4
Il 20 ottobre scorso, nella Sala Consiliare del Munici- pio Roma 1 Centro (Sede di Via della Greca) si è tenuta la cerimonia di premiazione delle opere presentate al 2° concorso di poesia e prosa organizzato dalla no- stra Associazione, dal titolo ―Un foglio trovato per ter- ra‖. Un grazie particolare vogliamo indirizzare alla Presidenza del Municipio che, sempre attenta ai fatti culturali, ha reso disponibi- le questa splendida loca- tion e ci ha concesso il pa- trocinio per l’evento ed in particolare ringraziamo la nostra amica Sara Lilli, Con- sigliere del 1° Municipio, per la collaborazione pre- stata nell’organizzazione e la buona riuscita dell’incon- tro! Molte le opere presen- tate, sia nella categoria poesia che in quella prosa. L’organizzazione aveva de- ciso di premiare i primi tre classificati di ogni categoria e di riconoscere agli altri un ―diploma di partecipazio- ne‖. Questo perché tutte le opere sono risultate molto apprezzabili e meritorie di citazione ma, trattandosi di un concorso, qualcuno do- veva per forza essere nomi- nato nei primi tre posti! Ecco, dunque, le opere classificatesi ai primi posti. Categoria ―poesia‖: ―Gelo‖ di Patrizia Coen: La solitudine, coperta gelata sulla pelle, misteriosa ti abbraccia, e per scaldarti devi capirla, per non morire assiderato. Nella categoria ―prosa‖ si è classificato lo scritto ―Tempi passati‖ di Massimo Callery: Le parole di mio Nonno mi tornano in mente: andiamo, forza, che il direttissimo non aspetta! Il direttissimo: oggi, per i più, è nient’alto che un aggettivo superlati- vo quasi in disuso; per me parola magica che mi ripor- ta indietro nel tempo, quan- do una volta l’anno con il treno “direttissimo” si anda- va in vacanza in montagna. Ho tutto qui, chiaro e vivido nella mia mente: gli ultimi giorni di sottile frenesia in casa, Nonna e Mamma che riempivano il baule da spe- dire in montagna e poi, fi- nalmente, il gran giorno! Si partiva la sera e io non ve- devo l’ora di andare alla stazione. Saremmo partiti mia sorella ed io insieme a i Nonni: Papà e Mamma sa- rebbero arrivati più tardi. Stazione Termini, sera. Il direttissimo è pronto al bi- nario: due sezioni: Calalzo e Dobbiaco. Noi andiamo a Dobbiaco. All’inizio non c’erano le cuccette e si viaggiava seduti; in prima classe, si, perché Nonno era un dipendente FS e avevamo i biglietti gratis! (del vagone letto neanche se ne parlava: era destinato ai turisti americani…) Ricor- do: noi quattro affacciati al finestrino, grande, e Papà e Mamma sul marciapiede. Papà guardava noi ed il segnale in fondo al binario e Mamma che dava a noi le ultime direttive “comportamentali”! E final- mente la voce di Papà: è verde! Allora baci, saluti, venite presto…, fate i bra- vi… ed il treno si muoveva. Iniziava così il grande viag- gio che ancor oggi potrei raccontare nei dettagli an- corché siano passati quasi sessant’anni! Dormire? In treno? Di not- te? Non ci sono mai riusci- to. Per me viaggiare, anche passando per la stessa strada, è guardare, vedere, riempirmi gli occhi di ciò che c’è intorno. E viaggiare di notte aggiungeva alle sensazioni visive anche quelle olfattive: la ferrovia, la notte, ha un suo odore particolare, affascinante; e mentre viaggia il treno at- traversa una sequenza infi- nita di odori differenti. A occhi chiusi si potrebbe dire: siamo in piena campa- gna, qui c’è una fattoria, qui un bosco, qui un’indu- stria… e quando il treno si ferma nel pieno buio, senza nulla intorno, allora si sen- tono i grilli e le cicale! Certo non “reggevo” tutta la not- te: l’età pretendeva la chiu- sura degli occhi! Così a tar- da notte mi sedevo sul mio sedile di velluto rosso e dormivo, cullato dal rumore ritmico del treno che mi portava in vacanza! La mat- tina si sarebbe arrivati in- torno alle 10 (non c’era mica l’alta velocità all’epo- ca) ma io fin dalle sei ero di nuovo al mio amato finestri- no a “bere” con gli occhi il mutevole panorama all’e- sterno. E, finalmente, Dob- biaco. Discesa con “armi e (Connua a pagina 2) SOMMARIO: 2° concorso di poesia e prosa 1 Le ―3P‖ della Sicilia 2 Il modellismo ferroviario 3 La ―Celere‖ 4 2° Concorso di Poesia e Prosa Le opere vincenti le due categorie C’è uno spazio per noi! DICEMBRE 2017 ANNO 2—NUMERO 8 NOTIZIE DI RILIEVO: A gennaio 2018 saranno inviati i moduli per la candi- datura alle cariche statu- tarie dell’Asso- ciazione

C’è uno spazio per noi! - Libero.it

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Page 1: C’è uno spazio per noi! - Libero.it

Il 20 ottobre scorso, nella

Sala Consiliare del Munici-

pio Roma 1 Centro (Sede di

Via della Greca) si è tenuta

la cerimonia di premiazione

delle opere presentate al

2° concorso di poesia e

prosa organizzato dalla no-

stra Associazione, dal titolo

―Un foglio trovato per ter-

ra‖. Un grazie particolare

vogliamo indirizzare alla

Presidenza del Municipio

che, sempre attenta ai fatti

culturali, ha reso disponibi-

le questa splendida loca-

tion e ci ha concesso il pa-

trocinio per l’evento ed in

particolare ringraziamo la

nostra amica Sara Lilli, Con-

sigliere del 1° Municipio,

per la collaborazione pre-

stata nell’organizzazione e

la buona riuscita dell’incon-

tro! Molte le opere presen-

tate, sia nella categoria

poesia che in quella prosa.

L’organizzazione aveva de-

ciso di premiare i primi tre

classificati di ogni categoria

e di riconoscere agli altri un

―diploma di partecipazio-

ne‖. Questo perché tutte le

opere sono risultate molto

apprezzabili e meritorie di

citazione ma, trattandosi di

un concorso, qualcuno do-

veva per forza essere nomi-

nato nei primi tre posti!

Ecco, dunque, le opere

classificatesi ai primi posti.

Categoria ―poesia‖: ―Gelo‖

di Patrizia Coen:

La solitudine,

coperta gelata sulla pelle,

misteriosa ti abbraccia,

e per scaldarti

devi capirla,

per non morire assiderato.

Nella categoria ―prosa‖ si è

classificato lo scritto

―Tempi passati‖ di Massimo

Callery:

Le parole di mio Nonno mi

tornano in mente: andiamo,

forza, che il direttissimo

non aspetta! Il direttissimo:

oggi, per i più, è nient’alto

che un aggettivo superlati-

vo quasi in disuso; per me

parola magica che mi ripor-

ta indietro nel tempo, quan-

do una volta l’anno con il

treno “direttissimo” si anda-

va in vacanza in montagna.

Ho tutto qui, chiaro e vivido

nella mia mente: gli ultimi

giorni di sottile frenesia in

casa, Nonna e Mamma che

riempivano il baule da spe-

dire in montagna e poi, fi-

nalmente, il gran giorno! Si

partiva la sera e io non ve-

devo l’ora di andare alla

stazione. Saremmo partiti

mia sorella ed io insieme a i

Nonni: Papà e Mamma sa-

rebbero arrivati più tardi.

Stazione Termini, sera. Il

direttissimo è pronto al bi-

nario: due sezioni: Calalzo e

Dobbiaco. Noi andiamo a

Dobbiaco. All’inizio non

c’erano le cuccette e si

viaggiava seduti; in prima

classe, si, perché Nonno

era un dipendente FS e

avevamo i biglietti gratis!

(del vagone letto neanche

se ne parlava: era destinato

ai turisti americani…) Ricor-

do: noi quattro affacciati al

finestrino, grande, e Papà e

Mamma sul marciapiede.

Papà guardava noi ed il

segnale in fondo al binario

e Mamma che dava a noi le

ultime direttive

“comportamentali”! E final-

mente la voce di Papà: è

verde! Allora baci, saluti,

venite presto…, fate i bra-

vi… ed il treno si muoveva.

Iniziava così il grande viag-

gio che ancor oggi potrei

raccontare nei dettagli an-

corché siano passati quasi

sessant’anni!

Dormire? In treno? Di not-

te? Non ci sono mai riusci-

to. Per me viaggiare, anche

passando per la stessa

strada, è guardare, vedere,

riempirmi gli occhi di ciò

che c’è intorno. E viaggiare

di notte aggiungeva alle

sensazioni visive anche

quelle olfattive: la ferrovia,

la notte, ha un suo odore

particolare, affascinante; e

mentre viaggia il treno at-

traversa una sequenza infi-

nita di odori differenti. A

occhi chiusi si potrebbe

dire: siamo in piena campa-

gna, qui c’è una fattoria,

qui un bosco, qui un’indu-

stria… e quando il treno si

ferma nel pieno buio, senza

nulla intorno, allora si sen-

tono i grilli e le cicale! Certo

non “reggevo” tutta la not-

te: l’età pretendeva la chiu-

sura degli occhi! Così a tar-

da notte mi sedevo sul mio

sedile di velluto rosso e

dormivo, cullato dal rumore

ritmico del treno che mi

portava in vacanza! La mat-

tina si sarebbe arrivati in-

torno alle 10 (non c’era

mica l’alta velocità all’epo-

ca) ma io fin dalle sei ero di

nuovo al mio amato finestri-

no a “bere” con gli occhi il

mutevole panorama all’e-

sterno. E, finalmente, Dob-

biaco. Discesa con “armi e

(Continua a pagina 2)

S O M M A R I O :

2° concorso di

poesia e prosa

1

Le ―3P‖ della

Sicilia

2

Il modellismo

ferroviario

3

La ―Celere‖ 4

2° Concorso di Poesia e Prosa Le opere vincenti le due categorie

C’è uno spazio per noi! D I C E M B R E 2 0 1 7 A N N O 2 — N U M E R O 8

NO TI ZI E D I

R I L I E VO :

A gennaio

2018 saranno

inviati i moduli

per la candi-

datura alle

cariche statu-

tarie dell’Asso-

ciazione

Page 2: C’è uno spazio per noi! - Libero.it

P A G I N A 2

Al visitatore che si accinge a sbarcare a Messina, proveniente dal "continente" (come viene definita l'Italia dai locali)

gli si apre di fronte un mondo pieno di sorprese ,tutte da scoprire. e apprezzare, Iniziamo dalla nave traghetto ("u

ferry bot" in lingua locale ): sovente si inganna il tempo della traversata, al bar a mangiare ...un arancino o arancina

( qui i linguisti siciliani si azzuffano). Attenzione però :l'arancino sulla tratta Villa S.Giovanni — Messina è diverso da

quello Messina — Villa S.Giovanni, non mi chiedete perché, perché non lo so ma è così, provate quando vi capita e

fatemi sapere. A proposito, lo sapevate che il porto di Messina è il più pulito d'Italia? Questo per le forti correnti che

lo attraversano, motivo anche questo che rende difficoltosa la costruzione del tanto chiacchierato ponte. Sulle auto-

strade che vanno da Messina a Palermo o a Catania si allieteranno i vostri occhi alla vista di enormi cespugli verdi

arrampicanti sul muro laterale destro ricchi di capperi, e di siepi rossi, viola ,arancioni di boungaville che fanno da

spartitraffico tra i due sensi di marcia. Dopo una 50na di km in direzione Catania sulla sinistra vi accoglie la vista di

un mare di un colore cangiante : blù, viola, celeste, bello a vedere e il desiderio di immergervi è forte; siamo a Taor-

mina e sotto di voi si apre, a ventaglio, la baia di Giardini Naxos. Esistono parole di fronte a questo paradiso terrestre

in terra? Se si io non le ho mai trovate!! Ma, purtroppo, dobbiamo proseguire verso le 5 P. Deviamo e torniamo

sull'autostrada per Palermo lasciandoci alle spalle quel ben di Dio! Ora il panorama cambia decisamente; la terra è

gialla, ricca di biondo grano, di campi ben coltivati, qualche vigneto, qualche pascolo, abbiamo ora un viaggio di cen-

to km circa davanti; inganniamo il tempo ripassando un pò di storia. Nel 1929, regnante S.E. Vittorio Emanuele III Re

d'Italia e d'Albania, e S.E. Benito Mussolini Capo di Gabinetto, si presentava un problema spinoso per il governo: nel

vasto territorio che andava da Palermo a Catania dominava brigantaggio, abigeato, furti, "ammazzatine" di vario ge-

nere,( una situazione quindi ) non più rinviabile che andava risolta subito e con pugno fermo. Il capo del governo,

Benito Mussolini si recò a tal fine, a Piazza Armerina . Era allora, ed è tuttora, una ridente cittadina ricca di storia e di

tacce significative del suo passato: vedi i suoi mosaici ammirati ed apprezzati da molti turisti che ,ancora oggi, ven-

gono da tutto il mondo, per visitarli Il suo intento era quello di spezzare il territorio per governarlo meglio, inserire

cioè una terza provincia tra quelle di Palermo e di Catania, e quindi chi meglio di Piazza Armerina rispondeva alle sue

esigenze? Nessuna! Ma...(c'è sempre un ma!) il federale di Piazza Armerina, per motivi a me ignoti, ma storicamente

comprovati, risultò a Sua Eccellenza profondamente antipatico; egli se ne torno a Roma con le scatole piene, si fece

portare una carta geografica della Sicilia e decise: vicino a Piazza Armerina c'era un paese su un cocuzzolo di monta-

gna alto 120 m. s.l.m. ,di nome Castrogiovanni. Corrispondeva perfettamente alle sue necessità kilometriche e quin-

di decise : Castrogiovanni sarebbe stato elevato a capoluogo di provincia con l'antico nome greco di ENNA. Ordinò

subito di diramare dispacci telegrafici al federale del luogo nominandolo prefetto e "pregandolo"di adempiere celer-

mente a tutte le incombenze necessarie all'uopo. Il poveretto,(si dice) che non voleva credere a quanto stava avve-

nendo e che , a sua volta, telegrafò chiedendo conferma. Avutala da uno scocciato funzionario, non gli rimase che

mettersi all'opera. Iniziò col cercare locali che rispondessero alle bisogne: questura, prefettura, caserma per la bene-

merita, banche ecc. ecc. Come riempirli di addetti? E qui iniziano le nostre P: con Promozioni, Punizioni, Prime nomi-

ne, Pazzi e Paesani. A queste regolette inciampai anche io, quando nel 1967, promosso al primo scalino della scala

gerarchica direttiva, fui trasferito da Messina a Enna per promozione e prima nomina. Oggi andando indietro con la

memoria posso dire convintamene ,che quello è stato un perfido meraviglioso, sia per me che per la mia famiglia tra

quei pazzi e paesani con i quali ancora oggi ,a distanza di circa 50 anni intrattengo rapporti di affetto ed amicizia.

2° concorso di poesia e prosa

bagagli” come diceva mia

Nonna e con mio Nonno

che diceva eccolo là l’O-

letto! L’Oletto era il treni-

no bianco e azzurro che

andava da Dobbiaco a

Cortina, nostra destina-

zione finale. Non ho mai

saputo perché mio Nonno

chiamasse quel simpatico

(Continua da pagina 1) trenino col nome di Olet-

to: era un nomignolo col

quale lui ed io chiamava-

mo questo fedele amico

che ritrovavamo ogni an-

no ad inizio estate!

Oggi, tanti anni dopo,

sono a Dobbiaco. Guardo

gli abeti della stazione e

penso che loro mi hanno

visto, alla mano dei miei

Nonni, cambiare treno

per andare a Cortina.

Solo loro sono rimasti: i

Nonni non ci sono più,

non ci sono più le locomo-

tive sbuffanti e fumanti,

non c’è più l’Oletto ed io

stesso, ormai, mi incam-

mino sulla strada del tra-

monto. Ma qualcosa ri-

marrà sempre in me:

andiamo, forza, che il

direttissimo non aspetta!

C ’ È U N O S P A Z I O P E R N O I !

Le “3 P” della Sicilia Di Ascanio Rosa

Page 3: C’è uno spazio per noi! - Libero.it

Il modellismo ferroviario di Massimo Callery

P A G I N A 3 A N N O 2 — N U M E R O 8

―Ah, giochi ancora con i treni-

ni!‖ è un commento ―gentile‖

che mi sono sentito dire parec-

chie volte nel corso della vita!

E, un amico: ―I trenini e le tette

sono fatti per i bambini ma ci

giocano i grandi!‖, più velenosa

ma almeno simpatica… Questo

è lo spirito comune col quale

viene guardato (e giudicato) il

modellista ferroviario

(fermodellista) in Italia! E allora

ho deciso di scrivere quattro

parole per cercare di chiarire a

tutti ―chi è‖ il fermodellista!

Qualcuno ha detto: ―beato l’uo-

mo che ha un hobby, può vive-

re in due mondi contempora-

neamente‖! E questo è un po’

quello che succede a noi ap-

passionati di ferrovie in minia-

tura. C’è il mondo esterno, con

tutti i suoi pro e contro, e c’è il

nostro mondo dove viviamo

per qualche minuto o qualche

ora una vita come noi voglia-

mo. Sapete che ci sono diversi

tipi di fermodellisti? C’è il

―contachiodi‖: è colui che com-

pra un modello solo dopo aver-

ne analizzato fin nel più piccolo

particolare la riproduzione mo-

dellistica e che è capace di

contestare (testi alla mano)

anche la più piccola imperfe-

zione (da qui il suo sopranno-

me); c’è il ―plasticista‖ che

sorvola sulle possibili inesat-

tezze ma

vuole un mo-

dello che

possa girare

sul suo pla-

stico facen-

dogli vedere

in miniatura

ciò che ha

visto nella

realtà… e,

all’interno di

questi due

grossi gruppi,

altri sotto-insiemi che non vale

la pena analizzare… L’ultima

categoria, la più grande, è

quella dei ―fermodellisti sogna-

tori‖: sono coloro i quali vivono

in case piccole dove lo spazio è

tiranno o dove il/la compagno/

a non condividono la passione

ed allora nel week-end aprono

un armadio che contiene i loro

sogni in scatola e guardano e

riguardano i vari modelli co-

stretti all’immobilità sognando

plastici enormi con frecciaros-

sa che corrono qua e la, con

manovre infinite e treni merci

che spostano derrate nel pae-

se… Lo spirito, in fondo, è que-

sto: costruire un mondo in mi-

niatura dove replicare la realtà.

Ideare un paesaggio che si ha

nel cuore e ―vestirlo‖ con la

ferrovia, immaginando di esse-

re il padrone, il direttore, il ca-

postazione, il manovratore ed il

macchinista di treni al servizio

della società e dove tutto è

perfetto, tutto è come lo si vor-

rebbe. La realtà è la guida di

realizzazione di tutto questo

tanto che, alcuni, si sono in-

ventati delle carte di

―imprevisti‖ (come nel Mono-

poli): ogni tanto alzano una

carta e leggono l’imprevisto:

grande presenza di viaggiatori,

aggiungere una vettura; guasto

al locomotore del merci xxx,

sostituire la

macchina e

via così! Un

sogno reale?

Una realtà di

sogno? Chis-

sà! Ma se

volete prova-

re basta chie-

dere: vi porto

a fare un giro

nel nostro

piccolo mon-

do reale!

C’è uno spazio per noi! - Associazione no profit - Sede in 00153 Roma, Via di Monte Fiore 7 - Tel 3381656113

C.F.: 97849130584 - E-mail: [email protected] - WEB: digilander.libero.it/ceunospaziopernoi

FaceBook: C’è-uno-spazio-per-noi-123607898015756/

Massimo Callery—Passa il treno

Massimo Callery—Uno sguardo dal ponte

Il Consiglio Direttivo augura a tutti i Soci, gli

amici ed i simpatizzanti un Felice Natale ed un

prospero 2018!

Page 4: C’è uno spazio per noi! - Libero.it

mente sulla gamba o sul palmo

della mano, con due autoblindo

munite di idranti che all’improv-

viso sputano un nervoso, bre-

vissimo getto d’acqua; l’Ufficia-

le al comando, il noto e temuto

Commissario Goffredo, con la

sciarpa tricolore a tracolla

avanza di due passi e si sta

portando un megafono alla

bocca, quando dal portone del

Liceo esce a passo sostenuto il

Preside Marco Ercoli, impettito

nel suo solito completo grigio,

camicia bianca, cravatta blu

con righine avorio, scarpe luci-

dissime: attraversa rapidamen-

te la strada e sale sul primo

gradino, il cranio rasato luccica

al pari degli elmetti, sul bavero

della giacca spicca la decora-

zione al valor militare consegui-

ta nella 7^ battaglia dell’Isonzo

(è un “ragazzo del ’99”); alza

verso il Commissario il palmo

destro ed il braccio sembra

allungarsi a dismisura quasi a

fermare la truppa impaziente,

poi gira il capo lentamente in

alto puntando l’indice sinistro

verso la figura nera e la sua

voce baritonale tuona nel silen-

zio spettrale che è sceso sulla

piazza: «ehi tu, prete, che sei

titolare dell’ora di religione,

scendi fra noi, perché oggi si fa

lezione qui, anche ad oltranza,

magari di storia!» Un boato di

esultanza liberazione gioia spe-

ranza vittoria si leva nel cielo

azzurro, il megafono si abbassa

lentamente, i manganelli si

fermano. Il 26 ottobre 1954, a

seguito del Memorandum di

Londra del giorno 5 dello stes-

so mese, Trieste tornerà all’Ita-

lia.

come l’Etna o il coperchio della

pentola a pressione quando

lugubri, acuti, intermittenti ulu-

lati gelano l’entusiasmo. I ra-

gazzi dell’Albertelli però non si

disorientano, anche perché si

pone a loro capo con prontezza

e decisione Luigi D’Argenio, un

maturando figlio di un poliziotto

che forse è tra quelli che stan-

no per irrompere nella piazza: è

appena diciottenne, di bell’a-

spetto, non molto alto, occhi

grifagni, capelli neri ricci, corpo-

ratura atletica, voce squillante,

sportivo, studioso; otterrà la

laurea con lode in Giurispru-

denza a tempo di record e farà

carriera nei Carabinieri, ma per

ora guida i compagni con sec-

chi ordini e ampi gesti delle

braccia; la folla di ragazzi si

compatta senza confusione, si

dirada un po’ e torna a stringer-

si, si muove sinuosamente on-

deggiando, cambiando velocità

e direzione, come lo stormo

degli storni che al tramonto

volteggiano nel cielo prima di

posarsi tutti in-

sieme fra le ac-

coglienti fronde

degli alberi, si

raggruppa vo-

ciante al centro

del biancore del-

la scalinata di

Santa Maria

Maggiore, sulla

sommità Monsi-

gnor Antonio Salvini, con la sua

lunga veste nera abbottonata

dal collo ai piedi, le mani con-

giunte con le punte delle dita

che sfiorano il mento, osserva

impassibile la scena; si scorgo-

no visi alle finestre dei palazzi

circostanti, radi passanti indu-

giano negli angoli più lontani,

un gruppetto di persone – una

con un binocolo da teatro – si

accalca sul terrazzo dell’anti-

stante Ambasciata Argentina;

ai piedi della Basilica si schiera

un robusto cordone di polizia,

file di elmetti d’acciaio scintil-

lanti sotto i raggi di un tiepido

sole, manganelli battuti ritmica-

La Celere, il 1° Reparto Celere

di stanza a Castro Pretorio, il

pupillo del Ministro dell’Interno

Mario Scelba, entra di solito in

azione per disperdere assem-

bramenti ritenuti pericolosi,

cortei di protesta non autorizza-

ti, manifestazioni sediziose; tre

squilli di tromba annunciano

l’inizio delle cariche: a grande

velocità le jeep (le

―camionette‖, in maggior parte

residuati bellici) saettano a

sirene spiegate tra la gente,

con a bordo i ―Celerini‖ che

menano sonore manganellate

a chiunque capiti a tiro e nella

primavera del 1952 sotto tiro

sono soprattutto gli studenti,

da tempo in subbuglio per la

―questione triestina‖, che si

trascinava dalla fine della guer-

ra, quando la Venezia Giulia

era stata divisa nelle Zone A

(comprendente anche Trieste)

amministrata dagli Alleati e B,

occupata e amministrata dalla

Jugoslavia. Sabato 8 marzo, a

Trieste, una bomba esplode fra

i partecipanti ad un corteo e la

notizia si diffonde rapidamente

nel Paese. Gli Universitari di

Roma, subito riunitisi presso la

fontana della Sapienza, decido-

no di sollecitare tutti ad unirsi

alla protesta ed il lunedì suc-

cessivo, ben prima dell’inizio

delle lezioni, presidiano gli in-

gressi degli Istituti della Capita-

le; le aule sono deserte, i Licea-

li del Righi di Via Boncompagni

si fermano in Via Veneto davan-

ti all’Ambasciata Americana,

quelli del Visconti dal Collegio

Romano e dell’Artistico da Ri-

petta cercano di arrivare a

Montecitorio e al Senato, l’Al-

bertelli si accentra a Piazza

dell’Esquilino con l’intento di

raggiungere il Viminale, le staf-

fette in bicicletta urlano: «sono

partite le colonne dell’Augu-

sto… del Mamiani… del Virgi-

lio… del Giulio Cesare… dell’In-

dustriale… !», la Città è in fer-

mento, salgono i cori patriottici,

le invettive, la veemente rabbia

giovanile sta per esplodere

La “Celere” di Luigi Di Rocco

P A G I N A 4