanziamento su determinati progetti. Il mio desiderio era che si lavorasse con metodo, cheobiettivi e finalità fossero condivisi, tollerati e perseguiti con motivazione da tutti, ognuno con i propri ruoli e compiti (le regionaliper quanto riguarda la Regione, le provinciali per quanto concerne le Province e le comunali per quanto riguardail loro territorio).

“Qualche anno fa, quando non ero ancora presidente, abbiamo fatto la festa dei 45 anni della comunale. È stato proposto, inquella occasione, di fare un annullo filatelico: due persone su quattro erano favorevoli alla proposta, le altre due contrarie. Alla finesaltò fuori che questo annullo, che in teoria doveva costare poco, aveva un prezzo spropositato perché avevano deciso di fare anchela stampa delle cartoline. Questo non era stato inserito nel preventivo e quindi non era stato possibile discutere all’interno deldirettivo. Sono sicuro che il giochetto è stato fatto di proposito: il problema è che quando si devono prendere decisioni o si attivanoprogetti, le cose devono essere messe per iscritto in modo da poter essere reciprocamente chiari, perché se no poi ognuno fa quelloche vuole. Se facciamo l’annullo filatelico e mi dici che costa 10 e poi invece costa 100, non va bene! Potevano benissimo dire ‘vistoche i soldi ci sono, ci piacerebbe fare oltre all’annullo anche le cartoline commemorative’ e invece hanno preferito omettere ilparticolare. Tutto ciò ha creato ovviamente delle tensioni e dei litigi tra di noi.

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Rapporto dirigente-dipendente

Le voci dal campo...Noi abbiamo messo a disposizione nel nostro sito una pagina web per ogni sede. Oggi ci sono alcune sedi che hanno la paginaaggiornata al 2009. E noi abbiamo mandato spiegazioni sulle modalità di accesso e di gestione, ma nonostantequesto non c’è stato nessun cambiamento.

Non è banale il rapporto che noi abbiamo con i dirigenti anche perché dobbiamo gestire dinamiche relazionali con persone diverseche cambiano continuamente: i dirigenti cambiano noi rimaniamo sempre, siamo i punti di riferimento, i primi interlocutori… siamonoi dipendenti che diamo continuità ai progetti anche nel periodo di cambio della dirigenza.

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A me piacerebbe avere un bagaglio informativo un po’ più ampio: i donatori chiedono moltissime informazioni anche sui diversitipi di donazione e quindi è importante che io sappia rispondere sempre. Più ho informazioni, più posso comunicare con il donatore.Questo vale sia per noi dipendenti sia per i dirigenti.

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5.3.1

Nella vita articolata dell’associazione sono presenti posizioni diverse e anche interazioniscandite da contratti lavorativi ed operativi. La riflessione relativamente a questi aspettiapre lo spazio ad alcuni importanti interrogativi: su che cosa si basano le dinamiche dicomunicazione, condivisione, confronto tra i soci dirigenti e i collaboratori? Quali sonole attese e le aspettative reciproche? Quali sono le modalità di gestione quotidiana deidiversi ruoli e dei differenti rapporti con l’associazione?

5.3

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CO-PROGETTAZIONE La valorizzazione della complessità

“Il dipendente non viene consultato quando ci sono da prendere delle decisioni o da apportare dei cambiamenti. Noi nonabbiamo un rapporto diretto con i nostri dirigenti, noi loro li sentiamo per la prenotazione dell’albergo, per la trasferta e quant’altro,non abbiamo uno scambio di idee e momenti di consultazione. In realtà dovrebbe funzionare in un altro modo: il dirigente dovrebbegestire le cose a livello politico-associativo, ma puntare sul dipendente demandogli compiti e attività. Lasciando spazio e autonomiasulla base di direttive.

“Manca il confronto: i progetti ci sono, ma è come se venissero un po’ calati dall’alto improvvisamente. Sarebbe bello trovarsi atavolino con il presidente o il segretario per prendere insieme le decisioni e per metterci d’accordo su come agire. Invece le decisionivengono prese in un’altra sede e poi ci vengono trasferite e comunicate attraverso una chiamata. Vediamo quindi direttamente ilverbale delle decisioni prese e ne prendiamo atto. Questo non ci consente di comprendere a pieno le motivazioni e i processi dipensiero che stanno alla base. Il confronto diretto sarebbe quindi importante, soprattutto nei progetti più complessi, dove èfondamentale avere una visione di insieme completa e essere a conoscenza di tutte le informazioni. Faccio un esempio: qualche

”25

“Un cosa che io ho sempre cercato di fare è quella di non trattare i dipendenti come se fossero volontari: è importante separarel’impegno che metto io come volontaria dal lavoro di coloro che hanno un rapporto contrattuale con l’associazione. Per loro è unlavoro ed è giusto rispettare questa cosa. Invece spesso ai dipendenti viene chiesta una flessibilità che non è dovuta, che può essereapprezzata ma non scontata. Non è giusto chiamarli nel fine settimana, la sera ecc. O quantomeno, se si decide di farlo, è necessarioprendere un accordo con il dipendente stesso. È come se il volontario si sentisse qualitativamente migliore rispetto al dipendente.

“Negli anni ’90 quando è uscita la legge sul volontariato è nata la necessità di definire i ruoli all’interno dell’associazione. Conl’allora presidente regionale decidemmo di approfondire l’argomento e organizzammo una serie di corsi di formazione preparati inmodo accurato grazie ai quali abbiamo stabilito ruoli e funzioni ed individuato le possibili sovrapposizioni e già da allora abbiamoquindi delineato precisamente i ruoli sia del dipendente sia del dirigente. Tutto questo ha favorito l’organizzazione del lavoro e hafacilitato la possibilità di delegare. ”

Le dimensioni in gioco...CONOSCENZA E DEFINIZIONE DEGLI AMBITI PROFESSIONALI Ascolto e organizzazione

“A volte percepisci proprio che ci sono alcuni consiglieri che non sanno neanche chi sei e cosa fai. Capita spessissimoinfatti che i dirgenti chiamino in sede e chiedano della persona sbagliata. Per carità facendo un mea culpa, succede ancheal contrario: noi non riusciamo a capire cosa facciano alcuni consiglieri, li vediamo alle Assemblee ma non sappiamo beneche ruolo abbiano e che compiti svolgano.

5.3.224

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CONDIVISIONE E DELEGA Una questione di fiducia reciproca

“C’è un bel rapporto di amicizia e di fiducia con i consiglieri comunali e provinciali. Tanto è che quando è necessario esserepresenti a iniziative ed attività se non può andare il nostro presidente regionale, vado io e non cambia quasi niente per le Aviscomunali. Questo perché tra di noi c’è un buon passaggio di informazioni e per le sedi l’importante è avere un rappresentanteregionale preparato. Capita anche spesso che alla base conoscano di più me che gli altri consiglieri regionali. ”24

“L’associazione non è più fatta solo da persone volontarie che dedicano il loro tempo ad una causa nobile, ma la vitaassociativa richiede sempre più competenze e conoscenze specifiche sia ai dirigenti sia ai dipendenti: bisogna avere semprepiù dimestichezza dell’aspetto sanitario, amministrativo, giuridico ecc. Anche per i dipendenti è aumentata la richiesta diconoscenze soprattutto relativamente al funzionamento organizzativo e alle normative. Quindi mi viene da dire, se ci fossela possibilità per noi dipendenti di fare formazione sarebbe importante perché noi facciamo da filtro e parliamo con i dirigentilocali che chiedono ad esempio ‘quale documento mi serve per andare in regione piuttosto che in banca ecc… e queste cosequa noi le impariamo solo sul campo.’ ”

“Io ho fatto parte del gruppo che ha redatto il bilancio sociale. In quell’occasione gran parte del lavoro è stata fatta da undipendente. Il gruppo di lavoro è stato gestito da entrambe le parti, c’era quindi una delega precisa data al dipendente. La divisionedei compiti e delle attività è stata fatta in maniera equilibrata e condivisa. C’è da riconoscere anche che il dipendente, che è lì dapiù tempo, spesso conosce anche meglio molte cose rispetto al dirigente al primo mandato. Non mi sentivo per questo motivo diavere un ruolo più elevato rispetto al suo, è stato un lavoro di condivisione e dialogo. ”FORMAZIONE E CRESCITA PROFESSIONALE Riconoscersi riconoscendo

“Adesso stiamo facendo le telefonate per la piastrinoferesi e io ho chiesto informazioni specifiche in modo da poter avvisarecorrettamente le persone che devo chiamare e che andranno a donare le piastrine. Giustamente loro ti chiedono informazioni echiarimenti e tu devi essere in grado di rispondere pienamente. Io ho parlato anche con il dirigente relativamente alla possibilitàdi fare dei corsi di formazione e aggiornamento sulle chiamate. Perché è vero che la chiamata è una cosa personale e ognuno hail suo stile, però torna utile anche avere delle linee guida che ti consentono di agire nella piena consapevolezza con migliori risultatiper te stesso e per l’interlocutore. ”

anno fa per il progetto X ci siamo appoggiati a consulenti esterni che seguivano e portavano avanti i lavori. Noi ricevevamo richiestedi informazioni da parte delle sedi, ma non riuscivamo a dare a pieno le informazioni perché la cosa ci era stata calatadall’alto ed era stata assorbita da questi consulenti. ”

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Le voci dal campo...C’è una difficoltà diffusa all’interno dell’associazione relativamente alla dimestichezza con nuovi strumenti e modalità dilavoro. Il rischio è quello di escludere alcuni interlocutori e di non rendere egualmente efficace il passaggio di informazionia tutti i livelli associativi

L’innovazione di Avis consente di aumentare la partecipazione da parte dei donatori. Più utilizzi mezzi comunicativi attuali,più sei in grado di attirare l’attenzione. Senza tenere conto che poi, come in tutte le cose, se ogni tanto non si fa qualcosadi nuovo la gente si stanca.

Noi ci troviamo spesso a parlare di rinnovamento, di ricambio generazionale… ci riempiamo la bocca di queste cose cheadesso vanno tanto di moda, senza renderci conto che i giovani ci sono e partecipano e che siamo noi a non essere in gradodi dare loro il dovuto spazio.

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AVIS 2.0 Prospettive evolutive

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Corpo e società si costruiscono allo stesso modo:compiendo testardamente e instancabilmente un piccolo sforzo dopo l’altro.

S. LINDQVIST

Avis, come tutte le grandi organizzazioni, si incontra e si scontra con i cambiamenti dellasocietà, demografici, culturali, valoriali. Le modalità di gestione di tali trasformazionidiventano aspetti fondamentali che concorrono a disegnare e plasmare l’identitàdell’associazione stessa. In questo quadro risulta quindi importante domandare e domandarsicome l’associazione risponde a processi di inclusione e di integrazione di nuove culture,così come al passaggio generazionale. In che modo la valorizzazione delle differenze e iprocessi di innovazione trovano spazio nella sensibilità e negli obiettivi dell’associazione.

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Nelle piccole AVIS è ancora peggio, c’è il culto dell’individualismo e il presidente diventa il padre-padrone della comunale,facendo cinque o sei mandati senza nessuna forma di ricambio e di passaggio di testimone. Così Avis scompare e si vengonoa creare delle proprietà private.

Secondo me Avis non valorizza le competenze per ricoprire dei ruoli. C’è una mentalità fortemente territoriale, per cui sipreferisce spesso fare in modo che le Avis di base siano rappresentate a livello nazionale, piuttosto che inserire in consigliopersone più adatte in termini di competenze acquisite e di esperienza pregressa.Con il rischio poi di portare avanti le istanze della ‘base’ piuttosto che ragionare in una dimensione più ampia. Perché quandosi lavora a livello nazionale bisogna essere consiglieri di tutte le Avis non solo di alcune!

Le dimensioni in gioco...APERTURA AL NUOVO Semi da piantare, alberi da coltivare

“Noi dobbiamo confrontarci con il fattore immigrazione, dobbiamo imparare a entrare in contatto con gli immigrati e con il loromodo di concepire la donazione di sangue… da noi c’è una grossa comunità di rumeni e io mi sono avvicinato a loro e gli hospiegato… ho anche detto loro che se vanno a donare hanno le analisi gratis. Però questa cosa da molti dirigenti non è accettatae dicono ‘se vogliono fare le analisi vanno a donare in una struttura ospedaliera, ma noi li possiamo controllare facendo così!’ ”

“Si vede lontano un miglio che Avis ha 80 anni: è difficile ragionare in termini innovativi e a gestire il cambiamento si fa fatica.Ripenso alla web radio, abbiamo cercato di fare associazione con strumenti che sentivamo più nostri, più adatti e più in grado dicoinvolgere i giovani donatori e quelli che saranno poi i futuri dirigenti. Ci sono state però molte resistenze perché il consiglionazionale, che è formato da persone di una certa età, è ancorato alle solite modalità comunicative e alle solite campagne pubblicitarie,che danno sicurezza. Uno strumento come la web radio non lo conoscono e fa paura.Il rischio più grande è che i giovani si stufino e che dicano: se devo fare tutta questa fatica vado da un’altra parte, visto che il benesi può fare in tanti modi e in posti diversi non solo in Avis.

“Spesso noi parliamo nei nostri incontri del bisogno di cambiamento e rinnovamento e non capiamo che il più dipende da noiperché i giovani ci sono, siamo noi che dobbiamo dare loro il dovuto spazio e la possibilità di esprimersi. Facciamo fatica a cambiaree ad aprirci al nuovo o semplicemente al diverso. Mi ricorderò per sempre un’assemblea che abbiamo fatto qualche anno fa in cuiera emersa la proposta di modifica delle benemerenze. Io ingenuamente pensavo che saremmo stati tutti d’accordo e che nessunoavrebbe avuto alcun tipo di problema. E invece… ho stampata nella mente l’immagine di alcuni delegati di una certa età, tuttischierati in prima fila, che hanno alzato la mano e bocciato in maggioranza queste modifiche. ”

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CULTURA DIFFUSA E CONDIVISA DI CRESCITA E DI RICAMBIO GENERAZIONALEUn’integrazione di mondi e prospettive non solo per il gusto di cambiare

“I soci donatori giovani sembrano non avere interesse acoinvolgersi, ad impegnarsi e a partecipare alla vita associativa.Un tempo tendevo a dare la colpa solo ai soci dirigenti anziani,ma ora mi rendo conto che la colpa è di entrambi, perchénon vedo, parlando in termini generali, nessuno slancio daparte dei giovani in termini di partecipazione e di desideriodi associazionismo.

“Noi abbiamo un gruppo giovani che non ho ancora capitobene cosa faccia. Nel senso che è composto da ragazzivolenterosi a cui però l’Associazione non da assolutamentespazio. La mia paura è che tra qualche anno le persone cheadesso sono giovani non saranno in grado di prendere inmano l’Associazione, perché non sono stati formati: nonvengono cresciuti, non sono motivati, e le idee che propongonomolto spesso non vengono accettate. Faccio un esempio: igiovani avevano proposto di utilizzare FB per la promozionedi Avis e della donazione del sangue. Il presidente attualeperò non sa neanche cosa sia Facebook e non ha accolto laloro idea. A me era parsa invece un’ottima iniziativa perchéritengo che quello strumento abbia una grossa influenza suiragazzi. Lo vedo anche su mio figlio.

“La nostra comunale è costituita da persone di età avanzata e per questo qualsiasi forma di innovazione diventa sempreuna lotta: sai già che se presenti un’idea originale o diversa devi farti una litigata pazzesca, sai già che ti metteranno i bastonitra le ruote. O segui i canali tradizionali, oppure devi lottare. Negli ultimi tempi un pochino la cosa sta cambiando però rimanesempre un problema grosso. Ad esempio i nostri dirigenti hanno grosse difficoltà per quanto riguarda l’utilizzo di internet,sia come strumento di comunicazione sia come mezzo utile ad effettuare operazioni strategiche di lavoro. Una volta abbiamoprovato a comprare su internet alcuni gadget da distribuire ai donatori durante la campagna estiva, perché si potevanoottenere con dei costi molto inferiori rispetto ai canali tradizionali. Ovviamente abbiamo dovuto fare una grande litigataperché nessuno dei Dirigenti era d’accordo: per loro internet è uguale a un demonio. E noi non possiamo fare di testa nostra,il nostro potere decisionale è pari a zero, quindi alla fine ci siamo dovuti adeguare.

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“Nel mio direttivo ci sono 3 o 4 donne: una che è entrata adesso e due probiviri. Sicuramente la presenza femminile aivertici dell’associazione è meno massiccia rispetto a quella maschile. Questo dipende dal fatto che le donne hanno impegnidi famiglia molto più onerosi. Tenendo in considerazione che spesso le riunioni si fanno in orari serali dopo cena, è ovvioche a meno che una non sia una ragazza senza figli, risulta per loro molto difficile essere presenti. Io personalmente mi sonoimpegnato ad ottimizzare i tempi: noi ci vediamo quattro sere al mese, una sera con la segreteria, una con la contabilità,una con un altro settore, e una tutti quanti insieme. In modo tale da programmare per il mese successivo i lavori da fare.Quando a queste riunioni/incontri viene la ragazza che ha due bambini, si porta la più piccola con sé, io mi porto mia figliae mentre noi parliamo i ragazzini giocano. Avevo anche proposto, ai tempi, una forma di babysitting, quando facevamo lemanifestazioni. ”

CAMBIAMENTO E PROGRESSO Identificarsi nell’associazione per favorirne il cambiamento

“C’è un consiglio nazionale troppo ‘vecchio’. Io sostengo che dopo due o tre mandati sia necessario dimettersi e lasciare ilposto ad altri. Si può essere utili anche aiutando dalle proprie sezioni e dal proprio territorio. Non bisogna stare a forza nelconsiglio Nazionale. E invece in Avis ci sono alcune persone da vent’anni. Allo stesso tempo io non riesco ad individuarepersone che siano in grado di prendere il ‘testimone’ di chi lascia la posizione da dirigente o consigliere. Questo perché i socidonatori non sono preparati, non sono responsabilizzati e la colpa è sia nostra (dei dirigenti) che non lasciamo loro spaziosufficiente, sia dei soci donatori stessi che non sono motivati e non partecipano alla vita associativa. Io comunque sonopresidente regionale da due mandati e ora lascio, anche se mi stanno pregando di fare il terzo, ma mi rifiuto di farlo perchénon lo trovo giusto, non lo trovo eticamente corretto. Sono consapevole di poter aiutare anche supportando quello che saràil nuovo presidente. E questo è l’importante, anche perché solo in questo modo le persone si possono formare: facendoleprovare! La mancanza di un ricambio e di formazione causa anche una forte demotivazione tra i soci che vorrebbero assumereposizioni di responsabilità: io l’ho visto in molte realtà Avisine italiane. ”27

VALORIZZAZIONE DELLE DIFFERENZE DI GENERE Le dispari opportunità

“Le donne devono essere parte integrante dell’Associazione e devono assumere anche ruoli di responsabilità perchéhanno una visione e una sensibilità diversa rispetto all’uomo: sono, secondo il mio parere, molto più attente ai bisogni, hannouna maggiore capacità di lettura delle esigenze e motivazioni che stanno alla base del gesto.Per esempio, per quanto riguarda la donazione del cordone ombelicale la promozione pensata e fatta dalle donne hasicuramente un altro significato e un altro impatto, perché le donne conoscono il tema, le sfaccettature, i bisogni, le esigenze,i vissuti correlati, come ad esempio il fatto banale che una donna che dona il cordone ombelicale è due volte mamma, perchéha fatto nascere suo figlio e perché contribuisce ad un’altra nascita. Ecco, chi meglio della donna può spiegare una cosa delgenere? Intendo dire che sono proprio queste cose che devono essere trasmesse e promosse: il significato, i vissuti, le emozionie i bisogni che stanno alla base e dietro l’attività di donazione. E secondo me anche per quanto riguarda la donazione delsangue la donna ha una particolare e diversa sensibilità nel comprendere e trasmettere questi aspetti.

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“Nella mia Avis regionale non c’è un ruolo "ufficiale" per i giovani. Io avevo il compito di coordinare in modo piùinformale i giovani e questo mi ha portato ad essere anche uno dei tre membri eletti nella consulta nazionale, fino ad arrivareall’esecutivo giovani. Quindi al termine di questi quattro anni, avendo maturato esperienza a livello nazionale e grazie alsupporto di vari membri dell’esecutivo che hanno potuto toccare con mano come i giovani avevano lavorato, ho chiesto sepoteva essere utile una mia candidatura in consiglio nazionale. Mi è stato detto di sì. Tuttavia sono emersi dei problemi nelprovinciale, perché la mia Avis regionale ha ancora un criterio prettamente territoriale sulla base del quale scegliere eselezionare i candidati.Per intenderci, la mia provincia aveva a disposizione due posti: uno lo voleva una grande Avis comunale e l’altro posto volevaprenderselo il presidente provinciale uscente, già  consigliere nazionale per questo mandato. Nonostante mi avessero dettoche era utile la mia presenza in consiglio, nessuno ha mosso un dito per cambiare le cose.Uno degli aspetti che più mi ha dato fastidio è che queste decisioni le hanno prese durante l’assemblea provinciale in cuinon ero presente. Ne sono venuta a conoscenza dopo, senza potermi opporre.

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Le voci dal campo...Io penso che sia importantissimo il contributo dei non donatori all’interno dell’Associazione, perché possono fornire un aiutosignificativo in altro modo. I non donatori dovrebbero partecipare attivamente a manifestazioni e attività di promozione ecoinvolgimento.

Secondo me ci sono troppi soldi in Avis e questo spesso costituisce un problema. In alcuni casi non è facile distinguere ilvolontariato da attività profit. Ci sono delle sedi che fanno raccolta, che hanno effettivamente dei bilanci da capogiro. E nonsempre questi soldi vengono utilizzati per fare la promozione, per organizzare la chiamata ecc. ma vengono investiti in altromodo e non vengono adeguatamente suddivisi sul territorio.

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L’associazione e gli Altri7

La vera imprenditorialità sociale si dovrebbe misurare in base alla capacitàdi creare valore condiviso e non solo benefici sociali.

M. PORTER

Il riconoscimento dell’associazione e la condivisione della sua mission vanno ben oltre lacerchia degli associati. Spesso i valori e i simboli si configurano come vero e propriopatrimonio culturale delle comunità e le attività dell’associazione hanno una granderilevanza per la cittadinanza e per il welfare locale. La rete dei rapporti è quindi complessaed interessa tutti gli ambienti sociali e le istituzioni.Da qui alcune importanti riflessioni: quali sono le modalità migliori per una efficacerappresentanza dell’associazione sul territorio e nei tavoli istituzionali? Quali i modi miglioriper diffondere e condividere mission e valori? Quale è il giusto equilibrio tra vita all’internodell’associazione e interessi politici esterni?

7.1

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Noi abbiamo un assessore che voleva fare una legge sul volontariato relativa ai contributi da dare alle associazioni, gliel’abbiamocontestata subito. Io ho cominciato a riunire tutto il volontariato che si occupa del socio-sanitario e insieme agli altrirappresentanti delle associazioni abbiamo creato una rete cercando di spiegare che i contributi devono essere dati su progettispecifici, se non ci sono dei progetti definiti, non ha senso finanziare nessuno. Siamo andati di fronte alla commissione sanità,abbiamo dato le spiegazioni della contestazione. Dopodiché loro hanno dato una taglio netto alla legge e ora la stannorifacendo.Da noi ci sono state le elezioni amministrative e qualche candidato ha pensato bene di sfruttare l’Avis per farsi pubblicità.Uno dei potenziali sindaci voleva organizzare la raccolta di sangue all’interno della sua sede di partito, ma noi ci siamorifiutati. Non tanto per la cosa in sé, quanto perché l’Avis rischiava di diventare uno strumento utile a farsi pubblicità, equesto non può esistere.

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“Avis potrebbe entrare di più nelle reti del volontariato ed intessere relazioni con altre associazioni no profit per fare promozionenelle scuole, per promuovere cultura e valori di solidarietà in senso più ampio. Invece molto spesso Avis coltiva il suo orticello fortedelle risorse economiche a sua disposizione. Altre associazioni tendono a fare rete proprio perché ne hanno necessità. Avis invecetende ad isolarsi e a non confrontarsi con l’esterno perdendoci in ricchezza. 34 ”RAPPRESENTATIVITÀ POLITICA E TERRITORIALE Cose dell’altro mondo

“Il socio donatore non è ancora consapevole del forte ruolo politico dell’associazione, non è consapevole del fatto che Avis ha lacapacità e la forza di interloquire con le diverse istituzioni sulla sua materia che è quella della propaganda dei valori della solidarietà,dell’altruismo, della gratuità, delle organizzazioni in ambito sanitario e della incidenza nel campo dell’educazione alla salute. Mal’aspetto più significativo secondo me è che Avis stessa non ha la percezione della sua propria grandezza. Questo dal mio punto di

Le dimensioni in gioco...DIFFUSIONE DI UNA CULTURA CONDIVISA Diventare contaminatori positivi

“Io mi sono imposto che ogni anno almeno un conoscente Io devo coinvolgere nella donazione. Sto triturando l’anima a un mioamico, che penso mi toglierà il saluto, ma alla fine ce la farò a portarlo a donare. L’associazione e i dirigenti dovrebbero supportaree promuovere azioni di questo genere, attraverso iniziative banali del tipo ‘trova un amico all’anno’ o ‘trova un donatore all’anno’.Perché il primo veicolo per coinvolgere nuovi soci siamo proprio noi che già doniamo il sangue. Tuttavia, allo stato attuale, non c’èniente di ben organizzato a livello Nazionale che agevoli questo processo e queste azioni di coinvolgimento. Se al di là della purae semplice iniziativa personale ci fosse anche una struttura alla base in grado di ottimizzare la promozione, si raggiungerebberorisultati migliori. Nello specifico i dirigenti potrebbero aiutarci a strutturare meglio il discorso, fornendoci delle informazioni e deglielementi in più per far capire agli altri il significato del gesto. Si potrebbero organizzare anche dei corsi di formazione per i donatori.Sarebbero un’occasione per creare gruppo e favorire il senso di appartenenza. ”“Secondo me Avis esce poco sui media, alla radio, alla televisione e sui giornali. Al contrario vedo moltissime pubblicità dellaFratres, della Fidas ecc. Questo però accade solo a livello nazionale, perché poi le Avis comunali, al contrario, fanno la festa dellazucchina o della patata, che viene pubblicizzata moltissimo sui quotidiani o su altri mezzi.Facendo il confronto con altre associazioni, mi viene in mente l’Admo che è nata con un donatore Avis che aveva perso il figlio acausa di una malattia. La prima attività che lui ha svolto per farsi conoscere è stata presso il banchetto che noi di Avis avevamoall’Arena di Milano, lui si è messo lì vicino. Ora Admo lo vedo dappertutto perché fa pubblicità, raccolta fondi, promozione, iniziativeecc. Avis invece? Noi siamo rimasti legati a determinati modi di fare l’associazione che sono vecchi: nello statuto e nelle personeal vertice. ”

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7.1.1

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”“Noi siamo molto chiusi nel senso che manca all’interno di Avis una cultura dell’internazionalizzazione della donazione. A livellonazionale non c’è gente che sia in grado di rapportarsi al mondo esterno e che conosca le realtà degli altri paesi. Sarebbe bello inveceche esistesse una cooperazione internazionale, perché dal mio punto di vista se non esiste una cultura di cooperazione che va oltrei confini dell’Avis, allora non esiste neanche la cultura del volontariato in senso generale. Il volontariato esiste nel momento in cuisi percepisce, si ascolta e si risponde ad una richiesta di aiuto. Esiste un S.O.S. importante da parte dell’America Latina e dell’Africae io ho sempre detto ai dirigenti ‘basta che mettiate 3.000 euro all’anno nel vostro bilancio e possiamo aiutare molti paesi’. Ma nientenon ho riscontri, non ho reazioni.

”IDENTITÀ APARTITICA Tendere ad una polis autentica

“La vita all’interno dell’associazione e gli interessi politici sono due ambiti che devono stare assolutamente separati. Bisognadifendere l’associazione da chi vuole allungare la mano sul volontariato in generale e sull’Avis. Non mi piace per niente che ci sianopresidenti politicizzati. Il dirigente deve avere la mente sgombra dalla politica… anzi dai partiti. Il presidente attuale della nostraregione è candidato alle elezioni per diventare governatore e mi ha chiamato due o tre volte dicendomi ‘insomma lei presidentepotrebbe darci una mano…’ . Sai io cosa gli ho risposto? Gli ho detto ‘ti conosco da quando avevi i pantaloni corti, ti ho mandatoa quel paese tante volte, evita di costringermi a mandartici un’altra volta’.

“I soci non devono sfruttare l’associazione per propri fini partitici. Io nella mia esperienza personale non ho trovato conflittualitàquando ero dirigente avisino ed ero in contemporanea appartenente ad un partito e ad una amministrazione pubblica. Quello cheperò non dovevo assolutamente fare – e ho la coscienza tranquilla perché non l’ho effettivamente fatto - era fregiarmi dell’appartenenzaassociativa per arrivare a quei livelli in politica. Chi mi ha fatto entrare nell’amministrazione pubblica aveva capito che chi ha unbagaglio in termini di impegno sociale sul territorio ha qualche elemento in più per lavorare bene. Le due cose quindi non sonoper definizione in contraddizione, ma è molto importante saperle gestire bene e con coerenza.

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vista è un problema: vedo dirigenti che a causa di questa non consapevolezza, hanno difficoltà a far capire all’interlocutore esternola nostra importanza e la nostra forza.

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note

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Progetto graficoPaola Scuratti

StampaArti Grafiche Fiorin SpA

copertina

carta uso mano da gr. 250 g/m2 (carta FSC MIX)

pagine

carta uso mano da gr. 100 g/m2 (carta FSC MIX)

chiuso in stampa maggio 2013

Questa Carta Etica ha visto la luce grazie al costante impegnodel gruppo di lavoro AVIS per la Carta Etica:

Alberto ArgentoniPresidente Avis Regionale Veneto

Antonio RagazziConsigliere Nazionale Avis

Silvia ApollonioComponente Esecutivo Nazionale Giovani Avis ed infaticabile

sia nel raccordo con gli altri componenti del grupposia nella redazione del testo e revisione della grafica in sintonia con

Silvia IvaldiCollaboratrice del Centro di ricerca di Psicologia applicata Università Cattolica di Milano,

che ha apportato competenza e simpatia

e coordinati da:

Giuseppe ScarattiProfessore Ordinario di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni Università Cattolica di Milano

A loro e a tutti coloro che hanno collaborato vanno i nostri più sinceri ringraziamenti.

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AVIS Nazionale

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