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Capacità di orientamento e migrazioni delle tartarughe marine Valentina Bottani Lavoro di maturità 2008 Liceo cantonale di Mendrisio Docente: prof. Andreas Duijts

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Capacità di orientamento e migrazioni

delle tartarughe marine

Valentina Bottani

Lavoro di maturità 2008

Liceo cantonale di Mendrisio

Docente: prof. Andreas Duijts

Valentina Bottani 4B Lavoro di maturità 2008

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Indice

Capitolo Pagina

1. Premessa

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2. Abstract 4

3. L’oceano; l’ambiente delle tartarughe marine 5

3.1. Temperatura e concentrazione di ossigeno nell’acqua marina 5

3.2. Masse d’acqua e correnti 6

4. Il campo magnetico terrestre 9

4.1. Cartografia IGRF 9

5. Le specie sottoposte agli esperimenti 11

5.1. Chelonia mydas 11

5.2. Caretta caretta 14

5.3. Alcune differenze nella nidificazione delle due specie 16

6. Ruolo delle spiagge natie e delle mappe 17

6.1. Perché e quando le tartarughe migrano? 17

6.2. Esperimento con Chelonia mydas 18

7. Diversi movimenti dopo la nidificazione 19

7.1. Movimenti di una femmina di Chelonia mydas dopo 21

la nidificazione

8. Orientamento e navigazione in mare aperto 23

8.1. Trovare il mare 23

8.2. I primi attimi in mare 23

8.3. In mare aperto 26

8.4. Orientamento magnetico 26

8.5. Ritorno delle femmine alle spiagge 27

8.6. Sensibilità a parametri di tipo magnetico da parte dei neonati di 28

Caretta caretta

8.7. Mappe con bicoordinate magnetiche 30

9. Nuova possibile minaccia: il surriscaldamento globale 31

10. Conclusione 32

11. Bibliografia e Webgrafia 33

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1. Premessa:

Ho da sempre avuto un forte interesse per la natura, gli animali, e la biologia. Fin da piccola mi sono

posta molte domande a riguardo del comportamento animale alle quali, informandomi come

potevo, cercavo di dare risposta. Quando l’anno scorso mi è stata presentata la possibilità di

partecipare a un lavoro di maturità con tema centrale la biologia marina, mi è sembrata l’occasione

perfetta per arricchire le mie conoscenze in questo ramo della biologia e per trovare risposta alle

diverse domande che avevo in sospeso in questo ambito. A una di queste, in particolare, ho avuto

modo di dare risposta concentrando il mio lavoro di ricerca sul tema dell’orientamento e della

migrazione delle tartarughe marine.

Da sempre mi chiedevo come gli animali che vivono negli oceani riescano a orientarsi in queste

vaste aree prive apparentemente di punti di riferimento, e come riescano a raggiungere obiettivi

talvolta anche molto isolati con una precisione sorprendente. Trattare questo tema avrebbe

significato però prendere in considerazione un numero di organismi marini troppo grande,

considerando che diversi animali presentano eccezionali capacità di orientamento. Mi sono quindi

concentrata in modo particolare sulle tartarughe marine, sulle loro tecniche di orientamento e sulle

loro migrazioni. Questi animali mi hanno sempre affascinata e hanno sempre suscitato in me

simpatia, inoltre nell’ambito delle migrazioni sono tra gli animali che percorrono le distanze più

ragguardevoli. Per questi motivi ho puntato la mia attenzione sulle tartarughe marine, e in

particolare su due specie; Chelonia mydas (tartaruga verde) e Caretta caretta. Durante l’estate ho

trascorso tre settimane nella città di Vienna. In questa splendida città ho avuto modo di osservare

dal vivo un esemplare femmina d circa trent’anni di Chelonia mydas. È stata davvero una bella

esperienza vedere “faccia a faccia” l’oggetto del mio lavoro, anche se si trovava in cattività in un

acquario. Sempre durante queste tre settimane ho avuto occasione di visitare il Museo di Storia

Naturale di Vienna, nel quale erano esposti carapaci, fossili e scheletri di diverse specie di

tartarughe marine, tra cui Chelonia mydas e Caretta caretta. Pur non trattando nel mio lavoro

prettamente l’anatomia di questi animali (bensì il loro comportamento), la visita al museo è stata

interessante.

Verso la fine della redazione del mio lavoro, mi è sembrato opportuno introdurre il tema dei

cambiamenti climatici, in particolare le conseguenze che il riscaldamento globale apporta sul ciclo

vitale delle tartarughe. I cambiamenti climatici sono un tema molto attuale e in futuro le

conseguenze potrebbero essere visibili sia sugli esseri umani e sulla loro salute, sia sugli animali che

con noi vivono sulla Terra. In particolare le conseguenze sono particolarmente evidenti sul ciclo

vitale delle tartarughe e sul loro habitat, entrambi regolati da equilibri molto fragili e facili da

distruggere. Trattando questo argomento ho voluto ricordare quanto la situazione potrebbe

sfuggire di mano se non si dovesse agire per limitare gli effetti del riscaldamento globale, infatti

“tutte le cose sono connesse” e la salute del nostro pianeta è in relazione con la nostra e con quella

degli altri esseri viventi.

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2. Abstract

Nella prima parte di questo lavoro sono brevemente descritti alcuni fenomeni tipici dell’ambiente

marino come la concentrazione di ossigeno nell’acqua, il moto ondoso, le correnti e la temperatura

dell’acqua. Oltre a questo viene trattato in modo altrettanto breve il fenomeno del campo

magnetico terrestre, le informazioni basilari date, si riveleranno molto utili al momento della

descrizione degli esperimenti e delle teorie sull’orientamento delle tartarughe.

La seconda parte del lavoro riguarda la descrizione anatomica e comportamentale delle due specie

prese in considerazione, Chelonia mydas e Caretta caretta. Alla fine di questa parte, vengono

sintetizzate le principali differenze esistenti tra le due specie.

Dopo questa parte più introduttiva del lavoro, inizia la vera e propria descrizione dei

comportamenti, degli spostamenti attuati dagli individui sottoposti agli esperimenti o in libertà.

Vengono descritti inizialmente i primi attimi in mare da parte dei neonati, e successivamente si

analizzano alcuni esperimenti effettuati da diversi ricercatori (come Lohmann et al., G. Balazs, J.K.

Chan) e i dati ottenuti. Partendo da questi ultimi vengono esposte alcune teorie del comportamento

migratorio e dell’orientamento delle tartarughe marine.

Prendendo spunto da un articolo scientifico di Lohmann et al. vengono descritte in modo

approfondito le diverse fasi che caratterizzano la vita di una tartaruga dalla nascita all’arrivo in mare

aperto mirando soprattutto alle tecniche usate in ciascuna fase per orientarsi ed effettuare la

migrazione senza perdersi e incorrere in qualche rischio. Un capitolo è totalmente dedicato alla

sensibilità a parametri di tipo magnetico da parte dei neonati della specie Caretta caretta e alla

formulazione di una teoria che possa spiegare i comportamenti attuati dai piccoli durante gli

esperimenti.

L’ultimo tema trattato considera l’influsso del riscaldamento globale sulla vita delle tartarughe

marine e le conseguenze che potrebbero seguire alla perdita dell’equilibrio nel ciclo vitale di questi

animali. Vengono ipotizzati alcuni scenari che si potrebbero presentare ai nostri occhi se non ci

dovesse essere alcun intervento dell’uomo mirato a salvaguardare la vita delle tartarughe marine.

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3. L’oceano; l’ambiente delle tartarughe marine

Per cominciare questo lavoro, è importante dare uno sguardo generale all’ambiente dove le

tartarughe marine vivono; l’oceano. Vedremo ora come questa vasta area possa avere

caratteristiche differenti a dipendenza della zona alla quale ci troviamo.

3.1. Temperatura e concentrazione di ossigeno nell’acqua marina

L’immensa superficie d’acqua degli oceani del mondo può essere suddivisa in zone aventi acqua con

una temperatura più bassa e altre, a latitudini diverse, aventi temperatura più elevata. Questa

differenza rilevante è dovuta alla diversa quantità di energia proveniente dal sole che l’acqua

assorbe ad ogni latitudine. Troviamo masse d’acqua più calda nelle zone circostanti l’equatore, che

ricevono un’elevata quantità di luce durante l’anno. Nelle zone più vicine ai poli invece le masse

d’acqua hanno temperatura minore.

La differenza di temperatura determina però anche una diversa composizione dell’acqua. Infatti,

minore è la temperatura dell’acqua, maggiori sono la solubilità e quindi la concentrazione di

diossigeno. Perciò nelle acque più fredde, con una giusta quantità di luce e ricche di ossigeno vivono

moltissimi microorganismi e di conseguenza moltissime specie marine che si nutrono di essi. C’è

anche da considerare il fatto che questo gas non è distribuito uniformemente con la profondità

dell’acqua. Osservando la concentrazione di ossigeno alle diverse profondità possiamo ottenere un

“profilo verticale”. Esso indica che fino a una profondità di 10-20 m abbiamo il massimo di

concentrazione di ossigeno (sono le zone migliori per le attività fotosintetiche di alcuni tipi di

microorganismi). Per esempio nell’area tropicale dell’oceano Atlantico la concentrazione di

ossigeno a queste profondità può raggiungere i 5 ml per litro. Scendendo di profondità invece, tra i

200- 1000 m nell’oceano aperto, l’ossigeno diminuisce fino a livelli minimi. Sempre nell’area

tropicale dell’oceano Atlantico, nell’intervallo tra queste profondità la concentrazione di ossigeno è

pari a 0,2 ml al litro mentre a 500 m arriva a 0 ml per litro. Questa viene chiamata “zona minima” di

ossigeno, e in essa il gas può anche arrivare a concentrazione zero. Sotto questo livello la

concentrazione sale nuovamente ma solitamente non raggiunge i livelli elevati presenti in

superficie. Questo nuovo aumento è da ricondurre all’afflusso di correnti di acqua fredda, ricca di

ossigeno.

Figura 1 Temperatura superficiale dell’acqua, visione globale.

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3.2. Masse d’acqua e correnti

La salinità dell’acqua e la sua temperatura hanno conseguenze sulla densità della stessa acqua.

Usando queste differenze si possono separare le acque oceaniche in diverse masse d’acqua.

Distinguiamo le due principali; la massa d’acqua detta “superiore” e la massa d’acqua “profonda”.

Esse a loro volta si possono suddividere in altre sottocategorie di masse d’acqua. Ora guarderemo

più in dettaglio in cosa si differenziano queste due diverse masse principali.

La massa d’acqua superiore ha come caratteristica fondamentale il costante movimento. Un fattore

che determina questo costante movimento della superficie è il vento. Il vento è un fattore che può

contribuire all’originarsi di due fenomeni molto importanti: le onde e le correnti. Le prime possono

avere dimensioni molto ridotte (pochi centimetri) e assumere un aspetto d’increspatura dell’acqua,

fino ad arrivare a considerevoli altezze, per esempio nel caso delle onde durante una tempesta che

possono raggiungere anche i 30 metri. L’altezza di un’onda dipende dalla velocità del vento,

dall’altezza alla quale il vento soffia e dalla durata del vento. Le onde si caratterizzano oltre che per

l’altezza, anche per la loro lunghezza e il loro periodo. La lunghezza di un’onda viene determinata

misurando la distanza orizzontale esistente tra le creste di due onde successive. Il periodo invece è il

tempo necessario affinché le creste di due onde successive passino davanti a un punto prefissato.

Oltre al vento, altri fenomeni naturali come esplosioni vulcaniche e terremoti possono originare

onde. Lo tsunami è un fenomeno molto particolare. Da un terremoto subacqueo si genera un’onda

distruttiva, conosciuta appunto con il nome di tsunami. Influssi importanti sulle maree sono dati

invece dal sole e dalla luna. Quando si genera un’onda, il suo passaggio non ha influenza solo sulla

superficie dell’acqua, ma anche sull’acqua sottostante fino a una profondità corrispondente a circa

la metà della lunghezza d’onda. Le correnti invece hanno come caratteristica principale il trasporto

di masse d’acqua in direzione orizzontale. Sono solo pochi venti che originano correnti negli oceani.

Questi venti mettono in movimento la superficie dell’acqua producendo lente correnti orizzontali

che riescono a spostare enormi masse d’acqua per distanze ragguardevoli. Le correnti marine non

sono però semplici movimenti d’acqua, infatti esse hanno anche una grande importanza nella

distribuzione degli organismi marini. Rilevanti sono inoltre le conseguenze che portano sulla

terraferma, infatti correnti che trasportano masse d’acqua calda in regioni più fredde e viceversa

hanno forte influsso sul clima e sulla fauna delle regioni che “toccano”. A causa dell’inclinazione

dell’asse terrestre e della rotazione del pianeta Terra, le correnti non scorrono però parallelamente

alla direzione dei venti, questo

fenomeno è chiamato “Effetto di

Coriolis”. Infatti le correnti

scorrono disegnando dei cerchi in

Figura 2 Nella figura a fianco possiamo osservare le principali correnti oceaniche. Le frecce di colore blu rappresentano correnti d’acqua fredda, mentre quelle di colore rosso sono costituite da acqua calda. Le frecce bianche indicano il senso del movimento circolare di ogni corrente e le frecce gialle rappresentano invece la direzione dei venti che originano queste correnti.

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senso orario nell’emisfero nordico, e in senso antiorario nell’emisfero meridionale. Questi

movimenti circolari sono il risultato dell’inclinazione dell’asse terrestre e della rotazione del pianeta.

Abbiamo già visto come il movimento dell’acqua in superficie dipenda dai venti, ma sorge

spontanea la domanda, come vengono coinvolte le colonne d’acqua sottostante?

A questo proposito è interessante osservare il grafico della spirale di Ekman qui sotto.

Innanzitutto notiamo come per l’effetto di Coriolis lo strato d’acqua superficiale si muove verso una

direzione deviata di circa 45° rispetto alla direzione del vento. L’energia fornita dal vento viene

passata alla colonna d’acqua sottostante attraverso una serie di strati. Ogni strato, una volta

ricevuta questa energia (sottoforma di movimento) la trasmette allo strato sottostante, mettendolo

a sua volta in movimento. L’energia però mano a mano che passa verso strati più profondi

diminuisce sempre di più, e ciò comporta che in profondità gli strati d’acqua si muovono a una

velocità ridotta. L’effetto di Coriolis agisce su ogni strato, deviandone la direzione del movimento

rispetto allo strato precedente. Normalmente vengono coinvolti dal movimento gli strati d’acqua a

profondità minori di 100 metri, ma questa profondità può anche variare.

I movimenti delle acque profonde che noi chiamiamo correnti avvengono senza l’influsso diretto del

vento, bensì attraverso cambiamenti

dell’acqua in superficie, come salinità, densità

e temperatura. Infatti l’acqua marina aumenta

in densità mano a mano che la sua

temperatura cala (fino a una densità massima

a 4°C). Quando l’acqua aumenta di densità, si

“inabissa” raggiungendo le profondità

oceaniche. Perciò sul fondo troviamo acqua

con temperatura minore (non inferiore però ai

4°C), mentre in superficie essa ha temperatura

maggiore. Con l’aumento di densità dell’acqua

in superficie si crea un continuo movimento di

masse d’acqua dalla superficie al fondo.

L’aumento di densità può avvenire in due

modi.

1. L’acqua calda diretta verso i poli perde

energia a causa della bassa temperatura

dell’atmosfera, e perciò precipita a fondo.

2. L’acqua calda proveniente dalle regioni tropicali e subtropicali contiene un tasso elevato di

salinità, dovuta all’evaporazione. Quest’acqua viene trasportata verso il nord dell’Atlantico dalla

Corrente del Golfo. Una volta arrivata nelle regioni dell’Islanda e della Groenlandia incontra

l’acqua fredda della Corrente di Labrador diretta verso sud. L’incontro delle due correnti

provoca il raffreddamento della prima corrente calda, e di conseguenza un aumento della

densità dell’acqua che precipita sul fondo e va a formare le acque profonde del Nord Atlantico.

Queste acque fredde e dense hanno una forte concentrazione di ossigeno che viene trasportato

anche in profondità. Senza di esso nelle acque profonde non sarebbe possibile una grande diversità

Figura 3 La spirale di Ekman. In alto, la freccia bianca indicante la direzione del vento. Il movimento dello strato superficiale è invece deviato di 45°. Procedendo in profondità il movimento degli strati è continuamente deviato e le frecce diventano sempre più corte poiché il movimento diventa più lento e limitato a causa della diminuzione dell’energia impartita inizialmente dal vento.

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di specie. Oltre a ciò, c’è da notare come le acque profonde si muovano lentamente, occorrono

infatti centinaia d’anni affinché queste masse d’acqua attraversino il bacino dell’oceano. Le acque

profonde del Nord Atlantico (punto 2) possono rimanere sul fondale per centinaia d’anni dal

momento del loro “affondamento” nella regione dell’Islanda, fino alla riemersione nelle regioni

dell’Antartico. Al momento della riemersione inoltre queste acque danno un grande contributo

apportando in superficie nutrienti inorganici accumulati durante gli anni passati in profondità.

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4. Il campo magnetico terrestre

Spesso, scorrendo questo mio lavoro, ci imbatteremo nel termine “campo magnetico” e

“magnetismo”. Questi termini hanno un’importanza rilevante poiché è grazie al campo magnetico

terrestre che le tartarughe marine possono nuotare seguendo lunghe rotte in direzione di precise

spiagge (talvolta situate anche su piccole isole) senza perdere l’orientamento. È perciò necessario

chiarire cosa sia il campo magnetico, per poter meglio comprendere in che modo venga sfruttato

dalle tartarughe marine.

La Terra produce un campo magnetico, le cause prime che originano questo fenomeno non sono

certe. All’inizio del XVII secolo, il fisico inglese W.Gilbert dichiarò che la Terra era comparabile a un

grande magnete. Era già noto infatti un particolare minerale di ferro, la magnetite, con capacità

ferromagnetiche. Il campo magnetico terrestre agisce quindi sull’ago di una bussola orientandolo in

direzione nord-sud. La prima esatta configurazione del campo magnetico terrestre fu rilevata da

Gauss nel 1832, il quale tracciò le linee di forza del campo e studiò il fenomeno da punto di vista

fisico-matematico. Oltre al fenomeno del magnetismo indotto nei materiali ferromagnetici, vi sono

anche altri fenomeni che possono provare la presenza di questo campo magnetico. Per esempio

l’attrazione da parte della Terra di particelle elettricamente cariche provenienti dallo spazio

esterno. Il campo magnetico è definito da diversi elementi:

� Il vettore d’intensità di campo

� La declinazione magnetica (l'angolo formato dalla direzione del Nord magnetico e da quella

del Nord geografico.)

� L’inclinazione magnetica

� Le componenti del vettore campo nei piani orizzontale e verticale

A riguardo dell’argomento del mio lavoro, parleremo soprattutto d’intensità di campo e di

inclinazione del campo magnetico terrestre. Si suppone infatti che questi due elementi vengano

sfruttati come coordinate dalle tartarughe per individuare la loro posizione in riferimento

all’obiettivo da raggiungere.

Gauss continuò i suoi studi, e riuscì a stabilire l’origine del campo magnetico terrestre. Per circa il

96% il campo proviene dall’interno del pianeta, mentre per il 4% circa è una conseguenza di scambi

elettrici tra l’atmosfera e la superficie terrestre, e questi scambi vengono chiamati “anomalie

magnetiche”. Più semplicemente, se consideriamo solo il valore maggiore, si può vedere il

fenomeno come se al centro della Terra vi fosse una barra magnetica molto potente e inclinata

rispetto all’asse terrestre di circa 11°30’.

L’unità di misura usata, nel Sistema Internazionale (SI), per indicare il campo magnetico è il tesla (T),

ma viene utilizzato molto più frequentemente il nT, un suo sottomultiplo (10-9 T).

4.1. Cartografia IGRF

Durante lo studio del campo magnetico terrestre diventò necessario trovare un metodo per

cartografare, e rendere di conseguenza più semplice lo studio del campo e le sue relazioni con la

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vita di tutti i giorni. Questa esigenza venne soddisfatta con l’introduzione della cartografia IGRF

(International Geomagnetic Reference Field) da parte dell’IAGA, l’associazione internazionale del

geomagnetismo e dell’aeronomia (la parte della geofisica che studia i fenomeni chimici e fisici

dell'atmosfera terrestre ad una quota superiore ai 30 km). Ogni cinque anni l’insieme di dati

disponibili su scala planetaria vengono elaborati (tenendo conto delle variazioni) e da questo

procedimento viene sviluppata la cartografia. Essa può essere di vario tipo, vi sono cartografie più

generali che indicano il campo nel suo insieme, mentre esistono altre cartografie più specifiche, che

indicano in modo particolare un dato componente del campo come la componente orizzontale,

verticale, l’inclinazione, l’intensità, eccetera. Oltre a ciò, ad ogni cartografia vengono aggiunti

coefficienti ricavati in base a dei modelli previsionali, in modo che durante i cinque anni successivi

alla pubblicazione dell’IGRF esso possa restare aggiornato. Purtroppo si è potuto costatare che

tanto più ci si discosta dall’anno di pubblicazione, tanto più l’IGRF perde di precisione a causa dei

modelli non sufficientemente accettabili dal punto di vista previsionale.

Le carte ottenute con questo metodo sono di tipo isomagnetico, e ciò significa che i punti che

posseggono lo stesso valore di un dato parametro sono uniti attraverso delle linee chiuse. Abbiamo

detto prima che vi sono diversi tipi di carte, a dipendenza dell’elemento che trattano esse avranno

nomi diversi. Le carte isocline riportano i valori dell’inclinazione di campo, le carte isogone

rappresentano la declinazione, nelle carte isodinamiche viene graficata l’intensità.

Figura 4.a Mappa isogona rappresentante i valori di declinazione di campo durante l’anno 2005 (dati IGRF)

Figura 4.b Mappa isodinamica Figura 4.c Mappa isoclina rappresentante i valori d’intensità di campo rappresentante i valori d’inclinazione di campo durante l’anno 2005 (dati IGRF) di campo durante l’anno 2005 (dati IGRF)

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5. Le specie sottoposte agli esperimenti

Descriveremo ora più attentamente le due principali specie di tartarughe marine coinvolte negli

esperimenti di cui parleremo. Esse sono la specie Chelonia mydas e la specie Caretta caretta.

5.1. Chelonia mydas

Regno: Animalia

Phylum: Chordata

Classe: Reptilia

Ordine: Testudines

Famiglia: Cheloniidae

Genus: Chelonia

Specie: Chelonia mydas

Diffusione

Questa specie è diffusa largamente nelle acque

con temperature superiori a 20°, in particolare

nelle zone tropicali e subtropicali. L’oceano

Atlantico, il Mar Mediterraneo, lo stretto della Manica, l’oceano Indiano, il mare del Giappone, il

mare della Cina, la Nuova Zelanda, la Micronesia e la Melanesia sono le principali aree dove vivono

popolazioni di questa specie. Il luogo più a nord dove è possibile incontrare questa tartaruga è

l’Irlanda, mentre la zona più a sud è l’Argentina. Spesso si possono trovare individui in alto mare, ma

questa specie predilige in modo particolare le profondità modeste, dove può trovare maggiore

disponibilità di piante marine. Le immersioni in apnea possono durare dai dieci minuti ai tre quarti

d’ora circa e molto raramente arrivano all’ora.

Morfologia generale

La specie Chelonia mydas presenta un carapace

(la parte superiore del guscio) cuoriforme, più

bombato anteriormente e più sottile

posteriormente. Il colore è bruno olivastro o

grigio con striature più chiare. Il carapace ha un

aspetto levigato. Il piastrone (parte inferiore del

guscio) risulta invece bianco giallastro,

abbastanza largo e costituito talvolta negli adulti

da due carene longitudinali particolarmente

visibili negli individui più giovani. Il colore del

carapace può ulteriormente variare. Alla nascita

è di un colore blu scuro, che passa poi a una

tonalità più rossastra durante l’adolescenza, fino a raggiungere i tipici colori elencati prima nella

fase adulta. La testa, di colore grigiastro, può misurare fino a 15 cm di larghezza, è abbastanza

Figura 5 Giovane esemplare di Chelonia mydas. Si può notare il colore rossastro del carapace.

Figura 6 Esemplare femmina adulta (circa 30 anni) di Chelonia mydas fotografato da me in un acquario di Vienna (Haus des Meers.)

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piccola rispetto ad altre specie di tartarughe marine, e presenta un muso tondo e corto. Gli occhi, a

forma di mandorla, sono grandi e il becco, molto sviluppato, ha una consistente dentatura. Le pinne

grigie ma talvolta anche verdastre sono molto ben adattate al nuoto. Sono caratterizzate infatti da

una forma larga, e sono ricoperte da squame cornee allungate con un'unica unghia. Nei maschi le

unghie sono più sviluppate, oltre a ciò essi possiedono una coda particolarmente lunga, larga e

prensile con un’estremità cheratinizzata usata per afferrare meglio la femmina durante

l’accoppiamento. La maturità sessuale è raggiunta tra gli 8 e i 15 anni. Questa specie di tartaruga è

considerata di grande taglia (tra gli 80 e i 130 cm massimi). Il peso varia da 160 kg come peso medio

a un massimo di 250 kg, con eccezione di taluni individui che possono raggiungere anche i 400 kg.

Alimentazione

Il motivo per cui queste tartarughe prediligono profondità modeste è da ricercare nella loro

alimentazione. Queste tartarughe si nutrono principalmente di piante marine che crescono

rigogliose nelle zone con bassa profondità. L’alimentazione sembra però variare fortemente in

funzione dell’età. I piccoli prediligono in particolar modo la carne, e le loro prede preferite sono

invertebrati e uova di pesce. Con la crescita invece la loro alimentazione diventa sempre più

erbivora, anche se non disdegnano crostacei, molluschi, meduse, spugne di mare e coralli. La

cellulosa vegetale viene digerita grazie alla microflora presente nei loro intestini, comparabile a

quella presente nell’apparato digerente dei bovini. Questa dieta a base di alghe risulta però povera

di valori nutritivi e ciò spiegherebbe la lenta crescita degli individui della specie e la loro tardiva

maturazione sessuale.

Accoppiamento e riproduzione

Non sempre le femmine accettano il corteggiamento dei maschi, che talvolta vengono rifiutati.

Quando però le femmine sono consenzienti, l’accoppiamento può durare anche fino a 6 ore. Esso

può avere luogo sia sul fondale sia in superficie. Talvolta altri maschi disturbano la coppia,

mordendo il maschio o facendogli perdere la stabilità. Un unico accoppiamento è sufficiente per

tutte le covate della stagione (la femmina può nidificare fino a 6 volte in una stagione).

Un importante aspetto che caratterizza le tartarughe marine è la capacità da parte delle femmine di

“ritenzione dello sperma”. Dopo l’accoppiamento, lo sperma prodotto dal maschio viene

immagazzinato all’interno di particolari tubuli detti “ovidotti”. Lo sperma può rimanere

immagazzinato per molto tempo e permette alla femmina, come detto prima, di nidificare più volte

in una stagione accoppiandosi una sola volta. Durante alcuni esperimenti (Ewing 1943; Magnusson

1979) alcune femmine sono state isolate da individui maschi per un periodo di 4-7 anni. Dopo

questo periodo, nei loro ovidotti è stato trovato ancora dello sperma.

Sono numerose le spiagge scelte dalle femmine di questa specie per deporre le loro uova, come ad

esempio quelle della Costa Rica, del Messico, del Brasile, di Cuba e delle Bermuda. I periodi di

deposizione variano a dipendenza dei luoghi, per esempio nella zona caraibica sono tra maggio e

giugno. Spiagge tranquille, senza illuminazione artificiale, protette da una vegetazione di arbusti

sono le predilette dalle femmine di questa specie che si spingono verso la terraferma soprattutto di

notte e con l’alta marea. Con l’aiuto delle pinne anteriori la femmina scava una prima conca nella

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sabbia, in seguito con le pinne posteriori scava ancora fino a che il nido raggiunge una profondità tra

i 30 e i 50 cm. A questo punto può iniziare la deposizione delle uova. Esse vengono espulse

solitamente a due a due o a gruppi di tre. Sono perfettamente sferiche, con un diametro di circa 45

mm e coperte da una membrana flessibile e ruvida che funge da protezione. In media, per nido,

vengono deposte 100 uova anche se sono stati trovati nidi contenenti fino a 200 uova. Tramite le

pinne posteriori prima, e le pinne anteriori in seguito, la femmina ricopre il nido e le uova. La

deposizione può durare in totale un’ora e mezza ma in caso di ostacoli che la femmina potrebbe

incontrare durante la costruzione il tempo si potrebbe prolungarsi fino a tre ore e mezza. La

temperatura ha una rilevante importanza durante l’incubazione delle uova. Ad una temperatura di

31° l’incubazione dura circa 48 giorni, invece a una temperatura di 25° il periodo si allunga a circa 74

giorni. E’ importante segnalare che esiste una temperatura di differenziazione sessuale di circa 28°,

se le uova saranno esposte a una temperatura sotto questo valore da esse nasceranno

prevalentemente individui maschi, in caso di temperatura superiore invece vi saranno in prevalenza

nascituri di sesso femminile.

Nelle altre specie di tartarughe marine i maschi non approdano mai sulla terraferma. Nel caso della

Chelonia mydas invece esiste un particolare sistema che obbliga gli individui ad abbandonare

l’acqua e a passare del tempo sulle spiagge. Ciò potrebbe essere dovuto all’alimentazione di queste

tartarughe, povera di vitamina D, una sostanza che viene prodotta dalla pelle degli animali esposta

ai raggi solari. Per compensare la mancanza di vitamina D nella loro alimentazione, le tartarughe si

espongono perciò ai raggi solari.

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5.2. Caretta caretta

Regno: Animalia

Phylum: Chordata

Classe: Reptilia

Ordine: Testudines

Famiglia: Cheloniidae

Genus: Caretta

Specie: Caretta caretta

Diffusione

Questa specie, così come la

precedente, ha una distribuzione di

tipo mondiale nelle acque, anche in

quelle delle regioni più fredde come Canada, Terranova, Argentina, Sud della Norvegia, Russia e in

Giappone. Questo tipo di tartaruga ha abitudini fortemente migratrici.

Morfologia generale

Le dimensioni sono relativamente ridotte, raggiunge un massimo di 150 cm di lunghezza e di 160 kg

di peso. Una caratteristica della specie è il cambiamento del carapace, che diventa sempre più liscio

mano a mano che l’età avanza. Il colore della parte superiore, è tendente al bruno rossastro ma

talvolta anche color cioccolato. La parte inferiore, detta piastrone, può presentare un colore da

giallo-arancio a bruno scuro e come la parte superiore tende a passare da ruvido a liscio con la

crescita dell’animale. La testa di queste tartarughe è grossa, fornita di un robusto e tagliente becco

con pochi o talvolta privo di denti. Le narici sono leggermente prominenti. Le pinne sono ricoperte

da grandi squame, molto ben adattate al nuoto, ognuna con due artigli. Nei maschi la coda è più

larga e forte.

Pur avendo una larga diffusione nelle acque mondiali questa tartaruga ha abitudini poco pelagiche,

preferisce infatti le lunghe coste delle regioni temperate e subtropicali e le acque profonde dagli 0

ai 40 m. Questa specie ha sviluppato inoltre un sistema di termoregolazione corporea che le

permette di spingersi in acque più fredde (oltre i 70° a nord) e mantenere una temperatura interna

di molto superiore a quella dell’ambiente circostante.

Alimentazione

Le prede favorite da questa tartaruga carnivora sono sia organismi bentonici (crostacei, molluschi)

sia organismi planctonici (meduse) oltre a pesci ed echinodermi. Non disdegna qualche volta anche

erbe marine, alghe, e coralli.

Figura 7 Esemplare di Caretta caretta

Valentina Bottani 4B Lavoro di maturità 2008

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Accoppiamento e riproduzione

La maturità sessuale viene raggiunta circa dopo 4 anni dalla nascita. Gli accoppiamenti avvengono

sulla superficie dell’acqua. Il maschio grazie ai forti artigli riesce ad aggrapparsi alla femmina e a non

cadere. Le spiagge scelte dalle femmine per la deposizione delle uova sono situate nelle zone

temperate e subtropicali. Particolarmente apprezzate dalle femmine sono le spiagge dell’isola di

Masirah (al largo dell’oceano Indiano) e quelle della Florida, ma anche le coste dell’Australia del

nord e dell’est del continente africano non vengono disdegnate. Queste spiagge vengono

frequentemente condivise con femmine di altre specie, arrivate lì per il medesimo scopo.

Osservando la situazione nel Mediterraneo, le spiagge più frequentate dalle femmine sono quelle

della Grecia, della Turchia e di Cipro. Da una decina d’anni le giovani madri di Caretta caretta non

scelgono più le spiagge della Corsica per la deposizione delle uova, e questo tipo di tartaruga si

aggiunge quindi all’elenco delle specie sparite dalla Francia. Il periodo preferito per la deposizione è

in primavera oppure verso l’inizio dell’estate fino agli inizi dell’autunno. Le femmine effettuano

lunghe migrazioni dai luoghi dove si nutrono per arrivare in queste zone per deporre le uova.

Quando cala la notte, e la marea si alza le femmine iniziano a scavare i nidi nella sabbia. Questo

rituale di deposizione (che dura circa un’ora) può ripetersi anche sei o sette volte per stagione, a un

intervallo di 12-15 giorni. La profondità del nido è di circa 25-50 cm, e in esso vengono deposte in

10-20 minuti un massimo di 160 uova. Tutto il processo deve avvenire però in un ambiente calmo,

privo di rumori molesti e pericoli. La Caretta caretta è una tartaruga molto timida ed è facile che per

un piccolo disturbo durante la deposizione delle uova possa abbandonare il nido e ritornare in

mare. Le uova sono in genere più piccole di quelle della Chelonia mydas, circa dai 35 ai 49 mm, e

necessitano di un periodo di incubazione che varia dai 46 ai 71 giorni. La temperatura di

differenziazione sessuale è di circa 32°, sotto di essa nascono piccoli prevalentemente maschi, e

sopra di essa prevalentemente piccoli di sesso femminile. I neonati possiedono un carapace di

colore molto scuro e misurano 45 mm circa. I piccoli nati in Florida e nei Caraibi trascorrono i primi

anni di vita nuotando tra le alghe galleggianti del mar dei Sargassi. Un sito di deposizione ormai

accertato si trova anche in Italia, precisamente nell’Arcipelago delle Pelagie (G.Comparetto & A.

Celona), dove soprattutto nei mesi estivi si è registrata una presenza della specie Caretta caretta.

Gli spostamenti di questa specie all’interno del bacino del Mediterraneo cambiano in funzione della

stagione. Dai dati raccolti (Bentivegna 2002) si è potuto constatare un movimento da ovest verso

est del bacino mediterraneo nei mesi autunnali, alla ricerca di acque più calde. Invece, nel periodo

di primavera-estate si assiste a un movimento in direzione opposta, da est verso ovest del bacino

del Mediterraneo dove le acque possiedono generalmente maggiori risorse di cibo. Anche nei

periodi invernali si è constatata una forte e regolare presenza di individui di Caretta caretta

nell’arcipelago delle Pelagie. Il fatto interessante è che questi avvistamenti sono avvenuti nel corso

di monitoraggi indirizzati all’avvistamento di cetacei, e quindi usando una metodologia diversa da

quella apposita per l’osservazione delle tartarughe marine. Due altri elementi hanno contribuito a

dichiarare l’area circostante Lampedusa, non solo un luogo di nidificazione, ma anche un luogo di

svernamento. Il primo dato raccolto è stato che gli individui stazionano in aree caratterizzate da

acque con una temperatura tra i 14 e i 18° (valori più bassi rispetto a quelli emersi nei lavori di

Valentina Bottani 4B Lavoro di maturità 2008

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Thomas & Dabo 2005, che erano tra i 19-26°). Inoltre analizzando le dimensioni delle femmine

osservate, si è supposto che si dovesse trattare di esemplari giovani, o che non avevano ancora

raggiunto la maturità sessuale. Questo progetto ha come obiettivo di comprendere meglio la

biologia e l’ecologia di questa specie Caretta caretta al fine di individuare possibili fattori che

possono influenzare la presenza di questa specie nel mondo, ma in particolare nelle acque del

Mediterraneo.

5.3. Alcune differenze nella nidificazione delle due specie

Un consistente numero di esperimenti ha raccolto dati che ci permettono di identificare le principali

differenze esistenti nel processo di nidificazione delle due specie che abbiamo descritto.

I luoghi di nidificazione: Prendendo in considerazione il mare Mediterraneo, l’area prediletta dalle

femmine di Caretta caretta per nidificare é molto ampia e comprende le coste della Grecia e della

Turchia. L’area dove invece le femmine di Chelonia mydas preferiscono nidificare è più ristretta e

riguarda la zona est del bacino mediterraneo e le spiagge dell’isola di Cipro. (Kasparek et al. 2001)

La spiaggia di Samandağ, in Turchia è stata luogo di diversi esperimenti. Attraverso i dati raccolti su

questa spiaggia, dove le due specie di tartarughe marine sono solite nidificare si è potuto

determinare in termini percentuali la probabilità dei nidi di superare il periodo necessario

all’incubazione, dei piccoli di sopravvivere durante i loro primi attimi di vita, eccetera. Per esempio è

stato appurato che circa il 68% dei nidi di Chelonia mydas sono “sopravvissuti” al maltempo, e

all’intervento dei predatori, mentre nel caso della specie Caretta caretta, la probabilità è del 52%.

C’è quindi un maggior successo e una maggiore probabilità di sopravvivenza dei piccoli nel caso

della specie Chelonia mydas.

Nonostante questi dati, le differenze tra le due specie significative, considerato anche il fatto che

appartengono alla stessa famiglia.

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6. Ruolo delle spiagge natie e delle mappe

6.1. Perché e quando le tartarughe marine migrano?

La migrazione caratterizza ogni fase della vita di una tartaruga; nascita, infanzia pelagica, infanzia

costiera, ed età adulta. Analizziamo brevemente queste quattro fasi del ciclo vitale delle tartarughe.

Durante la prima fase, i piccoli abbandonano la spiaggia dove sono nati e si dirigono verso il mare

aperto. Nel periodo della prima infanzia, gli individui si muovono all’interno di una medesima area,

di solito vasta, oppure seguono lunghe rotte di migrazione in mare aperto, spesso seguendo le

correnti oceaniche. Infine può anche avere luogo una fase detta “costiera” nella quale le tartarughe

ritornano a vivere lungo le coste dove stabiliscono dei “feeding grounds” cioè zone di nutrizione.

Alcune specie cambiano zone di nutrizione a dipendenza del periodo dell’anno. Questa migrazione

di tipo stagionale può anche essere una caratteristica degli individui adulti. Questi ultimi hanno

come ulteriore obiettivo la riproduzione, e devono quindi inserire nelle loro “mappe” delle rotte

migratorie verso spiagge adatte alla nidificazione. Le spiagge preferite dalle femmine sembrano

essere quelle natali, cioè quelle dove questi individui sono nati. Si crea quindi un ciclo, queste

tartarughe ritornano a nidificare nei luoghi dove le loro stesse madri avevano scelto di nidificare.

Dopo la nidificazione, le femmine ritornano alle aree di nutrizione.

Ora osserveremo più in dettaglio il ruolo delle spiagge natie e delle “mappe” create dalle

tartarughe. I due fattori che incidono maggiormente sull’orientamento delle piccole tartarughe

marine appena uscite dall’uovo sono il moto delle onde dell’oceano e il campo magnetico terrestre.

Le giovani tartarughe infatti dispongono di una precisa “bussola” interna, che permette loro di

dirigersi e migrare verso precisi obiettivi geografici. L’assenza apparente di punti di riferimento nella

vasta area dell’oceano, rende indispensabile un meccanismo d’orientamento efficiente. Le

tartarughe infatti tornano a intervalli regolari in particolari zone delle coste, con una precisione

incredibile.

Questa loro capacità fa dunque pensare che abbiano una sorta di mappa da seguire, un sistema

tramite il quale determinano la loro posizione relativa a determinati obiettivi da raggiungere, come

le spiagge dove deporre le uova. Queste spiagge sono state scelte dalle tartarughe per la loro

posizione vantaggiosa, che protegge le uova fino alla loro schiusa. Ogni anno quindi ritornano in

questi luoghi particolarmente idonei per la riproduzione. Cambiare spiaggia infatti potrebbe

significare rischiare di avere un numero troppo basso di neonati. La scelta di queste spiagge è molto

importante, poiché le tartarughe marine non covano le loro uova e non svolgono cure parentali per

i loro piccoli. Le uova vengono deposte e poi abbandonate, per questo è necessario che il luogo

della deposizione sia il più sicuro possibile. Una volta nate, le piccole tartarughe memorizzano la

posizione della spiaggia natia, alla quale ritorneranno quando saranno pronte per deporre a loro

volta le uova. Avviene quindi un imprinting delle coordinate, delle caratteristiche ambientali del

luogo di nascita che risulteranno molto importanti al momento del ritorno a queste spiagge. Per

dimostrare l’influenza del campo magnetico terrestre sull’orientamento delle tartarughe marine

sono stati fatti diversi esperimenti. Propongo nella pagina seguente un esempio molto semplice ma

significativo.

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6.2. Esperimento con Chelonia mydas

(Dipartimento di biologia, Università del Nord Carolina)

Durante i mesi di luglio e agosto alcune tartarughe del

tipo Chelonia mydas sono state prelevate dalle zone

costiere dove si procurano il cibo, vicino a Melbourne

Beach in Florida. In seguito sono state portate in un sito

vicino per effettuare il test. Le tartarughe sono state

attrezzate di particolari imbracature, collegate con un

sistema di localizzazione computerizzato. Dopo questa

fase, sono state liberate in una grande vasca circolare di

una riserva della città circondata da un sistema ad anello

in grado di controllare il campo magnetico dell’ambiente

all’interno dell’area. La posizione e l’orientamento di ogni

tartaruga venivano monitorate.

Dapprima le tartarughe furono esposte a un campo

magnetico pari a quello esistente 337 km a nord del sito

del test. Come conseguenza gli animali si sono orientati

approssimatamente verso sud. Una volta esposte invece

a un campo magnetico equivalente a quello di un’area a

337 km a sud del sito del test, le tartarughe si sono

orientate verso nord. Questi due diversi modi di

posizionarsi sembrano confermare che le tartarughe possano distinguere e memorizzare i diversi

campi magnetici che caratterizzano differenti zone geografiche e che si orientino verso di esse. Ciò

avvalla l’ipotesi della presenza di “mappe” magnetiche che permettono a questi animali di

raggiungere con il minimo margine di errore, precisi obiettivi geografici.

Dato che non possediamo ancora una teoria che illustri come queste mappe magnetiche siano

organizzate, sono state formulate alcune ipotesi. La prima ipotizza che nelle mappe possedute dalle

tartarughe marine i segnali provenienti dal campo magnetico forniscano solo una parte

dell’informazione necessaria all’orientamento, cioè forniscano una sola coordinata. Le informazioni

necessarie per stabilire la seconda coordinata potrebbero provenire dall’osservazione delle coste

durante la navigazione. Una tartaruga potrebbe quindi nuotare lungo una costa, fino a che non

incontra un campo magnetico specifico dell’area-obbiettivo. Un’altra ipotesi invece considera la

mappa delle tartarughe completamente dipendente dal campo geomagnetico. Solo tramite due

parametri di tipo magnetico come inclinazione e intensità del campo magnetico terrestre le

tartarughe possono orientarsi nella vastità dell’oceano e ritrovare le spiagge natie. Nella zona della

Florida, le linee generate dai diversi parametri del campo magnetico seguono schemi simili, ma non

succede mai che due serie di schemi siano perfettamente uguali. Per questo motivo questo tipo di

sistema con “bicoordinate magnetiche” ha successo solo se le tartarughe sono sufficientemente

sensibili alle leggere variazioni dei due parametri. Attraverso questo tipo di esperimenti si è potuto

dimostrare come le tartarughe marine adulte siano più abili nello sfruttare le informazioni relative

Figura 8 Le due fasi dell’esperimento, consistente nel sottoporre un gruppo di tartarughe Chelonia mydas a campi magnetici corrispondenti a quelli delle zone indicate da un punto blu. Nel cerchio, i punti neri rappresentano l’angolo medio di orientamento di ogni singola tartaruga. La freccia indica invece l’angolo medio di orientamento dell’intero gruppo, rispettivamente 171,7° nel cerchio in alto (campo magnetico nordico) e 15,8° nel cerchio in basso (campo magnetico meridionale). Il test fu eseguito tra le 12:00 e le 18:00 del pomeriggio.

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al campo magnetico, rispetto alle neonate che sfruttano ancora una mappa di navigazione “classica”

cioè dipendente per una coordinata dall’osservazione delle coste, e per l’altra dal campo magnetico.

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7. Diversi movimenti dopo la nidificazione (F. Papi e P. Luschi, Università di Pisa)

Dopo alcuni esperimenti è stato ipotizzato che dopo il ciclo di nidificazione, le femmine di tartaruga

marina possano adottare diversi comportamenti all’interno dell’area nella quale si trovano. Il primo

è rimanere nella stessa zona dove è avvenuta la nidificazione, un secondo comportamento possibile

potrebbe essere effettuare spostamenti imprevedibili e discontinui (senza dirigersi verso una

specifica zona residenziale di alimentazione). L’ultima possibilità di comportamento ipotizzata è

quella di intraprendere una migrazione in direzione di aree specifiche e separate dalle aree di

nidificazione. Nel caso della Caretta caretta si è osservata una certa fedeltà alle aree residenziali di

alimentazione, aree ricche di cibo dove le femmine possono predare. Perciò in questa specie, come

in diverse altre, si assiste a una continua migrazione

almeno tra due specifiche aree.

Differenti comportamenti possono essere individuati sia

tra specie o popolazioni diverse, sia tra membri di uno

stesso demos (insiemi di individui delle stessa specie).

Sostituendo i classici metodi di “etichettamento” delle

tartarughe, con la nuova tecnica di telemetria satellitare,

è stato possibile avere una visione migliore dei percorsi

effettuati da questi animali. Gli elementi più interessanti

da analizzare sono stati la capacità delle tartarughe di

effettuare una navigazione lungo le coste e di praticare

movimenti praticamente diritti in oceano aperto. Sono

stati quindi classificati i vari tipi di spostamenti effettuati

dopo la nidificazione in cinque categorie:

1. Corti spostamenti migratori o movimenti simili.

Osservati soprattutto nella specie Caretta caretta.

2. Movimenti “girovaghi” nelle aree di predazione.

Osservati negli individui giovani e adulti della specie

Caretta caretta, e nella tartaruga di Kemp.

3. Spostamenti di lunga distanza apparentemente non

diretti in aree specifiche. Tipici della specie Caretta

caretta, e della Lepidochelys olivacea

4. Spostamenti lunghi ma incompleti su rotte migratorie.

In questa categoria vengono classificati tutti i casi in

cui non c’è un evidente arrivo in un’area residenziale

di alimentazione. Specie che effettuano questi

spostamenti sono la Chelonia mydas, la tartaruga di Kemp

e l’Eretmochelys imbricata.

5. Completa migrazione ai luoghi di alimentazione (Figura

9). Questi movimenti possono essere ulteriormente divisi

in:

a) Percorso prevalentemente effettuato lungo le coste.

Figura 9A,B,C Esempi di rotte migratorie di esemplari di Chelonia mydas seguiti da satelliti. (A) Rotte nella zona delle Hawaii (B) Rotte di tartarughe migranti dall’Atollo Rosa verso le Isole Fiji (C) Percorsi effettuati da tartarughe migranti dall’isola di Redang. La rotta d non è completa poiché i segnali del trasmettitore cessarono prima del raggiungimento dell’area residenziale di alimentazione. La rotta e è un esempio di navigazione lungo la costa. L’individuo della rotta c si fermò nelle acque vicino all’isola.

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(Chelonia mydas, tartaruga di Kemp, Eretmochelys imbricata)

b) Migrazione principalmente in mare aperto. Oltre all’abilità di mantenere rotte diritte, il caso

b della figura 9C rivela la sorprendente capacità delle tartarughe nell’individuare specifici

obiettivi durante un lungo viaggio nell’oceano aperto senza effettuare movimenti indicanti

una ricerca casuale o sistematica. Questo comportamento è particolarmente impressionante

nella tratta a della figura 9C. Questa tartaruga è stata capace di prendere una rotta

approssimatamente dritta che le ha permesso di passare attraverso uno stretto e

successivamente di raggiungere l’area ricca di cibo dove poter predare.

L’osservazione delle rotte effettuate dalle tartarughe possono aiutarci a comprendere alcuni

meccanismi della loro navigazione, ma solo con un approccio più sperimentale si può sperare in un

effettivo progresso della conoscenza. Un metodo sperimentale che risulta promettente è quello del

dislocamento di alcuni individui dalle aree di nidificazione a loro famigliari. In questo modo si può

osservarne il comportamento e i metodi usati per compensare lo spostamento subito

artificialmente. Un primo, imprevisto, esperimento in questo senso coinvolse una tartaruga verde

(Chelonia mydas) catturata all’isola dell’Ascensione (situata nell’Oceano Atlantico meridionale) e

trasportata via nave fino allo Stretto della Manica. L’animale risultava malato, e perciò venne

gettato in mare. La tartaruga che fu riconoscibile poiché marchiata, venne catturata nuovamente

due anni dopo sempre all’isola dell’Ascensione. Questo fatto risulta al giorno d’oggi ancora più

straordinario dopo che, grazie a ulteriori ricerche, si è scoperto che tutte le tartarughe dell’isola

dell’Ascensione avevano le loro aree residenziali di alimentazione sulle coste brasiliane.

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7.1. Movimenti di una femmina di Chelonia mydas dopo la nidificazione

(J.K.Chan, George H.Balazs, 2003)

Questo esperimento, effettuato nel 2002, aveva come obiettivo individuare l’esatto percorso

effettuato dalle femmine della specie

Chelonia mydas dalla piccola spiaggia

dell’isola di Lamma (nelle vicinanze di Hong

Kong) fino alle acque ricche di cibo nella zona

dell’isola di Hainan (nel mare Cinese

meridionale). L’esperimento è stato effettuato

su un unico esemplare femmina di questa

specie, catturato nelle acque di Hong Kong

nell’agosto del 2002. Era l’unica femmina che

stava nidificando in quella zona nella stagione

del 2002, e la sua prima nidiata era avvenuta

nel giugno dello stesso anno.

Successivamente seguirono altre 4 nidiate,

finché il 9 agosto venne temporaneamente

fermata, le fu attaccato al carapace un

trasmettitore collegato a un satellite (tramite

la tecnica di telemetria satellitare detta PTT) e lo stesso giorno fu rilasciata. Appena dopo essere

stata liberata la tartaruga si diresse immediatamente verso il largo, e da quel momento iniziò la sua

migrazione. La distanza tenuta dalla costa del sud della Cina misurava circa 80 km, la velocità era di

circa 1,5 / 2 km/h. La femmina nuotava in modo continuo e attivo, trascorrendo poco tempo

immersa e molto più tempo in superficie. Raggiunse il Golfo di Qiongzhou (nella zona dell’isola di

Hainan) in una decina di giorni. Superata questa tappa il

comportamento dell’animale cambiò notevolmente; la

velocità con cui riprese il suo viaggio diminuì, passando a

circa 0,5 km/h, diminuì anche la distanza dalla costa, inoltre

aumentò la durata delle immersioni.

Tutti questi cambiamenti potrebbero essere stati dovuti alla

necessità dell’animale di riposarsi o nutrirsi.

Un comportamento simile risulta vantaggioso, poiché

mentre la tartaruga prosegue il suo viaggio,

contemporaneamente, nutrendosi, riduce il costo

energetico generale richiesto dalla migrazione. Intorno al 30

di agosto la femmina arrivò finalmente nelle acque della

costa di Wanning City (isola di Hainan). Dopo 21 giorni di

viaggio aveva percorso quindi circa 600 km, dapprima

lontano dalla costa del Sud della Cina e successivamente

seguendo la linea costiera dell’isola di Hainan. Se la seconda

Figura 10 Percorso effettuato da una femmina di Chelonia mydas dopo la nidificazione su una spiaggia nella zona di Hong Kong, fino ad acque ricche di cibo, sulle coste dell’isola di Hainan.

Figura 11 Brevi spostamenti effettuati dalla femmina all’interno dell’area di predazione.Sono visibili inoltre i due spostamenti più lunghi effettuati nel novembre 2002 e nell’agosto 2003.

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parte del viaggio fosse stata percorsa in mare aperto la femmina avrebbe risparmiato circa 100 km

di viaggio (Figura 10).

Osservando i dati raccolti dal satellite (Figura 11), si può notare come, una volta raggiunte le acque

ideali per predare, la femmina trascorra la maggior parte del suo tempo all’interno di una zona del

diametro di circa 8 km. Si notò però che nel novembre del 2002 l’animale si diresse 45 km più a

nord di questa zona, alla quale ritornò solo dopo un mese. Anche nell’agosto del 2003 si recò a

nord, rimanendo però solo a 25 km dall’area di nutrimento principale.

Il motivo di questi brevi spostamenti dall’area sono sconosciuti. Si ipotizza che la femmina si sposti

in questo modo per cercare delle aree di nutrimento alternative.

Prima della realizzazione di questo esperimento il tragitto e la posizione dei luoghi raggiunti dalla

popolazione di Chelonia mydas di Hong Kong dopo la nidificazione erano sconosciuti. Pur avendo

preso in considerazione un solo esemplare di questa specie le informazioni ricevute furono

sufficientemente precise per dimostrare come l’uso dei satelliti in questo tipo di esperimenti sia la

soluzione ideale e più vantaggiosa. Altri esperimenti simili effettuati sempre nel sud della Cina con

altre popolazioni di tartarughe marine, rivelarono come le femmine di ogni popolazione dispongano

di diverse rotte migratorie e di diversi siti dove trovare cibo. Si è notata però una tendenza delle

diverse popolazioni provenienti da Hong Kong, Mainland China, e Taiwan a recarsi verso le coste

dell’isola di Hainan. Da ciò si constata come le acque di quella zona siano ideali e importanti aree di

pesca per le femmine. Per questo motivo varrebbe davvero la pena prendere in considerazione

misure a lungo termine per la salvaguardia di questa zona frequentata da così tante popolazioni di

tartarughe marine.

Dai risultati di questo esperimento appare molto chiaro come la vita delle femmine di tartaruga

marina sia caratterizzata da lunghe migrazioni dalle zone di nutrizione verso quelle di riproduzione e

viceversa. Anche i maschi allo stesso modo durante il periodo riproduttivo migrano verso le zone di

riproduzione. Il periodo degli accoppiamenti è praticamente l’unico momento in cui è possibile

osservare dei gruppi di tartarughe, essendo degli animali prevalentemente solitari.

L'accoppiamento avviene in linea di massima a pochi km dalla spiaggia di deposizione. Una volta

passata la “stagione degli amori” i maschi fanno ritorno verso le zone di nutrizione, mentre le

femmine si recano a nidificare sulle spiagge.

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8. Orientamento e navigazione in mare aperto

8.1. Trovare il mare

La nascita dei piccoli di tartaruga marina avviene normalmente di notte. Una volta usciti dall’uovo i

neonati devono affrettarsi per raggiungere l’oceano senza cadere vittime di predatori terrestri come

volpi, granchi, eccetera. Apparentemente i piccoli sembrano seguire un percorso non basato su

un’innata preferenza per una direzione specifica. Oltre alle difficoltà dovute ai predatori, anche

residui sulla spiaggia come conchiglie ed erbacce possono ostacolare la corsa verso il mare. Spesso i

piccoli devono accertarsi di seguire la direzione giusta, senza però poter vedere in modo diretto

l’oceano. Alcuni esperimenti hanno dimostrato l’importanza di punti di riferimento visivi: ad alcuni

neonati sono stati bendati gli occhi, e il risultato ottenuto è stato il disorientamento dei piccoli,

incapaci di trovare l’acqua. Uno dei fattori che permette l’orientamento delle piccole tartarughe è il

riflesso della luna e delle stelle sull’acqua del mare. Ciò comporta che l’orizzonte sia più luminoso

dell’entroterra. Questi segnali luminosi guidano i piccoli verso la giusta direzione. Le luci artificiali di

alberghi, bar, ristoranti localizzati dietro le spiagge, attraggono però i neonati in direzione opposta

al mare. Il disorientamento che ne consegue può causare la morte degli animali per affaticamento o

per disidratazione. L’ipotesi che i piccoli localizzino l’oceano andando in direzione delle luci

dell’orizzonte si é dimostrata, grazie ad alcuni esperimenti, incompleta. Propongo al riguardo un

esperimento molto semplice ma significativo. Alcuni neonati di Caretta caretta sono stati rilasciati in

un’area circolare, avente a un fianco un orizzonte basso, con una luce fioca e invece dall’altra parte

un orizzonte più alto e più illuminato. I piccoli si sono diretti verso il primo orizzonte, e ciò vuol

dimostrare come essi pratichino una valutazione combinata della luminosità e dell’altezza

dell’orizzonte verso il quale decidono di dirigersi. Nel caso in cui sulla spiaggia natia entrambi gli

orizzonti abbiano la stessa altezza, la valutazione si basa solo sulla luminosità. Questa scelta verso

orizzonti bassi e luminosi porta i piccoli, in condizioni naturali, quasi sicuramente verso l’oceano.

I motivi sono due; la vegetazione e le dune che fiancheggiano la terraferma contribuiscono a

rendere più alto l’orizzonte dalla parte opposta al mare che quindi non viene istintivamente scelto

dai piccoli. Il secondo motivo è che le femmine di tartaruga nidificano solitamente in spiagge aventi

una leggera pendenza verso l’acqua, in modo da indirizzare i piccoli verso la giusta direzione.

8.2. I primi attimi in mare

Le onde sembrano essere i primi mezzi di orientamento a disposizione dei piccoli una volta giunti in

acqua. Più precisamente nella prima migrazione verso il mare aperto i neonati sfruttano la direzione

di propagazione delle onde per orientarsi. Dato che queste prime migrazioni fatte dai piccoli,

avvengono solitamente di notte, è logico pensare che essi non usino la vista per individuare la

direzione delle onde. Alcuni esperimenti praticati su piccoli appena nati hanno dimostrato la loro

capacità di orientarsi per mezzo delle onde in totale assenza di luce visibile e senza punti di

riferimento visivi. Ma come riescono i piccoli a sfruttare la direzione delle onde per orientarsi? Una

delle ipotesi proposte da Lohmann et al. (1995) era che le piccole tartarughe possano determinare il

loro orientamento in relazione alla direzione di propagazione delle onde tenendo sotto controllo la

sequenza di accelerazioni che subiscono da parte delle onde stesse. A dipendenza di queste

accelerazioni esse possono capire, in totale assenza di visibilità, se stanno andando contro la

direzione delle onde o se stanno seguendo la stessa direzione. Per esempio, una tartaruga che si

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muove verso il mare aperto subirà a causa del moto ondoso, dapprima un’accelerazione verso l’alto,

poi indietro, in seguito verso il basso e infine in avanti (Figura 12.a). Una tartaruga che invece segue

la direzione delle onde subirà un’accelerazione verso l’alto, poi in avanti, in seguito verso il basso e

infine indietro (Figura 12.b). Il grafico della pagina seguente mostra le due diverse sequenze di

accelerazioni.

È importante quindi per un neonato una volta sott’acqua saper distinguere tra queste due sequenze

per differenziare un orientamento contro o verso la direzione di propagazione delle onde. Per

verificare che i neonati realmente percepiscano la direzione delle onde in questo modo è stato

costruito un simulatore del moto ondoso (figura 13). Esso riproduce in aria i movimenti circolari che

deve affrontare normalmente una tartaruga diretta in mare aperto. Anche in assenza d’acqua è

possibile ottenere risposte affidabili poiché queste sequenze di movimenti sono attuate dai piccoli

solo in assenza di contatto tra il loro ventre e il substrato solido. Una volta sottoposte a onde

simulate provenienti dalla loro destra, le piccole tartarughe hanno tentato di ruotarsi verso destra,

mentre se sottoposte a onde simulate provenienti da sinistra il movimento di rotazione è avvenuto

verso sinistra. In presenza di onde dirette frontalmente rispetto alle tartarughe, gli animali hanno

reagito facendo piccole svolte sia a destra sia a sinistra.

Figura 12.a Moto di una piccola tartaruga mentre nuota contro la direzione di propagazione delle onde, verso il mare aperto.(Lohmann et al. 1995)

Figura 12.b Moto di una piccola tartaruga mentre nuota seguendo la direzione di propagazione delle onde, verso la terraferma. (Lohmann et al. 1995)

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Figura 13 Simulatore del moto ondoso usato durante l’esperimento sopra descritto. (Lohmann et al. 1995)

Figura 14 I risultati dell’esperimento nei tre casi, onde dirette frontalmente, verso sinistra, verso destra rispetto all’animale. Le colonne nere indicano il tempo necessario alla tartaruga per girarsi verso sinistra, mentre le colonne più chiare indicano il tempo necessario per girarsi verso destra. (Dati da Lohmann et al. 1995) I risultati dimostrano che i neonati possono determinare la direzione di propagazione delle onde controllando le sequenze orbitali di movimenti.

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8.3. In mare aperto

Abbiamo visto come sia possibile per i piccoli orientarsi durante i primi momenti in acqua, le onde

infatti nelle zone costiere si infrangono e risultano molto più forti, permettendo alle tartarughe di

capire chiaramente quale sia la direzione da prendere per raggiungere il mare aperto. Ma una volta

giunti nelle acque profonde le onde non forniscono più una chiara indicazione della direzione. Si

può presumere quindi che i neonati sfruttino le informazioni derivate dal moto ondoso solo in un

primo momento, dopo essere entrate in mare. Successivamente in mare aperto, i piccoli usano altri

mezzi per raccogliere informazioni e mantenere la rotta che permetterà loro di raggiungere le

correnti, e questi mezzi sono indipendenti dalla direzione delle onde. A questo proposito è stato

seguito tramite satellite il percorso effettuato da alcuni neonati di Caretta caretta partiti da una

spiaggia della Florida. Dopo aver percorso una certa distanza in direzione opposta a quella delle

onde, i piccoli hanno seguito senza esitazione una rotta senza esitare anche in mare aperto, dove la

direzione delle onde non coincideva con il percorso che stavano effettuando. Ciò dimostra

l’intervento di altri mezzi di orientamento dal momento che i piccoli giungono in mare aperto. In

seguito parleremo di alcune ipotesi riguardo questi mezzi alternativi.

8.4. Orientamento magnetico

Alcuni esperimenti compiuti in laboratorio hanno evidenziato la capacità dei piccoli di Caretta

caretta e di Dermochelys coriacea di orientarsi sfruttando il campo magnetico terrestre. Una volta

lontano dalla costa l’orientamento tramite il moto ondoso viene quindi successivamente sostituito

con una bussola di tipo magnetico. Ma per essere certi di seguire la giusta rotta, i piccoli devono

acquisire o ereditare una preferenza di tipo magnetico - direzionale che permetta loro di non

perdersi. Questa preferenza è già presente nei piccoli dal momento che lasciano il nido? Quando

viene acquisita? I riferimenti di tipo luminoso hanno qualche influsso? Per rispondere a queste

domande propongo ora un breve esperimento effettuato sempre da Lohmann, che mostra molto

bene l’utilizzo da parte dei piccoli di un orientamento di tipo magnetico nel buio. Alcuni neonati

sono stati posizionati in una vasca rotonda contenente acqua di mare. A est ed a ovest sono stati

piazzati dei magneti. In un primo momento i piccoli sono stati esposti a una luce proveniente da est.

Una volta al buio essi si sono diretti verso questa direzione. Un altro gruppo è stato invece

sottoposto a una luce proveniente da ovest, e i piccoli si sono diretti, una volta al buio, verso questa

direzione. In seguito, gli sperimentatori hanno invertito i magneti, e il risultato è stato che i piccoli

del primo gruppo si sono diretti verso ovest (cioè dove era stato posizionato il magnete che prima

era a est) e i piccoli del secondo gruppo invece, verso est (verso il magnete che precedentemente

era a ovest). Un altro gruppo di tartarughe non è stato esposto inizialmente alla luce, e una volta

rilasciati nel buio, essi non si sono orientati in modo significativo verso una direzione. Da questo

esperimento possiamo trarre alcune conclusioni. Come prima cosa, notiamo che i punti di

riferimento di tipo visivo (la luce nel nostro caso) possono influenzare l’orientamento di tipo

magnetico, infatti i piccoli si dirigevano sempre verso il magnete corrispondente alla luce iniziale

alla quale erano stati esposti. Il comportamento del terzo gruppo, fa invece supporre che i piccoli

non escano dall’uovo già con una preferenza di tipo magnetico, ma ne acquisiscano una

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successivamente. Probabilmente ciò avviene durante il tragitto dal nido verso l’oceano, poiché

come abbiamo visto in precedenza, una volta in acqua l’unico mezzo usato per orientarsi è il moto

ondoso. Altri esperimenti hanno dimostrato come le onde e il loro moto possano avere la stessa

funzione della luce nell’esperimento precedente. Alcune tartarughe che non avevano mai praticato

il tragitto nido-oceano, hanno sfruttato il moto ondoso per stabilire secondo quale campo

magnetico basarsi e verso che direzione dirigersi. Ancora una volta viene confermata la teoria,

secondo la quale i piccoli acquisiscono una preferenza di tipo magnetico dopo la nascita, basandosi

su diverse informazioni di tipo direzionale (come la luce, le onde, ecc). In laboratorio sono stati

individuati tre modi tramite i quali i piccoli acquisiscono una preferenza di tipo magnetico;

sfruttando il moto ondoso, sfruttando la luce durante la corsa sulla spiaggia, sfruttando la luce una

volta in acqua. In natura i mezzi a disposizione dei piccoli sono la luce naturale dell’orizzonte e il

moto ondoso. Osservando gli spostamenti effettuati da alcuni piccoli partiti da una spiaggia della

costa est della Florida e diretti verso la Corrente del Golfo possiamo supporre che per ogni stadio di

questa loro prima migrazione venga usata una diversa strategia per orientarsi, dapprima sulla

spiaggia tramite la luce dell’orizzonte, una volta in mare sfruttando il moto ondoso, e nell’oceano

aperto tramite un orientamento di tipo magnetico seguendo una traiettoria già prefissata durante

la corsa verso il mare (Figura 15.)

8.5. Ritorno delle femmine alle spiagge

Abbiamo analizzato finora come si svolge la prima migrazione effettuata dai neonati una volta usciti

dal nido, ma questo viaggio è solo il primo di una lunga serie. Ci riferiamo ora al gruppo di piccoli di

Caretta caretta di cui abbiamo parlato in precedenza. Una volta raggiunta la Corrente del Golfo, i

piccoli restano nel Nord dell’Atlantico dove trascorrono molti anni. Durante questo periodo di

tempo attraversano la parte est dell’Atlantico e una volta adolescenti ritornano alle coste

sudorientali degli Stati Uniti. Per verificare, se le femmine che nidificano in queste spiagge siano a

loro volta nate lungo quelle coste, esse sono state sottoposte ad analisi del DNA mitocondriale. I

risultati hanno confermato l’esistenza di questo ciclo, nel quale le femmine ritornano alle loro

Figura 15 Il grafico raffigura i tre stadi principali che si ipotizza debbano essere affrontati dai piccoli durante la loro prima migrazione in mare aperto. Una volta usciti dal nido, sulla spiaggia (1) utilizzano punti di riferimento visivi. Nella zona di rifrazione delle onde (2), vicino alla costa sfruttano le onde come strumento per orientarsi. Infine, una volta in mare aperto (3) entra in gioco l’orientamento tramite bussola magnetica. Questo diagramma è stato creato in base all’osservazione di piccoli partiti dalla costa est della Florida e diretti verso la Corrente del Golfo (Lohmann et al. 1995)

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spiagge natie per nidificare. Questo comporta che le femmine debbano percorrere centinaia o

talvolta migliaia di chilometri per raggiungere le spiagge dove sono nate, che spesso si trovano su

piccole isole difficili da individuare. Questa abilità non è per niente rara nelle specie di tartarughe

marine. Potremmo citare infatti molti esempi significativi e stupefacenti, come quello delle

tartarughe della specie Chelonia mydas che nidificano sulla piccola isola dell’Ascensione (situata

nell’Atlantico meridionale tra Africa e Brasile). Le femmine migrano in modo continuo e regolare

dalle spiagge natie alle zone di nutrizione brasiliane, e viceversa. La distanza che percorrono ogni

volta è davvero ragguardevole: supera i 2000 chilometri. Ma in che modo le tartarughe riescono a

individuare un obbiettivo specifico, a volte anche un’isola o una spiaggia piccolissima,

nell’immensità dell’oceano? E come riescono a mantenere durante centinaia o migliaia di chilometri

la rotta con notevole precisione? A questo proposito i ricercatori ipotizzano che le tartarughe

marine posseggano un talento straordinario nel determinare la posizione geografica in relazione al

loro obbiettivo.

8.6. Sensibilità a parametri di tipo magnetico da parte dei neonati di Caretta caretta

Fin da piccole, le tartarughe marine devono possedere un certo”giudizio istintivo” rispetto alla loro

posizione all’interno del vasto oceano. Senza questa abilità infatti, c’è la possibilità che perdano la

rotta e che rischino di morire. Devono invece sentire istintivamente quale è la direzione da

mantenere. Questo istinto si è creato con l’evoluzione e ha permesso ai piccoli durante la loro prima

migrazione, di mantenere la rotta che li avrebbe portati in zone sicure. In questo modo la

percentuale di piccoli, dispersi e morti è stata ridotta il più possibile. Quando la corrente del Nord

Atlantico si avvicina al Portogallo, essa si divide bruscamente. Se i piccoli, sbagliando seguono il

ramo della Corrente che circola in direzione della Gran Bretagna moriranno in poco tempo a causa

del rapido calo della temperatura dell’acqua. Nel caso invece, in cui i piccoli si arrischiano ad

avventurarsi troppo a sud della corrente, possono essere spazzati via dalla corrente del sud

dell’Atlantico, e ciò comporterebbe un forte e pericoloso disorientamento. E’ fondamentale quindi

che i piccoli restino all’interno della corrente del Nord Atlantico, e in questo essi sono aiutati dalla

loro abilità di individuare il campo magnetico terrestre. Due parametri molto legati alla latitudine

sono l’inclinazione e l’intensità del campo. A questo punto ci chiediamo se le piccole tartarughe

ricavino informazioni di tipo posizionale da caratteristiche del campo magnetico terrestre (come

angolo di inclinazione e intensità del campo). Per rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno

proceduto con due esperimenti.

Nel primo si trattava di sottoporre un gruppo di neonati a quattro inclinazioni di linea di campo

diverse, mantenendo però sempre la stessa intensità di campo (Lohmann and Lohmann, 1994). Si è

cominciato, esponendo i piccoli a un campo con angolo di inclinazione corrispondente a quello delle

spiagge natie e il risultato è stato che i neonati si sono orientati verso est, esattamente come

avviene durante la loro prima migrazione, una volta usciti dal nido. Durante la seconda parte

dell’esperimento le piccole tartarughe sono state sottoposte all’angolo di inclinazione del confine

nord della Corrente del Nord Atlantico, e come conseguenza i piccoli hanno nuotato verso

sud/sud-ovest. Il terzo angolo di inclinazione a cui è stato esposto il gruppo corrispondeva a quello

del confine sud della corrente, e l’orientamento medio delle tartarughe è stato in direzione nord-

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est. L’ultima parte consisteva nel sottoporre gli animali a un’inclinazione di campo che normalmente

non incontrerebbero (per esempio fuori dal confine della corrente nordatlantica).

I piccoli, per reazione, non si sono orientati in una direzione statisticamente significativa. Dai

risultati ottenuti possiamo dedurre che le tartarughe distinguono le diverse inclinazioni di campo

magnetico che incontrano, e in base a queste, molto probabilmente individuano la latitudine alla

quale si trovano. Grazie e questo meccanismo di autoregolazione della posizione, i piccoli hanno

minor probabilità di finire al di fuori della corrente e rischiare di morire.

Il secondo esperimento aveva come scopo di osservare le reazioni di un gruppo di neonati al variare

dell’intensità di campo magnetico. In una prima parte i piccoli sono stati sottoposti a un campo di

intensità 53 000 nT ovvero 10,6% più potente di quello delle loro spiagge natie. Un campo con

questa intensità viene incontrato dalle tartarughe quando si trovano nella zona del Sud Carolina,

negli USA. La reazione del gruppo è stata un movimento in direzione est. Nella seconda parte, i

neonati sono stati esposti a un campo di intensità 43 000 nT cioè minore dell’8,5% rispetto a quello

delle spiagge dove i piccoli nascono. Questa intensità viene incontrata dai piccoli quando, seguendo

la corrente nord atlantica, giungono alla latitudine del Portogallo. Il movimento conseguente del

gruppo è stato verso ovest. Grazie ai dati raccolti attraverso questo secondo esperimento

verifichiamo che le giovani tartarughe possiedono una capacità di riconoscere diverse intensità di

campo e tramite esse, distinguere le varie zone che attraverseranno durante la migrazione. Anche in

questo caso, i movimenti verso est e ovest servono per far restare i piccoli all’interno della corrente

nord atlantica, e per assestare le loro rotte e la loro posizione sul globo.

Appare ora molto chiaro il fatto che le tartarughe marine possano in base a parametri del campo

magnetico, “dedurre” informazioni di tipo posizionale. Ciò aumenta la possibilità che questi animali

individuino la loro posizione contando unicamente su elementi geomagnetici.

Questi meccanismi sono il risultato del lungo processo di evoluzione che ha caratterizzato questi

animali. Le tartarughe che seguono una determinata rotta e arrivano nelle zone di nutrizione

sopravvivono, mentre quelle che si disorientano e per esempio finiscono in acque fredde muoiono.

Da generazione a generazione la selezione naturale ha contribuito a far sopravvivere solo gli

individui che avevano scelto la rotta “migliore”. L’informazione sulla rotta “migliore” è stata

trasmessa (anche attraverso informazioni genetiche) sottoforma di istinto alle generazioni

successive, che senza un vero e proprio processo di pensiero scelgono una rotta rispetto a un’altra

principalmente agendo secondo una tendenza innata.

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8.7. Mappe con bicoordinate magnetiche

Affinché un animale abbia la capacità di determinare la sua posizione utilizzando solo e unicamente

una mappa di tipo magnetico devono essere soddisfatte due condizioni:

1. L’animale deve essere in grado di percepire come minimo due diversi parametri del campo

magnetico.

2. Questi parametri devono variare in diverse direzioni affinché si possa creare una griglia che

permetta il ritrovamento della posizione all’interno del campo.

Come abbiamo visto in precedenza, le tartarughe marine possono individuare differenze tra varie

inclinazioni e intensità di campo che incontrano durante le loro rotte migratorie, perciò sembrano

essere presenti tutti i requisiti per ipotizzare l’uso di “mappe” magnetiche da parte delle tartarughe

marine. Un fatto importante da considerare è che nella maggior parte delle regioni dell’oceano le

linee con uguale inclinazione d’angolo e le linee di uguale intensità di campo non sono

perfettamente parallele, il loro intersecamento crea un'unica combinazione di inclinazione e

intensità che varia di zona in zona. Perciò raramente due zone hanno la stessa combinazione di

questi due parametri. Ma le mappe magnetiche sono strumenti usati sia dai neonati che dagli adulti

o solo da quest’ultimi? Bisogna distinguere le migrazioni dei piccoli da quelle degli adulti. I piccoli ad

esempio non migrano verso un obbiettivo specifico e isolato come possono essere le spiagge di

nidificazione. Perciò non è evidente comprendere se essi posseggano le stesse capacità e gli stessi

strumenti usati nella navigazione dagli adulti (la quale è probabilmente aiutata anche

dall’esperienza acquisita). Riprendiamo ora l’esempio della popolazione di Caretta caretta della

Florida. Durante il loro primo viaggio, i piccoli sembrano nuotare verso una certa direzione fino a

che non incontrano un valore di un qualche parametro di tipo magnetico che indica loro il

raggiungimento del confine della corrente che dovrebbero seguire. Questo sistema avverte i piccoli

che stanno andando fuori rotta, e quindi fa in modo che i piccoli restino all’interno di questa zona

oceanica favorevole (la corrente) senza che essi debbano possedere un sistema che accerti la loro

posizione geografica in relazione all’obbiettivo. Sembra invece più complesso l’insieme di strumenti

usati dagli adulti, soprattutto dalle femmine, quando migrano in direzione delle spiagge dove

nidificheranno. Uno di questi è la capacità di valutare la propria posizione. I ricercatori ipotizzano

che durante la prima migrazione, i neonati apprendano i valori dei parametri riguardanti

inclinazione e intensità di campo e poi una volta adulte sviluppino una mappa a larga scala basata su

queste due coordinate da usare nelle loro lunghissime migrazioni.

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9. Nuova possibile minaccia: il surriscaldamento globale

Negli ultimi anni, si parla sempre più spesso del fenomeno del “surriscaldamento globale” che

incombe sull’equilibrio del nostro pianeta e su quello delle specie (compreso l’uomo) che vivono

sulla Terra. Esso è causato prevalentemente da un fattore; l’aumento dei gas serra nell’atmosfera

per causa antropica. Il tema che tratterò riguarderà le conseguenze causate dal surriscaldamento

globale sul ciclo vitale delle tartarughe marine.

Una delle più evidenti conseguenze di questo fenomeno sul pianeta è il fondersi dei ghiacciai delle

catene montuose e dei ghiacci dell’Antartide (che provoca l’innalzamento del livello dei mari),

l’aumento di temperatura di quest’ultimi. Tutto ciò ha gravi ripercussioni anche sulla vita delle

tartarughe. Alcune conseguenze potrebbero essere:

� La scomparsa di gran parte delle spiagge dove le femmine nidificano. E’ stato infatti

ipotizzato che con un moderato innalzamento del livello del mare di circa 0,5 m, un terzo

delle spiagge andrebbe perso. Non trovando le spiagge dove da generazioni le femmine

nidificavano, le tartarughe potrebbero non riuscire a deporre le loro uova o addirittura

potrebbero morire non trovando un luogo dove potersi riposare dopo la lunga migrazione.

� L’aumento della temperatura della sabbia. Dalle uova, sottoposte a una temperatura

maggiore del normale, nascerebbero in prevalenza individui di sesso femminile o nel caso in

cui la temperatura alla quale sono sottoposte le uova fosse troppo elevata, potrebbe essere

impossibile la nascita dei piccoli. Il rischio è quindi l’estinzione.

� Danni alle fonti di cibo. Con l’aumento della temperatura dell’acqua infatti, potrebbe

risultare danneggiati i coralli, che per esempio con alte temperature si decolorano, a causa

della morte degli organismi che li popolano. I coralli e il fitoplancton sono il principale

nutrimento delle tartarughe. La loro scarsità o addirittura assenza causerebbe la morte di

quest’ultime. Oltre a danneggiare le specie vegetali, l’aumento di temperatura dell’acqua

potrebbe modificare il ciclo vitale di altre specie che costituiscono l’alimentazione delle

tartarughe (zooplancton, pesci, eccetera).

� Cambiamenti delle correnti marine. Sempre per effetto dell’aumento di temperatura

dell’acqua le correnti che servono come prima “guida” ai piccoli appena usciti dal nido

potrebbero mutare, causando quindi il disorientamento dei neonati, e problemi anche per le

femmine in viaggio verso le spiagge dove nidificare.

Tutte queste conseguenze aumentano la vulnerabilità delle specie di tartarughe che rischiano

così l’estinzione.

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10. Conclusione

Giunti al termine di questo lavoro, vale la pena ripensare alle motivazioni, alle domande iniziali,

all’interrogativo principale che ci eravamo posti: Come si orientano le tartarughe marine?

Bisogna valutare se si è riusciti a dare una risposta soddisfacente a questa domanda. Personalmente

credo di sì. Attraverso una prima introduzione generale all’argomento per acquisire le nozioni

fondamentali, e successivamente attraverso la presentazione di alcuni esperimenti e l’analisi dei

dati derivanti da essi, sono riuscita ad avere un’idea delle tecniche che potrebbero venire usate

dalle tartarughe per mantenere la loro rotta. La teoria definitiva relativa alle tecniche usate negli

spostamenti di migrazione e nell’orientamento, ancora non esiste ma è stato interessante valutare

le diverse ipotesi date fino ad oggi dai ricercatori. Se le ipotesi relative all’uso da parte di questi

animali di parametri di tipo magnetico per orientarsi dovessero rivelarsi esatte, saremmo in

presenza di animali davvero eccezionali, che possiedono un senso del quale noi siamo privi. Questa

capacità la trovo estremamente affascinante.

Questo lavoro di ricerca, e di lettura di articoli scientifici mi ha richiesto uno sforzo maggiore poiché

gli articoli più affidabili, completi, ed esaustivi erano disponibili sono in lingua inglese.

Piena risposta ha trovato la mia domanda relativa alle conseguenze generate dal riscaldamento

globale sul ciclo vitale delle tartarughe. Una volta trattato questo tema mi è parso ancora più

necessario l’intervento dell’uomo per salvaguardare l’habitat e la vita di questi animali, affinché non

si estinguano.

Prima di svolgere questa ricerca non conoscevo bene le tartarughe marine, ma le trovavo

ugualmente animali singolari e affascinanti. Dopo aver raccolto moltissime informazioni, aver letto

svariati articoli scientifici posso dire di conoscere molto di più sulla vita di questi antichissimi rettili e

di trovarli ancora di più animali sorprendenti, intelligenti, e che riservano ancora molti misteri.

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11. Bibliografia e Webgrafia

Bibliografia

↑ Bonin F., Devaux B. e Dupré A. Tout les tortues du monde. Delachaux et niestlé.

↑ Nybakken J.W. Marine Biology. Benjamin-Cummings Publishing Company.

Articoli scientifici letti

↑ Chan J.K. e Balazs . Satellite tracking of the Post-nesting Migration of a Green turtle from Hong Kong. Marine Turtle Newsletter (2003)

↑ Comparetto G. e Celona A. Dati preliminari sulla presenza nei mesi invernali di esemplari di tartaruga comune Caretta caretta e temperature superficiali nell’area dell’Arcipelago delle Pelagie (2005)

↑ Keuper-Bennett U. Geomagnetic map used in sea-turtle navigation. Nature Publishing Group (2004)

↑ Lohmann Kenneth J. e Lohmann Catherine M. F. Orientation and open-sea navigation in sea turtles. Dipartimento di Biologia, Università del Nord Carolina. The Journal of Experimental Biology (1996)

↑ Papi F. e Luschi P. Pinpointing ‘Isla meta’: The case of sea turtles and albatrosses. Dipartimento di Scienze del Comportamento Animale e dell’Uomo, Università di Pisa. The Journal of Experimental Biology (1996)

↑ Pearse D.E. e Avise J.C. Turtle mating systems: Behaviour, Sperm storage, and Genetic paternity.

Articoli scientifici citati ↑ Bentivegna F. Intra-Mediterranean migration of loggerhead sea-turtle (Caretta caretta)

monitored by satellite telemetry. Marine Biology. Volume 141. (2002)

↑ Ewing, Continued fertility in female box turtles following mating (1943)

↑ Magnusson, Production of an embryo by an Acrochordus javanicus isolated for seven years (1979)

↑ Thomas A. e Dabo S. Determining the Correlation Between Sea Surface Temperature, Chlorophyll Concentration, QuikSCAT Wind Data and the Presence of Caretta caretta and Chelonia mydas in the Mild-Atlantic. Marine and Space science. (2005)

Webgrafia ↑ http://www.seaturtle.org/mtn/archives/mtn102/mtn102p2.shtml

↑ http://jhered.oxfordjournals.org/cgi/reprint/92/2/206

↑ http://www.sekj.org/PDF/anz44-free/anz44-333.pdf

↑ http://www.arkive.org/

↑ http://www.mondomarino.net/

↑ http://www.panda.org/about_wwf/

↑ http://www.unc.edu/depts/oceanweb/turtles/oceanwebturtlepubs.htm

↑ http://jeb.biologists.org

↑ http://www.csmonitor.com/2007/0621/p25s03-sten.html?page=2