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Versione rivista 23.V.2017 SCHEMA DI COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA SALVAGUARDIA DELL’INTEGRITÀ DEL DEPOSITO DELLA FEDE INTRODUZIONE 1. [Il grave dovere di salvaguardare il Deposito della Fede ]. Davanti a Dio e al Redentore del genere umano, il Sacro Sinodo Vaticano secondo è pienamente consapevole del fatto che se il deposito della Fede non viene conservato puro e inviolato, la Chiesa non può affatto compiere il suo mandato divino di insegnare, santificare e governare in modo da essere il sale della terra e la luce del mondo (v. Mt 5, 13-14). La difesa di questo sacro deposito non è affidata soltanto ai singoli pastori come un dovere del quale dovranno rendere conto al Signore (v. Ebr 13, 17), ma appartiene in sommo grado a tutti i vescovi riuniti in un solo gruppo apostolico dallo Spirito di Cristo e sotto il Romano Pontefice. La sacra gerarchia ecclesiastica con i suoi pastori e maestri è infatti stata istituita affinché “arriviamo tutti all’unità della fede” e possiamo non essere fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore (v. Ef 4, 11-14). Ricade opportunamente su questa gerarchia il dovere di cui l’Apostolo avverte Timoteo: “custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede” (1 Tm 6, 20-21). 2. [L'opinione del Sacro Sinodo]. Non è sfuggito al Sacro Sinodo che le menti degli uomini del nostro tempo sono turbate da varie dottrine perniciose, specialmente riguardo alle principali verità circa il motivo dell’esistenza umana, cioè all’origine, alla natura e al fine della vita dell’uomo sulla terra, e in merito alla via da seguire per arrivare a Dio e alla piena felicità interiore. Lo stesso Sacro Sinodo sa anche che molti altri semi di errori vengono sparsi con il risultato che i fedeli a volte vengono gravati da ansietà e che molti non Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Œcumenici Vaticani II, Volumen I, Periodus prima, Pars IV, Congregationes Generales XXXI – XXXVI, p. 653-694: 1.IV.2014

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SCHEMA DI COSTITUZIONE DOGMATICASULLA SALVAGUARDIA DELL’INTEGRITÀ DEL DEPOSITO DELLA

FEDE

INTRODUZIONE

1. [Il grave dovere di salvaguardare il Deposito della Fede]. Davanti a Dio e al Redentore del genere umano, il Sacro Sinodo Vaticano secondo è pienamente consapevole del fatto che se il deposito della Fede non viene conservato puro e inviolato, la Chiesa non può affatto compiere il suo mandato divino di insegnare, santificare e governare in modo da essere il sale della terra e la luce del mondo (v. Mt 5, 13-14). La difesa di questo sacro deposito non è affidata soltanto ai singoli pastori come un dovere del quale dovranno rendere conto al Signore (v. Ebr 13, 17), ma appartiene in sommo grado a tutti i vescovi riuniti in un solo gruppo apostolico dallo Spirito di Cristo e sotto il Romano Pontefice.La sacra gerarchia ecclesiastica con i suoi pastori e maestri è infatti stata istituita affinché “arriviamo tutti all’unità della fede” e possiamo non essere fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore (v. Ef 4, 11-14). Ricade opportunamente su questa gerarchia il dovere di cui l’Apostolo avverte Timoteo: “custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, professando la quale taluni hanno deviato dalla fede” (1 Tm 6, 20-21).2. [L'opinione del Sacro Sinodo]. Non è sfuggito al Sacro Sinodo che le menti degli uomini del nostro tempo sono turbate da varie dottrine perniciose, specialmente riguardo alle principali verità circa il motivo dell’esistenza umana, cioè all’origine, alla natura e al fine della vita dell’uomo sulla terra, e in merito alla via da seguire per arrivare a Dio e alla piena felicità interiore. Lo stesso Sacro Sinodo sa anche che molti altri semi di errori vengono sparsi con il risultato che i fedeli a volte vengono gravati da ansietà e che molti non mantengono più una sana dottrina ma rifiutano di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole (v. Tm 4,4). Per questo motivo i Padri conciliari, affinché possano adempiere religiosamente il compito loro affidato e possano mostrare agli uomini di questo tempo la via sicura per cercare e trovare Dio e il suo Figlio Unigenito, considerano loro dovere mettere in luce alcune verità del deposito che Dio ha confidato alla Santa Chiesa, particolarmente quelle che riguardano le fondamenta della religione stessa e, nei seguenti capitoli, presentare queste verità adeguatamente e difenderle da errori, per il bene dei fedeli e di tutti quelli che cercano Dio con cuore sincero.

CAPITOLO ILA CONOSCENZA DELLA VERITÀ

3. [Fondamento teologico]. Siccome la fede illumina la ragione e la protegge dall’errore 1, il Sacro Sinodo, basandosi sulla divina rivelazione in merito alla dignità dell’uomo creato a immagine di Dio (v. Gen 1, 26-27, Sap, 2, 23; Sir 17, 1); alla missione di Cristo che ci liberò per mezzo della verità (v. Gv 8, 32); allo Spirito Santo inviato dal Signore per insegnarci la verità tutta intera (v. Gv 16, 13); e alla Chiesa, colonna e sostegno della verità (v. 1 Tm 3, 15), insegna che l’uomo per sua natura gode della sublime capacità di raggiungere la verità,

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dato che negando questa capacità, la ragione umana stessa cade e periscono invero sia la rivelazione, sia la fede. Tuttavia, ammaestrata dallo Spirito di verità, la Chiesa non solo riconosce fermamente che l’uomo gode della capacità di capire le cose come sono in se stesse 2, ma crede anche che l’intelletto umano possa essere, ed effettivamente è, così elevato da Dio che, illuminato dalla fede, può conoscere verità che oltrepassano la comprensione di qualsiasi mente creata, fino a quando in cielo non fissi, faccia a faccia, la Prima Verità, Dio Uno e Trino, nella luce e lo splendore della visione beatifica 3.4. [La verità dei principi primi]. Fidandosi continuamente della parola divina, la Chiesa ha sempre mantenuto che la verità non è qualcosa di meramente soggettivo 4, ma che deve piuttosto venire considerata come una singolare perfezione della mente umana, che le permette di conformarsi alla totalità delle cose, come disse in merito Agostino: “La mente non rende le cose come sono per mezzo di ragionamenti; le trova così” 5. Con uguale fermezza ha ugualmente sempre riconosciuto all’intelletto umano la capacità di raggiungere verità necessarie e immutabili 6 e di pronunciarsi su di esse con affermazioni che non sono soggette a cambiamento 7. Ma poiché questi principi universali, che gli studiosi sono soliti chiamare i principi di identità, contraddizione, ragione sufficiente nonché di causalità efficiente e finale 8, che sono così evidenti da essere conosciuti quasi spontaneamente da tutti e costituiscono la base sulla quale si regge tutto l’edificio della conoscenza umana, e poiché su di essi è in qualche modo costruito lo stesso ordine della dottrina della fede 9, il Sacro Concilio insegna che nessuno può in alcun modo mettere in dubbio questi principi.5. [Rimedi contro l’oscuramento della verità]. Dal tempo in cui l’uomo, a causa della prima caduta, divenne schiavo dell’ignoranza e delle passioni, la luce della ragione naturale è offuscata 10 ed è perciò più difficile ora giungere a conoscenza della verità, specialmente in questioni che appartengono all’ambito della religione e della morale (v. Sap. 9, 13-19; Rom. 1, 18-32). Per questo motivo, nonostante il mirabile progresso odierno di tutte le scienze, è solo “a questa divina Rivelazione che si deve se tutto ciò che delle cose divine è di per sé assolutamente accessibile alla ragione umana, anche nella presente condizione del genere umano può facilmente essere conosciuto da tutti con certezza e senza alcun pericolo di errore” 11. Tuttavia, la Chiesa, giustamente e a ragione, ha sempre sostenuto l’utilità e l’efficacia che hanno le buone disposizioni di tutto l’animo per conoscere ed abbracciare le verità religiose e morali; anzi, ha sempre insegnato che la mancanza di tali disposizioni può essere la causa per cui l’intelletto, sotto l’influsso delle passioni e della cattiva volontà, non veda correttamente e si allontani dalla verità 12.

NOTE

1) V. Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione Dogmatica De fide cath., cap. 4: Denz. 1799.2) V. San Tommaso, In Ioh., cap. 18, n. 11. Anche Pio XII, allocuzione ai partecipanti del Primo Congresso Internazionale di Genetica Medica, 7 settembre 1953: AAS 45 (1953) 601: "Il pensiero di tutti i tempi, fondato sulla sana ragione, e il pensiero cristiano in particolare, sanno di dover mantenere il principio essenziale: la verità è l’accordo del giudizio con l’essere delle cose determinato in se stesso".

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3) Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione Dogmatica De fide cath., cap. 4: Denz. 1795-1796); Pio IX, lettera Gravissimas inter, 11 dicembre 1862, contro J. Frohschammer: Denz. 1673. 4) Sant’Uffizio, Decreto Lamentabili, prop. 58: Denz. 2058, che condanna l’opinione che “La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui”.5) Sant’Agostino, De vera religione, cap. 39, no. 73: PL 34, 155.6) Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2320: “raggiungere la verità certa e immutabile”. 7) V. Sant’Uffizio, Decreto Lamentabili, prop. 58: Denz. 2058.8) Pio XII, Enciclica Humani generis: “Questa stessa filosofia, confermata e comunemente ammessa dalla Chiesa, difende il genuino valore della cognizione umana, gli incrollabili principî della metafisica cioè di ragion sufficiente, di causalità e di finalità ed infine sostiene che si può raggiungere la verità certa ed immutabile”. V. Allocuzione ai medici, 7 settembre 1953: AAS 45 (1953) p. 601; messaggio all’Università Gregoriana, 17 ottobre 1953 (AAS 45 (l953) 685); San Tommaso, Summa contra Gentes, II, cap. 83: “Il nostro intelletto conosce l’essere e le cose che in sé stesse appartengono all’essere come tali; su questa conoscenza si basa la conoscenza dei primi principi come ad es. ’non si può affermare e negare allo stesso tempo’ e altri simili. Il nostro intelletto conosce soltanto questi principi naturalmente, ma le conclusioni le conosce tramite essi”.9) V. Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2321-2322. Concilio Vaticano, Costituzione Dogmatica De fide cath., cap. 4: Denz. 1799): “La fede e la ragione non solo non possono essere mai in contrasto fra loro, ma anzi si aiutano vicendevolmente poiché la retta ragione dimostra i fondamenti della fede …”;10) Concilio di Trento, Sessione V, De peccato orig.: “Adamo, per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo”: Denz. 788. V. San Tommaso, Summa theol., I, q. 95, a. 1.11) Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione Dogmatica De fide cath., cap. 2: Denz. 1786. V. San Tommaso, Summa theol. I, q. 1, a. 1.12) V. Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2324.

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CAPITOLO IIDIO

6. [La conoscenza di Dio, fine ultimo dell’uomo]. Basandosi sulle testimonianze della divina rivelazione, la Chiesa ha sempre sostenuto che è nella conoscenza naturale di Dio Creatore che vada posto il fondamento di ogni vita religiosa, trovandosi in tale conoscenza come un’introduzione a quella conoscenza di Dio stesso che si ottiene attraverso la fede. La Chiesa insegna pure che Dio – che è amore (1 Gv 4, 8) e la luce della verità (v. 1 Gv 1, 5), e perciò la fonte di ogni bene, dal quale siamo stati creati e dal quale ci aspettiamo la felicità eterna – allo scopo di rendere accessibile tale importante verità, si è manifestato agli uomini sia per mezzo di opere soprannaturali della sua Provvidenza, sia per mezzo di opere comuni del creato che egli ha così saggiamente disposto da rendere testimonianza aperta di lui. Perché non è lontano da nessuno di noi (v. At 17, 27) e non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendo dal cielo piogge per stagioni ricche di frutti e dando cibo in abbondanza per la letizia dei nostri cuori (At 14, 17).7. [Si conferma la possibilità di conoscere Dio]. Inoltre, la stessa Madre Chiesa crede e insegna che anche al solo lume della ragione naturale è possibile conoscere, e perciò anche dimostrare, l’esistenza del Dio invisibile attraverso le opere visibili del creato, così come si conosce la causa dai suoi effetti 1. Perché “le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute” (Rom 1, 20).8. [Un argomento tratto dalle perfezioni del mondo]. I santi Padri e i Dottori della Chiesa 2

hanno invero dimostrato con argomenti vari e fortissimi che Dio è “causa dell’origine dell’universo, la luce per conoscere con certezza la verità e la sorgente in cui dissetarsi con la felicità” 3 Veramente l’incomparabile magnificenza e bellezza che si osservano nel mondo e il meraviglioso ordine con il quale tutte le cose, fermamente e costantemente, perseguono il loro fine, proclamano certamente un sapientissimo e potentissimo Autore e Governatore, cioè un Dio personale 4; così bisogna considerare stolti coloro che guardano le opere ma non riconoscono chi è il loro artefice, e che si allietano della loro bellezza ma non considerano quanto più bello deve essere il loro sovrano (v. Sap 13, 1-5) 5.9. [Un argomento tratto dalle imperfezioni delle creature]. Anche le imperfezioni presenti in tutte le cose di questo mondo, ad esempio la mutevolezza, l’incostanza, la dipendenza causale, la contingenza, la limitatezza e altre di questo genere, mostrano chiaramente che tali realtà non sono state generate da se stesse o da altri principi intramondani che faticano sotto le stesse imperfezioni, ma che traggono origine da un Creatore che trascende il mondo e che possiede ogni perfezione. Benché la Chiesa consideri che questi argomenti siano superiori, non trascura o disprezza altri argomenti, ad esempio quelli che prendono spunto dal desiderio innato di felicità dell’uomo o dal vincolo assoluto della legge morale; anche questi hanno la loro efficacia e sono molto adatti almeno per alcuni.10. [Si condannano errori]. Essendo perciò l’esistenza dell’unico vero Dio così splendidamente manifesta, la cecità di coloro che miseramente rigettano Dio è tanto più deplorevole 6. Per questa ragione, il Sacro Sinodo condanna innanzitutto l’errore di coloro che, considerando come unico principio universale la materia, affatto negano Dio 7 e che empiamente lottano, anche con la forza, per sradicare il nome di Dio dalle menti degli

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uomini. Rigetta anche l’errore di coloro che, abusando di una falsa cosiddetta filosofia o scienza, sostituiscono il Dio personale con finzioni impersonali o meramente ideali e perciò vane; o che, rigettando una dimostrazione basata sulla verità oggettiva, dichiarano che l’esistenza di Dio si basi solamente su una soggettiva e meramente volontaria adesione della mente a Dio 8.11. [Elogio della dottrina su Dio]. Infine, il Sacro Sinodo incoraggia fortemente i fedeli ad anteporre ad ogni altro bene la retta dottrina su Dio che hanno ricevuto, a custodirla accuratamente, a difenderla dagli attacchi, a prenderla come regola di condotta per la loro intera vita e a non dedicare le loro energie ad offuscare le ragioni che elevano la mente umana a Dio, impegnandosi invece per spiegarle 9. In conclusione, tutti dovrebbero sempre ricordare che sono stati battezzati nel nome del Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, affinché potessero credere e servire Dio, che nel suo grande amore si è rivelato a noi nel Signore Gesù (cf Gv 1, 1-3; Ef 2, 4).

NOTE

1) Pio IX, Lettera Gravissimas inter (contro J. Frohschammer), 11 dicembre 1862: Denz. 1670; Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione Dogmatica De fide cath., cap. 2: Denz. 1785 paragonato con canone 1: Denz. 1806; Giuramento antimodernista, 1 settembre 1910: Denz. 2145; Pio XII, lettera enciclica Humani generis, 12 agosto 1950: Denz. 2317.2) San Gregorio Nazianzeno, Orat. 28, 6 e 16: PG 36, 31 e 45; San Giovanni Crisostomo, Comm. su Romani, 3, 2: PG 60, 412-413; Sant’Agostino, Confess., XI, 4, 6: PL 32, 811; Sermo. 141: PL 38, 776-778; De libero arbitrio, II, 7, 15 a 15, 39: PL 32, 1249-62;San Tommaso, Summa theol., I, q. 92, a. 3; In Ev. Ioh., Prol. in prol. S. Hieronymi;V. Pio XI, Enciclica Studiorum ducem, 29 giugno 1923: AAS 15 (1923) 317; Pio XII, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 22 novembre 1951: AAS 44 (1952) pp. 31 f.3) Sant’Agostino, De civitate Dei, VIII, 10, 2: PL 41, 235.4) Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2317; v. ibid.: Denz. 2325; 5) v. Pio XI, Enciclica Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937) 149.6) Pio XI, Enciclica Mit brennender Sorge: AAS 29 (1937) 148-150; Decreto del Sant’Uffizio sui partiti comunisti, 1 luglio l949: AAS 41 (1949) 334.7) Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione Dogmatica De fide dogm., cap. 1: Denz. 1782-84 e i canoni corrispondenti: Denz. 1801-1805. V. Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2306 e 2323.8) San Pio X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907: Denz. 2072-74; Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2325.9) Pio XII, Enciclica Mediator Dei, 20 novembre 1947: AAS 39 (1947) 525-526.

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CAPITOLO IIILA CREAZIONE E L’EVOLUZIONE DEL MONDO 1

12. [La creazione del mondo all’inizio del tempo]. Il racconto ispirato da Dio della creazione del mondo è di suprema importanza, sia per pervenire a una concezione corretta di Dio, sia per professare la vera religione, poiché il supremo dominio di Dio sugli uomini si basa su tale creazione. Il Sacro Sinodo Vaticano secondo, sostenuto dalla testimonianza della Parola di Dio, scritta e tramandata, conferma perciò nuovamente la dottrina molte volte ribadita dal Magistero della Chiesa e dichiara che Dio creò il mondo intero dal nulla in modo che esso iniziò il corso della sua esistenza a un dato momento. Infatti, il “solo vero Dio, per la Sua bontà e per la Sua onnipotenza, non già per accrescere od acquistare la Sua beatitudine, ma per manifestare la Sua perfezione attraverso i beni che dona alle Sue creature, con liberissima decisione fin dal principio del tempo produsse dal nulla l’una e l’altra creatura contemporaneamente, la spirituale e la corporale, cioè l’angelica e la terrena, e quindi l’umana, costituita in comune di spirito e di corpo” 2.13. [Si condanna sia l’evoluzionismo materialista che quello panteista]. A questa dottrina si oppone in sommo grado l’evoluzionismo materialista che sostiene che il mondo, cambiando e sviluppandosi incessantemente, non abbia preso origine da Dio e non sia governato da lui, e che nel suo progresso non accada altro se non che la materia increata continuamente cambi, e che da essa scaturiscano nuove e più perfette strutture che perciò erano già in qualche modo contenute nella materia increata. Il dogma della creazione è però anche apertamente distorto da quell’evoluzionismo panteista i cui sostenitori, pur ammettendo che il mondo viene da un unico principio immateriale, che chiamano divino, erroneamente concepiscono le cose come se il mondo non fosse altro che la totalità dei cambiamenti, originati dalla graduale auto-evoluzione del suddetto principio, e ciò specialmente nella vita dello spirito umano. Di queste due opinioni, la prima distrugge completamente il concetto di Dio e della religione, mentre l’altra confonde chiaramente questioni religiose distinte, attribuendo a Dio ciò che è del mondo e umano, e all’uomo e al mondo ciò che è divino.14. [False opinioni moderne sulla creazione e l’evoluzione del mondo che i fideli devono evitare]. I figli della Chiesa stiano anche attenti a non lasciarsi ingannare da opinioni errate falsando così alcuna verità rivelata. Non corrompano il concetto di creazione, immaginando che consista nel fatto che Dio gradualmente unisce una qualche primordiale molteplicità di realtà esistenti già prima di una qualsiasi azione divina. Non indeboliscano la dottrina cattolica in merito alla sussistenza del mondo in se stesso e alla totale semplicità e perfezione di Dio, osando pensare che Dio diriga l’evoluzione del mondo in tal modo da raccogliere gradualmente ogni cosa in sé, come unendole in qualche modo a se stesso, e che egli in certo senso diventi partecipe della composizione del mondo. Né la ricerca scientifica, né la buona filosofia, possono dare argomenti adatti a sostenere tali false opinioni.15. [La dottrina della fede e il vero studio scientifico dell’evoluzione]. Le cose che la scienza, se degna di tale nome, studia prudentemente in merito all’evoluzione del mondo e che è capace di presentare, non come congetture, ma come veramente certe – che si tratti della formazione dell’universo o della storia della terra e dei molteplici sviluppi della vita su di essa, o anche dell’origine e della crescita del genere umano – non portano danno alla dottrina della fede; al contrario, portano un aiuto opportuno per illustrarla. Perché “non vi può essere

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nessun vero dissenso fra la fede e la ragione, poiché il Dio che rivela i misteri della fede e la infonde in noi è lo stesso che ha infuso il lume della ragione nell’animo umano” 3. L’apparente contraddizione che a volte può esserci tra gli studiosi delle scienze sacre e profane sorge soprattutto “o perché i dogmi della fede non sono stati compresi ed esposti secondo la mente della Chiesa, o perché false opinioni sono state considerate verità dettate dalla ragione” 4. Le conclusioni di ricerche scientifiche di questo tipo non hanno però la stessa dignità o certezza delle sentenze della fede, alle quali ci atteniamo, aiutati dalla luce della grazia, con il più fermo assenso, basandoci su Dio stesso che è la verità suprema. Perciò, alcune questioni in merito all’evoluzione del mondo, che direttamente o indirettamente toccano la fede cattolica, vanno trattate con somma cautela, in modo che non vengano contraddette o messe in pericolo autentiche affermazioni della fede. I singoli fedeli siano disposti a sottomettersi al giudizio della Chiesa, che per istituzione divina ha la missione di custodire e interpretare il deposito della Rivelazione 5. 16. [La creazione dell’uomo e l’evoluzione della vita]. Quanto poi riguarda la ricerca scientifica sull’inizio della vita, e specialmente la questione se il genere umano possa provenire da qualche organismo vivente più antico, va soprattutto mantenuta la dottrina cattolica sulla composizione dell’uomo di spirito e corpo, che differiscono essenzialmente l’uno dall’altro; e ciò vale anche per la dottrina che Dio crea l’anima di ogni uomo immediatamente dal nulla, in modo che non si può in alcun modo ammettere che l’anima umana sia sorta da qualche altro principio vitale già in qualche modo preesistente. Inoltre, la prima origine del corpo umano va trattata con la più grande moderazione e cautela, perché tale argomento non concerne solo le scienze naturali, ma in parte anche la filosofia; anzi, tocca molte verità contenute nelle fonti della divina rivelazione, ad esempio le affermazioni della fede su uno speciale intervento di Dio nel formare i corpi dei progenitori e quelle sul mirabile stato di giustizia originale in cui furono originariamente costituiti 6.

NOTE

1) I primi tre paragrafi di questa Costituzione trattano prima la creazione del mondo in generale secondo la fede cattolica e poi le dottrine filosofiche che si oppongono a tale fede in questa materia. Gli ultimi due paragrafi trattano la dottrina della fede rispetto alla creazione, specialmente rispetto alla creazione dell’uomo e alla ricerca scientifica.2 Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione dogmatica De fide cath., cap. 1: Denz. 1783; v. Concilio Lateranense IV, cap. 1: Denz. 428.3) Concilio Vaticano, Costituzione dogmatica De fide cath., cap. 4: Denz. 1797.4) Ibid.5) V. Pio XII, Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950: Denz. 2326.6) V. Pio XII, Enciclica ibid.: Denz. 2327.

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CAPITOLO IVRIVELAZIONE PUBBLICA E FEDE CATTOLICA

17. [Il concetto cattolico di rivelazione] 1. La rivelazione esteriore e pubblica con la quale l’oggetto della fede cattolica fu comunicato da Dio alla Chiesa è quell’espressione con la quale il buon Dio, prima per mezzo dei profeti e ultimamente del Figlio, testimoniò i misteri della salvezza e le verità ad essi connesse, prescrivendo a tutti “l’ubbidienza della fede” (Rom 16, 26) 2. Dio, che ci insegna anche interiormente, aggiunge invece con il dono della rivelazione esteriore quell’illuminazione e quella ispirazione della grazia che rendono gioioso consentire e credere alla verità 3, in modo che i singoli possano ricevere “la parola di salvezza” (At, 13, 26) come conviene.18. [La rivelazione e la storia della salvezza] Tra gli oggetti della divina rivelazione, spicca per cospicuità ed importanza la lunga serie di eventi salvifici che culminano nella vita, morte e risurrezione di Cristo, e in essa sono annunciati a noi i più elevati misteri. Per questa ragione, anche se bisogna ammettere che la rivelazione ci fu data nella storia dell’umana salvezza, sia preannunciata che narrata 4, non bisogna affatto pensare che la rivelazione sia costituita da questi soli eventi in modo da essere soltanto accessoriamente completata dalle parole di Cristo, Figlio di Dio, e dagli altri messaggeri di Dio. Questi eventi appartengono infatti all’ordine della salvezza rivelato soltanto a causa dei misteri che sono in essi nascosti o ad essi collegati, verità dichiarateci dalle parole di Cristo o dai messaggeri di Dio che devono tenersi da noi in fede 5.19. [La rivelazione e la dottrina] La rivelazione contiene anche, oltre ai misteri esposti nei singoli fatti della storia della salvezza, verità universali sia di ordine naturale che di ordine soprannaturale; e riguarda innanzitutto Dio stesso, che gli eletti contempleranno nella patria celeste nell’ineffabile mistero delle tre divine Persone. Per questo motivo i Padri del primo Concilio Vaticano giustamente chiamarono la somma delle verità rivelate con il nome “dottrina della fede” 6; in ciò seguirono nostro Signore, che dichiara “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Gv, 7, 16) e l’Apostolo, che scrive a Tito della vita santa che i cristiani devono vivere affinché con degni costumi possano “fare onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore” (Tit 2, 10). 7

20. [La rivelazione e la manifestazione di Cristo] Si dice giustamente che la pienezza della rivelazione divina è apparsa in Cristo 8, il Figlio di Dio, non solo perche egli, l’autore e il compitore della fede (v. Ebr 12, 2), insegnò agli uomini le principali verità della fede, ma anche perché con la sua intera vita ci mostrò la via della salvezza. Resta tuttavia vero che è nella stessa dottrina di Cristo, Verbo di Dio incarnato, che si trova la causa del fatto che tutta la sua vita abbia il carattere di divina testimonianza e che l’intero mistero di Cristo vada creduto per l’autorità di Dio, che non può né ingannarsi né ingannare. Non si può perciò tenere che la fede divina e cattolica sia principalmente costituita dall’esperienza, nella quale l’intero mistero di Cristo e tutte le cose rivelate in esso sarebbero percepiti come veri, e soltanto in subordine consista nell’atto con il quale quelle cose vengono espresse in concetti e parole, che prima sarebbero state raggiunte per mezzo di un’esperienza di più grande valore. Piuttosto, la fede cattolica include sia il riconoscimento dell’autorità magisteriale di Dio, sia l’assenso, a causa di questa autorità, alle verità rivelate come vengono presentate dalla Chiesa per venire credute 9. Questa fede, perfezionata dalla carità e dai doni dello Spirito Santo, può

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tuttavia aumentare con l'intelligenza di Cristo (v. 1 Cor 2, 16) in una comprensione più profonda delle verità rivelate e invero anche con un oscuro godimento del mistero del Figlio di Dio, che con il Padre e lo Spirito Santo dimora nell’anima dei giusti 10.21. [Errori affatto contrari al concetto cattolico di rivelazione] Il concetto cattolico di rivelazione è completamente abbandonato da coloro che erroneamente sostengono che Dio non possa, tramite messaggeri da lui istruiti o ispirati, comunicare coll’uomo per mezzo di esplicite parole oppure di Sacre Scritture. Lo stesso va detto di altri, che sono dell’opinione che la rivelazione divina abbia dato origine non solo alla religione dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma anche, sebbene con più imperfezioni, a tutte le religioni, e che la rivelazione consista nel fatto che uomini religiosi, in modo da poter fissare lo sguardo sull’assoluto verso il quale la mente umana tende, scelgono cose sacre per se stessi e formano concetti per se stessi i quali, anche se non corrispondenti alla realtà, ciò nondimeno aiutano la mente in qualche modo a cercare Dio 11.22. [Una forma recente di relativismo] C’è anche una pericolosa deviazione dalla verità in quelli che pensano che le affermazioni e i concetti con i quali vengono comunicate le verità rivelate, anche se in modo incompleto e imperfetto, siano incapaci di esprimere in modo del tutto veritiero le realtà divine. Essi pensano che le affermazioni e i concetti vadano considerati come approssimazioni, sempre mutevoli e sempre bisognosi di tutte quelle correzioni che potrebbero venire richieste da un qualche significato superiore del mistero creduto, o da qualche cambiamento nel modo di pensare degli uomini. Al contrario, Dio che rivela e la Chiesa, che con l’aiuto di Dio svolge il compito di custodire e di interpretare tutta la verità rivelata, indicano spesso chiaramente che non intendono parlare soltanto in modo simbolico ma spesso anche in modo proprio e vero ed esigono perciò un pieno ed immutabile assenso alla dottrina della fede, come compresa nel senso indicato dalle loro parole e affermazioni 12. 23. [I segni esteriori della rivelazione] La fede salvifica con la quale crediamo a Dio procede da una luce divina immessa nella mente, come dice Giovanni: “il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio, nel Figlio suo” (1 Gv 5, 20). Essendo tuttavia tale grazia di fede nascosta nella mente, Dio sapientissimo, desiderando che la sottomissione della nostra fede, che viene dall’ascolto, fosse in accordo con la ragione (v. Rom 10, 17 e 12, 1) unì agli aiuti interiori dello Spirito Santo molti segni della rivelazione, specialmente esteriori, convenienti al carattere pubblico della rivelazione e alla natura sociale degli uomini che sono chiamati alla fede. Questi segni rendono possibile alla retta ragione di dimostrare con argomenti sicuri l’origine divina della rivelazione 13.24. [Una certa priorità ai miracoli e alle profezie]. A causa dell’importanza e della chiarezza dell’argomento che offrono, i più eminenti di questi segni sono i miracoli e le profezie 14, come insegnò con somma saggezza il Concilio Vaticano I 15. È soltanto a causa di false opinioni preconcette che questi segni sono o negati del tutto o molto indeboliti; di questi segni, però, nostro Signore dichiarò: “le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” (Gv 5, 36) e anche: “Voi scrutate le Scritture … sono proprio esse che dànno testimonianza di me” (Gv 5, 39).25. [La risurrezione di Cristo, le profezie messianiche, lo stesso Cristo] Ora, la Chiesa ha sempre ritenuto, e ancora ritiene, che il segno più grande sia la risurrezione corporale di

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Cristo che, chiaramente predetta da lui, a causa della scoperta del sepolcro vuoto e delle apparizioni del Risorto stesso, è diventata un luminoso segno storico. Tra gli argomenti tratti dalle profezie, la Chiesa ha anche considerato che è specialmente mirabile il compimento in Gesù Cristo della profetica attesa del Messia e del suo regno. Il Signore stesso usò per primo questo argomento (v. Lc 24, 13-32) e anche San Pietro ne scrisse: “E abbiamo anche, solidissima, la parola dei profeti, alla quale fate bene a volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno”. (2 Pt 1, 19). Né è da trascurare che un segno divino preclaro, che per la sua chiarezza riesce ad attrarre specialmente gli umili di cuore, è il Maestro Gesù stesso, la cui sublime saggezza e suprema santità così saldamente confermano la testimonianza che egli portò di se stesso che, distinguendo tra sé e i suoi miracoli, poteva dire: “anche se non credete a me, credete alle mie opere”(Gv 10, 38) 16.26. [La preminenza della Chiesa come segno] Con la sua continuata presenza sulla terra e l’abbondanza di doni con i quali Cristo incessantemente la adorna, la Chiesa stessa spicca tra i segni della rivelazione. “per la sua ammirevole propagazione nel mondo, per la sua esimia santità e per l’inesausta fecondità di tutti i suoi beni, per la sua unità, per l’invitta solidità è un grande e perenne motivo di credibilità” 17 e, per così dire, un vessillo alzato per le nazioni (v. Isaia 11, 12) 18.27. [Testimonianze e segni interiori] Così avviene che a chi, mosso dalla grazia di Dio, cerca la fede o a chi ha già ricevuto la luce della fede da Dio, si schiude una larga via composta da segni e prove esteriori per acquisire e aumentare una conveniente conoscenza della divina rivelazione, i quali la dimostrano invincibilmente. A questi segni ed argomenti si aggiungono molte forme di testimonianze interne e di chiamate interiori alla fede. Per mezzo di queste, Dio può sollecitare la mente in modo che confermino e corroborino quanto a volte resta oscuro nella conoscenza dei segni esteriori; infatti, a volte, per la misericordia di Dio, possono anche sostituire gli stessi segni esteriori 19. Non bisogna certo trascurare tali testimonianze e segni interiori per mezzo dei quali Dio, come dice San Paolo, rifulge nei cuori (v. 2 Cor. 4, 6); ma bisogna anche stare attenti a non esaltarli troppo, disprezzando i segni esteriori più manifesti. Il Concilio Vaticano I, parlando dei segni della rivelazione cristiana, proibì solennemente a chiunque di pensare che “gli uomini devono procedere verso la fede solo attraverso l’interiore esperienza o l’ispirazione privata di ciascuno” 20.28. [Credere Dio, a Dio e in Dio] Anche se l’origine divina della fede viene dimostrata, preparata e protetta da argomenti salvifici, non si acquisisce con essi; la fede salvifica si riceve piuttosto con umile assenso come dono della grazia di Dio. Non abbracciamo la rivelazione divina con fede fino a quando la rivelazione non sia stata presentata come qualcosa che dobbiamo credere, con una decisione che trae origine dalla luce divina. Invero, lo stesso atto di fede è l’ossequio pieno dell’intelletto e della volontà con la quale una persona, mossa ed attratta dalla grazia di Dio (v. Gv 6, 44), si relaziona a Dio in tre modi: si basa su Dio come maestro infallibile [credit Deo]; afferma Dio nell’intera dottrina rivelata [credit Deum]; ed è liberamente mosso da un santo desiderio di Dio nostra salvezza [credit in Deum] 21.

NOTE

1) Che la rivelazione sia la parola di Dio alla quale la fede corrisponde, è chiaro prima di tutto dalle Sacre Scritture; v. Gv 3,11; 8, 25-28; 12, 50; 14, 10; 17, 13; Rom. 10, 17 sulla fede

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dall’ascolto; ed Ebr 1, 1, anche citata dal Concilio Vaticano I. Si aggiunga il fatto che il deposito della fede, che contiene tutta la rivelazione da credere, è chiamato “la Parola di Dio scritta e tramandata”. In quanto al Magistero non sarà affatto inutile addurre quei testi che direttamente o indirettamente aiutano a confermare il concetto di rivelazione come la parola di un Dio che rende testimonianza [locutio Dei attestantis] come affermato nella Costituzione. Questa affermazione pare opportuna a proteggere il concetto tradizionale di rivelazione, che è anche fondato nelle Scritture, possa essere protetto contro opinioni inesatte alle quali, seguendo autori protestanti, alcuni teologi cattolici sono inclini. Seguono ora i testi del Magistero:1 Simbolo di Epifanio: Denz. 13: “E crediamo nello Spirito Santo, che parlò nella Legge e predicò per mezzo dei profeti e che discese sul Giordano, parlò agli Apostoli e dimora nei santi”. 2 Simbolo Niceno Costantinopolitano: Denz. 86: “Credo nello Spirito Santo … che ha parlato per mezzo dei profeti”. 3 Secondo Concilio di Costantinopoli: Denz. 212: “Professiamo che teniamo e predichiamo la fede che dall’inizio fu data ai santi Apostoli dal nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo e che fu proclamata da loro al mondo intero, che i santi Padri confessarono e spiegarono …”.4 Concilio Lateranense IV: Denz. 428-429: “Questa santa Trinità … ha rivelato al genere umano, per mezzo di Mosè, dei santi profeti e degli altri suoi servi la dottrina di salvezza, secondo una sapientissima disposizione dei tempi. E finalmente il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo … manifestò più chiaramente la via della vita”. 5 Concilio di Firenze: Denz. 706: “La Sacrosanta Chiesa Romana confessa un solo e identico Dio come autore dell’Antico e del Nuovo Testamento, cioè della legge e dei profeti, nonché del Vangelo, perché i santi dell’uno e dell’altro Testamento hanno parlato sotto l’ispirazione del medesimo Spirito Santo”. 6 Concilio di Trento, Sessione IV, decreto del canone delle Scritture: Denz. 783: “… si conservi nella Chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle Scritture sante, il Signore nostro Gesú Cristo, figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi”. 7 Concilio di Trento, Sessione VI, decreto sulla giustificazione, cap. 6: Denz. 798: “Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando … ricevendo la fede mediante l’ascolto, si volgono liberamente verso Dio”. 8 Pio IX, Enciclica Qui pluribus, 9 novembre 1846,: Denz. 1636: “poiché non è la nostra santissima Religione un risultato della ragione umana, ma fu da Dio clementissimamente manifestata agli uomini, ognuno intende facilmente che dall’autorità di Dio medesimo che parla essa acquista ogni sua forza”. 9 Pio IX, Ibid.: Denz. 1637. 10 Concilio Vaticano, Sessione III, De fide cath., cap. 2: Denz. 1785: “La medesima Santa Madre Chiesa professa ed insegna che … piacque alla Sua bontà e alla Sua sapienza rivelare al genere umano se stesso e i decreti della sua volontà … secondo il detto dell’Apostolo: ’Dio, che molte volte e in vari modi parlò un tempo ai padri attraverso i Profeti, recentemente, in codesti giorni, ha parlato a noi attraverso il Figlio (Ebr. 1, 1-2)’”. 11 Concilio Vaticano, Ibid.,: Denz. 1787: “Questa Rivelazione soprannaturale … è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte ricevute dagli Apostoli dalla stessa bocca di Cristo o dagli Apostoli, ispirati dallo Spirito Santo, tramandate di generazione in generazione fino a noi”. 12 Concilio Vaticano, ibid., cap. 3: Denz. 1792: “Si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per

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tradizione”; Denz. 1793: “Dio, mediante il Suo Figlio unigenito, istituì la Chiesa … perché potesse essere conosciuta da tutti come custode e maestra della parola rivelata”. 13 Concilio Vaticano, ibid., cap. 4: Denz. 1800: “La dottrina della fede che Dio rivelò … è stata consegnata alla Sposa di Cristo come divino deposito”. V. Sessione IV, Costituzione Dogmatica de Ecclesia Christi, cap. 4: Denz. 1836: “la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede”, 14 Concilio Vaticano, ibid., cap. 3: Denz. 1791 “… nessuno riesce ad aderire alla verità del Vangelo nel modo necessario per il conseguimento dell’eterna salvezza, senza l’illustrazione e l’ispirazione dello Spirito Santo, il quale dà a tutti soavità nel consentire e credere alla verità”; paragonato con il Concilio di Orange II (a. 529): Denz. 178 s. 15 Leone XIII, Lettera apostolica Testem benevolentiæ, 22 gennaio 1899: Denz. 1967: “E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il deposito della fede”. 16 Giuramento Antimodernista: Denz. 2145: “accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi … sono assolutamente convinto … che la fede [è] un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e Signore nostro, ha detto, attestato e rivelato”.17 Sant’Uffizio, decreto Lamentabili, 3 luglio 1907: Denz. 2059, che condanna l’affermazione seguente al punto 59: “Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze”. 18 Codice di Diritto Canonico, can. 1322, 1: “Cristo Signore ha affidato il deposito della fede alla Chiesa in modo che, con la constante assistenza dello Spirito Santo, potesse religiosamente difendere e fedelmente presentare la dottrina rivelata”. 19 Pio XI, Enciclica Mortalium animos, 6 gennaio 1928: AAS 20 (1928) p. 8: “Dal che consegue non potersi dare vera religione fuori di quella che si fonda sulla parola rivelata da Dio”. Ibid., pp. 11-12: “Ma questo doppio comando di Cristo, da osservarsi necessariamente, d’insegnare cioè e di credere per avere l’eterna salvezza, neppure si potrebbe comprendere se la Chiesa non proponesse intera e chiara la dottrina evangelica e non fosse immune da ogni pericolo di errore nell’insegnarla”. Ibid., p. 14: “dottrine … contenute nel deposito della Rivelazione”. 20 Pio XI, Enciclica Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), 156: “Rivelazione, in senso cristiano, significa la parola di Dio agli uomini [Offenbarung in christlichen Sinn ist das Wort Gottes an die Menschen]. ”

2) V. Concilio Vaticano, Sessione III, Canoni De fide cath.: Denz. 1810: “Se qualcuno dirà che la ragione umana è così indipendente che Dio non le può comandare la fede: sia anatema”.3) Concilio di Orange II, can. 7: Denz. 180; Concilio Vaticano, Costituzione dogmatica De fide catholica, cap. 3: Denz. 1791.

4) Sant’Agostino, De vera religione, XXV, 46 (PL 34, 142): “Che opera poi svolga a favore del genere umano, volle che ci fosse trasmesso mediante la storia e la profezia”.

5) Da un lato, la Costituzione intende riconoscere ciò che è vero in ciò che molti affermano del carattere storico dell’oggetto della rivelazione; dall’altro, intende respingere quanto è falso in ciò che se ne dice. Alcuni, imbevuti di anti-intellettualismo, desiderano sostenere che la rivelazione è costituita da eventi salvifici, ai quali i discorsi degli inviati di Dio sono soltanto aggiunti in modo accessorio; ciò significa che la fede cristiana può essere

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assistita da tali discorsi, ma non che debba essere retta da essi. George Tyrrell scrisse in Through Scylla and Charybdis, London, p. 287: “La rivelazione non è un’affermazione, ma una presentazione. Dio parla con i fatti, non con le parole”. Molti protestanti affermano cose simili; alcui cattolici sottolineano pericolosamente solo l’aspetto storico, gli eventi, nella divina rivelazione.

6) Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione dogmatica De fide cath., cap. 4: Denz. 1800.

7) Già i modernisti opponevano la rivelazione come esperienza e impressione di eventi (che ammettevano) alla rivelazione come dottrina divinamente presentata da credere (che rifiutavano). Così ancora Tyrrell (op. cit., p. 280): “La rivelazione appartiene alla categoria delle impressioni piuttosto che a quella dell’espressione”; e ancora (p. 213): “La fede è ora l’assenso dell’intelletto a questa teologia rivelata come se provenisse direttamente dal divino intelletto; non è più l’adesione di tutto l’uomo, cuore, mente e anima, allo spirito divino interiore – principalmente uno spirito di vita e amore e soltanto con ciò una guida o faro che porta la mente gradualmente a una comprensione istintiva più piena della verità religiosa implicita nelle ispirazioni della grazia”.Non mancano cattolici che non si proteggono sufficientemente da tali opinioni, dicendo che Dio non ha rivelato la dottrina e che l’oggetto della fede è storia e non dottrina.

8) Pio XI, Mit brennender Sorge, loc. cit., p. 150: “In Gesù Cristo, incarnato Figlio di Dio, è apparsa la pienezza della rivelazione divina”.

9) Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione dogmatica De fide cath., cap. 3: Denz. 1789 e 1792.

10) Le tendenze corrette nel paragrafo 20 sono un’applicazione alla venuta di Cristo delle tendenze discusse nella Costituzione nei precedenti due paragrafi. Le opinioni qui corrette accentuano indebitamente l’aspetto mistico della fede e minimizzano indebitamente il suo aspetto dottrinale. Molte tali opinioni si trovano anche in autori protestanti e alcuni cattolici sono alquanto influenzati da tali opinioni.

11) Questo punto di vista, che non differisce molto da altri già condannati nel decreto del Sant’Uffizio, Lamentabili e nell’Enciclica Pascendi: (v. Denz. 2020 e 2075), è preso da Henri Duméry, che tra l’altro dice: “Il soggetto, profondamente penetrato interiormente dalla presenza dell’Assoluto, la può solo riconoscere riflettendola; la proietta su oggetti esteriori (il sacro) o su oggetti interiori (la santificazione delle sue intenzioni, dei suoi atti psicologici, della sua condotta)” [Philosophie de la religion, vol. II, p. 189, n. 4]. “Ogni religione rivela ed è rivelata: il processo di rivelazione si confonde con la serie di misure che la coscienza deve prendere per raggiungere l’Assoluto tramite e nelle rappresentazioni che riesce a farne” (op. cit., p. 254, n. 4). “Il cristianesimo segue una regola generale: stabilisce una visione di Dio sulla base di una selezione di fatti o di oggetti ’rivelatori di Dio,’ secondo un procedimento che si trova in tutte le ierofanie conosciute nella storia. La sua superiorità rifulge tuttavia nell’eccellenza della sua scelta: non insinua il sacro nelle cose, né lo colloca in creature prive di ragione; colloca il sacro in uomini – gli autori biblici – e specialmente in un uomo in cui la ’rivelazione’ culmina perché professa la carità universale e perché non si può immaginare cosa si possa aggiungere al comandamento dell’amore” (Encyclopédie française, vol. XIX, articolo Foi, dogmes et sacrements, 19, 38, 10).

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12) Questa è la forma di relativismo dogmatico e teologico rigettata da Pio XII nell’enciclica Humani generis, 12 agosto 1950: AAS 42 (1950) 565-567.

13) V. Concilio Vaticano, Sessione III, De fide cath., cap. 4: Denz. 1795, e can. 4 De fide: Denz. 1813. Questo paragrafo della presente Costituzione non aggiunge molto di nuovo (eccetto la convenienza dei segni esteriori alla natura umana). È tuttavia quasi necessario per preparare quanto segue in merito ai diversi segni.

14) Che la parola “opere” vuole dire miracoli è chiaro da Gv 9, 4-7; 10, 12; 15, 24, ecc.

15) Concilio Vaticano, Sessione III, De fide cath., cap. 3: Denz. 1790.

16) Si ricorda l’insegnamento del Concilio Vaticano, perché se lo stanno scordando in molti (Denz. 1795, 1813). Viene spiegata anche la preminenza di miracoli e profezie. Si aggiunge una nota, perché molto opportuna oggi, sulla risurrezione di Gesù come segno storico e sulle profezie messianiche. Si aggiunge anche qualcosa sul segno che Gesù stesso è per la sua sapienza e santità, affinché non sembri che il Concilio abbia trascurato questo segno che è così importante per molti fedeli, attratti a Cristo dalla grazia divina.

17) Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione Dogmatica De fide cath., cap. 3: Denz. 1794.

18) Si spiega la preminenza della Chiesa come segno. Non si aggiunge niente alla descrizione della Chiesa come segno data dal Vaticano I, perché qualsiasi aggiunta dovrebbe perfezionare l’argomento senza preferire un parere privato ad altri parimenti leciti – e ciò pare difficile.

19) San Tommaso, Summa theol., II-II, q. 2, a. 9, ad 3: “Un credente ha motivi sufficienti per credere; perché è motivato dall’autorità di un’insegnamenteo divino confermato da miracoli e, ancora, dall’istinto interiore dell’invito di Dio, e in questo modo non crede alla leggera. Ma non avendo motivi sufficienti per sapere, il suo atto rimane meritorio”. Quodlib. II, q. 4, a. 6, ad 3m.: “L’istinto interiore per il quale Cristo poteva manifestarsi senza miracoli esteriori, appartiene al potere della Prima Verità che interiormente illumina ed istruisce gli uomini”. V. anche loc. laud. al p. 2.In note agli schemi preconciliari del Concilio Vaticano I, si dice come segue: “Bisogna tenere che la grazia interiore di Dio supplisce quanto, a uomini di questo tipo [gli illetterati], manca alla presentazione esteriore della fede. Ciò non è tuttavia una ragione per negare la presentazione della fede per mezzo di motivi adatti alla loro abilità e usando la diligenza necessaria, o per ridurre l’intera materia a esperienza o istinto interiore” (Coll. Lac., vol. VIII, col. 1623).

20) Concilio Vaticano, Sessione III, Canoni De fide cath.: Denz. 1812.

21) V. Concilio di Trento, Sessione. VI, Decreto sulla giustificazione, cap. 6: Denz. 798

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CAPITOLO VLO SVILUPPO DELLA DOTTRINA

29. [Il tesoro della verità è da ricevere da Cristo] Il Sacro Sinodo Vaticano secondo professa fermamente che il tesoro della verità, che ha da nutrire la vita cristiana fino alla fine del mondo, fu ricevuto da Gesù Cristo, autore e compitore della fede (v. Ebr 12, 2), in tal modo che dopo essere stato completato dagli Apostoli 1, non potesse più venire aumentato in se stesso 2. Infatti gli Apostoli, illuminati dal Paraclito che insegnò loro ogni cosa e ricordò tutto ciò che il Maestro aveva detto loro (v. Gv 14, 26), predicarono ovunque quanto egli aveva sentito dal Padre (v. Gv 15, 15) e lo trasmisero ai loro successori come un prezioso deposito (v. 1 Tm 6, 20) da difendere fedelmente dalla Chiesa, sostenuta dall’aiuto dello Spirito Santo che dimora in essa 3.

30. [Come va difeso il tesoro della fede]. Questo tesoro non viene difeso efficacemente e fruttuosamente soltanto dalla custodia di libri o dalla ripetizione di parole, ma anche da un magistero vivente attraverso il quale la Chiesa veramente dirige la fede e i costumi 4 così come può venire richiesto da una comprensione autentica delle cose rivelate 5; dalla pietà cristiana che sping a esplorare le ricchezze di Cristo più profondamente 6; dagli attacchi di uomini in errore 7; e finalmente dalle necessità dei tempi e da quelle nuove domande che necessitano di risposte 8. Per questi motivi il Sacro Sinodo insegna che la stessa natura del sacro magistero comporta sia lo studio delle fonti della rivelazione che l’attenta, riverente e seria riflessione sui misteri stessi. Tale ricerca non distoglie affatto le menti dalla divina rivelazione, perché non tenta in alcun modo di scambiare quanto è stato divinamente trasmesso con invenzioni umane, né di sostituire queste con quelle 9. Lo scopo di tale ricerca è invece di esaminare e dichiarare 10 le ricchezze che sono nascoste nella rivelazione stessa, usando mezzi che sono strettamente connessi alle cose rivelate 11.

31. [Si afferma lo sviluppo dottrinale] Il Sacro Concilio, perciò, riconosce e afferma che nella Chiesa di Cristo avviene un vero sviluppo nella comprensione e nella presentazione della dottrina della fede, in modo che si possono fare anche nuove definizioni della verità rivelata 12. Ma dichiara legittimo solo quello sviluppo che non consiste in altro che nell’aumento della conoscenza umana della rivelazione e non nella crescita del deposito stesso. Infatti, il deposito rimane immutato in se stesso, siccome qualsiasi verità che possa venire proposta dalla Chiesa come nuova è contenuta in esso almeno implicitamente e perciò sostenuta dall’autorità divina.

NOTE

1) Concilio di Trento, Sessione IV, decreto sulle Scritture Canoniche: Denz. 783; Sant’Uffizio, decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 21: Denz. 2021.

2) Pio IX, Breve Eximiam tuam all’arcivescovo di Colonia (contro Günther): Denz. 1656; Syllabus, prop. 5: Denz. 1705; Concilio Vaticano, Sessione III, De fide cath., cap. 4: Denz. 1800.

3) Concilio Vatican I, ibid.; Pio XII, Enciclica Humani generis, 12 agosto 1950: Denz. 2307, 2313, 2314.

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4) Leone X, Bolla Exsurge Domine, 15 giugno 1520: Denz. 767; Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2313.

5) Concilio Vaticano, Sessione III, Costituzione dogmatica De fide catholica, capitolo 4: Denz. 1796; Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2314.

6) Pio XII, Enciclica Mystici corporis, 29 giugno 1943: AAS 35 (1943), 196.

7) San Simplicio, Lettera Quantum presbyterorum, 9 gennaio 476: Denz. 159): “… ti esorto, fratello amato, ad usare qualsiasi mezzo nel sinodo per resistere agli sforzi degli erranti. Un concilio non viene mai convocato, se non quando è sorta una nuova e cattiva opinione o quando è apparsa qualche incertezza in merito alle affermazioni della fede, così che trattandone insieme, l’autorità della delibera dei sacerdoti possa illuminare quanto è oscuro”. San Gelasio I, Lettera Licet inter varias, 28 luglio 493(?): Denz. 161; Pio IX, Lettera Gravissimas inter al vescovo di Monaco e Frisinga (contro Frohschammer), 11 dicembre 1862: Denz. 1675; Pio XII, Enciclica Humani generis: Denz. 2308; Enciclica Mystici Corporis: AAS 35 (1943) pp. 197-198).

8) Con lo sviluppo della cultura, sorgono nuovi problemi, specialmente in questioni morali; in ordini più speculativi vi sono tuttavia pure sviluppi a causa di necessità religiose recentemente sorte; v. Enciclica Mystici Corporis, ibid., pp. 196-197.

9) Pio IX, Eximiam tuam, 15 giugno 1857: Denz. 1656; Syllabus, prop. 5: Denz. 1705; Concilio Vaticano, De fide cath., cap 4: Denz. 1800; Sessione IV, De Eccl. Christi, cap. 4: Denz. 1836: “Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede”.

10) San Simplicio, lettera Quantum presbyterorum: Denz. 159; San Gelasio I, lettera Licet inter varias: Denz. 1616.

11) Concilio Vaticano, Sessione III, De fide cath., cap. 4: Denz. 1800, con il canone 3: Denz. 1818; Sant’Uffizio, decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, proposizioni 59-65: Denz. 2059-65; San Pio X, Enciclica Pascendi, 8 settembre 1907: Denz. 2080.

12) Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus, 8 dicembre 1854: Denz. 1641; Concilio Vaticano, Sessione IV, De Eccl. Christi, cap. 3: Denz. 1831, cap. 4: Denz. 1838; Pio XII, Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus, 1 novembre 1950: Denz. 2332.

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CAPITOLO VILE RIVELAZIONI PRIVATE

32. [Il valore delle rivelazioni private] 1 Siccome il Signore stesso indicò che ci saranno sempre carismi e miracoli nella Chiesa e l’Apostolo ammonì “non spegnete lo Spirito” (1 Tess 5, 19), la Chiesa riceve con riverenza rivelazioni private e altri doni carismatici purché mostrano convenienti segni della loro origine divina; in tal modo segue le parole del Dottore delle genti, “esaminate ogni cosa e ritenete il bene” (1 Tess 5, 21). Per quanto riguarda rivelazioni private che si sostiene abbiano avuto luogo dopo la morte degli Apostoli, il Sacro Sinodo dichiara che devono essere sottoposte interamente al giudizio dei pastori della Chiesa, per evitare che i fedeli vengano ingannati, siccome il Cristo ci avvertì che “falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti” (Mt 24, 11). Dichiara anche che [tali rivelazioni] sono degne di considerazione soltanto quando sono in totale accordo con le verità contenute nel tesoro pubblico della fede e promuovono lo svolgersi della vita cristiana sotto la direzione dei pastori. Non possono dare adito al sorgere di istituzioni ecclesiastiche, a meno che esse non abbiano un fondamento dogmatico altrove. Finalmente, non è mai permesso di introdurre nuove dottrine a causa di esse o di avviare nuove imprese se la Chiesa non è a ciò disposta. Insegna altresì che né dobbiamo, né possiamo dare alle rivelazioni private, nemmeno a quelle approvate, l’assenso della fede cattolica, ma soltanto l’assenso della fede umana, secondo le regole della prudenza, se queste indicano che tali rivelazioni sono probabili e piamente credibili 2.

I fedeli cristiani frenino perciò una curiosità immoderata in merito a miracoli che non sono sufficientemente approvati dai pastori della Chiesa. Ci sono, in effetti, persone che ricercano tali cose come se lo stesso Deposito della fede non fosse sufficiente per fomentare la vita cristiana o se pascoli più ricchi si aprissero dinanzi alle pecore del gregge di Cristo al di fuori del Deposito.33. [La pratica perniciosa dello spiritismo] Tale curiosità diventa veramente perniciosa quando spinge i credenti a darsi a qualsiasi forma di divinazione superstiziosa, e specialmente a quello spiritismo che per mezzo di sforzi umani tenta di evocare comunicazione sensibile con spiriti o con anime separate per ottenere informazioni o aiuto. “Non si trovi in mezzo a te [dice il Signore Iddio] chi esercita la divinazione o il sortilegio o l’augurio o la magia, né chi faccia incantesimi, né chi consulti gli spiriti o gli indovini, né chi interroghi i morti, perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore” (Dt 18:10-12) 3. La Sede Apostolica non ha trascurato in vari documenti di oppore rimedi adatti al male dello spiritismo 4.34. [Condanna di alcune pratiche] In molte regioni la superstizione striscia ampiamente diffondendosi ogni giorno di più, a volte anche ingannevolmente sotto il falso titolo di parapsicologia, la disciplina che avrebbe per scopo di spiegare fatti che sembrano contraddire le leggi ordinarie della psicologia. Il Sacro Concilio dichiara che la legge divina proibisce del tutto e come peccato molto grave contro la religione sia il desiderio di evocare le anime dei defunti che il desiderio di stabilire comunicazione percettibile con essi o con altri spiriti per qualunque fine, in qualunque modo si faccia, pubblicamente o privatamente, anche se l’intenzione è di rivolgersi solo a spiriti buoni e l’intero spettacolo abbia l’apparenza di decoro, pietà e religione. Vieta a tutti i cristiani di assistere a sedute spiritiche o ad altre riunione di tale specie, e anche di promuoverle in qualsiasi modo, anche per mera curiosità.

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NOTE

1) Benedetto XIV, De servorum Dei beatif. et canoniz. Prato, 1840, Lib. III, c. 52-53. Così cap. 53, nr. 15: “Alle rivelazioni [private], includendo quelle approvate, non dobbiamo e non possiamo dare l’assenso della fede cattolica, ma soltanto quello della fede umana, secondo le regole della prudenza, nella misura in cui queste indicano che tali rivelazioni sono probabili e piamente credibili”. V. anche ibid., II, 32. Benedetto XV, lettera decretale Ecclesiae consuetudo, 13 maggio 1920: AAS 12 (1920) 486. San Pio X, enciclica Pascendi, 8 settembre 1907: ASS 40 (1907), 649: “Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perciò ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): "Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti". Niun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocché il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: in quanto poi è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano”. Pio XI, enciclica Miserentissimus Redemptor, 8 maggio 1928: AAS 20 (1928) 177-17); Pio XII, enciclica Haurietis aquas, 15 maggio 1956: AAS 48 (1956) 328, 346-348; v. ibid., p. 340: “in realtà, indipendentemente da ogni rivelazione privata ...”.

2) Benedetto XIV, l.c.

3) V. anche Lev 19, 31 e 20:6; Is 8, 19-20; Jer 27, 9; At 8:9, 23; 16, 16-19 e 19, 13-20; Gal 5, 20; Ap 21:8.

4) Oltre ai più antichi documenti di Alessandro IV, Quod super nonnullis, 27 settembre 1258; Giovanni XXI, detto XXII, Super illius, 1326; Innocenzio VIII, Summis desiderantes, 5 dicembre 1484; Leone X, Supernae dispositionis, 5 maggio 1514; Honestis petentium, 13 febbraio 1521; Sisto V, Coeli et terrae, 5 gennaio 1585; Gregorio XV, Omnipotentis Dei, 20 marzo 1623; Urbano VIII, Inscrutabilis, 11 aprile 1631, v. specialmente la lettera enciclica del Sant’Uffizio sull’abuso del magnetismo, 4 agosto 1856: ASS 1 (1865), pp. 177-78; Denz. 1653-1654; il responso del Sant’Uffizio, 24 aprile 1917: AAS 9 (1917) 168: Denz. 2182; Codice di Diritto Canonico, can. 1399, 7°. Sullo spiritismo e materie connesse nel Concilio Vaticano, v. Mansi 53, 773; CL VII, 784.

5) V. Catechismo Romano, IV, 9, 4; l’inno Custodes hominum; la preghiera Angelo di Dio.

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CAPITOLO VIIL’ORDINE NATURALE E QUELLO SOPRANNATURALE

36. [Dio, Creatore della natura e datore della grazia] Siccome, secondo la dottrina della Scrittura e dei santi Padri, “quanto cadde nel primo Adamo viene risollevato nel secondo” 1, il Sacro Concilio crede e professa che Dio onnipotente, che è buono per essenza, creò l’uomo a sua immagine e somiglianza e lo destinò alla visione beatifica di se stesso, da guadagnare per mezzo del dono della grazia.37. [La grande dignità dell’uomo, che per sua natura è ordinato al servizio di Dio] Capo e corona di tutti gli esseri visibili (v. Ps 8, 6-9) 2, perché munito di anima razionale nella quale risplende l’immagine di Dio (v. Gen 1, 27) 3, l’uomo è per la sua stessa natura ordinato al servizio di Dio e a rendergli culto di adorazione, amore e lode. Per una liberissima decisione della sua volontà, Dio volle tuttavia elevare l’uomo anche ad una partecipazione alla natura divina. In questo modo, chi per natura non era altro che servo avrebbe potuto, per mezzo della grazia di adozione, diventare figlio e, arricchito con le virtù della fede, speranza e carità, avrebbe potuto adorare il Creatore non solo come Signore ma anche come Padre e, finito il tempo della prova, avrebbe raggiunto la vita eterna nel perfetto possesso e godimento del Dio Uno e Trino 4.38. [Il mistero della nostra elevazione all’ordine soprannaturale] Riconoscendo il mistero del divino amore e ricambiando Dio ringraziandolo accoratamente per la sua generosità, il Sacro Sinodo insegna ai fedeli che un dono tanto grande è al tempo stesso gratuito e mirabilmente adatto alla natura umana 5.In effetti l’esaltazione dell’uomo nella partecipazione alla natura divina per mezzo della grazia di adozione, che qui sulla terra è un inizio certo della gloria eterna, supera tutte le capacità e le esigenze della natura umana. Per questa ragione bisogna considerarla una gratuito beneficio di Dio o, come dicono i Dottori della Chiesa seguendo l’insegnamento dei Santi Padri, un dono soprannaturale 6. “Quelle cose che occhio non vide”, dice l’Apostolo, “né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (1 Cor 2, 9). Seguendo l’insegnamento degli stessi Padri e Dottori, bisogna però riconoscere nella natura umana non solo la capacità di ricevere questo dono soprannaturale 7, ma anche la sua mirabile convenienza. L’uomo, essendo creato a immagine e somiglianza di Dio, porta un desiderio naturale di felicità che nessun bene finito può interamente appagare 8; egli raggiunge nella visione di Dio la sua ultima e perfetta beatitudine e quando essa è raggiunta, non vi è nient’altro da desiderare 9.39. [Il fine soprannaturale è l’unico fine al quale, anche dopo il peccato, l’uomo resta ordinato]. Dalla suprema bontà con la quale Dio ci ha chiamati all’ordine soprannaturale, segue che l’uomo ha soltanto un fine ultimo al quale, nel piano di Dio, rimane ordinato anche dopo il peccato. Se non dovesse raggiungere tale meta, anche l’avere goduto abbondantemente dei beni della natura non significherebbe niente, perché non avrebbe raggiunto nemmeno il suo fine naturale (v. Matt. 16, 26).40. [La grazia perfeziona la natura] Il fine naturale dell’uomo, che egli cioè avrebbe potuto raggiungere con le forze naturali, è comunque contenuto nel fine soprannaturale, così come il perfettibile nel perfetto; e quei beni della natura stessa che si conformano allo stato celestiale, sono preservati e perfezionati. L’ordine soprannaturale, infatti, né distrugge né indebolisce

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l’ordine naturale, ma lo eleva e lo perfeziona 10, perché gli dà più forte assistenza e porta a compimento le sue naturali capacità.41. [Si rigettano errori] Il Sacro Concilio rigetta perciò gli errori sia di coloro che non distinguendo opportunamente l’ordine naturale da quello soprannaturale sostengono che la chiamata dell’uomo allo stato di grazia e gloria sia dovuta alla natura umana, o che Dio gliela debba necessariamente concedere, sia di coloro che, accecati dal naturalismo o da un falso umanismo, sono così ingrati della grazia di Dio da sdegnare tale dono, o che negano che sia sommamente desiderabile.

NOTE

1) San Leone Magno, Sermo 12: 1 (PL 54, 168. A questo si riferiscono tutti i testi della Scrittura che parlano della riconciliazione, restaurazione, rinnovamento ecc. effettuati da Cristo; sembrano tutti riassumersi convenientemente nelle parole di San Leone.

2) V. anche Sap 9, 2-3; 10, 1-2; Gen 1, 28-30; Eccl 17, 1-2

3) V. anche Eccl 17, 1; l Cor ll, 7; Col 3, l0.

4) Pio XII, enciclica Mystici Corporis, 29 giugno 1943: AAS 35 (1943) 232.

5) Sembra necessario insistere su questi due limiti posti dalla verità cattolica in merito al mistero della nostra elevazione all’ordine soprannaturale, cioè la sua gratuità e la sua suprema convenienza; oltre questi limiti resta solo la libertà di errare.

6) V. gli errori condannati di Baio, prop. 21: Denz. 1021; di Pascasio Quesnel, prop. 35: Denz. 1385; e del sinodo di Pistoia, prop. 16: Denz. 1516;San Pio X, enciclica Pascendi, 8 settembre 1907: Denz. 2103, e Pio XII, enciclica Humani generis, 12 agosto 1950: Denz. 2318.

7) San Pio X, enciclica Pascendi: Denz. 2103: “E qui di bel nuovo siam costretti a lamentarCi gravemente che non mancano cattolici i quali ... [sembrano] ammettere nella natura umana non pure una capacità od una convenienza per l’ordine soprannaturale, ciò che gli apologisti cattolici, colle debite restrizioni, dimostraron sempre, ma una stretta e vera esigenza”. Sant’Agostino, De Trin., XIV, 8, 11: PL 42, 1044: “perché esso è immagine di Dio in quanto è capace di Dio e può essere partecipe di lui”; Ibid. De Trin., XIV, 4, 6: PL 42, 1040: “tuttavia in quanto è capace e può essere partecipe della natura suprema, è una natura grande”; San Tommaso, Summa theol., I-II, q. 113, a. 10: “… e in questo rispetto, la giustificazione dell’uomo malvagio non è miracolosa, perché l’anima è naturalmente capace della grazia; infatti, per lo stesso fatto di essere stata creata a immagine di Dio, è capace di Dio per mezzo della grazia, come dice Agostino”; Ibid., Summa theol., III, q. 9, a. 2, ad 3: “La visione beatifica o conoscenza è in qualche modo superiore alla natura dell’anima razionale, in quanto essa non può raggiungerla con i propri

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mezzi; ma in un altro modo [la visione beatifica] si accorda con la sua natura, in quanto ne è capace, cioè in quanto fu creata a immagine di Dio, come detto prima”.

8) Sant’Agostino, Confess., I, 1, 1; PL 32, 661: “ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te”; San Tommaso, Summa contra Gent., III, c. 50: “Nessuna cosa finita può placare il desiderio della mente”.

9) Sant’Agostino, De Civ. Dei, XII, 1,3 (PL 41, 349): “L’essere ragionevole quindi è creato in un grado tanto alto di eccellenza che ... raggiunge la felicità e colma la propria insoddisfazione soltanto se è felice e Dio soltanto può colmarla”. San Tommaso, Summa theol., I-II, q. 3, a. 8: “La felicità massima e perfetta non può essere che la visione della divina essenza”; Ibid., I-II, q. 2, a. 8: “È impossibile che la felicità dell’uomo consista in un bene creato”. La stessa opinione è ripetuta da autori che scrivendo del fine ultimo dell’uomo, che appaghi totalmente il suo desiderio, adottano lo stesso argomento di San Tommaso.

10) Pio XI, Enciclica Divini illius Magistri, 31 dicembre 1929: Denz. 2206.

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CAPITOLO VIIIIL PECCATO ORIGINALE NEI FIGLI DI ADAMO 1

42. [Introduzione] Dato che anche nel nostro tempo si spargono opinioni in merito al peccato d’origine e alla sua trasmissione a tutti gli uomini che corrompono il concetto autentico della fede e danneggiano le stesse fondamenta della vita cristiana con chiacchiere profane (v. 1 Tim 6, 20), il Sacro Sinodo Vaticano secondo considera necessario confermare la dottrina definita da concili precedenti e di dichiararla più fermamente.43. [Il dogma del peccato originale è avvolto nel mistero] Innanzitutto, per sradicare molte opinioni aberranti, [il Concilio] ricorda fermamente ai fedeli cristiani che il peccato originale è un dogma di fede che l’umana ragione non può da sola esplorare. Benché la stessa vita dell’uomo, piena com’è di stenti e sofferenze, offra una certa testimonianza all’esistenza del peccato che infettò il genere umano sin dalle origini, la natura interna di tale peccato, che la rivelazione ci propone da credere, è velata nel mistero; e questo mistero è in qualche modo illuminato dalla solidarietà del genere umano con Gesù Cristo Redentore (v. Rom 5, 17-21). Perciò, quelli che sono turbati dalla difficoltà della questione, devono venire governati dal timone dell’autorità, che è la regola di fede; perché anche se la natura del peccato originale non è facile da esaminare o spiegare in ragionamenti, “tuttavia è vero ciò che da tempi antichi è stato predicato dall’attendibile fede cattolica ed è creduto da tutta la Chiesa” 2.44. [Il peccato originale che infetta l’uomo dalla nascita, ha il vero carattere del peccato] Come ci mostra l’uso di battezzare anche i neonati, la Chiesa intera ha sempre creduto e predicato che il peccato che è tramandato da un solo uomo a tutto il genere umano per propagazione o generazione, non è, come asseriscono alcune persone moderne, un difetto che scaturisce dai limiti della natura umana, oppure la privazione di unità con una società di persone che serva Dio, oppure la stessa varietà e divisione sotto la quale l’intero genere umano ha faticato sin dall’inizio, oppure solo una tendenza al male che tutti gli uomini sperimentano dalla nascita; è piuttosto, anche se in modo diverso dal peccato personale, un vero e proprio peccato, che rende gli uomini colpevoli e li trascina verso l'eterna perdizione, a meno che quanto fu contratto per generazione non venga cancellato dalla rigenerazione. Da quanto la fede ci insegna, sappiamo che gli uomini nascono privi della vita di Dio (v. Ef. 4, 18), iniqui, morti nell’anima, per natura meritevoli d’ira (v. Ef. 2, 3; e che, se non vengono riconciliati con Dio per mezzo dei meriti di Cristo e rinascono in Cristo, non possono giungere alla vita eterna, alla quale sono destinati. “Per la colpa di uno solo”, dice l’Apostolo, “si è riversata su tutti gli uomini la condanna” (Rom 5, 18).45. [Per quale causa il peccato originale ha la natura del peccato] La Chiesa crede e professa inoltre che il peccato originale, che è in ogni persona come peccato proprio, non trae la sua natura peccaminosa dal fatto che per nascita l’uomo diventa membro di una società corrotta di uomini, ma dal fatto che l’uomo è generato in una natura infetta dal peccato di Adamo, essendo questi il principio, il capo e la fonte dell’intera natura umana. 3

“Nel primo Adamo offendemmo [Dio],” dice Ireneo 4, testimone della venerabile tradizione, “per non avere ubbidito al suo comandamento.” E in simile modo Sant’Ambrogio, Dottore della Chiesa, dice: “Nel primo uomo tutti noi abbiamo peccato, e per mezzo della successione della natura, c’è una successione anche della colpa che viene trasmessa da uno a tutti” 5.46. [Per mezzo del peccato originale il genere umano è cambiato in peggio] La Chiesa crede e professa pure che per mezzo della trasgressione del progenitore l’intero genere umano non solo perse l’innocenza, con il risultato che tutti gli uomini da allora nascono necessariamente

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senza la giustizia che avrebbero avuto, ma anche che lo stesso genere umano cambiò in peggio sia nel corpo che nell’anima. A causa della perdita della giustizia originale, che Adamo perse sia per se stesso che per tutta la sua posterità trasgredendo al comandamento di Dio, l’uomo è assoggettato al regno della morte anche corporale e ha ricevuto le ferite della concupiscenza e dell’ignoranza. Anche se il libero arbitrio degli uomini non è stato affatto estinto da queste ferite, è stato così indebolito ed ha contratto una tale inclinazione al male, che non solo l’uomo non può fare niente per la salvezza senza l’aiuto della grazia preveniente, come dice il Signore: “senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5), ma è anche incapace di osservare l’intera legge naturale, o di evitare il peccato a lungo, a meno di non venire liberato e assistito da Dio. L’uomo dopo la caduta di Adamo non deve però disperare minimamente: Adamo era infatti la figura di chi doveva venire (v. Rom 5, 14), cioè Cristo Signore che ci ha redenti dal potere del peccato e che ci ha dato una grazia molto più abbondante. Perché “il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono molti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su un maggior numero di uomini” (Rom. 5, 15), cioè su tutti quelli che rinascono per mezzo di lui dall’acqua e dallo Spirito Santo (v. Gv 3, 5).47. [La rivelazione del peccato originale è contenuta nella Lettera ai Romani] Confermando e affermando la dottrina del Concilio di Trento e di concili precedenti, questo Sacro Sinodo conferma e dichiara 6 che la verità del peccato originale, che è passato in tutti gli uomini, è insegnata dall’Apostolo nella Lettera ai Romani, al capitolo 5, 12-19, così come la Chiesa Cattolica sparsa per il mondo ha sempre capito queste parole.48. [La dottrina dell’origine comune del genere umano] C’è oggi, anche tra i figli della Chiesa, chi nega o mette in dubbio l’unità dell’origine del genere umano. Perciò, per salvaguardare l’integrità della dottrina presentata sopra, con la quale crediamo che il peccato è stato trasmesso da un solo uomo 7 a tutti gli uomini per generazione 8, e per favorire i legami di parentela e carità tra tutti i popoli che, derivando da una sola origine, sono pure chiamati ad un’unica grazia di Cristo, il Sacro Sinodo Vaticano secondo dichiara e insegna che l’intera Chiesa, appoggiandosi sulla divina rivelazione, ha sempre tenuto e insegnato che qui sulla terra gli uomini (vissuti dopo Adamo), qualunque fosse la loro forma del corpo o colore, hanno sia una comune origine naturale, sia un comune autore della salvezza 9. L’Apostolo dice infatti: “Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita” (Rom 5, 18); e ancora “come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1 Cor 15, 22).Lo stesso Apostolo, confessore di questa verità, disse anche che Dio “creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra” (At 17, 26), perché creò “il primo uomo” (v. 1 Cor. 15, 45) 10, Adamo e sua moglie, che è chiamata la madre di tutti i viventi (Gen 3, 20), in modo che questi due sposi fossero il principio naturale di tutto il genere umano; da ciò è evidente che ovunque sarebbero nati degli uomini, sarebbero discesi da loro per generatione.49. [Si condannano le opinioni contrarie al monogenismo]. Il sacro Sinodo rigetta perciò le opinioni di coloro che affermano che dopo di Adamo ci siano stati sulla terra veri uomini che non sono nati per naturale generazione da quell’unico progenitore, o che Adamo rappresenti una moltitudine di progenitori; tali opinioni contraddicono la dottrina cattolica. Perché non è affatto chiaro come tali opinioni siano compatibili con quanto le fonti della verità rivelata e

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gli atti del Magistero della Chiesa espongono in merito al peccato originale, che procede dal peccato veramente commesso dall’unico Adamo e che è trasmesso a tutti per generazione, e che è in ciascuna persona come proprio 11.

NOTE

1) Note ai singoli paragrafi:Al §43: Il peccato originale ha la natura del mistero.Se si considerano tutti gli elementi che la rivelazione presenta in merito al peccato originale – e cioè che è un vero peccato e non solo una pena per il peccato, che è volontario a causa della volontà del progenitore, che è trasmesso per generazione anche da genitori che ne hanno già ottenuto la remissione, che consiste nella privazione della grazia originale – sembra impossibile negare che il peccato originale è per sua natura un mistero. Affermando che il peccato originale è un mistero, dobbiamo tuttavia evitare di risolvere la controversia in merito alla possibilità di dimostrare l’esistenza del peccato originale con la sola ragione dei mali di questa vita. Sappiamo che Sant’Agostino usò questo argomento (v. ad es. Contra Iulianum, IV, 16, 82). San Tommaso scrive che “si può molto probabilmente dimostrare che un difetto di questo genere [la morte e la concupiscenza] è penale; e così si può trarre la conclusione che il genere umano originariamente fu infetto da qualche tipo di peccato (Contra Gentes, IV, 52). San Buonaventura era dell’opinione che “per i dottori cattolici risultava certo non solo per fede, ma anche dall’evidenza della ragione” che la natura umana era soggetta alla sua condizione presente a causa di una trasgressione iniziale (In II Sent., d. 30, a. 1, q. 1). Fu perciò necessario distinguere tra l’esistenza del peccato originale, del quale rende testimonianza la vita dell’uomo con le sue difficoltà e disagi, che a quanto si sa nessuno nega, e il concetto preciso ed esatto di peccato originale, che è velato nel mistero. Pare per questo motivo bene usare le parole scritte da Sant’Agostino contro il razionalismo di Giuliano di Eclano quando disputarono in merito all peccato originale.Al §44: Il peccato originale ha il vero carattere del peccatoChe il peccato originale ha il vero carattere del peccato fu definito dal Concilio di Orange II, c. 2 (Denz. 175) e al Concilio di Trento, v. sess. V, decreto sul peccato originale, c. 2 (Denz. 789). Il Concilio di Trento espresse questo concetto di peccato in molti modi: parla della colpevolezza del peccato originale rimessa nel battesimo (Denz. 792; del peccato come morte dell’anima (Denz. 789) che rende l’uomo ingiusto dal concepimento (Denz. 793), empi (Denz. 796), nemici di Dio (Denz. 799), figli dell’ira (Denz. 793), bisognosi della riconciliazione con Dio per mezzo di Cristo Signore (Denz. 790). Inoltre, il Concilio di Lione II (Denz. 464) e il Concilio di Firenze (Denz. 693) definirono che le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale attuale, o del solo peccato originale, scendono immediatamenteed negli inferi, per venire puniti con pene ineguali. Occorre sottolineare tutte queste cose a causa di quelli che cercano di negare o di indebolire la colpevolezza del peccato originale, pensando che il peccato originale non è che un difetto della natura umana che deriva dalla sua finitudine (male radicale) o la mancanza di una comunità religiosa alla quale l’uomo per disposizione di Dio dovrebbe appartenere, o una forte tendenza che inclina l’uomo al male, o (questa opinione è oscura) la molteplicità di cose che esistevano prima di essere riunite in unità per mezzo dell’evoluzione. Al §45: Il peccato originale è volontario per la volontà del progenitoreQuesto va sottolineato a causa di coloro che dicono che gli uomini contraggono il peccato originale perché alla nascita vengono inseriti in una società di persone che non servono Dio

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ma il peccato, e a causa di coloro che hanno tentato di difendere il poligenismo o almeno di dimostrare che [le due cose] non siano escluse con certezza dalla fede cattolica.Al §46: A causa del peccato originale, ogni uomo è cambiato in peggioScrivendo il §46, d’accordo con una proposta di alcuni membri della sottocommissione, una distinzione fu fatta tra la perdita della grazia santificante e la necessità di morire e le ferite dell’ignoranza e della concupiscenza. Per il fatto che a causa del peccato originale l’uomo cambiò in peggio, v. Concilio di Orange II, c. 1 (Denz. 174) e il Concilio di Trento, Sess. V, decreto sul peccato originale: Denz. 788. Sulle ferite del peccato originale, vedere quanto San Tommaso dice chiaramente nella Summa theol., I-II, q. 85, a. 3. Sul fatto che il libero arbitrio non venga estinto ma attenuato e indebolito, v. Concilio di Trento, sessione VI, decreto sulla giustificazione: Denz. 793. Finalmente, queste stesse parole del Concilio di Trento si spiegano dalla dottrina che la grazia è necessaria sia per poter fare opere salvifiche, sia per poter evitare per un lungo tempo di peccare contro la legge naturale di Dio; queste dottrine si devono sottolineare a causa di quelli che, lodando la dottrina pelagiana sul potere del libero arbitrio, disprezzano la necessità della grazia. Al §47: Il peccato originale è rivelato nell’Epistola ai Romani.È ben risaputo quante interpretazioni si danno di Rom 5, 12. Da un punto di vista dogmatico, sembra tuttavia che il Magistero della Chiesa abbia dato un’interpretazione autoritativa delle parole dell’Apostolo, in modo che non è possibile travisarle in modo da farle significare qualcos’altro. E ciò perché a) il Concilio di Cartagine, approvato da papa Zosimo, dopo aver parlato del peccato originale che i neonati contraggono alla nascita, aggiunge quanto segue: “Non c’è in effetti nessun altro modo di interpretare le parole dell’apostolo: ’come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato’ che intendendole come l’universale Chiesa Cattolica le ha sempre capite” (Denz. 102). Queste stesse parole vengono ripetute al Concilio di Trento, sessione V, decr. decreto sul peccato originale: Denz. 791; b) Il Concilio di Orange II dichiara che chi nega che il peccato originale, morte dell’anima, passò a tutti gli uomini contraddice l’Apostolo che disse “a causa di un solo uomo ecc.” (Denz. 175). Il Concilio di Trento ripete ance queste parole: Denz. 789. Bisognerebbe aggiungere che al Concilio di Trento il terzo errore denunciato dal decreto sul peccato originale è il seguente: “Terzo, l’errore dei pelagiani, seguito anche da Erasmo, che Paolo in Rom. 5 non menzioni affatto il peccato originale”.

2) Sant’Agostino, Contra Iulianum, VI, 5, 11: Pl 44, 829.

3) V. San Tommaso, Ad Romanos 5, 12, lect. 3; Quaestio Disp. de Malo, IV 1, ad 1.

4) Sant’Ireneo, Adv. Haer., V, 16, 3: PG 7, 1177.

5) Sant’Ambrogio, Apologia prophetae David, II, 12, 71: PL 14, 915; CSEL 32, 2, 276.

6) V. Concilio di Trento, sessione V, decreto sul peccato originale: Denz. 789 e 791; Concilio di Cartagine dell'anno 418, approvato da Papa Zosimo: Denz. 102; e il Concilio di Orange II, can. 2: Denz. 175

7) Che il peccato originale si trasmetta ai discendenti da un solo uomo e non si possa comprendere come un peccato commesso da una multitudine di uomini, v. Concilio di

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Trento, Ibid.: Denz. 788: “Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio”; Sessione VI, decreto sulla giustificazione, cap. 4: Denz. 796: “Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia ... per mezzo del secondo Adamo, Gesú Cristo”; sessione V, decreto sul peccato originale 2: Denz. 789: “Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio … sia anatema”; Pio XII, enciclica Humani generis: vide infra, nota 11.

8) Che il peccato originale si trasmette alla posterità per GENERAZIONE è nella Sacra Tradizione già prima della controversia pelagiana. V. Tertulliano De testimonio animae, 3: PL 1, 613; Cipriano, Epist. 64, 5: PL 3, 1018-1091; Novaziano, De Trinit., 29: PL 3, 944; Origene, In Levit. hom. 8, 3: PG 12, 496; Atanasio, In Psalm. 50, 7: PG 27, 240; Didimo di Alessandria, Contra Manich., 8: PG 39, 1096; Aphraates, Demonstr., 6, 14; 23, 3: PS 1, 291; ibid. 23, 3: PS 2, 6; Ephraem, Hymni de instaur. Eccl., 4, 1: Lamy 3, 974; Ilario, In Psalm. 118, in Agostino, Contra Iulianum, I, 3, 9: PL 44, 645; Ambrogio, Apolog. proph. David, I, 11, 56: PL 17, 92; Exp. in Lucam, 2, 56: PL 15, 1573; Ambrosiaster, In Rom. 5, 12: PL 17, 92; Gregorio Nazianziano, Orat. 38, 16 e 40, 8: PG 36, 330 e 367. Idem in Agostino, Contra Iulianum, I, 5, 15: PL 44, 649; Christostomo, In Ep. ad Rom., hom. 10, 2: PG 60, 476-477.La controversia Pelagiana era incentrata sulla questione se il peccato di Adamo si trasmetteva ai posteri per imitazione o per propagazione. V. Agostino, De pecc. merit. et remiss., I, 9, 9: PL 44, 114; ibid., I, 9, 10: PL 44, 115; Opus imperf. contra Iulian., I, 48: PL 45, 1071. San Tommaso insegna chiaramente che la trasmissione per generazione è da credere de fide; v. Summa theol., I-II, q. 81, aa. 1 e 3, con l’art. 4.Per quanto riguarda il magistero della Chiesa, a parte Leone Magno, Sermo 22, 3: PL 54, 196;Concilio di Orange II, confermato da Bonifazio II, can. 2: Denz. 175: “Chi afferma che la trasgressione di Adamo ferì soltanto lui, e non anche la sua discendenza …”; Concilio di Trento, sessione V, decreto sul peccato originale, can. 2: Denz. 789, che ripete il canone citato di Orange II. Che cosa il tridentino intendesse per propagazione risulta chiaro dal decreto sulla giustificazione, cap. 3: Denz. 795: “Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: cosí se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati,” e dal decreto sul peccato originale, 4: Denz. 791, si dice dei bambini battezzandi che: “vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione.”

9) Sull’unità del genere umano, v. Gen 1, 27; 2, 5-25; At 17, 26; Rom 5, 12-21; 1 Cor 15, 45-47. In quanto ai Padri, v. le chiari affermazioni di Ireneo, Adv. Haer., III, 23,2: PG 7, 961; Efrem, Interpr. in S. Script.: in Genes. 2: Lamy, 1, 129; Ambrogio, De Paradiso, 10, 48: PL 14, 298; Theodoreto, Graec. affect. curatio, sermone 5: PG 83, 944. Sant’Agostino insegna apertamente che la verità dell’unità del genere umano è de fide: v. Agostino, De Gen ad litt., IX, 11, 19: PL 34, 400 e De pecc. orig., 24, 28: PL 44, 398. V. anche De Civ. Dei, XVI, 8 e XVI 9: PL 41, 486-487, passaggi sulla distinzione di razze e sugli antipodi. Il sacro magistero concorda: v. Pelagio I, Ep. ad Childebert: 1 aprile 557: Denz. 228a; Leone XIII, enciclica Arcanum divinae: ASS 12 (1879-1880) p. 386; Pio XII, enciclica Summi Pontificatus, 20 ottobre 1939: AAS 31 (1939) 426-427.

10) Concilio di Cartagine (XVI), can. 1: Denz. 101, con 1 Cor 15, 45.

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11) Pio XII, enciclica Humani generis, 12 agosto 1950: AAS 42 (1950) p. 576: Denz. 2328: “I fedeli non possono abbracciare quell’opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio”. I teologi del Vaticano I prepararono un canone, v. CL VII, 1637: “Chi negasse che l’intero genere umano sia sorto da un primo parente, sia anatema.” In note, ibid. v. 544-545 sottolineano che “nessuno ignora la grandissima importanza di questo dogma dell’unità e comune origine dell’intero genere umano, che nei nostri tempi è stato messo in dubbio da alcuni per lievissime ragioni geologiche ed etnografiche” (V. anche CL VII, 515a-b, 555-56, 1633a-b).

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CAPITOLO IXI NOVISSIMI

50. [Introduzione] Il Sacro Sinodo Vaticano secondo, riunito nello Spirito Santo, desidera confermare i figli della Chiesa nella fede che hanno ricevuto e respingere gli errori che anche nei nostri tempi si spargono, per la rovina delle anime, in merito alla dottrina sui novissimi. Ha deciso di inculcare nuovamente, e di affermare più chiaramente, quella stessa dottrina che Cristo Signore e i santi Apostoli predicarono insistentissimamente e che la Chiesa ha proposto da credere sia nel magistero ordinario che in quello solenne, in modo che, rigettati gli errori, possiamo “vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo (Tit 2, 12-13).

51. [Il tempo per meritare e demeritare finisce con la morte] Innanzitutto, tutti devono ricordare che la Chiesa tiene e insegna come dogma della fede di rivelazione divina che il tempo per meritare o demeritare o, come si dice, lo stato di via con il quale ci muoviamo verso il fine eterno, finisce con la morte e che non c’è, dopo la vita che viviamo sulla terra, un’altra vita alla quale l’uomo potrebbe guardare per la propria salvezza. “È stabilito per gli uomini”, dice l’Apostolo, “che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (Eb 9, 27) 1. Immediatamente dopo la morte, come i sacri concili hanno insegnato più di una volta, le anime di quelli che muoiono in stato di grazia di Dio senza niente da espiare per quanto hanno fatto od omesso di fare o, nel caso avessero qualcosa per cui espiare, dopo essere stati purificati, vengono ricevuti in cielo. Quelli che invece muoiono in stato di peccato mortale attuale o in stato di peccato originale soltanto, discendono negli inferi per venire puniti con diversi castighi. 2

I fedeli devono perciò sapere che la dottrina della reincarnazione o metempsicosi è falsa ed esecrabile 3, e devono assolutamente evitarla e con tutta l’anima cercare di seguire l’ammonimento dell’Apostolo: “Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene” (Gal 6, 10), sforzandosi di ricordare le parole: “Poi viene la notte” dice il Signore, “quando nessuno può più operare” (Gv 9, 4).

52. [Il castigo dei dannati sarà senza fine] Non bisogna considerare solo la divina misericordia verso quelli che si salvano; bisogna anche riconoscere e venerare il mistero della divina giustizia che scenderà su coloro che periscono, cioè su tutti coloro che muoiono in peccato mortale. Perché con fede cattolica bisogna credere che i castighi che soffriranno i dannati nell’inferno, castighi meritati per le loro violazioni della legge eterna, saranno perpetui. “E se ne andranno”, dice il Signore, “questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna” (Mt 25, 46). “Entrambi sono eterni,” dice Sant’Agostino; “così che se la vita eterna dei santi sarà senza fine, anche l’eterno castigo per quelli che vi saranno condannati non avrà certamente fine” 4. Perciò il santo Sinodo rigetta come estranee alla fede cattolica le opinioni di coloro che negano che le pene dei dannati, sia uomini che angeli, saranno senza fine ovvero perpetue 5.Bisogna anche credere con fede che le pene dei dannati che muoiono colpevoli di peccati personali consisterà non solo nella privazione della visione di Dio ma anche, proporzionatamente alla gravità dei loro peccati, nei tormenti della Geenna, cioè del fuoco che, secondo le parole del Signore, è stato “preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt 25, 41). E dopo la risurrezione e il giudizio universale, nel quale tutti dovranno comparire “davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute

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finché era nel corpo, sia in bene che in male” (2 Cor 5, 10) 6, questi tormenti saranno estesi ai corpi dei dannati.

53. [La felicità in Cielo è eterna] Rispetto alla felicità che sarà delle anime dei giusti in cielo, dove non ci sarà alcun male e dove nessun bene sarà nascosto, poiché “Iddio tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21, 4) e darà loro da bere dal torrente delle sue delizie (v. Sal. 35, 9), la santa Madre Chiesa ci insegna che il Signore Gesù ci promise e meritò per noi la vita eterna, e che consiste nella visione del Dio Uno e Trino (v. 1 Cor 13, 12), nel supremo amore (v. 1 Cor 13, 8) e nella gioia indicibile (v. Mt 25, 51; Gv 16, 22). Dio sarà “il compimento di tutti i nostri desideri, perché sarà veduto senza fine, amato senza ripulsa, lodato senza stanchezza. 7

Giungendo a questa gioia, le anime dei giusti otterranno l’inestimabile libertà (Gv 8, 36) che esclude la capacità di peccare 8, e così saranno per sempre con il Signore, certissimi dell’eterna beatitudine che godono.Di questo infinito godimento parlava San Pietro quando disse che siamo rigenerati “per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce … conservata nei cieli per voi … prossima a rivelarsi negli ultimi tempi” (I Pt 1, 4-5).

54 [La risurrezione della carne] Questo beatissimo godimento di Dio non è impedito né sminuito dal fatto che le anime dei beati aspettano la risurrezione dei loro corpi (v. Rom 8, 24) che avrà luogo in quella “rinascita” (Mt 19, 28) nella quale “l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” (1 Cor 15, 26). Con la distruzione della morte per mezzo della risurrezione della carne alla venuta di Cristo 9 alla fine del mondo, non verrà data soltanto la beatitudine dell’anima, ma anche la piena immortalità del corpo. “È necessario infatti che questo corpo corruttibile,” dice l’Apostolo, “si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità” (1 Cor 15, 51), in modo che l’uomo intero, che era perso, sia salvato. “Poiché se a causa di un uomo venne la morte” dice lo stesso Apostolo, “a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti”; “e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1 Cor 15,21-22).

55 [Si raccomanda di riflettere sui novissimi e di fidarsi della misericordia di Dio] Il santo Sinodo esorta fermamente i fedeli a ricordarsi assiduamente dei novissimi in modo da evitare il peccato. Ma se – salvificamente colpiti dal rigore della divina giustizia – si accorgono di avere peccato, devono con tutto il cuore rifugiarsi nella misercordia di Dio e porre le loro fermissime speranze in essa, sapendo che non c’è peccato, per quanto grave esso sia, del quale non possano ottenere perdono per i meriti di Cristo se, mossi e aiutati dalla divina grazia, ritornano con cuore sincero a Dio implorando colui che non vuole che alcuno perisca, ma desidera che tutti abbiano modo di pentirsi (v., 2 Pt 3, 9).

NOTE

1) Il testo dell’Apostolo non è aggiunto in riferimento al giudizio particolare, dato che non è certo che qui parli proprio di esso, ma per confermare la dottrina che dopo la morte l’uomo è portato in uno stato finale e definitivo, dato che muore solo una volta – come Cristo morì una volta sola – e che dopo la morte attende il giudizio.

2) Concilio di Lione: Denz. 464; Concilio di Firenze: Denz. 693; V. Giovanni XXII, Lettera Nequaquam sine dolore, 21 novembre 1323: Denz. 493a, 530; Leone X, Bolla Exsurge Domine, 15 giugno 1520: Denz. 778.

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La dottrina dei concilii è resa quasi parola per parola nel testo; ma invece di dire “in infernum descendunt”, abbiamo preferito scrivere “ad inferos descendunt”, perché, com’è comunemente inteso oggi, la parola “infernum” pare suggerire non solo la pena del danno, ma anche ciò che viene chiamato il dolore dei sensi.

3) Purtroppo, anche oggi molti sostenitori dello spiritulismo e della teosofia aderiscono alla dottrina della reincarnazione.

4) De civitate Dei, XXII, 23; PL 41, 736.

5) L’eternità delle pene dell’inferno si negò una volta e viene negata ora per vari motivi, che sia per tutti o per una parte dei dannati.

6) Anche se 2 Cor 5, 10 si può capire come riferito a ciascuno dei giudizi, particolare o universale, è usato per il giudizio universale nel Simbolo di Fede del Concilio di Toledo II e nella Costituzione Apostolica Benedictus Deus di Benedetto XII, con riferimento alla visione beatifica: Denz. 286 e 531.

7) Sant’Agostino, De civitate Dei, XXII, 30, 1 (PL 41, 802).

8) L’impeccabilità dei beati viene presentata, lasciando ai teologi la questione del modo o dell’intima natura dell’impeccabilità.

9) Che la risurrezione di tutti non avvenga immediatamente dopo la morte ma alla fine dei tempi quando Cristo verrà a giudicare i vivi e i morti è incluso nelle Fonti della rivelazione e nel Magistero della Chiesa in modo che questa verità debba dirsi appartenere alla fede. V. il Simbolo Atanasiano e la Costituzione Apostolica di Pio XII, Munificentissimus Dei, 1 novembre 1950: AAS 42 (1950), 770.

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CAPITOLO XLA SODDISFAZIONE DI CRISTO

56. [Cristo, Verbo di Dio, soffrendo e morendo nella carne assunta, rese vera e propria soddisfazione a Dio per i peccati degli uomini] La Sposa del Divino Redentore, ricordando le parole di San Paolo, “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa” (Ef 5, 25-26), ha sempre con grande gratitudine riconosciuto la Croce del Signore come fonte di ogni bene soprannaturale in terra e in cielo. Con essa e per mezzo di essa il Salvatore ha acquistato la Chiesa con il suo stesso Sangue (Atti 20, 28), ha offerto se stesso al Padre per la salvezza del mondo intero, interceduto per il genere umano con forti grida e lacrime (v. Ebr 5, 7), dato un eroico esempio di tutte le virtù, meritato per la Chiesa l’inesauribile sorgente di grazie, e sovrabbondantemente soddisfatto per i peccati degli uomini. Per questa ragione la Chiesa, nata dal costato del secondo Adamo mentre dormiva sulla Croce 1, non può permettere che il mistero della salvezza venga affatto macchiato da corruzioni dottrinali. A causa degli errori che oggi si spargono e per non venire meno nel suo dovere di Madre e Maestra, conferma in questo secondo Sinodo Vaticano in modo speciale, quale verità a buon diritto da considerare tra le principali verità della religione cristiana, il valore espiatorio della morte di Cristo; e dichiara che il Verbo di Dio, soffrendo e morendo nella natura umana che aveva assunto, veramente e propriamente rese soddisfazione a Dio per i nostri peccati 2. “Tutti hanno peccato” dice l’Apostolo, “e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue” (Rom 3, 23-25) 3

57. [Il peccato è una vera e propria offesa a Dio] Almeno nella presente economia della salvezza, nessun potere creato degli uomini sarebbe stato sufficiente per espiare i crimini degli uomini se il Figlio di Dio non avesse assunto la natura umana bisognosa di venire ristabilita 4. Secondo le parole dello Spirito Santo, il peccato è iniquità ed un offesa a Dio; perché violando la legge divina, il peccatore pecca dinanzi a Dio e lo sdegna, offende la divina maestà e diventa nemico di Dio 5. Similmente ci è insegnato che le nostre iniquità ci separano da Dio, richiamano la punizione dinanzi a Dio, rendono gli uomini debitori a Dio e degni di ira, bisognosi della misericordia di Dio che li riconcilia gratuitamente con se 6. Perciò, per riparare il danno recato alla divina maestà, il Figlio di Dio stesso offrì il proprio sangue all’eterno Padre per mezzo dello Spirito Santo (v. Ebr 9, 14) e così ci riconciliò con Dio per mezzo della sua morte (v. Rom 5, 10). Solo a lui, l’innocentissimo, uguale al Padre per dignità, si addicono le parole di Giovanni Battista, “Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29).

58. [Per mezzo della sua soddisfazione vicaria per tutti gli uomini, Cristo placò la giustizia di Dio] Contemplando l’opera del mirabile amore di Dio e di Cristo per noi, per mezzo della quale è tolto il peccato del mondo, Giovanni l’Evangelista, mosso dallo Spirito Santo, confessa: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv, 4, 10). La propiziazione per i peccati del mondo intero, che è Gesù Cristo stesso, il Giusto (v. 1 Gv, 2, 2), ha veramente avuto efficacia soddisfacente vicaria. Perché non solo il Salvatore “è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti” (1 Pt 3, 18), ma quale nostro Capo e Nuovo Adamo, ha espiato a nome e in vece di tutto il genere umano il peccato originale e le colpe di tutti gli uomini nonché la punizione dovuta, nella misura in cui, soffrendo per amore e ubbidienza, diede molto maggiore gloria a Dio di quanto avrebbe richiesto la ricompensa per tutta intera l’offesa del genere umano 7. Il profeta Isaia cantò di questo ruolo anticipandolo quando parlò del Servo di Jahvè: “si è caricato delle nostre sofferenze, si è

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addossato i nostri dolori” (Is 53, 4). Ancor più apertamente ne dice l’Apostolo: “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti” (Gal 3, 13-14). Perché anche se Dio, nella sua suprema bontà, avrebbe potuto perdonare i peccati che gli uomini avevano commesso contro di lui senza soddisfazione, seguendo soltanto l’inclinazione di un amore misericordioso 8, tuttavia, per dare una manifestazione sovrabbondante della sua misericordia anche nella sua giustizia (v. Rom 5, 20) e per meglio preservare la dignità dell’uomo, preferì mandare il suo Figlio nel mondo, in modo da non giudicare il mondo ma da salvarlo per mezzo di lui, il Dio-Uomo; così non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per tutti noi (v. Rom 8, 32). E Cristo, obbedendo al decreto del suo misericodiosissimo e giustissimo Padre fino alla morte di Croce (v. Fil 2, 8), ci ha “amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore” (Ef 5, 2). Perciò fu concorde la volontà del Padre che decise il sacrificio della Croce per la salvezza del genere umano, con quella del Figlio incarnato che lo offerse; così l’Apostolo poté riassumere l’intero mistero della redenzione con queste parole: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo” (2 Cor 5, 18).

59. [Si condannano opinioni che pervertono il concetto di peccato come offesa a Dio e il concetto di soddisfazione resa da Cristo per noi] Questo Santo Sinodo, attingendo la dottrina dell’umana redenzione dalle più pure fonti della rivelazione divina alla luce del magistero perenne della Chiesa 9, rigetta perciò le opinioni di coloro che, pensando erroneamente che il peccato non rechi vera offesa a Dior, osano sostenere che il sacrificio di Cristo sulla Croce non abbia avuto valore o efficacia se non di tipo esemplare, meritorio e liberatorio, e non il valore di vera e propria soddisfazione per crimini umani, come se ciò fosse ripugnante alla giustizia divina, mentre invece si accorda sommamente sia con la misericordia che con la giustizia dell’Eterno Padre. 10

NOTE

1) Leone XIII, enciclica Divinum illud, 9 maggio 1897: ASS 29 (1897), 649.

2) Concilio Vaticano, Schema secundae Constitutionis dogmaticae De Fide catholica, can. IV, 3, sul Mistero del Verbo Incarnato: “Se qualcuno negasse che il Verbo di Dio stesso, soffrendo e morendo nella carne assunta, fece vera e propria soddisfazione a Dio per i nostri peccati meritando per noi la grazia e la gloria, oppure osasse affermare che la soddisfazione vicaria dell’unico Mediatore di tutti gli uomini, sia ripugnante alla giustizia divina: A.S.” (Mansi 53, 294).

3) V. ad es. Fr. Ceuppens, Quaestiones selectae ex Epist. S. Pauli (1951), pp. 32-36. – Con San Tommaso e, tra esegeti più recenti, M.-J. Lagrange, A. Lemonnyer, J. Sickenberger, G. Ricciotti, il distinto autore rende l’idea dell’Apostolo in questo modo: “Da tutta l’eternità Dio volle mostrare Cristo come vittima espiatoria e propiziatoria e che l’uomo partecipasse alla sua espiazione attraverso la fede nel sangue, cioè nell’efficacia del sangue di Cristo, la quale fede conduce l’uomo alla giustificazione” (p. 34).

4) V. Pio XI, enciclica Miserentissimus Redemptor, 8 maggio 1928: AAS 20 (1928) 170.

5) V. 1 Gv 3, 4; Ps 50, 6; Lc 15, 18; 1 Re 2, 30; Dt 9, 23; Ez 20, 8; 20, 21; Rom 5, 10.

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6) V. Is 59, 2; Gen 4, 10; Giac. 5, 4; Rom 12, 19; Mt 6, 12; Ef 2, 3; Rom 3, 23; Col 1, 21.

7) San Tommaso, Summa theol., III, q. 48, a. 2: “Soffrendo per amore e ubbidienza, Cristo offrì ancor più a Dio di quanto sarebbe stato richiesto per compensare le offese di tutta la razza umana”.

8) San Tommaso, Summa theol., III, q. 46, a. 2, ad 3m: “Se Dio avesse voluto liberare l’uomo senza alcuna soddisfazione, questo non sarebbe stato contrario alla giustizia … Dio, tuttavia, non ha superiori, ma è egli stesso il bene supremo e commune di tutto l’universo. Perciò, se perdona il peccato, che ha la natura della colpa perché commesso contro di lui, non fa torto a nessuno”.

9) Sarà utile ricordare:a) Tra i Santi Padri:

Sant’Agostino, Contra Faustum, XIV, 4: PL 42, 297: “Cristo prese su di sé il nostro castigo senza colpa, in modo da potere liberarci dalla colpa e mettere fine al nostro castigo”; De Trinitate, IV, 13, 17: PL 42, 899: “Per mezzo della sua morte nell’unico vero sacrificio offerto per noi, fu purificata, abolita ed estinta qualunque colpa per la quale i principati e le potestà giustamente ci tenevano per punirci”. San Gregorio Magno, Moralia, XVII, 30, 46: PL 76, 33: “[Il Figlio di Dio] si sacrificò per noi, perché offrì il suo corpo al posto dei peccatori come vittima senza peccato, che poteva sia morire nell’umanità che purificare per mezzo della sua giustizia”.

b) Tra i Dottori della Chiesa: San Tommaso, Summa theol., Suppl., q. 13, a. 1: “La soddisfazione non corrisponde

al peccato se non in quanto questo è un’offesa a Dio”.c) Il Magistero della Chiesa: Concilio di Efeso: Denz. 122): “Se qualcuno dicesse che il Verbo di Dio si offrì per se

stesso anziché per noi soltanto … A.S.”. Concilio di Trento, sessione V, decreto sul peccato originale: Denz. 790, parlando dei

meriti di Gesù Cristo “che ci ha riconciliati con Dio … [ed è] diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 30). Leone XIII, enciclica Tametsi futuraa, 1 novembre 1900: ASS 33 (1900-1901), p. 275: “quando giunse il tempo da Dio prestabilito, l’unigenito Figlio di Dio, fatto uomo, soddisfece, sovrabbondantemente e fecondissimamente per gli uomini, col proprio sangue la maestà offesa del Padre, e fece così proprietà sua il genere umano riscattato a così alto prezzo”;Pio XII, enciclica Orientales Ecclesiae, 15 dicembre 1952: AAS 45 (1953), p. 13: “Per propiziare la divina maestà offesa da tali e tante ingiurie e offese”.

10) F. Ceuppens riferisce testi adatti da entrambi i Testamenti per dimostrare che la giustizia distributiva, che solo in Dio contiene la giustizia remunerativa e vendicativa, formalmente si addice a Dio (De Deo Uno, vol. I (1938), pp. 226-227).V. anche gli atti presinodali del Concilio Vaticano, citato alla nota 2; Pio XII, enciclica Humani generis, 12 agosto 1950 (AAS 42 (1950), 570): “Né basta; poiché, messe da parte le definizioni del Concilio di Trento, viene distrutto il vero concetto di peccato originale e insieme quello di peccato in genere, in quanto offesa di Dio, come pure quello di soddisfazione data per noi da Cristo”;Pio XII, enciclica Haurietis aquas, 15 maggio 1956: AAS 48 (1956), p. 322, dove si riferisce al testo di San Tommaso, Summa theol., q. 46, a. 1, ad 3: “[...] la liberazione dell’uomo, mediante la passione di Cristo, fu conveniente sia alla sua misericordia che alla sua giustizia.

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Alla giustizia anzitutto, perché con la sua passione Cristo soddisfece per la colpa del genere umano: e quindi per la giustizia di Cristo l’uomo fu liberato. Alla misericordia, poi, poiché, non essendo l’uomo in grado di soddisfare per il peccato inquinante tutta l’umana natura, Dio gli donò un riparatore nella persona del Figlio suo”. Sant’Agostino, De Trinitate, XIII, 10, 13 (PL 42, 1042), dimostra che per liberare il genere umano Dio“aveva la possibilità di fare uso di un altro modo; ma … non c’era né vi sarebbe potuto essere un altro modo più conveniente per risanare la nostra miseria”. V. A. Hacault, La satisfaction du Christ-Jésus à la lumière de l’Encyclique Humani generis" (Montréal, Canada, 1960). Acta et Documenta Conc. Oecum. Vat. II Appar., Ser. I, vol. IV, P. I, t. 2, pp. 355-363

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