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Divina Commedia 1 © 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà – Letteratura+ D al Limbo i due poeti entrano nel II cerchio, dove sono puniti i lussuriosi, ovvero coloro che in vita si fecero dominare dalla passione dei sensi. Protagonista della prima parte del canto è il giudice infernale Minosse, che ascolta le confessioni dei peccatori e li condanna secondo la gravità della colpa commessa: egli si cinge il corpo con la coda tante volte quanti sono i cerchi in cui l’anima deve discendere, a scontare per l’eternità il suo peccato. Oltrepassato Minosse, Dante scorge le anime dei lussuriosi, trascinate nell’aria da un’incessante tem- pesta infernale. Dopo che Virgilio ha indicato tra i lussuriosi «mille ombre» di «donne antiche e cavalieri», tra cui Didone, che si uccise per amore di Enea, la regina d’Egitto Cleopatra, e Tristano, famoso eroe della Tavola Rotonda, Dante vede due anime le quali, uniche tra tutte, procedono abbracciate ed esprime il desiderio di parlare con loro. Inizia così la secon- da parte del canto, in cui viene presentata la tragica storia d’amore di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, uccisi da Gianciotto Malatesta, fratello di Paolo e marito di Francesca. Canto V Alto inferno, II cerchio CONTENUTI La condanna dell’amore non controllato dalla ragione Il superamento delle poetiche “cortesi” espresse nei romanzi cavallereschi PENA E CONTRAPPASSO Una tempesta trascina le anime dei lus- suriosi fra grida, pianti e lamenti; in vita si sono lasciati travolgere dalle passioni e qui sono trascinati da una continua bufera infernale. PERSONAGGI E DANNATI Dante, Virgilio, la schiera dei lussuriosi, Paolo e Francesca 1. del cerchio primaio: dal primo cerchio, cioè il Limbo. 2. che men loco… cinghia: che racchiude («cinghia») uno spazio minore (del cerchio precedente); la forma della voragine infernale è infatti a imbuto e si restringe mano a mano che procede verso il basso (vedi immagine sopra). 3. punge a guaio: stimola (il sog- getto è il «dolor») i dannati fino a farli urlare («guaio», “lamento”). Così discesi del cerchio primaio 1 giù nel secondo, che men loco cinghia 2 , 3 e tanto più dolor, che punge a guaio 3 . Minosse (vv. 1-24) Così dal primo cerchio discesi più in basso nel secondo, che racchiude uno spazio minore ma un tormento più grande, che spinge [i dannati] ai lamenti. PARAFRASI LUOGO

Canto V LUOGO CONTENUTI Alto inferno, II cerchio E DANNATIauladigitale.rizzolieducation.it/.../allegati/pdf/inf_canto5.pdf · Oltrepassato Minosse, Dante scorge le anime dei lussuriosi,

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Divina Commedia

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© 2011 RCS Libri S.p.A., Milano/La Nuova Italia – M. Sambugar, G. Salà – Letteratura+

Dal Limbo i due poeti entrano nel II cerchio, dove sono puniti i lussuriosi, ovvero coloro che in vita si fecero dominare dalla passione dei sensi.

Protagonista della prima parte del canto è il giudice infernale Minosse, che ascolta le confessioni dei peccatori e li condanna secondo la gravità della colpa commessa: egli si cinge il corpo con la coda tante volte quanti sono i cerchi in cui l’anima deve discendere, a scontare per l’eternità il suo peccato.Oltrepassato Minosse, Dante scorge le anime dei lussuriosi, trascinate nell’aria da un’incessante tem-pesta infernale.

Dopo che Virgilio ha indicato tra i lussuriosi «mille ombre» di «donne antiche e cavalieri», tra cui Didone, che si uccise per amore di Enea, la regina d’Egitto Cleopatra, e Tristano, famoso eroe della Tavola Rotonda, Dante vede due anime le quali, uniche tra tutte, procedono abbracciate ed esprime il desiderio di parlare con loro. Inizia così la secon-da parte del canto, in cui viene presentata la tragica storia d’amore di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, uccisi da Gianciotto Malatesta, fratello di Paolo e marito di Francesca.

Canto V

Alto

infe

rno,

II

cerc

hio

CONTENUTI La condanna dell’amore non controllato dalla ragione

Il superamento delle poetiche “cortesi” espresse nei romanzi cavallereschi

PENA E CONTRAPPASSO

Una tempesta trascina le anime dei lus-suriosi fra grida, pianti e lamenti; in vita si sono lasciati travolgere dalle passioni e qui sono trascinati da una continua bufera infernale.

PERSONAGGI E DANNATI

Dante, Virgilio, la schiera dei lussuriosi, Paolo e Francesca

1. del cerchio primaio: dal primo cerchio, cioè il Limbo.2. che men loco… cinghia: che

racchiude («cinghia») uno spazio minore (del cerchio precedente); la forma della voragine infernale

è infatti a imbuto e si restringe mano a mano che procede verso il basso (vedi immagine sopra).

3. punge a guaio: stimola (il sog-getto è il «dolor») i dannati fino a farli urlare («guaio», “lamento”).

Così discesi del cerchio primaio1

giù nel secondo, che men loco cinghia2, 3 e tanto più dolor, che punge a guaio3.

Minosse (vv. 1-24)Così dal primo cerchio discesi più in basso nel secondo, che racchiude uno spazio minore ma un tormento più grande, che spinge [i dannati] ai lamenti.

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Inferno Canto V

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Stavvi Minòs orribilmente4, e ringhia:essamina le colpe ne l’intrata5;

6 giudica e manda secondo ch’avvinghia6.

Dico che quando l’anima mal nata7

li vien dinanzi, tutta si confessa; 9 e quel conoscitor8 de le peccata9

vede qual luogo d’inferno è da essa10;cignesi11 con la coda tante volte

12 quantunque gradi12 vuol che giù sia messa.

Sempre dinanzi a lui ne stanno molte13:vanno a vicenda14 ciascuna al giudizio;

15 dicono e odono, e poi son giù volte15.

«O tu che vieni al doloroso ospizio16»,disse Minòs a me quando mi vide,

18 lasciando l’atto di cotanto offizio17,

«guarda com’entri e di cui tu ti fide18:non t’inganni l’ampiezza de l’intrare19!»

21 E ’l duca mio a lui: «Perché pur20 gride?

Non impedir lo suo fatale andare21:vuolsi così colà dove si puote

24 ciò che si vuole, e più non dimandare22».

Ora incomincian le dolenti note23

a farmisi sentire; or son venuto 27 là dove molto pianto mi percuote24.

[All’ingresso] sta l’orribile Minosse e ringhia: all’arrivo [dei dannati] esamina le colpe, giudica e stabilisce quale sia il luogo infernale loro asse-gnato in base agli avvolgimenti della coda.

Intendo dire che quando un’anima dannata gli si presenta davanti, confessa pienamente ogni sua colpa; e quel giudice dei peccati

capisce qual è la zona infernale più adatta al caso, e si avvolge intorno la coda tante volte quanti sono i cerchi in cui vuole che [l’anima dannata] sia mandata.

Davanti a Minosse si trovano sempre molte anime; ciascuna di esse va, a turno, da lui per ricevere il giu-dizio; si confessa, ode la sentenza e quindi viene pre-cipitata giù nel corrispettivo cerchio infernale.

«Tu che giungi in quest’abisso doloroso – esordì Minosse appena mi vide, interrompendo l’eserci-zio di un così importante compito –

stai bene attento a come entri [qui nell’inferno] e a chi ti affidi; non farti ingannare dall’ampiezza dell’ingresso da cui sei entrato!». Ma Virgilio gli rispose: «Perché ti ostini a gridare?

Non impedire il viaggio a costui; così è stato de-ciso nel luogo dove si può fare ciò che si vuole, e perciò non fare più domande».

La schiera dei lussuriosi (vv. 25-72)Adesso cominciano a essere udibili voci piene di dolore; ora sono arrivato in un punto in cui il mio udito è scosso da un gran pianto.

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4. Stavvi Minòs orribilmente: lì (cioè nel secondo cerchio) si trova («Stavvi») Minosse, in atteggiamento orribile («orribil-mente», legato sintatticamente a «Stavvi»). 5. ne l’intrata: cioè all’ingresso

dell’inferno vero e proprio, dove arrivano le anime che hanno attraversato il fiume Acheronte (vedi canto III, vv. 70-78).6. giudica… avvinghia: Minosse stabilisce la punizione dei dan-nati avvolgendosi il corpo con la

coda un numero di volte pari al cerchio a cui l’anima è destinata (tanti giri di coda tanti cerchi, come viene spiegato meglio ai vv. 10-12). 7. mal nata: alla lettera “nata per sua disgrazia”, ma l’espres-sione, come altre volte nella Commedia, ha qui il senso di “dannata”.8. conoscitor: termine tecnico derivato dal latino cognitor, “av-vocato, pubblico accusatore”. 9. peccata: si tratta di un neutro plurale latino, ancora utilizzato nell’italiano antico.10. è da essa: è adatto a quella (riferito sintatticamente all’«ani-ma» del v. 7).11. cignesi: si cinge.12. quantunque gradi: quanti cerchi.13. ne stanno molte: ci sono molte anime dei dannati.14. a vicenda: a turno.15. dicono… volte: confessano la propria colpa («dicono»), ascoltano il castigo che Minos-

se ha deciso («odono») e, subi-to dopo, sono gettate nel cerchio infernale in cui dovranno sconta-re la pena («son giù volte»). 16. al doloroso ospizio: in que-sto luogo di dolore; «ospizio», “albergo”.17. lasciando… offizio: interrom-pendo lo svolgimento («atto») di un compito («offizio») così importante («cotanto»). 18. di cui… fide: della persona di cui ti fidi (per entrare nell’in-ferno). Appena vede Dante, per-sona viva, Minosse interrompe la sua funzione di giudice infer-nale e lo apostrofa con un’in-sinuazione maligna, che mira a suscitare dubbi e a incrinare la fiducia di Dante per il suo maestro-guida.19. l’ampiezza de l’intrare: Dante si richiama sia a Virgilio che nel VI libro dell’Eneide ave-va scritto: «[è] facile la discesa nell’Averno», sia a un passo del Vangelo di Matteo (VII, 13: «Spaziosa è la via che condu-

«Minòs»

Minosse era il mitico re di Creta al quale sono legate le leggende del Minotauro e del labirinto. Figlio di Zeus ed Europa, un giorno chiese a Poseidone di far uscire dal mare un toro da offrirgli in sacrificio, ma, affascinato dalla bellezza dell’animale, non lo uccise. Per vendicarsi, il dio fece sì che la moglie Pasifae s’invaghisse dell’animale e dalla loro unione nacque il Minotauro, figura mostruosa di uomo con testa di toro. Minosse, inorridito, lo fece chiudere in un labirinto, costruito appositamente da Dedalo, fino a che il mostro non fu ucciso dall’eroe ateniese Teseo. Secondo la tradizione letteraria greca Minosse fu un re giusto e un saggio legislatore e per questo Zeus lo fece giudice dei morti insieme con Eaco e Radamanto. Nell’Eneide di Virgilio Minosse è presentato come un giudice severo ma giusto, mentre Dante lo trasforma in una figura demoniaca dai tratti animaleschi e mostruosi.

Inferno Canto V

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Io venni in loco d’ogne luce muto25,che mugghia26 come fa mar per tempesta,

30 se da contrari venti è combattuto.

La bufera infernal, che mai non resta27,mena li spirti con la sua rapina28:

33 voltando e percotendo29 li molesta.

Quando giungon davanti a la ruina30,quivi31 le strida, il compianto, il lamento;

36 bestemmian quivi la virtù divina.

Intesi ch’a così fatto tormentoenno32 dannati i peccator carnali,

39 che la ragion sommettono al talento33.

E come li stornei ne portan l’alinel freddo tempo a schiera larga e piena,

42 così quel fiato li spiriti mali

di qua, di là, di giù, di sù li mena34;nulla35 speranza li conforta mai,

45 non che di posa, ma di minor pena36.

E come i gru van cantando lor lai37,faccendo in aere di sé lunga riga38,

48 così vidi venir, traendo guai39,

ombre portate da la detta briga40:per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle

51 genti che l’aura nera41 sì gastiga?»

Arrivai infatti in un luogo privo di qualsiasi luce, nel quale si sente un muggito simile a quello del mare in tempesta, quando è sconvolto da venti contrastanti.

La bufera infernale, che non si ferma mai, trasci-na gli spiriti nel suo turbinare, e li tormenta rigi-randoli e percuotendoli.

Quando questi arrivano davanti alla frana [che conduce al secondo cerchio], ecco gli urli, il pian-to e il lamento; qui essi bestemmiano contro la potenza divina. Compresi che a un tale tormento sono condan-nati i lussuriosi, che sottomettono la ragione alle passioni.

E come le ali trasportano gli storni, in inverno, in schiere larghe e fitte, così quel vento trasporta le anime dannate,

le sbatte di qua e di là: nessuna speranza le con-forta mai, [se] non di un’interruzione [di quel sup-plizio], o [almeno di partire] una pena più lieve.

E come le gru volano emettendo i loro canti la-mentosi disponendosi nel cielo in una lunga fila, allo stesso modo vidi arrivare, tra grida di dolore,

anime trasportate dalla bufera appena descritta: per questo motivo chiesi a Virgilio: «Maestro, chi sono quelle anime così tormentate dal turbine scuro?».

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ce alla perdizione»), in cui l’ampiezza dell’entrata allude allegoricamente alla facilità di cadere nel peccato.20. pur: ancora.21. lo suo fatale andare: il suo viaggio voluto e concesso dal fato, cioè, come scriveva il com-mentatore trecentesco France-sco da Buti, «dall’ordine che la divina provvidenza ha imposto». 22. vuolsi… non dimandare: così si vuole nel cielo («colà») dove si può fare ciò che si vuole (cioè il viaggio di Dante è deciso da Dio), e non chiedere altro. Si tratta della stessa frase che Virgi-lio ha già rivolto a Caronte (vedi canto III, vv. 95-96).23. le dolenti note: le grida («note») dolorose («dolenti») (dei dannati). 24. mi percuote: mi colpisce (cioè colpisce il mio udito). 25. muto: privo; si tratta di una sinestesia (“muto di luce”).26. mugghia: muggisce; è una voce onomatopeica.

27. non resta: non si ferma, non ha tregua.28. mena… rapina: trascina («mena») gli spiriti («spirti»; è forma sincopata) con la sua furia travolgente («rapina»). 29. voltando e percotendo: sballottando (le anime) da una parte all’altra e colpendole (con la furia della tempesta). Per la legge del contrappasso i lussu-riosi, che in vita furono travolti dall’impeto passionale dei sensi, sono qui in balìa di una bufera senza fine. 30. a la ruina: la «ruina» è una delle frane che si produssero nell’inferno a causa del terremo-to seguito alla morte di Cristo; Dante ne parla diffusamente nel XII canto (vv. 37-45) e più volte descrive queste parti, che lui e Virgilio utilizzano per passare da un cerchio all’altro. Secondo alcuni commentatori, invece, il termine «ruina» indicherebbe la stessa bufera infernale: le grida dei dannati sarebbero dunque

quelle delle anime che Minosse ha destinato alla punizione dei lussuriosi. 31. quivi: qui, in questo punto. 32. enno: sono; è forma toscana formata per analogia su è.33. i peccator carnali… talento: i lussuriosi, che in vita sotto-mettono la ragione alle passioni («talento»). 34. E come li stornei… mena: e come le ali trasportano gli storni («stornei», “stornelli”), in inver-no («nel freddo tempo»), in una schiera larga e fitta (cioè facen-doli volare in uno stormo com-patto e di grande dimensione), così quel vento («fiato») traspor-ta in tutte le direzioni («di qua, di là, di giù, di sù») gli spiriti di quei peccatori («mali»). È questa la prima similitudine tra gli uccelli e le anime dei lussuriosi, traspor-tate dal vento infernale, che sem-bra in qualche modo ingentilire e nobilitare la descrizione di questi «spiriti mali». 35. nulla: nessuna.

36. non che… pena: non solo di un’interruzione («posa», “ripo-so”), ma neppure di una dimi-nuzione della pena. 37. lor lai: i loro canti tristi; «lai» è un termine del francese antico che indica un componimento poetico di materia amorosa. 38. faccendo… riga: formando nel cielo («aere») una lunga fila. L’immagine delle gru che volano in fila è presente già nell’Eneide di Virgilio e in altri poeti latini, ma Dante avrà forse ricordato anche il Tesoro di Brunetto Lati-ni: «Grue sono una generazione di uccelli che vanno a schiera… E sempre vanno uno dietro l’al-tro».39. traendo guai: emettendo grida («guai»), lamentose.40. da la detta briga: dalla bufe-ra («briga») già ricordata.41. l’aura nera: la bufera infer-nale è definita «nera» poiché, come Dante ha già detto (v. 28), il II cerchio è un luogo privo di luce.

Inferno Canto V

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«La prima di color di cui novelle42

tu vuo’ saper» mi disse quelli allotta43, 54 «fu imperadrice di molte favelle44.

A vizio di lussuria fu sì rotta45,che libito fe’ licito in sua legge

57 per tòrre il biasmo in che era condotta46.

Ell’è Semiramìs, di cui si leggeche succedette a Nino e fu sua sposa:

60 tenne la terra che ’l Soldan corregge47.

L’altra è colei che s’ancise amorosa,e ruppe fede al cener di Sicheo48;

63 poi è Cleopatràs49 lussuriosa.

Elena50 vedi, per cui tanto reotempo si volse51, e vedi il grande Achille52,

66 che con amore al fine combattèo53.

Vedi Parìs, Tristano54»; e più di milleombre mostrommi e nominommi a dito55,

69 ch’amor di nostra vita dipartille56.

Poscia ch’io ebbi il mio dottore uditoNomar57 le donne antiche e’ cavalieri,

72 pietà mi giunse, e fui quasi smarrito58.

I’ cominciai: «Poeta, volentieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno59,

75 e paion sì al vento esser leggieri60».

E lui allora mi rispose: «La prima anima della schiera di cui vuoi notizie fu imperatrice di [molti popoli, che parlavano] lingue assai diverse.

Fu così corrotta dal vizio della lussuria che, per eliminare le critiche di cui era divenuta oggetto, rese lecito con le sue leggi ciò che a ciascuno pia-ceva.

È Semiramide, della quale si legge che successe sul trono a Nino, dopo essere stata sua moglie: governò quindi la terra dove ora regna il Sultano.

L’altra [anima] è quella di Didone, che si uccise devastata dall’amore [per Enea, per il quale] ruppe la fedeltà alla memoria del defunto marito Sicheo; poi segue [l’anima] della lussuriosa Cleopatra.

Puoi vedere poi Elena di Troia, a causa della quale per così lungo tempo con così grave lutto si com-batté, e il grande Achille, che fu ucciso infine a causa dell’amore [per Polissena].

Vedi poi Paride e Tristano»; e mi indicò quindi col dito, menzionandone il nome, più di mille anime condotte alla morte dalla passione amorosa.

Dopo che ebbi udito nominare dal mio maestro quelle antiche donne e quegli eroi, mi prese un turbamento tale da farmi quasi svenire.

Paolo e Francesca (vv. 73-142)Cominciai [a dire]: «Poeta, parlerei volentieri a quelle due anime che vanno in coppia e sembra-no volare così leggere nell’infuriare del vento».

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42. novelle: notizie.43. allotta: allora; forma tipica dell’italiano antico. 44. di molte favelle: di molti lin-guaggi («favelle»), cioè regnò su molti popoli che parlavano lin-gue diverse. 45. fu sì rotta: fu così dedita in modo sfrenato.46. che libito… condotta: che, per cancellare («tòrre», “toglie-re”) il biasimo («biasmo») in cui era incorsa («condotta»), rese lecito («licito») per legge quello che a ognuno piaceva («libito»; latinismo da libitum, “piacere”).47. la terra… corregge: governò la città («terra») dove ora regna il Sultano. La città di Semirami-de era Babilonia, ma qui Dante sembra aver fatto confusione tra la Babilonia assira e la Babilonia egiziana. Un’altra possibilità è che, con la parola «terra», Dante intenda l’Egitto, regione che, se-condo alcuni storici antichi, era stata conquistata da Nino; tutta-

via, il senso di «terra» è in Dante sempre quello di “città”, come più avanti al v. 97.48. colei… Sicheo: Didone, che si uccise («ancise») per amore, e venne meno alla promessa di fedeltà («ruppe fede») fatta sulla tomba («al cener») del marito morto, Sicheo. Didone, mitica regina di Cartagine di cui Dante poteva leggere nell’Enei-

de di Virgilio, si uccise dopo essere stata abbandonata da Enea. Nel Medioevo la sua mor-te per amore veniva considerata come allegoria del contrasto tra ragione e passione e lo stesso Dante interpretava in tal senso l’episodio nel Convivio: qui, tut-tavia, la figura di Didone è sem-plicemente quella di una donna innamorata che si uccide per

la disperazione di aver perso il proprio uomo. 49. Cleopatràs: Cleopatra, regi-na d’Egitto, che fu prima amante di Giulio Cesare e poi di Anto-nio e si uccise dopo la morte di quest’ultimo. Della sua morte per un morso di serpente Dante parla in Par. VI, 76-78. 50. Elena: Elena di Sparta, la bella moglie di Menelao rapita

«Semiramìs»

Semiramide, leggendaria regina degli Assiri, vissuta tra XIV e XIII sec. a.C., che, insieme al marito Nino, aveva conquistato buona parte dell’Asia minore e che nel Medioevo fu considerata un esempio negativo di corruzione e di lussuria. Per questi versi Dante si avvalse della Historia adversus paganos (“Storia contro i pagani”) dello storico latino Paolo Orosio (375-420), che aveva fornito un ritratto macabro della donna per dimostrare come il paganesimo si fosse macchiato delle peggiori colpe. Parlando di lei aveva scritto: «Morto Nino gli successe la moglie Semiramide. Costei ardente di libidine, assetata di sangue, tra continui stupri e omicidi, avendo fatto uccidere tutti coloro che aveva chiamati alla reggia e allietati con modi da meretrice col suo amplesso; da ultimo con il figlio peccaminosamente concepito, empiamente esposto, incestuosamente amato, volle coprire la sua privata vergogna con un pubblico delitto. Decretò infatti che, tolto ogni naturale riguardo circa i connubi tra figli e genitori, a ciascuno fosse lecito di fare ciò che gli piacesse».

Inferno Canto V

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Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega

78 per quello amor che i mena61, ed ei verranno».

Sì tosto come62 il vento a noi li piega63, mossi la voce: «O anime affannate64,

81 venite a noi parlar, s’altri65 nol niega!»

Quali colombe, dal disio chiamate, con l’ali alzate e ferme al dolce nido

84 vegnon per l’aere dal voler portate;

cotali uscir de la schiera ov’è Dido, a noi venendo per l’aere maligno66,

87 sì forte fu l’affettuoso grido.

«O animal grazioso e benigno che visitando vai per l’aere perso67

90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

se fosse amico68 il re de l’universo68, noi pregheremmo lui de la69 tua pace,

93 poi c’hai pietà del nostro mal perverso70.

Di quel che udire e che parlar vi piace71, noi udiremo e parleremo a voi72,

96 mentre che73 ’l vento, come fa, ci tace74.

Siede la terra dove nata fui su la marina dove ’l Po discende

99 per aver pace co’ seguaci sui75.

Ed egli mi rispose: «Fa’ attenzione al momen-to in cui ci saranno più vicine: allora pregale, in nome di quell’amore che le sospinge, ed esse verranno».

Così, non appena il vento le ebbe trasportate ver-so di noi, dissi: «O anime tormentate, venite a parlare con noi, se Dio non lo proibisce».

Come le colombe, richiamate dal desiderio amo-roso, si muovono attraverso l’aria ad ali spiegate e immobili, e vengono portate dall’istinto verso il loro dolce nido,

così quella coppia di anime uscì dalla schiera in cui si trova Didone, venendo verso di noi attra-verso l’aria infernale, tanto potente era stato il mio affettuoso richiamo.

«O creatura vivente gentile e buona che, attra-verso quest’aria tenebrosa, stai visitando noi, che abbiamo macchiato il mondo di sangue,

se Dio, re dell’universo, fosse bendisposto nei nostri confronti, noi lo pregheremmo di darti pace, poiché hai pietà della nostra tremenda sof-ferenza.

Perciò noi resteremo ad ascoltare quel che avrete piacere di chiederci e vi risponderemo finché il vento, come già sta facendo, qui non soffia.

La città dove nacqui è posta sulla costa in cui il Po scende a trovar pace in mare dopo aver rac-colto le acque dei suoi affluenti.

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da Paride, e causa della guerra di Troia raccontata da Omero nell’Iliade.51. per cui… si volse: a causa del-la quale trascorse («si volse») un così lungo tempo pieno di lutti («reo tempo»). Dante fa ovvia-mente riferimento ai dieci anni della guerra di Troia. 52. il grande Achille: il leggenda-rio eroe dell’Iliade, la cui morte per amore era narrata nel Roman de Troie (1165 ca.) di Benoît de Sainte-Maure; secondo questa versione medievale, Achille si era innamorato di Polissena, figlia di Priamo, e fu ucciso a tradimento dal fratello di lei, Paride.53. combattèo: combatté; la de-sinenza in -eo è tipica dell’italiano arcaico.54. Parìs, Tristano: il troiano Paride che aveva rapito Elena, e Tristano, eroe dei romanzi ca-vallereschi del ciclo bretone e protagonista di una tragica storia d’amore con Isotta. 55. nominommi a dito: mi indicò

col dito, dando loro un nome.56. di nostra… dipartille: tolse da questa nostra vita, cioè fece morire.57. nomar: nominare.58. pietà… smarrito: fui preso dalla pietà («pietà mi giunse») e quasi persi i sensi. L’amore passionale che ha travolto tanti personaggi famosi dell’antichità e della tradizione letteraria susci-ta in Dante pietà e smarrimento, sentimenti che preludono alla seconda parte del canto.59. quei due… vanno: i due spiri-ti di cui Dante ancora non cono-sce il nome sono trasportati dalla bufera l’uno a fianco dell’altra, uniti nella vita e nella morte e non in fila come le altre anime; è proprio questo andare insieme che colpisce il poeta. 60. e paion... leggieri: sembra-no muoversi senza peso, docili («leggieri») sotto l’urto impetuo-so del vento. 61. i mena: li sospinge, li condu-ce veloci.

62. tosto come: non appena.63. li piega: li piegò, li fece piega-re. Dante usa il presente al posto del passato remoto per ragioni di rima. 64. affannate: tormentate in vita dalla bufera amorosa e qui dalla giustizia divina. 65. s’altri: se Dio. 66. Quali colombe... maligno: la similitudine si snoda in due terzine: come colombe, che spinte dal desiderio («disio») con le ali spiegate («alzate») e immobili («ferme») volano nell’aria («aere»), portate al dolce nido dal loro istinto («vo-ler»), così («cotali») le due ani-me uscirono dalla schiera dove c’è Didone, venendo verso noi per quell’aria infernale («aere maligno»).67. perso: tenebroso; «perso è uno colore misto di purpureo e di nero» (Convivio IV, XX, 2).68. se fosse... universo: se Dio, re dell’universo, mostrasse pietà e misericordia verso noi dannati.

69. de la: per la. «Pregar Dio della pace» era una consueta for-mula di saluto.70. nostro mal perverso: la pena cui ci ha condotto la passione peccaminosa («mal perverso»).71. vi piace: Francesca si rivolge a Dante e a Virgilio. 72. Di quel… a voi: nota il paral-lelismo dei due versi («udire… parlare / udiremo… parleremo»).73. mentre che: finché.74. ci tace: non soffia qui («ci»); alcuni, invece, intendono «ci» come un dativo di vantaggio (tace “per noi”). 75. Siede la terra... sui: la don-na (di cui ancora Dante non fa il nome), racconta di esse-re originaria di Ravenna («la terra dove nata fui»), città che all’epoca si trovava più vicina alla costa (la «marina») del mare Adriatico di quanto non sia oggi, nel punto in cui il Po termina il suo corso unendosi ai suoi affluenti («per aver pace co’ seguaci sui»).

Inferno Canto V

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Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende76, prese costui de la bella persona

102 che mi fu tolta77; e ’l modo ancor m’offende78.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte79,

105 che, come vedi, ancor non m’abbandona80.

Amor81 condusse noi ad una morte82: Caina attende chi a vita ci spense83».

108 Queste parole da lor84 ci fuor porte85.

Quand’io intesi quell’anime offense86, china’ il viso87 e tanto il tenni basso,

111 fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?»

Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio

114 menò costoro al doloroso passo88!»

Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martiri

117 a lagrimar89 mi fanno tristo e pio.

Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri90, a che e come concedette Amore

120 che conosceste i dubbiosi disiri91?»

Amore, che rapidamente accende i cuori genti-li, fece innamorare costui del bel corpo che mi è stato strappato; e il modo [in cui fui uccisa] anco-ra mi tormenta.

Amore, che non permette a nessuno che è amato di non riamare a sua volta, si impadronì di me e mi fece innamorare di costui in modo così violen-to che ancora, come puoi vedere, non mi lascia.

Amore ci condusse a una stessa morte: Caina at-tende chi spense le nostre vite.». Queste le paro-le che furono pronunciate dai due amanti.

Dopo che ebbi ascoltato quelle due anime tor-mentate, abbassai lo sguardo e lo tenni rivolto a terra così a lungo che Virgilio alla fine mi chiese: «A che cosa stai pensando?».

Quando risposi dissi: «Ahimè, quanti dolci pensie-ri e quanto desiderio condussero questi due aman-ti al punto di commettere tale grave peccato!».

Poi mi rivolsi a loro e dissi: «Francesca, le tue sofferenze mi rendono addolorato e pietoso fino alle lacrime:

Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri, attraverso quali indizi e in quali circostanze Amore permise che conosceste i vostri desideri ancora incerti?».

PAR

AFR

ASI

76. Amor ch’al cor… apprende: Amore, che subito («ratto»; forma sincopata di “rapido”) penetra («s’apprende») a cuori gentili. Dante usa le stesse paro-le con cui comincia la canzone manifesto dello Stilnovo: Al cor gentil rempaira sempre amore di Guinizzelli.77. de la bella… tolta: per il mio bel corpo («bella persona») che mi fu tolto violentemente. 78. e ’l modo… m’offende: la critica è divisa sull’interpreta-zione di questo verso. Secondo i più, l’espressione è riferita a

«che mi fu tolta»: Francesca è dunque ancora sdegnata per essere stata uccisa in quel modo violento e improvviso. Secondo altri la proposizione va invece riferita alla forza del sentimento di cui fu preda Paolo e signi-fica: “l’intensità («modo») di quell’amore mi vince ancora («m’offende»)”. Mentre a favo-re di questa seconda lettura vi è il parallelismo sintattico con la terzina seguente («Amor… prese costui della bella persona / che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende» – «Amor… mi prese

del costui piacer sì forte, / che come vedi ancor non m’abban-dona), a favore della prima sta il fatto che Francesca afferma nella terzina seguente di essere stata vinta dall’amore per Paolo («mi prese del costui piacer sì forte / che come vedi ancor non m’abbandona»); inoltre, il verbo «offendere» ha in Dante sempre un significato negativo, che suo-nerebbe come una condanna dell’amore di Paolo da parte di Francesca.79. sì forte: così fortemente, con tale violenza.80. ancor non m’abbandona: Francesca ribadisce la dimen-sione eterna del suo amore per Paolo, già evidente dal fatto che i due sono uniti anche nell’in-ferno. 81. Amor: nota la perfetta strut-tura delle tre terzine e la triplice ripetizione di «Amor» all’inizio di ognuna. Dante propone qui la teoria dell’amor cortese, che in-fiamma i cuori «gentili», e ricor-data in un celebre sonetto della Vita Nova, Amor e ’l cor gentil sono una cosa. Chi possiede un

cuor gentile ha dentro di sé, in potenza, l’amore, che si accende ineluttabile alla vista di una «bel-la persona». 82. ad una morte: a una sola morte, uguale per entrambi. 83. Caina... spense: la parte più profonda dell’inferno, dove sono puniti i traditori dei parenti (la «Caina», dal nome di Cai-no che uccise il fratello Abele), attende Gianciotto che ci tolse («spense», “spezzò”, è una me-tafora) la vita. 84. da lor: Francesca ha parlato anche per Paolo. 85. porte: dette, rivolte.86. offense: ferite dall’amore in vita e ora dalla bufera che mai non cessa (riprende l’«affanna-te» del v. 80). 87. china’ il viso: il poeta è mosso da sincero dispiacere e assorto nelle riflessioni sulla dottrina dell’amore cortese, che dovrebbe elevare lo spirito e non condurre alla passione peccami-nosa. 88. al doloroso passo: al pas-saggio fatale dall’amore puro a quello peccaminoso.

«Francesca»

A parlare è Francesca da Rimini, figlia del signore di Ravenna Guido da Polenta (famiglia presso cui Dante soggiornò durante il suo esilio). Poco dopo il 1275 fu data in sposa, giovanissima, a Gianciotto Malatesta, signore di Rimini, per sancire la pace ristabilitasi dopo lunghe contese tra le due signorie. La leggenda narra che Gianciotto, zoppo e di non bell’aspetto, avesse inviato a celebrare le nozze il più giovane fratello Paolo, del quale Francesca si innamorò; ma, tra il 1283 e il 1285, i due furono sorpresi in flagrante adulterio da Gianciotto, che li uccise entrambi.

Inferno Canto V

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E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice

123 ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore92.

Ma s’a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto,

126 dirò come colui che piange e dice.

Noi leggiavamo un giorno per diletto93 di Lancialotto come amor lo strinse94:

129 soli eravamo e sanza alcun sospetto.

Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso95;

132 ma solo un punto fu quel che ci vinse.

Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante96,

135 questi, che mai da me non fia diviso,

la bocca mi baciò tutto tremante97. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse98:

138 quel giorno più non vi leggemmo avante».

Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea, sì che di pietade

141 io venni men così com’io morisse;

e caddi come corpo morto cade99.

E Francesca mi rispose: «Non esiste dolore più grande che ricordare il tempo felice nella sventu-ra: e questo lo sa bene il tuo maestro.

Ma se tu provi tanto affettuoso desiderio di cono-scere l’origine del nostro amore, farò come colui che racconta le sue vicende piangendo.

Stavamo leggendo un giorno, per piacevole pas-satempo, la storia della passione d’amore di Lan-cillotto; eravamo soli e senza alcun presentimen-to di quello che sarebbe accaduto.

Più volte la lettura di quel testo ci spinse a guar-darci negli occhi e ci fece impallidire; ma solo un punto del racconto vinse in noi ogni resistenza.

Quando leggemmo in che modo la bocca desi-derata di Ginevra veniva baciata da un simile in-namorato, questi, che per l’eternità non sarà mai diviso da me,

mi baciò la bocca tutto tremante. Quel libro e il suo autore fecero da tramite al nostro amore, come Galehaut fece per Lancillotto e Ginevra: quel giorno non procedemmo oltre nella lettura».

Mentre lo spirito di Francesca pronunciava que-ste parole, lo spirito di Paolo piangeva in modo tale che io, per l’angosciosa commozione, persi i sensi come se stessi morendo:

e caddi come cade un corpo morto.

PAR

AFR

ASI

89. a lagrimar: fino al punto di farmi piangere; sintatticamente dipende da «tristo e pio».90. al tempo d’i dolci sospiri: in quella prima fase dell’innamo-ramento, quando il sentimento ancora non si manifesta a parole ma solo con sospiri.91. a che e come... disiri: Dante vuol sapere da Francesca attra-verso quali indizi e in che manie-ra («a che e come») Amore per-mise ai due («concedette») di conoscere i reciproci sentimenti («disiri»), fino allora rimasti in-certi («dubbiosi»). 92. Nessun maggior... ’l tuo dottore: secondo la maggior parte della critica il «dottore» sarebbe il filosofo Severino Boezio, consigliere del re goto Teodorico vissuto nel VI secolo d.C. e autore di uno dei testi più famosi del Medioevo, il De consolatione philosophiae (“La consolazione della filosofia”), scritto mentre si trovava in pri-gione e in cui compare la stes-sa sentenza: «Nei momenti di avversa fortuna, la più grande infelicità è essere stati felici».

Secondo altri, invece, il «dot-tore» sarebbe Virgilio, che può paragonare la sua vita gloriosa con la sua miseria spirituale che lo condanna eternamente al Limbo. È comunque da rilevare l’alto senso di umanità che per-vade l’episodio dei due amanti uniti per l’eternità; ma questa unione, anziché essere di con-forto, strazia l’anima di France-sca che ricorda con rimpianto i giorni felici trascorsi con Paolo. 93. per diletto: per svago. 94. di Lancialotto… strinse: la storia di Lancillotto e del modo in cui si innamorò («come amor lo strinse») della regina Ginevra, moglie di re Artù; Lancillotto del Lago è uno dei più famosi eroi della Tavola Rotonda ed è prota-gonista di molti romanzi cavalle-reschi del ciclo bretone. 95. Per più fiate… viso: la lettura della storia di Lancillotto e Gine-vra («quella lettura», soggetto della proposizione) più volte («per più fiate») ci spinse a guardarci negli occhi («li occhi ci sospinse») e ci fece impallidire in volto («e scolorocci il viso»).

Secondo la teoria dell’amore cortese l’innamoramento ha inizio dagli occhi e dal volto, in cui si rispecchiano i sentimenti che si agitano nell’animo dei due lettori. 96. Quando leggemmo... aman -te: quando arrivammo al pun-to in cui quella bocca così de-siderata («disiato riso» è una perifrasi) fu baciata da un tale amante; è l’inizio della passione che condurrà i due giovani alla morte. 97. Questi… tremante: mentre svela i retroscena della storia di Paolo e Francesca, Dante sottoli-nea con questo verso la violenza della loro passione, ma anche la sua intima umanità: Paolo è «tutto tremante» e bacia sulla «bocca» Francesca, come una qualsiasi coppia di innamorati al loro primo bacio.98. Galeotto… chi lo scrisse: Galehaut («Galeotto»), perso-naggio ricorrente dei romanzi del ciclo bretone, favorì gli amori tra Lancillotto e Ginevra. Il libro (il romanzo cavalleresco Lan-celot) e il suo autore (il poeta

Chrétien de Troyes, vissuto in Francia nel XII secolo) ebbero quindi per Paolo e Francesca la stessa funzione che Gale-otto ebbe per la regina e il suo cavaliere. È la giustificazione di Francesca: senza la lettura di quel libro non ci sarebbe stata la tragedia. 99. l’altro piangea… cade: Pa-olo, rimasto fino a quel mo-mento muto ad ascoltare la sua amante, non sa più domi-narsi e si abbandona al pianto, al punto che Dante, preso da grande compassione («pieta-de»), sviene e cade al suolo. La pietà che fa svenire Dante è espressione di solidarietà uma-na per chi soffre ed è infelice; essa però non cancella la colpa, che merita la punizione eterna. Da notare come l’ultimo verso sia ricco di figure retoriche che contribuiscono a propagare nel silenzio il suono sordo del cor-po che cade: l’allitterazione del-la c («caddi come corpo morto cade»), l’assonanza «corpo morto» e la figura etimologica «caddi… cade».

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Dante e Virgilio sono appena entrati nel II cerchio, quando si trovano davanti Minosse, un personaggio del-la mitologia classica a cui Dante assegna il compito di giudice infernale. Anch’egli, come e più di Caronte (vedi pp. 58-60), viene trasformato dalla fantasia dantesca in una figura demoniaca: il suo segno distintivo è un’enorme coda con la quale avvolge il proprio corpo tante volte, a seconda del cerchio a cui ciascuno è destinato.

Dopo aver superato Minosse, i due poeti giungono in un luogo buio, percorso da grida di dolore e di pianto e battuto da una tempesta che non cessa mai. In mezzo a questa «bufera infernal» si trovano le anime dei lussu-riosi, cioè coloro che in vita non seppero controllare le proprie passioni e si abbandonarono all’amore, pagando con la vita la loro scelta. Le anime dei lussuriosi sono punite secondo un contrappasso per analogia: come in vita si lasciarono travolgere dalla passione, così qui sono continuamente colpiti dal vento infernale.

In mezzo alla schiera dei lussuriosi Virgilio mostra a Dante una serie di personaggi della letteratura classica e medievale, come Didone, Achille, Paride e Tristano. Tutta-via il vero cuore del canto è l’incontro con due anime che, uniche in mezzo alla folla dei peccatori, procedono abbrac-ciate, quelle di Paolo Malatesta e Francesca da Rimini, due contemporanei di Dante la cui storia era ben nota all’epo-ca. Per la prima volta, nella Commedia, ci troviamo di fron-te a figure reali, che nel loro parlare mostrano ancora tutti i tratti della loro umanità e vivono ancora le stesse passioni di quando erano in vita. Tutto lo svolgimento del racconto lascia chiaramente trasparire la pietà di Dante per la sorte dei due giovani, ma questo non basta ad assolverli dalla loro colpa. Il loro peccato fu una scelta libera e volontaria, ed essi devono quindi scontare la loro pena nell’inferno.

Francesca racconta a Dante la storia del suo amore per Paolo, fino alla drammatica conclusione, l’omici-

dio dei due amanti per opera di Gianciotto Malatesta, marito di Francesca e fratello di Paolo. Tutto il discor-so di Francesca è intessuto di riferimenti alla teoria dell’amore cortese, come è evidente soprattutto nel primo verso delle tre celebri terzine che iniziano con la parola «Amor», in cui viene esplicitamente riaffer-mata la stretta correlazione tra amore e «cor gentil» (v. 100). Dante chiede a Francesca come essi arrivarono a scoprire la reciprocità del loro sentimento. La risposta della donna chiama ancora una volta in causa il mondo della letteratura cortese, poiché fu proprio leggendo la storia d’amore adultera di Lancillotto e Ginevra che i due si innamorarono: anche lo sviluppo del sentimen-to d’amore è tutto costruito sulla trattatistica amorosa, con gli sguardi che si incrociano, i volti che impallidi-scono e, finalmente, il sospirato bacio.

A ben vedere, dunque, la storia di Paolo e Francesca (e, più in generale tutto il canto dei lussuriosi) mostra anche le scelte etiche e letterarie di Dante. Il poeta fio-rentino si era formato sulla dottrina dell’amore cortese di Andrea Cappellano e poi sulla corrispondenza tra amore e «cuor gentil» teorizzata da Guido Guinizzelli ma – come ricorderà con orgoglio nel XXIV canto del Purgatorio, durante il colloquio con il poeta guittoniano Bonagiunta Orbicciani – nella Vita Nova aveva superato questa concezione cortese dell’amore, approdando con le «nove rime» a una nuova dimensione spirituale del sentimento d’amore, rivolta non più verso la donna ma verso Dio. La condanna di Paolo e Francesca e degli altri personaggi letterari, che avevano incarnato le varie tipo-logie dell’amore (dall’amore tragico di Didone all’amore cavalleresco di Tristano), rappresenta un consapevole superamento della dottrina dell’amore cortese e, nel contempo, il primo passo di un nuovo canone etico e letterario che Dante svilupperà, nel corso di tutta la Com-media, esponendolo attraverso vari incontri letterari.

PER LAVORARE SUL TESTO

VERSO L’ESAME 1a prova, tip. A Analisi di un testo poetico

COMPRENSIONE

Il secondo cerchio

1. Quale tipo di peccato è punito in questo cerchio? Con quale pena? Spiega perché si tratta di contrappasso per analogia.

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2. Chi è il custode del II cerchio? Qual è il suo compito specifico?

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3. Quali personaggi del mondo greco sono qui ricordati?

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Paolo e Francesca

4. Chi «spense» la vita dei due amanti e ora è atteso nella «Caina»?

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5. Qual è il «libro» che fu «Galeotto»? E chi ne erano i protagonisti?

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6. Il racconto di Francesca si articola in due momenti: riassumili.

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ANALISI

Il lessico

7. Nei canti finora presentati hai incontrato numerose espressioni che descrivono questa parte dell’oltretomba come buia. Rintraccia quelle presenti nel canto antologizzato e sottolineale. Perché Dante usa così spesso l’idea delle tenebre?

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8. Nelle prime frasi pronunciate da Francesca compare due volte la parola «pace» (vv. 92 e 99). I contesti sono gli stessi o sono diversi? La ripetizione secondo te è casuale o contribuisce a definire l’atteggiamento del personaggio? Motiva la tua risposta.

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Le figure retoriche

9. Al v. 133 e al v. 142, Dante ricorre a figure retoriche: quali e per produrre quale effetto?

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Guida allo studio e alla scrittura

Commentare

10. In questo canto sono presenti tre similitudini divenute famose, con diverse specie di uccelli («E come gli stornei… minor pena», vv. 40-45; «E come i gru… de la detta briga», vv. 46-49; «Quali colombe… affettuoso grido», vv. 82-87): spiegale e fa’ un breve commento di 4-5 paragrafi.

Puoi, per esempio, considerare gli animali presenti, le immagini e l’effetto che se ne ricava, i due termini su cui si basa la similitudine.

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I temi

11. Qual è il tema principale del canto? In quali terzine viene esposto con precisione?

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Guida allo studio e alla scritturaAPPROFONDIMENTO

Confrontare i testi12. Leggi il sonetto A ciascun’alma... e il cap. XI della Vita Nova, dai quali emerge la concezione “cortese” dell’amore

in Dante, e mettila a confronto con l’idea espressa da Francesca nei vv. 100-108. Osserva come in entrambi i casi Amore appaia personificato. Ti possono guidare le seguenti domande.•   Quali sentimenti suscita Amore nel poeta?•   Quali in Francesca?•   In che cosa questa idea di amore differisce dalla concezione cristiana?

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Confronto fra la struttura metrica e quella sintatticaVISUALIZZAZIONE

Esaminiamo insieme queste tre terzine in cui Francesca cerca una giustificazione letteraria alla passione d’amore che la travolse (vv. 100-108):

Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense.

Queste parole da lor ci fuor porte.

Come si può vedere qui è trattato un solo tema, l’amore cortese, la cui teoria si svolge in tre terzine a rima incatena-ta (della prima ti forniamo in basso lo schema del ritmo metrico). Ma se il ritmo metrico le tiene unite, la struttura sintattica le separa: infatti, secondo il consueto stile dante-sco, ogni terzina forma un periodo, anzi l’ultima terzina è spaccata in due periodi, una particolarità che può essere così schematizzata:

A- ch’al gen-mór- còr tìl 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 primo emistichio cesura secondo emistichio

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11

che mi fu ta; e ’l do an- m’of- detòl- mò- cór fèn- 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 primo emistichio cesura secondo emistichio

to s’ap- deràt- prèn-

se co- de lapré- stùi la per- nabèl só-

ASPETTO METRICOTre terzine, legate dalla rima

ASPETTO SINTATTICOTre terzine, quattro periodi

TEMAL’amor cortese

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Presentiamo adesso due brani di critica sulla figura di Francesca. Nel primo, Lanfranco Caretti individua nel racconto di Francesca aspetti contrastanti di tono e sentimento – dalla gentilezza al pianto, dalle parole d’amore alla durezza della condizione presente – e lo divide in due parti, sepa-rate dal silenzio assorto di Dante. Nel secondo passo, il critico Vittorio Sermonti pone l’accento sul severo giudizio del poeta.

Sin dalle prime battute del racconto di Francesca, le

espressioni della gentilezza e della cortesia («animal grazioso e benigno…»; «se fosse amico il re dell’universo»; «Di quel che udire e che parlar vi piace…») si mescolano a quelle della tri-stezza e del pianto («aere per-so…»; «noi che tignemmo il mondo di sanguigno…»; «mal perverso…»), mentre l’accen-to si appoggia soprattutto alla parola “pietà” a indicarci come si vadano intrecciando sempre più strettamente, nel corso del canto quinto, il tema dell’amore e quello della pietà. […] Dram-matica è la situazione di France-sca che si dibatte tra i superstiti segni dell’antico splendore (la

sua nascita, la sua educazio-ne, la sua cultura) e la presen-te miseria. Sì che le sue parole alternativamente riflettono ora l’eleganza e l’armonia del tem-po perduto e irrevocabile, ora la cruda e squallida disperazione dell’ora che incombe e serra e punge senza speranza. […] Le sentenze di Francesca riflettono in modo esplicito il linguaggio della poesia cortese e le argo-mentazioni di certe dottrine ero-tiche medievali («Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende…»; «Amor, ch’a nullo amato amar perdona»); e certo non potreb-be non apparirci estremamente artificioso questo inserirsi di un linguaggio tra letterario e filoso-fico in una situazione così dram-

matica, se non tenessimo conto che Dante lo ha deliberatamen-te assunto come il più adatto a farci intendere la profonda frat-tura che si è operata in France-sca, fra la vita del sentimento e quella dell’intelletto. Francesca, infatti, pretende con le sue pa-role di saldare a un certo punto quella frattura, di colmare quella distanza, di razionalizzare cioè quanto in realtà fu soltanto im-peto dei sensi, debolezza e ab-bandono. […]Dopo l’incalzante e quasi ostina-to sfoggio di «amorose» ragio-ni, ecco la tremenda catastrofe a mostrarci la reale fragilità di quel congegno logico, la corrotta natura di questo amore, final-mente rivelato, nel suo autentico volto, dagli orrendi effetti che ad esso corrisposero [...]. Ancora qui, dunque, «amore e morte»; quell’ultimo verso gelido e spie-tato: «Caina attende chi a vita ci spense», nel quale si risolve, con crudele schiettezza, la logica peccaminosa di Francesca. Tut-to infatti fu fatale, e non poteva non accadere per la forza invin-cibile che è insita nell’amore. [...] Il gesto di Gianciotto è destinato ad apparire, naturalmente, un puro gesto di violenza contro il destino: non un atto riparatore, ma una insana prevaricazione» […]Il silenzio di Dante nasconde un acerbo dibattito. Egli è rimasto scosso dal tono drammatico implicito nelle «argomentazio-ni» di Francesca e ha misurato

la figura di francesca

Pierre-Claude-François Delorme, Paolo e Francesca, 1825-1830 ca., Sens, Musée Municipal.

LA C

RIT

ICA

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finalmente da vicino la tremen-da forza di questo amore-pas-sione, la disperata energia della sua logica. Ciò che prima era in lui una intuizione ancora con-fusa o almeno troppo generica (appena un’oscura angoscia), è divenuto, dopo l’incontro con Francesca, una viva e commos-sa partecipazione, la quale tut-tavia urta più che mai dolorosa-mente e con acerbo contrasto contro l’orrore del peccato, la realtà della fine tragica. […]Il caso di Francesca ha commos-so il poeta, ma egli non è pago, egli vuol sapere ancora altro dal-la donna; e proprio, questa volta, ciò che per lui più conta: il modo, cioè, in cui quel sentimento d’amore, che essa ha dichiarato fatale e che contro la sua stessa volontà prese a vigoreggiare in lei e in Paolo, dapprima inco-gnito e inconfessato persino nel segreto del loro cuore («dubbiosi desideri»), si sia poi rivelato alla loro coscienza («conosceste»), sì che i due amanti compresero finalmente di amarsi e nello stes-so momento, cedendo alla forza subitanea di quella rivelazione, si perdettero. E quella a me: «Nes-sun maggior dolore…».È la seconda parte del racconto di Francesca: non più la disperata giustificazione della colpa, ma la narrazione commossa e dolente, tra accenti di rimpianto e di tri-stezza, del dolce idillio, dell’antica tenerezza, della irreparabile cadu-ta. […] Nel costringersi a rivivere l’ora dell’oblio, Francesca insie-me trema di commozione e pal-pita di angoscia: ripropone al suo cuore il fascino di quella vertigine nello stesso tempo in cui avverte, tramontata ormai quella ebbrez-za, il gusto amaro della sconfitta e dell’inganno subìto. […]

Quella colpa, sia pure consu-mata fino in fondo («quel gior-no più non vi leggemmo avan-te»), ormai vive, per queste anime, solo come «miseria», nelle forme dolorose dell’espia-zione eterna («questi, che mai da me non fia diviso»).

da L. Caretti, Il canto di Francesca, Lucca, Lucentia, 1951

Che Dante Alighieri, uomo e poeta, propenda a perdona-

re peccatori nell’atto stesso di destinarli alla dannazione eter-na, non persuade.Vero, che il pellegrino d’ol-tretomba si prodiga con gli adulteri cognati in espressioni riguardose e compassionevoli, come non gli capiterà spesso nell’inferno. Vero, che in chiu-sa, alle ultime parole di France-sca e alla vista di Paolo muto, in lacrime, tramortisce. Vero. Ma se non isoliamo (per abusi-va identificazione sentimenta-le) questo V canto dell’Inferno e la bella persona di Francesca dal libro che li contiene, dovre-mo convenire che in queste ter-zine il poeta ci sta raccontando il primo incontro e il primo colloquio fra un’anima perdu-ta e Dante-peccatore, appena avviato al suo severo pellegri-naggio iniziatico traverso i tre regni dei morti: la prima tappa, la prima tentazione debellata; e dovremo constatare come que-sta tentazione non sia mera vertigine dei sensi, pura follia d’amore, se Francesca, espo-nendo al pellegrino affettuoso la parabola obbligata che ha tratto lei e Paolo all’adulterio, alla morte e al castigo eterno, parafrasa versi scritti qualche anno prima dallo stesso pelle-

grino, ripete con una qualche rigidezza sillogistica tracciati mentali e sentimentali in cui lui si era attardato e compiaciuto da giovane. E addita la lettera-tura come ruffiana.da V. Sermonti, L’Inferno di Dante,

Milano, Rizzoli, 1988

Per comprendere

1. Quali temi si intrecciano nel canto?

2. Quale «profonda frattura» secondo Caretti si consuma nell’animo di Francesca?

3. In che cosa si distinguono le due parti del racconto secondo Caretti?

4. Che cosa nasconde il silenzio di Dante?

5. Quali sentimenti prova Fran-cesca nel riconoscere la sua storia?

Per approfondire

6. Secondo te, risulta chiaro, nel testo di Caretti, il passaggio e la differenza tra i due momenti del discorso di Francesca? Rispondi con riferimenti al testo.

7. Ti sembra che l’atteggiamento di Dante (il suo silenzio, il suo voler conoscere il modo in cui si è evoluta la situazione di Francesca e di Paolo) sia reso dal critico con precisione e ricchezze di particolari? Rispondi in un testo di 3-4 paragrafi.