Upload
ngodiep
View
216
Download
0
Embed Size (px)
Citation preview
Breve Corso di Fisica 1: Meccanica (per
studenti delle Facoltà Scientifiche)
Stefano Ranfone
_____________________________________
Introduzione al corso
Queste brevi “Dispense” nascono dall’esigenza di fornire un riassunto schematico delle lezioni
di un corso di Fisica 1 (Meccanica). Si tratta di materiale parzialmente riciclato da “internet”.
Possono essere utili allo studente nella preparazione dell’esame, ma non hanno nessuna
pretesa di sostituire completamente i libri di testo, che, rispetto a quanto qui riportato,
contengono esempi, esercizi risolti e molte informazioni, anche di natura storica. Pertanto si
consiglia di completare la preparazione con un approfondimento della materia sui libri di testo
consigliati.
Il corso e’ costituito da sei unità didattiche. Si presuppone che prima di affrontare questo esame
lo studente abbia frequentato il corso di Matematica I. Nell’esame finale lo studente dovrà
affrontare una prova scritta a cui seguirà una verifica orale; pertanto, oltre allo studio della teoria
e’ fondamentale che una larga parte della preparazione sia dedicata alle tecniche di risoluzione
degli esercizi, reperibili anche tra i testi consigliati.
La meccanica viene comunemente divisa in cinematica, dinamica e statica; anche se quest’
ultima può essere semplicemente considerata un “caso particolare” della dinamica stessa. La
cinematica può essere vista come una sorta di linguaggio matematico, che permette di definire
le grandezze necessarie per formulare le leggi della fisica in maniera rigorosa. La dinamica
contiene invece dei veri concetti fisici (leggi), che legano fra loro le grandezze considerate.
Consigli per la risoluzione dei problemi
Una parte fondamentale di ogni corso di Fisica è la risoluzione di problemi. Risolvere problemi
spinge a ragionare su idee e concetti e a comprenderli meglio attraverso la loro applicazione.
Gli esempi qui riportati illustrano, in ogni capitolo, casi tipici di risoluzione di problemi.
Il sommario alla fine di ogni unità didattica offre un breve quadro d’insieme delle idee più
importanti per la soluzione dei problemi di quel capitolo.
Riguardo alla soluzione dei problemi di Fisica, si consiglia quanto segue:
Leggere attentamente il testo del problema.
Preparare un elenco completo delle quantità date (note) e di quelle cercate (incognite).
Disegnare uno schema o un diagramma accurato della situazione. Nei problemi di dinamica,
assicurarsi di aver disegnato tutte le forze che agiscono su un dato corpo (diagramma di corpo
libero).
Ricordare sempre la gravità nei sistemi verticali
Dopo aver deciso quali condizioni e principi fisici utilizzare, esaminare le relazioni matematiche
che sono valide nelle condizioni date. Assicurarsi sempre che tali relazioni siano applicabili al
caso in esame. E’ molto importante sapere quali sono le limitazioni di validità di ogni relazione o
formula.
Molte volte le incognite sembrano troppe rispetto al numero di equazioni. In tal caso è bene
chiedersi, ad esempio:
Esistono altre relazioni matematiche ricavabili dalle condizioni del problema?
E’ possibile combinare alcune equazioni per eliminare alcune incognite?
E’ buona norma risolvere tutte le equazioni algebricamente e sostituire i valori numerici soltanto
alla fine. Conviene anche mantenere traccia delle unità di misura, poiché questo può servire
come controllo.
Controllare se la soluzione trovata è dimensionalmente corretta. Arrotondare il risultato finale
allo stesso numero di cifre significative che compaiono nei dati del problema.
Ricordare che per imparare a risolvere bene i problemi è necessario risolverne tanti: la
risoluzione dei problemi spesso richiede creatività, ma qualche volta si riuscirà a risolvere un
problema prendendo spunto da un altro già risolto.
Testi Consigliati:
M. Alonso, E.J. Finn, Elementi di Fisica per l'Università: Vol. 1° - Meccanica e termodinamica II
ed, Milano, Masson Italia Editori, 1993
D. Halliday, R. Resnick, K.S. Krane, Fisica 1 IV ed, Milano, Casa Editrice Ambrosiana, 1995
P. Mazzoldi, M. Nigro, C. Voci, Fisica, Meccanica-Termodinamica, Napoli, EdiSES Società
Editrice Scientifica, 1991
C.Mencuccini, V. Silvestrini, Fisica I. Meccanica Termodinamica, Napoli, Liguori Editori, 1987
Unità Didattica 1
Unita di misura
Classe di grandezze
È un insieme di enti, omogenei fra di loro, per i quali si possano stabilire le relazioni di
uguaglianza, di disuguaglianza e l’operazione di addizione.
Ad esempio: una classe di segmenti, oppure di angoli. Quando ciò sia possibile, si dice anche
che gli enti in oggetto sono misurabili.
Definizione operativa delle grandezze
Precisiamo subito, però, che quando affermiamo che le grandezze sono enti misurabili, non
dobbiamo limitarci ad immaginare un procedimento qualsiasi, mediante il quale ciò sia
possibile, solo in linea di principio, ma dobbiamo indicare le operazioni che consentano di
misurare effettivamente le grandezze in esame.
Unità di misura
É una grandezza campione, omogenea con la grandezza data, scelta in maniera arbitraria. Ad
esempio: il metro per la misura delle lunghezze.
Misura di una grandezza
É il numero reale ottenuto dal rapporto fra la grandezza data e la sua unità di misura. Esso
rappresenta il numero di volte che l’unità di misura è contenuta nella grandezza stessa; e può
essere razionale o irrazionale, a seconda che la grandezza data e la sua unità di misura siano
commensurabili o incommensurabili fra di loro.
Indicando con
G la grandezza data, con
G la sua misura e con
[G] la sua unità di misura, si ha:
G G
[G] d a c u i :
G G [G]
Esempio.
Se AB è un segmento dato, m (metro) una sua unità di misura e 10 la sua misura (cioè il
rapporto fra il segmento AB e il metro), allora:
AB/m = 10 oppure: AB = 10 m
Il rigore formale della fisica non è così accentuato come quello della matematica, tuttavia alcuni
chiarimenti sull’uso di certi termini può servire ad evitare confusioni.
Abbiamo appena detto che la misura di una grandezza è un numero reale e non una
grandezza, tuttavia spesso con tale termine si intende anche la grandezza stessa.
Volendo essere più precisi, dovremmo parlare di misura astratta di una grandezza, che è il
numero reale sopra definito e di misura concreta, che è il prodotto dell’unità di misura della
grandezza per la sua misura e che, in fisica, si preferisce scrivere indicando prima la misura e
poi l’unità.
In pratica, però, questa distinzione non si osserva quasi mai. Nel seguito, quindi, useremo
l’espressione “misura di una grandezza”, indifferentemente, nei due sensi. Lo studente dovrà
intenderne il significato di volta in volta.
Tuttavia, eviteremo espressioni del tipo “la grandezza
“ ed altre consimili, che pure alcuni
adoperano, a proposito delle “grandezze adimensionali”, cioè le grandezze individuate solo da
numeri, come l’indice di rifrazione.
Operazioni con le grandezze
Grandezze come monomi.
Si conviene di considerare una grandezza fisica come un monomio, in cui la parte numerica ne
rappresenta la misura, mentre la parte letterale ne indica l’unità di misura.
Esempio.
10 m è una grandezza, in cui 10 è la misura ed m ne è l’unità di misura; 34 g si interpreta in
modo analogo;
12 m / s è una grandezza (velocità) in cui m / s ne è l’unità di misura.
Le operazioni si eseguono con le stesse regole usate per i monomi.
Esempio.
4m 10m 8m 6m; 3m 5m 15m2
14m
6m
7
3; 16m2 4m
12m
4s 3m /s;
4m /s
2s 2m /s2
Notazione scientifica (o esponenziale)
Quando la misura di una grandezza è data con molte cifre, spesso con diversi zeri, si usa
esprimerla mediante opportune potenze di 10, ad esponente positivo o negativo, a seconda che
si tratti di numeri molto grandi o molto piccoli.
Si conviene, in tali circostanze, di spostare la virgola in modo che il numero ottenuto sia minore
di 10 (quindi la parte intera è di una sola cifra) e di moltiplicarlo, dopo, per quella potenza di
dieci che lasci inalterato il valore iniziale.
Esempio.
Rappresentare in notazione esponenziale i seguenti numeri:
121000 1,21 10 5
0,00013 1,3 104
Ordine di grandezza di una misura
Molte volte non interessa riportare la misura esatta di una grandezza, ma solo alcune
indicazioni che ne diano l’idea, senza molta precisione.
Per risolvere il problema, si determina solo l’ordine di grandezza della misura, che corrisponde
alla potenza di 10 più prossima alla misura stessa.
A tal fine si procede in questo modo, come facilmente si capisce:
si scrive il numero in notazione esponenziale;
si considera il numero che si ottiene eliminando la potenza di 10.
Ebbene, se tale numero è minore di 5, allora l’ordine di grandezza è la potenza di 10 del
numero stesso; se è maggiore di 5, si considera la potenza di 10 che si ottiene aumentando di
un’unità l’esponente; se è proprio uguale a 5, si può procedere nell’uno o nell’altro modo.
Esempio.
Determinare l’ordine di grandezza dei seguenti numeri (già posti in forma esponenziale):
a)3,56 104 b)7,23105 c)4,3105 d)6,4 103
Seguendo le regole indicate, si hanno i seguenti risultati:
a)104 b)106 c)105 d)102
Grandezze fondamentali e derivate
Per poter misurare tutte le grandezze fisiche occorre stabilire un’unità di misura per ciascuna di
esse. Tale scelta potrebbe farsi, teoricamente, indicando per ciascuna grandezza una propria
unità di misura, in modo del tutto indipendente dalla scelta delle altre.
Tuttavia, a parte la difficoltà per definire l’unità per alcune di queste, si è visto che è più
conveniente fissarne alcune come grandezze fondamentali stabilendone, arbitrariamente, le
rispettive unità di misura e poi determinare, per tutte le altre, dette grandezze derivate, le
rispettive unità di misura, ricavandole dalle relazioni matematiche che le legano alle precedenti.
Il numero delle grandezze fondamentali è arbitrario; addirittura si potrebbe ridurre ad uno.
In altre parole, sarebbe sufficiente stabilire l’unità di misura di una sola grandezza fondamentale
per poter dedurre, poi, le unità di misura di tutte le altre grandezze fisiche.
Un esame approfondito del problema ha suggerito la scelta di poche ed opportune grandezze
fondamentali, in modo che tutte le altre grandezze si possano esprimere agevolmente in
funzione di queste.
L’insieme delle unità di misura fondamentali e di quelle derivate costituisce un sistema di unità
di misura. Un sistema di unità si dice coerente, quando tutte le unità sono derivate solo da
quelle fondamentali, come nel caso in esame.
Il sistema, poi, si dice assoluto se le unità stabilite per le grandezze si conservano
rigorosamente costanti nel tempo e non dipendono dal luogo.
Esistono diversi sistemi di unità di misura, che differiscono sia per la scelta delle grandezze
fondamentali che delle rispettive unità.
In pratica però, almeno recentemente, sono pochi i sistemi adottati dai Paesi più civili. Fra
questi, il sistema assoluto (CGS), il Sistema Tecnico (non assoluto) e, soprattutto, il Sistema
Internazionale (SI), anch’esso assoluto.
Sistema internazionale, SI
In passato era chiamato MKS (metro, chilogrammo, secondo). Si basa su sette grandezze
fondamentali. Negli argomenti trattati in seguito si useranno le seguenti.
1. Lunghezza
2. Massa
3. Tempo
4. Intervallo di temperatura
5. Intensità luminosa
6. Intensità elettrica
7. Quantità di materia
A queste bisogna aggiungerne altre due, dette supplementari, che sono:
8. Unità di misura degli angoli piani
9. Unità di misura degli angoli solidi.
Quindi, complessivamente, le grandezze fondamentali diventano nove.
1) Unità di lunghezza. E’ il metro, indicato col simbolo m.
La Conferenza generale di Pesi e Misure, tenuta a Parigi nel 1889, adottò la seguente
definizione per l’unità di lunghezza: il metro è la distanza, alla temperatura di 0 °C, tra due tratti
paralleli incisi sopra un regolo campione di platino-iridio, conservato nell’ Archivio Internazionale
di Pesi e Misure di Sèvres, presso Parigi.
Il metro doveva corrispondere, secondo la primitiva definizione (Parigi,1799), alla
quarantamilionesima parte del meridiano terrestre. Successivamente risultò, da misure più
precise del meridiano terrestre, di circa 0,2 mm più corto. Tuttavia, esso non fu modificato per
non dover riprodurre anche tutte le copie fornite ai vari Paesi che l’avevano adottato come unità
di misura delle lunghezze. Da quel momento però il metro non fu più considerato come unità
naturale, ma convenzionale.
In tempi più recenti, sono state date nuove definizioni del metro, che lo riconducono ad unità
naturale. L’ultima, decisa dalla XV Conferenza Generale dei Pesi e Misure, nel 1975 a Parigi, è
la seguente: il metro è la lunghezza uguale a 1.650.763,73 lunghezze d’onda nel vuoto della
radiazione corrispondente alla transizione tra i livelli 2p10 e 5d5 dell’atomo di cripto 86.
2) Unità di massa. E’ il kilogrammo-massa, indicato col simbolo kg.
Il kilogrammo-massa è la massa di un cilindretto campione, di platino-iridio (in peso, 90% di
platino e 10% di iridio), conservato alla temperatura di 0 °C, nell’ Archivio Internazionale di Pesi
e Misure di Sèvres, presso Parigi. Il kg ha la massa di
5,01881025 atomi dell’isotopo carbonio
12. Esiste anche l’unità di massa atomica, definita come la dodicesima parte della massa
dell’atomo di carbonio 12 .
Il kilogrammo-massa, secondo la primitiva definizione, doveva corrispondere alla massa di un
decimetro cubo di acqua distillata, sotto la temperatura di 4°C e alla pressione normale di
un’atmosfera, ma risultò più grande di circa 27 milligrammi.
Anche in questo caso non fu apportata alcuna modifica, ma pure questa unità di misura si deve
considerare convenzionale e non naturale.
3) Unità di tempo. E’ il secondo, simbolo s.
Il secondo è nato come la 86.400-ma parte del giorno solare medio, dell’anno 1900.
La più recente definizione del secondo è data dalla XV Conferenza Generale dei Pesi e Misure,
nel 1975: il secondo è l’intervallo di tempo che contiene 9.192.631,770 periodi della radiazione
corrispondente alla transizione tra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di
cesio 133.
Le definizioni che seguono, relative alle altre unità di misura del sistema SI, sono ancora quelle
date dalla XV Conferenza del 1975, di cui sopra.
4) Unità di intervallo di temperatura. É il Kelvin, simbolo K.
Il Kelvin è la frazione di 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua.
5) Unità di intensità luminosa. É la candela, simbolo cd.
La candela è l’intensità luminosa di una superficie di area
1/600.000 m2 del corpo nero alla
temperatura di solidificazione del platino, emessa nella direzione perpendicolare alla superficie
stessa, alla pressione di
101.325 Pa .
6) Unità di intensità di corrente elettrica. E’ l’ampere, simbolo A.
L’ampere è l’intensità di corrente elettrica che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei,
paralleli, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di 1 m l’uno
dall’altro, nel vuoto, produce tra i due conduttori la forza di
2 107N per ogni metro di
lunghezza.
7) Unità di quantità di materia. É la mole, simbolo mol.
La mole è la quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono
gli atomi in 0,012 kg di carbonio 12.
8) Unità di angolo piano. E’ il radiante, simbolo rad.
Il radiante è l’angolo al centro di una circonferenza, a cui corrisponde un arco di lunghezza
uguale al raggio. Per convertire gradi sessagesimali in radianti basta ricordare che:
1 2
360rad
9) Unità di angolo solido. E’ lo steradiante, simbolo sr.
Lo steradiante è l’angolo solido di un cono avente il vertice nel centro di una superficie sferica, a
cui corrisponde una calotta la cui area è uguale a quella del quadra-to avente per lato il raggio
della superficie sferica.
Multipli e sottomultipli
Le unità di misura così ottenute, talvolta sono troppo piccole o troppo grandi per rappresentare
le misure di certe grandezze, nel senso che queste sarebbero espresse da numeri molto grandi
o molto piccoli e, quindi, scomodi per i calcoli e per gli usi pratici.
Ad esempio, è chiaro come non convenga esprimere in metri la distanza fra due città, oppure lo
spessore di un foglio di quaderno.
Nel primo caso, la distanza sarebbe espressa da un numero molto grande, nel secondo da uno
molto piccolo. Per ovviare a questi inconvenienti, sono stati adottati degli opportuni multipli e
sottomultipli delle unità sopra considerate, molti dei quali già noti a tutti.
Tali multipli e sottomultipli si ottengono facendo precedere le unità fondamentali da opportuni
prefissi, i quali indicano certe potenze di 10. In tal modo l’unità, preceduta da uno di tali prefissi,
si deve considerare moltiplicata per la corrispondente potenza di 10.
Prefissi Simboli Rapporto unità ----- unità
100
yotta Y
1024
deci d
101
zetta Z
1021 centi c
102
exa E
1018 milli m
103
peta P
1015 micro
106
tera T
1012 nano n
109
giga G
109 pico p
1012
mega M
106 femto f
1015
kilo K
103 atto a
1018
etto H
102 zepto z
1021
deca Da
101 yocto y
1024
Grandezze Comuni
Si e’ detto che per definire, in maniera più semplice, le grandezze fisiche conviene fissarne
alcune come fondamentali e dedurre le altre, ossia quelle derivate, dalle prime. Tutto ciò
presuppone che fra le grandezze derivate e quelle fondamentale esistano delle relazioni che
consentano effettivamente di esprimere le prime mediante le seconde. Tali relazioni fra
grandezze vengono chiamate equazioni fisiche fra grandezze. E’ anche importante sottolineare
come nella definizione di alcune grandezze fondamentali si faccia riferimento ad altre
grandezze derivate (Newton, Pascal, etc). Esse servono per definire le grandezze derivate e
per esprimere, in termini matematici, le leggi fisiche quantitative.
Esempio: per definire la velocità di un punto che si muove di moto uniforme, scriviamo:
v s
t.
Dal punto di visto matematico, una tale espressione sarebbe completamente priva di significato,
tuttavia, notando che per calcolare la misura di quella grandezza, chiamata velocità, dobbiamo
eseguire proprio il rapporto fra la misura dell’arco di traiettoria percorso (detto con termine
improprio, spazio) e la misura del tempo impiegato, siamo indotti a considerare tale rapporto
per definire la nuova grandezza, ossia la velocità, derivata da quelle di spazio e di tempo.
Quindi, ogni volta che si considera un’equazione fisica fra grandezze, ad essa viene sempre
associata un’altra fra le misure delle grandezze stesse dell’equazione.
La fisica è una “scienza sperimentale”.
Le sue leggi sono infatti state “verificate” tramite degli opportuni esperimenti (riproducibili da
chiunque si ponga nelle condizioni idonee).
Per studiare un fenomeno fisico occorre prima di tutto effettuare una osservazione di tipo
“qualitativo” (es. “un corpo privato di sostegno cade verso terra”), poi occorre considerare quali
“grandezze fisiche” caratterizzano il fenomeno (es. “velocità”, “massa”, ecc.), in quale “misura” e
in che modo queste grandezze interagiscono fra loro.
Misura di grandezze fisiche
Misurare una grandezza fisica significa effettuare un “confronto” fra la grandezza da misurare e
il “campione”, opportunamente scelto, in modo da stabilire una corrispondenza univoca tra la
grandezza stessa e un “numero” che ne rappresenta la “misura” nell’unità di misura prescelta.
Errori di misura: valori tipici
Misure di Lunghezza
Metodo Errore Massimo Errore Relativo
Corde Metriche
0,5cm
100 m
5105
Metro a Nastro
0,5mm
2m
3104
Calibro Digitale
5m
10cm
5105
Interferometro
1nm
10m
1010
GPS
0,3m
105Km
3109
Rivelatori di Onde Gravitazionali
1018m
1Km
1021
Microscopio a Effetto Tunnel
1011m
109m
102
Dal momento che la precisione di una misura è sempre limitata (dipende dalla precisione dello
strumento utilizzato, dalla tecnica con la quale si esegue la misura e dalla possibilità, sempre
presente di errori sperimentali) bisogna sempre associare, ad ogni misura, il relativo “errore”.
Le misure sono note (registrate) con un certo numero di cifre significative. Conviene dunque
rappresentare i numeri sempre in notazione esponenziale. L’errore ha generalmente 1 (o
tuttalpiù 2) cifre significative, dunque il risultato della misura va dato fino alla (seconda) cifra
dell’errore
Equazioni dimensionali
Di ogni grandezza fisica è possibile dare una “equazione dimensionale”, cioè un’equazione che
esprima la grandezza fisica presa in considerazione in “funzione” di L, M e t.
Esempio:
la velocità è una grandezza fisica derivata che si esprime in funzione dello spazio percorso e
del tempo impiegato:
v dx
dt da cui: [v] [L t1]
l’accelerazione, a sua volta, può essere ricavata dalla velocità:
a dv
dt da cui: [a] [L t2]
Nella formulazione di una “legge fisica” bisogna tenere conto della “omogeneità dimensionale”,
cioè le equazioni dimensionali dei due membri dell’equazione che esprime la legge stessa
devono essere equivalenti (in caso contrario significa che sono presenti degli errori).
Esempio:
h(t) h0 1
2gt2 [L] [L][
L
t2][t]2 [L] [L]
da notare che il valore ½ è un numero e, quindi, “adimensionale”
Grandezze fisiche “scalari” e “vettoriali”
Le grandezze fisiche possono essere di due tipi:
scalari : sono le grandezze per le quali è sufficiente conoscerne il valore nell’unità di misura
prescelta (es. tempo, temperatura, massa, energia ecc.);
vettoriali: sono le grandezze individuate tramite l’utilizzo di un “vettore”, cioè quelle grandezze
per le quali occorre definire, oltre al modulo, anche una direzione e un verso (es. velocità,
spostamento, accelerazione, forza, ecc.).
Leggi fisiche
Definire una “legge fisica” significa individuare le relazioni che legano fra loro le varie grandezze
fisiche che compaiono nel fenomeno.
Dal momento che tutte le misure delle grandezze effettuate contengono degli errori il risultato
ottenuto con l’applicazione della legge fisica conterrà a sua volta degli errori (in base alla “legge
di propagazione degli errori”).
Fase di Schematizzazione
Grandezza: quantità fisica che può essere misurata; i l suo valore numerico dipende dall’unita di
misura usata; quando ci si riferisce ad una grandezza fisica, e quindi strettamente necessario
specificare l’unità di misura, in quanto i l numero in se non ha alcun significato. (ad esempio, la
lunghezza s di un tavolo può essere 1 o 100 o qualunque altro numero. Per cui si dovrà sempre
scrivere s = 1m = 100cm).
Unità di misura: e una grandezza presa come campione con cui confrontare tutte le grandezze
dello stesso tipo.
Grandezze fondamentali: sono quelle per mezzo delle quali si possono esprimere tutte le
grandezze fisiche. La scelta delle grandezze fondamentali e convenzionale e determina il
Sistema di Unita di Misura. Nella meccanica si usano tre grandezze fondamentali lunghezza,
massa e tempo, ma quando si studiano i fenomeni elettromagnetici e necessario introdurne
altre.
Sistema Internazionale (SI): e fondato su sette unita d i misura indipendenti: metro (m),
chilogrammo (kg), secondo (s), ampere (A), Kelvin (K), mole (mol) e candela (cd) corrispondenti
rispettivamente alle grandezze lunghezza, massa, tempo, corrente elettrica, temperatura,
quantità di materia e luminosità.
Grandezze derivate: sono espresse mediante le grandezze fondamentali ma per ragioni
pratiche, spesso le loro unita di misura hanno un nome specifico. Ad esempio la forza nel SI si
misura in newton (N), mentre l’unita di misura della velocità non ha un nome specifico.
Alt r i sistemi d i unita: per ragioni di comodità a volte si usano altri sistemi di misura. I l sistema
CGS (o di Gauss), ad esempio, offre dei vantaggi da un punto di vista teorico (elettromagneti-
smo), però le equazioni sono espresse in unita che non sono molto utili da un punto di vista
pratico (sono troppo piccole e troppo grandi per l’uso comune).
Unità didattica 2
Esercizi riassuntivi UD1:
Quanto pesa un piede cubo di acqua?
Se la terra fosse fatta d’acqua, quanto peserebbe?
Che errore c’è su questo risultato se l’errore sul raggio è 1 km?
Quanto ci mette la luce ad andare dal sole alla terra? E dalla luna alla terra? Con che errore
avete ottenuto il risultato?
Nozione di vettore
Il concetto di vettore trova la sua origine nell’ambito della Fisica in quanto in essa la descrizione
basata solo su grandezze elementari quali per esempio il tempo, la massa, la temperatura, il
volume, si dimostra ben presto inadeguata alla rappresentazione degli oggetti e delle loro
relazioni. Le grandezze fisiche si distinguono perciò essenzialmente in due grandi classi. Quelle
che risultano completamente definite quando se ne conosce la sola misura rientrano nella
categoria delle grandezze scalari le altre richiedono di norma un maggior contenuto informativo
e vengono rappresentate dalle grandezze vettoriali. Nella prima categoria rientrano grandezze
come la lunghezza, l’area, il volume, il tempo, la temperatura, il calore specifico, l’energia, etc e
per queste è sufficiente fornire la loro grandezza relativamente ad una opportuna unità di
misura: esempi tipici delle grandezze vettoriali sono invece lo spostamento, la velocità,
l’accelerazione, la forza, l’impulso. Prima quindi di introdurre queste nuove grandezze e
formalizzarne le proprietà in un importante capitolo della Matematica come il Calcolo Vettoriale,
conviene discuterne l’utilità attraverso un esempio che ne favorisca la comprensione intuitiva.
Supponiamo di voler definire con precisione la posizione finale raggiunta da una sferetta
disposta inizialmente nel punto A del piano π.
E’ evidente che se diciamo che il suo spostamento è pari ad 1 metro, l’affermazione non ci
permette di individuare univocamente la posizione in quanto questa può trovarsi in un punto
qualsiasi della circonferenza di centro A e raggio 1 m. Dobbiamo pertanto aggiungere delle altre
informazioni, in particolare quelle legate alla nozione geometrica di direzione. Tracciata quindi
una retta r per A, così da rappresentare la direzione di moto, potremo ora individuare due punti,
definiti dalle intersezioni della circonferenza con tale retta. La posizione definitiva non è ancora
descritta adeguatamente e solo se aggiungiamo in quale verso si percorre tale retta la
posizione finale B viene univocamente determinata. Così se associamo al piano un sistema di
assi cartesiani ortogonali (sulle carte geografiche questi assi si identificano con le direzioni
Nord–Sud ed Est–Ovest), B sarà individuato dalle seguenti 3 affermazioni:
distanza da A: d = 1 m,
direzione individuata dalla retta r,
verso: Nord–Est.
I 3 enunciati sopra costituiscono gli elementi di base per la definizione di una nuova entità, il
vettore spostamento della sferetta A, grandezza che sinteticamente vuole riassumere il
contenuto informativo delle 3 affermazioni. Nei prossimi paragrafi si cercherà di proporre una
formalizzazione matematica di tali idee così da disporre di strumenti e metodi
convenientemente precisi e sintetici e in grado di descrivere un’ampia gamma di situazioni
matematiche e fisiche.
Segmenti orientati e vettori
La definizione di segmento `e nota dalla geometria elementare. Un tale insieme di punti verrà
indicato tramite il simbolo [AB], dove A e B costituiscono gli estremi del segmento. Se A ≡ B
allora il segmento [AB] individua un’unica retta simbolizzata da AB. Sappiamo che, scelta
un’unità di misura, ad ogni segmento [AB] si può associare un numero reale non negativo
AB,
la misura del la lunghezza di [AB]. Il passo successivo consiste nel definire un segmento
orientato come quel segmento di estremi A e B nel quale si sia assegnato un ordine e quindi
si possa distinguere un punto iniziale ed uno finale. A tal fine si sceglie il simbolo
AB
convenendo di considerare A come il punto iniziale e B come quello finale. Graficamente ciò si
esprime tramite una freccia che parte da A e giunge in B.
Il simbolo
BA individua il segmento orientato opposto ad
AB e si pone
ABBA. La (misura
della) lunghezza di entrambi è ancora la medesima,
ABBA, e risulta un numero positivo se
A B mentre è nulla se
A B. In tal caso il segmento è detto il segmento orientato nullo.
A questi nuovi enti si possono in modo del tutto naturale estendere i concetti di parallelismo e
perpendicolarità. In particolare
AB risulta parallelo ad una retta r se lo sono le rette r e la retta
univoca passante per A e B. Così i segmenti orientati
AB e
CD si dicono collineari o paralleli,
se esiste una linea retta r alla quale entrambi risultano paralleli.
Due segmenti orientati possiedono lo stesso verso se sono collineari e le semirette [AB e [C D
appartengono al medesimo semipiano tra i due individuati dalla retta passante per AC . Se sono
collineari ma le semirette indicate appartengono ciascuna ad un diverso semipiano allora i due
segmenti orientati possiedono versi opposti.
Un segmento orientato
AB può quindi essere posto in corrispondenza con un altro segmento
orientato
CD per mezzo della sua:
lunghezza,
collinearità,
verso.
Pertanto sull’insieme dei segmenti orientati del piano `e possibile definire una
relazione che associ
AB con
CD se e solo se:
1.
AB//CD
2.
ABCD ,
3.
ABCD.
Tale relazione, detta di equipollenza, risulta essere una relazione di equivalenza, per cui
l’insieme dei segmenti orientati si può suddividere in classi di equivalenza. Ad una singola
classe di equivalenza apparterranno quindi tutti quei segmenti orientati caratterizzati dalla
medesima direzione, dall’avere verso concorde ed uguale lunghezza.
Si giunge pertanto alla seguente definizione di vettore: Un vettore nel piano (o nello spazio) è
definito come l’insieme di tutti i segmenti orientati equipollenti, ossia di tutti i segmenti orientati
aventi la medesima direzione, verso e lunghezza.
Somma e differenza di vettori
Dati due vettori è naturale definire delle operazioni tra essi in modo da associare a ciascuna
coppia un altro vettore. Prendendo spunto da una situazione fisica, consideriamo una particella
che inizialmente si sposti da un punto A al punto B. Tale spostamento è rappresentato dal
vettore
a.
Successivamente la particella si muove da B a C e questo ulteriore spostamento viene
rappresentato da
b . Lo spostamento complessivo è dato dal nuovo vettore
c . Quest’ultimo è
quello che si definisce vettore somma di
a e
b . Difatti la somma di due vettori
a e
b è un
vettore
c a b la cui direzione e verso si ottengono nel modo seguente: si fissa il vettore
a e,
a partire dal suo punto estremo, si traccia il vettore
b . Il vettore che unisce l’origine di
a con
l’estremo di
b fornisce la somma
c a b.
Dalla definizione si deducono facilmente le seguenti proprietà:
a b b a Proprietà commutativa.
(ab)c a (bc) Proprietà associativa.
a 0 a Elemento neutro.
Moltiplicazione scalare–vettore
Dato uno scalare
(numero reale) e un vettore
a è possibile definire una nuova operazione
tale da associare a questi due un altro vettore. Allora si fornisce la seguente definizione:
La moltiplicazione
a di un vettore
a con il numero reale
è un vettore
b a , collineare ad
a,
di modulo
a e verso coincidente con quello di
a se
0, opposto se
0.
Possiamo quindi scrivere che:
b a
a a 0
a a 0
a a
In particolare
1 a a,
1 a a e
0 a 0.
Seguono direttamente le proprietà associativa rispetto ai fattori numerici, distributiva rispetto
alla somma degli scalari, distributiva rispetto alla somma dei vettori.
Da queste definizioni discende un importante criterio per determinare la collinearità di due
vettori. Difatti vale il seguente teorema: un vettore
b è collineare con il vettore non nullo
a se e
solo se esiste un numero
tale che sia
b a .
Scomposizione di un vettore
Siano
a e
b due vettori non collineari e tali da avere l’origine O in comune cioè
a OA e
b OB. Detto π il piano individuato dai tre punti O, A, B, sia
c un vettore complanare con
a e
b :
ciò significa che
c appartiene a π oppure è ad esso parallelo. Possiamo ora tracciare due rette,
r ed s, uscenti da C aventi direzioni parallele ad
a e in modo che
r //a e
s //b. Indicati i punti di
intersezione delle rette {D} = s ∩ OA e {E} = r ∩ OB e, in accordo alla regola della somma dei
vettori, possiamo scrivere che:
c ODOE
Poichè il vettore
OD è collineare con
a (e questo non è il vettore nullo), dal criterio sulla
collinearità tra vettori è possibile determinare un numero
tale che
ODa. Con simili
considerazioni discende pure che esiste un
tale che
OE b . Sostituendo queste ultime due
otteniamo che
c ab . Questo costituisce un risultato molto importante; difatti la precedente
equazione rappresenta la scomposizione di un vettore lungo le direzioni individuate da
a e da
b e i vettori
OD e
OE si dicono i componenti o proiezioni di
c .
Versori
Può risultare comodo esprimere un vettore
a come un prodotto tra uno scalare ed un vettore
che abbia modulo pari ad uno. A tal fine un qualsiasi vettore di modulo unitario viene detto
versore per cui si definisce versore, un vettore
u tale che
u 1. Dato il vettore
a è immediato
costruire un versore che abbia la medesima direzione di
a e con verso concorde:
u 1
aa
Prodotto scalare
Si consideri i vettori nello spazio
a (ax ,ay,az ) axˆ i ay
ˆ j azˆ k dove
ˆ i ,
ˆ j e
ˆ k sono
rispettivamente i versori degli assi X, Y e Z e
b (bx,by,bz ) bxˆ i by
ˆ j bzˆ k espressi nella loro
decomposizione cartesiana. Vogliamo associare ad essi un numero reale in modo da definire
un’operazione del tipo
a b R
Scegliamo quindi di coinvolgere il prodotto delle coordinate omonime dei due vettori e poiché
tale operazione ci fornirà un numero reale assegneremo a questa operazione il nome di
prodotto scalare: diamo quindi la seguente definizione: dicesi prodotto scalare di due vettori
a e
b, la somma dei prodotti delle componenti omonime (e quindi relative agli stessi assi). In
simboli:
a b axbx ayby azbz k
Dalla definizione è facile dimostrare la validità delle proprietà commutativa e distributiva rispetto
alla somma. Utili relazioni discendono considerando dei casi particolari; difatti nel caso che sia
a b risulta:
a a axax ayay azaz a2 a2
Analogamente
b a discende
a b a (a) a2
Per i versori cartesiani
ˆ i ,
ˆ j e
ˆ k si ottiene che
ˆ i ˆ i ˆ j ˆ j ˆ k ˆ k 1 (regola valida generalmente
per ogni versore) mentre per i prodotti misti si hanno:
ˆ i ˆ j 1 0 0 1 0 0 0
ˆ j ˆ k 0 01 0 0 1 0
ˆ i ˆ k 1 0 0 0 0 1 0
Queste ultime relazioni evidenziano come il prodotto scalare tra versori ortogonali risulti nullo.
Dalla definizione del prodotto scalare si ottiene anche un’altra proprietà fondamentale: definito
l’angolo compreso tra i vettori
a e
b il prodotto scalare e’ calcolabile come nella seguente
equazione.
a b a b cos
Prodotto vettoriale
Affrontiamo infine un ultima operazione nell’insieme V dei vettori. Di questa daremo solo le linee
generali in quanto richiede, in misura maggiore che nelle altre, ulteriori conoscenze di
geometria ed algebra. Vogliamo comunque definire un’operazione interna a V e quindi dovremo
associare alla coppia di vettori
a e
b un vettore
c che simbolizzeremo come
c a b.
Il primo problema che si incontra riguarda la direzione. Dobbiamo costruirci una regola che,
partendo dai due vettori iniziali, sia in grado di fornirci una direzione. Notiamo che, fissati
a e
b
ed applicati allo stesso punto O, risulta in generale (per ora escludiamo che siano paralleli)
definito un piano π passante per O e gli estremi A e B.
Assegnare una direzione in questo piano o in un piano ad esso parallelo riesce problematico e
non univoco mentre è immediato associare a π una direzione ad esso perpendicolare: difatti
tutte le rette perpendicolari a π possiedono la medesima direzione, univocamente determinata
appena sono dati i due vettori.
Conveniamo quindi di assegnare a
c a b la direzione perpendicolare al piano individuato dai
due vettori: in tal modo si ha
(ab)a e
(ab)b.
Si tratta ora di determinare il verso. A prima vista si potrebbe pensare di utilizzare le nozioni di
rotazione oraria e antioraria: per esempio, il verso di
c a b potrebbe essere uscente dal
piano dei due vettori se la rotazione che porta il primo vettore
a a sovrapporsi al secondo
b
attraverso l’angolo
minore di 180° risultasse antioraria, o viceversa. Una tale convenzione
non sarebbe comunque soddisfacente in quanto la nozione di rotazione oraria e antioraria
dipende dal punto di osservazione: difatti se si osserva la rotazione da punti appartenenti a
ciascuno dei due semispazi formati dal piano π, si ottengono risultati opposti.
Prendiamo invece una comune vite avvitata su una sottile tavola di legno. Questa, solo se
ruotata in un certo modo avanza, mentre per estrarla la si deve ruotare nel verso opposto. Un
tale comportamento rimane immutato se si guarda dall’altro lato della tavola: ancora per farla
avanzare nello stesso verso di prima bisogna ruotarla nello stesso modo. Un tale oggetto quindi
permette di associare univocamente ad un verso di rotazione un verso di avanzamento. Poiché
comunque esistono viti (poche) che si comportano diversamente (le prime si dicono destrorse,
queste ultime sinistrorse), conviene rifarci ad un oggetto che, per ora esiste solo nella versione
“destrorsa” ed è noto a tutti: il cavatappi. Possiamo quindi in definitiva definire la regola per il
verso di
a b: il vettore
c a b possiede il verso di avanzamento di un cavatappi fatto ruotare
concordemente alla rotazione che sovrappone il primo vettore
a sul secondo
b attraverso
l’angolo convesso
< 180.
Tale operazione prende il nome di prodotto vettorale. Le conseguenze di una tale posizione
sono immediate: osservando la figura qui sopra risulta evidente che
abba e quindi che i
due vettori possiedono versi opposti, proprietà anticommutativa. Mentre per il calcolo di
c e’
necessario fare ricorso al calcolo matriciale, il suo modulo è pari all’area del parallelogramma
definito da
a e
b ed è calcolabile come:
c ab a b sin
E’ immediato verificare come il prodotto vettoriale tra due vettori paralleli sia perciò nullo.
Cinematica
La fisica si occupa di descrivere e prevedere il mondo. Si cerca di descriverlo per poi provare a
prevederlo con il concetto di causa-effetto. La descrizione e’ complicata perchè si cerca di
descrivere con metodi propriamente umani l’intero Universo: una rappresentazione attraverso
concetti che sviluppiamo nella nostra esperienza sarà perciò soggetta a continue
approssimazioni.
Nella fisica classica, la parte che cerca di descrivere il moto e’ la cinematica: gli oggetti sono
considerati come dei punti (punti materiale), ipotesi accettabile se si osserva il sistema da
lontano, e viene trascurata qualunque influenza nel moto da attriti.
E’ innanzitutto fondamentale descrivere la posizione del punto materiale: ciò pone il problema di
scegliere un opportuno sistema di riferimento. Per individuare la posizione del punto P sono
necessarie le 2 coordinate in un sistema a 2 dimensioni, 3 coordinate in un sistema a 3
dimensioni.
Il sistema di riferimento più comune e’ il sistema cartesiano.
Sistema cartesiano
P P(x,y,z) R
La posizione e’ identificata da un raggio vettore da O al punto P di
coordinate (x, y, z) il cui modulo e’ banalmente definito come:
R x2 y2 z2
E’ comunque opportuno a seconda delle situazioni utilizzare anche sistemi di riferimenti
differenti.
Coordinate sferiche o Coordinate polari nello spazio
Servono a identificare un punto nello spazio, una volta fissata una terna di assi cartesiani (x, y e
z). Un punto P è individuato dalla terna
r0 ,
e
dove:
r0 è chiamato raggio vettore (distanza PO)
è chiamato distanza zenitale o colatitudine (angolo formato da PO con l'asse z, dove
O è l'origine degli assi)
P
O
z
x
y
R
si chiama azimut o longitudine (angolo formato da OH con l'asse x dove H è la
proiezione ortogonale del punto P sul piano xy)
Su questa base si definiscono sia le coordinate terrestri che le coordinate astronomiche.
La terna (
r0 ,
,
) è legato alla terna (x, y, z) dalle seguenti espressioni:
x r0 sin cos
y r0 sin sin
z r0 cos
Coordinate polari
Se descriviamo un sistema in due dimensioni, piano X,Y e vogliamo utilizzare questo tipo di
coordinate basta porre
0 e si ottengono le coordinate polari nel piano:
x r0 cos
y r0 sin
Coordinale cilindriche
Le coordinate cilindriche nello spazio individuano la posizione di un punto P mediante una
quota
z0 e una coppia di coordinate polari
0 e
.
x 0 cos
y 0 sin
z z0
Descrizione del moto di un punto materiale
Il moto è interamente noto nell’intervallo di tempo
t1 t t2 sono note
x(t)
y(t) e
z(t).
Le tre coordinate cartesiane di un punto sono le componenti dello spostamento che porta
dall’origine a quel punto: il raggio vettore r. Se si cambia origine le coordinate cartesiane
cambiano ed il raggio vettore cambia. Le tre componenti di uno spostamento da A a B non
dipendono invece dalla scelta dell’origine.
Gli spostamenti sono vettori e godono di tutte le loro proprietà. E’ importante quindi per il
proseguo del corso conoscere i concetti di somma e prodotto tra vettori e scalari.
Cambio di coordinate: rotazione degli assi (coordinate polari).
Supponiamo di voler passare da un sistema
X,Y ad
un sistema
X , Y avente la stessa origine ma ruotato
di un angolo
.
Dalla costruzione geometrica si nota che:
X X cos Y sin
Y X sin Y cos
Ricorrendo alla scrittura matriciale diventa immediato calcolare la funzione inversa:
X
Y
cos sin
sin cos
X
Y
da cui si ottiene
X
Y
cos sin
sin cos
X
Y
ossia:
X X cos Y sin
Y X sin Y cos
E’ immediatamente verificabile che le componenti dello spostamento si trasformano come le
coordinate dei punti. Supponiamo di spostarci dal punto P al punto Q:
XP X P cos Y P sin
YP X P sin Y P cos e
XQ X Q cos Y Q sin
YQ X Q sin Y Q cos
XP XQ
X
( X P X Q )
X
cos ( Y P Y Q )
Y
sin
YP YQ
Y
( X P X Q )
X
sin ( Y P Y Q)
Y
cos da cui
X X cos Y sin
Y X sin Y cos
Si dimostra invece che il modulo, ovvero la lunghezza del segmento da P a Q e’ uno scalare
invariante e non dipende dal sistema scelto:
r2 X 2 Y 2
X 2 cos2 Y 2 sin2 2 X Y cos sin X 2 sin2 Y 2 cos2 2 X Y cos sin
X 2 Y 2 r 2
Moti unidimensionali (moto rettilineo)
E’ il caso più semplice che si può considerare e corrisponde al moto di una particella P lungo
una retta data. Nello studio del moto rettilineo è perciò sufficiente utilizzare un solo asse
coordinato (ad esempio l’asse x). In questo caso le grandezze vettoriali (spostamento, velocità
e accelerazione) avranno la stessa direzione del versore
i e possiamo quindi effettuare i
calcoli tenendo conto solo del modulo.
Supponiamo che sia
x1 la posizione dell’oggetto all’istante
t1 e
x2 la posizione dell’oggetto
all’istante
t2. Definiamo “spostamento” del corpo lo spazio percorso dallo stesso nell’intervallo di
tempo (
t t2 t1) e lo indichiamo con
x x2 x1.
Definiamo “velocità media” di un corpo il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato a
percorrerlo:
vm v x
t.
Supponendo di arrivare a intervalli di tempo infinitesimali otteniamo invece la definizione di
“Velocità istantanea”:
v limt0
x
t
dx
dt
Supponiamo che
v1 sia la velocità dell’oggetto all’istante
t1 e
v2 la velocità dell’oggetto all’istante
t2. In maniera analoga si definisce “Accelerazione media” il rapporto:
am a v
t
Mentre si definisce “Accelerazione istantanea” il limite
a limt0
v
t
dv
dt
d2x
dt2.
Possiamo considerare due tipi di “moto rettilineo”:
Il moto rettilineo uniforme
Il moto rettilineo uniformemente accelerato
Nel primo caso la velocità si mantiene costante (sia in modulo che in direzione e verso) e quindi
l’accelerazione è uguale a zero.
Questo è l’unico caso nel quale ciò è possibile. Infatti, negli altri casi, pur non variando il
modulo, il vettore velocità non può essere costante in quanto varia la direzione e/o il verso e, di
conseguenza, l’accelerazione è sempre diversa da zero.
Considerando quindi che
v v0 e
a 0, calcoliamo la “equazione oraria del moto”, cioè la
posizione dell’oggetto in funzione del tempo e della sua posizione iniziale:
v v0 dx
dt v0 dx v0dt
integrando ambo i membri dx v0 dt x v0t c
La costante arbitraria “c” deve essere valutata sulla base delle “condizioni iniziali”. Se infatti,
nell’equazione ottenuta, poniamo
t 0, otteniamo
x c . In pratica la costante rappresenta la
posizione dell’oggetto nell’istante
t0, cioè nell’istante iniziale.
Chiamando
x0 la posizione iniziale dell’oggetto si ottiene la seguente equazione oraria del moto
rettilineo uniforme:
x v0t x0
Nel caso del moto rettilineo uniformemente accelerato, invece, è l’accelerazione a mantenersi
costante. Operando in modo analogo al precedente possiamo quindi calcolare la relativa
equazione oraria in funzione del tempo e della posizione e velocità iniziale di un oggetto:
a a0 dv
dt a0 dv a0dt
integrando ambo i membri dv a0 dt v a0t c1
Il valore della costante può essere ricavato ponendo
t 0 dalla quale si ottiene che
c1 v0
ovverosia la velocità iniziale.
Dal momento che
v dx
dt, possiamo sostituire questo valore nell’equazione precedente
ottenendo:
dx
dt v0 a0t dx v0dt at dt
integrando ambo i membri dx v0 dt a t dt x c2 v0t
1
2at2
Chiamando nuovamente
x0 la posizione iniziale dell’oggetto si arriva all’equazione oraria del
moto rettilineo uniformemente accelerato:
x x0 v0t 1
2at2
Caduta libera dei gravi
Un oggetto posto in vicinanza della superficie terrestre è sottoposto ad un’accelerazione
g ,
diretta secondo la verticale del luogo, che prende il nome di “accelerazione di gravità” e ha un
valore di circa
9,8m /s2. Supponiamo il vettore
g costante in modulo, direzione e verso.
In realtà questi vettori non sono paralleli, ma puntano verso il centro della Terra (vedi disegno a
lato). Tuttavia, se si prende in considerazione una superficie molto piccola (in relazione al
raggio della Terra), è possibile considerare tali vettori paralleli, trascurando la curvatura della
superficie considerata.
TERRA
g
In realtà anche il modulo del vettore
g non è costante, bensì varia in base alla distanza. Anche
in questa caso è comunque possibile considerare questo valore costante per distanze molto
piccole rispetto al raggio terrestre. L’accelerazione di gravità è una costante valida per ogni
corpo in modo del tutto indipendente dalla sua “massa”: due corpi lasciati cadere nel vuoto
cadono esattamente alla stessa velocità. (Le differenze di velocità osservate nella vita
quotidiana sono dovute alla “resistenza” esercitata dall’aria). La caduta di un grave e’ perciò un
moto uniformemente accelerato.
v0 0 e
y0 altezza iniziale
g j 9,8
v v0 gt gt
y y0 v0t 1
2gt2 y0
1
2gt2
Il tempo di caduta si ricava ponendo y = 0 nell’equazione:
y0 1
2gt2 0 da cui : t0
2y0
g
Conoscendo
t0 è possibile calcolare la velocità dell’oggetto quando tocca il suolo:
v f gt 2y0g
Nota: trasformazione tra km/h e m/s
s
mv
s
mv
h
kmv
sh
mKm
6,3106,3
10
106,31
101
3
3
3
3
6,3
h
kmv
s
mv e 6,3
s
mv
h
kmv
Moto in più dimensioni
Nello studio del moto in più dimensioni bisogna ricordare che spazio, velocità ed accelerazione
sono dei vettori. In modo analogo a quanto ottenuto per il modo unidimensionale si ricava che
data una traiettoria in funzione del tempo
s (t) (x(t),y(t),z(t)):
v (t) ds (t)
dt
dx(t)
dt,dy(t)
dt,dz(t)
dt
vx (t),vy (t),vz (t)
a (t) dv (t)
dt
dvx (t)
dt,dvy (t)
dt,dvz (t)
dt
ax (t),ay (t),az (t)
La velocità istantanea e’ sempre tangente alla traiettoria nel punto considerato.
Un qualunque moto piano può quindi essere considerato come la composizione di due moti
rettilinei.
Abbiamo dunque:
v 0 i v0x j v0y e
a i ax j ay
Possiamo perciò applicare le formule già adoperate per i moti rettilinei:
vx v0x axt e
x x0 v0xt 1
2axt
2 per il moto lungo l’asse delle x
vy v0y ayt e
y y0 v0yt 1
2ayt
2 per il moto lungo l’asse delle y
Esempio: Moto del “proiettile”
Il moto si studia considerando le due componenti. Lungo l’asse X e’ un moto rettilineo uniforme,
lungo l’asse Y e’ un moto uniformemente accelerato. Consideriamo i punti limite del problema.
In
ymax la velocità ha solo la componente orizzontale (
v0x); la componente
v y si è annullata per
effetto dell’accelerazione di gravità che agisce in senso opposto all’asse y scelto.
Ponendo
vy 0 otteniamo:
v0 sin gt 0 da cui si ricava
t v0 sin
g2
Sostituendo nell’equazione della y il valore di t si trova:
ymax 0 v0 sin t 1
2g t 2
v0
2sin2
g
1
2g
v0
2sin2
g2
v0
2sin2
2g
Dal momento che la curva è simmetrica il tempo di volo sarà esattamente (in assenza di attrito)
il doppio del tempo necessario a raggiungere
ymax, cioè:
tvolo 2v0 sin
g;
Calcolare la gittata e’ perciò immediato:
xmax 2v0
2sin cos
g
v0
2sin2
g
Possiamo inoltre determinare l’angolo per il quale si ottiene la massima gittata (a parità di altre
condizioni): il valore “massimo” di
xmax si ottiene quando
sin2 1, cioè quando
45.
Moto circolare uniforme
Una particella vincolata a muoversi, con velocità costante, lungo una circonferenza compie un
moto definito moto circolare. Visto come moto unidimensionale lungo una guida circolare è un
caso particolare del moto rettilineo uniforme. La differenza sostanziale consiste nel fatto che la
coordinata
s (t), che individua la particella sulla guida e che rappresenta l’arco percorso, è una
variabile periodica di periodo uguale alla lunghezza della circonferenza.
Essendo il raggio costante e variando solo l’angolo e’ immediato scrivere:
s (t) r (t)
v (t) ds (t)
dt r
d(t)
dt r
Il vettore
v (t) viene definito velocità tangenziale, mentre
e’ la velocità angolare (misurata in
rad/s). La velocità angolare non è una grandezza scalare, ma vettoriale; oltre a definirne il
modulo occorre quindi indicarne anche la direzione e il verso: la direzione è ortogonale al piano
del movimento mentre il verso è determinato secondo la “regola della mano destra” tenendo
conto della seguente relazione
v r (dove il segno
indica il prodotto vettoriale). Se la
velocità angolare e’ costante (perciò una accelerazione angolare nulla) si parla di moto circolare
uniforme e la legge oraria che si ricava e’:
d dt
da cui integrando ambi i membri
t 0
Le cose cambiano significativamente se si considera il moto circolare un moto in un piano. In tal
caso la circonferenza è il bordo di un cerchio di raggio
r , con centro in O e la velocità, vista
come vettore nel piano, non è più costante perché nonostante il suo modulo resti costante la
sua direzione varia. La traiettoria può essere descritta efficacemente tramite l’equazione
parametrica:
P(x(t),y(t)) rcos(t),rsin(t) con
(t)t essendo un moto uniforme.
Si ricava la velocità tangenziale derivando rispetto al tempo:
v dr
dt r
dcost
dt,r
dsint
dt
r sint,r cost
a dv
dt r
dsint
dt,r
dcost
dt
r 2 cost,r 2 sint
Questo significa che esiste un’accelerazione, detta accelerazione centripeta, di modulo
costante pari a
r 2 v2/r , orientata come il vettore che va da P a O, che fa cambiare direzione
alla velocità tangenziale.
Se la velocità angolare non fosse costante il moto sarebbe circolare non uniforme e derivando
in funzione del tempo bisogna considerare che
non e’ una costante ma dipende dal tempo.
Moto circolare e oscillazioni armoniche
Il punto “A” si muove di moto circolare uniforme con velocità
angolare
venendosi a trovare successivamente nei punti B, C, D
ecc. Imponiamo
0 0, abbiamo che la legge oraria e’ descritta
dall’equazione
t .
Se esaminiamo le proiezioni sull’asse x delle varie posizioni del punto (
A ,
B , ecc.) ci
accorgiamo che la x oscilla fra “- r” e “r” mentre il punto compie la sua traiettoria circolare.
Osserviamo quindi che:
A rcos rcost .
In generale possiamo affermare che:
x x0 cos(t 0). Questa equazione rappresenta il moto
di un punto materiale che oscilla da
x0 a
x0. In questo caso la
prende il nome di “pulsazione
del moto armonico”.
Definiamo “periodo” (che indichiamo con
T ) il tempo impiegato dalla particella ad effettuare un
movimento periodico completo. Il periodo
T corrisponde al tempo impiegato per compiere un
intero giro nel caso del moto circolare, al tempo impiegato per compiere un’oscillazione
completa nel caso di un moto oscillatorio, tipo pendolo o molla.
Se il moto è uniforme, si ha:
t , cioè:
t
da cui otteniamo
T 2
ed
f 1
T
Definiamo “frequenza” (che indichiamo con
f ) l’inverso del periodo. La frequenza indica quanti
giri (nel caso di moto circolare) o quante oscillazioni complete (nel caso di moto oscillatorio)
vengono effettuate in un secondo. Si misura in “hertz” (Hz, cicli al secondo).
Si ponga ora
0 0 e si consideri la legge oraria
x x0 cos(t 0)
v dx
dt x0sen t
xtxdt
dva 2
0
2 cos
La quantità
x0 prende il nome di ampiezza della velocità e dipende dall’ampiezza
dell’oscillazione (
x0) e dalla pulsazione del moto armonico (
).
4
3
T 2
1
T
4
1
T
t
x
x
0
-
x0
T
L’accelerazione è proporzionale allo spostamento
x , quindi anche la forza che causa
l’accelerazione dovrà essere proporzionale ad
x e tende a riportare l’oggetto nella posizione di
“equilibrio” centrale.
L’equazione dell’accelerazione scritta sopra permette di vedere immediatamente come questo
moto sia descritto da una equazione differenziale del secondo ordine. Infatti:
d2x
dt2 2x la cui soluzione e’ data ovviamente da
x x0 cos( t ) .
Relativita’ Galileiana
Ci poniamo il problema di come legare le varie grandezze fisiche nei diversi sistemi di
riferimento. Ogni fenomeno, infatti, “appare” in modo diverso in base al sistema di riferimento
considerato.
La “relatività galileiana” si basa su due postulati fondamentali:
1. Gli intervalli di tempo sono gli stessi, misurati nei diversi sistemi di riferimento (
t t );
2. Le lunghezze sono uguali, misurate in tutti i sistemi di riferimento (
s s ).
Queste considerazioni sono valide solo per oggetti che abbiano una velocità molto inferiore a
quella della luce (fino a un valore v = 0,1 0,2 C con C = velocità della luce = 3 108 m/s).
Si prenda ora un generico punto P in
movimento. Si consideri un sistema di
riferimento
OXYZ ed un sistema di riferimento
O XYZ . Il moto relativo più semplice è il moto di
traslazione dell’origine con una velocità relativa
v R, con gli assi che mantengono orientazioni
relative fisse.
Per convenzione si consideri
OXYZ il sistema mobile,
O XYZ il sistema fisso. Ad un generico
tempo
t di definisce:
r P come la posizione del punto P rispetto al sistema mobile
r P come la posizione di P nel sistema fisso
rO O la posizione dell’origine del sistema mobile rispetto al sistema fisso
Per la regola della somma fra vettori si ha:
r P r P r O O . Derivando rispetto al tempo si ottiene la
velocità:
d r P
dt
d(r P r O O )
dt da cui:
v P v P v R
Per quanto riguarda l’accelerazione possono verificarsi due diversi casi.
1. Il sistema
OXYZ si muove con velocità uniforme
v R rispetto al sistema
O XYZ :
d v P
dt
dv P
dt
dv R
dt da cui, visto che
dv R
dt 0 si ricava:
a a
Ossia nei due sistemi si ha la stessa “legge del moto”.
2. Il sistema
OXYZ si muove rispetto al sistema
O XYZ con velocità
v R non costante:
d v P
dt
dv P
dt
dv R
dt da cui si ottiene:
a P a P a R
L’accelerazione non è la stessa in tutti i sistemi di riferimento. Nel sistema di riferimento
OXYZ
possono esserci delle accelerazioni dipendenti da
a R che vengono chiamate anche
“accelerazioni fittizie” in quanto non provocate dall’azione di nessuna forza (v. esempio del tram
che frena). Nel caso di una rototraslazione di un sistema rispetto all’altro questo risultato
sarebbe decisamente più complesso e sarà analizzato in seguito.
Si e’ dimostrato quindi il principio di relatività: se si effettua lo stesso esperimento in due diversi
sistemi di riferimento in moto relativo rettilineo uniforme si ottiene lo stesso risultato.
Le trasformazioni di Galileo furono messe in crisi da esperimenti effettuati nell’Ottocento con i
quali si dimostrò che la luce si propaga nel vuoto sempre alla stessa velocità in qualunque
sistema di riferimento. L’errore è dovuto proprio ai due postulati. Ad altissime velocità (prossime
a quelle della luce) si ha una “dilatazione dei tempi” e una “contrazione delle lunghezze”.
Sistemi non inerziali: accelerazioni apparenti.
Consideriamo ora il caso di moto di un punto materiale
P descritto in sistema di riferimento mobile che ruota
rispetto ad un sistema di riferimento fisso con una
velocità angolare costante. Questo e’ il caso ad
esempio del nostro pianeta; la Terra infatti non è un
sistema inerziale, perché ruota intorno al Sole e ruota
attorno al proprio asse.
Nel sistema di riferimento mobile il moto di P e’ descritto dalle coordinate in funzione del tempo:
P x y ( x (t), y (t)) V x y (v x (t),v y (t)) a x y (a x (t),a y (t))
da cui derivando e’ possibile ottenere velocità ed accelerazione.
Si vuole ora descrivere il moto di P nel sistema di riferimento fisso XY. Per comodità si
utilizzano le coordinate polari già studiate in precedenza:
x x cos y sin
y y cos x sin
x(t) x (t)cos(t) y (t)sin(t)
y(t) y (t)cos(t) x (t)sin(t)
Derivando rispetto al tempo e’ possibile ottenere la velocità e l’accelerazione. Per semplicità si
riportano i calcoli solo per la coordinata x.
vx dx
dt v x cos(t) x sin(t)v y sin(t) y cos(t)
ax dvx
dt a x cos(t) v x sin(t) v x sin(t) 2 x cos(t)
a y sin(t) v y cos(t) v y cos(t) 2 y sin(t)
ossia, raccogliendo si ottiene:
ax a x cos(t) a y sin(t) 2[ x cos(t) y sin(t)]2[v x sin(t) v y cos(t)]
Con un procedimento analogo e’ possibile ricavare il moto lungo y. Ritornando alla scrittura
vettoriale e’ possibile formulare in risultato sopra ottenuto nella forma:
a a ( r )2 v
dove il vettore
(0,0,) ed
indica il prodotto vettoriale,
( r ) è l’accelerazione
apparente definita accelerazione centripeta e
2 v e’ l’accelerazione apparente definita
accelerazione di Coriolis.
L'effetto sull'atmosfera
L'effetto Coriolis ha un ruolo molto importante nella dinamica atmosferica e sulla meteorologia,
poiché influisce sui venti, sulla formazione e rotazione delle tempeste, così come sulla direzione
delle correnti oceaniche (spirale di Ekman).
Masse d'aria si riscaldano all'equatore, diminuiscono in densità e salgono, richiamando aria più
fredda che scorre sulla superficie terrestre verso l'equatore. Poiché non c'è abbastanza attrito
tra la superficie e l'aria, questa non acquisisce la velocità necessaria per mantenersi in co-
rotazione con la terra. I venti che normalmente scorrerebbero verticalmente dai poli verso
l'equatore sono quindi deviati dalla forza di Coriolis e danno origine a quei venti costanti noti
con il nome di alisei. Nell'emisfero nord questi venti soffiano da nord-est verso sud-ovest e
nell'emisfero sud soffiano da sud-est verso nord-ovest. I flussi d'aria che si sollevano
all'equatore non giungono fino ai poli, poiché la forza di Coriolis costringe le correnti d'aria a
muoversi in circolo intorno alle regioni polari.
Esempio: pendolo di Focault. Se mettiamo un pendolo al polo la forza centrifuga sarà nulla
perchè r = 0, ma esiste ancora la forza di Coriolis. Sperimentalmente si osserva che il piano di
rotazione del pendolo ruota a causa della non inerzialità della Terra.
Fase di Schematizzazione
Moti (cinematica del punto materiale)
Velocità media:
v mx
t
x fx i
t ft i
Dove
vm e’ velocità media,
x lo spazio percorso,
t il tempo impiegato a percorrerlo,
x i,
x f le
posizoni all’istante iniziale (
t i) e finale (
t f ).
Velocità istantanea:
v limt0
x
t i
dx
dt i
Accelerazione media:
am v
t
v f v i
t f ti
[2s
m]
Dove
am e’ l’accelerazione media,
v la variazione di velocità,
t il tempo impiegato,
v i ,
v f le
velocità all’istante iniziale (
t i) e finale (
t f ).
Accelerazione istantanea:
a limt0
v
t lim
t0
v
t i
dv
dt i
Moto uniforme (
v cost,
a 0):
x x0 v0t
Moto uniformemente accelerato (
a cost):
v v0 at ,
x x0 v0t 1
2at2
Moto dei gravi:
Corpi in caduta libera
Si consideri un sistema di riferimento con l’asse y verticale rivolto verso l’alto. Il moto di un
corpo (nel vuoto) sottoposto alla gravità terrestre è uniformemente accelerato con
accelerazione:
g 9,8m
s2 diretta verso il basso.
Corpo in caduta libera:
y h 1
2gt2
vy v gt
Con
h la posizione iniziale del corpo
(yi h):
Tempo di caduta: g
htc
2
Velocità finale di caduta:
v f 2gh
Lancio verticale verso l’alto:
Se il corpo viene lanciato dall’origine degli stessi assi con velocità iv
diretta verso l’alto:
y v0t 1
2gt2
vy v v0 gt
Massima altezza raggiunta:
ymax v0
2
2g
v 0
Tempo necessario per raggiungere
ymax:
tmax v0
g
Moto in un piano verticale:
Un esempio di moto con accelerazione costante è quello di un proiettile. Il proiettile ha
un’accelerazione costante uguale a
g e diretta verso l basso. La velocità e’ un vettore con
componenti in x ed in y. Benché la componente orizzontale della sua velocità sia diversa da
zero, è invece nulla la componente orizzontale della sua accelerazione.
vx vx0 durante tutto il
percorso. La distanza orizzontale R rappresenta la gittata del proiettile.
x (v0 cos) t
y (v0 sin) t 1
2gt2
vx v0 cos
vy v0 sin gt
Massima altezza e gittata raggiunta:
ymax v0
2 sin2
2g
xmax v0
2 sin2
g
Tempo di volo:
tv 2 v0 sin
g
Moto circolare uniforme:
Il corpo si muove su una traiettoria circolare di raggio R con velocità costante in modulo. Poiché
la velocità istantanea v
(tangente alla traiettoria) cambia continuamente in direzione,il corpo è
soggetto ad una accelerazione, detta centripeta (in quanto diretta verso il centro della
traiettoria). Se la velocità non è costante, vi sarà accelerazione sia centripeta sia tangenziale.
Il moto circolare può anche essere scritto in termini di variabili angolari.
L’equazione oraria e’:
(t)
La velocità e l’accelerazione lineare di un punto che si muove lungo la circonferenza sono:
v R
aT R
ac v 2
R R 2
La frequenza
f ed il periodo
T sono definita:
2f
T 1
f
Unità didattica 3
Esercizi riassuntivi UD2.
Esercizio 1
Il sistema, mostrato in figura, è costituito da una massa m appoggiata su una guida rettilinea
inclinata di un angolo
rispetto all'orizzontale. Calcolare l'accelerazione
a t con la quale deve
muoversi la guida orizzontalmente affinché la massa m cada verticalmente con accelerazione
pari a
g .
[ 30,g 9,8m /s2]
Suggerimento: tenere conto che
g è diretta solo verticalmente, mentre
a t è diretta solo
orizzontalmente.
Soluzione:
L’ accelerazione della massa è
g rispetto ad un osservatore inerziale, e
a rispetto ad un
riferimento non inerziale solidale con la guida.
L'accelerazione di gravità nel riferimento solidale con la guida è:
g g a t
Indicato con
a il modulo dell'accelerazione della massa nel riferimento solidale con la guida
vale:
a gsin at cos
La componente orizzontale di
a deve equilibrare
a t , quindi:
at at cos2 gsin cos g
tan 5,7m /s2
rivolti all’indietro.
Esercizio 2
Un vecchio cannone viene fatto sparare orizzontalmente dalla cima di una montagna e la
velocità
v della palla viene regolata in modo tale da farle colpire un bersaglio posto nella
pianura sottostante solo al secondo rimbalzo.
Nel rimbalzo la componente verticale della velocità
v0y si riduce di un fattore f e la componente
orizzontale
v0x rimane costante.
Qual è la velocità
v0 di uscita della palla del cannone per poter colpire un bersaglio distante d,
se la montagna sulla cui cima è situato il cannone è alta h? Qual è la velocità
v0 di uscita della
palla se si vuole colpire il bersaglio direttamente? [f=0,6; h = 1km; d = 9km]
Suggerimento: calcolare la durata del moto in verticale ed ricordare che in tale tempo viene
percorsa orizzontalmente la distanza d.
Soluzione:
a) La componente orizzontale del moto si mantiene costantemente uniforme, per cui basta
calcolare la durata del moto verticale ed imporre che
d vxt , cioè
vx d /t .
Il primo impatto avviene dopo il tempo
t1:
t1 2h
g10 2 14,1 secondi
mentre il secondo impatto avviene con un ritardo
t2:
t2 2vy
g12 2 17 secondi
dove
v y è quella subito dopo l'urto:
vy fgt1 60 2 84,9 m/s
Quindi:
vx d
t d
g
2h 630 m/s
b) La componente verticale del moto è uniformemente accelerata con accelerazione
9.8m/s2
perciò il tempo impiegato dalla palla per raggiungere il suolo è:
t 2h
g
In questo tempo la palla percorre orizzontalmente la distanza
d vxt 9 km, cioè:
vx d
t d
g
2h 630 m/s
Esercizio 3
Una ruota panoramica ha un raggio r = 60 m e gira in un piano verticale facendo un giro
completo in un tempo T = 10 minuti. Il centro O della ruota si trova ad un’altezza h = 65 m
rispetto al suolo. Un turista sbadato si sporge e lascia cadere la macchina fotografica, la quale
cade al suolo in un tempo
t1 = 4,5 s. Determinare da quale altezza H rispetto al suolo è caduta
la macchina fotografica e in quali punti e ragionevole cercarla.
Soluzione
Sia O(x,y) il piano in cui gira la ruota, con origine nel centro della ruota, l’asse x orizzontale e
l’asse y verticale. Si indichi con
P(r,) il punto in cui si trova la macchina fotografica prima di
cadere, con
r e la distanza di P da O e
l’angolo che la retta passante per P e O forma con
l’orizzontale.
La velocità angolare della ruota è
2 /T e quindi ogni oggetto al suo interno ha una velocità
v , tangente alla circonferenza di raggio
, dove
è la distanza dell’oggetto dal centro. Il
problema in esame è quello di un corpo che cade dal punto P nel campo di gravita con una
velocità iniziale
v . Le condizioni iniziali, scritte per componenti rispetto al riferimento O(x,y)
sono:
x0 rcos ,
y0 rsin,
vx rsin e
vy rcos
Le equazioni del moto diventano:
x(t) vxt x0 rtsin rcos e
y(t) 1
2gt2 vyt y0
1
2gt2 rtcos rsin
All’istante
t1 la macchina fotografica si trova al suolo, quindi:
y(t1) h 1
2gt1
2 rt1 cos rsin h 0
Con la sostituzione
cos z e
sin 1 z2 l’equazione precedente diventa un’equazione di II
grado in z, cioè:
rt1z r 1 z2 (1 2t12)r2z2 2rt1z
2 r2
dove si e posto
h gt12/2. Risolvendo l’equazione si ottiene:
z1,2 t1 (12t1
2)r2 2
(12t12)r
con condizione che
(12t12)r2 2 0
Il determinante dell’equazione deve essere positivo affinché le soluzioni siano reali; inoltre le
soluzioni, in valore assoluto, devono essere minori o uguali a 1 (questo e certamente vero se i
dati sono sensati). Sostituendo i valori numerici si verifica che il determinante e effettivamente
positivo e si ottiene:
z1 cos1 0,8471 0.6rad
z2 cos2 0,7941 2.5rad
Come si vede entrambe le soluzioni sono accettabili. Le coordinate dei due punti possibili da cui
e caduta la macchina fotografica sono quindi
P1 (rcos1,rsin1) (rz1,r 1 z1
2 ) (50.86m,31.82m)H1 96.82m
P2 (rcos2,rsin2) (rz2,r 1 z2
2 ) (47.64m,36.47m)H2 101.47m
Le coordinate dei possibili punti finali sono invece:
˜ P 1 (x(1),H1) (47.92m,96.82m)
˜ P 2 (x(2),H2) (49.76m,101.47m)
Le zone in cui cercare la macchina fotografica sono le due strisce ortogonali al piano di
rotazione, con coordinate 47,92 m e 49,76 m rispettivamente.
Dinamica
La dinamica è la parte della fisica che studia le cause che producono il movimento dei corpi.
Le leggi della dinamica di Newton
La dinamica classica (di Newton) si basa sull’ipotesi che la massa inerziale di un corpo sia
costante (indipendentemente dalla sua velocità). In realtà, secondo la teoria relativistica, la
massa di un corpo dipende dalla sua velocità nel seguente modo:
mv m
1v 2
C 2
dove
C e’ la velocità della luce e
m la massa a riposo
Se poniamo
v 0.1C otteniamo:
mv m
10,1C
C
2
m
0,99 m.
Risulta quindi evidente che, per valori molto inferiori alla velocità della luce, è possibile
considerare la massa come se fosse costante e applicare le leggi della dinamica di Newton.
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
7000
8000
0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9
velocità della luce
ma
ssa
de
l co
rpo
Risulta evidente, tanto dal grafico quanto dalla formula, il motivo per il quale nessun corpo
materiale può essere accelerato ad una velocità pari a quella della luce. Infatti se
v C si
annulla il denominatore della frazione quindi la massa tende all’infinito.
Dinamica classica
La dinamica classica si prefigge lo scopo di scoprire le cause che determinano una
“accelerazione” nei corpi causandone il movimento o, al contrario, arrestandone il moto. Queste
“cause” prendono il nome di “forze” e sono determinate dalle interazioni fra i corpi.
Le Tre Leggi Della Dinamica Di Newton
I) PRINCIPIO D’INERZIA
Un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo e uniforme fino a che non
intervenga una causa (forza) esterna a modificare questo stato di quiete o di moto rettilineo e
uniforme.
(Nota: lo stato di quiete è un particolare stato di moto rettilineo e uniforme con
v 0).
In un “sistema accelerato” non vale il principio d’inerzia: lo stato di un corpo può cambiare
anche senza che si verifichi alcuna interazione fra i corpi (v. esempio del tram in frenata).
Un sistema di riferimento viene definito “sistema di riferimento inerziale” se è possibile verificare
che in quel particolare sistema di riferimento è valido il principio d’inerzia (almeno nei confronti
del tipo di esperimento che si intende effettuare). Il pianeta terra, per esempio, può essere
considerato un sistema inerziale per certi esperimenti (ad esempio oscillazione del pendolo in
un periodo di tempo relativamente breve) e non per altri (ad esempio oscillazione del pendolo in
un periodo di tempo relativamente lungo, vedi esperimento del pendolo di Foucault).
Osservazione
Se un sistema di riferimento è inerziale allora tutti i sistemi di riferimento che si muovono con
velocità costante (moto rettilineo e uniforme) rispetto ad esso sono sistemi di riferimento
inerziali.
Massa inerziale
Definiamo “massa” (inerziale) di un oggetto l’inerzia che ha l’oggetto stesso a cambiare il suo
stato di quiete o di moto rettilineo e uniforme. Quando si applica una “forza” ad un oggetto,
questo acquista un’accelerazione che è “inversamente proporzionale” alla sua massa inerziale.
A parità di forza applicata, quindi, un oggetto con massa inerziale maggiore acquisterà
un’accelerazione minore di uno con massa inerziale inferiore.
F m1a 1
m2a 2
m
a
Per misurare la massa si utilizza una “massa campione”. Si applica la stessa forza sia alla
massa campione che a quella in esame. Si misurano le accelerazioni ottenute e si ricava il
valore della massa cercata nel seguente modo:
m mcac
a (
mc e
ac indicano rispettivamente
massa e accelerazione del campione).
Inoltre si verifica sperimentalmente che l’accelerazione acquistata dal corpo ha la stessa
direzione e lo stesso verso della forza applicata. Anche la forza, infatti, è una grandezza
vettoriale.
II) SECONDA LEGGE DELLA DINAMICA
La seconda legge della dinamica è una diretta conseguenza di quanto appena detto.
La forza applicata ad un corpo di massa
m è uguale al prodotto della massa per l’accelerazione
acquistata dal corpo. In pratica si ha:
F m a .
Se ad un corpo si applicano più forze per ognuna è valida la legge di Newton. L’accelerazione
acquistata dal corpo è determinata dalla “risultante” di tutte le forze applicate:
m a F ii1
n
.
Ovviamente se si ha un “equilibrio di forze”, cioè se la risultante delle forze applicate è “nulla” si
avrà un’accelerazione uguale a zero.
III) PRINCIPIO DI AZIONE E REAZIONE
Si considerino due masse m1 e m2 che interagiscono fra loro cioè esercitano delle forze uno
sull’altro. S è un sistema isolato e non ci sono influenze esterne sui due corpi
F12 è la forza esercitata da m2 su m1 (agisce su m1)
F21 è la forza esercitata da m1 su m2 (agisce su m2)
m1
m2
F
F a
1
a
2
Il principio di “azione e reazione” afferma che queste due forze sono uguali in modulo e
direzione, ma hanno verso opposto: F12 = - F21.
Forza Peso
Considerato che ogni corpo sulla terra e’ sottoposto all’accelerazione di gravità, risulta che ad
ogni corpo e’ applicata una forza, chiamata forza peso, definita come:
P m g
Dove
g 9.8m /s2 e’ l’accelerazione di gravità. La forza peso e’ la forza con la quale la Terra e
un oggetto si attraggono.
Osservazione.
La forza è una grandezza fisica “derivata”.
“Equazione dimensionale”:
[F] [M] [a] [MLT2]
Nel sistema MKS (normalmente utilizzato) si ha:
F Kg m s2 N (newton)
Nel sistema CGS (ormai in disuso) si ha:
F g cm s2 dyne (dina)
Quantità di Moto
Definiamo “quantità di moto” di un oggetto il prodotto della sua massa per la velocità.
p m v
m
1
m
1 F12 F21
S
quindi
p è parallelo al vettore velocità e quindi tangente in ogni punto alla traiettoria percorsa.
Nella dinamica classica (nella quale si suppone che la massa sia costante) si ha:
F m a mdv
dt
Nella dinamica relativistica, invece, la massa varia in funzione della velocità. Quindi
l’applicazione di una forza non influisce solo sulla velocità di un corpo, ma sulla sua “quantità di
moto”:
F dp
dt
d
dt(mv ).
Quest’ultima è la definizione “corretta” di forza, valida sia per la dinamica classica che per
quella relativistica. Se ci troviamo in un sistema isolato come quello considerato in precedenza,
abbiamo:
F 12 dp 1
dt e
F 21 dp 2
dt
da cui, per il “principio di azione e reazione” si ha:
dp 1
dt
dp 2
dt
Si verifica uno “cambio di quantità di moto”: la quantità di moto persa (o guadagnata)
dall’oggetto uno viene guadagnata (o persa) dall’oggetto due.
Osserviamo anche che:
dp 1
dt
dp 2
dt 0
d
dt(p 1 p 2) 0
la somma delle quantità di moto non varia rispetto al tempo (derivata nulla) quindi possiamo
affermare che:
p 1 p 2 è costante.
Principio di conservazione della quantità di moto
In un sistema isolato la quantità di moto è costante. L’esempio sopra considerato su un sistema
isolato di soli due oggetti, può essere esteso al caso di un sistema isolato di “n particelle”.
Si avrà quindi:
p 1 p 2 ......... p n p i costantei1
n
p (quantità di moto totale del sistema).
La quantità di moto delle singole particelle può variare (e in generale varia). È solo la quantità di
moto totale a rimanere costante.
Esempio
Un fucile di massa
m f = 5 Kg spara un proiettile di massa
mp = 20 gr ad una velocità
v p = 100
m/s. Calcolare la velocità di rinculo del fucile.
Condizione iniziale:
p f _ i p p _ i 0
Condizione finale:
p f _ f p p _ f 0
m f v f mpv p 0 v f mpv p
m f
2 102 10 2
5 0,4m /s (con verso opposto rispetto a
v p ).
Vincoli: forze vincolari
Si consideri una massa m appoggiata sopra una superficie. La massa esercita sulla superficie
la sua forza peso
P diretta verticalmente. La superficie a sua volta esercita sul corpo una forza
R .
La forza
R viene definita “reazione del vincolo” o “reazione vincolare” ed e’ la forza esercitata
dal piano sul blocco. All’interno del piano sono presenti delle “forze molecolari” che a loro volta
controbilanciano la forza
R evitando che il piano si deformi).
Esempio:
Omino sulla bilancia: In realtà la bilancia non misura
P , ma
R che, su
un piano orizzontale, è esattamente uguale a
P .
La bilancia funziona con la forza “peso”, ma è poi tarata per dare il valore della “massa”.
Questo tipo di bilancia funziona invece creando un equilibrio tra i
“momenti” delle forze peso.
Se invece ci si trova su un piano inclinato bisogna scindere la forza
P nelle sue due
componenti
P n e
P t , ossia le componenti normale e tangente alla superficie. In questo caso si
avrà
R P n
Pn P cos mg cos
Pt P sin mg sin
R P n
In questo caso la forza con la quale il blocco “schiaccia” il piano non è più la forza peso, ma
solo la sua componente “normale” rispetto al piano (
P n ) e la direzione di
R è uguale in modulo e
di verso opposto.
La componente normale del peso è perciò equilibrata dalla reazione del vincolo:
P n R 0
La componente
P t invece tende ad accelerare il corpo lungo la direzione del piano.
In assenza di forze frenanti (forze di attrito) si ha:
Pt m a da cui
a gsin
L’angolo
è l’angolo formato dal piano sul quale scorre il blocco rispetto alla direzione
orizzontale. All’aumentare dell’angolo
si ha un aumento del modulo della componente
Pt e di
conseguenza un aumento dell’accelerazione e una diminuzione della forza con la quale il
blocco schiaccia il piano.
I vincoli più frequenti
Filo
Esaminiamo il caso di un oggetto appeso ad un filo inestensibile (cioè che non si allunga
quando vi si appende un oggetto) a sua volta fissato a un piano indeformabile.
TP 0T mg
Esaminiamo ora quali forze agiscono nel filo:
T Pf T 0 T m f gT T
La tensione
T applicata dal blocco al filo si trasmette al soffitto,
T ; un filo inestensibile di
massa trascurabile trasmette semplicemente la tensione da un punto ad un altro.
Per ogni forza si può identificare una “azione” e una corrispondente “reazione” (uguale e
contrario secondo il terzo principio della dinamica). Non sempre però interessa conoscerle
entrambe. Nel caso del filo attaccato al soffitto, per esempio, non interessa la forza di reazione
esercitata dalle forze molecolari presenti all’interno della struttura del soffitto che ne
impediscono la deformazione o il crollo.
Guida circolare orizzontale
Esaminiamo il caso di un oggetto che si muove all’interno di una “guida
circolare” posta su un piano orizzontale. Il corpo è vincolato dalla
presenza della guida a compiere un percorso circolare.
Supponiamo inoltre che la guida sia “indeformabile”.
Supponiamo
v sia costante. Affinché la pallina compia un percorso
circolare è necessario che si abbia una accelerazione centripeta:
R
v
Fc
ac v2 /R
La forza centripeta necessaria per ottenere questa accelerazione è fornita dal vincolo della
guida.:
Fc m ac mv2 /R
A questa ovviamente corrispondere una forza di reazione
F c , uguale in modulo e direzione, ma
di verso opposto, che è la forza esercitata dalla pallina sulla guida.
Le forze di attrito
Fino ad ora abbiamo sempre considerato delle superfici perfettamente “lisce” che non
oppongono nessuna resistenza al movimento degli oggetti. Nella realtà però ciò non accade
mai a causa della presenza delle “forze di attrito”.
Se si considera di appoggiare un oggetto su un piano e poi di inclinare gradualmente il piano
stesso si vede che il corpo non si mette in movimento fino a quando non si raggiunge un certo
angolo di inclinazione (che varia in base alle caratteristiche del piano e dell’oggetto).
Fino a quando il corpo non si mette in movimento significa che la componente
P t della forza
peso, quella che dovrebbe determinare l’accelerazione del corpo, è esattamente equilibrata
dalle “forze di attrito”. In questo caso si parla di “attrito statico di strisciamento”, cioè di un attrito
che si manifesta su un oggetto fermo quando cerchiamo di metterlo in movimento facendolo
strisciare. Considerando che in un corpo in quiete la somma delle forze ad esso applicato e’
nulla e che aumentando l’angolo di inclinazione la componente
P t aumenta, significa che la
forza di attrito non è costante ma aumenta proporzionalmente alla forza applicata fino a quando
non si raggiunge una situazione di “attrito massimo” oltre la quale il corpo inizia a muoversi.
Il valore
FasMax (forza di attrito massimo) dipende da due componenti:
1. la forza
P n che il corpo esercita sul piano di scorrimento;
3. il “coefficiente di attrito statico”
s che dipende dalle caratteristiche delle superfici che
vengono a contatto.
Attrito statico
La situazione limite e’ quindi raggiunta quando:
Pt FasMax s Pn
Mentre in ogni istante precedente nel quale il corpo e’ in quiete vale la disuguaglianza:
Fas FasMax
La direzione del vettore
F as è sempre uguale (ma di verso opposto) a quella della forza che
causa il movimento del corpo al quale
F as si oppone.
Attrito dinamico di strisciamento
A differenza della forza di attrito statico, la forza di attrito dinamico è costante. Si ha:
Fad d Pn
dove
d indica il “coefficiente di attrito dinamico”.
Misura del coefficiente di attrito statico
Pn P cos mgcos
Pt P sin mgsin
Fas sR sPn
Fas smgcos
Fino a quando l’oggetto non si muove significa che c’è “equilibrio di forze” nelle due direzioni:
“ortogonale” al piano:
P n R 0
“parallela” al piano:
P t F as 0
La seconda relazione comporta che
Fas Pt sPn e sostituendo le proiezioni si ottiene:
Psin sPcos s tan
Il “coefficiente di attrito” è determinato dal rapporto fra due forze, quindi risulta adimensionale.
Altri tipi di attrito
Oltre al tipo di attrito fin qui esaminato, ne esistono altri due tipi:
attrito volvente: attrito causato da un corpo che “rotola” (per esempio una ruota che gira). Il suo
valore è generalmente molto basso.
attrito viscoso: attrito esercitato da un fluido (un gas o un liquido) su un corpo che si muove
all’interno di esso. La direzione della forza di attrito è opposta a quella del vettore
v che indica
la velocità di movimento del corpo, in quanto si oppone all’avanzare del corpo nel fluido. La
relazione che lega la forza di attrito viscoso e la velocità e’ data dall’equazione:
F av kv
dove
k e’ un coefficiente geometrico (“cx” che dipende dalla forma dell’oggetto)
e’ la viscosità del fluido (dipende dalle caratteristiche del fluido stesso)
Esempio: caduta libera di un corpo in un fluido
Supponiamo un corpo che penetra in un fluido sotto la spinta di gravità. E’ possibile ricavare
l’equazione differenziale disomogenea di secondo ordine che descrive lo spostamento.
ma F ma mg kv
d2s
dt2
k
m
ds
dt g
la cui soluzione generale e’ data da:
s c1 mg
kt c2e
k
mt
v mg
k c2
k
me
k
mt
a c2
k 22
m2e
k
mt
m g
- k v
f l u i d o
con
c1 e
c2 costanti dipendenti dalle condizioni iniziali del moto.
Consideriamo lo spazio e la velocità iniziali uguale a zero (
t 0): l’attrito, di conseguenza, sarà
nullo. All’aumentare della velocità si avrà un progressivo aumentare dell’attrito viscoso. Ad un
certo punto però la forza di attrito viscoso controbilancerà esattamente la forza peso.
Matematicamente si può calcolare che:
c1 c2 0
mg
k c2
k
m 0
c1 m2g
k 22
c2 m2g
k 22
e perciò
v(t) mg
k
mg
ke
k
mt
La funzione della velocità ha perciò un andamento come
quello in figura.
Per
t
v mg
k
l’accelerazione diventa nulla e la velocità resta costante.
A causa della presenza dell’attrito viscoso, quindi, un
corpo in caduta libera non può acquistare una velocità
superiore ad una certa velocità limite (dipendente dal
coefficiente geometrico del corpo e dal coefficiente di
attrito viscoso del fluido):
vmax m g
k .
Forze elastiche
Le forze elastiche sono delle reazioni vincolari che “contrastano le deformazioni”. Quando si
deforma un oggetto si creano al suo interno delle forze proporzionali alla deformazione stessa,
che, una volta eliminata la forza che l’aveva causata, tendono a eliminare la deformazione
ritornando alla situazione iniziale (sempre che non sia stata superata la caratteristica di
“elasticità” propria del corpo che è stato deformato).
Un classico esempio è quello di una “molla”.
QuickTime™ e undecompressore TIFF (Uncompressed)
sono necessari per visualizzare quest'immagine.
Nello studio del caso in figura si introducono tre ipotesi:
la massa della molla è trascurabile;
l è la lunghezza della molla “a riposo”;
In sistema di riferimento e’ orizzontale
Imponendo una deformazione x si instaura nel sistema una forza
F con verso opposto allo
spostamento.
F è una “forza di richiamo” che tende a riportare la molla nella sua situazione di
“equilibrio” (a riposo). Si ha:
F kx
dove k è detta “costante elastica”, dipende dal materiale con cui è costruita la molla e
dimensionalmente si misura in N/m. Questa relazione prende il nome di “legge di Hooke”.
Rilasciando il corpo si instaura un moto oscillatorio armonico come facilmente si dimostra
matematicamente. Infatti si può riscrivere l’equazione di Hooke come:
F kx 0 ma kx = 0 d2x
dt2
k
mx = 0
La soluzione generale di questa equazione differenziale omogenea di secondo ordine e’ data
da:
x(t) x0 cos( t )
dove
e’ chiamata la pulsazione ed è uguale a:
k
m, da cui si ottiene che il periodo
T è uguale a
2m
k.
I valori
x0 e
che compaiono nell’equazione del moto armonico dipendono dalle condizioni
iniziali del sistema. Il periodo di oscillazione invece dipende solo dalle caratteristiche del
sistema (massa e costante elastica della molla). Il tempo impiegato per compiere
un’oscillazione completa (in assenza di attrito) è indipendente dall’ampiezza dell’oscillazione
stessa (se l’oscillazione è più ampia risulterà maggiore la velocità).
m
l
m
l + x
F
Supponendo come nel caso in esame che lo spostamento iniziale imposto sia l e che la velocità
iniziale sia nulla, l’equazione oraria del moto che si ricava e’:
x(0) l
v(0) 0
x0 l
0
x(t) lcos(t)
v(t) lsin(t)
Nella realtà la presenza delle forze d’attrito genera invece delle “oscillazioni smorzate” fino a
fermare il sistema nella sua posizione di equilibrio (si ha:
F kx v per la presenza di attrito
viscoso).
oscillazione “teorica” (senza attrito) oscillazione “smorzata”
F m a md2x
dt2 kx
dx
dt da cui si ricava:
d2x
dt2
m
dx
dt
k
mx 0.
La soluzione di questa equazione differenziale del secondo ordine corrisponde all’equazione del
“moto armonico smorzato”. Il fattore di smorzamento (che dipende dalla velocità e dalla massa
dell’oggetto) causa l’introduzione nella soluzione di un esponenziale negativo.
Massa “appesa” a una molla
Per misurare le forze spesso si usa un “dinamometro” il cui principio di funzionamento è basato
sulla “misura” dell’allungamento di una molla sotto l’azione di una forza.
Si raggiunge la posizione di equilibrio quando la forza peso è bilanciata esattamente dalla forza
elastica della molla, quindi si avrà:
mg kxeq da cui
xeq mg /k
Tipi di forze in Natura
In natura esistono solo quattro tipi di forze:
1. Forze gravitazionali (si esercitano fra le masse: agiscono a livello macroscopico);
2. Forze elettromagnetiche (si esercitano fra le cariche: agiscono fra le molecole;
mantengono unito l’atomo e sono responsabili delle “forze di attrito”);
3. Forze deboli (o interazioni nucleari deboli: si trovano nei “decadimenti radioattivi”);
4. Forze nucleari (si esercitano all’interno del nucleo atomico).
L’ordine di grandezza dell’intensità di queste forze è notevolmente diverso. Se poniamo
idealmente l’intensità delle forze nucleari pari a “1”, avremo che l’intensità delle forze deboli e
dell’ordine di 10-7, quella delle forze elettromagnetiche è dell’ordine di 10-2 e quella delle forze
gravitazionali è dell’ordine di 10-38. L’intensità di queste forze, però, varia notevolmente in base
alla distanza che divide i “corpi” sui quali agisce: l’intensità della forza gravitazionale, ad
esempio, è inversamente proporzionale al quadrato della distanza, mentre le forze nucleari
sono molto forti solo per particelle particolarmente vicine, ma decrescono molto rapidamente
all’aumentare della distanza.
Da un punto di vista squisitamente teorico due oggetti non si “toccano” mai, infatti, quando la
distanza fra di essi è sufficientemente piccola, entrano in azione le forze elettromagnetiche
repulsive: le cariche di segno opposto di attirano e quelle dello stesso segno si respingono. I
contatti fra due corpi (a livello macroscopico) sono solo “apparenti”.
Interazione gravitazionale e “legge di gravitazione universale”
Prese due masse puntiformi poste a una certa distanza
r fra queste due masse si esercita una
forza di tipo attrattivo direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente
proporzionale al quadrato della distanza:
F 21 F12 Gm1 m2
r2
G corrisponde alla costante di gravitazione universale ed e’ pari a
6.67 1011Nm2 /Kg2. La
misura di questa costante è molto complicata in quanto bisogna supporre che le due masse
interagiscano solo fra di loro, senza interferire con altre masse del mondo esterno).
Osservazione
Il concetto di “massa gravitazionale” è teoricamente diverso da quello di “massa inerziale”.
Infatti la “massa gravitazionale” è la proprietà di un oggetto che fa sì che esso interagisca con
altri oggetti attraendoli e venendo a sua volta attratto da essi. La “massa inerziale” invece è
l’inerzia che ha un corpo a cambiare il suo stato di quiete o di moto rettilineo e uniforme.
In realtà si può dimostrare che hanno lo stesso valore, si può quindi parlare genericamente di
“massa” senza distinguere tra “inerziale” e “gravitazionale”.
La Forza di gravità è una “forza centrale”, ciò diretta sempre verso uno stesso punto che viene
detto “centro di forza” (sarebbe centrale anche se avesse verso opposto).
Macchina di Atwood
Sappiamo anche che la forza peso:
P m g è una forza costante in modulo, direzione e verso
nell’ipotesi di essere sufficientemente vicino alla superficie terrestre da poter tralasciare la
curvatura della Terra e la variazione di
g in base alla distanza dal centro della Terra.
È possibile estendere la dimostrazione effettuata per la forza peso a tutte le forze costanti
(prendendo un sistema di riferimento diretto secondo la direzione della forza stessa)
Ipotesi:
1. la carrucola non gira (altrimenti si avrebbe un consumo di
energia cinetica per far girare la carrucola);
2. non sono presenti “forze di attrito” di nessun genere;
3. la massa del filo è trascurabile;
Quindi il filo si limita a “trasmettere la tensione” dai pesi alla carrucola e da questa al soffitto.
m1g
m2g
T
T
T T
2T
Se
m2 m1 si avrà una “discesa” di
m2 e una contemporanea “salita” di
m1, ovviamente con
delle accelerazioni
a1 e
a2 uguali in modulo e direzione, ma con versi opposti. Studiando
matematicamente il sistema si ottiene:
m2 g T m2 a2
T m1g m1a1
m2gT m2a
T m1g m1a
a (m2 m1)g
(m2 m1)
Ossia si ricava il modulo dell’accelerazione delle masse. La direzione ed il verso
dell’accelerazione dipendono dal sistema di riferimento scelto.
Proviamo a calcolare la velocità delle due masse (si noti che è la stessa per entrambe) quando
la massa
m2 è scesa di
h (quindi, analogamente, la massa
m1 sarà salita di
h ). Si supponga
la velocità iniziale nulla, ossia
v0 0. Si avrà perciò che:
h 1
2a t 2 t
2h
a v a t 2h a 2h
(m2 m1)g
(m2 m1)
Fase di schematizzazione
Dinamica del punto
Le tre leggi del moto di Newton sono le leggi fondamentali per la descrizione del moto stesso.
La prima legge di Newton afferma che, se la forza risultante su un corpo puntiforme è zero,
allora esso resta in quiete o si muove lungo una linea retta con velocità costante (moto rettilineo
uniforme). La tendenza di un corpo a resistere ad un cambiamento del suo stato di moto si
chiama inerzia. La massa è la misura dell’inerzia di un corpo.
La seconda legge del moto di Newton afferma che l’accelerazione di un corpo è direttamente
proporzionale alla forza risultante che agisce su di esso e inversamente proporzionale alla sua
massa. La forza risultante su un oggetto indica il vettore somma di tutte le forze che agiscono
su di esso. Nella sua formulazione più generale, la seconda legge di Newton afferma che la
forza risultante agente su un corpo di massa m e velocità è data da:
F ma dmv
dt
dove
F rappresenta il vettore somma di tutte le forze agenti sul corpo, m è la sua massa e a
l’accelerazione prodotta e
mve’ la quantità di moto.
Solitamente (ma ci sono eccezioni) un corpo non perde nè acquista massa durante il moto,
La terza legge del moto di Newton afferma che se un primo corpo esercita una forza su un
secondo corpo, allora il secondo corpo esercita sempre sul primo una forza uguale in intensità e
direzione, ma di verso contrario.
BAAB FF
BBAB amF
(forza azione)
AABA amF
(forza reazione)
La forza esercitata su un corpo dalla superficie liscia su cui è appoggiato agisce
perpendicolarmente alla comune superficie di contatto e per questo si dice che è una forza
normale. E’ un tipo di forza vincolare, perché limita la libertà di movimento del corpo e la sua
intensità dipende dalle altre forze che agiscono su quel corpo.
Per risolvere i problemi in cui compaiono forze su uno o più corpi è essenziale disegnare il
diagramma di corpo libero per ogni singolo corpo, mettendo in evidenza tutte le forze che
agiscono su quel corpo. Per ogni corpo la seconda legge di Newton può essere applicata a
ciascuna componente della forza risultante
Alcune forze importanti sono:
Forza peso. Il peso si riferisce alla forza di gravità che agisce su un dato corpo e vale P = mg;
Forza d’attrito. Quando un corpo è in movimento su una superficie scabra, la forza dovuta
all'attrito (radente) dinamico agisce nella direzione opposta a quella del moto. La sua intensità è
data da:
Pt FasMax s Pn , relazione tra l’intensità della forza d’attrito, che agisce
parallelamente alla superficie di contatto e l’intensità della forza normale
Pn che agisce
perpendicolarmente alla superficie stessa. Non è un’equazione vettoriale, poiché le due forze
sono perpendicolari l’una all’altra.
s è detto coefficiente di attrito dinamico e dipende dai
materiali con cui sono fatti i due oggetti.
Quando un corpo si muove con velocità sufficientemente bassa attraverso un fluido, subisce
una forza d'attrito viscoso diretta nel verso opposto a quello del moto. La sua intensità è data
da:
F av kv
Forza elastica (legge di Hooke). Per tenere una molla compressa o tesa di una lunghezza x
oltre quella di riposo è necessaria una forza:
F kx
k e’ una costante elastica [
newton
metroN /m ]
x e’ lo spostamento del corpo dalla posizione d’equilibrio.
Un corpo di massa m soggetto alla forza F si muove di moto armonico con velocità angolare:
k
m
Per una particella si definisce quantità di moto la grandezza:
p mv
La seconda legge della dinamica, nella sua forma più generale, si scrive:
F dp
dt
dmv
dt
dove
F è la forza totale agente sulla particella.
Si ha quindi che la prima legge di Newton e’ rispettata quando la quantità di moto e’ costante,
per cui la sua derivata prima sia nulla.
Unità didattica 4
Esercizi riassuntivi UD3.
Esercizio1
Due masse
m1 ed
m2 giacciono su un piano senza attrito e vengono spinte da una forza
applicata
F 1, che si esercita sulla massa
m1. Si determinino intensità e direzione di ciascuna
delle forze di interazione tra
m1 ed
m2.
Supponendo che venga eliminata la forza
F 1 e che sulla massa
m2 agisca la forza applicata
dall'esterno
F 2, si determinino intensità e direzione di ciascuna delle forze di interazione in
quest'ultimo caso.
[
F1 =
F2=12 N;
m1 = 4 kg ;
m2 = 2 kg]
Suggerimento: si scriva l'equazione del moto considerando il punto materiale di massa
(
m1+
m2). Si scrivano quindi le equazioni di corpo libero per ciascuna massa.
Soluzione
L’accelerazione di
m1 ed
m2 è
a F1
m1 m2
2m /s2
Ma allora la forza di interazione
F1,2 esercitata da
m1 su
m2 vale
F1,2 m2a 4N , mentre per il
principio di azione e reazione la forza di interazione
F2,1 F1,2.
Nel secondo quesito l’accelerazione vale ancora
2m/s2, ma questa volta su
m2 agisce anche la
forza
F 2. Quindi ora è
F2,1 m1a8N .
In base alla seconda legge del moto di Newton la forza totale agente su ciascuna delle due
masse è la stessa (a meno del verso) nei due casi esaminati. Però una delle due masse è
accelerata dalla sola forza di interazione, e nel secondo caso si tratta della massa maggiore. E’
ovvio che per produrre la stessa accelerazione in una massa maggiore, occorre una forza
maggiore.
Esercizio 2
Un blocco di massa
m2 poggia su un blocco di massa
m1 che è posto su un tavolo privo di
attrito (vedere figura). I coefficienti di attrito statico e dinamico fra i due blocchi sono
rispettivamente
s e
d .
Quanto vale la massima forza
F che si può applicare senza che il blocco
m2 strisci su
m1?
Se il valore di
F è doppio di quello trovato nel precedente quesito, si trovino sia l'accelerazione
assoluta di ciascun blocco sia la forza di attrito agente su ciascun blocco.
Un osservatore inerziale vede il blocco
m2 muoversi verso destra (direzione di
F ) o verso
sinistra?
[
m2= 2 kg;
m1 = 4 kg;
s = 0,3;
d = 0,2]
Suggerimento: disegnare il diagramma di corpo libero per ciascun corpo in condizione di moto
di
m1 e imporre la condizione di equilibrio di
m2 rispetto ad
m1 (moto relativo).
Soluzione
a) In un riferimento inerziale, in assenza di attrito con il tavolo la massa
m2 si muove con
m1,
quindi la forza di attrito statico che agisce su
m2 deve essere pari a:
m2sg Fm2
m1 m2
da cui
F (m1 m2)sg17.7N
b) Posto
F 2 17.7N 35.4N , la massa
m2 scivola su
m1 esercitando su di essa la forza di
attrito dinamico
Fad m2gd , per cui:
am1
F m2gd
m1
7.9m /s2
dove
am1 è l’accelerazione della massa
m1.
La forza di attrito dinamico vale naturalmente
m2gd 3.9N .
Nel riferimento solidale con la massa
m1, la massa
m2 subisce sia la forza di attrito dinamico,
sia la forza fittizia
m2am1. Quindi in tale riferimento l’accelerazione
ar vale:
ar d g am1 5.9m /s2
mentre in un riferimento inerziale vale:
a ar am1 2m /s2
c) Come si evince dal punto b), mentre nel riferimento non inerziale l’accelerazione è diretta
verso sinistra (nel verso negativo delle ascisse), in un riferimento inerziale l’accelerazione è
positiva, quindi diretta verso destra.
Esercizio3
I corpi di massa
m1,
m2 ed
m3 sono collegati come in figura. Le carrucole e le funi sono ideali.
Quali valori può assumere il coefficiente di attrito statico
s fra tavolo e corpo di massa
m1
affinché
m1 non si muova?
Calcolare l’accelerazione dei due corpi
m2 ed
m3 quando è soddisfatta la condizione di cui al
punto a). In assenza di attrito fra il tavolo ed
m1, calcolare l’accelerazione dei corpi
m1,
m2 ed
m3. [
m1 = 10 kg;
m2 = 2 kg;
m3 = 3 kg]
Suggerimento: scrivere l’equazione di equilibrio per
m1 e quella per il moto di
m2 ed
m3.
Soluzione
a) e b) Condizione di equilibrio di
m1:
m1gs 2T
Le accelerazioni di
m2 ed
m3 hanno somma nulla, per cui le equazioni del moto di
m2 ed
m3 si
possono scrivere in termini della sola accelerazione
a di
m3:
T m3g m3a
T m2g m2(a)
T m3g m3a
m2g T m2a
dove l’asse verticale del riferimento è orientato verso l’alto. L’accelerazione di
m3 vale:
a m2 m3
m2 m3
g 2m /s2 (verso il basso).
La tensione
T della fune che lega
m2 ed
m3:
T m3(g a) 2m2m3
m2 m3
g 23.5N
Mentre il coefficiente di attrito statico lo si trova con:
s 2T
gm1
0.5
c) In assenza di attrito, siano
a1,
a2 e
a3 le accelerazioni delle tre masse in un riferimento
inerziale. Vale allora:
m1a1 2T
m2(a1 a2) T m2g
m3(a1 a3) T m3g
a1 a2 e
a1 a3 sono le accelerazioni delle masse
m2 ed
m3 nel riferimento solidale con la
seconda carrucola, riferimento in cui è valido il calcolo precedente, nonché la condizione:
a2 a1 (a3 a1)
che in precedenza ci ha consentito di scrivere le equazioni del moto di
m2 ed
m3 in termini della
sola accelerazione di
m3. Eliminando le tensioni delle corde, si ottiene:
m2 m1
2
a1 m2a2 m2g
m3 m1
2
a1 m3a3 m3g
2a2 a1 a3 0
a1 4m2m3
m1(m3 m2)g
a2 m1(m3 m2) 4m2m3
m1(m3 m2)g
a3 m1(m2 m3) 4m2m3
m1(m3 m2)g
a1 4.7m /s2
a2 2.7m /s2
a3 6.7m /s2
Perciò
m1 si muove in avanti,
m2 ed
m3 verso il basso. Si noti che nel riferimento non inerziale
solidale con la carrucola mobile (che scende), le accelerazioni di
m2 ed
m3 hanno lo stesso
modulo, ma
m3 scende ed
m2 sale.
Lavoro di una forza
Consideriamo un oggetto puntiforme di massa
m che si muova sotto l’azione di una forza. Si
definisce lavoro compiuto dalla forza
F la grandezza:
dW F ds = lavoro infinitesimo della forza
F che causa uno spostamento di
ds dell’oggetto
m .
Il prodotto tra forza e spostamento e’ un prodotto scalare, quindi
dW è una “grandezza scalare”
(
dW F ds Fdscos ). Il concetto di “lavoro” è sempre legato a uno spostamento. Nel SI il
lavoro di misura in Joule ( J ):
1J 1Nm
Tenendo conto delle proprietà del prodotto scalare di due vettori possiamo affermare che:
dW assume il massimo valore positivo se
F e
ds sono paralleli e hanno lo stesso verso;
dW assume il massimo valore negativo se
F e
ds sono paralleli, ma hanno verso
opposto;
dW assume valore nullo se
F e
ds sono ortogonali (ad esempio forza peso che agisce
su un oggetto che si sposta su un piano orizzontale).
Se consideriamo un punto che si muove lungo una traiettoria finita (da un punto A ad un punto
B) possiamo definire il “lavoro finito”
W svolto dalla forza
F :
W dwA
B
F dsA
B
F ds cosA
B
Fxdx Fydy FzdzA
B
Energia
Quando una forza compie lavoro su un corpo, questo viene accumulato dal corpo stesso, nel
senso che il corpo potrà restituire in futuro una pari quantità di lavoro, contrastando una forza
non necessariamente dello stesso tipo.
Quando un corpo cade liberamente, la forza di gravita compie lavoro sul corpo e lo accelera. Il
corpo potrà restituire il lavoro accumulato, contrastando forze di tipo elastico (ad esempio
comprimendo una molla), o forze di attrito (fermandosi ad esempio in un fluido viscoso), o
quello che volete voi.
B
A
Si dice che un corpo in grado di compiere lavoro è dotato di energia. Il lavoro fatto da una forza
viene trasformato in energia del corpo. L’energia (meccanica) può essere energia cinetica, che
e quella strettamente legata al moto del corpo ed energia potenziale, che e quella che il corpo
possiede (potenzialmente) in quanto si trova in un campo di forze. In base al tipo di forze
considerate, si parlerà di energia potenziale gravitazionale, elastica, elettromagnetica,...
L’energia ha ovviamente le stesse dimensioni del lavoro e nel SI si misura in joule (J).
Energia cinetica
E’ l’energia dovuta al movimento del corpo. Per ragioni dimensionali dovrà essere proporzionale
alla massa e al quadrato del modulo della velocità. Vale a dire
Ec Kmv2.
Per calcolare il coefficiente di proporzionalità
K e sufficiente considerare una forza costante
che agisce su un corpo, inizialmente fermo, per un tratto
x . Il moto del corpo e uniformemente
accelerato, valgono quindi le formule
v at,
x at2,
ax v 2
2
da cui segue che il lavoro fatto dalla forza e’
W Ec Fx ma x 1
2mv2
La grandezza
Ec è detta energia cinetica. Si osservi che
Ec è sempre positiva; essa è inoltre
un concetto relativo in quanto la velocità dipende dal sistema di riferimento scelto. (La valigia
nel portabagagli di un treno in movimento ha energia cinetica nulla rispetto ad un osservatore
sul treno, mentre ha energia cinetica diversa da zero per l’osservatore a terra).
Teorema dell’energica cinetica
Consideriamo un punto di massa
m che si muove lungo una traiettoria
ds sottoposto ad una
forza applicata
F . Si considerino i versori
u t , tangente alla traiettoria e
u n normale alla
traiettoria.
a a n a t u tdv
dtvar iaz.mod.v
u nv2
rvar iaz.direz.v
F m a m ut
dv
dt m un
v 2
r
ds utds
dW F ds m ut
dv
dt m un
v 2
r
utds
Ricordando che
ut ut 1 e che
un ut 0
dW mdv
dtds m
dv
dtv dt m v dv
Si nota che solo la componente tangenziale della forza compie lavoro, la componente normale
no! Integrando tra una posizione iniziale e una posizione finale si trova il lavoro totale.
W dWi
f
mv dvi
f
m v dvi
f
1
2mv 2
i
f
1
2mv f
2 1
2mv i
2 W Ecf E ci
Il lavoro compiuto da una forza è uguale alla differenza fra l’energia cinetica finale e quella
iniziale.
L’energia cinetica varia tutte le volte che varia il “modulo” della velocità (se si cambia solo la
direzione della velocità non si hanno variazioni di energica cinetica).
Questo teorema vale per qualsiasi tipo di forza. Nella dimostrazione abbiamo applicato solo
l’ipotesi che la massa fosse costante (e questo è sempre vero nella “dinamica classica”), non si
e’ fatta alcuna ipotesi sulla natura della forza, quindi si può affermare che vale per ogni
F .
Forze conservative
Una forza è conservativa se il lavoro da essa svolto dipende solo dai punti “iniziale” e “finale”
dello spostamento e non dalla traiettoria seguita (es. forza peso, forze elastiche, ecc.). Un
esempio di forza non conservativa e’ invece la forza di attrito.
Una definizione alternativa delle forze conservative viene data utilizzando l’integrale su un
percorso chiuso:
Fds = 0
Ossia se l’integrale di una forza lungo una circuitazione chiusa e’ nullo, allora la forza è una
forza conservativa.
Dimostriamo che la “forza peso” è una forza conservativa
p m g j
ds i dx j dy
dw p ds (m g j) ( i dx j dy) m gdy
W m g dyi
f
m g y i m g y f
Il lavoro effettuato dipende solo dalla coordinata verticale del punto iniziale e del punto finale,
non dalla traiettoria percorsa, quindi possiamo affermare che la forza pesò è una forza
conservativa.
Energia potenziale
L’energia potenziale (o energia di posizione) di un punto materiale dipende dalla sua
“posizione” ed è “associata” alla presenza di una “forza conservativa”. Anche questa si misura
in Joule.
Per definire l’energia potenziale, si consideri un corpo che si muove lungo un qualunque
cammino che congiunge un punto O e un punto P, in un campo di forze conservative. Il lavoro
W fatto dalle forze non dipende dal cammino scelto per calcolarlo, ma soltanto dai punti
estremi. Quindi si può definire una funzione del punto
U(P) mediante:
U(0)U(P) W Fds0
P
dove
F è la componente della forza tangente al percorso considerato e
ds è la coordinata su
tale percorso. L’integrale può essere fatto su un qualunque cammino e la funzione
U(P) è
chiamato potenziale.
L’energia potenziale è invece definita a meno di una costante
U(0) e pertanto, ciò che
fisicamente significativo, è la variazione di energia potenziale.
L’energia potenziale per le forze conservative considerate sopra (basta cambiare il segno al
lavoro) e data da:
EP(y) mgy energia potenziale gravitazionale
EP (x) 1
2k(x x0)2 energia potenziale elastica
Nella prima equazione l’asse y è diretto verso l’alto e lo zero dell’energia e stato scelto
nell’origine
U(0)0. Nella seconda equazione si e posta a zero l’energia con la molla a riposo
U(x0) 0 e
EP U(P).
In presenza di una “forza conservativa” possiamo dire che:
W E pf E pi
Ad esempio, nel caso precedentemente considerato, della forza peso si ha che:
EP mgy c
dove
c è una costante che dipende dal valore di riferimento rispetto al quale calcoliamo
l’altezza
y . E’ importante notare che il suo valore è praticamente ininfluente in quanto
lavorando su “differenze” di energia potenziale e non su valori assoluti la costante viene
“eliminata” e non influisce sul risultato finale.
Teorema di conservazione dell’energia totale meccanica
(vale solo per le forze conservative)
Quando sul moto di un corpo agiscono solo forze conservative si ha:
W Ecf Eci E pf E pi da cui si ottiene che
Eci E pi Ecf E pf
Se definiamo l’energia totale meccanica come:
E Ec E p , possiamo affermare che, durante
un moto sotto l’azione di forze conservative, l’energia totale meccanica si mantiene costante.
Possiamo anche dire che:
W Ec E p .
Si ha una trasformazione di “forme di energia”: ciò che viene perso come energia cinetica viene
acquistato come energia potenziale e viceversa.
La legge di conservazione afferma che, in ogni campo di forze conservative, l’energia
meccanica totale si conserva durante il moto.
Lavoro ed energia
Mentre la definizione di lavoro e’ semplice ed univoca e si rifà a quanto visto prima al prodotto
della forza per lo spostamento, il termine energia si presta spesso ad avere connotazioni
diverse.
L'energia viene definita normalmente come la capacità di compiere un lavoro, del quale ha la
stessa grandezza dimensionale, il Joule.
E’ anche importante ricordare che l’energia non è un’invariante: al variare del sistema di
riferimento (anche mantenendosi su sistemi di riferimento inerziali) l'energia cambia e quindi
l'energia stessa deve essere definita volta volta in un sistema di riferimento specifico. A livello
microscopico e/o matematico inoltre l'energia può essere divisa in energia cinetica ed energia
potenziale. Tutte le altre forme di energia (calore, energia chimica ecc.) possono sempre essere
ricondotte a queste due ed esistono in forma separata solo per motivi storici.
Macchina di Atwood, dimostrazione energetica
Abbiamo dimostrato che la forza peso è una forza costante. È possibile estendere la
dimostrazione effettuata per la forza peso a tutte le forze costanti (prendendo un sistema di
riferimento diretto secondo la direzione della forza stessa) e affermare che: le forze “costanti”
sono tutte “conservative”. Quindi, in presenza di forze costanti, vale il “principio di
conservazione dell’energia meccanica”.
Si può ottenere lo stesso risultato trovato precedentemente applicando l’analisi delle forze
effettuando delle “considerazioni energetiche”, cioè applicando il principio di conservazione
dell’energia meccanica (si noti che è possibile in quanto nel sistema agisce solo la forza peso
che è una forza conservativa).
Si tenga conto che le considerazioni energetiche devono essere fatte sul “sistema” nella sua
totalità e non sulle singole masse.
(Ec1 Ec2 E p1 E p2)i (Ec1 Ec2 E p1 E p2) f
0 0 m1gh1 m2gh2 1
2(m1 m2)v 2 m1g(h1 h) m2g(h2 h)
1
2(m1 m2)v 2 m1g(h) m2g(h) da cui: v 2h
(m2 m1)g
(m2 m1)
Pendolo semplice
Si consideri un filo lungo
l di massa trascurabile ed inestensibile con appeso al fondo un
oggetto di massa
m . Il moto di quest’ultimo è vincolato a causa della presenza del filo e perciò
l’oggetto percorre una traiettoria circolare di raggio
l .
Nella posizione di equilibrio verticale, bilanciando unicamente
la forza peso si ottiene:
T mg 0
da cui segue considerando i moduli che:
T mg
In generale invece si ha:
T Pn mgcos
Pt mgsin
E’ immediato verificare che la tensione massima si ha nel punto di equilibrio verticale, mentre,
all’aumentare dell’angolo
si ha una corrispondente diminuzione del modulo di
T . Se,
idealmente, fosse possibile raggiungere una posizione orizzontale si annullerebbe la tensione
del filo.
Invece, dal momento che
a Pt /m, si verifica che il modulo dell’accelerazione aumenta
all’aumentare dell’angolo
. Nella posizione di equilibrio si ha invece accelerazione nulla. In
assenza di attrito il pendolo si muoverebbe all’infinito tra
e
.
Conservazione dell’energia pendolo semplice
In un pendolo verticale si suppone il centro ad una altezza
hc ; l’altezza generica
h raggiunta dal
punto materiale e’ definita da
h hc lcos .
Se vi considera come punto iniziale del moto il punto dove il pendolo ha raggiunto la massima
altezza (
h1, con
v 0), ed il punto finale quando in punto materiale si trova sulla verticale (
h0 ed
a 0 il bilanciamento dell’energia si può scrivere come:
Eci Epi Ecf E pf 0 mgh1 1
2mv2 mgh0
v 2gh 2gl(1 cos)
mg Pn
T Pt
l
h1
h0
In assenza di forze dissipative il pendolo compie delle “oscillazioni persistenti” intorno alla
propria posizione di equilibrio.
Se fossero presenti delle forze dissipative si avrebbero invece delle “oscillazioni smorzate”.
Piccole oscillazioni
Quando l’angolo
è abbastanza piccolo (cioè sia tale che
sin ) si può dimostrare che le
oscillazioni compiute dal pendolo sono delle “oscillazioni armoniche”.
a gsin l ld2
dt2 ossia
d2
dt2
g
lsen
g
l .
E’ quindi possibile studiare l’equazione differenziale di secondo ordine omogenea:
d2
dt2
g
l = 0
la cui soluzione e’ data da:
0 sin( t )
dove
è l’accelerazione angolare,
è la pulsazione del pendolo,
la fase; il segno meno
compare perché la forza che agisce sul pendolo è una “forza di richiamo” che tende a riportarlo
nella posizione di equilibrio, quindi l’accelerazione ha sempre verso opposto a quella nella
quale avviene il movimento.
Si ha anche
2 g
l
cioè la pulsazione del pendolo è determinata solo dal valore di
g e dalla lunghezza del filo (non
dipende dalla massa attaccata al filo) e ed periodo
T e’ dato dalla relazione:
T 2
2
l
g.
Esempio: un pendolo lungo 1 m ha un periodo di oscillazione di circa 2 secondi.
Se gli angoli sono più grandi le oscillazioni sono sempre periodiche, ma non sono più
armoniche.
Energia potenziale elastica
Quando si sposta un oggetto attaccato ad una molla dalla sua “posizione di equilibrio” il sistema
“molla + massa” acquista energia. Dal momento che vale il principio di conservazione
dell’energia meccanica è evidente che questa “energia acquisita” deve essere fornita
dall’esterno. L’aumento di energia del sistema è uguale al “lavoro” compiuto dalle forze esterne.
Per effetto delle forze esterne che comprimono o allungano la molla il sistema acquista una
certa “energia potenziale iniziale” pari a:
E p 1
2k x0
2 (in questo momento si ha
E p = max e
Ec 0).
Quando si elimina l’azione delle forze esterne lasciando l’oggetto libero di muoversi quest’ultimo
sarà soggetto all’azione di una “forza di richiamo” che tenderà a riportare l’oggetto nella
posizione di equilibrio. Il sistema perderà gradualmente energia potenziale che si trasformerà in
energia cinetica. Una volta raggiunta la posizione centrale di equilibrio si avrà:
Ec = max e
Ep 0 . Il sistema continua comunque a muoversi nella stessa direzione ritrasformando
gradualmente energia cinetica in energia potenziale fino a raggiungere la posizione
x0 nella
quale si avrà nuovamente
E p = max e
Ec 0 .
È evidente che il sistema avrà velocità massima nel punto di equilibrio e nulla nei due punti
estremi; per l’accelerazione invece si avrà un massimo nei due estremi e zero nel punto di
equilibrio.
In assenza di forze di attrito il sistema oscilla indefinitamente tra la posizione
x0 e la posizione
x0.
dW F d l k x d x k x dx W dWi
f
k x dxi
f
1
2kxi
2 1
2kx f
2
Il lavoro compiuto dipende solo dall’allungamento della molla: la forza elastica è una forza
conservativa.
Abbiamo definito “energia potenziale elastica”:
E p 1
2kx2 c
W E pi E pf Ecf Eci
Anche in questo caso vale il principio di conservazione dell’energia meccanica. La soluzione del
sistema porta da un risultato perfettamente analogo a quello trattato precedentemente
considerando solo le forze agenti.
In una situazione fisica reale è possibile che si debbano considerare contemporaneamente più
energie potenziali diverse (ad esempio nel caso di un oggetto “appeso” a una molla), in questo
caso si può affermare che:
Eci Epi Ecf Epf cioè si ha: Ec Ep costante.
Dinamometro (molla verticale)
Nella situazione iniziale si ha:
Eci 0 Epmolla 0 E ppeso max
Quando l’oggetto viene lasciato libero, la molla si allunga verso il basso: si ha una perdita di
energia potenziale della forza peso che si trasforma in energia cinetica e energia potenziale
elastica.
Una volta raggiunta la posizione di equilibrio l’oggetto continuerà a muoversi trasformando
l’energia cinetica acquistata in energia potenziale elastica raggiungendo una posizione
simmetrica a quella iniziale rispetto al punto di equilibrio (allungamento totale:
l 2xeq ).
In questo caso si ha un bilancio della “conservazione dell’energia” con due diverse energie
potenziali (peso e elastica) e l’allungamento totale
x della molla e’ definito da:
mghi mghf 1
2kx2 mg(hi h f )
x
1
2kx2 x
2mg
k 2xeq
Energia potenziale gravitazionale
Dimostriamo che il lavoro fatto dalla forza gravitazionale dipende solo dal punto iniziale e da
quello finale e non dal percorso compiuto.
dW F ds Gm1 m2
r2ur ds G
m1 m2
r2 dscos G
m1 m2
r2 dr
dove
dr è la proiezione dello spostamento
ds in direzione radiale.
W dWi
f
Gm1m2 dr
r2
i
f
Gm1m2
rf
Gm1m2
ri
ossia il lavoro svolto non dipende dalla traiettoria. Possiamo quindi definire l’energia potenziale
gravitazionale:
E p Gm1 m2
r
ed affermare che, come nei casi precedenti si ha:
W E pi E pf .
La forza gravitazionale è una forza centrale. Si può dimostrare che tutte le forze centrali sono
conservative (si può applicare il principio di conservazione dell’energia meccanica).
La forza peso, studiata in precedenza, è un caso particolare di “interazione gravitazionale”.
Conoscendo il valore della massa e del raggio della Terra è possibile calcolare il valore di
g .
P GmT m
RT
2 mg g G
mT
RT
2 6.6711011 5.98 1024 Kg
6.37 106 2
m 9,8313...
m
s2.
In realtà è abbastanza facile calcolare sperimentalmente il valore di
g e questo procedimento è
stato applicato in senso inverso per calcolare la massa della Terra.
Superfici equipotenziali
Consideriamo una forza conservativa
F lungo una certa traiettoria
ds; si e’ visto che il lavoro
compiuto dipende solo dal punto iniziale e da quello finale.
W F dsi
f
E pi E pf
Una “superficie equipotenziale” è il luogo dei punti nei quali si ha
E p = costante, ossia la
superficie lungo la quale uno spostamento non richiede lavoro.
La forma della superficie equipotenziale dipende ovviamente dall’equazione che esprime
E p .
m1
m2
m2
ri
rf
Esempi:
Forza peso,
Ep mgh e’ solo funzione di y. Le superfici equipotenziali sono dei piani paralleli
alla superficie terrestre.
Forza gravitazionale,
Ep Gm1m2
r e’ solo funzione di r. In questo caso è più pratico utilizzare
le coordinate polari, le superfici equipotenziali sono delle superfici sferiche.
Si osserva anche che il vettore di una forza conservativa è diretto sempre ortogonalmente alla
sua superficie equipotenziale e punta nel verso nel quale l’energia potenziale decresce.
Infatti se ci muoviamo lungo una superficie equipotenziale si ha
Ep c e quindi
W 0 . Dal
momento che
W F ds F dscos 0 ed assumendo che sia lo spostamento sia la forza
abbiano modulo diverso da zero si deve avere necessariamente
90.
Conoscendo la formula che esprime l’energia potenziale è possibile ricavare il vettore della
corrispondente forza conservativa
F .
W F dsi
f
E pi E pf
possiamo dire che la quantità
F dsè il “differenziale esatto” della funzione
E p cambiato di
segno. Infatti scrivendo la variazione di
E p al variare di x,y,z si ottiene:
dE p E p
xdx
E p
ydy
E p
zdz
F i Fx j Fy k Fz
ds i dx j dy k dz
F ds Fxdx Fydy Fzdz
E p
xdx
E p
ydy
E p
zdz
da cui si ha:
Fx E p
x Fy
E p
y Fz
E p
z cioè: F (E p ).
E p è una grandezza scalare, mentre il “gradiente di
E p ” è una grandezza vettoriale.
Si ha un gradiente ogni volta che si ha una “variazione” nella grandezza considerata.
Dal momento che
F (E p ) si può dire che il gradiente è sempre ortogonale alla superficie
equipotenziale e punta nel verso nel quale l’energia potenziale aumenta.
Punti di Equilibrio
grafici dell’energia potenziale
Disegniamo una ipotetica curva che rappresenti un energia potenziale funzione della sola x:
I punti A e B sono detti “punti di equilibrio”.
In questi punti la risultante delle forze applicate è nulla.
Un corpo inizialmente fermo in uno di questi punti vi può
rimanere indefinitamente, cioè fino all’intervento di una forza
che sia in grado di “allontanarlo”.
F iE p
x 0
Un punto di equilibrio è un punto nel quale la derivata parziale dell’energia potenziale si annulla;
è quindi un punto di “massimo” oppure di “minimo”.
Il punto A è un “punto di equilibrio instabile”: non appena un corpo inizialmente fermo in A si
sposti, per una causa qualsiasi, in una delle due direzioni le forze legate all’energia potenziale
tenderanno ad allontanarlo definitivamente dal punto di equilibrio.
Il punto B è un “punto di equilibrio stabile”: non appena un corpo inizialmente fermo in B si
sposti, per una causa qualsiasi, in una delle due direzioni le forze legate all’energia potenziale
tenderanno a riportarlo nella posizione di equilibrio stabile.
E
p
x
A
B
xA xB
Lavoro su una linea chiusa
Si e’ già detto che una forza conservativa compie un lavoro nullo agendo lunga una linea
chiusa. In generale, quando si parla di “circuitazione”, non è detto che ci si riferisca ad un
“lavoro”.
Si ha la “circuitazione di un vettore” quando si calcola l’integrale lungo una curva chiusa del
prodotto scalare del vettore stesso per il vettore
ds .
Il vettore potrebbe non essere una forza, ma un vettore qualsiasi. In questo caso quindi non si
parla più di “forze conservative”, ma di “campo conservativo”.
Forze non conservative
Si dimostra ora che le forze d’attrito non sono conservative, cioè che il lavoro da esse svolto
“dipende” dalla traiettoria percorsa. Le forze di attrito hanno sempre la stessa direzione del
movimento, ma con verso opposto; quindi l’angolo compreso tra i vettori “forza” e
“spostamento” sarà di 180° (
radianti).
dW F a ds Fa ds cos Fa ds W dWi
f
Fa dsi
f
Fa S1
S1 rappresenta la “lunghezza del percorso” compiuto tra inizio e fine; abbiamo anche supposto,
per semplicità di calcolo, che la forza fosse costante, ma questa ipotesi non è necessaria.
Abbiamo dimostrato che il lavoro svolto dalle forze di attrito è uguale alla “forza” esercitata per
la “lunghezza del percorso”. Quindi se si cambia il percorso anche il lavoro compiuto cambia.
In presenza di forze non conservative NON si può applicare il principio di conservazione
dell’energia meccanica, è comunque valido il teorema dell’energia cinetica.
WTOTALE WF.cons. WF .non cons. Ecf Eci E pi E pf WF.non cons. Ecf Eci
(Ecf E pf ) (Eci E pi) WF .non cons. E f E i WF .non cons.
Questo significa che non si ha più conservazione dell’energia meccanica.
W F ds Epi Epf 0i f
Dal momento che le forze di attrito producono sempre un lavoro negativo si avrà
E f E i
(l’attrito fa perdere energia meccanica). Globalmente comunque l’energia si conserva. La parte
di energia meccanica “persa” a causa dell’attrito si trasforma in altre forme di energia (es.
energia termica).
Impulso di una forza
In generale le forze applicate non sono costanti, ma variano in funzione del tempo. Supponendo
la massa costante si ottiene:
I Fdtt
m adtt
d p
dtdt
t
d ppi
p f
p f pi mv f mv i
L’impulso di una forza è uguale alla “variazione della quantità
di moto” che essa provoca nel corpo alla quale viene applicata.
Per ottenere la stessa variazione di quantità di moto non è necessario applicare sempre una
forza uguale, è sufficiente che le due forze applicate abbiano lo “stesso impulso” (cioè che
l’area sottesa alla curva che rappresenta la variazione della forza rispetto al tempo sia la
stessa).
Potenza
La stessa quantità di lavoro può essere compiuta in tempi brevi o in tempi molto lunghi. Ai fini
pratici tuttavia, e’ estremamente utile avere una misura della rapidità con cui un certo lavoro
può essere compiuto. La grandezza che ci permette di quantificare questo è detta potenza, la
quale rappresenta la quantità di lavoro fatta da una forza nell’unita di tempo ed è definita
mediante la relazione:
P dW
dt
Nel caso la forza sia costante nel tempo la relazione si può ulteriormente scrivere come:
P d
dt(F d s) F
d s
dt F v
F
t
Questa in generale dipende dall’istante considerato (potenza istantanea).
Nel SI la potenza si misura in Watt (W). Il watt per secondo corrisponde al Joule e a volte viene
usato come unita di misura dell’energia elettrica (watt per ora).
Momento della quantità di moto
In un sistema xyz, definito il vettore posizione
r ed il vettore della quantità di moto
p , inclinato
di un certo angolo
, si definisce momento della quantità di moto (o momento angolare) il
prodotto vettoriale:
L r p
Il cui modulo e’ dato da:
L rpsin
Il vettore
L per la proprietà del prodotto vettoriale e’ ortogonale al piano formato dai versori di
r
e di
p .
Momento della forza
In un sistema xyz, definito il vettore posizione
r ed il vettore della forza applicata
F , inclinato di
un certo angolo
, il seguente prodotto vettoriale definisce momento della forza:
r F
Il cui modulo e’ dato da:
rF sin
Il vettore
per la proprietà del prodotto vettoriale e’
ortogonale al piano formato dai versori di
r e di
p .
y
z
x
Piano(r,p)
L r
p
y
z
x
r
F
Relazione fra “momento angolare” e “momento della forza”
E’ immediato verificare che il momento della forza e’ la derivata prima rispetto al tempo del
momento angolare.
d L
dt
d
dt( r p)
d r
dt p r
d p
dt v mv r F 0
Conservazione del momento angolare
Vogliamo ora studiare quando si “conserva” il momento angolare, cioè in quali condizioni
L è
costante.
L costante dL
dt 0 0 r F 0
F 0
r // F
Il momento angolare si conserva se non c’è nessun momento di forza, quindi se la risultante
delle forze applicate è nulla oppure è applicata parallelamente al vettore posizione (ad esempio
nel caso di una forza centrale quando l’origine è nel centro di forza).
Fase di schematizzazione
Lavoro ed energia. Conservazione dell’energia.
Il lavoro
W compiuto da una forza
F variabile che agisce su un punto materiale spostandolo da
un punto A ad un punto B lungo una linea è dato da:
W dwA
B
F ds A
B
dove
ds è lo spostamento infinitesimo lungo il percorso della particella.
L’energia cinetica di una particella di massa
m che si muove con velocità
v è data da:
Ec 1
2mv2
Il teorema dell’energia cinetica afferma che il lavoro totale compiuto su un punto materiale dalla
forza risultante per spostarlo da un punto A ad un punto B è uguale alla variazione di energia
cinetica del punto materiale:
W 1
2mvB
2 1
2mvA
2 Ec
Il lavoro fatto da una forza conservativa su di una particella dipende solo dai due punti di
partenza e di arrivo e non dal cammino percorso dalla particella. Il lavoro fatto da una forza
conservativa è recuperabile, cosa che non è vera per una forza non conservativa, come l’attrito.
Associato ad una forza conservativa si introduce il concetto di variazione di energia potenziale.
Sotto l’azione di una forza conservativa
F si definisce la variazione di energia potenziale come
l’opposto del valore del lavoro compiuto dalla forza:
E p E pB E pA F ds A
B
Solo le variazioni dell’
E p sono significative dal punto di vista della fisica, per cui si può sostituire
E p (x) con
E p (x) c , con
c costante arbitraria, ogni volta che conviene.
Quando agiscono solo forze conservative, l’energia meccanica totale
E , definita come la
somma delle energie cinetica e potenziale, si conserva:
E Ec Ep k
con
k costante.
Se agiscono anche forze non conservative, entrano in gioco altri tipi di energia. Quando si
includono tutte le forme d’energia, l’energia si conserva sempre (legge di conservazione
dell’energia).
Esempi di forze conservative per le quali si parla di energia potenziale sono:
Forza peso e sua energia potenziale. Questa vale
Ep mgh per una particella posta ad
un’altezza
h al di sopra di un riferimento orizzontale scelto ad arbitrio.
Forza elastica
F kx ;energia potenziale elastica
E p 1
2kx2 per una molla con costante
elastica
k , allungata o compressa di una lunghezza
x rispetto alla posizione di riposo.
Forza gravitazionale (descritta dalla legge di gravitazione universale di
Newton).L’energia potenziale di una particella di massa m dovuta alla forza
gravitazionale esercitata su di essa dalla Terra è data da
E p (r) GmMT
r dove
MT è la
massa della Terra ed
r la distanza della particella dal centro della Terra (
r>=raggio della
Terra).
E p () 0 è il riferimento di zero per
E p .
Impulso di una forza
F :
I mv f mv i ; e’ uguale alla variazione della quantità di moto.
Potenza:
P dW
dt, ossia il lavoro fatto da una forza nell’unità di tempo; si misura in Watt.
Momento della quantità di moto:
L r p il cui modulo e’ dato da
L rpsin
Momento della forza:
r F , il cui modulo e’ dato da
rF sin
Unità didattica 5
Esercizi riassuntivi UD4.
Problema 1
Un punto materiale di massa
m scende (partendo da fermo) lungo la sagoma in figura, che è
opportunamente raccordata nel punto B in modo che la velocità del punto materiale in B cambi
in direzione ma non in modulo. Il coefficiente di attrito dinamico tra punto materiale e piani vale
d . Sapendo che la velocità nel tratto BC è costante: Quanto tempo impiega il punto materiale
per scendere da A a C? Quanto vale il lavoro compiuto dalla forza di attrito?
Risolvere la parte b) sia usando la definizione di lavoro, sia ricordando che il lavoro compiuto
dalla forza di attrito è uguale alla variazione dell’energia meccanica tra A e B.
[AB = BC = l = 2 m;
= 30°;
d 1/ 3 ;
m = 0,5 kg]
Soluzione:
Innanzi tutto calcoliamo
. Poiché la velocità nel tratto BC è costante, la forza di attrito uguaglia
la componente del peso parallela a BC:
dmgsin mgcos Da cui:
tan 1
d
a) L’accelerazione della massa
m nel tratto da A a B è data da:
(cos d sin)g a 5.8m /s2
Quindi il tempo richiesto da A a B è:
t 2l
a
2l
(cos d sin)g 0.8s
mentre in B la velocità è:
vB at 4.6m /s
Il tempo
t impiegato per percorrere BC è
t l /vB 0.4s, quindi il tempo totale
tt t t 1.2s
b)Il lavoro compiuto dalla forza di attrito è:
W d mgl(sin cos)1
2mvB
2 7.7J
Oppure, il lavoro compiuto dalla forza di attrito si può ottenere dalla variazione dell’energia
meccanica:
W mgl(sin cos)1
2mvB
2 7.7J
dove
mgl(sin cos) e’ l’energia potenziale del punto A rispetto al punto C . Si noti che nel
tratto BC varia solo l’energia potenziale.
Esercizio 2
Un secchio pieno d’acqua di massa complessiva
m0 viene portato da un pozzo nel mezzo di un
cortile fino alla cima di una torre alta
h . Essendo però bucato, quando arriva sulla torre contiene
solo metà dell’acqua che conteneva inizialmente. Supponendo che la velocità di salita sulla
torre e la perdita in massa del secchio
dm
dt siano costanti, e che il peso del secchio vuoto possa
essere trascurato, determinare il lavoro compiuto esprimendolo in joule.
[
m0 = 3,78 kg;
h = 50 m]
Suggerimento:
Si ricordi che, detto
x il tratto percorso dal secchio e
v la sua velocità,
dm
dx
dm
dt
dt
dx
dm
dt1
v k
con
k costante, per cui
m(x) è una funzione lineare.
Soluzione:
Osservato che
m(x) è una funzione lineare, con
m(0) m0 e
m(h) m0 /2, si ha:
m(x) m0 1x
2h
lavoro è dunque dato da:
W Fdx0
h
gm(x)dx0
h
m0g 1x
2h
0
h
dx
Calcolando l’integrale, si trova:
W m0g3
4h 1389.2J
Esercizio 3
Un estremo di una molla priva di massa è posto su di una superficie piatta, con l’altro estremo
che punta verso l’alto(vedi figura). Una massa
m1 è posta delicatamente sopra la molla e
permette di comprimere la molla di
x1, ad una nuova posizione di equilibrio. Successivamente,
la massa
m1 viene rimossa e sostituita con una massa
m2. La molla è poi compressa con le
mani cosicché l’estremo della molla si trova in una posizione
x2 rispetto alla posizione originale
di riposo (quella occupata dalla molla senza nessuna massa appoggiata). La molla è poi
rilasciata. Quanto vale la costante
k della molla? Qual è la massima energia cinetica della
massa?
[
m1= 1,0 kg;
m2= 2,0 kg;
x1 = 17 cm;
x2= 42 cm]
Suggerimento: risolvere il problema sia scrivendo l’equazione del moto del punto materiale, sia
scrivendo la conservazione dell’energia meccanica.
Soluzione:
a) Riferita l’energia potenziale gravitazionale all’asse delle ascisse, la costante elastica della
molla vale:
k m1g
x1
57.6N /m
b) Per conservazione dell’energia, la massima energia cinetica della massa
m2 corrisponde alla
minima energia potenziale. L’energia potenziale ha un andamento parabolico:
E p 1
2kx2 m2gx
m1g
2x1
x 2 m2gx
Questa parabola ha il vertice in:
xv m2g
k
m2x1
m1
E p min m2
2g
2m1
x1 m2
2g
m1
x1 m2
2g
2m1
x1
quindi l’energia cinetica massima è:
Ec max E E p min E p,i E p min m1g
2x1
x2
2 m2gx2 m2
2g
2m1
x1 0.2J
Il problema può essere risolto anche utilizzando direttamente l’equazione del moto:
m2Ý Ý x kx m2g x(t) Asin(t )
m2g
k
Si noti che
x* m2g
k è la soluzione di equilibrio dell’equazione del moto, mentre
Asin(t ) e’
l’oscillazione generica: la molla oscilla attorno alla posizione di equilibrio
x* anziché attorno ad
x 0 . Imponendo le condizioni iniziali:
x(0) Asin m2g
k x2 e
v(0)Acos 0 si ottiene:
x(t) x2 m2g
k
cost
m2g
k e
v(t) x2 m2g
k
sint dove
k
m2
La velocità è massima per
sint 1;1, cioè quando l’energia cinetica vale:
Ec max 1
2m2
2 x2 m2g
k
2
1
2k x2
m2g
k
2
0.2J
Sistemi di particelle
Si consideri ora un corpo formato non da un singolo punto materiale, ma dall’unione di un certo
numero di punti. Si introducono le seguenti definizioni:
Sistema discreto: sistema costituito da un certo numero finito di “particelle puntiformi”.
Sistema continuo: corpo rigido formato da un numero infinito di punti vicini tra loro tali da
poter essere considerato un “continuo”. Lo trattiamo in modo analogo al caso precedente
immaginando di dividerlo in tanti elementini di massa dm ognuno dei quali sia
abbastanza piccolo da poter essere considerato puntiforme).
Centro di massa: punto ideale di un corpo nel quale (almeno per certi tipi di problemi) si
può pensare che sia “concentrata” tutta la massa del corpo (coincide con il “centro di
gravità”). Ad esempio un corpo sferico di densità uniforme avrà il centro di massa nel
centro della sfera.
Centro di massa di un sistema di particelle
Si supponga, nel caso più semplice, di avere due corpi di massa
m posti sull’asse x
rispettivamente nel punto
x1 e nel punto
x2, allora possiamo dire che:
xCM x1 x2
2 (media
aritmetica). Se invece i due corpi avessero massa diverse (rispettivamente
m1 e
m2) il centro di
massa risulterebbe “spostato” verso la massa più grande:
xCM m1x1 m2x2
m1 m2
(media ponderata).
Estendendo quanto sopra ad un generico sistema formato da “n” particelle e lavorando in tre
dimensioni si ottiene la definizione generale del centro di massa per un sistema discreto:
rCM
mi ri
i1
n
mi
i1
n
mi ri
i1
n
M
(dove con
ri intendiamo il vettore posizione della i-esima particella e con
M la massa totale del
sistema).
Centro di massa di un corpo rigido
Operiamo in modo analogo al caso di “n” particelle. Supponiamo di dividere il corpo in tante
masse
dm tanto piccole da poter essere considerate puntiformi e poi integriamo:
r CM r dmM
r dVM
.
In realtà il calcolo non viene effettuato sulla massa, ma sul volume applicando la relazione
dm dV (dove rappresenta la “densità” del corpo, che può essere o meno uniforme). Nei
teoremi seguenti verrà presentato il caso di sistemi discreti, ma la loro validità e’ estesa anche
ai sistemi continui, basta sostituire l’integrale rispetto alla massa alla sommatoria.
Dinamica di un sistema di particelle
In un sistema di particelle possiamo distinguere due tipi di forze:
forze interne: dovuta all’interazione delle particelle fra di loro; si ha sempre un’interazione
tra “coppie” di particelle e, in base al principio di “azione e reazione”, si può affermare
che la sommatoria di tutte le forze interne risulta uguale a zero;
forze esterne: dovute a “eventuali” interazioni delle particelle con l’ambiente esterno.
Un sistema che non interagisce con l’esterno viene detto sistema isolato.
Quantità di moto di un sistema di particelle
Si consideri un sistema discreto sottoposto all’azione di forze esterne. Per brevità di
esposizione di consideri la presenza di sole due masse, ma lo stesso discorso e’ parimenti
valido per un numero n. Da una analisi dinamica si ricavano le seguenti considerazioni:
F 12 F 21 (principio di azione e reazione)
F1ext e
F2ext non sono legate fra loro da alcuna relazione: le reazioni a queste due forze sono
estranee al sistema considerato e quindi non ci interessano. La quantità di moto “totale” del
sistema e’ perciò data dalla relazione:
p p1 p2 m1 v1 m2 v
2.
Ricordiamo che, in base alla II legge della dinamica, si ha:
F m a d p
dt.
Ricaviamo la variazione della quantità di moto delle singole particelle del sistema:
per
m1 si ha che
d p1
dt F12 F1ext mentre per
m2 vale extFFdt
pd221
2
La variazione della quantità di moto “totale” del sistema corrisponde alla somma delle variazioni
delle quantità di moto dei singoli punti. Nel caso considerato la relazione che si ottiene e’ la
seguente.
extextextextext Fdt
pdFFFFFF
dt
pd
dt
pd
dt
pd 21221112
21 .
In un sistema isolato (nel quale la sommatoria delle forze esterne è nulla) si avrà:
d p
dt 0, cioè
p e’ costante: “la quantità di moto totale di un sistema isolato si conserva”.
Moto del “centro di massa”
Derivando rispetto al tempo la posizione del centro di massa e’ immediato trovare la sua
velocità. Si suppone che la massa dei punti sia costante.
rCM
mi ri
i1
n
M v
Cm
d rCm
dt
mi vi
i1
n
M
p
M
Il centro di massa si comporta come un “punto materiale” che trasporta tutta la quantità di moto
del sistema.
In un sistema isolato la quantità di moto è costante, quindi anche la velocità del centro di massa
risulta costante: “in un sistema isolato il centro di massa si muove di moto rettilineo uniforme”.
Questo lo si ricava anche calcolando la sua accelerazione.
aCm
d v
Cm
dt
1
M
d p
dt
1
MF ext
Definizione: sul centro di massa agisce la risultante di tutte le forze esterne
Molto interessante e’ notare come le forze interne non influiscano in alcun modo sul moto del
centro di massa. Sono responsabili solo del moto delle particelle all’interno del sistema.
Esempio: una cassa di esplosivo che viaggia con moto rettilineo uniforme esplode sotto
l’azione delle forze interne dividendosi in tanti frammenti. Risulta molto complicato studiare il
moto dei singoli frammenti. Possiamo però affermare che il centro di massa dei frammenti
continua a muoversi di moto rettilineo uniforme alla stessa velocità che aveva prima di
esplodere.
Esempio: un missile lanciato in aria viaggia secondo la classica traiettoria parabolica del “moto
del proiettile”. A un certo punto esplode in tanti frammenti sotto l’azione delle forze interne.
Possiamo comunque affermare che il centro di massa dei frammenti continuerà a muoversi
secondo la traiettoria parabolica originariamente seguita dal missile. I frammenti invece si
muoveranno in traiettorie diverse sotto l’azione delle forze interne.
Energia cinetica di un sistema di particelle
Anche l’energia gode di analoghe proprietà di addizione; l’energia cinetica totale di un sistema
di “n” particelle è data dalla somma delle energie cinetiche di tutte le singole particelle:
Ec 1
2miv i
2
i1
n
Il “teorema dell’energia cinetica”, essendo valido per ogni singola particella, vale anche per un
sistema di particelle in generale:
Ecf Eci Wtotale Wforze int W forze ext
dove il pedice f indica la situazione finale, i quella iniziale mentre int ed ext indicano
rispettivamente le forze interne e quelle esterne. Se le forze interne sono “conservative” si può
scrivere:
Wint E p int i E p int f
da cui si ottiene la seguente relazione:
W forze ext. (Ec E p int ) f (Ec E p int )i
La quantità
Ec Ep int prende il nome di “energia interna” (o propria) di un sistema.
In un sistema isolato l’energia interna si conserva (si possono comunque avere trasformazioni
di
Ec in
E p e viceversa nelle singole particelle).
Urti
Quando due particelle si urtano si ha l’azione di forze interne di tipo “impulsivo”. Per quanto
riguarda il momento dell’urto il sistema formato dalle due particelle che si scontrano può essere
considerato “isolato”. Infatti, nel momento nel quale si scontrano, la forza dell’urto è molto
maggiore rispetto a tutte le altre forze eventualmente coinvolte. Possiamo quindi compiere
un’approssimazione e considerarla come se fosse l’unica.
Il vantaggio nel considerare il sistema come se fosse isolato consiste nella possibilità di
applicare il “principio di conservazione della quantità di moto”.
Applicando il suddetto principio si ha:
m1 v1im2 v
2im1 v
1 fm2 v
2 f
Questo principio è valido in ogni tipo di urto. Gli urti possono essere classificati in due diverse
categorie: “urti elastici” e “urti anelastici”.
Urti elastici
Si ha un urto “perfettamente elastico” quando due oggetti si urtano senza deformarsi. In natura
non è possibile generare un urto perfettamente elastico; ci sono però alcune situazioni che si
possono approssimare ad un urto elastico (es. lo scontro di due palline di acciaio, l’urto fra due
palle da biliardo, ecc.).
In un urto “perfettamente elastico” si conserva l’energia cinetica del sistema (trascuriamo le
perdite di energia dovute all’attrito, alle onde sonore, ecc.). Non si hanno perdite di energia
dovute alla deformazione dei corpi (quando un corpo si deforma, infatti si ha una variazione
delle energie potenziali delle particelle presenti all’interno del corpo; quindi una parte
dell’energia cinetica del sistema si trasforma in energia potenziale).
Nello studio di un urto elastico possiamo quindi utilizzare due equazioni:
m1 v1i m2 v
2i m1 v
1 f m2 v
2 f
1
2m1v1i
2 1
2m2v2i
2 1
2m1v1 f
2 1
2m2v2 f
2
Urti anelastici
Si ha un urto “anelastico” quando due oggetti urtandosi si deformano in modo permanente, o
più correttamente quando durante l’urto si una una dispersione di energia. Gli urti anelastici
possono essere di due tipi:
1. urti “endotermici”, sono urti nei quali si perde
Ec e si acquista
E p (sono i più frequenti)
2. urti “esotermici”, sono urti nei quali si acquista
Ec e si perde
E p (poco frequenti)
Un urto si dice “perfettamente anelastico” se i due oggetti, dopo lo scontro, restano “uniti”.
Urti unidimensionali
Si ha un urto “unidimensionale” quando le particelle, prima e dopo l’urto, si muovono lunga una
stessa direzione fissa (ad esempio l’asse x).
Nel caso di un urto elastico unidimensionale, risolvendo le due equazioni trovate, si ottiene:
v1 f m1 m2
m1 m2
v1i 2m2
m1 m2
v2i e v2 f 2m1
m1 m2
v1i m2 m1
m1 m2
v2i
Vediamo alcuni casi particolari che si possono presentare.
m1 m2 (masse uguali): si ha che
v1 f v2i e
v2 f v1i ossia i due corpi si scambiano le
velocità. Se la particella 2 fosse inizialmente ferma si avrebbe
v1 f 0 e
v2 f v1i .
m2 m1 (bersaglio di grande massa fermo):
v1 f v1i e
v2 f 0. La particella 1 rimbalza
indietro con la stessa velocità, mentre il bersaglio resta fermo.
m2 m1 (bersaglio di massa piccola fermo):
v1 f v1i e
v2 f 2v1i , quindi la particella 1
prosegue circa con la stessa velocità mentre la particella 2 acquista velocità doppia.
Urto completamente anelastico
In questo caso si conserva la quantità di moto, ma non l’energia cinetica del sistema.
L’equazione della conservazione della quantità di moto diventa:
m1v1i m2v2i (m1 m2)v f
Infatti i due corpi, dal momento che dopo l’urto rimangono attaccati, avranno la stessa velocità
finale che sarà uguale a:
v f m1v1i m2v2i
m1 m2
E’ importante sottolineare che il centro di massa continua a muoversi di moto rettilineo
uniforme. La sua velocità prima dell’urto infatti era:
vCM p
m1 m2
m1v1i m2v2i
m1 m2
v f
La velocità finale dei due corpi rimasti uniti è quindi anche la velocità del loro centro di massa.
Durante l’urto infatti agiscono solo “forze interne” che non influiscono sul moto del centro di
massa.
Si potrebbe studiare anche l’urto in un sistema di riferimento solidale con il centro di massa. In
questo caso la quantità di moto sarebbe uguale a zero e le due masse si muoverebbero sempre
in direzioni opposte (avvicinandosi o allontanandosi).
Urti elastici bidimensionali
Si applicano sempre le due condizioni di “conservazione della quantità di moto” e
“conservazione dell’energia cinetica”, ma in questo caso bisogna tenere conto delle componenti
della velocità, o meglio si considera il vettore velocità e non solo il suo modulo.
Se lavoriamo nel piano xy otteniamo tre equazioni:
m1v1xi m2v2xi m1v1xf m2v2xf conservazione della quantità di moto lungo l'asse x
m1v1yi m2v2yi m1v1yf m2v2yf conservazione della quantità di moto lungo l'asse y
1
2m1v1i
2 1
2m2v2i
2 1
2m1v1 f
2 1
2m2v2 f
2 conservazione dell'energia cinetica
In generale però ci sono quattro incognite (i moduli delle due velocità finali e le loro direzioni). È
molto difficile “calcolare” i due angoli in base alle forze che agiscono nell’urto. Normalmente è
più comodo “misurare” uno dei due angoli e ricavare le altre incognite tramite le equazioni
suddette.
Fase di schematizzazione
Per un sistema di particelle o per un corpo esteso (distribuzione continua di materia) il centro di
massa (CM) si definisce come:
xCM
mix i
i
M
yCM
miy i
i
M
zCM
mizi
i
M
dove
mi è la massa dell’i-esima particella di coordinate (
xi,
yi,
zi) in un sistema di riferimento
inerziale ed
M è la massa totale del sistema.
Oppure, nel caso di un corpo esteso:
xCM 1
Mxdm
M
yCM 1
Mydm
M
zCM 1
Mzdm
M
Il teorema del centro di massa (o prima equazione cardinale della dinamica dei sistemi) è scritto
come:
Ma CM F E
ossia il centro di massa si muove come una particella singola di massa
M sulla quale agisce la
stessa forza esterna risultante
F E .
Per un sistema di particelle, la quantità di moto totale è:
P miv i i
Mv CM P CM
Il teorema del centro di massa si può scrivere anche:
dP
dt F E
Quando la forza risultante esterna per un sistema è zero (sistema isolato), la quantità di moto
totale resta costante (legge di conservazione della quantità di moto di un sistema isolato).
La legge di conservazione della quantità di moto è molto utile nel trattare la classe di fenomeni
noti come urti.
In un’urto, due o più corpi interagiscono tra loro per un tempo molto breve con una forza molto
grande rispetto alle altre, sicchè si può considerare il sistema isolato. Pertanto negli urti la
quantità di moto totale si conserva. Anche l’energia totale si conserva, ma questa
conservazione può non essere utile a risolvere il problema se avvengono trasformazioni di
energia da cinetica a non cinetica.
Un urto che conserva l’energia cinetica totale del sistema prende il nome di urto elastico.
Invece, un urto che non conserva l’energia cinetica totale del sistema si dice anelastico.
Se a seguito dell’urto i due corpi restano attaccati tra loro, formando un corpo unico, l’urto si
dice completamente anelastico.
Unità didattica 6
Esercizi riassuntivi UD5.
Esercizio 1
Un proiettile di massa 2m, lanciato dal suolo con una certa angolazione, quando raggiunge
l’apice della traiettoria esplode in due frammenti di eguale massa m.
Sapendo che uno dei due frammenti torna al punto di partenza ripercorrendo la traiettoria
iniziale, determinare la posizione in cui cade l’altro e stabilire se essi toccano o meno terra nello
stesso istante.
Suggerimento: la quantità di moto si conserva.
Soluzione:
Disegnare il problema.
Il moto del centro di massa del sistema delle due parti in cui si è diviso il proiettile è la
continuazione del moto del proiettile integro. I due frammenti toccano terra nello stesso istante
perchè la componente verticale del moto è la stessa per entrambi. Detta
v x la componente
orizzontale della velocità del proiettile, nel punto culminante la sua quantità di moto è
orizzontale e vale
2mvx . La velocità del frammento che torna indietro, nell’istante
dell’esplosione, è
vx quindi la sua quantità di moto vale
mvx , e quella dell’altro frammento
deve essere
2mvx (mvx) 3mvx .
Quindi il secondo frammento parte con velocità
3vx .
Detto
t il tempo di volo, il frammento che torna al punto di partenza percorre la distanza:
O O vxt a
mentre il frammento che prosegue percorre:
A O 3vxt 3a
ed il centro di massa:
A O vxt a
Il frammento che prosegue cade dunque in
A con ascissa
4a .
Esercizio 2
Una chiatta di massa M e lunghezza L è ferma in acqua tranquilla, senza alcun ancoraggio, con
un estremo A a contatto con la parete del molo (vedi figura). In questa situazione un uomo di
massa m sta sulla chiatta all’altezza del suo estremo opposto B. Ad un certo punto l’uomo
comincia a camminare ed arriva all’estremo A, dove si ferma. Se si trascura l’attrito della chiatta
sull’acqua, di quanto si allontana l’estremo A dal molo?
[M = 150 kg; L = 5 m; m = 75 kg]
Suggerimento: lo spostamento della barca rispetto alla banchina è uguale a quello del centro di
massa rispetto alla barca
Soluzione 1:
Poiché il sistema è isolato, la quantità di moto totale rimane nulla, vale a dire che il centro di
massa rimane fermo, rispetto alla banchina. L’ascissa del centro di massa soddisfa inizialmente
l’equazione:
xCM Mg
L
2 mgL
(m M)g
L(M 2m)
2(M m)
Detta
x l’ascissa finale di A, l’ascissa del centro di massa soddisfa (alla fine):
xCM
MgL
2 x
mgx
(m M)g
x(m M) ML
2m M
x M
L
2m M
Uguagliando i secondi membri delle due equazioni si ottiene:
L(M 2m)
2(M m) x
ML
2m M
x mL
m M1.67m
Soluzione 2:
Si ricordi che il sistema è isolato (soluzione 1).
Posto:
v 1 = velocità dell’uomo rispetto alla banchina (massa
m )
v 2 = velocità della barca rispetto alla banchina (massa M) vale:
mv 1 Mv 2 0 v2 m
Mv1
Lo spazio percorso dall’uomo è:
x1 v1 t
Lo spazio percorso dalla barca è:
x2 v2
v1
x1 m
Mx1 x2 x1
m
Mx1 x1 L
Quindi:
x1 LM
m M 3.33m
La posizione dell’uomo rispetto alla banchina è:
L x1 1.67m
Soluzione 3:
Dette
v la velocità (negativa) dell’uomo (che ha massa
m ) e
V la velocità della barca(di massa
M ) rispetto alla banchina, vale:
mv MV 0
Ma, detta
vr la velocità dell’uomo relativa alla barca, è:
v vr V m(vr V) MV vr Vm M
m
Nel tempo
t in cui l’uomo percorre L con velocità relativa alla barca
vr, il centro di massa della
barca si sposta di
x (distanza finale di A dalla banchina):
L
t
x
t
m M
m x L
m
m M1.67m
Esercizio 3
In un incrocio un’automobile A di massa
mA urta un’automobile B di massa
mB . I rilievi della
polizia rivelano che, subito prima dell’urto, l’automobile A viaggiava verso est, mentre B era
diretta a nord (figura). Dopo l’urto, i rottami delle due auto sono rimasti uniti ed i loro pneumatici
hanno lasciato strisciate di slittamento lunghe
d in direzione
prima di arrestarsi. Calcolare le
velocità
vA e
vB di ciascuna automobile prima dell’urto.
Una delle automobili superava il limite legale di velocità
vL ?
Si supponga che le ruote di entrambe le automobili siano rimaste bloccate dopo l’urto e che il
coefficiente di attrito dinamico fra le ruote bloccate e la pavimentazione sia
d .
[
mA = 1100 kg;
mB = 1300 kg;
d = 18,7 m;
vL = 90 km/h;
= 30° da est verso nord;
d =0,80]
Suggerimento: la conservazione della quantità di moto è una relazione vettoriale
Soluzione:
a) L’urto è completamente anelastico, per cui la quantità di moto si conserva, mentre l’energia
cinetica no. Il modulo
v della velocità subito dopo l’urto, si calcola dalle strisciate (l’energia
cinetica dopo l’urto è stata dissipata dall’attrito):
mA mB gd d 1
2mA mB v 2 v 2gd d 17m /s
D’altra parte, la conservazione della quantità di moto si scrive (per componenti):
mAvA mA mB v cos
mBvB mA mB v sin
da cui:
vA mA mB
mA
v cos 32.3m /s 116 .5km/h diretta verso est
vB mA mB
mA
v sin 15.8m /s 56.9km/h diretta verso nord
b) L’auto A superava il limite dei 90 km/h.
Esercizio 4
Il corpo A mostrato in figura, di massa
mA e struttura prismatica, appoggiato su un piano
orizzontale liscio, viene colpito da un corpo puntiforme B di massa
mB e velocità
v 0.
Sapendo che dopo l’urto il corpo B rimbalza verticalmente raggiungendo l’altezza
h rispetto al
punto di impatto mentre A trasla sul piano di appoggio, si determinino la direzione ed il verso
del vettore
v 0. Si supponga che l’urto sia elastico.
[
mA = 100 kg;
mB = 50 g;
v 0 = 5 m/s;
h = 80 cm]
Suggerimento: la componente orizzontale della quantità di moto si conserva, quella verticale no
Soluzione:
In questo problema si conservano la componente orizzontale della quantità di moto e l’energia,
per cui, dette
vA e
vB le velocità di A e B subito dopo l’urto, vale:
mBv0 cos mAvA
1
2mBv0
2 1
2mBvB
2 1
2mAvA
2
1
2mBvB
2 mB gh
Dove
è l’angolo di impatto mostrato in figura, mentre la terza equazione vale per il moto di B
dopo l’urto.
Sostituendo la terza equazione nella seconda, si ricava:
1
2mBv0
2 mBgh 1
2mAvA
2
e quindi:
cos mBmA (v0
2 2gh)
mBv0
0.863 30.3
Dinamica del corpo rigido
Si definisce Corpo Rigido un oggetto solido che supponiamo assolutamente “indeformabile”, le
distanze fra le particelle al suo interno sono costanti.
Traslazione
Si ha un moto di “pura traslazione” quando tutti i punti del corpo si muovono su traiettorie
parallele. In questo caso per studiare il moto del corpo rigido è sufficiente studiare il moto del
centro di massa (che è rappresentativo del moto dell’intero corpo).
Un corpo si muove in questo modo se la “forza” che causa il movimento viene applicata nel
centro di massa (in caso contrario si avrà anche un moto “rotazionale”).
Rotazione
Si ha un moto di “pura rotazione” quando tutti i punti del corpo descrivono traiettorie circolari
intorno ad un asse che viene detto “asse di rotazione”. In generale l’asse di rotazione non
coincide con il centro di massa, ma può dipendere da eventuali vincoli esterni).
In generale un corpo rigido descriverà un moto “roto-traslatorio” che può essere studiato
dividendolo in due moti distinti: una “traslazione” del centro di massa e una “rotazione” intorno
ad un asse passante per il centro di massa (se ne ha un esempio nel moto della ruota di un
automobile).
In questo caso si ha una traslazione del centro di massa, dovuta alla
forza applicata dall’auto, che può essere studiata applicando le leggi della
dinamica del punto.
Si ha inoltre una rotazione intorno al centro di massa dovuta alla
presenza della forza di attrito che non è applicata nel centro di massa,
ma in un punto sul diametro della ruota. Nello studio dei moti rotazionali
non è sufficiente conoscere il valore della forza applicata, è importante
conoscere il “momento della forza” rispetto all’asse di rotazione:
r F .
Le masse compiono traiettorie circolari rispetto all’asse di rotazioni (con raggio diverso a
seconda della loro posizione all’interno del corpo e rispetto all’asse di rotazione).
Tutte le traiettorie giacciono però su piani paralleli.
Il vettore
(velocità angolare) è ortogonale rispetto al piano di rotazione ed è diretto secondo
l’asse di rotazione. Il suo verso è determinato in base alla regola della mano destra.
La velocità angolare è la stessa per tutti i punti del corpo, variano invece le velocità tangenziali
che dipendono dalla distanza del punto dall’asse di rotazione secondo la legge:
v r .
Energia cinetica di rotazione: il momento di inerzia
Applicando l’equazione dell’energia cinetica per un sistema discreto si ricava l’energia cinetica
di rotazione, come espressa nella seguente equazione:
Ec 1
2miv i
2
i1
n
1
2mi
2ri
2 1
2 2 miri
2
i1
n
i1
n
1
2 2I
Si e’ definito:
I miri
2
i1
n
il “momento d’inerzia” del corpo; il suo valore dipende dalla “struttura” del corpo e dalla scelta
dell’asse di rotazione. Si può considerare come l’equivalente rotazionale della “massa” di un
corpo (cioè la sua inerzia a porsi in rotazione intorno ad un certo asse).
Esempi di calcolo del momento d’inerzia:
Sistemi discreti, 2
iirmI
I m1
d
2
2
m2
d
2
2
(m1 m2)d2
4 3 0,25 0,75 Kgm2 1.
I1 I2
I2 > I1
I m1 0 m2 d2 m2 d2 2 1 2 Kgm2 2.
Corpo continuo,
I r2 dmm
Questo integrale è abbastanza facile da calcolare per i corpi geometrici “noti” quali sfera,
cilindro, ecc.; può essere molto difficile per corpi irregolari.
1. Anello sottile di raggio r e massa M; rispetto ad un asse perpendicolare al
piano dell’anello e passante per il centro
I Mr2
2. Sfera di massa M e raggio r; rispetto ad un qualsiasi asse passante per il
centro
I 2
5Mr2
3. Barretta omogenea sottile rettangolare di lunghezza L e massa M; rispetto
all’asse baricentrale giacente nel piano della barretta e perpendicolare alla
lunghezza
I 1
12ML2
Lavoro in un moto rotazionale
Si consideri una forza
F viene applicata nel punto C a distanza
r dall’asse di rotazione.
Il momento della forza è:
r F rF sin rFN
La componente
FN , normale alla direzione di r, è l’unica che tende a mettere in rotazione il
corpo. La componente
FP , parallela alla direzione di r, tende invece a “traslare” l’asse di
rotazione; se questo è fissato (oggetto vincolato) la
FP non ha alcun effetto.
Q uic kT ime ™ e u nd ec o mp r es s or e T IF F ( N on co m pr e ss o )
s on o n e ce s sa r i pe r vis ua lizz a r e q ue s t'im ma g ine .
Q uic kT ime ™ e u nd ec o mp r es s or e T IF F ( No n co mp r e ss o )
s on o n e ce s sa r i pe r vis ua lizz a re q ue s t'im ma g ine .
QuickTime™ e undec ompres sore TIFF (Non c om pres so)
s ono nec es sari per vis ua lizzare quest'immagine.
Anche se il modulo della forza applicata è diverso da zero, non è detto perciò che si abbia un
“momento di forza” non nullo, ossia una componente
FN 0 .
Questo può succedere solo le se:
non si applica alcuna forza (oppure la risultante delle forze applicate è nulla);
si applica la forza nell’asse di rotazione (in questo caso si ha r = 0);
si applica una forza parallelamente all’asse di rotazione (si ha cioè
sin 0), in questo
caso non si ha una rotazione, ma, se il corpo non è vincolato, si potrebbe avere una
traslazione.
Se la forza applicata provoca uno spostamento
ds , con una rotazione di
un angolo
, il lavoro si calcola nel modo consueto.
W di
f
(nell’ipotesi che sia costante).
Per il teorema dell’energia cinetica si ha:
Ecf Eci W 1
2I f
2 1
2I i
2 .
Il lavoro fatto dalla forza si trasforma in energia cinetica rotazionale.
Momento della quantità di moto di un corpo rigido che ruota
Rispetto all’elemento i-esimo si ha che:
vi ri dove
ri e’ distanza di
mi dall’asse di rotazione
Il momento della quantità di moto,
L i e’ definito dal prodotto vettoriale:
L i R i p i miR i v i
In generale la direzione del vettore del momento della quantità di moto
non coincide con l’asse di rotazione. Sull’asse si avrà solo una
componente del vettore stesso.
Per trovare il momento della quantità di moto totale di un corpo bisogna sommare i momenti
delle quantità di moto di tutti i singoli elementi.
Se l’asse di rotazione coincide con un asse di simmetria le varie componenti ortogonali all’asse
si annullano per motivi di simmetria e rimane solo la componente parallela all’asse di rotazione.
(In effetti in ogni corpo esistono tre particolari assi detti “assi principali d’inerzia” per i quali vale
quanto appena detto per gli assi di simmetria.)
Li asse Li cosi miRivi cosi miri ri miri
2 L Li asse miri
2 I
Se la rotazione avviene lungo uno degli assi principali d’inerzia, si può dire anche che:
L i I
Relazione tra “momento angolare” e “momento della forza” nel corpo rigido
Se deriviamo rispetto al tempo il momento della quantità di moto si ottiene una relazione
interessante:
dL
dt
ext int
Si può dimostrare che le forze interne non hanno momento e quindi che
int 0.
d L
dt
d
dt(I ) I
d
dt I da cui si ottiene che
ext I
Questa e’ definita legge della dinamica del corpo rigido ed e’ equivalente alla seconda legge
della dinamica.
Conservazione del momento angolare di un corpo rigido
Da quanto sopra esposto possono essere tratte anche altre conclusioni. E’ stato dimostrato che
L I e
I quindi:
L costante 0 0
F 0
r 0
F // r
Se ne conclude che quando:
0 I costante se I costante allora costante
se I costante allora si ha: I11 I2 2
Se ne ha un esempio nel caso del pattinatore che ruota (verticalmente) su sé stesso più o meno
velocemente (a parità di altre condizioni) a seconda che abbia le braccia aperte oppure chiuse.
Chiudendo le braccia infatti diminuisce il suo momento d’inerzia aumentando di conseguenza la
sua velocità angolare. Quanto detto è vero in quanto non c’è alcun momento di forze esterne.
La chiusura delle braccia è causata da “forze interne” che non influiscono sul momento
angolare.
E’ impostante ricordare che la conservazione del momento angolare è completamente
indipendente rispetto alla conservazione dell’energia cinetica. Nel caso del pattinatore, per
esempio, si ha un aumento di energia cinetica dovuto al lavoro fatto dalle forze interne.
Inoltre se l’asse di rotazione non è perfettamente verticale, ma è inclinato (come nel caso della
trottola) si ha un “moto di precessione”. Mentre la trottola gira su stessa si ha un
contemporaneo moto “conico” dell’asse. In questo caso il momento delle forze esterne non è
nullo in quanto agisce una componente della forza peso.
Coppia di forze
Si ha una coppia di forze quando ci sono due forze uguali in modulo e direzione, ma di verso
opposto. Applicate a un corpo rigido causano solo una rotazione e non una traslazione.
RF RF 2(RF) d F con
d 2R
In generale si ha:
dF sen F b
con b il braccio della coppia di forze.
Teorema di Huygens-Steiner
Il teorema di Huygens-Steiner (o teorema degli assi paralleli) ci permette di calcolare il
momento di inerzia di un solido rispetto ad un asse parallelo a quello passante per il centro di
massa evitando in molti casi (dove è presente una struttura simmetrica) il laborioso calcolo
diretto.
Il teorema ha come tesi che il momento rispetto ad un asse parallelo si ottiene sommando al
momento di inerzia rispetto all'asse passante per il centro di massa del solido, il prodotto tra la
sua massa e la distanza tra l'asse precedente e quello di rotazione al quadrato.
Per la sua dimostrazione si consideri un sistema di riferimento 0xy
con l'origine nel centro di massa e un altro sistema di riferimento
traslato lungo l'asse x di una certa quantità, in modo che le
coordinate siano
y y e
x x d , dove
d è la distanza tra l'asse
passante per il centro di massa e quello parallelo di rotazione
(rispetto al quale calcoliamo il momento).
Si prenda un elemento infinitesimo
dm , il cui momento di inerzia rispetto al centro di massa è
dato da
dI R2dm. Integrando lungo tutto il corpo e considerando questo sistema di riferimento
(
R2 x2 y2) si ha che
ICm x2 y2dm .
Per calcolare il momento d’inerzia rispetto al nuovo asse z si prende nuovamente un elemento
dm e si considera il sistema di riferimento traslato; poiché
R 2 x 2 y 2, applicando le
trasformazioni nel sistema di riferimento precedente e integrando lungo tutto il corpo si ha:
Iz x 2 y 2dm (x d)2 y2dm
Sviluppando il quadrato e raccogliendo si ottiene:
Iz x2 y2dm d2 dm 2d xdm .
QuickTime™ e undecompressore TIFF (Non compresso)
sono necessari per visualizzare quest'immagine.
Il primo termine corrisponde al momento di inerzia rispetto all'asse passante per il centro di
massa
ICm , calcolato precedentemente. Il secondo termine è pari alla quantità
Md2, mentre il
terzo termine è nullo, poiché x e’ l’ascissa del centro di massa che, essendo sull’origine è pari a
0.
Si arriva quindi al risultato finale:
Iz ICm Md 2
Schema riassuntivo
Dinamica del punto Dinamica del corpo rigido
2
2
1vmEc
Ec 1
2I2
f
i
if vmvmsdFW 22
2
1
2
1 22
2
1
2
1if
f
i
IidW
vmp IL
dt
pdamF
dt
LdI
Fase di schematizzazione
Un corpo rigido può ruotare oltre che traslare. Il moto traslatorio è descritto specificando quello
del centro di massa.
Rotazione intorno ad un asse fisso.
Quando un corpo rigido (idealizzato come un insieme di punti materiali le cui mutue distanze
sono fisse) ruota intorno ad un asse fisso, ogni suo punto è fermo rispetto agli altri. Pertanto le
rotazioni intorno ad un asse fisso si possono descrivere mediante un solo angolo
. Se un
punto ruota di
, gli altri sono costretti a ruotare dello stesso angolo.
Di conseguenza, tutti i punti del corpo rigido hanno la stessa velocità angolare:
d
dt
e la stessa accelerazione angolare:
d
dt
d2
dt2
Sia
che
sono vettori con la direzione dell’asse di rotazione (preso di solito come asse z) ed
il verso dato dalla regola della mano destra.
Si definisce momento d’inerzia del corpo rigido rispetto all’asse di rotazione la grandezza:
I miRi
2
i
dove
Ri
2 è la distanza dall’asse del punto i-esimo di massa
mi.
La definizione può essere estesa ad un corpo continuo:
I R2dmM
Uno strumento utile per la valutazione del momento d’inerzia è il teorema di Huygens-Steiner (o
dell’asse parallelo). Questo teorema afferma che il momento d’inerzia di un corpo rispetto ad un
asse qualsiasi è dato da:
Iz ICM Md2
dove
ICM è il momento d’inerzia rispetto all’asse parallelo a quello dato e passante per il centro
di massa, M la massa del corpo a d la distanza tra i due assi.
Il momento angolare (o momento della quantità di moto)
L z di un corpo in rotazione attorno
all’asse fisso z è dato da:
L z Iz
Per rotazioni di un corpo rigido simmetrico attorno ad un asse di simmetria, il momento
angolare è:
L I
Quando un corpo rigido ruota attorno ad un asse che non è di simmetria, il momento angolare
L può non essere parallelo e concorde rispetto alla velocità angolare
nel qual caso il corpo è
in una condizione di squilibrio dinamico e la direzione del momento angolare
L varia nel tempo
(anche se
è costante: è questo il caso della precessione di
L ).
Il teorema del momento angolare (seconda equazione cardinale della dinamica dei sistemi di
punti) è, nella forma più semplice:
d L
dt
ext
con
ext
momento totale delle forze esterne calcolato rispetto al polo O. Anche
L è calcolato
rispetto allo stesso polo. Il polo O deve essere fisso rispetto al riferimento scelto.
Nei moti di rotazione attorno ad un asse fisso il concetto di forza è letteralmente sostituito da
quello di momento della forza, quello di massa dal momento d'inerzia, e l'accelerazione è quella
angolare. Tra queste grandezze vige infatti un’analoga relazione che lega forza, massa ed
accelerazione:
ext
d
dt(I ) I
Se
ext
è costante, allora anche
è costante e le equazioni del moto rotatorio divengono:
k
0 t
0 0t (1/2)t 2
e
2 0
2 2( 0)
dove
0 e
0 sono i valori iniziali (
t t0 0) della velocità angolare e dell’angolo che definisce
la posizione iniziale. Queste equazioni sono analoghe a quelle del moto rettilineo uniforme in
una dimensione.
L’energia cinetica di rotazione di un corpo rigido che ruota attorno ad un asse fisso z è:
Ec 1
2Iz
2
mentre il lavoro fatto dal momento
ext
assume la forma:
W extd 0
Il teorema lavoro-energia è dato da:
W extd 0
EC EC 0
Se il momento risultante delle forze agenti sul corpo è nullo, cioè
d L
dt 0, allora
L e’ costante.
Questa è la legge di conservazione del momento angolare per un corpo in rotazione. Se il
momento d’inerzia è costante (come per un singolo corpo rigido) la conservazione del momento
angolare equivale all’affermazione che la velocità angolare
è costante nel tempo.
Per sistemi più complessi, in cui il momento d’inerzia può variare (basta che ci siano due corpi
rigidi interagenti), la conservazione del momento angolare è uno strumento potente nella
soluzione di problemi e può caratterizzare il sistema dinamico ad ogni istante.
Il momento risultante delle forze esterne
ext ri Fi,ext
i
sarà automaticamente nullo per i sistemi isolati, ma può essere nullo anche quando
Fi,ext 0
essendo in tal caso essenziale la scelta del polo rispetto al quale si calcolano i momenti delle
forze.
Rototraslazione senza strisciamento.
Nel rotolamento il moto traslatorio è combinato con quello rotatorio. Oggetti con raggio
r che
rotolano senza strisciare hanno la velocità angolare
e la velocità del centro di massa
v CM
legate dalla relazione:
vCM r
L’energia cinetica di un corpo che rotola senza strisciare è la somma della sua energia cinetica
rotazionale attorno all’asse di rotazione baricentrico e di quella traslazionale del centro di
massa:
Ec 1
2ICM Mr2 2
1
2ICM 2
1
2MvCM
2
Statica del corpo rigido.
La statica può essere vista come un caso limite della dinamica: quello in cui "tutto è fermo",
anche se ci sono forze. Le condizioni da applicare sono quindi due:
Fi,ext
i
0 per non avere moti di traslazione
ri Fi,ext
i
0 per sopprimere le rotazioni
Per applicare queste condizioni è necessario conoscere non solo le forze esterne, ma anche i
loro punti di applicazione.
La gravità agisce come se fosse applicata al centro di massa del corpo rigido. Il polo rispetto al
quale si calcolano i momenti delle forze deve essere scelto con cura, onde semplificare al
massimo la risoluzione del problema. Conviene anche scegliere un riferimento cartesiano
opportuno: alle due equazioni vettoriali dell’equilibrio corrispondono sei equazioni scalari.
Esercizi riassuntivi UD6.
Esercizio 1
Determinare le lunghezze dei pendoli semplici aventi medesimo periodo di oscillazione di due
pendoli composti quadrati di lato
l e vincolati a ruotare attorno all’asse orizzontale passante per
il punto medio di uno dei lati e perpendicolare a questo lato.
I due quadrati sono formati:
1. uno da quattro masse puntiformi uguali collocate nei vertici ed unite da asticelle rigide di
massa trascurabile
2. l’altro da quattro aste rigide omogenee ed uguali.
Come cambierebbero i risultati se i pendoli fossero vincolati a ruotare attorno ad uno dei lati del
quadrato?
Indicare con m la massa totale del pendolo.
Suggerimento: il periodo di un pendolo composto è:
T 2IP
mgd con
IP momento d’inerzia del
pendolo rispetto all’asse di oscillazione e
d distanza del centro di massa dall’asse.
Soluzione:
Asse perpendicolare al piano del foglio (fig. a e b):
detti
I p il momento d’inerzia delle masse puntiformi e
Ic quello delle aste omogenee, si trova:
Ip m
4
l
2
2
l
2
2
5
4l2
5
4l2
3
4ml2
Ic 4m
4
l2
12
m
4
l2
4
m
l2
4
7
12ml2
Per la valutazione di
Ic si è prima calcolato il momento d’inerzia rispetto al centro di massa e
poi si è utilizzato il teorema dell’asse parallelo.
Il braccio della forza peso è la distanza
d del centro di massa dall’asse:
d l /2
Il periodo del pendolo è:
Tp 2Ip
mgd 2
3l
2g 2
l p
g
Tc 2Ic
mgd 2
7l
6g 2
l cg
con
Tp ,
Tc ,
l p e
l c periodi e lunghezze dei pendoli semplici equivalenti. Quindi:
l p 3l
2 e
l c 7l
6
Asse orizzontale passante per il punto medio di uno dei lati(fig. a’) e b’)):
definiti ancora una volta
I p il momento d’inerzia delle masse puntiformi e
Ic quello delle aste
omogenee, si trova:
Ip 2ml2
4
ml2
2
2
Ic 2m
4
l2
12
m
4
l2
4
m
l2
4
5
12ml2
Per la valutazione di
Ic si è prima calcolato il momento d’inerzia rispetto al centro di massa e
poi si è utilizzato il teorema dell’asse parallelo.
Il braccio della forza peso è la distanza d del centro di massa dall’asse:
d l /2
Il periodo del pendolo è:
Tp 2Ip
mgd 2
l
g 2
l p
g
Tc 2Ic
mgd 2
5l
6g 2
l cg
Quindi:
l p l e
l c 5l
6
Esercizio 2
Due corpi sono appesi mediante fili ideali a due pulegge solidali fra loro e girevoli attorno ad un
asse comune, come illustrato in figura. Il momento d’inerzia complessivo è
I ed i raggi dei
dischi sono
R1 ed
R2 . I fili non slittano nelle gole delle pulegge.
a) nota
m1, si trovi
m2 tale che il sistema sia in equilibrio
b) posta delicatamente una massa
m3 sopra
m1, si trovino l’accelerazione angolare dei dischi e
le tensioni dei fili.
[
m1 = 24 kg;
m3 = 12 kg;
R1 = 1,2 m;
R2 = 0,4 m;
I = 40 kgm2]
Suggerimento: utilizzare i momenti delle forze.
Soluzione:
a) La condizione di equilibrio è:
m1gR1 m2gR2 m2 m1
R1
R2
72kg
b) Le equazioni del moto del sistema dopo l’aggiunta di
m3 sopra
m1, sono:
m1 m3 gT1 m1 m3 a1
T2 m2g m2a2
R1T1 R2T2 I
a1
R1
a2
R2
cioè, eliminando le accelerazioni lineari:
T1 m1 m3 R1 m1 m3 g
T2 m2R2 m2g
R1T1 R2T2 I 0
Risolvendo il sistema, si trova:
T1 m1 m3 m2R2
2 m2R2R1 I
m1 m3 R1
2 m2R2
2 Ig 294N
T2 m1 m3 R1
2 R2R1 I
m1 m3 R1
2 m2R2
2 Im2g 745N
m1 m3 R1 m2R2
m1 m3 R1
2 m2R2
2 I1.4rad /s2
Esercizio 3
Una ruota di Prandtl (figura) è formata da un disco di raggio
R e massa
M e da un cilindro di
raggio
r e momento d’inerzia trascurabile rispetto all’asse di rotazione. Non c’è attrito ed il filo
inestensibile non slitta sull’albero. All’istante
t = 0, la massa
m , inizialmente in quiete, viene
lasciata scendere.
a. Calcolare il tempo
t0 affinché la massa
m percorra l’altezza
h .
b. Calcolare il numero corrispondente di giri compiuti dalla ruota.
c. Sul bordo della ruota è attaccato un magnetino di massa
m0 e dimensioni
trascurabili che esercita una forza
F sul disco. Verificare se al tempo
t0 il
magnetino è ancora attaccato al disco.
[
M = 0,5 kg;
R = 0,2 m;
r = 2 cm;
m = 1 kg;
h = 2 m; m0 = 0,01 kg;
F = 5 N]
Suggerimento: il momento d’inerzia del magnetino è trascurabile. Quando la ruota è in
rotazione sul magnetino agisce la forza centrifuga.
Soluzione:
a) Momento d’inerzia
I della ruota di Prandtl:
I MR2 0.01kgm2
Equazioni del moto del sistema (
a = accelerazione di
m ,
T = tensione del filo,
=accelerazione
angolare):
mgT ma
Tr I
a /r
Eliminando l’accelerazione angolare e la tensione del filo:
mgr mar Ia
r a
mr2
mr2 Ig
Dunque:
t0 2h
a
2h
g
mr2 I
mr2 3.2s
b) Il numero di giri n è fornito da un puro calcolo geometrico:
n h
2r15.9giri
c) Il momento d’inerzia del magnetino è trascurabile rispetto a quello della ruota di Prandtl,
quindi non ne altera la velocità di rotazione. Perciò, la forza centrifuga agente sul magnetino è:
m02R m0
at0 2
R 7.5N
per cui il magnetino si è già staccato. Si può usare anche la conservazione dell’energia:
m0gh 1
2m0v
2 1
2I 2
1
2m0v
2 1
2I
v 2
r2
F m0
v 2
r
cioè:
F m0
2m0ghr
m0r2 I
7.5N
Sommario
INTRODUZIONE AL CORSO 2
Consigli per la risoluzione dei problemi 2
UNITÀ DIDATTICA 1 4
Unita di misura 4
Classe di grandezze 4
Definizione operativa delle grandezze 4
Unità di misura 4
Misura di una grandezza 4
Operazioni con le grandezze 5
Grandezze come monomi. 5
Notazione scientifica (o esponenziale) 6
Ordine di grandezza di una misura 6
Grandezze fondamentali e derivate 6
Sistema internazionale, SI 7
Multipli e sottomultipli 10
Grandezze Comuni 10
Misura di grandezze fisiche 11
Equazioni dimensionali 12
Grandezze fisiche “scalari” e “vettoriali” 12
Leggi fisiche 13
Fase di Schematizzazione 14
UNITÀ DIDATTICA 2 15
Esercizi riassuntivi UD1: 15
Nozione di vettore 15
Segmenti orientati e vettori 16
Somma e differenza di vettori 18
Moltiplicazione scalare–vettore 18
Scomposizione di un vettore 19
Versori 19
Prodotto scalare 20
Prodotto vettoriale 20
Cinematica 23
Sistema cartesiano 23
Coordinate sferiche o Coordinate polari nello spazio 23
Coordinate polari 24
Coordinale cilindriche 24
Descrizione del moto di un punto materiale 25
Cambio di coordinate: rotazione degli assi (coordinate polari). 25
Moti unidimensionali (moto rettilineo) 26
Caduta libera dei gravi 28
Moto in più dimensioni 29
Moto circolare uniforme 31
Moto circolare e oscillazioni armoniche 33
Relativita’ Galileiana 34
Sistemi non inerziali: accelerazioni apparenti. 35
L'effetto sull'atmosfera 37
Fase di Schematizzazione 38
UNITÀ DIDATTICA 3 41
Esercizi riassuntivi UD2. 41
Dinamica 45
Le leggi della dinamica di Newton 45
Dinamica classica 46
Le Tre Leggi Della Dinamica Di Newton 46
Massa inerziale 46
Forza Peso 48
Quantità di Moto 48
Principio di conservazione della quantità di moto 49
Vincoli: forze vincolari 50
I vincoli più frequenti 51
Le forze di attrito 53
Attrito statico 54
Attrito dinamico di strisciamento 54
Misura del coefficiente di attrito statico 54
Altri tipi di attrito 55
Forze elastiche 56
Massa “appesa” a una molla 58
Tipi di forze in Natura 59
Interazione gravitazionale e “legge di gravitazione universale” 59
Macchina di Atwood 60
Fase di schematizzazione 62
UNITÀ DIDATTICA 4 66
Esercizi riassuntivi UD3. 66
Lavoro di una forza 70
Energia 70
Energia cinetica 71
Teorema dell’energica cinetica 71
Forze conservative 72
Energia potenziale 73
Teorema di conservazione dell’energia totale meccanica 74
Lavoro ed energia 75
Macchina di Atwood, dimostrazione energetica 75
Pendolo semplice 76
Conservazione dell’energia pendolo semplice 76
Piccole oscillazioni 77
Energia potenziale elastica 78
Dinamometro (molla verticale) 79
Energia potenziale gravitazionale 79
Superfici equipotenziali 80
Punti di Equilibrio 82
Lavoro su una linea chiusa 83
Forze non conservative 83
Impulso di una forza 84
Potenza 84
Momento della quantità di moto 85
Momento della forza 85
Relazione fra “momento angolare” e “momento della forza” 86
Conservazione del momento angolare 86
Fase di schematizzazione 87
UNITÀ DIDATTICA 5 89
Esercizi riassuntivi UD4. 89
Sistemi di particelle 92
Centro di massa di un sistema di particelle 92
Centro di massa di un corpo rigido 93
Dinamica di un sistema di particelle 93
Quantità di moto di un sistema di particelle 93
Moto del “centro di massa” 94
Energia cinetica di un sistema di particelle 95
Urti 96
Urti elastici 96
Urti anelastici 97
Urti unidimensionali 97
Urto completamente anelastico 97
Urti elastici bidimensionali 98
Fase di schematizzazione 99
UNITÀ DIDATTICA 6 101
Esercizi riassuntivi UD5. 101
Dinamica del corpo rigido 106
Traslazione 106
Rotazione 106
Energia cinetica di rotazione: il momento di inerzia 107
Esempi di calcolo del momento d’inerzia: 107
Lavoro in un moto rotazionale 108
Momento della quantità di moto di un corpo rigido che ruota 109
Relazione tra “momento angolare” e “momento della forza” nel corpo rigido 110
Conservazione del momento angolare di un corpo rigido 110
Coppia di forze 111
Teorema di Huygens-Steiner 112
Fase di schematizzazione 114
Esercizi riassuntivi UD6. 118