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Il 20 ottobre scorso, nella
Sala Consiliare del Munici-
pio Roma 1 Centro (Sede di
Via della Greca) si è tenuta
la cerimonia di premiazione
delle opere presentate al
2° concorso di poesia e
prosa organizzato dalla no-
stra Associazione, dal titolo
―Un foglio trovato per ter-
ra‖. Un grazie particolare
vogliamo indirizzare alla
Presidenza del Municipio
che, sempre attenta ai fatti
culturali, ha reso disponibi-
le questa splendida loca-
tion e ci ha concesso il pa-
trocinio per l’evento ed in
particolare ringraziamo la
nostra amica Sara Lilli, Con-
sigliere del 1° Municipio,
per la collaborazione pre-
stata nell’organizzazione e
la buona riuscita dell’incon-
tro! Molte le opere presen-
tate, sia nella categoria
poesia che in quella prosa.
L’organizzazione aveva de-
ciso di premiare i primi tre
classificati di ogni categoria
e di riconoscere agli altri un
―diploma di partecipazio-
ne‖. Questo perché tutte le
opere sono risultate molto
apprezzabili e meritorie di
citazione ma, trattandosi di
un concorso, qualcuno do-
veva per forza essere nomi-
nato nei primi tre posti!
Ecco, dunque, le opere
classificatesi ai primi posti.
Categoria ―poesia‖: ―Gelo‖
di Patrizia Coen:
La solitudine,
coperta gelata sulla pelle,
misteriosa ti abbraccia,
e per scaldarti
devi capirla,
per non morire assiderato.
Nella categoria ―prosa‖ si è
classificato lo scritto
―Tempi passati‖ di Massimo
Callery:
Le parole di mio Nonno mi
tornano in mente: andiamo,
forza, che il direttissimo
non aspetta! Il direttissimo:
oggi, per i più, è nient’alto
che un aggettivo superlati-
vo quasi in disuso; per me
parola magica che mi ripor-
ta indietro nel tempo, quan-
do una volta l’anno con il
treno “direttissimo” si anda-
va in vacanza in montagna.
Ho tutto qui, chiaro e vivido
nella mia mente: gli ultimi
giorni di sottile frenesia in
casa, Nonna e Mamma che
riempivano il baule da spe-
dire in montagna e poi, fi-
nalmente, il gran giorno! Si
partiva la sera e io non ve-
devo l’ora di andare alla
stazione. Saremmo partiti
mia sorella ed io insieme a i
Nonni: Papà e Mamma sa-
rebbero arrivati più tardi.
Stazione Termini, sera. Il
direttissimo è pronto al bi-
nario: due sezioni: Calalzo e
Dobbiaco. Noi andiamo a
Dobbiaco. All’inizio non
c’erano le cuccette e si
viaggiava seduti; in prima
classe, si, perché Nonno
era un dipendente FS e
avevamo i biglietti gratis!
(del vagone letto neanche
se ne parlava: era destinato
ai turisti americani…) Ricor-
do: noi quattro affacciati al
finestrino, grande, e Papà e
Mamma sul marciapiede.
Papà guardava noi ed il
segnale in fondo al binario
e Mamma che dava a noi le
ultime direttive
“comportamentali”! E final-
mente la voce di Papà: è
verde! Allora baci, saluti,
venite presto…, fate i bra-
vi… ed il treno si muoveva.
Iniziava così il grande viag-
gio che ancor oggi potrei
raccontare nei dettagli an-
corché siano passati quasi
sessant’anni!
Dormire? In treno? Di not-
te? Non ci sono mai riusci-
to. Per me viaggiare, anche
passando per la stessa
strada, è guardare, vedere,
riempirmi gli occhi di ciò
che c’è intorno. E viaggiare
di notte aggiungeva alle
sensazioni visive anche
quelle olfattive: la ferrovia,
la notte, ha un suo odore
particolare, affascinante; e
mentre viaggia il treno at-
traversa una sequenza infi-
nita di odori differenti. A
occhi chiusi si potrebbe
dire: siamo in piena campa-
gna, qui c’è una fattoria,
qui un bosco, qui un’indu-
stria… e quando il treno si
ferma nel pieno buio, senza
nulla intorno, allora si sen-
tono i grilli e le cicale! Certo
non “reggevo” tutta la not-
te: l’età pretendeva la chiu-
sura degli occhi! Così a tar-
da notte mi sedevo sul mio
sedile di velluto rosso e
dormivo, cullato dal rumore
ritmico del treno che mi
portava in vacanza! La mat-
tina si sarebbe arrivati in-
torno alle 10 (non c’era
mica l’alta velocità all’epo-
ca) ma io fin dalle sei ero di
nuovo al mio amato finestri-
no a “bere” con gli occhi il
mutevole panorama all’e-
sterno. E, finalmente, Dob-
biaco. Discesa con “armi e
(Continua a pagina 2)
S O M M A R I O :
2° concorso di
poesia e prosa
1
Le ―3P‖ della
Sicilia
2
Il modellismo
ferroviario
3
La ―Celere‖ 4
2° Concorso di Poesia e Prosa Le opere vincenti le due categorie
C’è uno spazio per noi! D I C E M B R E 2 0 1 7 A N N O 2 — N U M E R O 8
NO TI ZI E D I
R I L I E VO :
A gennaio
2018 saranno
inviati i moduli
per la candi-
datura alle
cariche statu-
tarie dell’Asso-
ciazione
P A G I N A 2
Al visitatore che si accinge a sbarcare a Messina, proveniente dal "continente" (come viene definita l'Italia dai locali)
gli si apre di fronte un mondo pieno di sorprese ,tutte da scoprire. e apprezzare, Iniziamo dalla nave traghetto ("u
ferry bot" in lingua locale ): sovente si inganna il tempo della traversata, al bar a mangiare ...un arancino o arancina
( qui i linguisti siciliani si azzuffano). Attenzione però :l'arancino sulla tratta Villa S.Giovanni — Messina è diverso da
quello Messina — Villa S.Giovanni, non mi chiedete perché, perché non lo so ma è così, provate quando vi capita e
fatemi sapere. A proposito, lo sapevate che il porto di Messina è il più pulito d'Italia? Questo per le forti correnti che
lo attraversano, motivo anche questo che rende difficoltosa la costruzione del tanto chiacchierato ponte. Sulle auto-
strade che vanno da Messina a Palermo o a Catania si allieteranno i vostri occhi alla vista di enormi cespugli verdi
arrampicanti sul muro laterale destro ricchi di capperi, e di siepi rossi, viola ,arancioni di boungaville che fanno da
spartitraffico tra i due sensi di marcia. Dopo una 50na di km in direzione Catania sulla sinistra vi accoglie la vista di
un mare di un colore cangiante : blù, viola, celeste, bello a vedere e il desiderio di immergervi è forte; siamo a Taor-
mina e sotto di voi si apre, a ventaglio, la baia di Giardini Naxos. Esistono parole di fronte a questo paradiso terrestre
in terra? Se si io non le ho mai trovate!! Ma, purtroppo, dobbiamo proseguire verso le 5 P. Deviamo e torniamo
sull'autostrada per Palermo lasciandoci alle spalle quel ben di Dio! Ora il panorama cambia decisamente; la terra è
gialla, ricca di biondo grano, di campi ben coltivati, qualche vigneto, qualche pascolo, abbiamo ora un viaggio di cen-
to km circa davanti; inganniamo il tempo ripassando un pò di storia. Nel 1929, regnante S.E. Vittorio Emanuele III Re
d'Italia e d'Albania, e S.E. Benito Mussolini Capo di Gabinetto, si presentava un problema spinoso per il governo: nel
vasto territorio che andava da Palermo a Catania dominava brigantaggio, abigeato, furti, "ammazzatine" di vario ge-
nere,( una situazione quindi ) non più rinviabile che andava risolta subito e con pugno fermo. Il capo del governo,
Benito Mussolini si recò a tal fine, a Piazza Armerina . Era allora, ed è tuttora, una ridente cittadina ricca di storia e di
tacce significative del suo passato: vedi i suoi mosaici ammirati ed apprezzati da molti turisti che ,ancora oggi, ven-
gono da tutto il mondo, per visitarli Il suo intento era quello di spezzare il territorio per governarlo meglio, inserire
cioè una terza provincia tra quelle di Palermo e di Catania, e quindi chi meglio di Piazza Armerina rispondeva alle sue
esigenze? Nessuna! Ma...(c'è sempre un ma!) il federale di Piazza Armerina, per motivi a me ignoti, ma storicamente
comprovati, risultò a Sua Eccellenza profondamente antipatico; egli se ne torno a Roma con le scatole piene, si fece
portare una carta geografica della Sicilia e decise: vicino a Piazza Armerina c'era un paese su un cocuzzolo di monta-
gna alto 120 m. s.l.m. ,di nome Castrogiovanni. Corrispondeva perfettamente alle sue necessità kilometriche e quin-
di decise : Castrogiovanni sarebbe stato elevato a capoluogo di provincia con l'antico nome greco di ENNA. Ordinò
subito di diramare dispacci telegrafici al federale del luogo nominandolo prefetto e "pregandolo"di adempiere celer-
mente a tutte le incombenze necessarie all'uopo. Il poveretto,(si dice) che non voleva credere a quanto stava avve-
nendo e che , a sua volta, telegrafò chiedendo conferma. Avutala da uno scocciato funzionario, non gli rimase che
mettersi all'opera. Iniziò col cercare locali che rispondessero alle bisogne: questura, prefettura, caserma per la bene-
merita, banche ecc. ecc. Come riempirli di addetti? E qui iniziano le nostre P: con Promozioni, Punizioni, Prime nomi-
ne, Pazzi e Paesani. A queste regolette inciampai anche io, quando nel 1967, promosso al primo scalino della scala
gerarchica direttiva, fui trasferito da Messina a Enna per promozione e prima nomina. Oggi andando indietro con la
memoria posso dire convintamene ,che quello è stato un perfido meraviglioso, sia per me che per la mia famiglia tra
quei pazzi e paesani con i quali ancora oggi ,a distanza di circa 50 anni intrattengo rapporti di affetto ed amicizia.
2° concorso di poesia e prosa
bagagli” come diceva mia
Nonna e con mio Nonno
che diceva eccolo là l’O-
letto! L’Oletto era il treni-
no bianco e azzurro che
andava da Dobbiaco a
Cortina, nostra destina-
zione finale. Non ho mai
saputo perché mio Nonno
chiamasse quel simpatico
(Continua da pagina 1) trenino col nome di Olet-
to: era un nomignolo col
quale lui ed io chiamava-
mo questo fedele amico
che ritrovavamo ogni an-
no ad inizio estate!
Oggi, tanti anni dopo,
sono a Dobbiaco. Guardo
gli abeti della stazione e
penso che loro mi hanno
visto, alla mano dei miei
Nonni, cambiare treno
per andare a Cortina.
Solo loro sono rimasti: i
Nonni non ci sono più,
non ci sono più le locomo-
tive sbuffanti e fumanti,
non c’è più l’Oletto ed io
stesso, ormai, mi incam-
mino sulla strada del tra-
monto. Ma qualcosa ri-
marrà sempre in me:
andiamo, forza, che il
direttissimo non aspetta!
C ’ È U N O S P A Z I O P E R N O I !
Le “3 P” della Sicilia Di Ascanio Rosa
Il modellismo ferroviario di Massimo Callery
P A G I N A 3 A N N O 2 — N U M E R O 8
―Ah, giochi ancora con i treni-
ni!‖ è un commento ―gentile‖
che mi sono sentito dire parec-
chie volte nel corso della vita!
E, un amico: ―I trenini e le tette
sono fatti per i bambini ma ci
giocano i grandi!‖, più velenosa
ma almeno simpatica… Questo
è lo spirito comune col quale
viene guardato (e giudicato) il
modellista ferroviario
(fermodellista) in Italia! E allora
ho deciso di scrivere quattro
parole per cercare di chiarire a
tutti ―chi è‖ il fermodellista!
Qualcuno ha detto: ―beato l’uo-
mo che ha un hobby, può vive-
re in due mondi contempora-
neamente‖! E questo è un po’
quello che succede a noi ap-
passionati di ferrovie in minia-
tura. C’è il mondo esterno, con
tutti i suoi pro e contro, e c’è il
nostro mondo dove viviamo
per qualche minuto o qualche
ora una vita come noi voglia-
mo. Sapete che ci sono diversi
tipi di fermodellisti? C’è il
―contachiodi‖: è colui che com-
pra un modello solo dopo aver-
ne analizzato fin nel più piccolo
particolare la riproduzione mo-
dellistica e che è capace di
contestare (testi alla mano)
anche la più piccola imperfe-
zione (da qui il suo sopranno-
me); c’è il ―plasticista‖ che
sorvola sulle possibili inesat-
tezze ma
vuole un mo-
dello che
possa girare
sul suo pla-
stico facen-
dogli vedere
in miniatura
ciò che ha
visto nella
realtà… e,
all’interno di
questi due
grossi gruppi,
altri sotto-insiemi che non vale
la pena analizzare… L’ultima
categoria, la più grande, è
quella dei ―fermodellisti sogna-
tori‖: sono coloro i quali vivono
in case piccole dove lo spazio è
tiranno o dove il/la compagno/
a non condividono la passione
ed allora nel week-end aprono
un armadio che contiene i loro
sogni in scatola e guardano e
riguardano i vari modelli co-
stretti all’immobilità sognando
plastici enormi con frecciaros-
sa che corrono qua e la, con
manovre infinite e treni merci
che spostano derrate nel pae-
se… Lo spirito, in fondo, è que-
sto: costruire un mondo in mi-
niatura dove replicare la realtà.
Ideare un paesaggio che si ha
nel cuore e ―vestirlo‖ con la
ferrovia, immaginando di esse-
re il padrone, il direttore, il ca-
postazione, il manovratore ed il
macchinista di treni al servizio
della società e dove tutto è
perfetto, tutto è come lo si vor-
rebbe. La realtà è la guida di
realizzazione di tutto questo
tanto che, alcuni, si sono in-
ventati delle carte di
―imprevisti‖ (come nel Mono-
poli): ogni tanto alzano una
carta e leggono l’imprevisto:
grande presenza di viaggiatori,
aggiungere una vettura; guasto
al locomotore del merci xxx,
sostituire la
macchina e
via così! Un
sogno reale?
Una realtà di
sogno? Chis-
sà! Ma se
volete prova-
re basta chie-
dere: vi porto
a fare un giro
nel nostro
piccolo mon-
do reale!
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Massimo Callery—Passa il treno
Massimo Callery—Uno sguardo dal ponte
Il Consiglio Direttivo augura a tutti i Soci, gli
amici ed i simpatizzanti un Felice Natale ed un
prospero 2018!
mente sulla gamba o sul palmo
della mano, con due autoblindo
munite di idranti che all’improv-
viso sputano un nervoso, bre-
vissimo getto d’acqua; l’Ufficia-
le al comando, il noto e temuto
Commissario Goffredo, con la
sciarpa tricolore a tracolla
avanza di due passi e si sta
portando un megafono alla
bocca, quando dal portone del
Liceo esce a passo sostenuto il
Preside Marco Ercoli, impettito
nel suo solito completo grigio,
camicia bianca, cravatta blu
con righine avorio, scarpe luci-
dissime: attraversa rapidamen-
te la strada e sale sul primo
gradino, il cranio rasato luccica
al pari degli elmetti, sul bavero
della giacca spicca la decora-
zione al valor militare consegui-
ta nella 7^ battaglia dell’Isonzo
(è un “ragazzo del ’99”); alza
verso il Commissario il palmo
destro ed il braccio sembra
allungarsi a dismisura quasi a
fermare la truppa impaziente,
poi gira il capo lentamente in
alto puntando l’indice sinistro
verso la figura nera e la sua
voce baritonale tuona nel silen-
zio spettrale che è sceso sulla
piazza: «ehi tu, prete, che sei
titolare dell’ora di religione,
scendi fra noi, perché oggi si fa
lezione qui, anche ad oltranza,
magari di storia!» Un boato di
esultanza liberazione gioia spe-
ranza vittoria si leva nel cielo
azzurro, il megafono si abbassa
lentamente, i manganelli si
fermano. Il 26 ottobre 1954, a
seguito del Memorandum di
Londra del giorno 5 dello stes-
so mese, Trieste tornerà all’Ita-
lia.
come l’Etna o il coperchio della
pentola a pressione quando
lugubri, acuti, intermittenti ulu-
lati gelano l’entusiasmo. I ra-
gazzi dell’Albertelli però non si
disorientano, anche perché si
pone a loro capo con prontezza
e decisione Luigi D’Argenio, un
maturando figlio di un poliziotto
che forse è tra quelli che stan-
no per irrompere nella piazza: è
appena diciottenne, di bell’a-
spetto, non molto alto, occhi
grifagni, capelli neri ricci, corpo-
ratura atletica, voce squillante,
sportivo, studioso; otterrà la
laurea con lode in Giurispru-
denza a tempo di record e farà
carriera nei Carabinieri, ma per
ora guida i compagni con sec-
chi ordini e ampi gesti delle
braccia; la folla di ragazzi si
compatta senza confusione, si
dirada un po’ e torna a stringer-
si, si muove sinuosamente on-
deggiando, cambiando velocità
e direzione, come lo stormo
degli storni che al tramonto
volteggiano nel cielo prima di
posarsi tutti in-
sieme fra le ac-
coglienti fronde
degli alberi, si
raggruppa vo-
ciante al centro
del biancore del-
la scalinata di
Santa Maria
Maggiore, sulla
sommità Monsi-
gnor Antonio Salvini, con la sua
lunga veste nera abbottonata
dal collo ai piedi, le mani con-
giunte con le punte delle dita
che sfiorano il mento, osserva
impassibile la scena; si scorgo-
no visi alle finestre dei palazzi
circostanti, radi passanti indu-
giano negli angoli più lontani,
un gruppetto di persone – una
con un binocolo da teatro – si
accalca sul terrazzo dell’anti-
stante Ambasciata Argentina;
ai piedi della Basilica si schiera
un robusto cordone di polizia,
file di elmetti d’acciaio scintil-
lanti sotto i raggi di un tiepido
sole, manganelli battuti ritmica-
La Celere, il 1° Reparto Celere
di stanza a Castro Pretorio, il
pupillo del Ministro dell’Interno
Mario Scelba, entra di solito in
azione per disperdere assem-
bramenti ritenuti pericolosi,
cortei di protesta non autorizza-
ti, manifestazioni sediziose; tre
squilli di tromba annunciano
l’inizio delle cariche: a grande
velocità le jeep (le
―camionette‖, in maggior parte
residuati bellici) saettano a
sirene spiegate tra la gente,
con a bordo i ―Celerini‖ che
menano sonore manganellate
a chiunque capiti a tiro e nella
primavera del 1952 sotto tiro
sono soprattutto gli studenti,
da tempo in subbuglio per la
―questione triestina‖, che si
trascinava dalla fine della guer-
ra, quando la Venezia Giulia
era stata divisa nelle Zone A
(comprendente anche Trieste)
amministrata dagli Alleati e B,
occupata e amministrata dalla
Jugoslavia. Sabato 8 marzo, a
Trieste, una bomba esplode fra
i partecipanti ad un corteo e la
notizia si diffonde rapidamente
nel Paese. Gli Universitari di
Roma, subito riunitisi presso la
fontana della Sapienza, decido-
no di sollecitare tutti ad unirsi
alla protesta ed il lunedì suc-
cessivo, ben prima dell’inizio
delle lezioni, presidiano gli in-
gressi degli Istituti della Capita-
le; le aule sono deserte, i Licea-
li del Righi di Via Boncompagni
si fermano in Via Veneto davan-
ti all’Ambasciata Americana,
quelli del Visconti dal Collegio
Romano e dell’Artistico da Ri-
petta cercano di arrivare a
Montecitorio e al Senato, l’Al-
bertelli si accentra a Piazza
dell’Esquilino con l’intento di
raggiungere il Viminale, le staf-
fette in bicicletta urlano: «sono
partite le colonne dell’Augu-
sto… del Mamiani… del Virgi-
lio… del Giulio Cesare… dell’In-
dustriale… !», la Città è in fer-
mento, salgono i cori patriottici,
le invettive, la veemente rabbia
giovanile sta per esplodere
La “Celere” di Luigi Di Rocco
P A G I N A 4