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23 CAPITOLO DUE - RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DEL TERRITORIO 2.1 Cartografia ufficiale Il territorio nazionale italiano è coperto da un rilievo topografico, redatto inizialmente per scopi militari dall'Istituto Geografico Militare (IGM), che ne cura tutt'ora l'aggiornamento. La cartografia, in stampa a quattro colori, viene distribuita dall'IGM, censurata di tutti gli elementi di valore strategico; il suo elemento base è il "Foglio", in scala 1/100.000, che rappresenta un trapezio ellissoidico delimitato da archi di parallelo di ampiezza 30' (che ne costituiscono i margini superiore ed inferiore) e da archi di meridiano di ampiezza 20' (che ne costituiscono i margini laterali): l'orientamento è con il nord verso l'alto. L'intero territorio italiano è coperto da 277 fogli (fig. 2.1.1). Nella rappresentazione la superficie del geoide viene resa sul piano del Foglio attraverso una proiezione delle coordinate geografiche IGM40 sull’ellissoide internazionale (Hayford), orientato su Roma M. Mario, secondo le acquisizioni della carta di Gauss (coordinate Gauss-Boaga): ciascun Foglio risulta così sviluppato in un trapezio isoscele di altezza pressoché costante di circa 37 km e basi variabili fra circa 38 km (all'estremo nord Italia) e circa 45 km (all'estremo sud Italia). L'errore massimo sulle distanze risulta del 4/10.000 (in riduzione al centro delle carte ed in aumento ai margini). L'I.G.M. ha suddiviso i Fogli in "Quadranti", che ha distribuito in commercio in forma cartacea in scala 1/50.000; i Quadranti sono individuati dal numero del foglio di appartenenza, seguito da un numero romano

CAPITOLO DUE - RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DEL … · La cartografia, in stampa a quattro colori, viene distribuita dall'IGM, ... non come base per carte tematiche a scala territoriale

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CAPITOLO DUE - RILIEVO E RAPPRESENTAZIONE DEL TERRITORIO

2.1 Cartografia ufficiale

Il territorio nazionale italiano è coperto da un rilievo topografico, redatto inizialmente per scopi militari dall'Istituto Geografico Militare (IGM), che ne cura tutt'ora l'aggiornamento.

La cartografia, in stampa a quattro colori, viene distribuita dall'IGM, censurata di tutti gli elementi di valore strategico; il suo elemento base è il "Foglio", in scala 1/100.000, che rappresenta un trapezio ellissoidico delimitato da archi di parallelo di ampiezza 30' (che ne costituiscono i margini superiore ed inferiore) e da archi di meridiano di ampiezza 20' (che ne costituiscono i margini laterali): l'orientamento è con il nord verso l'alto.

L'intero territorio italiano è coperto da 277 fogli (fig. 2.1.1). Nella rappresentazione la superficie del geoide viene resa sul piano del

Foglio attraverso una proiezione delle coordinate geografiche IGM40 sull’ellissoide internazionale (Hayford), orientato su Roma M. Mario, secondo le acquisizioni della carta di Gauss (coordinate Gauss-Boaga): ciascun Foglio risulta così sviluppato in un trapezio isoscele di altezza pressoché costante di circa 37 km e basi variabili fra circa 38 km (all'estremo nord Italia) e circa 45 km (all'estremo sud Italia). L'errore massimo sulle distanze risulta del 4/10.000 (in riduzione al centro delle carte ed in aumento ai margini).

L'I.G.M. ha suddiviso i Fogli in "Quadranti", che ha distribuito in commercio in forma cartacea in scala 1/50.000; i Quadranti sono individuati dal numero del foglio di appartenenza, seguito da un numero romano

I, II, III, IV (a partire da quello in alto a destra e procedendo in senso orario). Questa cartografia, da tempo irreperibile, non è stata più aggiornata da molti decenni.

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Fig. 2.1.1 Suddivisione della carta d'Italia alla scala 1:100.000

Per i progetti infrastrutturali la scala 1/100.000 è raramente utile, se non come base per carte tematiche a scala territoriale (come sarà precisato nel seguito); l'aggiornamento, d'altronde, è scadente ed è stato sospeso da alcuni decenni, allorché si è intrapresa una nuova restituzione. Infatti è stata messa in produzione una nuova Carta d'Italia in scala 1/50.000, di taglio aderente al

sistema unificato europeo ED 50, secondo il quale ciascuna carta, resa

nella rappresentazione del sistema nazionale Gauss-Boaga a cinque colori, è delimitata dalle trasformate di paralleli e meridiani aventi una differenza in latitudine di 12' ed in longitudine di 20'. (fig. 2.1.2)

Fig. 2.1.2 Suddivisione della carta d'Italia in scala 1:50.000 nel sistema unificato europeo ED 50

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Quest’ultima è spesso utile per studi di fattibilità di infrastrutture di notevole impegno territoriale, unitamente ad un'altra serie di carte, in scala 1/25.000, prodotta e diffusa sempre dall'I.G.M.. Queste ultime carte, denominate "Tavolette", sono estratte per quartatura dai Quadranti 1/50.000 (serie, derivata dai Fogli in scala 1/100.000, non più in produzione), di cui assumono la denominazione, seguita da NO (Nord-Ovest), SO (Sud-Ovest), SE (Sud-Est) ed NE (Nord-Est), che ne individua la collocazione (fig. 2.1.3).

FOGLIO AL 100 . 000

IV

QUADRANTE

I

III II

SUDDIVISIONEDELLE

TAVOLETTEAL 25.000

NO NE

SO SE

AL 50.000

Fig. 2.1.3 Suddivisioni del foglio alla scala 1:100.000 della carta d'Italia

Anche per le Tavolette l'aggiornamento (la cui data è riportata sul

margine di ciascuna di esse) è insoddisfacente; d'altra parte l'interesse strategico che indusse l'I.G.M. a compilarle è di molto ridotto dai mezzi ben più sofisticati disponibili attualmente per il controllo continuo del territorio; invero, grazie all'impegno di altri enti civili (prevalentemente le Regioni), sono stati registrati su di esse (con diversa evidenza tipografica) gli aggiornamenti più rilevanti: le Tavolette così integrate sono spesso utilizzate dal progettista infrastrutturale per i suoi scopi.

In tutta la descritta cartografia ufficiale la rappresentazione altimetrica del suolo è resa con curve di livello ad equidistanza corrispondente (in metri) ad 1/1000 del denominatore della scala.

In forma simbolica sono riportate varie ed interessanti informazioni sull'uso del suolo, sulle infrastrutture esistenti ecc; molto utili risultano altresì alcune informazioni sulla toponomastica.

Da tutt'altra finalità ha avuto origine un'altra serie cartografica ufficiale, disponibile per l'intero territorio nazionale: la carta catastale.

Gli scopi primari di questa cartografia sono: - definizione dei limiti di proprietà del suolo; - registrazione dell'uso dello stesso, a fini fiscali; - individuazione dei manufatti sul territorio.

Nondimeno le carte catastali hanno anche qualche utilità per il progettista infrastrutturale, che verrà chiarita nel seguito; possono

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essere acquisite (di norma in scala 1/4000 e 1/2000 per le zone rurali ed 1/1000 per quelle urbanizzate) presso gli uffici periferici del Ministero delle Finanze (Uffici Tecnici Erariali - UTE).

La proiezione in piano per la costruzione delle carte catastali si è avvalsa del sistema “afilattico” Cassini-Soldner, che consente di ridurre l'errore nel calcolo delle superfici, ma richiede una trasformazione delle coordinate (ben nota ai topografi) per trasferire le sue informazioni sulla cartografia tecnica, o viceversa.

Le carte catastali esistenti forniscono una rappresentazione esclusivamente planimetrica, senza alcuna indicazione di quote; inoltre la stessa simbologia, salvo quella strettamente attinente al regime proprietario dei suoli (confini e numerazione delle particelle, riferita ad un archivio delle generalità del proprietario), è tanto scarna da renderle pressoché inservibili per il riconoscimento del territorio (strade, fossi ecc.). L'aggiornamento viene compiuto trasferendovi periodicamente (alla presa in carico dell’atto di compravendita) i tipi di frazionamento, che accompagnano i passaggi di proprietà di porzioni di particella; contemporaneamente, mediante voltura, viene registrata nell’archivio la nuova intestazione della ditta. La periodicità della registrazione degli aggiornamenti e dell’accertamento d’ufficio delle variazioni nella destinazione d'uso tende ad allungarsi con l'accrescersi del carico di lavoro degli uffici ed il decrescere della loro efficienza: anche per le carte catastali, in definitiva, la condizione attuale è largamente insoddisfacente e crea non pochi problemi al progettista infrastrutturale, oltre che danni erariali.

Nondimeno per il catasto è in corso da anni una ristrutturazione, al termine della quale il rilievo sarà reso disponibile in forma numerica, aggiornabile in tempo reale, e conterrà anche alcune indicazioni altimetriche.

Come è facile desumere dalle brevi precedenti note, la condizione della cartografia ufficiale italiana è carente sia sotto il profilo delle scale di rappresentazione, che risultano utili solo per informazioni di ampio respiro, sia (soprattutto) per l'aggiornamento.

In effetti una cartografia è un censimento del territorio a cui essa si riferisce: come tutti i censimenti, ha piena validità nel momento in cui viene eseguita, ma perde con il trascorrere del tempo valore informativo immediato, per trasformarsi in documento storico. Il processo d'invecchiamento è tanto più rapido quanto più sono rilevanti nell’area rappresentata gli effetti indotti da eventi naturali e soprattutto quanto più vivaci sono le iniziative di trasformazione fondiaria, di espansione edilizia, di sviluppo turistico; in definitiva, l’obsolescenza è lenta quando il territorio è in una fase di stabilità (geologica, sociale ed economica), è repentina quando l’area è investita da sensibili dissesti naturali e da un rapido sviluppo antropico.

L'esperienza, recepita anche in documenti internazionali (ad esempio: la risoluzione dell'ONU del 19/2/1948), insegna che l'affidabilità della cartografia disponibile di un paese è un indice sintetico del suo grado di sviluppo sociale, civile ed economico: infatti la possibilità di usufruire di informazioni precise ed immediatamente utilizzabili sulle caratteristiche geografiche, morfologiche e topografiche di un territorio, sulle sue

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risorse naturali ed economiche, sulla sua rete di comunicazioni, sulle industrie e sul grado di antropizzazione è alla base di ogni studio o programma di sviluppo, in particolare nel settore infrastrutturale. Per fortuna la tecnica di rilevamento, su base aerofotografica ed aerofotogrammetrica, si va sviluppando rapidamente, in parallelo ai mezzi tecnici di trattamento dei dati. Ciò consente di abbattere tempi e costi della restituzione cartografica, offrendo l'opportunità agli enti territoriali di programmazione di dotarsi di cartografia tecnica e di curarne l'aggiornamento.

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2. 2 Cartografia tecnica.

Il D.P.R. 15/1/72 n° 8 trasferì alle Regioni a statuto ordinario, fra l'altro, il controllo, la programmazione e la pianificazione del territorio; allo scopo di ottemperare a tale responsabilità solo recentemente quasi tutte hanno ritenuto opportuno farsi carico della redazione di cartografia tecnica (in scala 1/5000 e/o 1/10000) e del suo aggiornamento; già precedentemente una molteplicità di Enti (Comuni, Province, Comunità montane, Consorzi idrici e di bonifica, Autorità di bacino, ecc.), per rispondere alle funzioni territoriali (generali e settoriali) che sono a loro attribuite, avevano programmato ed eseguito rilievi delle aree di competenza, a scala adeguata alle rispettive esigenze (di norma 1/2000 e/o 1/1000); nondimeno questi Enti sono generalmente distratti negli aggiornamenti.

Un prezioso contributo tecnico-scientifico alla standardizzazione della cartografia tecnica ha fornito, fin dal 1935, la Commissione Geodetica Italiana (CGI): allo scopo essa ha formalizzato norme-guida per l’esecuzione ed il collaudo ed un ampio ed utilissimo catalogo dei simboli.

Recentemente le amministrazioni più avvedute, in aggiunta alla cartografia aerofotogrammetrica, ne hanno prodotta e resa disponibile in formato digitale una ortofotografica, che agevola l'aggiornamento e consente l'istituzione e lo sviluppo di veri e propri sistemi informativi territoriali.

Qualunque sia la forma di resa, la cartografia tecnica (di regola) si avvale, quale base documentale, del rilievo aerofotografico; integrazioni, approfondimenti locali o aggiornamenti di documenti esistenti, sono effettuati talvolta con operazioni celerimetriche di campagna.

La copertura fotografica aerea viene eseguita con camere metriche grandangolari istallate su speciali velivoli; questi operano a quota relativa controllata, che determina la scala media del fotogramma e gli altri principali dati metrici (Tabella 2.1) che qualificano la cartografia tecnica.

Di norma la rappresentazione adotta il sistema Gauss-Boaga; nelle recenti applicazioni si usa assumere un taglio conforme al sistema unificato europeo ED 50, basato sulla suddivisione della nuova carta d'Italia in scala 1/50.000: ogni foglio alla scala 1/10.000, denominato "Sezione", è delimitato dalle trasformate di paralleli e meridiani aventi rispettivamente una differenza in latitudine di 3' ed in longitudine di 5' (la Sezione copre 1/16 del quadrante della carta alla scala 1/50.000); ogni foglio alla scala 1/5000, denominato “Elemento”, è un quarto del precedente.

La cartografia ortofotografica (adottata in sostituzione o in aggiunta a quella aerofotogrammetrica), migliorando geometricamente e mantenendo intatto il contenuto originale delle informazioni raccolte dall'aerofotografia, risulta uno strumento di consultazione prezioso, utilizzabile anche come riferimento certo di una situazione fedelmente documentata; è un utile supporto per la progettazione infrastrutturale.

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Tabella 2.1: Dati della ripresa aerea per la cartografia tecnica

Scala della carta

1/5.000 1/10.000

Quota relativa di volo m 2.000 3.000

Scala media dei fotogrammi 1/13.000 1/20.000Dimensione del lato L del quadrato del terreno,

fotografato in un singolo fotogramma m 3.000 4.600 Superficie del terreno compreso in un

fotogramma ha 900 2.100

Ricoprimento longitudinale 60% 60%

Ricoprimento trasversale 20% 20%

Base di presa (b) 1.200 1.850

Intervallo laterale tra gli assi di strisciate contigue (i) m 2.400 3.700

Superficie della zona relativa a un modello (S) ha 360 850

Superficie utile (0,75 S) ha 270 640

Numero di fotogrammi necessari per 100 kmq 35 15

Dimensione lineare del più piccolo particolare riconoscibile nel fotogramma m 0,30 0,50

Precisione della determinazione della quota di un punto m ±0,30 ±0,45

Precisione della determinazione planimetrica di un punto m ±0,20 ±0,35

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2.3 Rilievi topografici “ad hoc” La progettazione infrastrutturale, ha esigenze di dettagliata, aggiornata

ed affidabile conoscenza del territorio: di norma, impone l'esecuzione di rilievi specifici.

Invero lo studio di fattibilità (preliminare all’avvio della fase tecnica della progettazione - Capitolo 4), per scala e dettaglio, frequentemente consente di usufruire di cartografia tecnica disponibile; il progetto preliminare in casi sporadici può essere redatto su cartografia esistente o sviluppabile da avioriprese disponibili, a condizione che questo materiale sia in scala adeguata alle esigenze tecniche, nonché che sia sufficientemente aggiornato in relazione alla dinamica urbanistica del territorio; molto più spesso è necessario produrre “ad hoc” tanto la ripresa aerea quanto la restituzione fotogrammetrica. Detta esigenza, infine, si presenta quasi costantemente per i progetti definitivo ed esecutivo; spesso, anzi, per entrambe il rilievo dedicato (a scala dettagliata) necessita di integrazioni di particolari plano-altimetrici (da eseguirsi in campagna), per lo studio e la risoluzione di specifici problemi.

Le scale del rilievo sono fissate dal progettista, in relazione al grado di progettazione ed alla complessità del rapporto dell'opera con il territorio, comunque nel rispetto dei minimi prescritti dal regolamento (DPR 554/99), che sono: A) per i tronchi

• progetto preliminare: 1/5.000, con quadro d’unione 1/10.000 • progetto definitivo: 1/2.000, con quadro d’unione 1/5.000 • progetto esecutivo: 1/1.000 o almeno doppia di quella del progetto

definitivo B) per i nodi

• progetto preliminare: 1/2.000 • progetto definitivo: 1/500, ovvero 1/200 per le componenti edili • progetto esecutivo: almeno doppia di quella del progetto definitivo.

Per i rilievi "ad hoc" si fa ricorso prevalentemente alla tecnica dell'aerofotogrammetria, per la flessibilità, la relativa rapidità e l’economicità del sistema; il materiale fotografico di base, inoltre, è in grado di fornire al progettista una molteplicità di informazioni fondamentali per le sue scelte.

Il rilievo rappresenta in ogni caso una importante voce di spesa per il progetto: a titolo indicativo si può considerare che, a valori attuali, il volo e la ripresa fotografica hanno un costo complessivo di € 1000÷2500, alquanto indipendente dall’estensione e dalla scala della levata; il costo della restituzione cartografica è molto variabile in ragione (gradatamente) della scala richiesta per la cartografia, della natura morfologica e della copertura vegetale del suolo, nonché (in minor misura) della forma della rappresentazione (numerica o grafica).

Per estensioni limitate ovvero in appoggio ed a specificazione locale di una cartografia aerofotogrammetria più ampia si eseguono talvolta (e più economicamente) restituzioni di rilievi di campagna (tacheometrici) Il prezzo, di solito, viene riferito all'ettaro reso e può essere valutato

in prima approssimazione fra i seguenti limiti:

Rilievo Scala Costo €/ha1/10.000 2÷3 1/5.000 4÷6 1/2.000 25÷35 1/1.000 45÷100

Aerofotogrammetria

1/500 125÷200 1/1.000 150÷300 1/500 400÷600

Tacheometria 1/200 750÷900

Per fortuna più cresce l'esigenza progettuale di dettaglio del rilievo

(quindi di rapporti elevati di scala) più può essere ridotta l'estensione della rappresentazione.

La restituzione fotogrammetrica è una tecnica che si basa sulla fisiologia dell'umana visione stereoscopica: il processo di percezione visiva si sviluppa a partire dall'occhio e si conclude nel cervello, che elabora gli stimoli per trasformarli in immagini; la visione stereoscopica si produce per la fusione nel sistema cerebrale di due immagini dello stesso oggetto leggermente diverse, perchè colte (visione binoculare) da punti distanti tra 56 e 72 mm (distanza interpupillare). Il sistema sensoriale della visione è in grado di gestire la misura dell'angolo parallattico α fra i raggi convergenti nello stesso punto, (fig. 2.3.1) ed anche della sua variazione.

32

Fig.2.3.1 Il sistema telemetrico umano.

La percezione stereoscopica può essere creata artificialmente attraverso la visione binoculare simultanea di due prospettive (o fotogrammi) dello stesso oggetto, riprese da due punti di vista distanziati.

Ciascun fotogramma è generato geometricamente da una stella di raggi che, appoggiandosi al fuoco dell'obiettivo e agli infiniti punti

dell'oggetto, intersecano il piano della lastra sensibile; questa assume la funzione che nella percezione visiva è assegnata alla retina. La coppia di fotogrammi utile per la visione stereoscopica di un territorio è ripresa in sequenza nella levata aerea: nella zona di sovrapposizione, si stabilisce una corrispondenza biunivoca fra ogni punto del territorio e la coppia di raggi vettori congiungenti il punto stesso con i fuochi dell’obiettivo (nelle due collocazioni assunte da questo negli istanti di ripresa).

L'operazione inversa della presa, che chiameremo brevemente restituzione, consiste nell’eseguire la proiezione delle immagini dei due fotogrammi: per ogni punto si generano, in due fasci, raggi omologhi, che intersecandosi individuano nello spazio la posizione del punto. La restituzione può essere compiuta dall'occhio umano attraverso appositi visori binoculari, detti stereoscopi (fig. 2.3.2), ovvero da un operatore con speciali apparecchiature (restitutori), che trasferiscono le informazioni desunte nei rilievi aerofotogrammetrici.

E' ovvio che la ricostruzione della posizione di ciascun punto avviene correttamente se i fotogrammi non presentano distorsioni ed se al momento della restituzione la coppia è posizionata nello stesso rapporto che si era determinato all'istante della presa. Per l'affidabilità delle misure nelle applicazioni quantitative occorre cioè che sia definita con estrema precisione, per ciascun fotogramma, la posizione del centro di proiezione (fuoco dell’obiettivo) e l'orientamento dell'asse di proiezione (congiungente il fuoco con il punto centrale dell'immagine).

d

BOSSERVATORE

immagine virtuale

fotogrammi positivi

Fig. 2.3.2 Relazione tra prese fotografiche ed osservazione stereoscopica.

Le basi teoriche del processo di restituzione e le tecniche di sviluppo ei rilievi aerofotogrammetrici sono complesse ed esulano dalla presente

33

34

trattazione (si rinvia chi volesse approfondirle ai testi specializzati di topografia). In questa sede si vuole solo evidenziare che la restituzione richiede, per ciascuna coppia di fotogrammi, un appoggio sulle coordinate al suolo di almeno tre punti, che siano chiaramente distinguibili nell’immagine; queste coordinate vengono rilevate (georeferenziazione) con operazioni di precisione in campagna, a partire da riferimenti della rete topografica nazionale; nella pratica si preferisce disporre di elementi sovrabbondanti (oltre il minimo di tre punti per coppia) per mediare gli errori residui; salvo questi, che vanno compensati, si può procedere anche orientando un fotogramma sul precedente già georeferenziato, portandone a coincidere almeno cinque punti nella zona di sovrapposizione: in questo modo, con procedimenti analitici è possibile referenziare il secondo fotogramma sul primo e contemporaneamente determinare le coordinate spaziali del fuoco di presa dello stesso.

I problemi pratici che si pongono al progettista infrastrutturale nella programmazione del rilievo sono essenzialmente due: la scala e l'estensione.

La scelta di scala, nel rispetto dei minimi regolamentari, è legata all'incidenza dei vincoli fisici sulle soluzioni progettuali: l’estensione deve comprendere tutta la zona in qualche modo relazionata al progetto e cioè: - nel preliminare, l’area spazzata da tutte le alternative di tracciato da

esaminare; - nei successivi gradi(definitivo ed esecutivo), la fascia più o meno ristretta

entro la quale si presume siano comprese le opere di progetto (incluse quelle fuori sede viaria) ed i manufatti che si ipotizza possano subire risentimenti in seguito alle lavorazioni e/o alle immissioni nocive, in corso d’opera e/o in esercizio.

La levata aerofotografica si effettua con l'uso di aeromobili di alta stabilità e manegevolezza, in grado di operare in una vasta gamma di quote (1500÷7500 piedi): essi sono equipaggiati con speciali apparecchiature fotografiche (analogiche o digitali), la cui tecnologia è in costante e rapida evoluzione; queste fotocamere, di norma, sono sospese su snodi cardanici, che consentono, indipendentemente dall'assetto dell'aereo, di assicurare una costanza di direzione all'asse dell'obiettivo (prossima alla verticalità) e dei fotogrammi (circa parallela alla direzione di volo)

Gli obiettivi impiegati sono otticamente complessi, composti anche di 12 lenti, per compensare al meglio le ineliminabili distorsioni; il fuoco è fisso (152 mm, per regolazione all’infinito); per eliminare ogni sbavatura dell'immagine, soprattutto nell’aero-ripresa a bassa quota relativa, si usa inserire nell’apparecchiatura un dispositivo di retro-trascinamento della lastra, operante nel tempo di apertura del diaframma. La successione degli scatti viene comandata automaticamente, con regolazione in funzione della velocità dell'aereo; all'obiettivo sono collegati diversi indicatori, che aggiungono al margine di ogni foto: un numero d’ordine progressivo, data e ora, altitudine dell'aereo,ecc.

Le camere analogiche sono in grado di montare materiale fotografico in lastre di dimensioni 230 x 230 mm, per positivi ad alta definizione dell'immagine (limitata soltanto dalla qualità ottica e dalla grana

dell’emulsione) in bianco e nero o a colori o speciali. Le camere digitali utilizzano quale elemento sensibile uno schermo (di dimensioni uguali alla suddetta immagine analogica) frazionato in pixel (trasduttori in grado di sviluppare cariche elettriche, all’assorbimento di fotoni); si possono utilizzare anche sensori a scansione, che invero sono più propri delle riprese satellitari, che tuttavia, allo stato attuale della tecnologia civile, non sono utilizzabili per la cartografia tecnica.

Per la levata occorre ricercare favorevoli condizioni atmosferiche: limpidezza dell'aria, moderate correnti in quota, assenza di moti convettivi al suolo (che, per diffrazione, possono produrre distorsione delle immagini). Inoltre assume particolare importanza, nella riuscita della ripresa, la posizione del sole rispetto agli oggetti a terra, in relazione alle ombre ed agli assorbimenti di radiazioni dell'atmosfera: per conseguire un risultato ottimale occorre che il sole sia alto sull’orizzonte almeno 30°; ciò pone severe limitazioni, nella collocazione geografica dell’Italia, sia sul periodo dell’anno che sull’ora in cui può essere convenientemente effettuata l’operazione di levata.

La quota relativa prescelta dipende dalla scala desiderata per i fotogrammi, che è legata alle esigenze di restituzione della cartografia: la fig.2.3.3 riporta l'abaco orientativo per la sua determinazione.

Si denomina “strisciata” una successione di aerofoto che assicuri una sovrapposizione di almeno il 60% fra le immagini in serie (fig. 2.3.4.a).

Il piano di volo viene studiato e fissato, in relazione alle esigenze della levata, come successione di strisciate, sovrapposte reciprocamente sui lati di almeno il 20%, quando siano parallele (fig. 2.3.4.b/c), ovvero per una porzione sufficientemente ampia di territorio, quando s’intersechino (fig.2.3.4.d).

Fig. 2.3.3 -Abaco orientativo delle scale dei fotogrammi e delle quote di volo

f = 152 mm

1:4000

1:3000

1:50001:6000

1:8000

1:10000

1:15000

1:20000

1:30000

1:20001:10001:500 1:100001:5000

2280 m

1216 m

456 m

608 m760 m912 m

1520 m

3040 m

4560 m

scala dei fotogramm

i

scala della cartografia

quote di vo lo relativ e

per le restituzioni aerofotogrammetriche 35

I principali dati metrici delle levate aerofotografiche sono riassunti nella tabella di fig 2.3.5.

Nel sistema di georeferenziazione adottato (normalmente Gauss-Boaga) le misure, sia delle distanze che delle superfici, offrono l'affidabilità propria della scala e della precisione dei processi di formazione e resa del rilievo; questo deve essere sottoposto ad un collaudo che ne accerti la qualità: di norma gli errori lineari debbono essere contenuti entro limiti metrici che non possano essere rilevati con una accurata misurazione sulla carta con gli ordinari strumenti.

La restituzione aerofotogrammetrica può essere resa in forma grafica (su supporto riproducibile indeformabile) o numerica; i particolari sono facilmente interpretabili in ogni caso, perchè presentati con simboli, di norma conformi al catalogo compilato dalla CGI.

Le quote altimetriche possono essere registrate in forma di piano quotato, ovvero con l'interpolazione delle curve di livello.

La fig. 2.7 : a) Strisciata; b) c) d) schemi di piani di volo

Fig. 2.3.4: a) Schema di strisciata; b) c) d) tipologia di piani di volo

b )

c )

d )

a)

36

a

bS'

SS - b

H

a

f

s - a

f = 152 mm formato 23x23 cm

Superficie fotogramma (ha) H QUOTA RELATIVA

S scala

fotogramma

Isolato

In

strisciata

In blocco

S lato del

quadrato fotografato

m

b distanza dei punti nadirali

m

a distanza

fra le strisciate

m

Metri

Piedi

1:3000 47,6 19,0 15,2 690 276 552 456 1500 1:4000 84,6 33,8 27,0 920 368 736 608 2000 1:5000 132,2 52,8 42,3 1150 460 920 760 2500 1:6000 190,4 76,1 60,9 1380 552 1104 912 3000 1:7000 259,2 103,6 82,9 1610 644 1288 1064 3500 1:8000 338,5 135,4 108,3 1840 736 1472 1216 4000 1:9000 428,4 171,3 137,0 2070 828 1656 1368 4475 1:10000 529 211 169 2300 920 1840 1520 4950 1:11000 640 256 204 2530 1012 2024 1672 5475 1:12000 826 330 264 2760 1104 2208 1824 5950 1:13000 894 357 286 2990 1196 2392 1976 6475 1:14000 1036 414 331 3220 1288 2576 2128 6975 1:15000 1137 454 363 3450 1380 2760 2280 7475

Fig. 2.3.5 Dati metrici delle levate aerofotografiche

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Nel primo caso, in corrispondenza di una molteplicità di punti significativi viene riportata numericamente la relativa quota: la numerosità dei punti (in relazione alla scala) ed una loro scelta appropriata (in funzione della morfologia del suolo) configurano l'accuratezza del rilievo e della restituzione. Di norma la rappresentazione a piano quotato viene preferita solo per rilievi di dettaglio di zone limitate, funzionali alla risoluzione

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di problematiche specifiche del progetto esecutivo. Molto più diffusa nella progettazione infrastrutturale è la resa a curve di livello in cui, alla indicazione in forma numerica delle quote di alcuni punti particolari, si aggiungono le linee che uniscono i punti di uguale quota assoluta, per valori interi della stessa; il dislivello fra due successive curve di livello, denominato equidistanza, è funzione della scala del rilievo: ordinariamente è pari, in metri, ad 1/1000 del denominatore di questa (25 m per le carte 1/25.000, 1 m per quelle in scala 1/1000, ecc.).

L'andamento delle curve di livello conferisce alla rappresentazione una apparenza plastica, molto utile nella progettazione delle infrastrutture lineari, particolarmente nella fase preliminare, quando l’immediata e corretta lettura del territorio è fondamentale per le scelte di tracciato.

La tecnica informatica mette a disposizione dei progettisti stradali, che li impiegano largamente, softwares per il disegno automatico degli elaborati di progetto: questi presuppongono l’implementazione del rilievo in forma numerica. Ben vero sono disponibili anche strumenti atti a trasformare i grafici in files (digitizers e scanners), ma il loro impiego produce notevoli distorsioni nel corso della lettura e non si presta all’operatività diretta in 3D:

Il progetto ordinariamente è fornito al cliente sia in forma digitale che grafica (generata con l’impiego di plotters); il software di traduzione in immagini grafiche dei files, in corso di gestione informatica e di stampa (plottaggio), è molto complesso ed in rapida evoluzione e perfezionamento; dal punto di vista operativo esso è reso più semplice da una gestione interattiva.

Per la produzione dei rilievi in forma digitale, le informazioni su ciascun punto sono acquisite direttamente dal restitutore e trasferite sul supporto magnetico, che costituisce un archivio di punti topografici: ciascun punto viene memorizzato in un file sequenziale o ad accesso casuale, i cui records contengono: - La sigla di identificazione; - Le coordinate planimetriche X e Y nel riferimento cartografico; - La quota altimetrica Z; - Il codice di provenienza, che può contenere un indice di affidabilità del

punto (rappresentativo del processo adottato per il rilevamento) che entra in gioco negli sviluppi numerici;

- un indice (contatore), assunto pari a 0 quando il punto è isolato nella rappresentazione del rilievo, ovvero, in caso contrario, in grado di indirizzare agli altri punti a cui esso è collegato da linee (es. perimetro di costruzioni, tracce di muri di sostegno, margini di strade e canali, cigli di scarpate ecc).

Nelle immagini elaborate a partire da files di rilievo numerici le indicazioni altimetriche (rese in forma di piano quotato) si traggono direttamente dalla terza coordinata di ciascun punto; per passare alla visualizzazione delle curve di livello si può impiegare apposito software, che gestisce un modello matematico del terreno: appoggiandosi ai punti topografici collocati nello spazio tridimensionale (3D); il processo di elaborazione del modello genera automaticamente una rete di triangoli e, con

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successivi sviluppi, calcola la funzione analitica di una superficie che, appoggiandosi ai punti noti (con tolleranze rapportate al loro indice di affidabilità), simula la morfologia locale del terreno.

La gestione del modello costruito consente di trarre i disegni: - delle curve di livello, mediante l'intersezione con piani orizzontali; - dei profili longitudinali lungo un asse, attraverso l’intersezione con

cilindri a generatrici verticali e direttrice coincidente con la planimetria d’asse;

- delle sezioni trasversali a definite progressive (eventualmente secondo una predeterminata scansione) attraverso le intersezioni del solido stradale e del terreno d’appoggio, alla progressiva di riferimento, con piani verticali perpendicolari alla curva d’asse planimetrica; un software dedicato consente il contestuale calcolo dell’area delle superfici sottese.

La possibilità di determinare analiticamente con qualsivoglia precisione la distanza fra due punti del rilievo gestito in forma numerica e di costruire con qualsiasi equidistanza le curve di livello, potrebbe indurre nell'errore di credere il rilievo stesso più preciso della scala per cui è stato prodotto; ciò è evidentemente errato, se si considera che la restituzione dei files deriva dalle stesse procedure che conducono alla cartografia tradizionale e che queste sono l’unico elemento che determini la significatività e la precisione dei dati rappresentati.

Al progettista che ha ordinato i rilievi ad hoc la ditta specializzata che li ha eseguiti fornisce, unitamente alla elaborazione fotogrammetrica, il materiale fotografico di base della stessa.

L'immagine fotografica analogica si imprime sulla lastra grazie ad un complesso meccanismo di trasformazione chimica di alcuni composti, sensibili all'azione delle radiazioni elettromagnetiche riflesse dagli oggetti colpiti dall'energia solare. Le radiazioni emesse dal sole, comprese in un ampio spettro di frequenze, vengono in parte assorbite dalla superficie terrestre e dagli oggetti ed in parte riflesse. L'occhio umano è in grado di captare e decodificare le radiazioni luminose, che sono una finestra dello spettro elettromagnetico, di lunghezza d’onda 400÷700 nm (nm = nanometro = 10-9 m). La moderna tecnologia del materiale fotografico consente di ampliare selettivamente, oltre il campo del visibile, lo spettro a cui la pellicola (ovvero il sensore ottico delle camere digitali) risulta sensibile; la più frequente estensione interessa il campo dell'infrarosso (700÷900 nm), cui è legato principalmente l’irraggiamento termico: la riflettanza (complemento della capacità assorbente) dei suoli nella gamma di frequenze dell’infrarosso è differenziata a seconda della natura dei terreni, della copertura vegetale, dell'umidità contenuta (sacche d'acqua, falde, ristagni, ecc.) e della eventuale presenza di anomalie nel sottosuolo (cavità, manufatti interrati anche di interesse archeologico, ecc).

Il ricettore nella macchina da presa è costituito dalla lastra di supporto dell’emulsione fotosensibile (apparecchiature analogiche), caratterizzata dalla propria grana, ovvero dal tappeto di trasduttori o pixels. La codifica avviene quindi in ogni caso per punti, aventi densità ottica variabile secondo la grana dell'emulsione o la densità dei pixels: per la nitidezza dell'immagine, anche in

presenza di forti ingrandimenti, è necessario che la grana dell'emulsione o la grandezza del trasduttore elementare (corrispondenti alla dimensione minima dell'elemento distinguibile nell'immagine) siano sottili, in relazione al dettaglio richiesto alla restituzione (quindi alla scala relativa della cartografia fotogrammetrica rispetto ai fotogrammi di base). Essenzialmente le emulsioni sensibili adoperate in aerofotografia sono di quattro tipologie, denominate rispettivamente: pancromatica, infrarosso, colore e falsocolore. Nella fig.2.3.6 sono riprodotte le immagini della medesima porzione di territorio, risultanti da riprese con i suddetti quattro materiali fotografici.

Foto Carl Zeiss da E. Amadesi: Manuale di fotointerpretazione.

Fig. 2.3.6 Immagine di una medesima porzione di territorio, con materiali: a) pancromatico; b) infrarosso; c) colore; d) falsocolore.

Il più frequentemente impiegato in fotogrammetria è il pancromatico, che rende l’immagine in bianco e nero, ma copre completamente ed in maniera equilibrata lo spettro del visibile. La sua lettura è agevolata dal ricchissimo bagaglio di esperienze maturate su questo mezzo.

L'emulsione infrarosso ha uno spettro assai più ampio, specie verso le elevate lunghezze d'onda; di contro, è meno sensibile nella parte media dello

spettro visibile: viene adoperata di norma per ampliare l'informativa di 40

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una foto pancromatica per la fotointerpretazione. Le emulsioni colore coprono in genere la regione dello spettro visibile

attraverso la selezione su tre strati spalmati sullo stesso supporto, ciascuno con un definito campo di sensibilità; il processo di sviluppo e fissaggio li fonde, ricostruendo nuovamente l'intero spettro visibile; l'effetto cromatico può essere molto vario, in funzione del mix dei materiali e dei processi chimici applicati.

Ancora più complesso si presenta l'uso delle emulsioni falsocolore, in ragione della molteplicità degli strati e di speciali procedimenti chimici che consentono di rendere con particolari colorazioni campi dello spettro ben definiti, anche oltre il visibile: un loro corretto uso, tuttavia, coniuga i vantaggi dell'infrarosso con quelli del colore e finalizza la ripresa ad obiettivi specifici di fotointerpretazione.

Tabella 2.2: Principali applicazioni della prospezione fotografica aerea.

Campo di applicazione Scala media fotogrammi

Stagione preferibile

Materiale sensibile

Indagine sull’uso del suolo agricolo 1:30.000÷1:10.000 Primavera

Estate Pancromatico e colore

Analisi Geologica 1:30.000÷1:10.000 Autunno Inverno Pancromatico

Acque fluenti e filtranti superficiali 1:10.000÷1:5.000 Tutte Infrarosso e

Falsocolore

Inventario forestale 1:20.000÷1:5.000 Primavera Autunno

Pancromatico ed infrarosso

Stima dei danni alla vegetazione 1:10.000÷1:1.000 Primavera

Estate Falsocolore Inquinamento idrico ed atmosferico 1:10.000÷1:5.000 Tutte Falsocolore

Inventario impianti industriali 1:5.000÷1:1.000 Tutte Pancromatico Indagine sull’uso del suolo urbanizzato 1:10.000÷1:5.000 Autunno

Inverno Pancromatico e colore

Prospezione archeologica 1:20.000÷1:2.000 Autunno Pancromatico ed infrarosso

Cartografia tematica 1:20.000÷1:3.500 Tutte Falsocolore

Accertamenti catastali 1:10.000÷1:5.000 Autuno Inverno Pancromatico

Individuazione della direttrice stradale 1:10.000÷1:3.500 Autunno

Inverno Pancromatico Localizz. siti d’interesse storico ed ambientale 1:5.000÷1:3.000 Tutte Pancromatico

e colore

Restituzione cartografica 1:10.000÷1:5.000 Autunno Inverno Pancromatico

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La materia della selezione e della resa dei vari materiali fotografici analogici, come pure la tecnologia digitale, trascendono i limiti di questa trattazione, specie se si introduce l’ulteriore variabile dell'uso dei filtri sull'obiettivo (con cui è possibile tagliare alcune parti dello spettro, sia per fronteggiare non perfette condizioni di visibilità atmosferica, sia per ottenere effetti speciali per usi specifici, utilissimi nella fotointerpretazione).

Nella tabella 2.2 sono stati menzionati i materiali che il progettista infrastrutturale deve preferire per i vari scopi che intende perseguire con l'aerofotografia.

Immagini digitali si ottengono, altresì, dalla captazione del riflesso di radiazioni emesse artificialmente da speciali apparecchiature, che operano nelle frequenze radar (12.5 Mhz÷4.0 Ghz): le onde elettromagnetiche emesse dai generatori radar hanno capacità di penetrazione nei mezzi (anche solidi) non conduttivi o semiconduttivi; all’interno di questi, inoltre, esse subiscono attenuazioni, dipendenti dalla natura (grado di fratturazione, composizione granulometrica, ecc.) e dallo stato (addensamento, contenuto di umidità, ecc); sulle superfici di discontinuità fra livelli a contatto dielettricamente diversi subiscono altresì riflessioni. Speciali antenne (monostatiche, se coincidenti con l’emittente, o bistatiche, se differenziate) raccolgono le onde di ritorno, per comporre la radargrafia del mezzo indagato; questa può essere interpretata, per cogliere la presenza di anomalie: in funzione delle capacità dell’apparecchiatura e della natura del mezzo indagato, si ottengono informazioni utili negli ordinari suoli fino a profondità di 3-4 mt.

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2.4 Indagine geologico-geotecnica.

2.4.1 Premessa.

L’accorpamento in un’unica esposizione delle indagini geologica e geotecnica non deve ingannare in ordine alla separatezza delle due problematiche sottese, che peraltro fanno capo a distinte competenze specialistiche (il dottore in geologia la prima, l’ingegnere geotecnico la seconda): il problema geologico attiene alla individuazione delle strutture del suolo, dei tipi litologici (genesi e rapporti) della tendenza alla stabilità dei versanti o viceversa all’evoluzione di questi; il problema geotecnico è limitato alla resistenza ed ai comportamenti delle porzioni di suolo impegnate dal sistema di forze indotte dai manufatti e dall’ambiente circostante le opere.

Alla diversa finalità, tuttavia, corrisponde la coincidenza della maggior parte dei mezzi d’indagine in sito e delle attrezzature di laboratorio.

I risultati attesi da un’indagine geologico-geotecnica ad hoc possono essere di vario tipo: A) Riconoscimento dei terreni presenti e della loro stratificazione e

costituzione; collocazione dei livelli di falda. B) Determinazione delle caratteristiche fisico-meccaniche degli strati

(densità, resistenza a taglio, permeabilità, ecc.). C) Misurazione dello stato sollecitativo dei diversi livelli (pressioni neutre ed

effettive) e della loro deformabilità (o rigidezza).

Ad essi corrispondono differenti categorie di indagini, che nel seguito si esaminano separatamente.

La ricognizione sulla costituzione del sottosuolo e sulla natura dei terreni presenti nelle relative stratificazioni, a fini sia geologici che geotecnici, comporta l’accesso diretto, tramite scavi o mediante perforazioni; il programma d’indagine può aggiungere esplorazioni geofisiche (non distruttive) in grado di estendere ad ambiti più vasti la conoscenza acquisita con l’ispezione diretta.

Gli scavi possono assumere la forma di trincee, pozzi o cunicoli: offrono il vantaggio dell’osservazione del sottosuolo immediata ed in sito (natura dei terreni, giacitura degli strati, costituzione dei giunti, stato di fatturazione, ecc.) e l’opportunità di eseguirvi prelievi di campioni (anche di grandi dimensioni e con il minimo grado di disturbo) e prove geotecniche.

Nei casi ordinari le trincee raggiungono profondità modeste, salvo che si ricorra ad armature e/o sbatacchiature: nelle progettazioni stradali trovano impiego quasi esclusivamente per la determinazione dello spessore della coltre vegetale, in fase di progetto esecutivo.

I pozzi risultano limitati, in quanto a profondità, dal livello dell’eventuale falda e soffrono di un alto costo, determinato:

dalle modalità di scavo, ordinariamente manuale; dalla realizzazione del rivestimento, anche provvisorio; dalla demolizione successiva all’utilizzazione

I cunicoli sono perfino più costosi dei pozzi, quindi trovano impiego in problematiche assai speciali; nondimeno hanno importanti applicazioni nel

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progetto esecutivo delle gallerie, di cui sono praticamente la condizione indispensabile.

Molto più ampio e diffuso è l’impiego delle perforazioni di sondaggio, delle quali si tratta diffusamente nel paragrafo che segue.

2.4.2 Riconoscimento della costituzione del suolo e del sottosuolo

Il riconoscimento dello strato superficiale del suolo si effettua prevalentemente nel sopralluogo ed è agevolato dalla fotointerpretazione, da cui il geologo trae fondamentali indicazioni per la lettura delle stratificazioni e per lo studio di stabilità che gli compete.

Prioritariamente s’intende focalizzare l’attenzione su alcuni problemi inerenti gli strati affioranti, che si propongono in corso di progettazione delle strade (principalmente nella fase esecutiva) e che possono essere risolti a vista e/o con lo scavo di trincee di modesta profondità.

Una particolare indagine riguarda lo strato superficiale umificato, in ordine allo spessore ed alla costituzione: la coltre è un miscuglio di sostanze minerali, in parte inerti (scheletro, dalla varia composizione granulometrica, in funzione della natura della roccia madre e del processo di formazione) in parte nutrienti (generalmente in forma di sali solubili); la sostanza organica proviene dall’accumulo di organismi viventi o parti di essi ed è suscettibile di trasformazioni ad opera di altre specie viventi (pedoflora, composta di attinomiceti, funghi, alghe e batteri, e pedofauna, composta da insetti, collemboli, acari, miriapodi, chilopodi, protozoi, vermi, ecc.).

La trasformazione genera sostanze organiche più semplici, solubili e/o facilmente assimilabili dalle radici delle piante; queste a loro volta agevolano la decomposizione biochimica, con la secrezione di sostanze umificanti.

Le parti organiche ed i nutrienti sono alla base della fertilità del suolo. Rinviando a trattati specifici l’eventuale approfondimento della

materia, si segnala che, in appoggio ad alcune determinazioni concernenti il progetto, si effettuano indagini sui seguenti aspetti pedologici: - spessore della coltre umificata e/o ad alto contenuto (> 5% in peso) di

materiale organico; - complesso assorbente e capacità di scambio: quantità massima di cationi

che il suolo può assorbire (rappresentativo della fertilità minerale); - pH, da cui dipende l’attività biologica del terreno (quindi la capacità

evolutiva della fertilità); - C/N (rapporto carbonio/azoto): indice dell’attività dei microrganismi del

suolo (quindi del grado e dell’intensità della trasformazione biochimica).

Diverso ma altrettanto rilevante interesse presenta la natura dello strato immediatamente sottostante l’humus: infatti esso resta per lungo tempo esposto nel corso dei lavori, dopo lo scotico (taglio e sradicamento della copertura vegetale ed asportazione del terreno organico che l’ospita): questo è in genere la prima operazione della fase costruttiva, necessaria per prendere possesso del sedime e per renderlo agibile alle attrezzature di cantiere; l’esposizione agli agenti atmosferici dello strato sottostante, tuttavia, può

produrre alcuni inconvenienti, in ragione della sua natura geotecnica e

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particolarmente del contenuto di frazioni sottili (dalle sabbie fini alle argille): • Un elevato contenuto di sabbie fini e limi (frazioni della parte bassa della

curva granulometrica, ma poco o moderatamente coesive) dà luogo, per effetto del vento ed in mancanza di sufficiente umidificazione, al rischio d’immissione cospicua e fastidiosa di polveri nell’atmosfera.

• La sensibile plasticità di uno strato ricco di frazioni argillose, quando i contenuti d’acqua sono elevati rende assai problematica la transitabilità dei mezzi operativi, per la notevole perdita di portanza e l’incremento della scivolosità.

Per fronteggiare i suddetti rischi (desumibili dal riconoscimento dei terreni presenti) il progetto deve includere, in fase realizzativa, costosi interventi di mitigazione (consistenti rispettivamente in irrorazioni frequenti, nei tempi secchi, o in ricoperture con materiali aridi, nei periodi piovosi).

Si segnala infine, sempre in ordine all’indagine sui suoli affioranti, che spesso si rende necessario il riconoscimento granulometrico delle alluvioni in alvei interferenti, nonchè dei materiali sciolti delle rispettive sponde: la finalità principale è la valutazione dei rischi locali di erosione. Come è noto infatti le particelle superficiali delle sezioni idrauliche sono soggette a trascinamento ad opera delle correnti, che nel complesso dà luogo all’erosione, ma che si esercita selettivamente sui singoli granuli. Perchè abbia luogo il trascinamento di un granulo (vincolato dalle interazioni al contatto con le altre particelle dell’ammasso), occorre che la corrente la investa ad una velocità superiore alla limite Vp, funzione delle sue caratteristiche dimensionali e mineralogiche (crescente con la dimensione e con il peso specifico del materiale); a titolo puramente indicativo dell’ordine di grandezza di Vp e della sua variabilità, si riportano i seguenti valori, in funzione della natura della formazione investita:

Vp (m/sec) Materiale 0,075 terra sciolta 0,150 argilla tenera 0,300 Sabbie 0,600 Ghiaie 0,900 ciottoli arrotondati 1,200 Ciottoli non arrotondati 1,500 Massi 1,800 rocce mediamente fratturate3,000 rocce compatte

Per l’indagine sugli strati profondi, al di fuori dei rari casi di ispezione

diretta con pozzi e cunicoli, molto diffuso è l’impiego delle perforazioni di sondaggio; queste consentono di: - ricostruire il profilo stratigrafico; - prelevare campioni per il riconoscimento e per le prove geotecniche di

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laboratorio - installare in profondità strumentazioni; - indagare sull’assetto e le qualità delle falde acquifere.

Le perforazioni hanno solitamente forma circolare, Φ 70÷150 mm, e possono raggiungere profondità anche considerevoli: le modalità di esecuzione del foro e gli attrezzi adoperati per eseguirlo incidono profondamente sul possibile utilizzo tecnico del saggio.

Le perforazioni a distruzione del nucleo possono essere eseguite con utensili a percussione e/o caduta, ovvero a rotazione (a secco o a circolazione di fluido): richiedono in genere il rivestimento del foro, o il suo sostentamento con l’immissione di fanghi bentonitici. Il prodotto d’estrazione è praticamente irriconoscibile, trattandosi di materiale sciolto fortemente rimaneggiato o perfino di fango: per questo motivo l’impiego di tale tecnica è limitato alle perforazioni di servizio per l’installazione di strumentazioni, ovvero all’esecuzione di alcune prove in sito direttamente applicate agli strati profondi; a fini di riconoscimento al più essa può essere utile per collocare nel sottosuolo i livelli di strati dalle caratteristiche marcatamente difformi dal contesto (rocce, lenti torbose, materiali soffici, ecc.) di cui sia nota la presenza: l’informazione sulla loro effettiva profondità e potenza (spessore) si desume, in questo caso, dalla resistenza alla penetrazione incontrata dall’attrezzo.

Certamente assai più utile ed impiegata per scopi di riconoscimento è la perforazione a carotaggio continuo (terebrazione): è eseguita con un’attrezzatura rotante (carotiere), costituita da un tubo dotato all’estremità inferiore di una corona tagliente, dalla forte resistenza all’usura; le caratteristiche delle corone (per le quali l’offerta commerciale è ampia), il carico e la velocità di rotazione vanno commisurate alla natura della formazione da aggredire: concorrono al costo del sondaggio ma trascendono i limiti della presente trattazione.

Nella terebrazione si può procedere con l’immissione di acqua nel foro, a scopo di raffreddamento e lubrificazione dell’attrezzo, ovvero a secco (molto più raramente); per preservare la carota dall’azione alterante dell’acqua, nelle perforazioni umide, ovvero dall’essiccamento da riscaldamento, nelle perforazioni a secco, si può ricorrere ad attrezzi a doppio carotiere: trattasi di due cilindri concentrici, di cui quello esterno (rotante e diamantato) provvede al taglio della carota, quello interno (fisso e tagliente) la ospita, salvaguardandola anche dal rimaneggiamento per attrito con la superficie interna della parte rotante.

La carota estratta viene classificata in appositi contenitori (cassette) e messa a disposizione del progettista: non sempre essa copre l’intera profondita del foro, giacchè alcune parti sciolte si scompongono e si disperdono nell’estrazione; nella perforazione dei banchi rocciosi le carote subiscono forti sollecitazioni, che ne determinano la frattura in più tronconi; dalla dimensione di questi si ricava un indice (RQD), rappresentativo sia del grado di suddivisione originaria degli strati che della loro resistenza alla frattura: questo indice è largamente impiegato per la classificazione a fini tecnici della roccia ed è il parametro di accesso alle metodologie empiriche

per il calcolo delle gallerie. Nel corso della perforazione si possono inserire nel foro, a quote

prefissate, apposite e sofisticate apparecchiature (campionatori), che isolano ed estraggono campioni (cosiddetti) indisturbati, che si prestano ad attendibili analisi geotecniche di laboratorio (per le quali si rimanda ai trattati specialistici).

Una diffusa distribuzione di sondaggi, lineare o areale, consente l’interpolazione dell’assetto stratigrafico (mono/bidimensionale), la cui attendibilità è tanto maggiore quanto più serrata è la successione (o la maglia) delle prove e quanto più omogeneo è il sottosuolo.

L’indagine diretta può essere integrata (mai sostituita) da una campagna di prove geofisiche: queste si basano sul principio che alcuni fenomeni fisici, essenzialmente le modalità di diffusione (velocità) e propagazione (riflessioni, rifrazioni, diffrazioni) di fenomeni ondulatori (vibrazioni meccaniche, correnti elettriche, onde elettromagnetiche, ecc.) sono ampiamente dipendenti dalla natura e dallo stato del materiale veicolante.

Immettendo il disturbo nel terreno, mediante apposito diffusore, e raccogliendo la risposta a distanza, con adatti ricevitori, si possono ricostruire modalità e caratteristiche dei percorsi; la programmazione della campagna geofisica deve confrontarsi con le risposte attese e con l’esperienza sui comportamenti dei materiali presenti: il primo elemento di scelta è il fenomeno fisico più rappresentativo per il caso.

Figura 2.4.1 Schemi di prove geosismiche.

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Le vibrazioni meccaniche (prova geosismica) possono essere generate alternativamente: o con l’applicazione in superficie di una piastra vibrante a frequenza

controllabile; o con il rilascio di una massa battente fino all’impatto con la superficie del

terreno; o con esplosione di piccole cariche in superficie o in foro.

I ricettori (sismografi registratori di alta risoluzione) possono parimenti essere collocati alla superficie del terreno o in foro. I principali schemi di prova, che sono caratterizzati dalle posizioni relative di sorgenti e ricettori, sono esemplificati nella figura 2.4.1.

Le possibili modalità di prova sono di seguito sommariamente descritte: a) Metodi SSRW e SASW

La sorgente ed una coppia di ricettori sono collocati in superficie; la sollecitazione verticale vibrante è armonica per il primo metodo, impulsiva (massa battente o minicarica) per il secondo. La sperimentazione (che è diversa per i due metodi, ma sulle cui modalità non si ritiene opportuno attardarsi in questa sede) consente di ricostruire il profilo (denominato “curva di dispersione”) delle velocità delle onde di taglio superficiali, in funzione della lunghezza d’onda dell’impulso λ; il mezzo indagato risulta lo strato superficiale, per uno spessore significativo compreso fra λ/2 e λ/3.

b) Sismica a rifrazione e a riflessione Sorgente (massa battente o minicarica) e ricettori (multipli) allineati in superficie; i metodi d’indagine si basano sulla misura della lunghezza dei percorsi e delle velocità di propagazione delle onde di volume nel mezzo, fra sorgente e registratori.

La multidecennale pratica sui suddetti due metodi consente un’interpretazione utile degli spettrogrammi, nonostante:

• la forte attenuazione con la distanza della perturbazione sismica; • l’assorbimento o almeno il disturbo che deriva dalla presenza di

falde; • la sovrapposizione degli spettri riflessi e rifratti.

Per l’affidabilità della lettura interpretativa è fondamentale, tuttavia, una buona base di conoscenza diretta delle stratificazioni presenti (di cui, ad esempio, l’esperimento geofisico può evidenziare qualche anomalia fra un sondaggio e l’altro, consentendo così un diradamento del passo delle trivellazioni). Sezioni sismo-stratigrafiche molto espressive possono essere elaborate con il nuovissimo metodo della “Tomografia Sismica a Rifrazione”, che prevede l’utilizzazione di uno strumento ad alta risoluzione, l’acquisizione dei dati ad almeno 24 canali e l’esecuzione nella postazione di un numero sufficiente di cicli sollecitativi (almeno 7 scoppi

per sezione sismica).

Di seguito si riporta un esempio grafico della resa di questo metodo, riferito a depositi sedimentari prevalentemente grossolani: si distinguono chiaramente i terreni a diversa velocità di propagazione e, quindi, a diversa densità.

c) Metodi Cross/Down/Up/Bottom-hole Si basano essenzialmente sulla misura delle velocità di propagazione di varie tipologie di onde elastiche nel mezzo interposto fra sorgente e ricettore; hanno lo stesso campo di applicazione, ma maggiore affidabilità, dei metodi a riflessione e rifrazione, rispetto ai quali tuttavia cedono per estensione del campo d’indagine.

La conducibilità elettrica dei terreni è correlata alle loro caratteristiche mineralogiche, fisiche e meccaniche: una formazione rocciosa compatta ha una resistività maggiore di uno strato di materiale sciolto e saturo, ma minore di un banco granulare molto asciutto. L’elemento maggiormente influente è la presenza d’umidità ed il contenuto ionico nella stessa (quantità di sali disciolti).

Le tecniche d’indagine geoelettriche sono varie e generalmente complesse; modernamente si avvalgono di apparecchiature tecnologicamente molto avanzate (che non rientrano tuttavia nella competenza dell’ingegnere infrastrutturista): concettualmente si procede con la generazione di un flusso elettrico nel suolo, attraverso l’applicazione di opposti elettrodi in superficie, ad una certa distanza reciproca (stesa), e con la misurazione dell’intensità del flusso e/o del potenziale in punti intermedi.

Gli spessori di suolo investigati, in quanto influenti sulle misure (che vengono registrate e diagrammate), sono relazionati alla lunghezza della stesa (in misura diversa per le varie modalità operative).

Le più moderne attrezzature consentono anche la costruzione di “Tomografie Elettriche di Resistività e di Polarizzazione Indotta”: queste offrono un’elevata capacità risolutiva, quindi consentono la distinzione dettagliata delle aree di fratturazione e di eventuali cavità e la ricostruzione fedele della stratigrafia del sottosuolo; in tale tecnica l’acquisizione

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dati si avvale di un sistema multielettrodo, che recepisce fino a 476 misure per linea.

Di seguito, si riporta, in scala ridotta, una sezione esemplificativa di tomografia elettrica di resistività, riferentesi ad una pendice in frana.

2.4.3 Collocazione dei livelli di falda.

Per l’individuazione dei livelli delle falde acquifere si installano specifiche attrezzature, denominate “piezometri”; per il loro inserimento nel sottosuolo s’impiegano perforazioni, già eseguite per altri scopi ricognitivi o specificamente predisposte.

I più semplici e rudimentali piezometri consistono in tubazioni fessurate o sfinestrate lungo tutto lo sviluppo (a tubo aperto), solitamente rivestite all’esterno di calza filtrante, per evitare l’intasamento con materiale terroso affluente; i piezometri a tubo aperto sono utili per la collocazione del livello di riposo delle falde freatiche, che viene individuato con un galleggiante e misurato con una rollina metrica rispetto alla bocca (che quindi va topograficamente collocata nelle tre coordinate). Poiché le falde sono soggette ad escursioni episodiche e stagionali, l’osservazione deve essere estesa nel tempo, con ripetute periodiche misurazioni o con l’automatica continua registrazione (piezografo).

Per lo studio dei livelli di risalita delle falde artesiane, fluenti o stagnanti in un ben individuato strato del sottosuolo, è necessario ricorrere ad attrezzature più complesse, permeabili solo in corrispondenza del settore che si desidera indagare; dopo l’istallazione della tubazione nel foro, si esegue l’intasamento dell’intercapedine che la separa dal terreno, mediante cementazione con materiale impermeabile, salvaguardando il solo settore filtrante.

L’osservazione contestuale di una semina areale di piezometri consente la ricostruzione della superficie freatica e quindi (dai gradienti che essa presenta localmente) la dinamica idrogeologica nella zona.

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2.4.4 Determinazione dei caratteri fisico-meccanici degli strati

Le prove di laboratorio sui campioni indisturbati prelevati nei sondaggi si prestano all’individuazione diretta delle caratteristiche geotecniche delle formazioni; nondimeno una campagna che le includa diffusamente risulta molto costosa e lenta (alcune prove richiedono perfino molte settimane per essere eseguite): inoltre essa non sarebbe esaustiva, non solo perchè basata su un campione molto ristretto (perfino rispetto alla colonna a cui i prelievi appartengono) della massa da indagare, ma anche perché i provini sono alterati dalla tecnica di raccolta (per quanto attenta e sofisticata questa possa essere) e soprattutto sono ineluttabilmente sgravati dalla distribuzione di pressioni, effettive e neutre, a cui erano sottoposti in sito. Per ovviare a questa limitazione sono stati introdotti e tecnologicamente perfezionati molti metodi d’indagine, indiretti nella lettura dei risultati, ma rapidi ed applicabili in sito: i loro esiti sono poi stati scientificamente correlati alle caratteristiche geotecniche effettive delle formazioni indagate.

Si descrivono sommariamente nel seguito le più usuali. a) Prove penetrometriche statiche (CPT, CPTU)

La prova penetrometrica statica CPT (Cone Penetration Test) consiste nell’infissione a forza, ad opera di martinetti, di una tubazione metallica di diametro esterno Φ 35.7 mm (quindi di area 10 cm2), recante all’estremità inferiore una punta conica di apertura 60° e diametro conforme a quello del tubo; la suddetta punta è solidale ad un’asta, libera di scorrere all’interno del tubo indipendentemente da questo. La penetrazione segue tre fasi, ciascuna di 10 cm: punta, tubazione di camicia, asta.

Fig 2.4.2 Correlazione fra sollecitazione alla punta qc, pressione litostatica σv ed angolo di attrito φ, in terreni incoerenti

51

52

Ad ogni avanzamento si registrano, sulle ascisse di distinti diagrammi cartesiani (recanti in ordinate le profondità), le forze applicate nelle tre fasi; questi grafici rappresentano rispettivamente le resistenze alla punta, laterale, totale. L’entità delle forze massime applicate si limita a 100 o (raramente) 200 kN, secondo la tipologia delle attrezzature; la prova si arresta quando si verifica il rifiuto alla penetrazione dell’intera asta. Il dato più rappresentativo fra quelli rilevati nelle prove CPT è la resistenza alla punta, corrispondente alla pressione di penetrazione del cono (rapporto fra la forza registrata e l’area di 10 cm2). La prova CPTU, evoluzione moderna della precedente, adopera un’asta penetrometica non articolata, ma attrezzata con trasduttori alla punta e sulla superficie laterale, che registrano con continuità le tensioni effettive (normali e tangenziali) esercitate al contatto, nonché le pressioni neutre in corrispondenza di alcune piastre porose, sistemate alla punta (punta piezometrica) e sulla superficie laterale. Le prove penetrometriche statiche, che si prestano ad un impiego rapido ed economico in terreni sabbiosi e/o a grana fine, sono utilizzate sia a fini di riconoscimento della stratigrafia, sia per la determinazione di importanti caratteristiche fisiche delle formazioni: nel primo caso necessitano di taratura in prossimità di sondaggi eseguiti. La resistenza alla punta nei terreni coesivi è stata relazionata alla coesione non drenata, in quelli incoerenti alla pressione litostatica ed all’angolo d’attrito (diagramma di fig.2.4.2); il diagramma della soprapressione registrata dalla punta piezometrica evidenzia le caratteristiche di consolidazione dei terreni e delle dissipazioni.

b) Prove penetrometriche dinamiche (SPT; SCPT, DLPT). La prova SPT (Standard Penetration Test) si esegue facendo penetrare nel terreno un attrezzo normalizzato (campionatore Raymond) sotto i colpi di un maglio di peso ed altezza di caduta ugualmente standardizzate; la penetrazione si articola in una serie di tre avanzamenti da 15 cm ciascuno, dei quali si rilevano i numeri di colpi inferti (N1, N2, N3): si assume come indice della resistenza alla penetrazione del livello progressivamente indagato il numero di colpi N = N2 + N3La prova si esegue sul fondo di un foro precedentemente praticato fino alla profondità d’indagine (ad esempio nel corso di terebrazioni a distruzione di nucleo ovvero a carotaggio continuo); essa ha lo svantaggio di fornire informazioni discontinue, ma può essere utilmente praticata in qualsiasi terreno (purchè sciolto e privo di trovanti) e può raggiungere qualsiasi profondità. Il suo vantaggio principale consiste nell’amplissima esperienza disponibile, che ha consentito di correlarne i risultati, con buona affidabilità, ai principali parametri geotecnici d’interesse: nella figura 2.12 sono riprodotti due abachi, di grande utilità per questo scopo, che relazionano N alla densità relativa ed all’angolo di attrito, rispettivamente. La prova SCPT (Standard Cone Penetration Test) segue il criterio della

precedente (salvo che per il numero dei tratti d’infissione per ciascun avanzamento (che in questo caso è 2) nonché per la lunghezza di progressione (che è di 30 cm), ma si avvale della strumentazione del CPT.

La prova DLPT (Dynamic Lightweight Penetration Test) consiste nell’infissione di una punta (a perdere) dalla sezione maestra di 10 cmq (identica a quella del CPT), sotto i colpi di un maglio (di peso ed altezza di caduta, standardizzate, ma ridotte rispetto ad SPT) agente su di un’asta di diametro molto inferiore al foro: il risultato è il numero di colpi necessari per un avanzamento di 10 cm.

53

Figura 2.12 Correlazioni fra numero di colpi SPT (N) e parametri geotecnici.

54

Il vantaggio dell’impiego delle prove SCPT e DLPT consiste nella loro semplicità ed economia, a fronte della possibilità di utilizzare le medesime correlazioni messe a punto per SPT.

c) Scissometro o vane Trattasi di una banderuola standardizzata a quattro bracci di lamiera (di varie dimensioni, prescelte caso per caso), solidarizzata alla punta di un’asta che viene infissa nel terreno e posta successivamente in rotazione torsionale. Il campo di applicazione sono i terreni coesivi e/o a grana fine, di consistenza medio-bassa; le modalità della prova sono fissate in diverse versioni, che forniscono un’ampia gamma di possibilità d’esecuzione; il parametro di rilevamento è la coppia torcente applicata M. Le correlazioni disponibili consentono, con buona affidabilità di determinare la coesione non drenata cu dello strato:

cu = λ 6 M/(7 π d).

Nella precedente formulazione: o d è il diametro della banderuola; o λ (variabile da 0.6 a 1.0) è un coefficiente correttivo (Bjerrum),

funzione dell’indice di plasticità Ip del terreno.

2.4.5 Misure in sito di pressioni litostatiche, rigidezze, permeabilità.

a) Pressiometri Per il rilevamento dello stato tensionale in un ammasso sono state messe a punto apparecchiature standardizzate, dotate di membrane piatte (esempio: dilatometro Marchetti) o cilindriche (esempio: pressiometro Menard); queste vengono collegate all’estremità di aste ed infisse nel terreno alla voluta profondità (generalmente dopo aver praticato un foro che le avvicini a quella); si procede poi all’immissione di fluidi in pressione che ne determina l’espansione: secondo le esigenze dell’indagine, i risultati rilevabili con modalità di sperimentazione standardizzate (delle quali non è questa la sede per approfondimenti) consentono di risalire a:

- coefficiente di pressione orizzontale di riposo; - grado di addensamento e sovraconsolidazione dello strato; - rigidezza (relazione tensioni-deformazioni) della formazione in sito; - stato tensionale puntuale nell’ammasso.

Salvo che per progetti esecutivi strutturali complessi di opere di sostegno (paratie) o gallerie, il costo di una sperimentazione siffatta difficilmente è giustificata dai risultati attesi.

b) PermeametriMolto maggiore è la diffusione, nell’ambito delle tipologie d’indagine in sito che si stanno sommariamente trattando, delle tecniche di rilievo delle permeabilità; infatti lo studio modellistico dell’idrogeologia, dall’incidenza fondamentale in molte problematiche della progettazione

55

infrastutturale (tanto geologiche, quanto geotecniche), non si presta ad esami disgiunti dalla sperimentazione diretta delle condizioni locali. Le modalità delle prove in foro (appositamente predisposto o residuo di una terebrazione di sondaggio) sono varie e possono prevedere, in alternativa, immissione o emungimento di portate. L’apparecchiatura consiste in generale in un’asta a tubo, recante una sezione filtrante delimitata in alto ed in basso da tamponi, attraverso la quale transita una portata d’acqua misurabile, sotto carico idraulico costante o variabile. La misura della portata si accompagna alla lettura dei livelli della falda, in piezometri sistemati a distanze predeterminate dal foro d’immissione/emungimento.

c) Assestimetri e clinometriDi una tubazione infissa in un preforo e cementata nel terreno è costituita anche un’altra gamma di apparecchiature disponibili e largamente usate per l’individuazione, la localizzazione ed il monitoraggio di movimenti nella coltre superficiale: i clinometri e gli assestimetri. Il materiale costitutivo della tubazione deve essere caratterizzato da forte resistenza e grande flessibilità; l’attrezzatura che essa ospita può avere varie complessità: da un semplice filo a piombo, fino ad una batteria di sensori in grado di rilevare e registrare esistenza, profondità ed entità di eventuali movimenti della tubazione e quindi del terreno in cui è immersa. L’impiego dei clinometri e degli assestimetri è riservato all’indagine geologica, per lo studio di fenomeni d’instabilità dei terreni nell’area d’interesse del progetto

2.4.6 Costi dell’indagine geologico geotecnica.

L’indagine geognostica costituisce una premessa indispensabile per ogni corretta progettazione, in ciascun grado del suo sviluppo; essa è anche una delle più rilevanti voci di spesa per il progettista e spesso crea forti difficoltà di esecuzione poiché comporta, specialmente nelle prime fasi, l’accesso a siti non ancora espropriati ed, allo stato di fatto, utilizzati per altri scopi, nonché non di rado destinati a non essere interessati dal progetto.

Per questi motivi si richiede al progettista una particolare cautela nella redazione del programma, alla ricerca delle informazioni strettamente indispensabili per le decisioni che progressivamente si vanno assumendo.

La programmazione del piano d’indagini è quindi una di quelle attività tipiche dell’autonomia del progettista, che deve contemperare le conflittuali esigenze tecniche, economiche ed ambientali.

Per l’aspetto economico, sul quale nel presente paragrafo si fornisce qualche informazione orientativa, sussiste un’amplissima variabilità, connessa non solo alle condizioni di mercato, ma altresì agli oneri obiettivi che ciascuna prova comporta, in relazione a: • accessibilità e condizioni climatiche dei siti; • disponibilità locale di servizi e forniture (acqua, corrente elettrica,

carburanti ecc.);

56

• specifiche difficoltà nell’esecuzione dei saggi, quali: - resistenza alla penetrazione delle sonde nelle perforazioni, in ragione

delle qualità meccaniche delle rocce impegnate; - potenza e robustezza richieste ai macchinari, nonchè costo ed usura

degli attrezzi montati; - capacità di sostentamento autonomo dei fori praticati.

Ciò nonostante si riporta nella tabella 2.3 un elenco prezzi unitari delle principali lavorazioni descritte nei precedenti paragrafi; esso è liberamente tratto (con alcuni accorpamenti e qualche rettifica dettata dall’esperienza) da un prezzario compilato dall’Associazione Nazionale Imprese Specializzate in Indagini Geognostiche (ANISIG): si avverte che per ciascuna voce il prezzo unitario esposto rappresenta un massimo, sul quale in condizioni ordinarie di difficoltà, si riescono a conseguire consistenti economie; raramente, in condizioni di particolare impegno della lavorazione (sondaggi in alta montagna con utilizzo di attrezzature elicotterabili, a mare o su chiatte in fiume non navigabile, in sotterraneo o in siti interessati da dissesti attivi con alto livello di pericolo, ecc.) il costo effettivo delle lavorazioni può essere anche molto maggiore.

Indipendentemente dal programma d’indagine, si deve considerare che l’attrezzatura base è costituita da veicoli opportunamente dotati, che devono essere trasferiti sul sito delle prove e progressivamente traslati nelle diverse postazioni; al termine della campagna essi devono essere manutenuti e revisionati: quindi al costo delle prove, stimabile con l’applicazione alle quantità previste dei prezzi unitari dell’elenco, si devono aggiungere: • un compenso fisso di trasferimento di ciascuna delle attrezzature

impegnate (una o più per ciascuna tipologia, secondo la mole ed il tempo assegnato alla campagna), valutabile, in funzione della distanza e dell’accessibilità dell’area d’intervento:

- € 1200÷1400, per le sonde perforatrici a rotazione leggere; - € 2800÷3000, per sonde c.s., ma pesanti (profondità >80 m); - € 500÷700 per sonde CPT, SCPT, nonché per quelle attrezzate per

prove di sovracarotaggio 2D e 3D, dilatometriche e pressiometriche; - € 700÷900, per le sonde CPTE e CPTU, nonché per quelle dotate di

attrezzatura per prove pressiometriche. • un onere di postazione, valutabile € 480÷2400, in funzione di:

- distanza reciproca dei siti di prova; - morfologia dell’area: necessità di predisporre apposite piazzole; - uso del suolo: rischio di produrre danni alle coltivazioni per il

transito dell’attrezzatura; - esigenza di verificare preventivamente, con un prescavo a mano,

l’esistenza di sottoservizi nel sottosuolo; - eventualità di dover ripristinare, dopo l’operazione, sedi viarie

manomesse ecc.

57

Tabella 2.3 Elenco prezzi unitari delle principali lavorazioni geognostiche

Descrizione dell’articolo

Unità di

misura

Prezzo Unitario

€ Perforazione verticale a distruzione di nucleo Φ 127 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità fino ad 80 m

metro

52

c.s. in roccia metro 92 Perforazione verticale a distruzione di nucleo Φ 127 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 80-:-200 m

metro

120

c.s. in roccia metro 190 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità fino a 20 m

metro

80

c.s in roccia metro 116 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 20-:-40 m

metro

100

c.s. in roccia metro 145 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 40-:-60 m

metro

120

c.s.in roccia metro 190 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 60-:-100 m

metro

150

c.s. in roccia metro 230 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in terreno sciolto di qualsiasi natura e per profondità 100-:-150 m

metro

220

c.s. in roccia metro 240 Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in roccia e per profondità 150-:-200 m

metro 250

Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in roccia e per profondità 200-:-250 m

metro 285

Perforazione verticale a carotaggio continuo Φ 101 mm in roccia e per profondità 250-:-300 m

metro 333

Sovrapprezzo per impiego di doppio carotiere nelle preforazioni a carotaggio continuo

metro 21

Sovrapprezzo per impiego di rivestimento metallico provvisorio nelle preforazioni di qualsiasi tipo

metro 20

Istallazione sulla sonda perforante dei sensori per l’esecuzione di diagrafie dei parametri di perforazione

unità 640

58

Registrazione della diagrafia dei parametri di perforazione

metro 23

Prelievo di campioni rimaneggiati Unità 10 Prelievo di campioni semidisturbati Unità 100 Prelievo di campioni indisturbati Unità 120 Esecuzione di prova penetrometrica statica CPT con punta meccanica ed apparecchiatura di portata 10 t

metro 17

Esecuzione di prova penetrometrica statica con punta elettrica CPTE

metro 23

Esecuzione di prova penetrometrica statica con piezocono CPTU

metro 25.5

Esecuzione di prova di dissipazione della pressione intersiziale in corso di prova CPTU

unità 185

Esecuzione di prova penetrometrica dinamica continua SCPT

metro 19

Esecuzione di Standard Penetration Test (SPT) in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

unità

105

Esecuzione di prova di resistenza a taglio (Vane Test) in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

Unità

210

Allestimento di prova di permeabilità in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

Unità

244

Esecuzione di prova di permeabilità in corso di sondaggi a rotazione, in conformità alle raccomandazioni AGI 1977

Ora di prova

200

Istallazione di piezometro a tubo aperto di Φ 2”, compresa la formazione del dreno e dei tappi impermeabili ed esclusa fornitura e posa della tubazione

Unità

180

Fornitura ed istallazione di tubo da piezometro di Φ 2” metro 23 Istallazione di piezometro Casagrande a doppio tubo, compresa la formazione del dreno e dei tappi impermeabili ed esclusa fornitura e posa della tubazione

unità

350

Fornitura ed istallazione di tubo da piezometro di Φ 2” metro 25 Fornitura in opera di trasduttore di pressione elettrico, completo di cablaggio, all’interno di tubo piezometrico

unità 820

Fornitura in opera di piezometro elettrico di tipo assoluto, completo di cablaggio

unità 990

Istallazione di tubo inclinometrico entro foro di sondaggio, compresa la cementazione la fornitura e posa della tubazione

metro

57

Fornitura e posa entro inclinometro di colonna assestimetrica ad anelli magnetici tipo BRS, compresa la fornitura di un anello/m con alette per il fissaggio

metro

114

59

Fornitura in opera di clinometro elettrico biassiale a corpo cilindrico e sensori potenziometrici a pendolo o elettrolitici

unità

1460

c.s. di precisione unità 2250 Fornitura in opera di sistema automatico per la registrazione dei dati piezometrici e/o inclinometrici

unità 2600

Esecuzione di prova di sopracarotaggio 2D (Doorstopper) per la determinazione dello stato pensionale in sito, in foro verticale o comunque inclinato

unità

2300

Esecuzione di prova di sopracarotaggio 3D (CSIR) per la determinazione dello stato tensionale in sito, in foro verticale o comunque inclinato

unità

3600

Esecuzione di prova di sopracarotaggio 3D (CSIRO) per la determinazione dello stato tensionale in sito, in foro verticale o comunque inclinato

unità

3850

Esecuzione prova con martinetto piatto semicircolare standard, per ripristino stato tensionale

unità 1150

Esecuzione prova con martinetto piatto quadrato o rettangolare (lati max 60 cm), per ripristino stato pensionale

unità 2000

Esecuzione prova di compressione con doppio martinetto piatto semicircolare a perdere

unità 1200

Esecuzione prova pressiometrica (tipo MPM) in terreno, all’interno di foro di sondaggio

unità 550

Esecuzione prova dilatometrica in roccia, all’interno di foro di sondaggio

unità 1000

Fornitura e posa di terminale per la chiusura temporanea dei fori di sondaggio

unità 250

Riempimento e/o cementazione di foro di sondaggio, dopo la prova

metro 14

Fornitura e posa in opera di unità automatica di acquisizione dati a due canali

unità 3100

Fornitura e posa in opera di unità automatica di acquisizione dati a quattro canali

unità 4400

Fornitura e posa in opera di unità automatica di acquisizione dati multicanali

unità 7200

Fornitura e posa in opera di modulo di alimentazione e trasmissione dati

unità 5700

60

2.5 Indagine idrologico-idraulica.

Le analisi idrologiche di sussidio alla progettazione stradale si prefiggono la valutazione, su base probabilistica, delle quantità di pioggia che, in ragione del microclima locale, possono essere riversate, con preassegnata probabilità di superamento, nell’unità di tempo e sull’unità di superficie, nell’area vasta dell’intervento o su bacini più ristretti d’interesse di alcune opere.

Tale finalità viene perseguita, di solito, con un approccio basato sull’utilizzazione di un idoneo modello di trasformazione Afflussi/Deflussi, nell’ambito di una procedura “variazionale” o “estremante”.

La formalizzazione delle leggi di pioggia ovvero “curve di probabilità pluviometriche” viene compiuta sulla base di uno studio idrologico, regionale prima, di bacino poi

I modelli interpretativi più spesso utilizzati sono quelli di Gumbel e T.C.E.V.

Il primo, molto diffuso in campo tecnico per l'analisi dei massimi annuali delle altezze di pioggia e delle portate al colmo di piena nelle aste, alla prova dell’esperienza tende a sottostimare i valori più elevati osservati nel passato; pertanto, la sua utilizzazione può dare luogo a qualche insuccesso, quando i periodi di ritorno prescelti siano di gran lunga superiori all’intervallo di osservazione disponibile.

Il modello TCEV costituisce, di fatto, una generalizzazione di quello di Gumbel e risulta maggiormente rispondente alle esigenze di un'attenta valutazione delle portate al colmo di piena che possono defluire nei vari tronchi di un corso d'acqua. Esso risulta costituito dal prodotto di due leggi di Gumbel, la prima delle quali destinata ad interpretare e descrivere, in chiave probabilistica, i massimi valori di piena “ordinari” e la seconda quelli “straordinari” (con probabilità di superamento inferiore al 5%, secondo il classico modello di Gumbel).

Le informazioni normalmente disponibili per l'analisi delle massime precipitazioni derivano dai rilievi sistematicamente effettuati, in passato dal S.I.I. (Servizio Idrografico Italiano) e successivamente dal S.I.M.N. (Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale); non mancano esempi di rilevazioni ulteriori, effettuate per specifici scopi tecnici, registrate e messe a disposizione dall’ENEL, da Consorzi idrici e di bonifica, da Comunità Montane, ecc.

I dati di norma disponibili sono di due tipi: a) osservazioni pluviometriche, effettuate con l'ausilio di apparecchi di

misura molto semplici, denominati “pluviometri”, capaci unicamente di fornire la quantità cumulata di acqua affluita su una superficie di raccolta nota, in un determinato periodo di tempo; la periodicità del rilievo viene assunta nella pratica pari a 24 ore, con ripetizioni delle misurazioni alle ore 9.00 di ogni giorno;

b) osservazioni pluviografiche, effettuate con l'ausilio di apparecchi di misura più complessi dei precedenti (pluviografi), in grado di rilevare e di registrare i volumi di acqua complessivamente precipitati su un'area di note dimensioni, in preassegnati intervalli di tempo (tipicamente, ogni 2 o

5 minuti, a seconda del tipo di strumento).

Sulla base di tali osservazioni, il Servizio Idrografico elabora e pubblica periodicamente, nei cosiddetti Annali Idrologici, le seguenti informazioni: 1. altezze di pioggia relative ad eventi di breve durata e notevole intensità; 2. massimi annuali delle altezze di pioggia nelle durate d = 1, 3, 6, 12 e

24 ore. dh

3. massimi annuali delle altezze di pioggia cumulate in periodi da 1 a 5 giorni consecutivi.

**dh

Lo studio ad hoc della materia, sussidiario alla progettazione stradale, parte dalla raccolta dei dati suddetti, rilevati nelle stazioni pluviografiche incluse nella zona omogenea a cui appartiene l’area vasta del progetto.

Sulla base di questi dati si effettua lo sviluppo modellistico, che conduce alla calibrazione (determinazione dei parametri α,β,γ) di espressioni delle intensità e delle altezze di pioggia, nella forma:

βα −⋅= dTi Td )(,

γα dTh Td ⋅= )(,

in cui T (anni) è il periodo di probabile ritorno dell’evento e d esprime le durate d’interesse (correlate ai tempi di corrivazione nei bacini di studio)

Tale espressione è stata riportata, in forma grafica, nel successivo diagramma esemplificativo di Fig 2.5.1.

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1d (ore)

h d,T

(mm

)

medieT = 10 anniT = 20 anniT = 50 anni

Figura 2.5.1 – Curve esemplificative di probabilità pluviometriche

Le infrastrutture stradali si inseriscono nel sistema idrografico

61

62

della loro area d’influenza, mutandone l’assetto sotto il profilo quantitativo e distributivo; la conoscenza delle leggi di pioggia consente di simulare il disturbo, in ogni grado della progettazione e secondo le esigenze di ciascuno di essi.

Nondimeno un impatto non trascurabile le strade hanno anche sulla qualità dei corpi idrici di recapito dei reflui, tanto superficiali quanto profondi; per valutare l’incidenza del danno prodotto è indispensabile conoscere lo stato attuale delle acque nei ricettori ed il loro eventuale modo d’impiego.

Con l’entrata in vigore della L.183/89 furono istituite le Autorità di Bacino, a cui fu demandata la responsabilità istituzionale del controllo del territorio e della promozione dei piani di bacino come strumenti di pianificazione e programmazione. All’interno dei piani, assume importanza notevole il capitolo del risanamento delle acque, il cui obiettivo primario è il raggiungimento del massimo recupero qualitativo delle risorse disponibili.

Gli indirizzi regolamentari sono stati successivamente impartiti dalla L. 36/94, con l’attuativo DPCM 4 marzo 1996 n°47, e dal D.Lgs. 152/99 (applicativo della direttiva CE 91/271), con l’attuativo D.Lgs. 288/00; il suddetto corpo normativo, oltre a disporre le direttive generali in materia di censimento delle risorse idriche, di revisione ed aggiornamento del PRGA (Piano Regolatore Generale degli Acquedotti) e di gestione del servizio idrico integrato, enuncia i seguenti principi fondamentali: − tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal

sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da salvaguardare e utilizzare secondo criteri di solidarietà;

− qualsiasi uso delle acque deve salvaguardare le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale;

− gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse, per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatica, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici;

− il servizio idrico segue un approccio integrato per captazione, distribuzione, raccolta fognaria e depurazione, in ambiti territoriali ottimali (ATO), amministrati da un unico gestore,

− le Regioni disciplinano i casi in cui può essere richiesto che le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne, non recapitanti in rete fognaria, siano convogliate e opportunamente trattate in impianti di depurazione.

Gli obiettivi specifici perseguiti dal trattamento sono i seguenti: − prevenire e ridurre l’inquinamento e attivare il risanamento dei corpi

idrici inquinati; − conseguire il miglioramento dello stato delle acque e la protezione di

quelle destinate ad usi particolari; − perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche con priorità per

quelle potabili; − mantenere la capacità naturale di auto-depurazione dei corpi idrici,

63

nonché la capacità di sostenere comunità animali e vegetali ampie e ben diversificate;

− assicurare, attraverso adeguati controlli, il rispetto dei valori limite agli scarichi forniti dallo Stato, nonché la definizione di valori limite di qualità del ricettore naturale.

Si considerano all’uopo:

a) Uso potabile; b) Uso irriguo; c) Uso industriale; d) Uso di balneazione; e) Idoneità per la vita acquatica.

a) Criteri di qualità per l'uso potabile Le acque destinate ad uso potabile vengono preferibilmente prelevate

dalle falde sotterranee o dalle sorgenti. Tuttavia le crescenti esigenze sociali inducono sempre più frequentemente ad utilizzare per l'approvvigionamento i corpi idrici superficiali.

La Direttiva del Consiglio della C.E.E. 75/440 del 10/6/75 attuata in Italia col D.P.R. n° 515 del 3/7/82, stabilisce i criteri di qualità delle acque superficiali destinate allo sfruttamento ad uso potabile, facendo riferimento a tre categorie di acque dolci (definite sulla base del livello di trattamento al quale devono essere sottoposte prima dell'uso).

I processi di trattamento prescritti sono: • Acque superficiali di categoria A1: trattamento fisico semplice (filtrazione)

e disinfezione. • Acque superficiali di categoria A2: trattamento fisico e chimico normale

(percolazione, coagulazione, flocculazione, decantazione, filtrazione) e disinfezione finale (clorazione).

• Acque superficiali di categoria A3: trattamento fisico e chimico approfondito (clorazione al break point, coagulazione, flocculazione, decantazione, filtrazione), affinazione (carbone attivo), disinfezione finale (ozono e clorazione).

Ciascuno Stato ha stabilito valori applicativi per ognuna delle tre categorie, indicati, in graduazione, come "valori imperativi" ed "valori guida". Si rinvia agli atti normativi originali chi fosse interessato ad essi.

b) Criteri di qualità per l'uso irriguo. L'irriguo è senza dubbio uno dei più importanti usi diretti delle acque

superficiali ed è quello che presenta le maggiori richieste in termini quantitativi.

Dal punto di vista qualitativo, per valutare l'idoneità dell'acqua a tale tipo d’impiego, si considerano le concentrazioni di: a) solidi disciolti totali; b) sodio, in rapporto agli altri cationi; c) elementi tossici.

Per i solidi disciolti totali (TDS) l'U.S.E.P.A. propone i limiti

64

riportati nella tabella 2.4. Il rischio da Sodio viene valutato con l'indice SAR = 2 Na/(Ca + Mg),

dove la concentrazione dei cationi è espressa in mgeq/l, ovvero attraverso la misura della conducibilità elettrica, come proposto dall'U.S. Department of Agriculture.

Tabella 2.4 Classificazione delle acque ad uso irriguo, in ragione dei TDS.

Solidi Disciolti Totali TDS (mg/l) Classificazione

500 Acque che non provocano effetti nocivi

500 –1000 Acque che possono provocare effetti nocivi su colture sensibili

1000 – 2000 Acque che possono avere effetti nocivi e che richiedono una pratica irrigua controllata

2000 – 5000

Acque che possono essere usate solo per piante tolleranti, su suoli permeabili e con una pratica irrigua controllata

Per le concentrazioni di elementi tossici si considerano i valori fissati

dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste Italiano (derivati dall'U.S. Departement of Agriculture), riassunti nella Tabella 2.5.

Tabella 2.5 Valori limite delle concentrazioni di metalli nelle acque irrigue.

Elemento Concentrazione mg/l

Elemento Concentrazione mg/l

Alluminio 4 Litio 2 Arsenico 0,1 Manganese 2 Berillio 0,5 Mercurio 0,002 Boro 0,5 Molibdeno 0,02 Cadmio 0,02 Nichelio 0,3 Cromo totale 0,2 Piombo 0,5 Cobalto 0,2 Selenio 0,03 Rame 0,2 Zinco 1 Ferro 2

c) Criteri di qualità per uso industriale.

L'acqua per l'uso industriale può essere impiegata sia nei processi produttivi, sia per il raffreddamento.

Nel primo caso, di norma, si richiedono caratteristiche specifiche che non sono soddisfatte da alcuna acqua naturale disponibile: si includono adeguati trattamenti nel processo produttivo.

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Minori requisiti sono richiesti per l'acqua di raffreddamento: al più ci si limita alla valutazione dell’indice di Langelier, che fornisce una misura delle capacità incrostanti o aggressive su manufatti in cemento.

d) Criteri di qualità per uso di balneazione Si fa riferimento a quanto previsto dalla Direttiva CEE 76/160, recepita

dalla normativa nazionale con il DPR 470/82: si considera essenzialmente il grado d’inquinamento organico e patogeno.

e) Criteri di qualità per la salvaguardia della vita acquatica. Intervenuti con l'emanazione della Direttiva CEE 78/659, sono

finalizzati a mantenere le biocenosi acquatiche a livelli prossimi a quelli che si riscontrano in condizioni naturali; sono ovviamente differenziati per i diversi inquinanti.

Per gli idrocarburi di origine petrolifera si prescrive che non siano presenti in quantità tali da: • formare un film visibile alla superficie dell'acqua o sul fondo dei laghi e

dei fiumi • conferire sapore alla carne dei pesci.

Per il resto, nella tabella 2.6 si riassumono i principali limiti. Le misure sono soggette a particolari vincoli, in ordine a modalità dei

prelievi e a tolleranze sugli scostamenti: per il dettaglio si rinvia ai documenti normativi. Tabella 2.6 Limite di inquinamento per la salvaguardia della vita acquatica.

Acque salmonicole Acque ciprinicole Fattori inquinanti Unità G I G I

Temperatura .∆T °C 1,5 3 Ossigeno disciolto mg/l

mg/l 50%≤9 50%≤7

50%≤9 100%≤6

50%<8 100%<6

50%<7 100%<4

PH 6 -:- 9 6 -:- 9 Solidi sospesi mg/l <25 <25 BOD5 mg/l <3 <6 Azoto nitroso �g/l <3 <9 Ammoniaca indissoc. �g/l <4 <20 <4 <20 Ammoniaca totale �g/l <33 <822 <160 <822 Cloro residuo HOCL �g/l <5 <5 Rame �g/l <40 <40 Zinco �g/l <300 <1000

Le indagini sulla qualità dei corpi idrici esistenti, che nel corso del progetto di solito precedono la redazione degli studi d’impatto ambientale, possono attingere ai risultati dei controlli che le più diligenti ASL effettuano con frequenza, per l’individuazione e la repressione di eventuali abusi; quando

66

debbono essere eseguite ad hoc possono essere limitate al regime di magra (che produce le massime concentrazioni) nelle aste permanenti (utilizzate per uno degli scopi produttivi sopramenzionati, o suscettibili di esserlo in futuro, e popolate di vita acquatica), non trascurando tuttavia quelle torrentizie che alimentino bacini di ritenuta o che, nell’area indagata, si trovino molto prossimi alla foce.

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2.6 Altre indagini ambientali

2.6.1. Generalità.

L’interesse per le problematiche geologico-geotecniche ed idrologico-idrauliche è pressocchè una costante degli sviluppi progettuali, ma non mancano esempi di influenza determinante nelle scelte di altri fattori ambientali; talvolta, anche laddove il progettista ritenesse che, per il caso specifico dell’infrastruttura in studio, alcuni di questi fattori non siano condizionanti, l’affermazione deve essere quantitativamente suffragata nelle fasi avanzate della progettazione (definitiva ed esecutiva).

Si tratteranno brevemente nel seguito le modalità di acquisizione dello stato dei principali di tali fattori, di seguito elencati, avvertendo che, al solito, il loro approfondimento non può prescindere da consulenze specialistiche:

- Inquinamento atmosferico da gas di scarico; - Stabilità atmosferica e venti; - Rumorosità dell’ambiente; - Effetti vibranti nel suolo.

2.6.2. Inquinamento atmosferico da gas di scarico.

Se si prescinde dal danno globale che il traffico motorizzato produce nell’atmosfera (che si affronta con politiche planetarie), nell’area d’influenza delle infrastrutture stradali il rischio con il quale deve confrontarsi il progetto è l’eventualità di generare concentrazioni puntuali di sostanze dannose per la salute delle persone e per l’integrità di alcuni beni sensibili.

In Italia il D.P.C.M. n° 30 del 28/03/83 ha per la prima volta stabilito, accogliendo una serie di direttive CEE, gli standards di qualità dell'aria respirabile, fissando limiti di accettabilità relativi alle concentrazioni degli agenti inquinanti; il controllo è affidato alle Regioni ed al Servizio Sanitario Nazionale.

Il D.P.R. n° 203 del 24/05/88 modifica parzialmente ed integra i limiti delle concentrazioni ammissibili ed i criteri di campionamento.

Il D.P.C.M. 12/11/93 introduce prescrizioni per i casi limite, soprattutto in area urbana congestionata, distinguendo anche fra livelli di attenzione e di allarme; questi ultimi sono poi stati corretti dal successivo decreto del 15/04/94, per portarli a congruenza con l’intervenuta normativa UE.

Prescindendo dai casi limite, che impegnano la politica dei trasporti in area urbana più che il progetto della singola infrastruttura, nella tabella 2.7 si riportano i valori massimi ammissibili, con la specificazione dell’estensione temporale dei rispettivi monitoraggi.

Si segnala che nella tabella: a) I limiti di tollerabilità si riferiscono ai singoli agenti inquinanti e non

tengono conto di sinergie che certamente esaltano la nocività di ciascuno di essi.

c) La maggior parte dei limiti si riferisce a medie su lunghi periodi; si trascura cioè la considerazione delle punte, che possono raggiungere valori assai più elevati.

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Tabella 2.7 Valori massimi ammissibili degli inquinanti nell’aria.

AGENTE PARAMETRO Valore limite µg/mc

SO2

- Mediana delle concentrazioni medie di 24 ore in 1 anno (01/04-31/03)

- Mediana delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate in inverno (01/10-31/03)

- 98° percentile concentrazioni annuali

80

130 250

NO2Concentrazione media di 1 ora da non superare più di una volta al giorno

200

CO - Concentrazione media di 8 ore - Concentrazione media di 1 ora

10 .103

40 103

Particolato (PTS)

- Media delle medie di 24 ore in 1 anno - 95° percentile delle concentrazioni mediedi 24 ore nell’arco di un anno

150

300

Pb Media aritmetica delle concentrazioni medie di 64 ore rilevate in 1 anno

2

F

- Concentrazione mediadi 24 ore - Media delleconcentazioni medie di 24 ore rilevate in un mese

20

10

Raramente nei progetti di infrastrutture lineari risulta necessario

procedere a rilevamenti diretti della qualità dell’aria all’attualità; più frequentemente tale esigenza si presenta per alcune infrastrutture puntuali di grande peso ambientale per il fattore atmosfera (aeroporti, autoporti, interporti, terminal bus, ecc.); anche in questo caso, tuttavia, i rilievi, che vengono di solito affidati alle ASL competenti (all’uopo attrezzate) o alle Amministrazioni Provinciali (preposte dalla legge alla gestione del sistema informativo); anche in questi casi, tuttavia, il periodo di osservazione si limita al più ad un anno (laddove il minimo per una buona affidabilità dei dati sarebbe almeno doppio) ed i punti di controllo si collocano solo all’intorno di ricettori sensibili.

Nei casi ordinari di progettazioni di infrastrutture lineari (soprattutto se in ambito extraurbano) è sufficiente limitare l’analisi a dati di rilievo disponibili nell’archivio dei C.O.P. (Centri Operativi Provinciali) e riferibili genericamente all’area vasta dell’opera. Quando si stabilisce di attuare una campagna ad hoc, si impiegano normalmente postazioni di rilevamento automatico, costituite da uno o più campionatori ed analizzatori (secondo il numero di inquinanti da monitorare) racchiusi in una centralina mobile, elettricamente alimentata e climatizzata; se la rete è costituita da più postazioni, normalmente si provvede al collegamento ad posto centrale di elaborazione e controllo.

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2.6.3 Stabilità atmosferica e venti.

E’ noto che la massa atmosferica che circonda la terra è estesa per uno spessore di 1000÷2500 Km, ma si concentra per il 90 % nei 15 Km prossimi alla superficie; gli strati superiori, a densità rapidamente decrescente con la quota, influenzano sensibilmente la dinamica degli inferiori, pur godendo di una certa stabilità fisico-chimica.

Al livello del mare l’aria è composta (mediamente) per il 78% (in massa) di azoto molecolare (N2) e per il 21% di ossigeno molecolare (O2); il rimanente 1% è una miscela di numerosi altri gas, che influenzano sensibilmente i fenomeni chimici e termodinamici attivi: molti di essi sono prodotti e/o soggetti di reazioni chimiche e fotochimiche, quindi hanno carattere transitorio e concentrazione variabile.

I fenomeni dinamici che si verificano nell’atmosfera (venti) sono generati: • a livello planetario, dall’azione di trascinamento della massa atmosferica da

parte della superficie terrestre, per effetto della rotazione giornaliera (forza di Coriolis). La capacità trainante sugli strati è ridotta nelle zone morfologicamente pianeggianti (fra cui gli oceani) e diminuisce velocemente con il progressivo distacco dal suolo;

• a livello locale, dai gradienti di pressione barometrica e di temperatura. Questi ultimi, che di norma sono anche la causa dei primi, sono dovuti: - alla diversa intensità delle radiazioni solari (in funzione della latitudine),

che determina a sua volta, unitamente alla natura ed allo stato delle superfici esposte (terreno variamente umido, coltri vegetate, masse liquide, ecc.), differenti escursioni di temperatura nei cicli diurni e stagionali;

- alla differente attitudine delle masse aeriformi (composizione chimica presenza in sospensione di particelle solide e liquide nebulizzate) a filtrare (assorbire selettivamente) le radiazioni solari (con particolare riferimento all’infrarosso termico);

- a fenomeni adiabatici (compressione e decompressione), connessi agli stessi moti, nonché alla spinta verso l’alto esercitata dai moti di Coriolis, associati alle asperità della superficie terrestre.

La combinazione di fattori globali e locali determina nell’atmosfera gradienti di pressioni, che generano flussi di masse secondo ben definite direzioni, che di norma si individuano (per la componente orizzontale) attraverso la collocazione nella “rosa dei venti” (suddivisa in 8 o 16 settori), e con varia intensità (velocità, misurata in m/s ovvero Km/h, ovvero più frequentemente in nodi NM ([miglia marine]/h).

Nello studio dei fenomeni meteorologici, che presiedono alle dispersioni degli inquinanti emessi dal traffico stradale, si suddivide l’atmosfera in due diversi strati:

- lo “strato limite planetario” PBL (Planetary Boundary Layer), che si estende fino all’altitudine (relativa al suolo) di 300÷3000 m (ove si colloca anche la base del sistema nuvoloso). Al suo interno il moto dell’aria è prevalentemente turbolento ed è influenzato dalla

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conformazione superficiale del suolo e dai gradienti verticali di temperatura;

- l’atmosfera libera (“strato geostrofico”, sovrastante il PBL), ove il movimento dell’aria è prodotto pressocchè esclusivamente dal gradiente orizzontale di pressione.

L’influenza maggiore sul fenomeno di diffusione degli inquinanti viene esercitata dalla zona di transizione fra i suddetti due strati (“strato di mescolamento” o di Ekman), che subisce notevoli evoluzioni nel corso del giorno: • In periodo diurno i moti si caratterizzano come turbolenze di carattere

convettivo, generate dal trasferimento di energia termica proveniente: - dal suolo, di norma più caldo dell’aria; - dal sovrastante strato di nubi, se presenti; - direttamente dall’irraggiamento solare, in assenza di nubi.

Il decorso delle attività turbolente ha un andamento a campana fra l’alba ed il tramonto, con il massimo nel primo pomeriggio.

• In periodo notturno, la stabilità indotta nello strato dalla caduta degli scambi termici predispone le condizioni favorevoli alle reazioni chimiche per la formazione degli inquinanti secondari; le reazioni subiscono una forte accelerazione a ridosso dell’alba, quando si aggiungono gli effetti fotochimici delle radiazioni solari, e procedono con crescente intensità fino alle ore centrali del giorno (massima insolazione).

Lo strato di mescolamento è superiormente delimitato da una zona, detta “di confinamento”, che con la sua caratteristica stabilità agisce da cappa per i flussi di calore diretti verso l’alto.

Le condizioni di “stabilità statica” dell’atmosfera, caratterizzate da valori trascurabili della componente orizzontale degli spostamenti di masse, non precludono i movimenti di direzione prevalentemente verticale; questi peraltro sono responsabili del trascinamento di grandi quantità di energia termica e di umidità, quindi influenzano in modo determinante i fenomeni di evaporazione/condensazione e le precipitazioni, oltre che la dispersione degli inquinanti.

L’intensità e la velocità dei moti verticali è strettamente connessa a processi termodinamici: la teorica condizione di immobilità è determinata da un preciso gradiente di temperatura all’interno del PBL, detto “adiabatico” (corrispondente alla riduzione di circa 1° ogni 100 m di altitudine).

In condizioni adiabatiche le spinte di galleggiamento di ciascuna particella sono esattamente compensate dal suo peso: i moti verticali sono teoricamente solo inerziali.

In condizioni “super-adiabatiche” (gradiente di temperatura più pronunciato dell’adiabatico) le spinte di Archimede su ciascuna particella, in ogni posizione, prevalgono sul suo peso: il moto di risalita è accelerato e produce raffreddamento della massa. Siffatti fenomeni si verificano, di norma, negli strati bassi in periodo diurno, a causa del trasferimento di calore dal terreno irraggiato ai volumi a contatto.

In condizioni “sub-adiabatiche” (gradiente di temperatura più debole dell’adiabatico) prevale il peso e si generano correnti verticali verso il

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basso associate al riscaldamento progressivo delle masse che ne risultano coinvolte: la dispersione degli inquinanti verso l’alto è contrastata. Condizioni di questa natura si determinano regolarmente negli strati bassi in periodo notturno; talvolta un livello intermedio si porta in condizione sub-adiabatica esasperata e localizzata o perfino ad un gradiente di temperatura crescente con la quota; siffatto fenomeno, che è usualmente denominato “inversione termica per subsidenza”, massimizza l’effetto di contenimento in quota.

I parametri che consentono di individuare le condizioni microclimatiche, in termini di stabilità o turbolenza degli strati atmosferici prossimi al suolo, hanno carattere aleatorio; quindi, ai fini tecnici, non è possibile seguirne la variabilità.

Di norma, per classificare nei progetti stradali le condizioni medie caratteristiche della zona, si fa riferimento alle seguenti classi di Pasquill [1961], come integrate da Hanna [1982]:

A - Molto instabile; B - Mediamente instabile; C - Debolmente instabile; D - Neutra; E - Debolmente stabile; F - Stabile; G - Fortemente stabile.

L’attribuzione del microclima ad una delle suddette classi si basa sui dati di rilievo di seguito elencati:

- Velocità del vento al suolo - Periodo di insolazione - Stato del cielo notturno.

La loro correlazione è riassunta in tabella 2.8.

Tabella 2.8 Attribuzione alle classi di Pasquill. Vento Insolazione Stato del cielo notturno (m/s) Forte Moderata Debole Coperto A 3/8 Sereno

Calma - - - - - G < 2 A A/B B - - - 2÷3 A/B B C E F - 3÷5 B B/C C D E - 5÷6 C C/D D D D - > 6 C D D D D -

I dati d’ingresso alla tabella 2.8 risultano di facile reperimento e/o

rilevamento e si prestano anche (eventualmente) ad analisi differenziate per i vari periodi dell'anno.

Ai fini tecnici della progettazione stradale (per la stima degli effetti ambientali sull’atmosfera) si possono utilizzare i rilievi effettuati sistematicamente nelle più vicine stazioni metereologiche.

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A puro titolo esemplificativo si sono riassunte nella tabella 2.9, le distribuzioni di frequenza percentuale delle classi di stabilità di Pasquill, ricavate dalle rilevazioni delle stazioni meteorologiche presso i principali aeroporti italiani.

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Tabella 2.9 Distribuzioni di frequenza percentuale delle classi di stabilità di Pasquill nei principali aeroporti italiani.

Classe di stabilità Località A B C D E F G

Ancona 4,3 9,0 11,0 38,5 10,7 17,0 9,5 Bari 2,2 8,9 12,1 32,4 13,8 22,2 8,4 Bologna 8,4 11,6 10,2 16,5 10,8 29,1 13,4 Bolzano 12,0 14,2 7,9 9,1 4,9 31,1 20,8 Brindisi 0,4 2,9 14,7 56,8 8,0 12,3 4,9 Cagliari (Elmas) 2,6 7,0 13,9 35,6 11,3 20,9 8,7 Campobasso 4,7 8,0 10,0 37,6 11,2 18,9 9,6 Catania 1,6 6,2 14,5 34,1 9,1 18,5 16,0 Enna 8,3 8,4 8,7 40,0 8,5 11,6 14,5 Firenze 11,9 7,6 8,8 19,0 6,8 24,6 21,3 Foggia 5,0 6,1 10,2 37,0 9,8 18,9 13,0 Genova 4,2 8,6 9,9 42,2 9,0 14,2 11,9 Grosseto 5,3 9,5 10,6 23,4 6,8 19,0 25,4 Livorno 3,7 10,0 10,2 36,9 11,6 16,7 10,9 Messina 3,3 8,8 12,8 28,9 10,6 22,1 13,5 Milano (Linate) 10,8 12,0 9,9 11,1 10,3 28,2 17,7 Milano (Malpensa) 8,7 13,9 10,1 12,7 9,2 25,0 20,4 Napoli (Capodichino) 4,2 8,6 11,2 25,4 9,5 25,0 16,1 Palermo 2,8 9,8 11,0 30,4 11,3 22,7 12,0 Parma 13,4 11,2 8,2 9,5 8,0 27,4 24,3 Perugina 10,1 10,3 8,2 25,1 13,0 18,2 15,1 Pescara 5,4 11,2 11,0 20,9 9,7 29,7 12,1 Pisa 6,2 8,8 9,5 26,9 7,7 21,4 19,5 Potenza 4,5 5,6 10,4 43,3 6,7 18,1 11,4 Reggio Calabria 0,9 4,5 14,2 39,9 9,7 23,2 7,6 Roma 5,7 8,4 10,0 29,4 10,5 11,5 16,5 Siracusa 1,9 10,8 12,7 28,3 9,8 18,2 18,3 Taranto 3,1 7,7 12,7 34,0 9,0 17,0 16,5 Torino (Caselle) 12,1 13,8 8,3 8,2 7,8 30,2 19,6 Torino (Superga) 10,9 14,7 8,7 9,0 8,9 32,7 15,2 Trapani 0,7 1,5 13,8 56,5 9,4 10,6 7,5 Trieste 7,2 10,1 11,3 28,1 10,3 19,8 13,2 Venezia (Lido) 6,5 12,0 11,2 27,9 11,7 17,9 12,8 Verona (Villafranca) 13,0 10,6 7,9 11,0 7,3 25,6 24,6

In mancanza di informazioni di base rappresentative delle condizioni meteorologiche locali o per attribuire un breve periodo di tempo (di solito una singola ora) alla classe di stabilità che gli compete, è stato proposto da Hanna [1982] un metodo speditivo, derivato dagli studi del Brookhaven National Laboratory (BNL); il metodo consente l’attribuzione delle contingenti condizioni microclimatiche locali a cinque classi: la base sperimentale è:

o il rilievo della direzione del vento;

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o la sua variabilità nell’intervallo di un’ora (tabella 2.10)

E’ stata anche prodotta una correlazione (vagamente indicativa, ma spesso sufficiente per gli scopi applicativi in modelli empirici di dispersione) fra le classi di stabilità Pasquill e BNL; in sintesi tale corrispondenza è stata riassunta nella tabella 2.11

Tabella 2.10: Attribuzione alle classi di stabilità BNL.

Classi di stabilità Definizione A Fluttuazioni di ϕ superiori a 90° B1 Fluttuazioni di ϕ comprese fra 40° e 90° B2 Fluttuazioni di ϕ comprese fra 15° e 40° C Fluttuazioni di ϕ intorno a 15°, ma alquanto disperse

nell’ora intorno alla direzione prevalente. D Fluttuazioni di ϕ inferiori a 15°, rare e di breve durata.

Tabella 2.11: Relazione tra le classificazioni di stabilità Pasquill e BNL.

Classi di stabilità Condizioni di stabilità Pasquill BNL Estrema instabilità A A Moderata instabilità B B1 Leggera instabilità C B2 Neutralità D C Leggera stabilità E C/D Moderata stabilità F D

2.6.4 Fonometria.

Un suono è costituito da onde di compressione-rarefazione (variazione della pressione puntuale nel tempo, rispetto al valor medio barometrico), che si propagano nel mezzo elastico “atmosfera” e vengono percepite dall'orecchio di un ascoltatore attraverso il proprio apparato fisiologico uditivo.

Comunemente si definisce rumore un suono che non rechi informazioni utili e che interferisca con la possibilità di percepirne altri; si tratta in pratica di un suono inutile o dannoso, secondo attribuzioni meramente soggettive, legate alle condizioni fisico-psicologiche del ricettore.

La definizione del livello di inquinamento sonoro comporta la scelta di un indicatore di disturbo significativo e l'assunzione di un valore di soglia con il quale confrontarlo.

Nel primo passo è insita la necessità di una correlazione, di complessa ed eterogenea definizione, fra elementi quali l’agente produttore, il livello sonoro prodotto, il suo effetto fisiologico. Il secondo presuppone la individuazione e la valutazione dei danni possibili alla salute dei ricettori,

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anche in relazione alle attività occasionalmente svolte (con riferimento a quelle insediate nel territorio esaminato).

Alla difficoltà del procedimento si aggiunge una grande difformità di vedute, a livello di normative internazionali: nei diversi Paesi si fa riferimento ad indicatori anche molto difformi (analisi statica del livello di pressione sonora, analisi statistica, analisi del contenuto energetico delle emissioni, ecc.), e si giudicano quali limiti di tollerabilità valori estremamente differenti. Quale esempio eloquente, si rileva che la normativa cecoslovacca (la più permissiva), e quella danese (la più rigida) ammettono rispettivamente: - anche in zone residenziali di notte, un valore limite di 61 dB (A); - 35 dB (A), in zone esclusivamente residenziali nell’arco dell’intera

giornata, e 41 e 51 dB (A) in ambiente urbano generico, rispettivamente di notte e di giorno.

Ancor meno univoca è la scelta normativa delle tecniche di rilevamento e delle relative strumentazioni: molto è lasciato alla discrezionalità di chi esegue le misure, a tutto danno della confrontabilità delle esperienze e dei risultati.

In Italia l’inquinamento acustico di un territorio è regolato dal D.P.C.M. 01.03.91 (G.U. n° 57 dell'8/3/91) sui “Limiti massimi di esposizione al rumore per gli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno”, nonché dalla norma UNI U20.00.023 sulla “Caratterizzazione acustica del territorio mediante descrizione del rumore ambientale”, applicativa della comunitaria ISO R 1996.1.2.

Le surrichiamate normative assumono, quale descrittore delle condizioni acustiche, il livello di pressione sonora secondo la seguente relazione:

Lp = 10 log (P/P0)2

Nella suddetta relazione: - Lp è il livello di pressione sonora, espresso in "decibel"(dB), anche se si

tratta in realtà di grandezza adimensionale; - P è il suo valore efficace, misurato in Pascal (Pa); - P0 è la pressione di riferimento, che si assume pari a 20 µPa in condizioni

standard.

Nondimeno due suoni che presentino lo stesso Lp, ma non siano caratterizzati dalla stessa frequenza dell'onda, non producono la stessa sensazione uditiva: pertanto sono state statisticamente elaborate delle curve, nel piano pressione sonora/frequenza, che uniscono i punti di ugual sensazione uditiva: esse caratterizzano una grandezza detta "phon". Uno strumento che rilevasse i phon di un certo suono sarebbe in pratica paragonabile ad un orecchio umano; usualmente, per approssimarsi a questa irraggiungibile condizione si dota il fonometro (strumento di misura del solo Lp) di scale di ponderazione normalizzate, che permettono di individuare i phon del suono in esame tramite un coefficiente di correzione di Lp: in accordo con la pratica internazionalmente consolidata, per i suoni in ambienti esterni è invalso l'uso di implementare la scala di ponderazione A, esprimendo quindi Lp in dB (A).

Si definisce livello equivalente “ponderato A” nell’intervallo

di tempo T (da t1 a t2): ( )

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡−

= ∫2

12

0

2

12Aeq

1log10Lt

tA dtP

tPtt

in cui PA è la pressione efficace del segnale, ponderata secondo il filtro A. LAeq è dunque il livello di pressione sonora di un rumore continuo e

costante, che nell'intervallo T cumula la stessa energia sonora emessa dal rumore in esame; il suo valore non fornisce alcuna informazione sulla distribuzione di tale energia nell'intervallo di riferimento.

Tabella 2.12 Classificazione del territorio a fini acustici.

Classe Definizione I

Aree particolarmente protette: Rientrano in questa classe le aree nelle quali la quiete rappresenta un elemento di base per la loro utilizzazione: aree ospedaliere, scolastiche, destinate al riposo ed allo svago, residenziali rurali e di particolare interesse turistico, parchi pubblici, ecc.

II

Aree destinate ad uso prevalentemente residenziale: Rientrano in questa classe le aree urbane interessate prevalentemente dal traffico veicolare locale, con basse densità di popolazione, con limitata presenza di attività commerciali ed in assenza di attività industriali ed artigianali.

III

Aree di tipo misto: Rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico veicolare locale e di attraversamento, con media densità di popolazione, con presenza di attività commerciali ed uffici, con limitata presenza di piccole industrie.

IV

Aree di intensa attività umana: Rientrano in questa classe le aree urbane interessate da intenso traffico veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali ed uffici, con presenza di attività artigianali; le aree in prossimità di strade di grande comunicazione, di linee ferroviarie, di aeroporti; le aree portuali e quelle con limitata presenza di piccole industrie.

V

Aree prevalentemente industriali: Rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da insediamenti industriali e con scarsità di abitazioni.

VI

Aree esclusivamente industriali: Rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da attività industriali e prive di insediamenti abitativi.

Il D.P.C.M. 01.03.91, vigente in Italia, assegna alla amministrazioni comunali il compito di suddividere il proprio territorio, secondo le

76

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destinazioni d'uso, per l’applicazione dei limiti massimi del livello sonoro ammissibile, secondo i criteri della tabella 2.12; l’ottemperanza a tale obbligo è largamente incompleta, giacchè la maggior parte delle amministrazioni locali non ha provveduto alla zonizzazione del territorio di competenza.

Per le rumorosità ammissibili nelle varie zone, il D.P.C.M. 14.11.97 fissa i limiti, espressi in dB(A), riassunti nella tab.2.13. In mancanza della zonizzazione, si applicano i limiti provvisori (di norma validi per sorgenti fisse) di cui alla tabella 2.14.

Gli strumenti di misura da impiegare sono (all. B del DPCM 01/03/91): i fonografi registratori di classe 1° (standard I.E.C. n°651/79 e n°804/85), operanti nell’arco delle 24 ore ed aventi un range di linearità di risposta tra 20 Hz e 16 KHz.

Tabella 2.13.Limiti di rumorosità.

Tempo di riferimento Classi di destinazione d'uso del territorio Diurno

6-:-22 Notturno

22-:-6 Aree particolarmente protette 47 37 Aree prevalentemente residenziali 52 42 Aree di tipo misto 57 47 Aree di intensa attività umana 62 52 Aree prevalentemente industriali 67 57 Aree esclusivamente industriali 70 70

Per tenere conto della maggiore incidenza del periodo notturno sul disturbo arrecato, si distinguono il livello diurno Ld (dalle ore 6 alle 22) da quello notturno Ln; maggiorando convenzionalmente quest’ultimo di 10 dB(A); ne risulta un valore ponderato giornaliero Ldn:

Ldn = 10 log [0,667 10 0.1 Ld + 0,333 10 0,1(Ln +10)] in dB(A)

Per altre valutazioni si introducono altresì gli indici L10 ed L90, corrispondenti a:

L10 = decimo percentile della distribuzione statistica dei livelli sonori misurati, rappresentativo dei valori di picco);

L90 = novantesimo percentile, rappresentativo della rumorosità di fondo.

Le eventuali misurazioni ad hoc della condizione attuale si debbono effettuare in giorni infrasettimanali (dal martedì al venerdì) e possono essere opportunamente limitate campionariamente a periodi di 15 minuti distribuiti nell’arco delle 24 ore; esse sono eseguite nelle posizioni che si mostrino più significative per la descrizione acustica dell’ambiente; tipicamente:

- in prossimità di ricettori particolarmente sensibili; - in prossimità di sorgenti rilevanti; - nei vertici di una griglia quadrata, dalla maglia relazionata alle -

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disuniformità, che non dovrebbero superare i 5 dB(A) fra postazioni adiacenti (di norma si parte da aperture ampie e si dimezza il passo successivamente, nelle zone in cui la suddetta condizione non risulta rispettata).

Tabella 2.14. Valori limite per le immissioni da sorgenti sonore fisse.

Tipologia di area Livello continuo equivalente LAeq dB(A) Giorno (6-:-22) Notte (22-:-6) Tutto il territorio 70 60 Zona urbanistica A 65 55 Zona urbanistica B 60 50 Zona esclusivamente industriale 70 70

Le zone urbanistiche sono così definite dal D.M. 1444/68: • Zona A: Territorio impegnato da agglomerati urbani di carattere storico, artistico e/o di

particolare pregio ambientale, comprese le aree circostanti che le integrano • Zona B: Territorio totalmente o parzialmente edificato (indice fondiario >1/8 m2/ m2 e

densità territoriale >1,5 m3/ m2)

Le postazioni di misura debbono in ogni caso essere collocate anche in relazione agli ostacoli presenti (dai quali debbono distare almeno 2 metri); il microfono deve essere sospeso ad 1,5-:4,0 metri dal suolo, negli spazi liberi, a quote 3,0-:-11,0 metri, in prossimità delle facciate degli edifici; durante la registrazione lo stesso operatore deve tenersi distante dal microfono almeno 2,0 metri.

Ovviamente la campagna di rilievi deve essere corredata di una mappatura dei siti di prova.

2.6.5 Vibrazioni.

Fisicamente una vibrazione è un fenomeno ondulatorio che si propaga attraverso un mezzo solido; lo spettro di frequenze del segnale (nel caso usuale di processi approssimativamente lineari) è la base di caratterizzazione del fenomeno e di previsione degli effetti indotti dall’energia trasmessa sui ricettori: può essere scomposto con un’analisi di Fourier.

Ciascuna massa investita dal carico energetico contenuto nella vibrazione è soggetta a spostamenti cinematicamente caratterizzati da determinate velocità ed accelerazioni.

Alla definizione del fenomeno concorrono anche: L’andamento temporale degli impulsi.

Si distinguono usualmente: - “spettri costanti” quando, nell’intervallo di osservazione, il livello

oscilla al più di 5 dB sul valore medio; spettri non costanti quando tale condizione non risulta soddisfatta.

- “eventi impulsivi” quando le variazioni di livello sono repentine e la durata dei corrispondenti diagrammi è breve.

La direzione prevalente degli spostamenti indotti, riferiti ad

una terna cartesiana con l’asse Z verticale.

Le vibrazioni generate dal moto dei veicoli sulle infrastrutture di trasporto (in fase di esercizio) e dai mezzi d’opera (in fase di costruzione) si situano normalmente, all’origine, nella gamma di frequenze 1÷150 Hz.

In corso di propagazione nel terreno, la tendenza naturale di questo a trasferire l’energia vibratoria in corrispondenza delle frequenze proprie, dà luogo al filtraggio del segnale, principalmente con il taglio del settore alto dello spettro; in definitiva, per gli scopi dell’analisi ambientale del fenomeno vibrazionale, risulta d’interesse solo il campo di frequenze 1÷80 Hz (giacchè, di norma, lo spettro di maggior frequenza si esaurisce nell’arco di qualche metro).

Scaricandosi sui ricettori, l’energia vibrazionale produce una triplice categoria di effetti sociali e fisici:

disturbo di attività produttive: tipicamente, l’interferenza con lavorazioni di precisione;

disturbi psico-somatici sulle persone ed acustici (limitati alle frequenze superiori alla soglia di udibilità, fissata a 20 Hz);

danno strutturale ai manufatti.

L’apparecchiatura di misura delle vibrazioni è l’accelerometro (trasduttore meccanico-elettrico), misuratore dell’accelerazione indotta in un punto.

Dal rilievo delle accelerazioni si risale alle velocità ed agli spostamenti, rispettivamente con semplice e doppia integrazione.

In analogia a quanto già esposto per il rumore, gli indicatori fisici adoperati per la valutazione degli effetti di disturbo e/o del danno prodotto dalle vibrazioni sono il valore efficace, nell’intervallo T.= t2 – t1, delle accelerazioni aRMS e delle velocità vRMS indotte:

Inoltre, per la valutazione degli effetti fisiologici del disturbo, come

per il rumore, si usa riferirsi anzicchè alle grandezze cinematiche della vibrazione (accelerazione e velocità) ai corrispondenti livelli, espressi in dB:

( ) ( )∫∫ == 2

1

2

1

22 1........;1 t

tRMS

t

tRMS dttvT

vdttaT

a

La = 20 log (aRMS/a0) Lv = 20 log (vRMS/v0)

in cui a0= 10-6 m/sec2 e v0 = 10-8 m/sec sono i valori di riferimento delle rispettive grandezze.

Infine, sempre in analogia alla corrente pratica nello studio dei rumori, per portare nella dovuta considerazione la differenziata risposta fisiologica alle diverse direzioni degli impulsi ed alle varie frequenze dello spettro, si usa pesare le componenti armoniche secondo un filtro (curva A, rilevabile in ISO 2631-2); il valore dell’accelerazione pesata in frequenza si indica ordinariamente con aw.; il corrispondente “livello equivalente di accelerazione aw,eq”, rilevato nell’intervallo T.= t2 – t1, si esprime:

( ) ⎥⎦

⎤⎢⎣⎡= ∫

2

1

1,

t

t weqw dttaT

a

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80

ad esso si associa il livello di disturbo pesato Lw= 20 log (aw,eq/a0).

A differenza di altri paesi comunitari (Germania e Regno Unito, alla cui normativa si fa spesso riferimento), in Italia, allo stato attuale, non è stata adottata alcuna norma cogente in materia di esposizione alle vibrazioni.

Nondimeno, sulla base di criteri richiamati in raccomandazioni UE, l’UNI si è fatto carico della compilazione di alcune direttive che, pur non presentando caratteri di obbligatorietà, sono largamente applicate, in quanto richiamate in altre disposizioni.

Ne risulta un quadro di riferimento così composto: • ISO 2631 “Evaluation of human exposure to whole body vibration”:

- parte 1° “General requirements” - parte 2° “Continuous and shock-induced vibration”

• UNI 9614 “Misura delle vibrazioni negli edifici e criteri di valutazione del disturbo” • UNI 9616 “Criteri di misura e valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici”. • DIN 4150 (norma tedesca) “Structural vibration in buildings”:

- parte 1° Principles, predetermination and measurement of vibration parameters;

- parte 2° Effects on humans in buildings; - parte 3° Effects on structures”

• BS 6472 (norma inglese) “Evaluation of human exposure to vibration in buildings”.

Ai fini dell’organizzazione dell’eventuale campagna di rilievi, nell’ambito dell’analisi territoriale propedeutica al progetto stradale, soccorre la UNI 9616 (derivata dalla ISO 4866, a sua volta congruente alla DIN 4150), che, fra l’altro, contiene la seguente classificazione semplificata dei ricettori, funzione della loro probabile sensibilità alle vibrazioni meccaniche trasmesse dal terreno:

- Strutture industriali ordinarie e/o commerciali - edifici residenziali e/o destinati ad attività nel settore dei servizi

(case, uffici, ecc.); - edifici pubblici (municipi, chiese, scuole, ospedali, ecc.), ovvero

fabbricati antichi e/o di valore monumentale, storico, archeologico, ecc.

- edifici per attività produttive dalle specifiche esigenze.

Con l’esclusione dell’ultima delle suddette fattispecie (lavorazioni di precisione), soggetta a valutazioni specifiche caso per caso, la norma fissa i limiti di tollerabilità riassunti nella seguente tabella 2.15, da verificarsi separatamente per i tre campi di frequenze: <10 hZ, 10÷50 hZ, >50 hZ.

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Tabella 2.15: Limiti di tollerabilità delle velocità di vibrazione.

A livello fondazionivRMS in mm/sec

Sui solai superiorivRMS in mm/sec

Industriali e commerciali 20 ÷ 40 40 Residenze ed uffici 5 ÷ 15 15 Monumenti 3 ÷ 8 8

La norma fornisce anche criteri di calcolo della prevedibile reazione strutturale di un manufatto alle sollecitazioni vibranti indotte. I fattori presi in considerazione a questo scopo, in associazione alla destinazione d’uso di cui si è detto, sono principalmente:

- la categoria della struttura, in scala crescente di sensibilità da 1 a 8, in funzione delle caratteristiche costruttive (materiali strutturali, numero di piani, ecc.);

- la tipologia delle fondazioni, in tre classi decrescenti per efficienza (dai pali profondi e/o platee, alle fondazioni isolate delle strutture verticali puntiformi ovvero dirette delle murature continue)

- la natura del terreno di sedime, in sei classi decrescenti per qualità della risposta (dalle rocce compatte, ai terreni sciolti di riporto).

La stessa norma, infine, fornisce indicazioni di larga massima sui tre possibili livelli di danno che si possono produrre alle strutture a seguito di sollecitazioni vibranti.

Posto il limite inferiore di frequenza di 4 Hz, al di sotto del quale non si registrano conseguenze di rilievo, si definiscono:

danni di soglia, consistenti in fessurazioni filiformi nei giunti fra diverse parti strutturali (ad esempio al contatto dell’ossatura in c.a. con le tramezzature ovvero nelle malte delle murature). Possono verificarsi per eventi di breve durata con vRMS = 4÷50 mm/sec, ovvero continui con vRMS = 2÷5 mm/sec;

danni strutturali minori, consistenti in apertura di vere lesioni, distacco di intonaci e fregi. Possono verificarsi per eventi di breve durata con vRMS = 20÷100 mm/sec, o continui con vRMS = 3÷10 mm/sec;

danni strutturali gravi, consistenti in lesioni di membrature in c.a., fessurazioni diffuse, profonde e passanti delle murature portanti, aperture vistose dei giunti e/o slabbrature degli stessi per martellamento. Possono verificarsi per eventi di breve durata con vRMS = 50÷200 mm/sec, ovvero continui con vRMS = 5÷20 mm/sec.

Nell’ambito delle progettazioni stradali (invero assai più di frequente di quelle ferroviarie, in ragione della molto maggiore capacità di quell’esercizio di generare vibrazioni pregiudizievoli, per intensità e spettro di frequenze) si richiede talvolta un rilievo dello stato di fatto dell’inquinamento in parola, in ambiti in cui esso possa subire significative variazioni a causa della realizzazione e l’esercizio dell’infrastruttura di progetto.

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La zona d’interesse giammai si estende a siti distanti oltre qualche decina di metri dal margine stradale, superando il centinaio solo in circostanze particolarmente sfavorevoli.

Nell’ambito della zona d’interesse si eseguono le seguenti indagini: • identificazione degli insediamenti sensibili, in ragione della loro tipologia

strutturale e destinazione d’uso; rilievo delle loro caratteristiche prestazionali nei confronti del disturbo (fondazioni, membrature, solai, ecc.) ai sensi delle norme UNI 9614 e 9616;

• rilievo di dettaglio della geolitologia del sito, con particolare riferimento alle zolle che costituiscono veicolo del disturbo attuale e previsionale;

• misurazione dei livelli di vibrazione all’attualità, in corrispondenza dei ricettori di cui sopra;

• determinazione sperimentale della propagazione del previsto disturbo, con l’immissione di impulsi (in ampia fascia di frequenze), mediante un apposito agente (vibrodine o massa battente o minicarica).

Le misure vanno eseguite, nel rispetto della UNI 9614: lungo i tre assi di propagazione (Z verticale, X e Y orizzontali); a livello fondale e sui solai (almeno il primo e l’ultimo) dei ricettori

selezionati in bande normalizzate di 1/3 di ottava, nel dominio 1÷80 Hz, per

l’acquisizione dello spettro equivalente delle accelerazioni; nei domini di frequenza 1÷10, 10÷50 e 50÷80 Hz, per la

determinazione dei livelli di velocità di picco.

La strumentazione di misura da adottarsi nelle indagini deve essere conforme alle norme IEC 184, IEC 222 ed IEC 225: è composta da una serie così strutturata:

- accelerometro, caratterizzato da sensibilità e risposta lineare in frequenza, particolarmente nel settore basso dello spettro;

- preamplificatore; - filtri passabanda, limitatori del dominio di frequenze, e filtri

digitali real time di 1/3 di ottava; - integratore di segnale - registratore analogico DAT (Digital Audio Tape-recorder).

E’opportuno ed utile procedere a rilievi in contemporanea nei siti di ricezione prescelti, acquisendo i risultati tramite sistemi multicanali.

2.6.6 Sistema naturalistico ed uso del suolo.

Gli elementi del sistema ecologico d’interesse del progetto stradale, in quanto ne costituiscano vincoli meritevoli di attenzione e salvaguardia, sono schematicamente riferibili a tre ambiti distinti:

componente faunistica; componente floristica; ecosistemi complessi.

L’analisi della fauna consiste nel rilievo (con i limiti della

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mobilità delle specie animali) della composizione e delle densità di popolamento nell’area vasta dei diversi gruppi vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci), nonchè nella localizzazione dei rispettivi habitat, per le funzioni di alimentazione, riproduzione, rifugio e transito.

Il censimento si completa con la considerazione dei livelli di sensibilità all’eventuale perturbazione delle singole specie e dei soggetti (in riferimento all’abitudine acquisita).

L’analisi della flora non si limita all’individuazione dei soggetti meritevoli di salvaguardia, ma deve risalire alle loro aggregazioni in “comunità”, all’interno delle quali si verifichi una competizione biologica e si sia organizzata una difesa dalle azioni aggressive esterne. La vegetazione, con la sua caratteristica di dipendenza dal substrato e dalla microclimatologia del sito, è anche parte basilare dell’ecosistema, in associazione a particolari fattori morfologico-naturalistici quali: corpi idrici (sorgenti, fluenti e/o stagnanti), pareti rocciose, ambienti carsici, accumuli, ecc.

Alcuni tipi di ambiti ecosistemici, di particolare interesse e meritevoli di salvaguardia, sono genericamente indicati dalla legge italiana vigente (Legge Galasso n° 431 del 22.08.85): - le rive e le coste dei laghi e dei mari, per una fascia di 300 m di

profondità dalla battigia, comprese le scogliere rialzate; - le rive di fiumi, torrenti e corsi d’acqua, per una fascia di 150 m per lato; - le aree di montagna di elevata altitudine (≥1600 m s.l.m. per la zona

alpina e ≥1200 m s.l.m. per quella appenninica); - i ghiacciai ed i circhi glaciali; - i parchi e le riserve naturali; - i territori coperti da foreste e da boschi, anche se danneggiati dal fuoco; - le zone umide; - i vulcani.

In associazione alla perimetrazione delle zone vincolate, l’analisi degli assetti naturalistici si può concretizzare nella suddivisione dell’area secondo zone omogenee.

Nella tabella 2.16 sono riassunte le caratterizzazioni espresse dal programma europeo Corine Land Cover.

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Tabella 2.16 Caratterizzazione dell’uso del suolo a fini naturalistici

Classe Categoria Descrizione 1.1 Boschi di latifoglie

Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli ed arbusti, nelle quali dominano (> 75%) le specie forestali a latifoglie

1.2 Boschi di conifere Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli ed arbusti, nelle quali dominano (> 75%) le specie forestali conifere

1 Territori boscati ed ambienti seminaturali

1.3 Boschi misti Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi, ma anche da cespugli ed arbusti, nelle quali non dominano né latifoglie né conifere

2.1 Pascoli e praterie Aree foraggiere a bassa produttività, situate spesso in zone accidentate ed a rocce affioranti. Non sono presenti manufatti, né limiti di proprietà e recinti

2.2 Brughiere e cespuglietti

Formazioni vegetali basse, composte principalmente da cespugli, arbusti e piante erbacee. Sono comprese le formazioni a pino mugo.

2.3 Aree a vegetazione

sclerofilla.

Ne fanno parte: macchie (associazioni dense di specie arbustive miste, in terreni silicei acidi) e garighe (associazioni cespugliose discontinue su piattaforme calcaree). Si rinvengono: quercia coccifera, lavanda, corbezzolo, timo, cesto bianco, ecc. e qualche albero

2 Zone a vegetazione arbustiva ed erbacea

2.4 Aree boschive ed arbustive in evoluzione.

Vegetazione arbustiva ed erbacea con alberi sparsi. Possono derivare da degradazione della foresta o da rinnovazione e ricolonizzazione di aree non forestali.

3.1 Spiagge, dune, sabbie.

Distese di sabbia e ciottoli (larghezza >100 m) in ambienti litorali e continentali, compresi i letti dei corsi d’acqua, a vegetazione cespugliosa a macchie

3.2 Rocce nude, falesie rubi.

3.3 Aree a rada vegetazione.

Comprendono le steppe xerofile e le tundre in senso generale

3.4 Aree percorse da incendi

I prodotti della combustione debbono essere ancora presenti e visibili.

3 Zone aperte con vegetazione rada o assente

3.5 Ghiacciai e nevai perenni.

Si comprendono in questa classe anche gli impianti sportivo-ricreative per gli sport invernali

4.1 Zone umide interne

Zone non boscate, temporaneamente o permanentemente saturate parzialmente (a macchie) da acqua dolce stagnante o corrente.

4.2 Paludi interne

Zone basse, generalmente inondate in inverno da acqua dolce, variamente saturate nelle altre stagioni.

4.3 Torbiere Terreni spugnosi umidi, con suolo ricoperto di muschi e vegetali in decomposizione

4.4 Zone umide marittime

Zone non boscate, temporaneamente e/o parzialmente saturate da acqua salmastra.

4.5 Paludi salmastre Terre costiere, basse e vegetate, situate sotto il livello di alta marea, colonizzate da piante alofite

4.6 Saline

Paludi salmastre industrialmente utilizzate per l’estrazione; se inattive sono spesso colonizzate da alofite.

4 Zone umide

4.7 Zone intertidali

Superfici limose, ghiaio-sabbiose e/o rocciose, adiacenti a corpi idrici, comprese (in quota) fra i livelli massimo e minimo del pelo libero.

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5.1 Corsi d’acqua naturali

Si comprende in questa classe il letto di magra ordinaria

5.2 Canali artificiali Si includono nella classe le aree degli argini e delle eventuali strade di servizio esclusivo

5.3 Laghi naturali Si comprende nella classe lo specchio di magra ordinaria

5.4 Laghi artificiali

Si comprende nella classe lo specchio di magra ordinaria

5.5 Lagune

Aree separate dal mare (salvo localizzate comunicazioni) coperte di acque salate o salmastre,

5.6 Estuari

5 Corpi idrici

5.7 Mari Si comprende nella classe lo specchio oltre il limite delle maree più basse

6.1 Seminativi Superfici arabili, sottoposte ad un sistema di rotazione

6.2 Seminativi in aree non irrigue

Superfici coltivate in pieno campo a cereali, foraggi, leguminose, piante medicinali, aromatiche e culinarie. Colture in serra.

6.3 Seminativi in aree irrigue.

Aree con colture specializzate, dotate di uno stabile rifornimento di acqua agricola, a gravità (canali d’irrigazione) o artificiale (impianti idraulici).

6.4 Risaie. Terreni destinati alla coltivazione del riso, in genere terrazzati ed abbondantemente irrigati.

6.5 Vigneti.

6.6 Frutteti.

Impianti di alberi o arbusti fruttiferi monotipologici o misti, intercalate talvolta a superfici erbate (purchè non prevalenti). Appartengono a questa classe anche i castagneti.

6.7 Prati stabili. Superfici con copertura erbacea densa (graminacee), non soggetta a rotazione

6.8 Pioppeti ed eucalipteti

Impianti specializzati in colture legnose d’alto fusto a rapida crescita, gestiti a turni brevi (max 30 anni).

6.9Rimboschimenti. Impianti ordinati e vivai forestali, prevalentemente di conifere.

6.10 Sistemi particellari Mosaico di piccoli appezzamenti di terreni con varie colture intensive annuali o permanenti.

6.11 Pascoli e prato-pascoli

Superfici erbacee foraggiere a cotiche stabili o modificate per l’utilizzo (pascolo). Alle quote di pianura e collina talora viene lo sfalcio

6 Territori agricoli

6.12 Coltivi abbandonati

Aree all’attualità non utilizzate, anche invase (< 20% dell’estensione) da alberi ed arbusti spontanei suscettibili di sviluppo (forestale o agro-pastorale).

7.1 Verde urbano Spazi compresi nel perimetro degli abitati, inclusi parchi e cimiteri.

7 Zone verdi artificiali non agricole 7.2 Aree sportive e

ricreative

Campi sportivi (incluso il golf e gli ippodromi), anche non recintati, spazi per ricreazione e giochi, camping e picnic. Aree archeologiche.

8.1 Tessuto urbano continuo

Spazi strutturati dagli edifici e dalle relative infrastrutturazioni (viabilità ed altre aree impermeabilizzate) per coperture > 80%

8 Zone urbanizzate

8.2 Tessuto urbano discontinuo

Spazi caratterizzati dalla presenza di edifici, che, con le relative infrastrutture coprono il 50÷80 % del territorio perimetrato; isolati complessi rurali, abitazioni ed edifici di servizio (carceri, ospedali).

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9.1 Aree industriali e/o

commerciali

Aree con copertura artificiale e prevalentemente impermeabile, che occupi almeno il 50 % della superficie, al di fuori del tessuto urbano. La zona comprende di norma anche edifici e/o superfici vegetate

9 Zone industriali, commerciali, infrastrutturali

9.2 Superfici stradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali.

10.1 Aree estrattive

Cave a cielo aperto di materiali inerti, ad eccezione dei letti dei corsi d’acqua, sono compresi in tali aree anche gli edifici e le costruzioni di servizio.

10.2 Discariche Depositi definitivi di materiali di scarto e di rifiuto di qualsiasi attività antropica

10 Zone estrattive, discariche e cantieri

10.3 Cantieri. Suoli rimaneggiati che ospitano temporaneamente attività costruttive.