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cantiere di riflessioni sull’avvenire delle città vulnerabilia cura di Guendalina Salimei e Christiano Lepratti

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Cantiere di riflessione sull’avvenire delle città vulnerabili ....................... 9Guendalina Salimei

L’architetto, lo scienziato e l’artista ................................................................. 16Christiano Lepratti

People meet in L’Aquila ...................................................................................... 25

Il progetto assente ................................................................... 27Aldo Benedetti

Case e carriole .......................................................................... 32Jolanda Bufalini

Luoghi nuovi per l’arte ........................................................... 41Oreste Casalini

Tecniche di intervento nell’emergenza urbana ................... 49Mario Ferrari

Riannodare i legami ................................................................ 59Claudia Mattogno

L’Aquila: un territorio da riconvertire .................................. 67Rosario Pavia

Uomo - clima - Architettura ................................................... 74Günter Pfeifer

Rivedendo L’Aquila ................................................................. 83Giorgio Stockel

Per L’Aquila .............................................................................. 90Rosalia Vittorini

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L’Aqui_lab ................................................................................................................ 99DOCOMOMO Italia: l’aquila città del ‘900Rosalia Vittorini ............................................................................. 100

DARMSTADT. Trasformazione e energia. Il metodo ciberneticoGunter Pfeifer ................................................................................ 102

PARIGI. Un territoire durable et un habitat de qualitéà consommation zéro dans les zones à risque sismique.Nicoletta Trasi ............................................................................... 105

PESCARA. Terrae_motus. Transportable environmentsCarmen Andriani .......................................................................... 107

PESCARA. Da C.A.S.E. e ECOcittàPepe Barbieri ................................................................................ 109

ROMA. La vulnerabilità sismica negli esempi aquilaniLouis Decanini .............................................................................. 111

L’AQUILA. L’Aquila 2009: un terremoto post-modernoUmberto D’Angelo, Vezio De Lucia, Roberto De Marco, Paola Nicita ............113

PESCARA. Prevenzione sismica: un nuovo approccio al problemaValter Fabietti ................................................................................ 115

ROMA. L’edificio che (ancora) non c’èRoberto Cherubini ........................................................................ 117

Cantiere on-line ................................................................................................... 119

La riflessione continua ...................................................................................... 121

English....................................................................................................................... 125

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EOPLE MEET IN ARCHITECTURE E‘ IL TEMA PROPOSTO DA KAZUYO SEJIMA CURATRICE DELLA 12 MOSTRA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTURA “L‘IDEA DI AIUTARE GLI INDIVIDUI E LA SOCIETÀ A RELAZIONARSI CON L‘ARCHITETTURA, AIUTARE L‘ARCHITETTURA A RELAZIONARSI CON GLI INDIVIDUI E LA SOCIETÀ, E AIUTARE GLI INDIVIDUI E LA SOCIETÀ A RELAZIONARSI TRA LORO”.

L‘idea e quella di lanciare una sfida per comprendere sino a che punto l‘architettura sia capace di esprimere le esigenze del vivere moderno.Sulla base di queste suggestioni abbiamo sviluppato il progetto “E-PICENTRO” dove proponiamo di iniziare un cantiere di riflessioni sull‘avvenire delle città vulnerabili in particolare sulla citta‘ dell‘ Aquila e sul suo territorio.Il progetto “e-picentro” ruota attorno al tema della rigenerazione che si deve avviare in località colpite da eventi sismici. Si pone l’accento sul ruolo centrale che le relazioni tra architettura, arte, individui e società assumono in situazioni di emergenza e che producono oltre che distruzione e devastazione urbana ed architettonica uno sfilacciamento dei legami sociali.Il crollo della propria casa, la perdita degli spazi collettivi, il repentino cambiamento del modus vivendi fa emergere negli

Guendalina Salimei

Cantiere di riflessione sulle città vulnerabili

P

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individui e nella società la percezione di una doppia dimensione pubblico-privata del dramma. La ricostruzione, dunque, non si puo‘ limitare al solo ripristino delle funzioni della città bensì diventa un operazione di ricostruzione e di riequilibrio che si imposta su piani paralleli tra l’identità collettiva e quella individuale.

Le città vulnerabili Le città sono vulnerabili, le città collassano, ma poi, incredibilmente, risorgono quasi sempre negli stessi luoghi. In Italia è esemplificativo il caso di Messina: completamente distrutta dal terremoto del 1908, e, nell’arco di un secolo, faticosamente ricostruita nel medesimo luogo. Oggi pochi conoscono il drammatico processo di ricostruzione di una città distrutta da un sisma.Di fronte alla tragedia che ha investito Haiti, Santiago del Cile non possiamo che essere sgomenti; siamo nel pieno di una difficile emergenza, la ricostruzione della città è lontana. A L’Aquila si è oltre l’emergenza, ma non c‘ e‘ ancora un vero progetto per il futuro. La violenza della catastrofe che annulla in pochi istanti il tempo e la storia di una città, ci rende incapaci di immaginare la sua identità futura.Probabilmente abbiamo le capacità di ricostruire gli edifici, ma di certo non sappiamo ancora gestire il processo complesso di recupero della dimensione economica, sociale, culturale e creativa di una città. Questo è indubbiamente il vero problema della ricostruzione a L’Aquila. La città storica e la sua periferia moderna sono oramai abbandonate, la sua economia, la sua Università, le sue risorse professionali, le sue istituzioni sono in profonda crisi.

Per L’Aquila è necessario un progetto, un sogno collettivo, una strategia che porti nella città nuove risorse e nuove forme di sviluppo. L’Aquila ha bisogno che la cultura intera produca per la sua comunità una visione di futuro, un modello di rinascita e di sviluppo e che persegua nuovi modi di vivere e abitare i luoghi. Occorre passare dal negativo, dall’errore, dalla disgregazione ad un progetto di rinascita.

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Le città non si definiscono più solo come generatrici di impulsi culturali, di processi economici e sociali, ma come sismografo delle conflittualità e dello sviluppo globale. L’Aquila, Port au Prince, e Kobe non sono solo accomunate da esperienze tragiche, la loro vulnerabilità è paradigmatica di un sfida che accompagna la storia della civiltà e che ora chiama ad una riflessione improrogabile sugli equilibri, le instabilità e gli assetti futuri.

Azioni nella transizione Nel caso de L‘Aquila il progetto può documentare quanto è stato fatto e si sta facendo, ma soprattutto può chiedere al mondo della cultura idee e progetti per il futuro, che si confrontino in chiave pratica, teorica e creativa con il tema dei nuovi equilibri, con un progetto interdisciplinare aperto a riflessioni sulla composizione dei conflitti sociali e ambientali.

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Obiettivo dichiarato è riportare attraverso varie forme di espressione da quelle piu scientifiche a quelle piu‘ artistiche l’attenzione sulla complessità della rinascita di una città e di un territorio, sulla necessità di coinvolgere le comunità locali con modelli innovativi di crescita in grado di accelerare la rinascita urbana, orientandola verso obiettivi di qualità e vivibilità.Con il termine “radici” indichiamo il nostro luogo di appartenenza, il nostro punto di partenza, quel complesso e intricato spazio di relazioni che contribuiscono a definire “noi” rispetto agli “altri”. La nostra terra è molto più di un luogo fisico, è un sistema di interazioni, un microcosmo urbano da cui prendiamo le mosse per muoverci nel mondo.Il terremoto che ha colpito la provincia dell‘Aquila ha spazzato via strade, palazzi, piazze, ma soprattutto ha interrotto legami, cancellato ricordi, immobilizzando la quotidianità in uno statico presente.In questi mesi abbiamo visto come iniziative spontanee hanno riportato l‘attenzione sul tema della ricostruzione canalizzando le energie sulle modalità per rigenerare i territori colpiti dal sisma.

Lo scopo di questo progetto è quello di coinvolgere il mondo della cultura (architetti artisti, poeti, scrittori) ad avanzare proposte per rivitalizzare la città partendo dall‘uso temporaneo e spontaneo degli spazi vuoti. Nel caso del territorio dell‘Aquila si può documentare quanto è stato fatto e si sta facendo, e soprattutto si possono produrre idee e progetti per il prossimo futuro, per riflettere su come e‘ possibile aiutare la città a rinascere sin da subito. Ovvero riflettere su quali azioni si possono attivare nel difficile periodo di transizione che intercorre tra l‘abbandono della città e la sua ricostruzione. Si intende favorire un processo di progettazione in grado di dare o ri-dare ai luoghi un nuovo senso anche attraverso la ricerca di significati provvisori.Gli spazi svuotati dal terremoto sono spazi non vissuti che dovranno essere riportati a nuova vita. Il tema e‘: come far rinascere una città, come coinvolgere gli abitanti, come far risorgere la vita di una collettività partendo dalla riappropriazione dei suoi luoghi, antichi e nuovi, privi o meno di un identità.

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Queste sono solo alcune delle domande a cui si dovrà dare risposta: come si potrà migliorare la qualità della vita in questi luoghi privi dei più elementari servizi? Cosa fare delle aree di risulta delle demolizioni? Come si attueranno le ricostruzioni integrali e parziali egli edifici danneggiati? Quale sarà‘ il ruolo degli spazi pubblici nuovi e ritrovati? Gli abitanti dei luoghi colpiti come si relazioneranno in questi spazi ritrovati? Chiediamo perciò di proporre riflessioni che siano in grado di rivitalizzare, anche in modo temporaneo, le aree urbane forzatamente abbandonate a seguito del terremoto.

Le sezioni del progetto: People meet in L’Aquila / L‘Aqui_lab / Cantiere onlinell progetto si deve considerare come un punto di partenza, un cantiere aperto di riflessioni articolato in più iniziative:

– la sezione People meet in L’Aquila e‘ pensata all‘interno di uno spazio temporaneo, una tenda, un luogo evocativo di riflessioni e di proposte pensate per il periodo di transizione che intercorre tra l‘abbandono della città e la sua ricostruzione, una consulta di idee sulla ricomposizione del trauma generato dalla separazione tra lo spazio della città e i suoi abitanti. Il carattere di provvisorietà della tenda contribuisce a sottolineare la connotazione di cantiere di questo spazio, pensato per produrre uno sforzo creativo serio, di riflessione ed elaborazione di idee per trasformare l’attesa della ricostruzione in un momento propositivo carico di energia e di futuro.Architetti, artisti, fotografi, scrittori ed iI mondo della cultura in genere dà vita ad un primo momento di confronto e di riflessione, una sorta di Fabrica non finita in movimento che continua ad accogliere idee, proposte, contributi personali per tutto il periodo della Biennale, offrendo un spazio di partecipazione aperto, critico e creativo. Il materiale esposto viene aggiornato regolarmente a sottolineare il carattere di cantiere aperto dell’evento.

– la sezione L‘Aqui_lab, inserita all’interno del Padiglione Modelli dell‘Arsenale Novissimo, e‘ pensata come un laboratorio scientifico, una sorta di biblioteca in fieri dove sono raccolti contributi, ricerche scientifiche e proposte elaborate nel corso del tempo da Università, Enti ed Istituzioni nazionali ed internazionali che propongono idee e progetti pensati e previsti per il territorio aquilano.Il laboratorio prevede in contemporanea alla esposizione dei contributi scientifici ed artistici anche degli incontri, dei seminari ed un workshop

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con la partecipazione di Università italiane e straniere al fine di coinvolgere anche gli studenti provenienti da diverse realtà in questo sforzo corale.

– una sezione Cantiere online, rende accessibile e arricchisce il progetto di contributi nella rete, diviene un luogo aperto dove inserire proposte e riflessioni attraverso il sito www. epicentroproject.net. Inoltre il progetto Epicentro si arricchisce di un concorso on-line aperto a professionisti e studenti luogo di riflessioni e dibattiti sul tema - idee per gli spazi della transizione, generati dall’abbandono in attesa della ricostruzione. I risultati del concorso saranno proclamati in coincidenza con la cerimonia di chiusura della Biennale.

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L PROGETTO EPICENTRO SI INTERROGA SULLE RESPONSABILITÀ DELL’ARCHITETTO E LA RICOSTRUZIONE DE L’AQUILA.

Lo fa proponendo una chiave di lettura e un’interpretazione che fa convivere gli esiti di ricerche condotte nel tempo da equipe di ricercatori universitari e il lavoro, in alcuni casi estemporaneo, di artisti sulla città de L’Aquila dopo il terremoto. Il presupposto è la convinzione che dall’incontro tra lo sguardo della ricerca scientifica e quello dell’arte possa prendere forma un contributo coerente, utile e adatto alla causa de L’Aquila. Allo stesso tempo questo lavoro rappresenta un’importante occasione di riflessione sul ruolo dell’architetto tra scienza e arte, professione e società, in sintonia con la riflessione messa in campo dall’impostazione dalla direttrice Kazuyo Sejima alla Mostra della XII Biennale di Architettura a Venezia. Partendo dalla personificazione del trauma e passando attraverso la riflessione sul ruolo dell’architetto, lo scritto si propone di ripercorrere il processo che ha portato alla definizione del taglio

Christiano Lepratti

L’architetto, lo scienziato e l’artistaI

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critico. Lo fa in forma di manifesto, ricorrendo all’espediente dello slittamento tra la percezione individuale del dramma e la sua oggettivazione. Uno dei motivi principali, la strutturazione dicotomica tra ricerca scientifica condotta da architetti e ingegneri e la ricerca dell’arte, si riflette nell’organizzazione fisica del progetto per come è stato allestito è rappresentato negli spazi del ”L’Aqui-lab” e della “Tenda People meeting L’Aquila”” all’interno dell’Arsenale Novissimo di Venezia. Nel progetto editoriale che prevede una serie di pubblicazioni a seguire, e di cui questo testo rappresenta il primo sforzo, questa dicotomia si mantiene nei contenuti, ma nella struttura ha lasciato il posto a un serie di contributi misti.

La percezione del terremotoSe penso a L’Aquila penso alla gente nelle tende, alle macerie, ai soldi, alla politica e ai politici, un po’ alla propaganda e alle fanfare e i tricolori, ma anche alle carriole, alle case, alla televisione, al sindaco, alla casa dello studente, alla sorella dello studente morto, alla satira e al dolore, e pensando a queste al sacrilegio e alla pietas, e poi a Obama con l’elmetto, al dolore di una padre che ha perso i figli in quella stanza di cui si vede solo la porta in bilico sul niente. Poi penso alla chiesa abbattuta, alle tante immagini in internet, alla solidarietà al yes we camp, alle famiglie con i figli che vivono nelle pensioni al mare e vanno a scuola in montagna.Non sono stato a Messina e conosco poco il Friuli, per niente l’Irpinia. Di tutti questi luoghi ho sentito molto parlare, toponimi che si intrecciano nella mia geografia emotiva. Se penso agli architetti e li metto in relazione con L’Aquila provo una leggera vertigine, perché architetto lo sono, ed è difficile come tale, con negli occhi le macerie e il dolore, non sentirsi in dovere di tracciare la linea tra l’impegno, la professione, la pietas, esplorando nelle foto e sulle carte lo spazio silenzioso de L’Aquila come se lo si facesse perlustrando il proprio spazio autobiografico. Alla ricerca del perché delle cose e del perché delle scelte, con l’obbligo di distinguere tra le forme della realtà

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e le forme della propria coscienza.Il terremoto sulla mia pelle è quel vibrare del pavimento che veniva da lontano, da bambino, in una cucina gialla con le luci fioche di sera e il volto terreo di mio nonno. Il terremoto nella mia consapevolezza è una città, la sua storia, le sue case, i suoi monumenti che si sbriciolano, lo spazio della vita della gente, del lavoro della quotidianità, delle passioni, dell’amore, dei suoni che lascia il posto al vuoto e al silenzio.

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Lo sguardo oggettivato Quello dell’architetto è un mestiere, la pratica dell’architetto un’attività intellettuale che ha una sua dimensione scientifica e artistica. L’architetto non è solo un’artista ma neppure un artigiano, non è solo un costruttore ma neanche solo un pensatore astratto, non è solo uno scienziato ma neanche tecnico puro. Non è niente di tutto questo e contemporaneamente è tutto questo, con una molteplicità di ruoli e responsabilità che lo costringe da sempre in un’avventura in bilico tra soggettività, capacità di ascolto, oggettività e percezione del proprio ruolo sociale, di questi tempi misconosciuta e fragile.Di fronte alla violenza sulla realtà scatenata dal terremoto che scardina equilibri e relazioni sbriciola le case e cancella lo spazio e la storia, cosa deve fare l’architetto?Può continuare a vestire i suoi panni e pensare ai mali minori e inevitabili, pensare a responsabilità altrui? Lo puo fare quando le case si schiantano? L’architetto deve pensare in prima persona a come costruire case che non crollino come castelli di carta, pensare a come evitare di provocare dissesti, impedire che si costruisca male dove non si potrebbe costruire, e deve pensare a dare un contributo di bellezza.Noi pensiamo che chi ha scelto di fare, e chi sceglierà di fare l’architetto, debba e dovrà sentire più responsabilità anche rispetto a quello che fanno gli altri suoi colleghi, pensiamo che l’architetto sia un mestiere nobile e che abbia delle grandi responsabilità di fronte a quanto è sempre accaduto e continuerà ad accadere con i terremoti, e di fronte a quanto ha cominciato ad accadere e accadrà sempre più spesso con il sistema natura-mondo, arrabbiato, instabile e imprevedibile, oggi come non mai. Pensiamo che si debba scegliere di fare l’architetto perchè quello dell’architetto è un lavoro intellettuale e creativo che necessità di consapevolezza e capacità di interpretazione della realtà, lo debba fare come deve farlo un artista, ma a differenza dell’artista lo debba fare dal suo interno, della realtà, condividendone regole e leggi, rinunciando in

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parte alla carica sovversiva dell’arte e al suo sguardo libero, ma non per questo rinunciando alla volontà di trasformare ció che non condivide e non vuole in qualcosa che pensa che sia responsabile, giusto, e bello.L’impegno che deve recuperare è quello che sconfigge da una parte il solipsismo e la tentazione di far coincidere la realtà con un mondo di sole forme idee e fenomeni creati dalla propria coscienza, e dall’altro quello che chiama in causa la resistenza alla deriva tecnocratica del suo ruolo. Ma non può neanche rinunciare alla scienza perché in esilio volontario dal mondo delle tecniche o perché solo desideroso di estetizzarlo. L’architettura è un’ ars liberalis e l’architetto un intellettuale calato nella realtà, che deve pensare contemporaneamente come uno scienziato e un’artista altrettanto calati nella realtà.

Lo sguardo dello scienziato e lo sguardo dell’artistaDall’artista contemporaneo pensiamo che l’architetto debba decifrare i modi dello sguardo e debba imparare a osservare con consapevolezza critica la realtà, senza confondere etica ed estetica, guardando vicino e lontano, osservando i dettagli senza perdere di vista l’insieme. Dall’artista deve imparare a pensare lo spazio come generato da situazioni e relazioni, e non solo come contenitore, per quanto sensibile. Gli artisti che sono stati coinvolti nel progetto e che sono anche scrittori e poeti, hanno allestito uno spazio e un racconto che indaga l’oggettivizzazione fisica dello spazio e la sua natura fenomenologica. Hanno proposto performances, happenings, azioni e oggetti che definiscono le coordinate di uno spazio relazionale all’interno del vuoto lasciato dal terremoto, a ricucire la distanza emotiva tra i luoghi della catastrofe e i suoi abitanti.Dallo scienziato l’architetto deve imparare impegnarsi sul fronte della sostenibilità ambientale e precisare la questione del rapporto tra architettura e ambiente, ma non lo può fare solo da perlustratore di forme. In una situazione in cui il terremoto è diventato una tra le tante manifestazioni violente di natura, in una situazione di instabilità e di incertezza sul futuro del

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sistema natura-mondo rispetto al quale tutti hanno delle responsabilità, lo deve fare con cognizione di causa rispettando la Physis di un luogo ricostruendo le città distrutte secondo leggi e regole che le riconcilino con il luogo e la storia, cercando risposte soprattutto all’interno della disciplina. Lo deve fare anche a L’Aquila sapendo che una città è più di una forma fisica ma è anche di piú di un dispositivo tecnico. Non può mescolare sostenibilità fattiva, concreta con una presunta categoria dello spirito e un’inclinazione sensibile. La bellezza è una chiave della sostenibilità, certo, ma da sola rimane orfana della coscienza.

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la sezione People meet in L’Aquila e’ all’interno di uno spazio temporaneo, una tenda, un luogo evocativo di riflessioni e di proposte pensate per il periodo di transizione

che intercorre tra l’abbandono della città e la sua ricostruzione, una consulta di idee sulla ricomposizione del trauma generato dalla separazione tra lo spazio della città e i suoi abitanti. Il carattere di provvisorietà della tenda contribuisce a sottolineare la connotazione di cantiere di questo spazio, pensato per produrre uno sforzo creativo, di riflessione ed elaborazione di idee per trasformare l’attesa della ricostruzione in un momento propositivo carico di energia e di futuro.Architetti, artisti, fotografi, scrittori ed iI mondo della cultura in genere dà vita ad un primo momento di confronto e di riflessione, una sorta di “Fabrica” non finita in movimento che continua ad accogliere idee, proposte e contributi personali per tutto il periodo della Biennale, offrendo un spazio di partecipazione aperto, critico e creativo. Il materiale esposto viene aggiornato regolarmente a sottolineare il carattere di cantiere aperto dell’evento.

People meet in L’Aquila

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ALLA FINE DI UN’ATTIVITÀ PREMONITRICE, MANIFESTATASI CON UNA SEQUENZA DI SCOSSE REGOLARI PROTRATTESI PER CIRCA UN SEMESTRE, IL SISMA DEL 6 APRILE 2009 È GIUNTO NON INATTESO MA, DI CERTO, SOTTOVALUTATO ASSIEME AGLI EFFETTI CHE PURTROPPO OGGI, TRAGICAMENTE, SEGNANO LA VITA INTERROTTA DELL’AQUILA.

La devastazione della città e del suo territorio, al di là dei crolli e delle vittime, ha avuto un grande impatto psicologico e percettivo negli abitanti per la perdita di quei riferimenti fisici che ancora costituivano un forte elemento dell’identità singolare e collettiva nonostante le negative vicende urbanistiche degli ultimi cinquant’anni.

Impoverito nella sua consistenza demografica e ancor più dequalificato dalla pochezza delle più recenti costruzioni inserite all’interno della cinta muraria medievale, il centro storico ha vissuto un decadimento inesorabile per la lacerazione dei legami tra l’organismo urbano ed il suo contesto territoriale. Un rapporto, questo, che ha costituito la ragione fondativa ed esistenziale dell’Aquila. Un rapporto, tuttavia, disconosciuto

E

Aldo Benedetti

Il progetto assente

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per una complessa serie di ragioni cui non sono estranee le scelte delle amministrazioni locali succedutesi dal secondo dopoguerra fino ai nostri giorni.

In tal modo un’amorfa espansione periferica ha violato, nell’assenza colpevole di strumenti pianificatori aggiornati, le pur ovvie regole del buon senso insediativo contravvenendo, così, alle caratteristiche dei suoli, alle loro piegature, alle altimetrie, alle pendenze, ignorandone le insidie, spesso sotterranee. Solo dopo gli enormi danni prodotti dal sisma si è riscoperto, con raccapriccio, come la presenza della faglia che attraversa la conca aquilana sia stata sottovalutata nella realizzazione di gran parte dei quartieri più recenti, come quello di Pettino, e del loro posizionamento al di sopra di questa pericolosa frattura. Eppure si trattava di situazioni ben note fin dai precedenti terremoti. Come conosciuta, ad esempio, era la fragile natura dei terreni compresi tra via XX Settembre (la strada tragicamente nota per i numerosi crolli, tra cui quello di un blocco della Casa dello Studente) e le mura orientali della città. Porzioni di suoli poco solidi, rimasti sempre liberi da edificazioni fino agl’inizi del ventesimo secolo, sono state sovraccaricate con l’avvio delle trasformazioni urbane operate in quelle pertinenze orticole di conventi che facevano corona al tessuto compatto del centro cittadino. Specialmente dopo gli anni cinquanta la pressione speculativa, combinata con un acritico tecnicismo costruttivo, ha prodotto l’abnorme sviluppo di volumetrie poste con arroganza e senza cura su qualsiasi tipo di superficie. Persino le mura di cinta sono servite come strutture di sostegno per banali condomini miseramente caduti sotto gl’impulsi delle scosse telluriche. Oggi la sparizione di alcuni di quei fabbricati ha rimesso in luce, seppure in modo parziale e limitato, l’immagine di una forma nascosta dall’insipiente sfruttamento

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novecentesco spazio.E dalla tempesta delle emozioni seguite al disastro emerge con forza la necessità di un cambiamento radicale delle consuetudini, non solo politiche e amministrative, nella gestione frammentaria, incoerente e privatistica dello spazio fisico. Si tratta di innescare una revisione soprattutto culturale il cui

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obiettivo dovrebbe essere ispirato dal conseguimento della qualità urbana anche attraverso lo strumento della demolizione programmata all’interno di un disegno strategico da troppo tempo assente.

Mai come oggi appare indispensabile per la rinascita dell’Aquila il ricorso alla centralità del progetto: di quello architettonico e urbanistico in prima istanza.Un’idea del progetto inteso come campo di esercizio critico, come viatico di promozione civile e come vettore di valori culturali piuttosto che tramite per abusati tecnicismi volti all’ipertrofica e disorganica crescita quantitativa delle volumetrie edilizie.Purtroppo la gestione dell’emergenza post-terremoto e i nuovi insediamenti, permanenti o temporanei, che ne sono seguiti non sembrano aver cambiato i consueti modi di agire consolidando, invece, processi di degrado già in atto. Ne sono testimonianza le baraccopoli addossate ai pendii del pomerio occidentale e a ridosso delle mura di cinta. L’affollarsi disordinato di casupole in legno restituisce una penosa immagine di precarietà simile a quella delle zone disastrate del terzo mondo. Qui, tuttavia, non si offre una risposta abitativa elementare per il soddisfacimento dei bisogni primari dell’esistenza ma trovano posto bar, ristoranti e commerci senza nessun’attenzione al significato del sito e, tanto meno, al tema dello spazio pubblico. Sarà difficile, in futuro, ricomporre senza un vero progetto l’ordine spaziale della città e di quel settore in particolare che, così prossimo al centro, avrebbe dovuto costituire il luogo privilegiato per trasformazioni adeguate alla complessità dei rapporti tra preesistenze storiche e nuovi interventi. Occasioni, purtroppo, rimaste inespresse a riprova dell’incapacità culturale della città contemporanea a sviluppare modernamente i portati di un’eredità che pure aveva nutrito la ricostruzione successiva al terremoto del 1703.

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OLLEMAGGIO, PARCO DELL’EX OSPEDALE PSICHIATRICO

Al centro sociale 3 e 32 si sta bene, non manca mai un caffè, un bicchiere di vino, un piatto di pasta.Qui si fanno riunioni, si discute di politica, di ricostruzione. Tutto il contrario del triste container del Partito democratico, assolato e sempre chiuso, sul ciglio della Statale.Al 3 e 32 gruppi musicali aquilani o ospiti provano o fanno piccoli concerti, il medialab consente di mettere in rete filmati e report delle assemblee di piazza

CJolanda Bufalini

CASE e carriole (Aquila 2009-2010)

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Duomo. Qualche volta la sera a bere vengono anche i piccoli, quelli che vanno ancora a scuola e il terremoto l’hanno subito ma non elaborato, incapaci (non hanno in mano il loro destino) di porsi l’interrogativo esistenziale decisivo di ogni post-sisma di dimensioni catastrofiche come questo: restare o andarsene?

Memo: tenere a mente la relazione fra tempo lungo della ricostruzione e tempo breve dell’esistenza. Il progetto dovrebbe servire a colmare la dis-cronia esistenziale e sciogliere il dilemma fra restare o andarsene.

Sara Vegni è la portavoce del centro sociale. A persone come lei si devono scelte coraggiose. Al tempo del G8, questi ragazzi della rete no global– “quattro cialtroni estremisti” dirà il prefetto Gabrielli a proposito delle carriole - hanno chiesto al movimento di non venire a L’Aquila: un corteo antagonista avrebbe creato troppo stress per la popolazione traumatizzata delle tendopoli. Scelsero altre forme di protesta, come la scritta sulla collina di Roio: Yes we camp.“Forti e gentili sì, fessi no”, recita lo slogan sulle magliette. “forti e gentili sì, fessi pure”, ride Sara. Appena sbarcato a Palermo il gruppo no global aquilano è stato derubato di foto e telecamere. Vanno a Cinisi, workshop sul terremoto del Belìce.Sara lo dice sinteticamente,esorcizzando la paura di una Pompei post moderna: il futuro dell’Aquila non può essere il Cretto di Burri.

Eppure, nulla è più lontano dalle new town di Berlusconi – Bertolaso di Gibellina nuova, città nata da un’utopia visionaria e concreta, influenzata dal 1968 e dalle idee di Danilo Dolci, ricorda il vecchio sindaco Ludovico Corrao:”liberare la popolazione contadina dalla condizione servile del latifondo e dalla forte presa del potere mafioso sulla valle del Belìce”. Errori, ma bisognerebbe capire bene quali, e in questo aiuta il viaggio negli altri centri colpiti dal terremoto del 1968, Salemi, Santa Ninfa...la stessa sensazione di “troppo nuovo”e “troppo grande”. A Gibellina però, con fatica, si fa strada l’identità nuova dell’arte e della contemporaneità.

Nei terremoti si riflette l’idea di sé dell’epoca. Anche in quelli dell’Aquila. Nel 1461-62 (età d’oro) furono salvate molte vite

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umane, la cultura della prevenzione fece chiudere le chiese e costruire case provvisorie in legno. La “cornata” produsse molti danni materiali ma poche vittime. Nel 1703, invece (città borbonica) centinaia di persone raccolte in preghiera per scongiurare il pericolo, perirono nel crollo della chiesa che da allora fu chiamata delle Anime Sante. Questa cattedrale che Bruno Vespa ha fatto diventare un simbolo, sul cui restauro sono impegnati i soldi francesi, non è amata dagli aquilani a causa di quella iettatoria vicenda e non è nemmeno bella. Fu portata in auge dal fascismo, quando il gerarca Adelchi Serena rilanciò, anche a fini di turismo religioso, la processione del Cristo morto. Amate e bellissime sono invece: S. Pietro a Coppito, S. Maria di Paganica, S. Giusta di Bazzano, S. Bernardino, S. Marciano.

Il terremoto ai tempi di Berlusconi e BertolasoMigliaia di bare oppure di sacchi per contenere cadaveri. La notizia dell’arrivo dei mezzi carichi di casse da morto si diffonde nelle prime ore dopo il terremoto e ha il sapore di una leggenda metropolitana. La stessa voce, riportata dalla Gazzetta del Sud, si diffuse per l’emergenza dello Stromboli, nel 2002. Una nave carica di bare fendeva le acque delle Lipari in previsione dell’onda anomala che avrebbe potuto riversarsi su Calabria e Sicilia. Venerdì 10 aprile 2009, giorno dei funerali delle vittime del sisma, a L’Aquila ci fu l’ingorgo dei carri funebri, erano troppi e sbagliarono strada.

Piano CasePrevenire non porta consenso. La catastrofe, invece, crea una condizione di dipendenza e genera un sentimento di gratitudine verso i soccorritori. Guido Bertolaso si è concentrato sul perfezionamento (bipartisan) della macchina dei soccorsi. Un gioco sottile si è instaurato fra il capo del dipartimento di Protezione civile e gli amministratori locali. Accusati, con i cittadini, di essere i responsabili del dissesto del territorio, blanditi con i finanziamenti per emergenze vere o presunte.

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Un gioco nel quale il più difficile e meno redditizio lavoro di prevenzione non è mai diventato priorità politica. L’Aquila è stata declassata per la seconda volta in un sessantennio da “rischio sismico 1” a “rischio sismico 2”.

Ansa, 6 aprile 2009, ore 22.35. “Il Cavaliere, in due interviste telefoniche in diretta a Matrix e a Porta a porta , annuncia l’intenzione di dar vita alla prima new town proprio nelle vicinanze de L’Aquila, un’opera che si inserisce nel quadro del piano casa”.

Ansa, 7 aprile 2009, ore 13.52: “Non è che si poteva avere la

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bacchetta magica per trasformare i vecchi edifici in palazzi anti sisma, ma i nuovi palazzi saranno costruiti con il sistema anti sisma”.

Ansa, 8 aprile, ore 15.10. “Presidente, lei ieri ha detto che la vita nelle tendopoli è un po’ come fare campeggio. Non le sembra fuori luogo?”, ha chiesto al premier il corrispondente della Tv tedesca.

A meno di 48 ore dal sisma che ha messo in ginocchio la città d’arte, il programma di ricostruzione si inserisce perfettamente nel programma del premier: non mettere le mani nelle tasche degli italiani, costruire ex novo. I palazzi crollati sono “vecchi” non “antichi”.

Non tutti nella ristretta cerchia del vertice della protezione civile sono d’accordo. Il progetto C.A.S.E , immaginato per una catastrofe in Calabria, era pronto. E’ toccato agli aquilani. Non sono d’accordo Marta Di Gennaro e Giuseppe Zamberletti. Il fondatore della protezione civile preferirebbe il “provvisorio confortevole”. Ha la meglio Gian Michele Calvi, ingegnere, presidente di Eucentre e autore del progetto. Il 17 aprile 2010 in un convegno a Pavia, convocato per rilanciare l’immagine del progetto e rifare i conti sui costi giudicati troppo elevati, Gian Michele Calvi, parlando delle C.A.S.E dice “ricostruzione”. L’impasse generata da questa ambiguità non sembra ancora superata, nonostante l’impegno dell’unità di missione diretta da Gaetano Fontana. Molte incertezze sui mezzi finanziari, molta frantumazione nei soggetti che dovrebbero essere i protagonisti della ricostruzione.

Il terremoto prima del terremotoL’opposizione di centro sinistra fa, in linea di massima, riferimento alla gestione del “suo” terremoto, quello delle Marche e dell’Umbria del 1987. Ma ha la voce molto flebile, destabilizzata com’è da un doppio terremoto di natura politica. In Abruzzo l’arresto di Ottaviano Del Turco (la cui candidatura a presidente della Regione era stata subita da una parte del Pd),

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in Italia le dimissioni di Veltroni, la reggenza di Franceschini, le primarie con l’elezione di Bersani distraggono l’attenzione. La classe dirigente locale è debole ed è lasciata sola. Nessuno ha il coraggio di pronunciare le parole “tassa di scopo”. Ospite di Anno zero, è un giovane architetto, Marco Morante, a nome del collettivo 99, a spiegare perché il Progetto C.A.S.E mette a rischio l’obiettivo della ricostruzione urbana.

Facili arricchimentiL’8 dicembre 1943, un bombardamento che aveva come obiettivo un treno carico di materiale bellico, colpì per errore la vicina “officina banca valori”, morirono 20 operai e le banconote fresche di stampa si sollevarono con la nube di polvere per poi ridiscendere volteggiando sul terreno. Peppò abitava non lontano, a Borgo Rivera: stava andando con il carretto degli ortaggi alla mensa della Zecca. Raccolse alcuni rotoli di banconote da 10.000. Si dice che la sua fortuna, e la nascita delle salumerie Peppone, sia cominciata quel giorno. La storia de L’Aquila è piena di improvvisi arricchimenti. Secondo Raffaele Colapietra le ricerche d’archivio non chiariscono, per esempio, le origini della fortuna delle famiglie Bonanni e Masciarelli :“Nel Cinquecento si favoleggiava di un tesoro nascosto”. Si può immaginare lo choc quando, scoppiato lo scandalo della cricca, gli aquilani lessero le intercettazioni di quelli che ridevano pensando agli affari del terremoto. E infatti fu quella la spinta alla prima manifestazione delle carriole. Inoltre, l’epicentro del sisma nella città antica , ha fatto da livella colpendo i patrimoni immobiliari più ricchi. Ora, i beni immobili distrutti sono in mano a tre società estranee alla città. Fintecna che rileva i mutui, fino a un massimo di 250.000 euro, e i consorzi Reluis e Cineas, l’uno per la valutazione dei danni l’altro per i conteggi economici. Ma chi controlla i controllori? La mancanza di fiducia, il deficit di trasparenza democratica, l’assenza di soggetti forti e credibili, se non c’è rinnovamento della politica, possono rivelarsi un ostacolo gigantesco alla ricostruzione.

Le notizie storiche sono frutto di interviste realizzate insieme a Elisa Cerasoli agli storici Raffaele Colapietra e Walter Cavalieri, realizzate con Elisa Cerasoli

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“Non c’e una cosa che si possa chiamare Arte. Vi sono soltanto gli artisti, uomini e donne, cioè, che hanno avuto il mirabile dono di equilibrare forme e colori fin quando non siano state «a posto» e, cosa ancora più rara, che hanno un’integrità di ca rattere tale da rifiutare ogni soluzione parziale e sono pronti a rinunciare a tutti i facili effetti e a ogni superficiale successo pur di affrontare il trava glio e la fatica necessari a un lavoro sincero.”

(Ernest Gombrich 1950)

OME SI FA A DIRE QUALCOSA DI SENSATO SU UN EVENTO CHE SENSO NON NE HA? RAGIONARE SU QUALCOSA CHE VA AL DI LÀ DELLA CAPACITÀ DI COMPRENDERE?

Quando sono stato coinvolto in questo progetto mi è sembrato un impegno impossibile, affrontare tanto dolore, una città distrutta, tanti morti, mi sembrava inverosimile e anche un po’ insensato. Cosa può fare un artista di fronte una tragedia simile? Di fronte a bisogni tanto urgenti? Nel centro di una grande città s’è creata una Zona chiusa e misteriosa, impenetrabile, dove non valgono più le leggi che regolano il resto del mondo. Lo sgomento iniziale è presto mutato in desiderio di attraversare il confine, in bisogno

Oreste Casalini

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Luoghi nuovi per l’arte

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di conoscenza, di elaborazione, e quindi di superamento, proiezione nel futuro.E’ questa la chiave del progetto Epicentro, non solo la tragedia, la riedificazione materiale del centro storico, ma la ricostruzione simbolica dell’immagine della città, l’attivazione di una circolazione positiva di idee. Quando gli equilibri vengono distrutti si pensa subito naturalmente a quel che si è perso, ma un evento simile apre anche scenari inaspettati e spazi per nuove idee. Cosi oggi lo spazio svuotato della città storica oggi può e deve essere ripensato come non sarebbe mai stato possibile prima. Il problema dei centri storici assediati da una modernità imprevedibile quando furono edificati, è comune a molte città non solo italiane. Anche la città dell’Aquila prima del terremoto viveva un conflitto irrisolto tra uno sviluppo disordinato, lo sfruttamento delle risorse e dello spazio, e una eredità storica di eccellenza che meritava interventi profondi di riorganizzazione, tutela e restauro.Ma ora il disastro ha sospeso lo scorrere della vita. Una condizione di chiusura tragica e allo stesso tempo una apertura per ripensare le cose, l’incontro delle persone, la circolazione delle emozioni, per ricreare i percorsi, ridefinire le connessioni, ricostruire le speranze, con la stessa determinazione con cui si erigono mura antisismiche. Qui l’arte ha un senso, contribuisce in modo decisivo a definire l’immagine collettiva di un luogo e di una esperienza. In una situazione limite come questa si apre uno spazio inaspettato anche per l’arte contemporanea, una disponibilità all’ascolto, un desiderio sincero di confronto, di trasmissione di idee, di volontà di capire di cui ci si era quasi dimenticati. Accanto alle soluzioni pratiche, alle necessità materiali, anche l’arte ritrova uno spazio originario, quasi una funzione, legata alla fantasia, al desiderio di verità, alla maestria, alla bontà di chi non può far altro che fare il meglio. In situazioni come questa si perde molto, si rimescolano le vite, si creano fratture insanabili, ma si ritrova anche il valore della dimensione simbolica dell’esistere, si

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scopre una vicinanza, un desiderio per ciò che è umano che diventa esso stesso terapia, ricostruzione personale e collettiva.Un artista non sa nulla, non può fornire alcuna salvezza, ha il solo vantaggio di sapere di non sapere e il coraggio o l’incoscienza necessaria per non fermarsi davanti alla paura; ci prova sempre, senza pensare ai pericoli che corre, insegue i limiti della sua capacità di sperare e di desiderare. Per questo è necessario il lavoro di un artista, c’e’ bisogno di coraggio per attraversare una frattura, c’è bisogno di pazienza per lenire una sofferenza, sostituire un’assenza, colmare un vuoto o al contrario svuotare un troppo pieno, aprire una ferita. Il motivo segreto che in tempi normali quasi si nasconde, in tempi difficili rivela tutto il suo valore di materia viva, comunicabile, capace di rianimare un corpo ferito, rimettere in circolazione il sangue. Ripensare la città è già architettura, è già ricostruzione, per questo una consulta di idee è un momento prezioso. Agli artisti non è stato chiesto di donare un’opera, ma piuttosto di esprimere un’idea. Tutti quelli che hanno partecipato a questa prima fase del progetto sono stati invitati a pensare alla città, alla sua gente, di operare in quello spazio, farsi parte di un processo di rianimazione, di proiezione in un futuro possibile. Non è stato facile, tutti hanno provato in un primo momento lo stesso sgomento e perplessità, ma poi hanno partecipato tutti con una motivazione simile, come se il destino di una città e dei suoi abitanti fosse una metafora del loro stesso destino di precari abitanti

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di questo mondo, come se le possibilità e le sfide che una situazione di questo genere impone fossero battaglie imperdibili in cui gettarsi senza riserve. In un momento in cui tutto nell’arte viene valutato attraverso il prezzo, gli artisti si sono dimostrati capaci di distinguere, di donare e difendere un valore. Per riappropriarsi della città, ricreare il tessuto di immagini condivise che costruiscono letteralmente la nuova dimensione della città, anche l’arte, l’architettura cambiano di segno, non appartengono più al tempo altro della progettazione, dell’espressione, del calcolo, ma possono nascere dal tempo dell’ascolto, dall’incontro di esperienze e punti di vista diversi, dal mescolarsi di cose apparentemente lontane. E’ necessario un pensare laterale, poetico, un nuovo genere di interventi, un’architettura capace di sostenere l’insostenibile, usare le fratture, colmare i vuoti, aprire i pieni, e un’arte capace di sfidare l’indicibile, ricucire le ferite, abbracciare tutto per essere a sua volta abbracciata.L’incontro con l’architettura fa bene all’arte, impone la semplicità di un senso preciso, di una direzione, una sorta di contenimento di ciò che per definizione è incontenibile, deborda da tutte le parti e rischia di perdersi. E all’architettura fa bene confrontarsi con l’altra faccia dalla creatività, quella che non aspetta una domanda per mettersi in moto, ma che è essa stessa una domanda, non funzione ma necessità. L’arte è dappertutto ormai. E’ una chiave di lettura del contemporaneo, un modo di vedere, un enorme flusso di idee che rimbalza per tutto il pianeta, provoca incontri di esperienze e di culture, produce verità

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che non si escludono a vicenda, ma che anzi si cercano, cercano il confronto, si arricchiscono pur rimanendo verità parziali, paradigmi temporanei, validi nel tempo e nello spazio che occupano. Nessuno oggi può pensare di ricostruire in astratto la complessità di un organismo vivente come una città, se ne possono analizzare i processi, contenere le distorsioni, migliorare le potenzialità, ma poi l’insieme sarà sempre il risultato di mille contraddizioni, mille particolari, mille parziali verità. Il vuoto dell’Aquila è un altro mondo, uno spazio umano senza uomini, spazi interni che sono diventati esterni, dove la natura porta avanti indifferente la sua opera di demolizione e ripristino; strade e piazze che invece sono diventate un interno, l’unico spazio percorribile, un immenso teatro, uno scenario della memoria che ha scoperchiato una città seppellita da secoli, senza automobili, pubblicità, rumore, frenesia. Immaginare una storia diversa da quella che appare è già una sfida all’ordine del mondo, questa città oggi può diventare un immenso laboratorio, un intero centro storico può essere trasportato, tradotto, in una nuova epoca, in un nuovo modo di pensare e di

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vivere o al contrario può essere definitivamente abbandonato.Agli artisti viene data la rara occasione di avere una direzione dove puntare la propria sensibilità, mettere il proprio talento in connessione con una rete di idee, essere non più solo casi isolati in un mare di conformismo, ma una visione parziale e necessaria di un tutto da ricostruire. Se non fosse necessario passare attraverso una tragedia così dolorosa sarebbe da augurarsi un momento di ripensamento come questo per tutto il panorama dell’arte, e forse anche per il paese Italia in generale. Sospendere per un momento l’incantesimo, guardare la realtà, guardarsi intorno, ascoltare gli altri, ritrovare un senso comune, il valore dell’esperienza, l’umanità di un gesto donato, la bellezza gratuita di un’idea.E’ questo l’epicentro di un sisma buono, lo smottamento di idee che non separa ma unisce, non vane parole, ma disponibilità a rivedere tutto, riscrivere tutto, ripulire tutto, rifare tutto, bello e meglio di prima, perché non siamo da meno e lo possiamo fare.

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A GENTE DE L’AQUILA HA PERSO AFFETTI E COSE E OGGI PUÒ SOLO GUARDARE LA PROPRIA CASA DA LONTANO SENZA CAPIRE IL PERCHÉ.

Dai loro ragionamenti, lucidi e coraggiosi, ho appreso due cose: che dopo il dolore arriva la voglia di tornare a vivere normalmente e che il sisma, al di là dell’evento catastrofico, può essere un’occasione. Non deve essere facile rinunciare all’abbraccio della nostalgia, restare lucidi e capire che L’Aquila non può - e forse non deve - tornare com’era. C’è qualcosa di utile in questo blocco militarizzato del centro storico: qualcuno, superata la fase della disperazione e della fretta si sta ponendo importanti interrogativi su come ricostruire un tessuto distrutto. A sentire i racconti degli abitanti, il centro città era già in crisi: il progressivo abbandono delle abitazioni da parte dei residenti ne aveva pesantemente intaccato il tessuto sociale, nuove funzioni avevano disgregato quella miriade di connessioni che danno un senso alla forma urbana. A completare il degrado la scomparsa delle professioni artigianali che, animando i piani terra, forniva vitali attività di servizio e supporto. Al loro posto locali notturni,

Mario Ferrari

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Tecniche di intervento nell’emergenza urbana

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illusoria ricchezza, avevano desertificato la vita diurna della città. L’Aquila era in pericolo. Le drastiche soluzioni al sisma hanno allontanato i cittadini dal centro sovraccaricando le frazioni limitrofe e spezzando gli ultimi legami. In altri centri colpiti dal terremoto, più piccoli ma anch’essi evacuati, la delocalizzazione è stata mite: ci si è potuti occupare dell’orto, controllare le proprie mura, vivere, insomma, la quotidianità.In questo quadro c’è una cosa che preoccupa: l’immobilità e la parziale inaccessibilità del centro città rischia di causare un pericoloso allontanamento affettivo che potrebbe favorire fenomeni di alienazione delle proprietà. Molti, stanchi di aspettare e sopraffatti dalla nuova quotidianità imposta dai fatti, potrebbero vendere le proprie rovine a gruppi di speculatori. A L’Aquila, a causa dell’estensione del periodo di blocco delle attività di ricostruzione, si intravedono fenomeni di acquisizione da parte di società immobiliari e, in assenza di una politica di tutela della proprietà il “sacco” della città è uno dei possibili scenari futuri. Oltre che alla politica, spetta al mondo della cultura urbana il compito di proporre soluzioni che, a partire dall’evento distruttivo, attuino un opera di ricostruzione della “imago urbis” volta a ripensare il tessuto della città in chiave critica.Fino al XIX secolo qualsiasi evento distruttivo ha rappresentato un occasione per rifondare, in chiave moderna, una città. Un piano di ricostruzione, prontamente disegnato in base a nuovi interessi e pratiche architettoniche, muovendosi di pari passo con le logiche speculative, si esprimeva anche a vantaggio della comunità. Nell’ultimo secolo le cose sono cambiate: la città italiana - che ha acquisito un valore storico divenendo un “bene comune” - ha perso molti gradi di libertà costringendo gli architetti ad interventi sempre più limitati.I momenti successivi ad un sisma si suddividono in messa in sicurezza, demolizioni e ricostruzione. Se le prime due fasi si esprimono in tempi quasi sempre ragionevoli, la terza diventa

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sempre più complessa e lenta. Questa lentezza - che non coincide con gli interessi economici - spezza il necessario equilibrio tra rifondazione urbana e moti speculativi. Questo porta ad un fenomeno che vede la cultura urbana muoversi più lentamente della economia della ricostruzione. Quest’ultima, non potendo per sua natura attendere, si esprime autonomamente rispetto alla prima con evidenti conseguenze sul piano dei risultati. Il ritardo con il quale giungono le scelte architettoniche e urbane rendono vano qualsiasi tentativo di ripensamento e le scelte sul futuro avvengono sulla spinta della necessità più che della logica, portando alla conseguenza che le città vengono ricostruire esattamente, ma falsamente, come erano e dove erano.La nuova sfida per la cultura architettonica è nel comprendere come adattarsi a

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questa situazione, sviluppando adeguate tecniche di intervento nell’emergenza urbana che possano restituire valore alla disciplina del progetto urbano che, nel frattempo, sta pericolosamente scivolando nel campo del restauro urbano.Una delle possibili soluzioni al problema è nel mettere in discussione quella che finora è sempre stata considerata come una disciplina a statuto unico: suddividendo il progetto urbano nelle sue componenti base (urbanistica e architettura) si potrebbe affidare a ciascuna il compito di affrontare momenti diversi, assegnando ad ognuna una velocità differente: lenta per il pensiero urbano, rapida per quello architettonico. Alla prima la missione di costruire una strategia per il futuro della città, alla seconda il compito di intervenire sul “grado zero” della città alla ricerca di idee e contributi volte ad impedire

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l’allontanamento e la disaffezione da parte degli abitanti delle zone colpite dal disastro.Oggi, entrando nella cosiddetta “zona rossa” della città si percepisce proprio questo: l’assenza di qualsiasi strumento per restare vicino alle proprie cose, per relazionarsi agli altri, per incontrarsi. Se la città fisica è morta, quella sociale è ancora viva e necessita di un supporto deciso per resistere ai moti disgregativi che la percorrono. Un esempio tangibile della necessità di ripristinare, attraverso iniziative, le relazioni è nell’evento spontaneo che ha avuto luogo in città nel marzo del 2010 quando il “popolo delle carriole”, tramite l’espediente di nascondere gli attrezzi in piazza Duomo, ha superato pacificamente i blocchi ed ha iniziato a rimuovere le macerie. Un “happening urbano” degno del “living theatre” che dimostra la necessità di quanto in precedenza affermato.Non va dunque sottovalutato il ruolo dei comitati cittadini, sorti da più di un anno, dai quali giungono una quantità di proposte utili. Veri e propri “laboratori di quartiere” questi andrebbero ascoltati da chi governa, stabilendo delle “relazioni creative” per progettare una serie di iniziative volte alla conservazione della struttura sociale della città pre-terremoto. Nel novero di idee ci sarebbe ampio spazio per l’architettura che potrebbe in tal modo esprimersi con la velocità necessaria a sopravanzare le attività speculative (per le quali l’abbandono è invece una componente fondamentale) e precedere il pensiero urbano che, nel frattempo dovrebbe produrre idee strutturali di lunga durata.Un modello analogo è nell’atteggiamento che, nel 1978, assunse la città di Roma per incoraggiare il ritorno in piazza della gente terrorizzata dagli scontri politici tra gruppi eversivi. Anche se non legata ad eventi catastrofici, si trattava comunque di un’emergenza sociale. L’introduzione di piccole “architetture effimere” accompagnate da un intelligente programma di eventi pubblici, ha favorito la riappropriazione dello spazio pubblico da parte dei cittadini. Per L’Aquila la realtà, seppur differente

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nella sostanza, è analoga: bisogna, attraverso l’architettura, far tornare i cittadini vicino alle loro cose. Idee, eventi, piccole architetture per tener saldi i legami in attesa che la cultura urbana svolga il suo ruolo strategico per il futuro della città. E’ un metodo che potrebbe essere applicato in tutte le realtà nelle quali l’emergenza è alta i cui risultati costituirebbero un precedente di grande interesse. Il periodo compreso tra l’abbandono da parte della Protezione

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Civile e l’inizio della ricostruzione è il territorio nel quale questa modalità di intervento può aver luogo. Quando gli uomini dello stato lasciano i luoghi nelle mani dell’esercito si apre un periodo più o meno lungo nel quale la figura dell’architetto è una tra le più importanti per studiare le prime tecniche di intervento minimo nei tessuti devastati dalle calamità alla ricerca di modi di intervenire attraverso “architetture minime” a forte statuto sociale.

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Claudia Mattogno

Riannodare i legami

PARLARE OGGI DELL’AQUILA RISULTA, INFATTI, QUANTO MAI ARDUO E NON SOLO PER LE PIETRE CROLLATE E IL TERRITORIO FERITO, MA ANCHE E SOPRATTUTTO PER LE INCERTEZZE RIGUARDO AL SUO FUTURO, AI MODI DELLA SUA RICOSTRUZIONE, ALLE POSSIBILITÀ DI UNA RINASCITA DELL’ECONOMIA E DELLA VITA COLLETTIVA.

Il suo centro storico è così danneggiato da essere completamente svuotato da ogni forma di vita: case e negozi, uffici e scuole, chiese e teatri sono vuoti simulacri dove le facciate ancora in piedi non arrivano a nascondere gli sfregi rovinosi dei crolli.La periferia è disastrata, schiacciata dall’inatteso, ma non inspiegabile, collasso di una parte degli edifici più recenti e dalla saturazione di una rete viaria disorganica quanto dissennata. Il territorio, quell’ampia dimensione che si dilata nei suoi 467 kmq lungo la conca dell’Aterno, dalle pendici maestose del Gran Sasso fino ad affacciarsi sulla catena del Sirente, è frantumato in pezzi sparsi e incoerenti con alternanze sconnesse di nuclei industriali in riconversione e centri commerciali accerchiati da parcheggi. Masse boschive, tessiture dei campi, trame delle alberature e degli antichi tratturi riemergono qua e là, lasciando trasparire i resti di un assetto rurale dalle connotazioni aspre e riconoscibili, appena addolcite dalle punteggiature dei mandorli ormai inselvatichiti. Significati e memorie permangono nonostante le ferite,

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e si rendono ancora visibili, assieme alle antiche strutture spaziali, se si ha la pazienza di esercitare uno sguardo attento senza fretta. Il territorio, tuttavia, è già da tempo gravemente compromesso. La crescita periferica, dilagante se paragonata alla dimensione del bacino aquilano, è incongruente rispetto ai caratteri del sito e spesso addirittura in contrasto; è priva di ogni genere di spazi pubblici ma ricca di supermercati; si appoggia ad una rete stradale incongrua e insufficiente per un bacino di circa ottantamila persone. Ad essa si sovrappongono nuove “meraviglie” della tecnica stradale come rotatorie il cui centro è occupato da parcheggi, raddoppi viari operati sul sedime dei tratturi e delle aree archeologiche, sottopassi che non attraversano e strade che finiscono contro cancelli. Ma la meraviglia delle meraviglie è l’inutile, quanto pretestuoso, tracciato tranviario che avrebbe dovuto collegare la zona ovest della conca, partendo dall’ospecIale regionale, per arrivare fino ai Quattro Cantoni inerpicandosi su per la stretta Via Roma, ora ingombra di macerie. Le aree industriali, collocate simmetricamente ai due ingressi lungo fa direttrice est-ovest della statale 17, accatastano dozzinali capannoni e chiassose insegne senza alcuna preoccupazione per le relazioni con il contesto o l’inserimento nella trama paesistica, anzi invadono in maniera indifferente quelli che una volta erano orti, pascoli, frutteti. L’abbandono delle aree coltivate, tuttavia, non è fenomeno recente ed è stato accompagnato, o meglio preceduto, da un progressivo svuotamento delle aree marginali cosi come di quelle situate alle quote più alte. In un quadro territoriale cosi compromesso, i rapporti fra le parti sono ancorati a fragilissimi equilibri assicurati, fino all’aprile scorso di due anni fa, da un centro storico che riusciva a competere con l’aggressività delle nuove espansioni non solo per fa chiarezza del suo impianto e l’articolazione del tessuto edilizio, ma anche per l’animazione degli spazi pubblici, il loro richiamo commerciale, la quotidianità delle relazioni. Oggi che questo centro storico è solo un fantasma ingombro di macerie

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e puntellamenti, la costruzione dei nuovi programmi abitativi di emergenza, cosi come la ricollocazione di parte delle attività economiche fuori dal centro, banalmente attuata dove è disponibile un qualunque lotto per costruire un capannone o poggiare un container, prosegue un’illogica dispersione urbana e rischia di compromettere in maniera irreversibile e definitiva gli spazi aperti del territorio. La storia dell’Aquila ha conosciuto frequenti interruzioni, ha assorbito quattordici terremoti, oltre a quest’ultimo evento, e da anni è in progressivo declino. Fino agli anni Cinquanta, la città ha mantenuto, seppur con estrema difficoltà, il senso di un rapporto con il suo intorno che era alla base della sua

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ragione di vita, come testimonia fa sua fondazione, avvenuta a metà del XIII secolo, in ragione di un’economia basata sull’allevamento e la produzione di lana. Le vicende seguenti hanno sempre più estraniato, da questo fertile legame, quella continuità tra contesto naturale e struttura artificiale, hanno negato i principi di un’identità storica e territoriale per acquisire stereotipi che hanno accumulato enormi e scadenti quantità edilizie. L’urbanizzazione contemporanea ha brutalmente disconosciuto il senso della continuità fra insediamento urbano, struttura geografica e relativi caratteri idrogeologici, con effetti

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rovinosi che ora sono sotto gli occhi di tutti. Il suolo non può continuare ad essere considerato una piatta superficie da saccheggiare e le sue pieghe non devono essere negate perché semplici impedimenti ad uno sfruttamento edilizio. Il territorio deve ricomparire nel progetto di trasformazione come elemento fondativo da cui partire per dare vita ad una ripresa in cui la memoria sia nuovamente fonte di identità e di sicurezze future, dove il paesaggio sia un dialogo costante fra passato e presente, dove gli spazi aperti assumano il ruolo di rinnovata struttura generativa.

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NTERVENIRE SU L’AQUILA, DOPO IL TERRIBILE TERREMOTO DEL 6 APRILE 2009 NON È FACILE.

E’ prevalsa, finora, l’emergenza. Gli interventi, rincorrendo la tempestività e l’urgenza, sono spesso stati troppo spesso incoerenti: manca una visione d’insieme, un progetto di futuro. Per tale ragione occorre promuovere un piano a grande scala e delineare alcune linee strategiche, alcuni indirizzi progettuali per L’Aquila di domani. La nostra proposta è un doppio sistema urbano a rete sostenibile:

un siste- ma insediativo policentrico equilibrato (ovvero con una distribuzione equilibrata di centralità urbane e di servizio);un sistema insediativo sostenibile dal punto di vista energetico, del - consumo di suolo e di acqua, delle emissioni nocive.

E’ possibile individuare, per l’Aquila, tre momenti di sviluppo:un sis- tema multicentrico polarizzato (situazione pre-sisma); un decentramento residenziale senza centralità (situazione post-sisma);- un sistema policentrico equilibrato (modello di sviluppo per il futuro).-

Il sistema multicentrico polarizzato.L’Aquila come capoluogo di provincia ha una struttura demografica e insediativa, storicamente decentrata: 67 frazioni (oggi aggregati in 35 centri abitati), 15 nuclei abitati, 726 case

Rosario Pavia

L’Aquila: un territorio da riconvertire

I

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sparse (dati 2001). La popolazione residente nel centro urbano è di 43.575 abitanti, mentre quella distribuita nei vari centri abitati periferici e nelle case sparse è pari a 25.928 (ovvero il 36,7 della popolazione complessiva). Altro dato significativo è che mentre la popolazione nel centro capoluogo è diminuita tra il 1991 e il 2001, la popolazione complessiva e in particolare quella di alcune frazioni è cresciuta sensibilmente (è il caso di Cese, Colle di Preturo, Coppito, Sassa). L’incremento della popolazione complessiva ( 66.813 abitanti del 1991, 68.503 nel 2001, 72.988 nel 2009) si è distribuita all’esterno del centro urbano consolidato dell’Aquila per ragioni diverse: nuovi comportamenti abitativi, costo degli alloggi, immigrazione.Il fenomeno è ancora più significativo se si considera che anche alcuni comuni gravitanti su L’Aquila hanno avuto in questo periodo un lieve aumento della popolazione. Nonostante il decentramento della popolazione, il centro urbano del capoluogo, ha mantenuto la sua centralità, non solo simbolica, legata alla qualità del patrimonio architettonico e del suo spazio pubblico, ma funzionale per l’alta concentrazione nella sua area centrale delle funzioni amministrative, culturali, direzionali, commerciali, residenziali (nel centro si concentrano le abitazioni in affitto per gli studenti fuori sede, circa il 32% dei 23.000 iscritti nel 2008). Soltanto alcune funzioni di rango superiore come l’ospedale, le caserme, alcune facoltà universitarie, alcuni centri di ricerca (come il Laboratorio di Fisica del Gran Sasso) e alcuni centri commerciali sono ubicati all’esterno del centro urbano. Fino al terremoto il decentramento della popolazione, non aveva, in ogni caso, modificato la struttura insediativa del territorio aquilano che può essere definita multicentrica, ma esclusivamente polarizzata sul centro urbano del capoluogo. Il territorio aquilano è stato analizzato come un sistema di reti: da quelle insediative, a quella ambientali (il rilievo del cratere, il sistema idrogeografico, i parchi e le colture agricole, la struttura geologica e sismica, le centrali elettriche presenti nel territorio provinciale, la distribuzione delle cave e delle discariche), a quella produttiva (le aree industriali), a quella infrastrutturale (autostrade, strade nazionali, ferrovie ecc.). Il territorio aquilano

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è da un lato polarizzato sul centro urbano del capoluogo (che mantiene un alto indice di attrazione), dall’altro è caratterizzato da forti correlazioni (spostamenti per lavoro e studio) con Roma, Pescara, Rieti, Teramo, Avezzano. Le correlazioni con i comuni vicini e i sistemi urbani tirrenici (Roma) e adriatici (Pescara, Teramo, Giulianova) pongono fin da ora il tema di individuare, per il futuro de L’Aquila, una visione strategica che vada nella direzione di una struttura metropolitana a rete estesa a una pluralità di comuni del territorio e aperta sulla direttrice Tirreno-Adriatica.

La ricostruzione post-sisma. Un decentramento residenziale senza centralità.Il terremoto del 6 aprile ha devastato il territorio aquilano (308 morti, 70.000 sfollati, 23000 edifici inagibili, il centro storico con i suoi monumenti gravemente danneggiato). La ricostruzione ha promosso un forte decentramento della popolazione, avviando la realizzazione in 19 località di 185 piastre antisismiche con 4575 appartamenti per circa 15.000 abitanti (Progetto C.A.S.E., Complessi Antisismici, sostenibili, ecocompatibili). Alle abitazioni del Progetto Case si è aggiunto quello del Progetto Map (Moduli abitativi provvisori). Il programma prevede 3535 interventi in grado di ospitare circa

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8.500 persone. Con la ricostruzione la struttura decentrata dell’Aquila è aumenta drammaticamente, sconvolgendo gli equilibri insediativi preesistenti al sisma (a Cese di Preturo i nuovi insediati sono 1600 contro i 306 abitanti pre-sisma, a S. Antonio 880 contro 40, a Bazzano 1680 contro 493). Il decentramento è esclusivamente residenziale, si prevedono delle aree per servizi e la localizzazione di Moduli ad uso scolastico provvisori (MUSP) e Moduli ecclesiastici provvisori (MEP), ma al momento la struttura insediativa decentrata è priva di servizi, di centralità urbana, di spazi pubblici e di aggregazione sociale. Dall’altro canto il centro urbano da L’Aquila è abbandonato, svuotato (il 73% degli edifici sono inagibili, le macerie prodotte dal sisma non sono state ancora rimosse).Se volessimo avere una immagine dello stato delle cose dovremmo osservare il territorio de L’Aquila di notte dall’alto dei rilievi del Gran Sasso vedremo il centro storico e la città consolidata spenti, mentre intorno hanno acquistato maggiore luminosità le frazioni e i comuni del cratere. Un’altra immagine che drammaticamente dà il senso della scomparsa del centro urbano è la vitalità del centro commerciale “L’Aquilone”, divenuto nei giorni festivi il vero centro sociale e aggregativo del territorio. Che i centri commerciali si siano trasformati da non luoghi nei nuovi spazi pubblici della città è un fenomeno diffuso, ma a L’Aquila tutto questo assume una valenza diversa: è il segno di un’assenza, di una domanda che non trova risposta.

Verso una visione di futuro.Il terremoto ha prodotto una struttura insediativa decentrata, ma senza centro e senza centralità. Mentre prima del terremoto la struttura era gerarchizzata con una forte polarizzazione sul centro urbano, ora assistiamo a un’inversione del modello: il centro urbano è svuotato, non svolge più la sua funzione di direzione e attrazione; all’esterno nelle frazioni e nei comuni dell’intorno territoriale, la popolazione residente è aumentata, ma è priva di servizi, di spazi pubblici, di centralità. Come passare da questa condizione insediativa decentrata senza

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centro e senza qualità, ad un sistema urbano equilibrato? Il modello proponibile per il futuro è una struttura insediativa policentrica, interconnessa, con concentrazioni abitative di densità media o contenuta (habitat intermediare), sostenibile dal punto di vista ambientale e della sicurezza sismica. Il modello policentrico si fonda da un lato sul recupero e la valorizzazione del centro storico e della città consolidata de L’Aquila (che dovrà mantenere il suo ruolo rappresentativo e direzionale del sistema), dall’altro su una distribuzione a rete di centri minori dotati di servizi e di centralità di ambito secondario. Il modello rinvia naturalmente a una struttura a rete con un nodo principale (il centro urbano de L’Aquila) e una serie di nodi minori costituiti dalle frazioni e dai comuni dell’interno territoriale. Ogni nodo, a partire dal centro urbano de L’Aquila, dovrà dotarsi di specifici dispositivi per la sicurezza sismica. Per realizzare la struttura a rete occorre un sistema di comunicazione fortemente interconnesso. Il modello insediativo policentrico si pone l’obiettivo di realizzare un’efficiente mobilità delle merci e delle persone. L’accessibilità diviene uno dei requisiti principali della città sostenibile: rete ferroviaria, reti stradali, trasporto pubblico efficiente, ma anche reti di percorsi pedonali e ciclabili. Il territorio sostenibile è accessibile, permeabile, a basso consumo energetico ( ferrovie, auto elettriche). Altro obiettivo di fondo è l’ampliamento delle fonti energetiche rinnovabili. Nel delineare una visione futura del territorio aquilano al 2030 si è ipotizzato di recuperare per quella data la popolazione ante sisma (pari a circa 73.000 abitanti, con un tasso medio di crescita annuo del 2%) e di promuovere un contributo maggiore delle fonti rinnovabili, portandolo al 40% cioè una produzione di 30 Ktep che comporta una riduzione del 20% dei consumi di idrocarburi e del 30% del gas domestico. Questa transizione del territorio aquilano verso un sistema energeticamente più sostenibile si lega a precise strategie operative. Ne elenchiamo le principali:

teleriscaldamento (destinato in particolare a soddisfare la - domanda termica dei residenti del progetto CASE, raggruppati in cluster);sostituzione delle caldaie obsolete (soprattutto nel centro storico);-

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cogenerazione e biomassa; - generazione elettrica da biogas;- generazione elettrica da combustibili da rifiuti (COR) impianti - localizzati nelle aree industriali;solare termico (negli edifici pubblici e privati);- fotovoltaico (nelle zone industriali e sulle coperture dei capannoni);- micro eolico (distribuzione diffusa nei centri abitati);- micro idroelettrico (lungo il fiume Abano).-

L’obiettivo della sostenibilità ambientale non può, tuttavia, essere perseguito puntando astrattamente sul contenimento dei consumi energetici, sul riciclo e la gestione dei rifiuti, sulla riduzione dei gas nocivi (a partire dal CO2) o sulla dotazione di spazi verdi e di percorsi ciclabili. Occorre che tutto questo si coniughi con una attenta lettura e interpretazione del contesto geografico, insediativo, sociale. Il modello insediativo si realizza su una direttrice di sviluppo che è infrastrutturale e ambientale insieme. Facendo perno sull’obiettivo di modernizzazione e rilanciare la ferrovia Rieti-L’Aquila-Sulmona, che si sviluppa lungo la valle dell’Aterno, parallelamente alla strada statale n. 17, il progetto propone un fascio infrastrutturale-ambientale costituito dalla ferrovia, dalla strada statale 17, dalle aree industriali, da un corridoio verde come parco fluviale. Il nodo de L’Aquila, ma anche una pluralità di centri abitati, da Case di Preturo a Poggio Picenze, a Fontecchio, sono attraversati da questa struttura lineare dove saranno localizzate (in relazione alle interconnessioni tra ferrovie e strade) alcune centralità territoriali, gli impianti fotovoltaici (sulle coperture degli edifici industriali), gli impianti di raccolta e di riciclo dei rifiuti, le centrali di cogenerazione, ma anche impianti per lo sport e il tempo libero. Il fascio infrastrutturale-ambientale è in definitiva una dorsale che interseca le reti della mobilità dei centri minori. La dorsale segue in un primo tratto il corso dell’Aterno, della ferrovia e della Statale n. 17; poi, all’altezza di Poggio Picenze, si sdoppia in due direttrici: la prima segue la Statale 17, la seconda la ferrovia e il corridoio fluviale fino a congiungersi nel sistema Popoli-Sulmona. Il fascio infrastrutturale ambientale ha il compito di riconnettere i sistemi urbani a livello territoriale, all’interno dei singoli sistemi, la riconnessione tra le parti edilizie è affidata alla rete dei servizi, della mobilità, del verde, degli spazi pubblici e delle centralità di ambito secondario.

Collaboratrice alla ricerca: Arch. Raffaella Massaccesi

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IASCUN VILLAGGIO, CIASCUNA CITTÀ E CIASCUNA STRUTTURA URBANA NELLO SPAZIO CULTURALE EUROPEO DISPONE DI ELEMENTI STILISTICI AUTOCTONI- CHE ANCHE NEL CASO SIANO FORTEMENTE DANNEGGIATI COME NEL CASO DE L’AQUILA DEVONO ESSERE PROTETTI.

A questi appartengono le configurazioni degli zoccoli degli edifici in diversi materiali, le cornici delle finestre in pietra, profili, lesene, combinazioni di differenti decorazioni lapidee con intonaco o altri materiali costruttivi. Tipi di finestre e profili di finestre appartengono altrettanto come pure le coperture dei tetti e i loro aggetti. In Germania da molto tempo con l‘aiuto di leggi sempre più complesse e una campagna pubblicitaria del governo si è diffusa l‘idea che con l‘isolamento termico si possa sconfiggere il cambiamento climatico. Si ha la sensazione che si voglia ignorare l‘esistenza delle potenzialità solari e geotermiche. Con elementi fotovoltaici sui tetti delle chiese come pure con elementi termico solari in qualità di applicazioni tecnico-estetiche sugli edifici.Fallisce dunque la tutela dell‘ambiente a causa della tutela del patrimonio

Günter Pfeifer

Uomo - clima - ArchitetturaC

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storico artistico e architettonico o fallisce la tutela al patrimonio storico e architettonico per tutelare l‘ambiente? Non possiamo trattare i problemi di efficenza energetica e di ricostruzione sostenibile del patrimonio storico artistico e architettonico senza utilizzare strumenti differenziati. Occorre una metodologia di lavoro completamente differente. I caratteri tipologici e le particolaritá presenti devono essere messe a confronto a partire dalle potenzialitá immanenti e presenti nei diversi tipi architettonici e edilizi. Solo dopo analisi accurata possono essere progettati e concepiti gli interventi da verificare anche attraverso simulazioni. Tutto ció puó avvenire solo mediante un processo di lavoro „transdisciplinare“ al quale partecipino architetti, storici e restauratori (esperti di tutela del patrimonio artistico e architettonico specifico) e uno staff di ingegnieri. Obiettivo comune é di proporre modelli alternativi alla strategia dell‘isolamento termico e della tenuta stagna degli edifici. Alle domande esistono modelli alternativi? Come funzionano? Come interagiscono

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con l‘edificio? Seguono in ordine le risposte.Innanzitutto é dimostrabile esserci ben piú moduli progettuali a disposizione di quanti a prima vista sembrano esserci. I sei punti del costruire energetico efficente sono: raccogliere, distribuire, conservare o immagazzinare e liberare.

In particolare:

1 La zonizzazione secondo i parametri dell‘energia solare e geotermica ricavabile. Sono in fondo le regole antiche di organizzare le piante esponendo al sole gli ambienti di soggiorno e conseguentemente orientando verso zone meno soleggiate gli ambienti di transito, deposito e eventualmente anche le camere da letto. Spesso quando gli spazi sono sufficentemente ampli é possibile suddividere gli spazi in funzione del ricavo energetico trasformandoli in giardini energetici. Anche loggie e balconi possono essere trasformati in giardini energetici se opportunamente orientati.

2 Elementi per il ricavo energetico come giardini energetici e collettori ad aria su tetti e pareti. Giardini energetici sono elementi nuovi che possone essere aggiunti alle preesistenze. Tenendo presente le differenti valenze delle facciate. Partendo dal presupposto che non tutto il sottotetto sia stato utilizzato, come spesso succede, possono essere istallati in corrispondenza del colmo collettori ad aria. Per fare ció a volte sono sufficenti tegole vetrate. Anche le finestre doppie se ben progettate e costruite possono funzionare da collettori ad aria, poiché immettono negli ambienti aria riscaldata o fredda quando sfruttanno le

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temperature piú fredde notturne.3 Elementi per la distribuzione dell‘energia raccolta come i sistemi ipocaustici

nelle solette o anche nelle pareti semplicemente come seconde pareti cave.4 Elementi per l‘immagazzinamento dell‘energia prodotta. Gli edifici del

passato grazie allo spessore notevole delle pareti hanno una notevole capacitá di immagazzinamento dell‘energia. Nelle cantine specialmente se con una struttura a volte la capacitá di immagazzinamento é decuplicata. Queste masse termiche devono essere considerate come un enorme potenziale energetico; e devono essere adeguatamente inserite nella determinazione del bilancio energetico.

5 Gli elementi per il raffreddamento. Il sistema termico naturale, per la maggior parte dei casi presente negli edifici esistenti, deve essere premessa progettuale. Le scale nella maggior parte dei casi sono collegate con le cantine, sono collocate nella zona meno soleggiata dell‘edificio e fungono da camino termico raffreddante. Le interrelazioni termiche possono essere ottimizzate e gestite attraverso il semplice miglioramento della definizione degli spazi e l‘introduzione di aperture controllate (automatizzazione). Nuovi canali di areazione o ulteriori interconnessioni possono essere aggiunte.

6. L‘uso di energie liberate dai processi interni all’edificio. L‘uso delle energie dei processi interni, prodotte dagli uomini e dai macchinari devono essere parte integrante del processo di calcolo e simulazione del sistema complessivo

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del bilancio energetico dell‘edificio.

Tutte le possibilitá del bilancio energetico passivo dell‘edificio sono state citate. Queste devono essere coadiuvate a seconda del tipo di edificio preso in esame dalla tecnologia. Si tratta di sistemi motorizzati di coadiuvazione della termica, come anche dell‘uso di scambiatori termici per il recupero dell‘energia calore. Nelle cantine possono essere collocate cisterne per la raccolta dell‘acqua. Se sia possibile in questo modo coprire tutto il fabbisogno energetico di un edificio dipende dal tipo di edificio dalla disponibilitá finanziaria e dall‘impegno del progettista. Rispetto allo scetticismo dei catastrofisti si puó sempre reagire ricordando che l‘impegno é quello di utilizzare in tutte le forme possibili l‘enorme fonte energetica, e solo in parte utilizzata, messa a disposizione dal sole. La nostra attenzione si concentra dunque in parte sul ricavo di energia solare - e anche nel periodo freddo invernale sono possibili ricavi energetici, basta che splenda il sole- e in parte sull‘immagazzinamento di questa energia.L‘aspetto piú importante é la perfetta integrazione di tutti gli elementi passivi - solari e geotermici, ricavo, immagazzinamento e termica - con in aggiunta le possibilitá offerte dalla tecnica.Poiché questi elementi parziali devono essere inseriti in un processo di interdipendenze. Ciascuno di questi elementi é di per sé autonomo, ma non indipendente nel processo complessivo e negli effetti. Questo processo che noi chiamiamo „cibernetico“, descrive un sistema d‘insieme causa ed effetto interdipendente. Non si tratta qui della qualitá dell‘effetto ma del modo e sistema di interrelazione. In questo senso é parte integrante del sistema di interrelazione l‘adattamento dinamico alle condizioni del contesto, del ciclo stagionale e del ritmo giorno e notte. Rispetto alla progettazione del nuovo, l‘intervento sulla preesistenza é piú difficile e complessa. Poiche si aggiunge alla progettazione l‘analisi della preesistenza. Accanto alle condizioni climatiche del contesto devono essere presi in considerazione la struttura dell’edificio, i materiali e gli spessori

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murari, l‘organizzazione della pianta cosí come la dimensione e l‘orientamento delle finestre, solo per evidenziare alcuni aspetti. Sará necessario evidenziare una specie di „impronta energetica“ dell‘edificio, simile all‘analisi del DNA in medicina con funzione di informazione di base per l‘intervento di progetto. Cosí inizia un processo lavorativo che premette una certa esperienza di sistemi di circolazione e energetici, e che d‘altraparte premette una capacitá creativitá e inventiva ben piú consistente. É inoltre necessario in uno stadioiniziale del progetto concettuale un lavoro transdisciplinare con esperti e simulazioni termiche dell‘edificio. Solo con un processo lavorativo transdisciplinare é possibile sviluppare strategie progettuali per la preesistenza con differenti strategie che tengano conto di tutte le variabili possibili. Con questa strategia ci si deve confrontare con la materia della tutela del patrimonio esistente e si entra a far parte del dibattito

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sulla conservazione del manufatto architettonico, che spesso vieta qualsiasi intervento visibile. Il modo di interpretare e intervenire prospettivo o „cibernetico, prevede spesso anche un lavoro progettuale sulla preesistenza spesso non compresa dagli esperti di conservazione e tutela del patrimonio architettonico preesistente. Importante é saper riconoscere che gli elementi che risultano dalla trasformazione dei principi strutturali non si riferiscono a parametri tecnici o tecnocratici. Molto piú sono invece elementi architettonici parte della tettonica e della teoria della „gestalt“. Questi elementi di natura puramente architettonica vengono poi coadiuvati da principi e misure di natura strettanente fisica, soprattutto per quanto riguarda la termica.

D‘altra parte i colleghi della tutela al patrimonio storico e artistico esistente devono avere la capacitá di accettare forme di ripristino e ristrutturazione contemporanee e riconoscerne le qualitá architettoniche. È difficile, poiché la possibilitá di comprensione reciproca non lascia molto spazio all‘interpretazione. Le divergenze presenti fra conservazione e restauro da una parte e trasformazione e reinterpretazione in chiave contemoranea necessitano da entrambe le parti profonda conoscenza e rispetto reciproco. Miglioramenti della qualita energetico effeicente prevedono

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sempre interventi di carattere architettonico. Se é necessari l‘inserimento ad esempio di „giardini energetici“ le aggiunte devono sí rispettare la preesistenza ma é anche evidente che questi interventi saranno in chiave architettonica contemporanea (moderna). Il linguaggio architettonico é sempre stato in sintonia con l‘epoca di realizzazione e gli edifici nel tempo hanno spesso subito cambiamenti importanti.Questo vale per tutti gli edicfici storici, indipendentemente dalle funzioni che ospitano o hanno ospitato nel tempo. Ció vale in modo particolare nel caso della ricostruzione di edifici storici. É qui che si trova uno dei compiti piú importanti per l‘architettura nel futuro: anche per la ricostruzione delle cittá distrutte da calamitá naturali e non (Anche terremoti). Secondo le strategie sopra indicate é possibile ricostruire i centri storici con edifici energeticamente efficenti e contemporaneamente parte del contesto e delle tradizioni locali. I tipi sono riferiti alle rispettive zone climatiche e tramite metodi passivi é possibile costruire edifici climaticamente funzionanti. Nel caso di terremoti sarebbe opportuno ricostruire edifici „duttili“ adatti al tipo di zona geologica del contesto. É certamente rilevante la constatazione che la città de L‘Aquila é gia stata ricostruita ben due volte nel corso dei secoli. Le cittá di Gemona e Venzone in Friuli, distrutte dal terremoto del 76 sono state ricostruite senza verificare se la ricostruzione adatta alla geologia del luogo fosse anche una soluzione adeguata alla fascia climatica del contesto. Ovunque nel mondo si apre la chance di una ricostruzione diversa: una ricostruzione sensibile alle premesse geologiche e climatiche del contesto operando sulla base dei caratteri tradizionali locali (Typus). Se la ricostruzione viene scompagnata da analisi dei tipi e relative simulazioni che tengono conto delle potenzialitá energetiche presenti negli edifici del contesto storico locale. Cosí sulla base di una struttura climaticamente e strutturalmente sostenibile dal punto di vista climatico e geologico é possibile costruire architettura da un lato retrospettiva offrendo sicurezza e identificazione agli abitanti e dall‘altro lato tecnicamente efficente e moderna.

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RA DAL 1984 CHE MANCAVO DALL’AQUILA, ESSENDOMI TRA-SFERITO ALLA FACOLTÀ DI ARCHITETTURA DI ROMA DOPO QUINDICI ANNI DI INSEGNAMENTO PRESSO LA FACOLTÀ DI INGEGNERIA DELL’AQUILA.

La scossa sismica del 6 aprile 2009, che ci aveva svegliati in piena notte a Roma, nonostante una distanza di circa 80 chilo-metri dall’epicentro, mi ha coinvolto nuovamente nella realtà aquilana.Durante quel periodo di insegnamento universitario aquilano ho avuto l’occasione di condurre due sistematiche ricerche sul tessuto urbano della città dell’Aquila.La prima è stata quella di recuperare dagli archivi aquilani la documentazione degli interventi di ristrutturazione e sostitu-zione edilizia avvenuti tra il 1860, anno in cui la città ebbe le sue prime trasformazioni per essere adeguata al nuovo corso ammi-nistrativo e politico dell’Unità d’Italia, ed il 1958, anno in cui gli architetti Piccinato e Majoli consegnarono un piano regolatore che per primo comprendeva anche il territorio esterno alle antiche mura. I risultati della ricerca furono pubblicati nel 1981 all’Aquila dalle Edizioni del Gallo Cedrone con il titolo “La città dell’Aquila. Il centro storico tra il 1860 ed il 1960”, un volume di

Giorgio Stockel

Rivedendo L’Aquila

E

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624 pagine corredato da più di 700 riproduzioni di disegni.La seconda occasione ebbe lo scopo di rappresentare quello che si poteva vedere vivendo la città. Tra il 1982 ed il 1983, in una complessa “immagine archivio”, ho eseguito un rilievo foto-grafico della città, una minuziosa rappresentazione del tessuto urbano sia delle sue parti magnifiche che dove una sconsiderata attività edilizia ne aveva deturpato il valore ambientale. La strut-tura del lavoro era consistita: nel presentare sinteticamente le caratteristiche del paesaggio della conca aquilana con gli sparsi insediamenti abitati; nel percorrere, all’interno delle mura urba-ne, gli antichi e recenti assi stradali strutturanti il tessuto edifica-to; nel visitare le diverse parti edilizie generate dall’essere stata la città suddivisa in “Locali” all’atto della fondazione federiciana; nel documentare la qualità dei diversi spazi e delle funzioni a cui assolvono; nel presentare le espansioni edilizie avvenute fino al 1982. Il risultato fu pubblicato nel 1989 all’Aquila dalla Editrice Futura con il titolo “L’Aquila. La città esistente” di 400 pagine corredate da 727 fotografie.I due studi erano intesi come un contributo per rappresentare la città dell’Aquila come parte della memoria dei suoi abitanti, come un insieme di testimonianze che hanno formato la loro cultura, come un qualcosa che, se fosse andato perduto, avrebbe disorientato il vivere sia il loro presente che il loro futuro. Rivedendo L’Aquila nelle condizioni in cui si è venuta a trovare dopo il sisma del 6 aprile, una rilettura del materiale documen-tario dei due lavori ha suggerito una reinterpretazione del signi-ficato di quei documenti come testimonianza delle operazioni di recupero del patrimonio edilizio danneggiato dal terremoto del 13 gennaio 1915. Le due ricerche lasciano comprendere le ragio-ni per le quali la città dell’Aquila non sia stata più la stessa dopo quel terremoto; a quella data la città era ancora tutta compresa entro le antiche mura e le poche trasformazioni edilizie avvenute a partire dall’Unità d’Italia non ne avevano ancora modificato l’aspetto fisico e la struttura sociale ed economica.Il 19 aprile del 2009, ottenuto un permesso d’ingresso nella co-siddetta “Zona Rossa”, accompagnato da due ingegneri che ave-vo seguito nei loro studi alla Facoltà di Ingegneria, ho effettuato

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la prima di dodici ricognizioni compiute fino al giugno del 2010 nella parte della città compresa entro le antiche mura urbane. Ogni possibile ingresso in quel perimetro era presidiato dall’esercito con l’incarico di proteggere le persone da possibili crolli e di impedire furti ad abitazioni, negozi ed uffici.Intenzione prioritaria era quella di documentare in quale maniera la città interna alle antiche mura fosse stata danneggiata e quali mutamenti avesse avuto il suo aspetto. Man mano che procedeva il rilevamento fotografico, una sensazione prendeva il sopravvento: era impressionante vedere l’interno dell’Aquila vuota, senza abitanti, senza attività, con già presenti i segni di questo già lungo ab-bandono. Eppure sono convinto che, la città potrebbe ritornare al più presto ad essere un organismo vivente in modo da mantenere una continuità con la sua

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storia civile, economica e politica, con i suoi valori ambientali ed architettonici, a condizione di organizzare realmente la partecipazione attiva della popolazione.Nel Comune dell’Aquila, la parte della città che è compresa all’interno delle antiche mura ha una superficie di 162 ettari all’interno dei quali, dal 6 aprile 2009 ad oggi, la popolazione è stata completamente evacuata. Comprensibili le ragioni di sicurezza che hanno motivato questa decisione nella fase di emergen-za. Non comprensibili le ragioni per cui dopo sedici mesi sia ancora interdetto l’accesso alla popolazione. L’edilizia, i centri urbani ed il territorio aquilano sono da considerare come organismi viventi per la presenza umana che li ha generati e che intende ancora generarli. Troppo a lungo la popolazione ha dovuto subire una sorta di depor-

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tazione dai centri antichi, con il risultato di ritardare ecces-sivamente interventi edilizi di recupero in settori urbani non gravemente danneggiati.Tutti gli edifici progressivamente si ammalano e si indeboli-scono. Le scosse sismiche del 6 aprile hanno provocato leggeri danni a edifici sani e robusti, mentre hanno provocato danni consistenti agli organismi edilizi indeboliti, o perché trascura-ti nella manutenzione, o costruiti con povertà di mezzi, o per incompetenti trasformazioni edilizie, o per incompetenza tecnica dei progettisti e direttori dei lavori, o per omissioni attuate dalle imprese di costruzione, o infine per grave incuria di strutture pubbliche preposte alla sorveglianza della correttezza costrutti-va degli edifici.Attualmente i centri urbani ed il territorio aquilano sono afflitti da un disordine, dovuto alla alterazione dell’uso del territorio in conseguenza di iniziative edilizie sia private che pubbliche, iniziative che hanno comportato la parziale creazione di nuovi nuclei abitati che graveranno, per la loro gestione, manuten-zione e necessità di completamento, sulle già magre risorse economiche delle amministrazioni comunali coinvolte.La legislazione urbanistica in tema di interventi nei centri urbani e nel territorio è ancora troppo basata su una pianificazione gerarchica ai diversi livelli. Urbanisti, amministratori, legislatori, hanno previsto nelle procedure la consultazione della popola-zione ma sempre successive a decisioni progettuali già prese. Non che la pianificazione non sia necessaria, necessaria è una sua corretta gestione che coinvolga nelle sue fasi progettuali la popolazione direttamente interessata. Una programmazione e una pianificazione centralizzate comportano rischi di sprechi e corruzioni.Una popolazione deportata, sparpagliata in differenti realtà territoriali rischia di perdere la propria identità culturale a causa dello sradicamento dai rapporti con i vicini e con l’ambiente fisico. Per il recupero dell’appartenenza alla comunità, dopo più di un anno di danni e disagi, è necessario ricompattare la popo-lazione consentendogli di partecipare attivamente ai processi di recupero edilizio e di riattivazione culturale.

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La redazione dei tradizionali “piani particolareggiati” quali stru-menti di attuazione del recupero di un centro storico danneggia-to da un terremoto, è una operazione inadeguata in quanto lenta nella redazione, per inevitabili difficoltà politiche di attribuzio-ne degli incarichi di progettazione, lenta nell’iter per la loro approvazione, lenta per la rigidità della loro attuazione. I “piani di recupero” dovrebbero essere indirizzati al miglioramento tecnologico dei servizi puntuali e di rete, ed avere caratteristiche di strumenti flessibili per seguire il progressivo procedere del recupero urbano.Per garantire che nel recupero del comprensorio danneggiato vi sia una unità di vedute nelle decisioni da prendere sareb-be opportuno che siano promossi e facilitati: l’organizzazione consortile fra i proprietari immobiliari; l’associazione dei tecnici progettisti che sono stati incaricati dai singoli proprietari; la scelta di una unica, anche se frutto di un consorzio, impresa esecutrice dei lavori; accordi con istituti di credito per azioni di ingegneria finanziaria anche con azioni sostitutive per situazioni socialmente ed economicamente deboli.L’esperienza conseguita per il recupero dell’edilizia danneggiata nei recenti terremoti che hanno colpito l’Italia ha fatto indivi-duare l’isolato come un comparto edilizio che colloca le diverse unità immobiliari all’interno di un progetto unitario: risolvere separatamente i problemi statici delle singole unità abitative non risolve le interazioni strutturali interne ad un complesso.

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L TERREMOTO CHE HA SCONVOLTO L’ABRUZZO LA NOTTE DEL 6 APRILE 2009 HA INFLITTO DANNI NON ANCORA COMPLETAMENTE QUANTIFICATI A UN TERRITORIO MOTO VASTO E HA BRUTALMENTE SFREGIATO IL CAPOLUOGO REGIONALE.

L’Aquila è stata in questi mesi raccontata con parole,

Rosalia Vittorini

Per L’AquilaI

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immagini, filmati che ci mostrano, attraverso gli squarci profondi inferti dal sisma nel suo tessuto organico, una città forte, robusta divenuta improvvisamente indifesa e muta. Ma oggi, rimosse le macerie e puntellati gli edifici, la città ci interroga perentoriamente sul suo destino. Il tessuto urbano aquilano porta impressi secoli di storia/memoria edilizia: elementi immateriali e materiali gli hanno assegnato una fisionomia unica e irripetibile. Il processo di formazione della città fu rinnovato, com’è noto, dopo il devastante terremoto del

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1703 che aveva cancellato in un colpo la città medievale. La ricostruzione rappresentò l’opportunità, come bene emerge nella carta riportata da Carlo Franchi in Difesa della città dell’Aquila (1752), per un vivace programma di modernizzazione: la chiesa del Suffragio, eretta a ricordo di quell’evento, si ispira al barocco romano; nuovi muri inglobano le bifore rimaste; le parti non riedificate diventano orti; nuovi prospetti sono segnati dagli speroni di rinforzo; le macerie colmano fossi e scarpate

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all’interno e a ridosso della cinta muraria. Sul tracciato medievale, che permane come memoria tangibile, si configura una città programmaticamente plurale, composta dai “quarti” ognuno identificato da chiesa-piazza-palazzo in una struttura cosi forte e identitaria da assorbire stratificazioni, ibridazioni fino ai nuovi inserti novecenteschi che invece tentano di realizzare un centro rappresentativo per la città. L’Aquila è una città nata attorno all’acqua: l’acqua del fiume Aterno, l’acqua che, divenuta architettura e artificio, da 750 anni esce dalle bocche delle maschere della Fontana delle 99 cannelle. E’ una città racchiusa dalle mura che, ben conservate,per lunghi tratti, rappresentano un limite, un recinto non solo fisico ma anche immaginario, e hanno, ancora oggi, un valore simbolico come formalizzazione del concetto di passaggio e di transito: segnano un di qua (il centro urbano) e un di là (il territorio) da cui la città prende vita. E’ una città fatta di pietra e di intonaco (come risulta chiaro dagli Statuta Civitatis Aquilae). La pietra squadrata dei resti medioevali, cromaticamente diversificata nelle facciate delle chiese, negli stipiti di porte e finestre, negli imponenti maschi murari del castello, nelle forme discrete delle fontane, ma anche nella pavimentazione, ora divelta, delle strade; la stessa pietra dei cantonali utilizzati come presidio opposto empiricamente all’onda sismica. L’intonaco è usato a protezione dei muri e delle volte di mattoni che solo un distorto senso storico e estetico ha portato negli ultimi anni a scoprire, attraverso una selvaggia stonacatura. Oggi la ricostruzione può, ancora una volta, divenire un’occasione di rinascita per la città. Il progetto di ricostruzione può delinearsi come un esercizio di memoria che che riallacci i

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legami con il passato ricomponendo il dibattito, estremamente frammentario nelle azioni e negli obiettivi, che oggi caratterizza la realtà cittadina. Il cantiere della ricostruzione potrà cosi configurarsi come un interessante laboratorio sperimentale in cui la città riconosce e acquisisce come base operativa la sua storia materiale. Una storia che la progettazione recente ha diffusamente omesso, visto che i maggiori danni agli edifici si contano proprio a Campo di Fossa, su quei terreni che, secondo la relazione della commissione sul terremoto del 1915, “furono sempre scartati dagli antichi come aree fabbricabili poiché la natura geologica, la struttura, la configurazione e l’esposizione di essi non sembrano mai adatte alla costruzione di case Un cantiere sperimentale che può offrire un’eccezionale occasione per interpretare il costruito nelle sue specificità.

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La sezione L’Aqui_lab, inserita all’interno del Padiglione Modelli dell’Arsenale Novissimo, e’ pensata come un laboratorio scientifico, una sorta di biblioteca

in fìeri dove sono raccolti contributi, ricerche scientifiche e proposte elaborate nel corso del tempo da Università, Enti ed Istituzioni nazionali ed internazionali che propongono idee e progetti pensati e previsti per il territorio aquilano.Il laboratorio prevede in contemporanea alla esposizione dei contributi scientifici ed artistici anche degli incontri, dei seminari ed un workshop con la partecipazione di Università italiane e straniere al fine di coinvolgere anche gli studenti provenienti da diverse realtà in questo sforzo corale.

L’Aqui_lab

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Docomomo Italia Onlus

Consiglio Direttivo:Paola AscionePier Giovanni BardelliAndrea Canziani(segretario)Luciano CupelloniMargherita GuccioneStefano F.MussoRosalia Vittorini(Presidente)

do.co.mo.mo. italia giomale

direttore editorialeMaristella CasciatocaporedattoreCristiana Marcosano Dell’ErbaredazioneLuciano CupelloniI materiali del modernoFrancesca RosaMarina Sommella GrossiErilde TerenzoniElena TinacciRosalia Vittorinihanno collaborato a questo numero:Claudia Mattogno, Aldo Benedettie-newsletterAndrea [email protected] Biuzzi

DOCOMOMO Italia giornale Periodico dell’associazione italiana per la documentazione e la conservazione degli edifici e dei complessi urbani moderni.Direttore responsabile Sergio Poretti Sede legale: c/o Dipartimento di Ingegneria Civile Università Tor Vergata via della Ricerca Scientifica 00133 Roma

A pochi giorni dagli eventi dolorosi del sisma DOCOMOMO Italia, rappresentato da Rosalia Vittorini, personalmente colpita in quanto aquilana di nascita, ha comunicato alle istituzioni coinvolte nel difficile lavoro della Ricostruzione l’impegno dell’associazione a sostenere e coadiuvare tutte le attività che verranno avviate per la tutela del patrimonio storico-architettonico della regione.

Alla cortese attenzione di

Annamaria Reggiani(Direttore Regionale per i Beni Culturali dell’Abruzzo)

Maurizio Galletti(Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici dell’Abruzzo)

Massimo Cialente(Sindaco della città dell’Aquila)

Stefania Pezzopane(Presidente della provincia dell’Aquila)

Renato Morganti(Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Facoltàdi Ingegneria, Università di L’Aquila)

L’associazione DOCOMOMO ltalia onlus, che da oltre dieci anni opera sul territorio nazionale per la documentazione e la conservazione dell’architetturamoderna ai fini del riconoscimento e della tutela di questa preziosa e rilevante porzione del nostro patrimonio storico e culturale, intende esprimere la propria solidarietà alla cittadinanza colpita dal sisma e offrire alle istituzioni, pubbliche e private, preposte alla salvaguardia, la propria disponibilità e competenza a sostegno delle operazioni di intervento sulle opere del XX secolo dell’Aquila e provincia.

DOCOMOMO ltalia potrebbe lavorare, anche in collaborazione con L’Università (contiamo soci nel Dipartimento di Architettura e Urbanistica), per ricostruire la consistenza del patrimonio mediante la raccolta di documentazione, bibliografia, materiali d’archivio, rilievi. A tale proposito può fornire la documentazione già acquisita per una precedente schedatura delle architetture aquilane. Consapevole del valore che il patrimonio storico-architettonico tutto rappresenta, in quanto autentico custode della nostra identità culturale, DOCOMOMO ltalia intende sostenere, nelle forme che vorrete indicarci, l’impegnativo lavoro in cui le istituzioni si prodigheranno per conservare e tramandare l’eredità dei monumenti, antichi e recenti, di questa parte del nostro paese cosi gravemente colpita.

Rosalia Vittorini (Presidente DOCOMOMO Italia onlus)

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DOCOMOMO ItaliaL’Aquila città del novecento

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Technische Universität Darmstadt, Germany

Dipartimento di Architettura Progetto e residenza Entwerfen und Wohnungsbau

Günter Pfeifer ArchitettoProf. di Progettazione architettonica,

Lisa BaruccoFaraneh FarnoudiMiriam HahnChristiano LeprattiVera MartinezRick Scheppat

studentsJulia BeckJulien BlancFatma EsmerCorinna FischerKatharina GossenFlorian HusemeyerBenjamin KleinebergJakob LilienthalMelanie SchäferYvonne StetzerKathrin VelteIsabell Wieczorek

consulting engineerDr.-Ing. Claus MaierS.A.N. – Ingenieure. Beratende Bauingenieure GmbH, Darmstadt

thermo-dynamic simulationDipl.-Ing. Gerhard KuderBalck + Partner, Heidelberg

filmTrue-Media Berlinwww.true-media.de

Trasformazione e energia. il metodo Cibernetico

Il lavoro riassume principi e metodologie approntate all’interno del dipartimento di Entwerfen und Raumgestaltung del Prof. Pfeifer all’Università Tecnica di Darmstadt. L’applicazione al caso de L’Aquila mette a frutto conoscenze sul risanamento energetico messe a punto all’interno di una ricerca accademica e applicata ormai pluridecen-nale.

Di seguito una sintesi dei contenuti dell’ intervento proposto. Il prin-cipio fondante, è la combinazione complessa di strumenti interni alla disciplina che tengano conto dell’identità storica e del valore degli edifici esistenti.

I principi strutturanti la ricostruzione devono essere fondati sulle nuove conoscenze del costruire: a prova di terremoto e energetica-mente efficente.

La ricostruzione strategica deve essere orientata sulle preesistenze storiche.

Le qualitá dei caratteri tipologici e insediativi delle corti e dei sistemi distributive non deve essere perduta ma valorizzata, trasformata e adattata.

Il condizionamento termico energetico deve essere definito secondo il metodo cibernetico.

L’aspetto piú importante del metodo é l’interrelazione e l’intreccio di tutti gli elementi passivi - energia solare e geotermica, distribuzi-one, immagazzinamento e termica – con le possibilitá a disposizione grazie a tecnologie e tecniche avanzate; tutti gli elementi sono da considerarsi parziali e devono essere integrati a formare un organ-ismo complesso interdipendente. Dato che ciascun elemento é sí autonomo ma allo stesso tempo interdipendente nell’effetto comples-sivo. Il metodo “cibernetico” mette in relazione e a sistema tutti gli elementi che possono influire nel complesso. E non si tratta solo di qualitá dell’effetto complessivo ma dei sistemi di interrelazione causa effetto nel complesso. Per interrelazione complessa si intende che il sistema reagisca in modo dinamico rispetto al suo intorno sia nel ciclo quotidiano come anche nel ciclo annuale.

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DARMSTADT

Trasformazione e energia.Il metodo Cibernetico

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Programma interdisciplinaire di ricerca - Seminario di Coordinamento scientifico Sessione 4 2009-2011

Un territoire durable et un habitat de qualité à consommation zéro dans les zones à risque sismique

Nicoletta Trasi architettoResponsabile scientifico Università di Roma “la Sapienza “, Facoltà d’Architettura “L.Quaroni”

Luciano De Licio architettoUniversità di Roma- “la Sapienza “, Facoltà d’Architettura “L.Quaroni”

Marcello PazzagIini architettoUniversità di Roma- “la Sapienza”, Facoltà d’Architettura “L.Quaroni”

Rosario Pavia, architetto, Facoltà d’Architettura di Pescara, Università di Chieti «G.D’Annunzio»

Valter Fabietti, architetto, Professore di Urbanistica alla Facoltà d’Architettura di Pescara, Università di Chieti «G.D’Annunzio»

Christiano Lepratti, architettoTechnische Universität Darmstadt

Gianfrancesco Costantini, sociologo ed esperto in Sociologia Urbana

Fabrizio Mollaioli, ingegnere Professore all’Università di Roma- “la Sapienza “, Facoltà d’Architettura “L.Quaroni”

Guendalina Salimei architetto, Professore all’Università di Roma- “la Sapienza “, Facoltà d’Architettura “L.Quaroni”

Collaboratori alla ricerca: Irene Cremonini,Valentina Carpitella,Alessandra De Berardis,Mario Ferrari,Leonardo La Vitola,Raffaella Massacesi,Fabrizio Zonetti,

La partecipazione alla consultazione internazionale del progetto di ricerca interministeriale, sponsorizzato da due Ministeri francesi - Ministère de la Culture et de la Communication, tramite il BRAUP: bureau de la recherche architecturale, urbaine et pasysagère) e il Ministère de l’Ecologie, de l’Energie, du Développement durable et de la Mer, tramite il PUCA: plan urbanisme, construction et architecture - denominato AG.E. Architecture de la Grande Echelle, è stata per me e per l’equipe da me coordinata, una straordinaria occasione di lavorare su un tema interessante, che è quello di pensare nuovi scenari possibili per situazioni in cui si è venuta a creare una fragilità ed una vulnerabilità provocate da eventi catastrofici. La ricerca nello specifico, tra i numerosi eventi distruttivi, prende in esame il terremoto ed applica la riflessione all’area aquilana ragionando su tre livelli di sostenibilità: energetica, sociale e sismica. All’interno della questione generale delle differenti forme di abitare il territorio, soprattutto quello extraurbano. Le parole chiave erano: topografia, trama fondiaria, forma urbana, approccio paesaggistico. In seno ad una transcalarità (progetto architettonico, urbano e territoriale) la consultazione tendeva a interrogarsi sulle relazioni tra l’abitare e la mobilità, tra le geografie sociali e le rappresentazioni spaziali, tra i paesaggi urbani e i territori suburbani. Veniva posta inoltre la riflessione sull’habitat intermediaire cioè una via di mezzo tra il collettivo e l’individuale e in tal senso chiedeva di studiare le articolazioni multiple che esistono tra il territorio intercomunale e gli insiemi eterogenei di habitat che in parte già lo costituiscono. A partire da un territorio fisico, la ricerca doveva puntare ad una sperimentazione progettuale che si interrogasse sulle strategie concettuali di riqualificazione dello spazio urbano ed extraurbano. La problematica generale affrontata dalla ricerca prende in esame un habitat policentrico e intercomunale per i territori a rischio sismico. Si considera l’ipotesi di un modello abitativo che sviluppi la struttura insediativa preesistente, trasformandola in un sistema organizzato attraverso l’integrazione e la correlazione di differenti reti: la rete insediativa in senso stretto (ovvero centri e frazioni minori), la rete dei servizi e delle aree produttive (artigianali e industriali), la rete infrastrutturale delle comunicazioni (accessibilità, mobilità delle merci e delle persone, trasporto pubblico, reti tecnologiche, piattaforme logistiche, punti di raccolta e le vie di fuga per il rischio sismico), la rete ambientale (risorse naturali, corridoi ambientali, rete idrogeologica, aree agricole, terreni incolti e non edificati). La sovrapposizione e la correlazione delle reti fa emergere la griglia ordinatrice del masterplan generale che orienta il consolidamento e l’ampliamento dei centri minori e la selezione delle intersezioni più significative per le nuove aree centrali (spazi pubblici, Università, piattaforme logistiche, centri civici). A tal fine, la ricerca produrrà degli orientamenti metodologici per i progetti di un nuovo habitat che sarà sostenibile per tre aspetti:-sostenibilità sociologica: per la sua dimensione “intermediaire” poiché a scala urbana crea nuove relazioni sociali tra gli abitanti, e nuove mixités funzionali.-sostenibilità energetica: per l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile che renderà gli alloggi verso un consumo zero.-sostenibilità sismica-territoriale: per il nuovo modello di forme dell’abitare sperimentale messo in atto, in grado di resistere in situazioni di rischio.

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PARIGIUn territoire durable et un habitat de qualité à consommation zéro dans les zones à risque sismique

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Università degli studi “G. D’Annunzio” Chieti - Facoltà di Architettura

DipartimentoInfrastrutture Design Engeneering Architettura

Coordinamento

Prof. Carmen Andriani

TutorsCecilia Anselmi, Barbara Falcone, Paolo Caracini, Monica Maggi, Chiara Rizzi, Francesca Pignatelli, Sara Racanelli, Marco Pietrolucci, Francesca Pignatelli, Sandro Zivelli

Contributi esterni :Enrico spacone, Claudio Varagnoli, Sara Sigismondi, Paola Misino, Sara Sigismondi, Collettivo99

6 aprile 2009 : è una linea di demarcazione netta e drammatica nel tempo e nello spazio. La catastrofe, come evento di distruzione e di destabilizzazione di un territorio, si irradia per sussulti concentrici attorno al suo epicentro.Il senso di permanenza che ciascun segno antropico esprime, viene definitivamente compromesso . L’effetto è tanto più traumatico quanto più forte è il senso di stabilità e di sicurezza che l’abitare questi luoghi ha significato.La catastrofe è un incidente casuale, non prevedibile.Porre rimedio in fretta ad una condizione di emergenza ma allo stesso tempo agire in modo lungimirante, trasformare l’evento disastroso in una opportunità di cambiamento, restituire le onde distruttive del sisma in un movimento di ritorno, positivo, che chiami a raccolta in un quadro unico fortemente interrelato centri storici e paesaggi, tracciati, sistemi, economie, abitanti: sono stati questi i ragionamenti tenuti sullo sfondo. Terrae motus, ovvero terre in movimento.L’Abruzzo è una terra arcaica, soprattutto nelle sacche dell’entroterra soggette ad un lento abbandono. Goriano Sicoli è uno di questi centri minori: ma ciascuno di essi è l’espressione certa di una lunga storia, sedimentata nel tempo, scarnificata in certi casi dall’arresto di unaprospettiva di sviluppo.Uno straordinario contesto naturale fatto di più sistemi interrelati fra loro sono il quadro di riferimento e la struttura continua entro cui si comprendono meglio le singole biografie dei luoghi.L’ infrastruttura continua, slogan manifesto del nostro lavoro, ha significato rendere attiva una connessione possibile, attraversare più sistemi (ambientali, storici, insediativi, intermedi), facendoli funzionare meglio e rendendoli più sicuri; ha significato imparare a decifrare un territorio deformato dalla sua vulnerabilità variabile; lavorare sui bordi delle perimetrazioni più sicure, potenziare con strutture urbane minime il valore degli spazi aperti di connessione.Abbiamo lavorato a sistemi insediativi flessibili e trasformabili, duttili ai diversi caratteri di questi contesti; abbiamo previsto una dotazione minima di elementi infrastrutturali fissi invulnerabili al sisma e la possibilità di accrescimento nel tempo delle singole unità insediative. Abbiamo pensato di costruire un sistema “poroso” che possa essere modificato anche attraverso forme di partecipazione diretta e di appropriazione. Assetti provvisori capaci di adattarsi ad una domanda variabile nel tempo.Il programma di lavoro del laboratorio si inquadra nell’ambito degli obiettivi di ricerca applicata e sperimentale che la rete intersede RITSS (Rete Interfacoltà Terremoti e Sviluppo Sostenibile) ha posto con urgenza e con la finalità di potenziare competenze e strategie progettuali in concomitanza di eventi sismici, quale il recente terremoto che ha colpito l’Abruzzo.Il workshop veneziano è stata un’occasione di sperimentare tecniche e tipologie insediative necessarie a far fronte ad eventi di questo tipo, ma anche a sviluppare conoscenza e sperimentazione per altre situazioni di emergenza purtroppo sempre sempre più diffuse (rischi sismici ed idrogeologici, situazioni di conflitto, centri di prima accoglienza diflussi migratori, ecc) in contesto mediterraneo.

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PESCARATERRAE MOTUSArchitetture elementari per ambienti trasformabili

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Università degli studi “G. D’Annunzio” Chieti - Facoltà di Architettura

DipartimentoAmbiente Reti Territorio

Facoltà di Architettura Pescara

LabIV_2010Architettura e Urbanistica

Prof. Pepe BarbieriProf. Matteo di Venosa

con Arch.Paola Branciaroli,Andrea Corindia,Roberta Di Ceglie,Claudia Fornaro,Luca Galella,Valentina Micozzi,Mario Tancredi,Alberto Ulisse

ConceptPartire dalle opere già realizzate per restituirle alla città arricchite di VALORE, ripensate non solo nelle tre dimensioni, ma soprattutto nella quarta: il TEMPO come protagonista delle trasformazioni che potranno ridare senso e funzionalità non solo all’organizzazione della città, ma anche ai cittadini.Produrre una visione mobile del territorio e di queste popolazioni non solo nel segno del rispetto delle memorie e dei valori identitari (attraverso un’interpretazione creativa dei contesti fisici e sociali), ma anche in una proiezione al futuro che faccia della costruzione/ricostruzione di L’Aquila un laboratorio esemplare per la realizzazione di una città aperta contemporanea secondo obiettivi di sostenibilità, di attenzione alle energie rinnovabili e alla valorizzazione del paesaggio in quanto nuovo paesaggio urbano.

ProgettoLo studio – in accordo con il Comune di L’Aquila, con la Cattedra di Antropologia culturale di Roma La Sapienza e con rappresentanze della popolazione locale – ha riguardato il territorio Nord-Ovest di L’Aquila e più precisamente Cese di Preturo, Sassa e Pagliare di Sassa. Sono stati individuati 3 TEMI:1. Lo spazio tra le C.A.S.E. a CeseLa localizzazione di uno dei 20 Piani C.A.S.E. ha quintuplicato il numero di abitanti (da 300 a 1600) rendendo urgente progettare spazi e servizi per tutti i residenti, dato che l’unica attrezzatura esistente è il circolo ricreativo di Sant’Anna.2. Riconversione dell’area industriale e nuova stazione ferroviaria a SassaL’esistenza di un Piano di Sviluppo Industriale pre-terremoto e la localizzazione di un altro Piano C.A.S.E. post-terremoto, con la conseguente previsione di una nuova stazione ferroviaria in un’area strategica dal punto di vista tecnologico-ambientale, hanno portato a ripensarla/riconvertirla secondo criteri di sostenibilità ed efficienza energetica.3. Sistema di spazi pubblici in corrispondenza di C.A.S.E./M.A.P./M.U.S.P. tra Sassa e Pagliare di Sassa. La localizzazione di strutture durature (C.A.S.E.) e temporanee (M.A.P./M.U.S.P.) ha trasformato spazi statici in dinamici, mobili, ossia potenzialmente modificabili in un processo temporale ancora incerto. All’interno di questa provvisorietà sono state elaborate ipotesi progettuali modificabili in relazione alle trasformazioni successive. Le strutture sportive e scolastiche esistenti, alcune abbandonate già prima del terremoto, sono state il pretesto per potenziarle per diventare nuove centralità atte a conservare la loro funzione principale. L’Obiettivo generale è stato quindi quello di progettare il sistema di servizi/spazi pubblici e la rete della mobilità in modo da generare diffusa qualità urbana anche con la creazione di nuove centralità e l’introduzione di forme d’uso del territorio coerenti con una generale visione strategica della trasformazione del bacino aquilano.

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PESCARAda C.A.S.E. a eco-CITTÁ3 TEMI per il post-Terremoto nel territorio Nord-Ovest di L’Aquila

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Università degli studi di Roma, “La Sapienza”

Prima Facoltà di Architettura “Ludovico Quaroni”

Dipartimento di IngegneriaStrutturale e Geotecnica

Prof. Luis Decanini Prof. Renato MasianiProf. Fabrizio MollaioliProf. Luigi Sorrentino

Alcuni criteri di configurazione resistente al sisma per edifici con struttura in c.a.

Considerazioni generali- La risonanza del sisma è stata significativamente legata all’alto numero di vittime, circa la metà, in un limitato numero di edifici in c.a.- Gli edifici di c.a. collassati o con danni gravissimi costituiscono una percentuale relativamente bassa del patrimonio immobiliare esistente di c.a.- Per quanto concerne il c.a., è da notare che diverse costruzioni, presumibilmente progettate in accordo alle normative ante 2003, si sono comportate abbastanza bene. Le tamponature potrebbero aver giocato al riguardo un ruolo decisivo, dissipando l’energia sismica trasmessa.- In molti casi nelle vicinanze degli edifici collassati sono presenti altri fabbricati sopravvissuti con danni perlopiù modesti.- Sarebbe opportuno approfondire lo studio della risposta di tali costruzioni. - Il periodo medio di ritorno dell’evento del 6 aprile (in termini macrosismici) si può stimare in circa 350 anni. Pertanto un certo livello di danneggiamento, associato all’escursione in campo anelastico delle strutture, era da attendersi.- La distribuzione del danneggiamento è a macchie di leopardo. Ciò può essere in parte dovuto a difetti locali delle costruzioni e in parte a effetti di sito (terreno e morfologia) e di canalizzazione delle onde (effetti di sorgente).- Il calcestruzzo di diversi edifici gravemente danneggiati sembra mancare della frazione degli inerti a grana grossa. Ciò potrebbe comportare una ridotta resistenza di taglio per attrito. Altri difetti osservati sono: riprese di getto, nidi di ghiaia, costipazione non adeguata. L’assenza di staffature appropriate sembra essere generalizzata, non solo nei nodi ma anche nei pilastri. Altro aspetto rilevante è l’assenza di adeguati giunti sismici.- La componente verticale del moto del terreno verificatasi nel near fault (hanging wall) ha aggravato significativamente la risposta al sisma. In alcuni casi potrebbe aver contribuito alle rotture ai piani alti o a metà altezza.- Nei centri circostanti L’Aquila è facile riscontrare marcate differenze nella risposta al sisma. Ne sono esempio Castelnuovo (IX-X MCS) e San Pio delle Camere (VI MCS), distanti appena 2 km. Tali differenze sono attribuibili alle diverse condizioni morfologiche, geologiche e geotecniche.- La muratura osservata in molti centri storici è di scarsa qualità, caratterizzata da elementi piccoli e non squadrati, malta di sola calce e abbondante, assenza di ricorsi orizzontali ben apparecchiati e di elementi di connessione trasversale.- Se la muratura non si disgrega funzionano bene presidi resistenti al sisma, quali le catene metalliche.- Non è semplice fornire una valutazione sintetica sulla vulnerabilità sismica degli edifici dell’Abruzzo investiti dal recente sisma, considerata la variegatezza del patrimonio edilizio quanto a tipi, epoca di costruzione, normative di riferimento, etc.- Tuttavia, i collassi e i gravi danneggiamenti di edifici in c.a., confrontati con i danni relativamente modesti di edifici vicini e altezza simile, sembrerebbero indicare forti variazioni di vulnerabilità.

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ROMALa vulnerabilità sismicanegli esempi aquilani

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Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli fondata da Giulio Carlo Argan

Umberto D’AngeloVezio De LuciaRoberto De MarcoPaola Nicita

L’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, fondata da Giulio Carlo Argan, si occupa dal 1991, con indiscussa competenza, del nostro patrimonio storico e artistico. Nel caso del terremoto dell’Aquila ha ritenuto indispensabile estendere lo sguardo critico dalle responsabilità in materia di beni culturali a tutti i profili della catastrofe: elaborando documenti, dialogando con specialisti di ogni disciplina, comitati locali, operatori della comunicazione, contestando errori politici e di gestione a ogni livello. In ragione di ciò, l’Associazione ha raccolto l’invito della Biennale, partecipando con il Power Point dal titolo Un terremoto post-moderno, curato da Umberto D’Angelo, Vezio De Lucia, Roberto De Marco e Paola Nicita. In poche immagini è esposta una storia del terremoto molto diversa da quella raccontata dai TG e dalla maggior parte dei giornali. La storia di una non ricostruzione, perfettamente rappresentata dalla scelta delle new town aquilane: una città surrogata da 19 periferie. In definitiva, la ricostruzione è stata affrontata esclusivamente come questione edilizia, mentre sono in rovina il centro storico e l’insieme di un importante patrimonio d’arte, di storia e di cultura. Una pratica della ricostruzione si era invece consolidata nelle molteplici catastrofi che hanno colpito il nostro territorio. Alcuni presupposti essenziali – in una fase tanto delicata del destino di intere popolazioni- sembravano ormai definitivamente acquisiti, come il confronto tra istituzioni e popolazioni, il ripristino delle relazioni sociali, la conservazione e il restauro del patrimonio culturale e ambientale. Al contrario, L’Aquila oggi rischia di proporsi come il paradigma di una modernità senza storia e senza cultura. Il disastro abruzzese, gestito finora solo in termini di propaganda politica, pretende una forte mobilitazione culturale, la rivalutazione di conoscenze e competenze specifiche e un coinvolgimento democratico e civile. Con ansia l’Associazione Bianchi Bandinelli, mentre indica con forza l’esigenza di un progetto culturale unitario per la ricostruzione, invita a interrogarsi su cosa potrebbe diventare questo nostro Paese delle mille catastrofi, se la logica dell’emergenza infinita e della gestione commissariale dovesse essere imposta come metodo ordinario.

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ROMAAssociazione Ranuccio Bianchi BandinelliL’Aquila 2009:un terremoto post-moderno

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Facoltà d’Architettura di Pescara, Università di Chieti «G.D’Annunzio»

Dipartimento di Ambienti Reti e Territorio

Prof. Valter Fabietti.

Collaboratore alla ricerca: Irene Cremonini

La prevenzione dei terremoti è sempre stata affrontata considerando la resistenza dei manufatti (edifici, opere d’arte, ecc.) alle sollecitazio-ni prodotte da un sisma sulle strutture edilizie. L’ ingegneria sismica, disciplina a cui storicamente si è affidato il compito di studiare la risposta delle strutture edilizie ai terremoti, trova il suo focus discipli-nare nella progettazione secondo criteri antisismici, ovvero nell’ade-guamento delle strutture già realizzate alla sismicità media (o massi-ma) di un’area. In Italia, dopo il terremoto dell’Irpinia del novembre 1980, è tuttavia emersa la consapevolezza che la protezione della città dagli effetti di un evento sismico non si può limitare alla sola sicurezza dei manufatti edilizi. Sempre più si è andata affermando la necessità di un approccio “territorialista” alla riduzione preventiva del rischio sismico. La prevenzione urbanistica del rischio, a differen-za di quanto avviene per quella edilizia, si traduce in politiche atte a mantenere in vita le prestazione che normalmente la città fornisce ai suoi abitanti. L’approccio territorialista al problema sismico conside-ra dunque la comunità urbana sottoposta a rischio “nel suo insieme” e non come somma di singoli edifici, cercando di comprendere, sotto il vincolo del budget economico disponibile, quali siano le azioni di prevenzione che possono ragionevolmente essere intraprese. Come è possibile costruire un’idea di sviluppo che tenga conto anche delle condizioni di rischio presenti in una determinata area territoria-le ? Una politica urbanistica di prevenzione si fonda sulla necessità di mantenere attivi i sistemi funzionali che costituiscono la città, senza i quali la città collasserebbe: si tratta, in altre parole, di definire qual è la Struttura urbana minima che deve emergere e rimanere funzionante anche dopo il terremoto. Il concetto di Struttura urbana minima è dunque legato al ruolo strategico che i diversi elementi che compongono un sistema urbano assumono nella vita ordinaria di una città. Se l’obiettivo finale è individuare una Struttura urbana minima (Sum) in grado di funzionare anche dopo la calamità naturale, occor-re comprendere quale sia, ad un dato momento, l’insieme di elementi che la compongono. Appare evidente che dovranno farne parte, anzitutto, quegli elementi urbani che assumono un ruolo contempo-raneamente non banale e di compresenza in più di uno dei sistemi funzionali che costituiscono l’insediamento urbano (produttivo, com-merciale, di governo, di servizio, ecc.): un edificio che ospita funzioni strategiche (il palazzo di governo, un edificio con funzioni quater-narie, ecc.), ma anche un edificio che ospita contemporaneamente attività collettive (una U.S.L.), funzioni commerciale e residenziali e che, inoltre, è un edificio vincolato o con valore storico-architettonico e che rappresenta un luogo di riconoscibilità urbana (che appartiene cioè alla mappa mentale della collettività urbana). In secondo luogo ne faranno parte gli elementi gerarchicamente più significativi di ogni sistema funzionale. Analoghe considerazioni si possono effet-tuare sui sistemi di comunicazione e mobilità, sui sistemi di addu-zione, sui sistemi degli spazi aperti che peraltro assumono, in alcuni casi, un ruolo rilevante anche per la sicurezza urbana post sismica (si pensi, ad esempio, ad un sistema di luoghi di raccolta, per la prima sistemazione di emergenza, alle vie di fuga, ecc.). La Sum, in quanto parte del sistema urbano, non permane sempre uguale a stessa nel tempo, ma si modifica con il modificarsi della città ed è modificata in relazione alle diverse opzioni di sviluppo definite dalla collettività lo-cale. La Sum non è dunque definibile una volta per tutte, ma si evolve di continuo in ragione delle prestazioni che la città deve offrire.

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PESCARAPrevenzione sismica: un nuovo approccio al problema. Le “strutture urbane minime”

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Università degli studi di Roma, “La Sapienza”

Prima Facoltà di Architettura “Ludovico Quaroni”

Dipartimento di Architettura e Progetto

Prof. Roberto Cherubini

conMarco GiordanoMaria Laura Mattu

Dipartimento per la Protezione Civile NazionalePresidenza del consiglio dei Ministri

Ing. Corrado SellerIng. Pasquale Gidaro

Il recente disastro dell’Abruzzo ha reso evidente la necessità di studiare una rete di Centri Operativi della Protezione Civile. Nell’ambito di una collaborazione tra il Dipartimento di Architettura e Progetto dell’Università di Roma “La Sapienza” e il Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sono nate le linee guida per l’individuazione e l’allestimento di Centri Operativi di Protezione Civile. Questo lavoro comune è stato accompagnato da una intensa fase di sperimentazione progettuale condotta dallo stesso Roberto A. Cherubini con Marco Giordano e Maria Laura Mattu, volta alla messa a punto di progetti pilota capaci di rappresentare compiutamente la complessità del tema architettonico nelle sue molteplici relazioni con le esigenze esterne economico-funzionali, urbane e ambientali. Coinvolgendo un laboratorio composto da un nutrito gruppo di studiosi, la sperimentazione si è applicata al caso realistico dell’integrazione del Centro Operativo di Protezione Civile nell’ampliamento di una grande struttura, quella del Museo Storico dell’Aeronautica sul Lago di Bracciano, a qualche decina di chilometri da Roma, anomala nel suo presentarsi come sistema di grandi contenitori indipendenti dislocati in un sito paesaggisticamente fragile esterno all’edificato urbano, in un’area metropolitana di primaria importanza. L’autorità militare a cui spetta la giurisdizione sul Museo si è positivamente prestata a favorire la sperimentazione che ha così potuto riguardare un ampio ventaglio problematico.Se le questioni della consistenza fisica del Centro Operativo, della dislocazione dei suoi elementi nell’organismo delegato a ospitarli, se lo studio degli aspetti funzionali, distributivi e tecnici di un edificio dai caratteri totalmente originali, hanno costituito l’insieme del campo sperimentale, una posizione di rilievo ha assunto in questo contesto il dato squisitamente formale dell’aspetto architettonico.Perché la necessità di attribuire diretta riconoscibilità ad un elemento nuovo nel panorama delle forme architettoniche contemporanee e allo stesso tempo l’esigenza di comunicazione connessa alla sua funzione, hanno implicato una ricerca di materiali e forme capaci di rispondere adeguatamente alle richieste di efficienza, trasparenza e sicurezza proprie dell’operatività in emergenza.Perché l’integrazione programmatica tra edificio ospite e contesto ospitante comporta una assunzione di responsabilità dell’architettura nei confronti del carattere e della sostenibilità di tale integrazione.Perché la diffusione futura di questa forma edilizia, associata all’esigenza di sicurezza propria del contemporaneo, candida il Centro Operativo ad una funzione non solo tecnica ma simbolica per la collettività cui fa riferimento. Funzione simbolica che gli strumenti del progetto architettonico possono pienamente soddisfare in termini di presenza, identificabilità e identità. Responsabili scientifici del programma sono il Prof. Roberto A. Cherubini per l’Università di Roma e gli Ingegneri Corrado Seller e Pasquale Gidaro per il Dipartimento della Protezione Civile.

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ROMAL’edificio che (ancora) non c’è:centri operativi di protezione civile.Linee guida e progetti pilota

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Lo scopo della sezione “Cantiere online” è superare i confini della Biennale. Rendendo accessibile il progetto “Epicentro” attraverso la rete si vuole costruire un’area

aperta dove inserire proposte e riflessioni.Il sito www.epicentroproject.net ospiterà contributi e riflessioni su L’Aquila e sui terremoti, estendendo i luoghi del dibattito e consentendo anche interventi da luoghi lontani.

Cantiere online

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Il progetto E-picentro è la tappa di un percorso cominciato poco dopo il 6 Aprile del 2009. L’Esposizione alla Biennale è l’occasione che ha consentito, grazie al lavoro corale e all’aiuto generoso di tante persone, di raccontare le molte facce della realtà del terremoto. Raccontare il terremoto attraversando la complessitá del problema, dalla documentazione della sofferenza delle persone, alla messa in campo di uno sforzo collettivo e propositivo che coinvolge saperi e sensibilità diverse, di ricercatori e intellettuali, per indicare strategie e percorsi al fine di uscire nel migliore dei modi dallo stato di necessità.I fotografi hanno raccontato con immagini che corredano questa pubblicazione lo stato di fatto, la realtà post sisma, gli artisti e gli scrittori hanno suggerito sguardi e modi di vedere che aiutano a considerare la realtà da punti di vista a tratti radicali. I contributi di ricerca indicano possibilità d’uscita e di riscatto, che da una realtà di devastazione possano traghettare verso scenari futuri, se possibili migliori. Il loro non è stato e non sarà solo un contributo estemporaneo, ma un appoggio fondamentale per mettere meglio a fuoco problemi e approcci, che guideranno

La riflessione continua

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le prossime tappe di questo percorso. L’articolazione del lavoro, che risponde all’esigenza di affrontare la complessità del problema, e i risultati, che continueranno a venire raccolti, confluiranno, passando attraverso una fase di revisione critica, in una riflessione a lungo termine. Altre pubblicazioni a venire completeranno questo primo progetto editoriale di commento al lavoro fatto, al fine di documentare al meglio la ricchezza e varietà dei lavori originali di colleghi, scrittori e artisti raccolti. Il laboratorio scientifico che coinvolge istituti e università italiane e straniere, andrà avanti, nella speranza di allargare le “alleanze” con progettisti e ricercatori, propondendo - in occasioni a venire e a un pubblico sempre più vasto - lo stato di avanzamento di questo lavoro. Sono previsti, tra le altre cose, workshop e mostre itineranti che ne porteranno i risutati il più lontano possibile, con il desiderio e il proposito di coinvolgere sempre di più gli attori locali.La raccolta di riflessioni e contributi continuerà ad arricchire per tutta la durata della biennale attraverso un costante aggiornamento, il cantiere che in poco tempo con grandi sacrifici e generosità di moltissimi siamo riusciti, insieme, a mettere in piedi. A loro tutti il nostro più sentito ringraziamento

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The 12th International Exhibition of Architecture treated by Kazuyo Sejima proposes the theme “Architecture meets people; people meet architecture”. Sejima throws a challenge for the planners to include up to what the architecture will be able to express the demands of the modern life. Based on these suggestions we have developed the project “E-PICENTRO “. From the instability to the balance: a project of urban regeneration. Reflections on site about the future of the vulnerable cities. The project “e-picentro“ focuses on the theme of rebuilding in areas struck by seismic events. The main focus is on how the role of architecture, individuals and society in emergency situations changes when produce destruction and devastation as well as a losing the social connections. In this instance the project “e-picentro“ faces the theme of rebuilding in the L’Aquila province struck by the earthquake in April 6 2009. The collapse of the houses, the loss of the collective spaces, the sudden change of the modus vivendi makes so that in the individuals and in the society will emerge the perception of a doubled dimension of public-private view of the drama. The action of rebuilding, then, does not limit itself to the restoration of the functions of the city but it becomes an operation of rebuilding of the collective and personal identity of the involved subjects. “e-picentro” wants to stimulate a critical reflection on all that has been done and it will have to be done in terms of project in the area of the crater of L’Aquila, taking into account that it is not sufficient to rebuild the city but it is necessary to repair the connections, the economy, the accounts recovering the typical aspects with the challenge to transform them into new and better configurations. Today few ones know the dramatic process of rebuilding of a city destroyed by an earthquake. The city of L’Aquila is beyond the emergency, a true project is still not perceived for the future; his heart is still isolated, many zones of the urban historical town are inaccessible to the people who used to live there, all the small centers around the main town have undergone a drastic increase of the number of the

English

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resident population in connection with an unchanged number of services. This deep fracture has caused a profound crisis in the social structure, and obliges us to some considerations. The violence of the catastrophe that erase in few minutes the time and the history of a city shows us a disastrous scenery: the “unity of quarter” that contribute to the creation of the identity of the space are by actually fragmented, the urban voids in the urban cloth and social are at present not healed. This is undoubtedly the real problem of rebuilding L’ Aquila. The historical city and his modern suburbs are left, his economy, his University, his professional resources, his institutions are in deep crisis. Probably we have the abilities of rebuilding the buildings, but of, of course, we cannot yet manage the process of recovery the economic, social and cultural dimension of the whole territory.It is necessary a project, a dream, a strategy that will carry in the city new resources and new development structures. L’Aquila needs that we will produce for his community a vision of the future, a development model that pursues new manners of living and of living in the places themselves. It is needed to pass from the negative, from the mistake, from the breakup to a rebirth project. The majority does not define the cities only as generating of cultural impulses, of economic and social processes, but like “seismograph“ of the conflicts and of the global development. L’Aquila, Port au Prince, Santiago in Chile and Kobe are not only joined by tragic experiences, their vulnerability is paradigmatic of a challenge that accompanies the history of the civilization and which now calls to an unalterable reflection on the balances, the instabilities and the future orders that need to be restored.

With the term “roots“ we indicate our place of belonging, our point of departure, that complex and tangled space of accounts that help to define “us“ compared to „others“. Our land is much more than one physical place, it is a system of interactions, an urban microcosm from whom we start to move to it in the world.The earthquake that has struck the province of L’Aquila has swept away roads, palaces, squares, but above all it has interrupted connections, cancelled memories, immobilizing the daily nature in a static present time.In these past months we have seen some spontaneous events that have brought back the attention to the theme of the rebuilding triggering an intense debate on the formalities and how to regenerate the territories struck by the earthquake. The reason of this consultation is to involve the world of the culture (architects, artists, poets, writers) to submit proposals to revitalize the city leaving from the temporary and spontaneous use of the empty spaces. In case of the territory of L’Aquila the Biennial can document all that has been done and it is currently done, and above all we are asking to give a new look and to produce ideas and projects for the near future, to reflect on what can be immediately done to help the city to born again to new life. It is important to reflect on which actions can be activated in the

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difficult period of transition that passes between the abandonment of the city and his restoration. We need to promote a design process able to give or give back to the places a new sense also through the research of temporary meanings.The spaces emptied by the earthquake are spaces not lived anymore; that will have to be brought back to new life. The theme is: how a city can born again, how to involve the inhabitants, how does the life of a community can rise again starting from the re-owning of his places, old and new, devoid or less than one identity. Here are only some of the questions we need to address and to which it will be necessary to give an answer: How will it be possible to improve the quality of the life in these places devoid of the most elementary services? What sell we do with the areas left from the demolitions? How will the integral and partial rebuilding be realized on the damaged buildings?, Which will be the look of the new public spaces? how will the inhabitants of the struck places relate in these new spaces? We ask therefore to propose new ideas, solutions and models, which are able to revitalize, even if in a temporary way, the urban areas forcedly left after the earthquake. We do not put limits to the ability of your imagination and we invite you to produce “actions” that will help the return of the town to a renewed “normality”.

It is necessary to consider the project as a point of departure, an open reflection and it develops as follows: 1 – The tent of “Ideas for l’Aquila” where an evocative reflection is organized in the space on the theme of the period of transition that passes between the abandonment of the territory and his rebuilding. Here there will be shown the first materials produced by the International Consultation recently issued on this theme that will see cultural contributions by architects’, artists’, photographers’, writers’ and directors’ from all the world. Displayed documents are updated regularly to highlight the character of open yard event . 2 – The’”Aqui_lab” inside the Pavilion “Modelli” where there are shown the contributions and the scientific researches produced by National and International Institutions that tell ideas and projects in progress on the Aquila territory. During the exhibition of the creative and scientific contributions there unwind besides activities of workshops that will see involved the Italian and foreign Universities. 3 – A section “Site online” makes accessible and enriches the contributions, becomes a place where insert proposals and ideas through the site www.epicentroproject.net.Furthermore Epicentrum is enriched with an online competition open to professionals and students, this is a place of reflections and debates on-ideas for spaces of transition, generated by abandonment pending the rebuilding. The results of the contest will be proclaimed during the closure ceremony of La Biennale

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PHOTO CREDITS

© Claudio Cerasoli p. 4/5, 24, 32, 34, 36, 39, 40, 42, 90/91, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 118, 120, 122, 124

© Giampiero Duronio p. 15, 17, 18, 21, 26, 29, 46, 47

© Giampiero Duronio p. 44/45 Sergio Maritato

© Mario Ferrari p. 48, 51, 52, 53, 55, 56/57

© Sami Haven p. 58, 61, 62, 63, 64, 65

© Giorgio Stockel p. 6/7, 8, 11, 13, 30, 82, 85, 86, 89

© Studio di Architettura p. 79, 80, 103Pfeifer Kühn Architekten,Freiburg Germania

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Enti promotori: Università degli Studi di Roma “Sapienza”, Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni,Dipartimento Architettura e Progetto(Prof. Piero Ostilio Rossi)Technische Universität Darmstadt, Fachbereich Entwerfen und Wohnungsbau (Prof. Günter Pfeifer)

Curatori: Guendalina Salimei e Christiano Lepratti

Comitato scientifico: Luciano De Licio, Markus Gasser, Rosario Pavia,Günter Pfeifer, Piero Ostilio Rossi

Coordinamento: T-studio

Event management:T-studio Giammetta & Giammetta

In collaborazione con: Oreste Casalini, Luigi Centola, Mario Ferrari,Annette Rudolf-Cleff, Nicoletta Trasi

per T-Studio Guendalina Salimei Francesca Contuzzi Alessandra De Berardis Maria Cristina Sorvillo Dea Politano Nicoletta Valanzano

conLinda MambriniAlessandro Di Clemente Francesco D’AmbrosioSara PascoliniValeria Di ToroVirna Mastrangelo

per Giammetta & GiammettaGianluigi Giammetta, Marco Giammetta, Stefania Paola Candelori,Laura Quattrini, Sante Cerquotti Giorgia Buccino

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stampa/print luglio/july 2010

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