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EDITRICE COMPOSITORI Saperi, arti e produzione tra ’500 e ’800

Bologna e l'invenzione delle acque

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EDITRICE COMPOSITORI

Saperi, arti e produzione tra ’500 e ’800

Questo volume è stato realizzato grazie al contributo di

In copertina:Luigi Venturi, Il canale delle Moline, metà sec. XIX, Bologna, Pinacoteca Nazionale

© 2001 Testi e immaginiIBC Regione Emilia-Romagna

© 2001 IBC Regione Emilia-Romagna,via Farini 17 - 40124 Bologna© 2001 EDITRICE COMPOSITORIvia Stalingrado 97/2 - 40128 Bolognatel. 0039 051 4199711 - fax 0039 051 [email protected] - www.compositori.itISBN 88-7794-266-5

L’editore si dichiara disponibile a corrispondere il pagamento dei diritti di cui non è stato possibile raggiungere i detentori.

Città Europea della Cultura

EDITRICE COMPOSITORI

Saperi, arti e produzione tra ’500 e ’800

A cura di Massimo Tozzi Fontana

Il presente volume è stato realizzato inoccasione della mostra Bologna e l’invenzionedelle acque. Saperi, arti e produzione tra ’500 e ’800, Bologna, BibliotecaUniversitaria e ex Chiesa di San Mattia, 16 febbraio-6 maggio 2001, organizzatadall’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna,nell’ambito delle manifestazioni di Bologna2000, Città Europea della Cultura

Comitato ScientificoEzio Raimondi, Presidente Biancastella Antonino, Pier Luigi Bottino,Pier Ugo Calzolari, Carlo De Angelis,Giorgio Dragoni, Franco Farinelli, Fabio Foresti, Elio Garzillo, Alberto Guenzi,Fabio Marchi, Carlo Poni, Eugenio Riccomini, Giorgio Tabarroni

Gruppo di lavoro dell’IBCMarina Foschi, Anna Gianotti, Elisabetta Landi, Stefano Pezzoli, Paola Stanzani, Teresa Tosetti, Massimo Tozzi Fontana, Sergio Venturi,Riccardo Vlahov

Hanno collaboratoFranco Angrisano, Anna Bassanelli, Ambra Bonazzi, Nicola Cocca, Zeno Orlandi, Franco Siligardi, Maria Elena Tosi

Progetto grafico e copertinaStudio Pinto

ImpaginazioneMargherita Scardovi

Riproduzioni fotograficheCostantino Ferlauto, Fornasini MicrofilmService, Foto Roncaglia, Francesco Menchetti, Andrea Scardova,Vittorio Valentini, Riccardo Vlahov

Ufficio StampaValeria Cicala, Isabella Fabbri, Gabriella Gallerani, Carlo Tovoli

Sito WEBMaria Pia Guermandi, Eros Merli

RingraziamentiAlessandro Alessandrini, Maria CristinaBacchi, Alessandra Bonazzi, Giovanni Lucarelli

COMITATO PER BOLOGNA 2000

Giorgio GuazzalocaSindaco di Bologna, Presidente

Marina DesertiAssessore alla Cultura del Comune di Bologna

Dante D’Alessioin rappresentanza del Ministroper i Beni e le Attività CulturaliGiovanna Melandri

Vasco ErraniPresidente della Regione Emilia-Romagna

Vittorio ProdiPresidente della Provincia di Bologna

Pier Ugo CalzolariMagnifico Rettoredell’Università degli Studi

Giancarlo SangalliPresidente della Camera di CommercioIndustria e Artigianato

COMITATO ISTRUTTORE

Marina DesertiAssessore alla CulturaComune di Bologna

Vera Negri ZamagniVice Presidente eAssessore alla CulturaRegione Emilia-Romagna

Marco MacciantelliAssessore alla CulturaProvincia di Bologna

Angelo VarniUniversità degli Studi di Bologna

Loretta Ghelfi, Roberto CalariDelegati CCIAA

Alessandro ChiliDelegato Regione Emilia-Romagna

Giuseppe Maria MioniDelegato del Consiglio Comunale

CONSIGLIERI

Umberto EcoResponsabile del Progetto Comunicazione

Enzo BiagiConsigliere per i rapporti con i media

Luca Cordero di MontezemoloConsigliere per i rapporti con le imprese

STAFF

Fulvio Alberto MediniDirettore Generale

Enrico BiscagliaSegretario Generale

Marco ZanziCoordinamento generaleDirettore Divisionemarketing e comunicazione

Ivana CalviTesoriera

Giordano GaspariniDirettore Divisioneprogrammazione culturale

Paolo TrevisaniDirettore Divisionepromozione turistica

Cheti CorsiniCoordinamento generale programma

Paola Zaccheroni, Giorgio OrlandiComunicazione e Marketing

Francesca PuglisiResponsabile Ufficio Stampa

Valentina Ridolfi, Barbara SeppiMonitoraggio del Progetto

ISTITUTO PER I BENI ARTISTICI,CULTURALI E NATURALI DELLA REGIONEEMILIA-ROMAGNA

Presidente: Ezio Raimondi

Direttore: Nazzareno Pisauri

Consiglio Direttivo: Dante Bolognesi,Graziano Campanini, Maurizio Festanti,Franca Manenti Valli, Angelo Varni, IsabellaZanni Rosiello

Città Europea della Cultura

Istituto beni artistici culturali e naturali

7 Acque segreteStefano Aldrovandi

7 Una città ingegnosaVera Negri Zamagni

8 La “metà nascosta”Ezio Raimondi

SAGGI

13 Introduzione Massimo Tozzi Fontana

16 Iter Limitaneus. Marsili e le acqueFranco Farinelli

28 La scienza delle acque e la questionedel Reno. Il SeicentoCesare S. Maffioli

38 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bologneseGiovanni Gottardi, Annalisa Bugini,

Sonia Camprini, Marina Manferrari

102 Uno scienziato e un affresco. Tra simbologia e realismoGiorgio Dragoni

106 Distribuzione dell’energia nel “cuoreindustriale” della città in etàprecapitalisticaCarlo De Angelis e Alberto Guenzi

124 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustriCarlo Poni

144 Il lessico e il racconto delle acqueFabio Foresti

166 Imbarcazioni e navigazione a BolognaMarco Bonino

174 Acque e lavori pubbliciPier Luigi Bottino

178 Un acquedotto bolognese a MaltaFrancesco Menchetti

APPENDICE. I LUOGHI DELLA MOSTRA

192 Palazzo Poggi e la Biblioteca Universitaria di BolognaBiancastella Antonino

195 San Mattia a Bologna. Da episodio di restauro a luogo di documentazione sull’architetturaElio Garzillo

197 Indice dei nomi e dei luoghi

SOMMARIO

7 Bologna e l’invenzione delle acque

ACQUE SEGRETE

Nel ricchissimo quadro di iniziative realizzate nell’am-bito di “Bologna 2000” non poteva mancare una parti-colare attenzione al grande tema delle acque. Infatti ful’introduzione sistematica sul territorio di Bologna diacque canalizzate, alla fine del XII secolo, a segnareuna grande svolta produttiva per la città e a caratteriz-zare per secoli le fortune economiche, le scelte di lavo-ro, le capacità imprenditoriali dei bolognesi, i flussi dirisorse finanziarie.

La riscoperta, a far tempo dagli ultimi decenni, delruolo fondamentale dell’energia prodotta dall’imponen-te sistema delle acque di Bologna, ha comportato la cre-scita dell’interesse (e della curiosità) nella cittadinanzae l’avvio di nuovi studi e nuove ricerche sul tema.

La Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna havolentieri e in modo convinto sostenuto varie iniziati-ve in questo ambito: studi e ricerche, pubblicazioni, maanche progetti operativi come quello di rendere piùagibile e fruibile, attraverso la creazione di comodiaccessi, il percorso sotterraneo del più importante corsod’acqua naturale di Bologna, cioè il torrente Aposa.Questo intervento, realizzato nel corso dell’anno 2000e portato a conclusione nel settembre dello stessoanno, ha permesso a migliaia di cittadini di prenderecontatto con questa realtà. Giovani e meno giovanihanno così potuto rendersi conto, ma anche immagina-re con la fantasia, di una Bologna che non c’è più, mache ha creato le premesse fondamentali dello sviluppoe della ricchezza di cui hanno poi usufruito i posteri.

Ora giunge questa importante mostra e questo cata-logo che contiene una raccolta di saggi di grande inte-resse. L’iniziativa contribuirà ancor più a offrire occa-sioni di riflessione e di approfondimento, e a renderela nostra comunità più consapevole della propriaidentità storica.

Stefano AldrovandiPresidente della Fondazione

del Monte di Bologna e Ravenna

UNA CITTÀ INGEGNOSA

Bologna non sembrava essere localizzata in una zonafortunata dal punto di vista delle acque che avevanorappresentato sin dall’antichità una risorsa fondamen-tale non solo per l’alimentazione della specie umana,ma anche per l’igiene (si ricordino i bagni pubblicidell’epoca romana, luogo anche di divertimento), lacoltivazione, il trasporto e l’energia fornita ai primimulini. Infatti la città giaceva sì tra il Reno e il Save-na, ma ad una certa distanza, ed era attraversata solodal torrente Aposa. L’ingegnosità dei suoi abitanti,tuttavia, la dotò, quando la vita cittadina riprese dopoi secoli bui, di due canali con una fitta rete di canalet-te, condotte e chiaviche che permisero a Bologna difornirsi di lavatoi, orti, peschiere, di mulini, macine,gualchiere, segherie e maceri e di un trasporto effi-ciente (per l’epoca!) fino al mar Adriatico. È su que-sta base che Bologna poté imboccare la strada di unasignificativa fioritura economica, testimoniata dall’in-grandirsi progressivo della sua dimensione cittadina edall’abbellirsi delle sue strade con chiese e palazzi.Questo progresso economico favorì un affinarsi diordinamenti e regole che resero Bologna una cittàall’avanguardia della civilizzazione dell’Europa occi-dentale nell’epoca preindustriale.

Da ciò nasce spontaneo un commento: Bologna èuno dei tanti esempi di come per far progredire econo-micamente un’area contino più l’ingegnosità dei com-ponenti di una società e la capacità di trovare ordina-menti che permettano a ciascuno di esprimere la pro-pria creatività che non l’abbondanza di risorse. Perquesto rivisitare la storia delle acque a Bologna signifi-ca certamente ritornare alle sorgenti del suo sviluppo eripercorrerne le prime tappe, ma anche riproporre allettore una riflessione più generale sui meccanismi chepresiedono da sempre allo sviluppo economico.

Vera Negri ZamagniVice Presidente e Assessore alla Cultura

della Regione Emilia-Romagna

8Bologna e l’invenzione delle acque

LA “METÀ NASCOSTA”

Nonostante il suo Nettuno, mitico dio marino, lacittà di Bologna non ha un fiume che l’attraversi enon presenta oggi un sistema visibile di canalizzazio-ni, né un apparato spettacolare di fontane amiche.Così per chi vi transita, non meno che per chi risie-de, essa è uno spazio vivente che non propone unoscenario sinuoso di acque correnti, ma solo strade diportici senza fine e pietre di ruvida grana terrestre,tra la pianura e le placide colline circostanti. Con lamostra, la visione multimediale e il presente volume,l’iniziativa Bologna e l’invenzione delle acque mira adimostrare il contrario: nell’area urbana bologneserimangono testimonianze copiose di un sistemaidraulico artificiale che nel passato ne improntòanche la natura, favorendo soprattutto le industrie,in particolare quella per la lavorazione della seta,mentre consentiva insieme i traffici e i trasporti diuna intensa navigazione, collegata al corso maggioredel Po e di qui a Venezia e alle terre d’oltremare.Vero è che Bologna possiede, tuttora vitale, unacquedotto romano scavato nelle colline, che comeduemila anni orsono porta l’acqua del Setta in città:e restano ancora affascinanti manufatti che serviva-no poi per l’alimentazione delle fontane di piazza,quella del Nettuno e l’altra di via Ugo Bassi. E insie-me ecco gli edifici chiamati alla regolazione e allosfruttamento energetico e industriale dell’acqua, iconnotati ambientali superstiti di un insediamentoumano adeguatosi a questa presenza indotta, nonchéaltri oggetti sepolti e nascosti, ma ancora, solo che losi voglia, esplorabili.

Così la nostra indagine diviene anche un invito aintraprendere la riqualificazione e la valorizzazionedi aree ed edifici lungo le vie d’acqua, ora latenti o inrovina, che possono costituire altrettanti centri diidentificazione e d’aggregazione, tra paese e quartie-re, in un’area metropolitana che forse ha bisogno diriconoscere finalmente la propria storia territoriale,economica e sociale. Non va dimenticato, d’altrocanto, che questa connotazione idraulica bolognesesi correla organicamente con una vicenda regionaledi più e più secoli, che, tra l’asse della via Emilia e lacostellazione dei suoi centri umani, ha visto succe-

dersi costanti derivazioni d’acqua dai fiumi dell’Ap-pennino proprio perché si potesse navigare verso ilPo e fornire d’energia gli opifici di un fervido univer-so artigianale e industriale. E i segni di questasapiente prassi idraulica giacciono ancora dissemina-ti fra l’apertura delle valli e il piano. Ma ora occorrepromuovere un preciso e reale collegamento fra tuttiquesti episodi, con la consapevolezza critica che essirappresentano anche preziose “occasioni museografi-che”, da cui può venire, a più livelli, un approfondi-mento scientifico, culturale e didattico. In questocontesto l’episodio bolognese, già scandagliato dauna lunga serie di studi e progetti, ne offre la confer-ma espositiva, tanto più valida allorché vi si aggiun-ge la rinnovata attenzione del Comune a risanare icondotti e a potenziare la fruibilità dei percorsi cheaffiancano le antiche canalizzazioni. Non per nulla siè voluto anche ricordare il Marsili stratega, scienzia-to, cartografo, protagonista lungimirante di un Set-tecento bolognese ed europeo. Alla scadenza dellemanifestazioni per Bologna, città della cultura del2000, al cui centro era stato posto il problema dellacomunicazione, il capitolo delle acque mostra perl’appunto come la rete idraulica sia stata a suo tempoun modo visibile di costruire relazioni e come invirtù dell’acqua, fra sagace regolazione e razionaleuso e sfruttamento, si sia formata la cultura del terri-torio di questa regione, quasi un carattere costitutivodel nostro capitale sociale e umano.

Necessaria come tutto ciò che ci dà vita, materia eimmagine quotidiana della nostra esistenza, limpidae insieme oscura, l’acqua ha sempre obbligato l’uomoa un confronto con la sua dualità immanente difascino e di minaccia. E certo, allorché i nostri ante-nati si affacciarono per la prima volta sulla terrapadana, la vista dell’ultimo lembo della distesa liqui-da pleocenica dovette suscitare stupore, paura e infi-ne energia pertinace di sfida. Tra le nebbie il “grandefiume” Po dominava placido e violento in attesa dinuovi confini che tutelassero, anche se in modo pre-cario, uno spazio umano, una natura da coltivare eabitare. Così nella pianura emiliana la vicenda delleacque si lega profondamente alla storia del suo pae-saggio attraverso un processo millenario di bonifica edi difesa di fronte alle alluvioni congiunte di fiumi e

torrenti rovinosi. È un lavoro di secoli prodigiosoquanto razionale, e il suo risultato si invera nel dise-gno molteplice della rete idrica che ordina e solca lenostre campagne. E qui va ripetuto che a partire dal-l’età medievale, per opera delle comunità urbaneinsediate sulla fascia della via Emilia, si crea un siste-ma straordinario di canalizzazioni artificiali per navi-gare sino alla grande arteria del Po e per fornire a untempo una conveniente forza motrice alle fiorentimanifatture cittadine.

Ripensare ora e riassumere in un unico modelloillustrativo un tema così complesso e intrecciato difatti storici e di fenomeni stratificati in un ambientevisibile, anche se esposto a una percezione distratta,come diceva Benjamin, significa puntare l’attenzio-ne sull’insieme dei processi naturali e culturali chehanno origine dall’elemento attivo dell’acqua e sulletracce che ne restano nel tessuto del territorio comeparti di una scrittura comune. Allora l’antico siintegra davvero nel nuovo e chiede di essere com-preso e valorizzato come qualcosa che ancora ciappartiene e ci differenzia, una volta che se ne attin-ga precisa e ragionevole consapevolezza. Tra scienza,tecnica, lavoro e fatica l’idraulica può così insegnareanche oggi molte cose, dando per di più ragione a ungiovane e ingegnoso scrittore delle nostre parti allor-ché, in una trama romanzesca di cupe avventure cit-tadine, ci avverte che a Bologna “se ci vai sotto conuna barca è piena di acqua e di canali che sembraVenezia”. In fondo, a parte l’iperbole della compara-zione, è proprio questa “metà nascosta” che si vuoleoggi rivelare a un occhio del Duemila disincantatoma curioso, sempre che sia ancora disposto a inten-dere la lezione della natura e della storia. Al paridella ricerca che la legittima, anche una mostra èuna prova.

Ezio RaimondiPresidente dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali

e Naturali della Regione Emilia-Romagna

9 Bologna e l’invenzione delle acque

SAGGI

INTRODUZIONE

Questo volume racchiude le riflessioni degli studiosiche hanno collaborato alla realizzazione dell’iniziativadedicata a Bologna e l’invenzione delle acque. Saperi, artie produzione tra Cinquecento e Ottocento, e accompagnala mostra aperta nelle due sedi bolognesi della Biblio-teca Universitaria e della ex Chiesa di San Mattia.

Diverse pubblicazioni apparse negli ultimi tempihanno portato all’attenzione di un vasto pubblico iltema delle acque e del loro uso in città. Ci pareva tut-tavia che mancasse ancora, nel ricco panorama delleiniziative editoriali, il punto di vista che è comune atutti i contributi qui presentati. Si trattava infatti diriconoscere, attraverso le vicende dell’acqua, la singo-larità del caso di Bologna e del modello che in questacittà ha preso corpo, rispetto alle altre grandi cittàeuropee, tra XVI e XIX secolo.

Qui infatti, in quel periodo, scienziati e accademicicominciarono ad elaborare teorie atte a comprendere einterpretare l’elemento liquido distribuito nel globo,non più contemplando puramente e semplicemente ilproblema della rappresentatività cartografica, marivolgendosi con decisione anche agli aspetti attinentialla fisicità dell’acqua, alle sue dinamiche, come purealla vita che nell’acqua si svolgeva. Contemporanea-mente, nella stessa città, altri scienziati, anche rive-stendo cariche pubbliche, prestavano il loro ingegno altentativo di governare l’assetto idrico del territorio,per preservare le terre coltivate dalla violenza delleinondazioni e per garantire la navigabilità dei corsid’acqua naturali e artificiali, nel quadro di una secola-re contesa con Ferrara.

Ancora in Bologna, tra Cinquecento e Ottocento,l’intelligenza creativa e le competenze tecniche diidraulici e maestranze, i cui nomi non sono ricordatinelle fonti storiche, contribuiva a creare e a perfezio-nare un microsistema artificiale che per secoli ha assi-curato la prosperità dell’industria serica e di moltemanifatture: mulini da seta, gualchiere, tintorie, maci-ne da galla, da rizza, da grano, da olio, cartiere, pile dariso, da miglio ecc. La particolarità del sistema consi-steva nel fatto che, mentre perlopiù in altre città gliopifici venivano a distribuirsi lungo il corso dei canali,

13 Introduzione

nel caso bolognese questo era vero solo per i territorifuori dalle mura; in città l’acqua dei canali venivainfatti captata in modo talmente capillare da raggiun-gere ogni opificio dotato di ruota idraulica: le esiguependenze naturali venivano sfruttate al massimo nelprocesso produttivo e l’acqua, una volta conferita l’e-nergia motrice ai filatoi e agli opifici, veniva rimessa incircolo per confluire nel canale Navile, dove il trafficodi imbarcazioni per il trasporto di persone e mercicessò definitivamente solo nel 1948.

Che una qualche forma di comunicazione ci siastata oppure no tra gli scienziati che, oltre a occuparsidi argini e di bonifiche, studiavano il moto delleacque, la natura dei fiumi e dei mari – elaborandoimportanti leggi scientifiche – e gli anonimi tecniciche andavano costruendo tante minuscole ramificazio-ni dei canali in città per portare acqua agli opifici, rea-lizzando chiaviche e chiavicotti, è oggetto di discussio-ne tra gli storici. È comunque certo che a Bologna si èverificato in età moderna un dispiegamento di intelli-genze straordinario che ha permesso di utilizzare l’ac-qua al meglio per le diverse attività manufatturiere eindustriali, per il trasporto di persone e merci, per i ser-vizi igienici in città (lavatoi pubblici, stabilimenti perbagni), per fare fronte alle calamità che dall’acquastessa potevano provenire, per il governo dell’irrigazio-ne ortiva in città e dell’assetto idraulico delle campa-gne da coltivare.

Insomma l’acqua divenne a poco a poco un impor-tante strumento di comunicazione a tutti i livelli: unacerta “logica idrica” si trasmise nelle idee, come neitrasporti e nei commerci, nei rapporti economici fracittà e territorio. I corsi d’acqua diventarono, in questoperiodo, strumento di comunicazione: relazione framodelli immateriali e processi del territorio, fra la cul-tura tecnico-scientifica ed i saperi pratici che plasma-no la città e la campagna.

Con la consapevolezza di questa realtà, i saggi presen-tati in questo volume accompagnano e approfondisconoi contenuti dell’esposizione e del prodotto multimedia-le, riflettendo in modo pregnante i diversi approccicomunicativi in una logica di complementarità.

La mostra presso la Biblioteca Universitaria costi-tuisce un’importante occasione per restituire visibilità

alla documentazione, straordinaria tanto quantitati-vamente quanto qualitativamente, delle osservazionieffettuate da Luigi Ferdinando Marsili durante i moltie spesso avventurosi viaggi in ambito europeo oppureesplorando i “beni sommersi” di sua proprietà nelBolognese (mi riferisco in particolare al Manoscritto139 Agri Bononiensis Palustris Historia). Queste osser-vazioni, schizzi, acquerelli, appunti sempre analitici efrutto di uno spirito di osservazione lucido e libero dapregiudizi, rappresentano un materiale prezioso e atutt’oggi insufficientemente studiato, conservatonella biblioteca bolognese. Il contributo Iter limita-neus. Marsili e le acque presenta in modo assai efficacel’interesse per l’elemento liquido manifestato nell’o-pera di questo grande bolognese d’Europa, il cuiapporto alla definizione culturale del modello territo-riale bolognese, fondato su un inedito rapporto traterra e acqua, è decisivo.

Il saggio Aspetti della tradizione scientifico-tecnicaidraulica bolognese costituisce un valido sostegno percomprendere il quadro di origine e di sviluppo dell’e-laborazione scientifica e sperimentale in ambito acca-demico, e non solo, a Bologna nel periodo considera-to. Sempre presso la Biblioteca Universitaria sonoesposti i documenti e le opere fondamentali frutto diquelle elaborazioni. Nel testo viene posto l’accentosulla stretta correlazione tra la nascita dell’ingegneriaidraulica come idrodinamica applicata nello Studiobolognese, verso la metà del XVII secolo, e le plurise-colari vicende della bonifica del basso corso del Po, apartire dal XII secolo.

D’altro lato, e contiguamente, il lavoro La scienzadelle acque e il problema del Reno descrive il ruolo ad untempo tecnico e politico assunto dall’ingegnere idrau-lico Domenico Guglielmini. Gli exhibit esposti a SanMattia, che raffigurano esperimenti riconducibili allostesso Guglielmini, vengono meglio percepiti alla lucedel testo come prodotto di una cultura che vedevalegate in un nodo indissolubile la speculazione teoricae l’esperienza, esperienza che trova talvolta riscontronell’iconografia pittorica, come mostra l’articolo Unoscienziato e un affresco. Tra simbologia e realismo.

La raffigurazione plastica e virtuale del poderebolognese e le testimonianze materiali delle attivitàproduttive della palude, visibili a San Mattia, trovano

un robusto sostegno nel saggio Approcci molteplici: l’i-draulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risor-se palustri, che, oltre a fare comprendere il valoreessenziale dell’assetto idraulico nell’economia agrariae nella difesa del suolo, introduce l’importante temadell’economia della palude, sottolineandone il valore,in contraddizione con un diffuso luogo comune che fapercepire le zone umide esclusivamente come terre dabonificare. Sempre in questo saggio si dà spazio all’a-cuta osservazione antropologica ed etnografica diMarsili a proposito del lavoro e delle attività che nellepaludi avevano luogo: dalle lavorazioni artigianali disalice e canne all’impiego dei manufatti per la pesca,la caccia e le costruzioni. A ciò si aggiunge l’attentaosservazione naturalistica, in particolare della florapalustre, di straordinario interesse soprattutto per lespecie oggi estinte o minacciate.

Alla raffigurazione planimetrica e plastica degli opificiidraulici situati tra via Riva di Reno e Porta Lame,esposta a San Mattia, è dedicata in questo volumeun’acuta riflessione sui problemi scientifici e concet-tuali connessi alla trasferibilità di fonti scritte e ico-nografiche in oggetti di alto livello spettacolare. I fila-toi e la pila da riso realizzati in scala ed esposti a SanMattia sono il frutto di una rigorosa elaborazione con-cettuale delle fonti disponibili. Il difficile passaggioviene dettagliatamente descritto nel saggio in mododa rendere percepibile ai visitatori più attenti il gradodi astrazione del plastico, necessariamente semprepresente in un modello didattico, in confronto allaconcretezza realistica dell’oggetto.

Il tema de Il lessico e il racconto delle acque a Bolognaè l’elemento comune ai molti aspetti della nostra ini-ziativa. Mostra, volume e prodotto multimediale nesono attraversati esemplarmente. Il punto di vistaantropologico-linguistico, rivolto agli aspetti tecnici eproduttivi sopra enunciati, ha il potere di farne emer-gere altri, legati, più in generale, alla vita quotidiana.Attraverso lo studio dei lessici dialettali, tecnicamen-te connotati, relativi ai cicli di lavoro, agli arnesi, allemacchine e ai prodotti, si scopre che esisteva unmondo popolato di lavandaie, di bagni e di bagnanti(andèr a l acua significava fare il bagno in qualchecanale), di acquaioli e di naviganti. Un mondo raffi-gurato anche da una notevole – per quantità e tipolo-

14Massimo Tozzi Fontana

gia – produzione letteraria in lingua e in dialetto. I rego-lamenti, gli avvisi e i bandi delle autorità preposte algoverno delle acque concernenti le attività economichee il prelievo fiscale nella città permettono di evidenziareche le acque a Bologna hanno originato una toponoma-stica urbana che interessa non solo le strade storiche,ma anche – benché non più esistenti – i ponti, le ban-chine, gli orti, i tratti di canali, insieme alle grade, aisostegni e ad altri regolatori idraulici, i quali tutti aveva-no proprie, specifiche denominazioni, costituendo luo-ghi di incontro e di transito, come pure di ristoro e didivertimento. La rete delle acque può così essere inter-pretata come un racconto, caratterizzato da elementiricorrenti dello scenario urbano: le acque identificanonella città un ambiente di partecipazione e di interrela-zioni tra le persone e tra queste e le cose. Accanto allafunzione delle destinazioni e degli impieghi, è questa lafunzione seconda – di rilevanza simbolica – delle acque,che assumono il ruolo di spazio espressivo percepito einteriorizzato per secoli dalla popolazione.

Il tipo particolare di navigazione di merci e passegge-ri, che interessava su scala più ampia anche il territorio

circostante (fino a Venezia e all’Adriatico), insieme allacostruzione e alla manutenzione di imbarcazioni (burci,rascone, zatte, ecc.), mette in luce un altro ambito setto-riale della lingua parlata e scritta. I modelli di imbarca-zione esposti a San Mattia trovano, alla luce del saggioImbarcazioni e navigazione a Bologna oltre che del giàcitato Il lessico e il racconto delle acque, tutto il loro spes-sore didattico.

Con il testo Acque e lavori pubblici l’attenzione sirivolge all’attualità, mostrando una tendenza contaria aquella che ha prevalso per quasi tutto il XX secolo. Dauna decina d’anni si parla infatti di recupero, di scoper-tura di tratti dei canali urbani che solo qualche tempoprima si usava ricoprire. Anche qui testo ed esposizionesi integrano.

L’esistenza di un acquedotto realizzato nel XVII seco-lo a Malta da un ingegnere bolognese, Bontadino Bon-tadini (Un acquedotto bolognese a Malta), ci è parso unelemento importante per arricchire il quadro, e suggeri-re in quante e quali direzioni la competenza e l’abilitàcreativa dispiegata a Bologna in età moderna abbialasciato tracce ancora oggi visibili in Europa.

Massimo Tozzi Fontana

15 Introduzione

IDENTITÀ: LA GUERRA, LA SCIENZA E L’ESISTENZA

The world’s a bubble, and the life of manless than a span(primi due versi di una poesia attribuita a Francesco Bacone)

Il conte Luigi Ferdinando Marsili nacque, a Bolo-gna, il giorno del profeta Elia dell’anno 1658. Vale adire proprio quando la moderna faccia della terraprincipia ad assumere la forma che noi oggi conoscia-mo, impostata sulla rettilinearità del mantello strada-le che collega una città con l’altra1. O, il che è lo stes-so, proprio quando sulle carte geografiche iniziano acomparire regolarmente i cammini terrestri2. Cioèesattamente quando le vie di terra imprendono asostituirsi in maniera sistematica e definitiva ai corsid’acqua nel ruolo di principali agenti della sintassiterritoriale3. E allo stesso tempo quando, specie dopol’Hydrographie di padre Fournier e l’opera di riformaidrografica di padre Riccioli, comincia ad apparirchiaro – come è stato scritto e ripetuto – che importa

molto più al marinaio sapere quanti piedi d’acquasono sotto la sua nave che al terrazzano conoscerequante tese di montagna dominano la sua testa4. Siail Fournier che il Riccioli erano anzitutto matemati-ci. E alla matematica anche il Marsili dedica il massi-mo dell’attenzione e della considerazione, non sol-tanto per personale formazione ed educazione (avevatra l’altro studiato astronomia con Geminiano Mon-tanari, e il grande Cassini, l’astronomo che traccia ilmeridiano di Francia, l’ebbe sempre come figlio)5. Maanche per convinzione circa la sua suprema civile uti-lità: nel tracciare il parallelo tra lo stato dell’univer-sità di Bologna e quello delle università ultramonta-ne raccomanda l’istituzione di “quattro letture riguar-danti le scienze matematiche”, tra cui quella relativaalle arti, “cioè le meccaniche, l’architettura militare ecivile, la prospettiva, la planimetria, l’aritmetica, lageografia e tutto che concerne al militare”. Ed è pro-prio questa la cattedra “che deve servire più d’ognialtra ai nostri figli”6. Però prima d’altro Marsili èappunto un soldato, come ribadisce nella dedica alla

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ITER LIMITANEUS.MARSILI E LE ACQUE

FRANCO FARINELLI

Dein persuasum esse quoque volumus lectorem; flexuras fluminis, non calamo, sine lege, errante, vel adscititii ornamenti gratiâ, utcumque delineatas; sed enim ripas ferè cunctas, acûs magneticae beneficio,

tali vel tali anfractu, exploratasque quin et cataractas, vortices; latiora, magis alta, vel contractiora, litoraque, ubivis notatu, suisse.

Danubialis Operis Prodromus, Norimbergae, 1700

Royal Society di Londra del suo prodromo all’operadanubiale: “In literarum plausum ire haud desidero…miles sum”7. Sicché la sua è prima di tutto una filoso-fia au plein air, letteralmen-te in campo. “Philosophusnon in Musaeo sed inMari” lo riconosce il cele-bre Boerhaave, professoredi medicina, chimica ebotanica all’università diLeida, che segnala in ter-mini entusiastici al pubbli-co europeo la rarità dellafigura del Marsili e di con-seguenza il valore della suaopera: quella di un uomo disc ienza “ lontano dag l iscienziati e dai letterati,solo in mezzo ai marinai,non nel silenzio e nellatranquillità ma tra il tumul-to e i clamori, non tra gli agi della pace ma tra i peri-coli della vita”. La calorosa descrizione dice più diquel che a prima vista sembra, non soltanto per l’in-dicazione di quel cui Marsili è prossimo ma anche diquello da cui egli prende le distanze. E si noti intanto,al riguardo, che quel che nel testo latino della prefa-zione del Boerhaave alla marsiliana Histoire Physiquede la Mer, da cui la citazione è tratta, viene detto“procul a Sapientibus et Litteratis”, diventa nellaversione francese “éloigné du commerce des gens deLettres”, come se i “savants” non fossero implicati8.

Tutti e soltanto matematici sono i dodici libri dellaGeographiae et Hydrographiae Reformatae del Riccioli9,nei confronti dei quali gli scritti del Marsili nonhanno nulla da spartire, anzi per molti versi valgonocome opposto10. Divisa in venti libri, l’Hydrographiedel Fournier è invece una completa enciclopediadelle cose di mare, uno dei primi trattati scientifici inmateria nautica, a lungo considerato uno dei migliorimanuali d’istruzione per gli aspiranti alla carriera inmarina perché comprensivo della teoria e della prati-ca della navigazione11. Inoltre essa contiene, al suoinizio, un’esposizione dei rapporti dell’uomo con ilmare di un’ampiezza per i tempi assolutamente inedi-

ta, un vero e proprio saggio di geografia umana edeconomica. Sul cui sfondo però François de Dainvillefiniva col rintracciare l’abituale impotenza della geo-

grafia descrittiva di deriva-zione umanistica, incapacedi stringere da presso lanatura delle reciprocheinterrelazioni tra i fenome-ni a motivo della perduran-te separazione tra le diversebranche del sapere geogra-fico: quella matematica,cioè astronomica; quelladegli uomini di lettere,volti a quella che noi oggichiameremmo geografiaregionale, all’illustrazionecioè degli itinerari e deiquadri locali, senza quasinessun riferimento ai valo-ri, e ambientali; quella dei

naturalisti, vale a dire appunto dei “filosofi storicidelle cose naturali”, il cui commercio s’indirizzavaquasi esclusivamente in direzione dei filosofi e deimedici. Ne risultava la quasi completa separazione trageografia astronomica da una lato e quella naturale odescrittiva dall’altro, tale da rendere impossibile ognisintesi12. Proprio per questo, allora, nella versionefrancese della presentazione del Boerhaave il Marsiliappare discosto soltanto dai letterati dediti alla geo-grafia itineraria13 e non dagli scienziati, cioè dagliastronomi. Gli è che proprio quando il Marsili nascela geografia natural-descrittiva inizia il proprio decli-no, mentre quella astronomica conosce un taleimpulso e registra tali progressi da divenire la basequasi definitiva della geografia moderna14.

Ma Marsili appunto non è un semplice geografo,come non è un semplice uomo di scienza. Per questoil suo Danubio, indagato nella veste di generale diSua Maestà Cesarea Leopoldo d’Austria, risulta –come recita il titolo esteso dell’opera – “Observatio-nibus Geographicis, Astronomicis, Hydrographicis,Historicis, Physicis Perlustratus”, ispezionato secon-do insomma tutto quel “che concerne al militare”,per riprendere la prima delle citazioni qui prodotte.

17 Iter Limitaneus. Marsili e le acque

Tavola de’ nomi moderni Turchi de’ luoghi notati nellaCarta del canale di Costantinopoli insieme co’ i nomi anti-chi cavati dal libro di Pietro Gyllio del Bosforo Thracio.Fondo Marsili, Ms. 94, III, c. 2-3. Inchiostro, cm 84x56.Biblioteca Universitaria di Bologna.

Vale a dire, coincidendo tout court quel che l’ultimoFoucault chiamava “il sapere dell’armata” con il com-plesso delle forme di “intelligence”, secondo l’interocomplesso delle forme e modalità di conoscenza, stretta-mente interrelato quanto a natura e univocamente indi-rizzato quanto a funzione. Al cui interno le sole specifi-cazioni riguardano non l’oggetto, che è unico e coincidecon la faccia della Terra (comprese le sue cavità) né tan-tomeno la natura degli ambiti conoscitivi ma le pratichee la loro logica. Così per nessuno più che per Marsiliguerra e attività scientifica sono la stessa cosa, obbedi-scono ad un unico criterio e rispondono all’identicocomplesso di procedimenti: combattere un nemico edefinire – cioè conoscere – un oggetto di ricerca sonoatti perfettamente equivalenti e anzi coincidenti15.Come il brano che segue, tratto dalla Praefatio dell’ope-ra danubiale, esemplarmente testimonia:

Advertendum me non aequalem ubique curam in hocnegocio adhibere potuisse, ob inaequalem fortunae condi-tionem, quâ labor meus processit in hoc Opere colligendo.Viennae enim usque ad confluentes Tibisci quo cum exer-citu Caesareo liber patebat aditus, hostè non adversante,non modò omnia in terrâ solertiùs recognoscere, sed loco-rum quoque distantias observationum coelestium benefi-cio corrigere, et ritè disponere datum erat. Dein Vidinumusque cum exercitu Caesareo proficiscens, sed non diù hacpermanente fortunâ, coelestibus observationibus destitu-tus, reliquo autem tractu commoditate non juxta votumusus, sed modò navi, modò curru, aut equo vectus, inter

suspectos Barbaros, quod ad meum negotium faciebat,subripiebam. Praecipuè in tractu illo inter arcem Philleumposito in Servia superiori ad ripam nostri Fluminis, et con-fluxum fluminis Jantra, in eâ navi, qua Costantinopolin versus devehebar, clandestinas annotationes effingebam16.Quel che umanisticamente potrebbe interpretarsi

come semplice discorso volto a mettere in guardia il let-tore sulla diseguale natura delle fonti dell’opera assumeinvece la veste di vero e proprio rapporto sul modo diproduzione di quest’ultima, al cui interno, come s’inten-de, tra osservazione scientifica e attività di spionaggionon soltanto esiste continuità ma anche assoluta coe-renza e congruità, nel senso che la prima è soltanto unaforma più distesa e agevole della seconda. È così che ilMarsili, come sottolinea uno dei suoi biografi, ilQuincy, “costruisce tutto lo spazio” danubico tra Kalem-berg, sopra Vienna, fino alla Bulgaria, oltre che daKalemberg alla sorgente: pertica alla mano finché possi-bile, e altrimenti, in caso di pericolo, bussola e calcolodegli angoli per la stima delle distanze, percorrendotutt’e due le sponde del fiume e navigandovi sopra17. Sivedrà tra poco che proprio nella costruzione dello spazioconsiste per Marsili, “tête à systemes” sempre secondo ilQuincy, il compito dell’intera conoscenza, e quale sia lamacchina che assicura tale costruzione. Ma perché ini-ziare dai corsi d’acqua, dalle masse liquide?

Vi sono almeno due risposte. La più immediata èpolitica. Lo scontro che oppone la cristianità alla Subli-me Porta richiede prima d’altro, allorché il Marsili nel

18Franco Farinelli

Anguilla. Fondo Marsili, Ms. 22, Raccolta di pesci fatta faredal Generale Co. Luigi Ferdinando Marsigli. Molti spettano al-l’Opera Danubiale, altri sono del lago di Costanza, altri delReno, c. 15. Inchiostro e colore, cm 98x34. Biblioteca Uni-versitaria di Bologna.

Orfus Germanorum. Fondo Marsili, Ms. 22. Raccolta di pescifatta fare dal Generale Co. Luigi Ferdinando Marsigli. Moltispettano all’Opera Danubiale, altri sono del lago di Costanza, al-tri del Reno, c. 21. Inchiostro e colore, cm 98x34. BibliotecaUniversitaria di Bologna.

1682 si arruola volontario sotto le gloriose insegne diLeopoldo Cesare, la fissazione di un confine, il ricono-scimento di una linea divisoria, lo stabilimento di unapartizione18. Sotto tal riguardo, l’impero ancora signifi-ca, come per il Medioevo vuole Carl Schmitt19, il cate-cumeno, il potere che riesce a trattenere l’avvento del-l’Anticristo. E proprio i fiumi e in particolare il Danu-bio e i suoi tributari, le cui aste guidano l’avanzata delnemico, si trovano ad essere il privilegiato oggettod’attenzione, perché principali e strategici oggetti dicontesa. “Iter limitaneus” definirà il Marsili il com-plesso della sua ricognizione danubiana20 che precede esegue la pace di Carlowitz del 1699, con cui la casad’Austria perviene al controllo del medio corso del piùgrande fiume d’Europa, e al cui tavolo di trattativa lostesso Marsili giuoca un ruolo non secondario, proprioin virtù della conoscenza del sistema danubiano. E allaragione politica si sposa naturalmente quella economi-ca: proprio attraverso il Danubio, fiume di frontiera,

Marsili progetta la rinascita del commercio tra Europae Oriente, messo in crisi dall’invasione del Turco21.

Ma già prima d’intraprendere la strada della miliziaMarsili aveva iniziato ad investigare l’elemento idrico,e specialmente i suoi movimenti. Come si legge nel-l’introduzione alla sua prima opera, le Osservazioniintorno al Bosforo Tracio dedicate nel 1681 alla reginaCristina di Svezia, e compiute a Costantinopoli inqualità di segretario del bailo veneziano:

La Natura, ch’è esecutrice del sommo ed terno ArteficeIdio, e che dall’huomo, per quanto gli vien permesso,deve essere con tutto lo studio imitata, ogni suo partoproduce, aumenta e sostiene col moto; di cui se anvieneche a proporzion delle loro parti restin prive le cose crea-te, senza dubbio veruno o muoiono, o nel loro progressosi arrestano. N’abbiam chiaro l’esempio in tutti gli ani-mali, che per necessità avendo la mecanica strutturadelle proprie parti in continuo moto, da questo ricevonoe l’alimento, e la forza per le operazioni non men del

19 Iter Limitaneus. Marsili e le acque

Il sistema fluviale controllato da Belgrado, Fondo Marsili, Ms. 45, Geographia Danubialis Manuscripta, c. 43. Inchiostro e colore,cm 136x54. Biblioteca Universitaria di Bologna.

corpo che dello spirito. Tale appunto, Sacra Reale Mae-stà, fu il mio vero sentimento quando, secondo gli inse-gnamenti di questa grande, ed infallibil Maestra, che d’i-mitar proposi, al moto con felice consiglio m’appigliai,per non morir con il nome, già che, quanto al resto, debe-mur morti nos, nostraque 22.Nelle Osservazioni Marsili dimostra, con l’ausilio

dell’areometro e del metro corren-te23, che la corrente superioreporta acqua salmastra dal marNero e mantiene le proprie carat-teristiche lungo tutto il canale,scorrendo sulla più salata e pesantecorrente opposta di provenienzamediterranea. È però indubbio cheil brano appena citato, pur nellasua evidente venatura baconiana,si riferisca ad una sorta di motoche non si limita a quello delmare, e nemmeno a quello deifenomeni passibili di analisi scien-tifica, ma include anche quelli del-l’animo, le mosse esistenziali,facendo anzi coincidere, sul pianodell’esistenza, i primi con i secon-di. Ed è tale constatazione cheavvia all’autentica comprensionedella predilezione marsiliana perl’indagine sui movimenti dell’ele-mento fluido. Essi rappresentanola mimesi del processo vitale, e viceversa. Sicché l’at-tività guerresca, sintesi e anzi coincidenza di vita escienza, ad essi anzitutto si rivolge. Perciò è necessa-rio conoscere “Il spatio interposto al nascere, e mori-re del Danubio”24.

SIMMETRIA: IL SISTEMA E LO SCANDAGLIO

Terra in sacchi fa terra nell’acqua ne fuoco ne canon teme.Aforismi per gli assedi, Fondo Marsili, Ms. 53, c. 404

Il soggiorno a Costantinopoli serve al naturalistaMarsili per mettere a punto il proprio metodo di ricer-ca, secondo il seguente processo: a) apprendimento del

linguaggio e del sapere del luogo; b) inchiesta tra gliuomini di mare e di fiume; c) verifica sperimentale deirisultati dell’inchiesta. A tali stadi se ne può aggiunge-re un quarto e ultimo: il raggiungimento, attraverso gliesperimenti, di conclusioni o convinzioni che contra-stano con il sapere locale. Tale metodo resterà invaria-to sino alla fine, dall’indagine sul Bosforo a quelle con-

dotte tra il 1706 e il 1709 sullacosta di Provenza alle foci delRodano e consegnate all’HistoirePhysique de la Mer, a quelle succes-sivamente eseguite intorno al lagodi Garda, per le quali – come lostesso Marsili precisa – per potersiintendere con i pescatori e i navi-ganti deve prima “imparare la lorobussola, tanto per le divisioniquanto per le denominazioni de’venti”, arrivando infine a compor-re, mettendo insieme informazionied osservazioni, “però sempre colforse”, una serie di “deduzioni”circa la natura e i movimenti delbacino25. Quanto alle imprevedi-bili e incredibili risultanze, basteràper tutte l’esempio della fiorituradel corallo, che nel dicembre del1706 gli vale da parte dei pescato-ri di Cassis l’accusa di stregoneria,perché in tanti anni di pratica non

avevano mai visto nulla di simile: un ramo di coralloche, immerso in un vaso di acqua di mare, si copre diqualcosa molto simile a dei fiori bianchi26. Il che con-vinse subitamente Marsili a riguardare il corallo nonpiù come una concrezione minerale ma come una verae propria pianta27.

La posizione è oltremodo istruttiva, perché avvertein forma icastica della “vasta idea” che sorregge l’Hi-stoire Physique de la Mer, l’opera più nota del Marsili,che nei manuali viene ancora indicato, per essa, come“padre dell’oceanografia”. Si tratta in effetti del primovolume in cui lo studio del mare si emancipa dall’idro-grafia intesa come arte del navigare, e s’apparentainvece alle scienze naturali. Sicché per la prima voltal’indagine dell’universo liquido, la “scienza delle

20Franco Farinelli

Pianta delle paludi danubiali, Fondo Marsi-li, Ms. 4, Miscellanea Rerum Naturalium, 9,c. 57. Inchiostro e colore, cm 42x28. Biblio-teca Universitaria di Bologna.

acque”, si distacca sia dall’intento geografico propria-mente considerato, volto semplicemente ad accertarela posizione e l’estensione sul globo delle masse fluide,sia dalle immediate esigenze della navigazione. Madiventa ragionamento sulla “natura del mare” e sullasua architettura sommersa. Quel che qui bisognaintendere con il termine natura è prima e meglio ditutto spiegato dalla struttura del lavoro stesso, articola-to in quattro parti: la prima riguarda il bacino del maree la sua genesi; la seconda riguarda l’acqua, i suoi colo-ri, la sua composizione, i suoi depositi; la terza riguardai movimenti; l’ultima, le piante che nel mare vivono.Si diceva proprio all’inizio: l’epoca del Marsili è quellain cui dal punto di vista funzionale sulla Terra la terrasi separa dall’acqua. Come scrive lo stesso Marsili, seb-bene in tutt’altro spirito e per la prima volta annun-ciando l’“Historia fisica maritima” come porzione diun ancora più ampio progetto:

Non è possibile d’avanzare questo mio ardito tentativocon le sole mie osservazioni senza d’avvere per base laterza giornata della divina Onnipotenza per la creazionedel Mondo (appunto quella in cui l’acqua è separatadalla terra) alla quale si devve istare sommessi per quelmolto, che non siam capaci d’intendere, anzi conoscoper mio dovvere d’applicare le mie fisiche osservazionialla dimostrazione di quello, che con qualche oscurità èscritto in quelle sacre carte28.Allo stesso tempo, la scelta territorialista di Col-

bert, esempio per tutti i successivi stati centralizzati,giuoca un ruolo definitivo e decisivo nell’assimilare laterra al mare, e viceversa. Ancora alla fine del Cinque-cento tutte le rotte mediterranee erano una specie dipercorso fluviale, nel senso che non si perdeva mai divista la costa29. Ma secondo il modello territoriale chesi afferma a partire dalla seconda metà del Seicento ilrapporto di contiguità-continuità tra strade di terra evie marittime assume una nuova forma: da un lato essosi rafforza, perché le prime debbono servire in priorità iporti30, d’altro canto – e più decisamente – entra incrisi o meglio si modifica, perché i percorsi marittimiiniziano, sull’esempio di quelli terrestri, ad assumereun andamento rettilineo, e ad indirizzarsi risolutamen-te secondo il tragitto più breve. In tal modo la conti-nuità-contiguità fisica si trasferisce sul piano della logi-ca, del modo di funzionamento, che appunto essendo

quella spaziale, sussume l’intero globo terracqueo al disotto di un’unica regola. Per questo Marsili credeprima che il corallo sia una formazione minerale, e poiuna pianta. La prima interpretazione derivava dal fattoche la forma e la disposizione dei rami penduli dal sof-fitto delle grotte sottomarine ricordava molto da vici-no, ai suoi occhi, le formazioni cristalline ammirate

negli antri dell’Europa anfibia lungo il confine tra cri-stiani e ottomani: una miscela di parti nitrose di terra ezolfo cui un’acqua salata serviva da veicolo31. La secon-da, nonostante nel contesto del dibattito dell’epocaequivalga ad una vera e propria conversione, si fondaal postutto sulla medesima convinzione della prima:che il mare sia una continuazione della Terra. Se Car-tesio a metà secolo aveva per primo definitivamentestabilito, nei Principia Philosophica, che la Terra e ilcielo sono fatti della stessa materia, Marsili stabiliscela stessa cosa per quanto riguarda il mare e la Terra.Come espressamente si dichiara, sempre in accordocon quanto dal Genesi detto circa la terza giornata, inapertura della quarta parte de l’Histoire:

L’auteur de la Nature voulut, à la Création, que la Terreeût le dépôt des semences, des herbes, et des arbres; qu’iljugea necessaires, pour l’usage de tout ce qui devroitvivre. Germinet terra herbam virentem, et facientem semem

21 Iter Limitaneus. Marsili e le acque

Pianta delle ripe della palude danubiale, Fondo Marsili, Ms. 4,Miscellanea Rerum Naturalium, 9, c. 58. Inchiostro e colore,cm 84x56. Biblioteca Universitaria di Bologna.

juxta genus suum, cuius semen in semetipso sit, super Ter-ram. Cette Terre, sans l’interruption d’un corps poséentre sa superficie, et nos yeux, nous lasse voir toutesles Plantes, qu’elle contient. Il n’est pas de même duBassin de la Mer, qui étant couvert de la vaste etprofonde masse de l’Eau, tient cachées les belles vege-tations de toutes les sortes des Plantes, qui ne nousviennent entre les mains que par le hasard des frequen-tes Pêches32.“Non minor moles Aquae, quam Mundi est”33

aveva scritto il Marsili qualche anno prima. Ancoraall’inizio del Settecento non soltanto il rapporto traterre emerse ed acque del globo è ancora tutto da

appurare, ma evidentemente la stessa congruità traqueste e quelle resta, per l’immagine che del mondosi ha, un minimo problematica. D’altronde, se quantoappena detto può apparire sorprendente, si consideriche soltanto nel Seicento i primi monti vengonomisurati, iniziando proprio con il voltare verso l’altogli stessi scandagli che da tempo servivano a misurarela profondità dell’acqua34. Costruire lo spazio, come ilQuincy si esprime, cosa che proprio tra Sei e Sette-cento s’inizia in Europa a praticare sistematicamente,proprio questo vuol dire: ridurre, attraverso la stessamisura e gli stessi arnesi di misurazione, il mondo aduna superficie continua ed omogenea, dotata cioè

delle stesse caratteristiche che nella geometria eucli-dea sono proprie delle aree35 – significa ridurre ilmondo a schema geometrico.

Per Marsili, scandagliare voleva dire tout courtconoscere, cioè percorrere conoscendo, e conoscerepercorrendo: “ho scandagliati provincie, e paesi tantiper fare la guerra, e la pace”, scrive dalla Selva Beli-naz al canonico Trionfetti nel dicembre del 169936.Ma come dinamico strumento di produzione dellaconoscenza lo scandaglio del Marsili funziona inmaniera addirittura opposta a quella che vale per ipescatori. Non arrivando al fondo con la misura dicorda, costoro s’immaginano che questo non possaessere trovato, e con grossolana esagerazione afferma-no nel loro gergo che “l’abisso non ha fondo”, e chenon vi è nessuna speranza di trovarlo37. Al contrario,non soltanto Marsili trova sempre il fondo, ma fa direallo scandaglio esattamente quello che egli decide didire. Così come all’inizio del Seicento Galileo, peradoperare la suggestiva immagine di Bertoldt Brecht,aveva abolito il cielo, così esattamente un secolodopo Marsili abolisce per primo l’abisso. Al suo postoegli inventa la scarpata, quel che più tardi sarebbestata riconosciuta come la cosiddetta piattaformacontinentale. E qui inventare vale nel doppio sensodi trovare e immaginativamente figurare e disegnare,come si mostra nelle carte che chiudono l’Histoire. Ilprogramma scientifico dell’Histoire si fonda sullasostituzione della mano all’occhio, poiché nel casodel fondo marino si ha a che fare con cose escluse allavista. E al riguardo Marsili non si limita ad affermareche il fondo del mare è unito alle rive, ma decideanche che ne è la “molto regolata” continuazione,nel senso che continuando a scandagliare dal golfodel Leone fino alla costa africana si troverebbe unastruttura simile a quella della costa provenzale anchedal punto di vista della natura dei terreni. Egli stabi-lisce insomma, sulla base delle prospezioni effettuatein prossimità della foce del Rodano, che il bacino delmare è stato formato dagli stessi strati di pietra e d’ar-gilla della terra, identici anche dal punto di vistadella loro reciproca disposizione38. Esattamente unsecolo dopo, sarà Alexander von Humboldt, alla vigi-lia del suo grande viaggio americano, a riprendere latesi marsiliana del parallelismo nella disposizione

22Franco Farinelli

Memoria e figure per la Storia delli Coralli, Fondo Marsili, Ms.89, Miscellanea Rerum Naturalium, vol. III, 4, tav. 4. Inchio-stro e colore, cm 42x30. Biblioteca Universitaria di Bologna.

degli strati della superficie terrestre, relativa cioè alla“misteriosa regolarità e simmetria delle forze d’attra-zione nelle più lontane regioni del globo”, secondo leparole del “testamento letterario” redatto alla vigiliadella peregrinazione39. Humboldt non cita Marsili.Così come prima ancora non lo cita il Buache quan-do, disegnando nel 1737 la carta batimetrica dellaManica per mostrare l’antico collegamento naturaletra Francia e Inghilterra, si vanterà di aver utilizzatoper primo delle sonde allo scopo di “esprimere i fondidel mare”. Né cita Marsili il Buffon de la Théorie de laTerre, sebbene utilizzi visibilmente i suoi lavori40.

Chi invece lo cita è il Kant della Geografia fisica, eproprio e soltanto in quel che nell’Histoire vi è di piùessenziale, in quel che mette a nudo molto più dellasupposta simmetria degli strati l’implicita natura delsistema marsiliano. Marsili, dice Kant, “dà al mareMediterraneo la profondità uguale all’altezza dellacatena delle montagne che lo circondano, cioè deiPirenei e delle Alpi”41. Scrive infatti Marsili:

St. Gotard, dans la Suisse, est le Mont le plus élevé quej’aye vû, jusqu’à présent; mais comme je n’ai pas ici samesure, je passerai au plus voisin de notre rivage, quiest le Mont Canigou, que Mr. Cassini, en établissant leMeridien de l’Observatoire Royal de Paris, prolongédans toute la longueur de la France, trouva de 1400Toises d’élevation sur l’horizon de la mer. J’en ai fait l’a-plication en une profondeur, où commence l’Abîme, eten un lieu où commence ce Mont Canigou, pour for-mer une coupe, en laquelle on puisse voir, d’un coupd’oeil, la convenance qui se trouve en ces deux parties;qui sont châcune à la même distance de la plus grandehauteur, et du plus grand fond de l’abîme, et de la Mon-tagne. Cette démonstration prouve assez, ce me semble,que la profondeur de la Mer qui nous est inconnuërepond à la plus grande élevation des montagnes sur laTerre, car nous voyons bien que tout cela se forme éga-lement par des couches redoublées, et dans un certainordre de degrez, pour monter, et pour descendre42.Nella ricognizione dell’invisibile la mano e lo stru-

mento cedono qui il passo non più alla semplice sim-metria, alla continuità e all’omogeneità, ma all’ana-logia, che soltanto la rappresentazione cartograficanella sua versione più sottile e letteralmente taglien-te, la sezione, è in grado di produrre. E non è un caso

che a notarlo sia appunto Kant, il geografo che elevala “ragione cartografica” – che qui esemplarmente simanifesta – ai rarefatti splendori della Ragion Pura43.

ANALOGIA: TABULA I

… però gli dico, che mediocrità fra i letterati vi è in queste parti: studiano che s’ammazzano copiando il fatto, e mai si vede niente di nuovo di vasta idea, e questo è il loro calibro…(lettera del Marsili al canonico Trionfetti dopo la presa

di Landau, 26 settembre 1702)

Una tavola in latino chiude il fascicolo 24 dei mano-scritti marsiliani, che nel vecchio catalogo del Frati44

porta il nome di Tavola Geografica Sinoptica, ma che nel-l’intestazione reca soltanto l’iscrizione “Tab. I”45, e che,pur sprovvista di ogni altra nota o richiamo, pare verosi-milmente da collegarsi al tentativo di realizzazione dello“sbozzo dell’organica strotura del corpo terrestre”, diindividuazione dell’“ordine anatomico”46 dell’orbe ter-racqueo che traspare in filigrana dietro tutta l’azionemarsiliana. Tali espressioni sono da intendere alla lette-ra. Per Marsili

nel corso della terra vi è quell’istesso regolato sistema chevediamo nell’altre gran fatture di dio e quelle irregolarità

23 Iter Limitaneus. Marsili e le acque

Memoria e figure per la Storia delli Coralli, Fondo Marsili, Ms.89, Miscellanea Rerum Naturalium, vol. III, 4, tav. 5. Inchio-stro e colore, cm 42x30. Biblioteca Universitaria di Bologna.

che incontriamo di continuo nelle diverse parti di questoglobo, non furono così fatte a principio, ma prodotte datante cause morbose, che da lui si permettono acciochésvenga ed illanguidisca per poi a suo tempo estinguersi asimiglianza dei corpi viventi47.Le montagne sono le ossa della Terra, i fiumi le sue

vene – il Danubio è ad esempio la “vena principale delcorpo d’Europa”48. Ma il più volte promesso trattatosulla struttura organica della Terra in grado di mostraresia la “fabbrica del mondo” che il suo regolato sistema,la sua “gran macchina”, l’opera-della-vita del Marsilinon vedrà mai la luce. Ciò che resta e che più a que-st’ultima si avvicina è appunto questa tavola, autenticosistema della natura il cui modello si richiama alletavole geografiche per chiavi diffuse in Francia nellaseconda metà del Seicento. Ma molto più di queste essapresenta l’elemento solido come una specificazione diquello liquido, qualcosa cioè che soltanto sulla basedella relazione con quest’ultimo acquista senso e deter-

minazione. La natura si divide in terra ed acqua. Ma lespecie della terra sono: Mediterraneo, spiaggia, ripa,isola mobile, isola fissa, penisola, istmo. Le quali speciea loro volta si considerano secondo: longitudine, latitu-dine, altitudine, planizie (cioè il carattere più o menopianeggiante), profondità cioè depressioni, irrigazione.Va da sé che ognuno di questi modi di considerazione, enon soltanto l’ultimo, viene ulteriormente specificatodal punto di vista dell’assenza o delle forme di presenzadell’acqua, assolutamente dominante nel caso delleregioni depresse, dove ad esempio i fiumi (in ogni casosempre distinti dai rivi e dai torrenti, per tacer dellefonti) si distinguono in navigabili e non navigabili, e lepaludi in perpetue e temporanee. Mentre nella porzio-ne inferiore della tavola, dedicata all’acqua (anzituttosuddivisa in salsa e dolce) si assiste all’ulteriore ripresa esviluppo delle articolazioni precedenti: si specifica adesempio che l’acqua viva (che insieme con quella tiepi-da e quella minerale compone le specie dell’acqua

24Franco Farinelli

Descrizione Topografica delle Spiaggie Pontificie dalla bocca del Tronto ne confini del Regno di Napoli sino alla Cattolica intitolata:Giornale delle Ricognizioni della Spiaggia Pontificia, Fondo Marsili, Ms. 72, Negoziazioni e scritture nel comando dell’armi di N.S.,c. 6. Inchiostro e colore, cm 202x27 (particolare da Porto Recanati a Falconara).

dolce) riesce salubre per gli uomini (e allora si hannofonti, fiumi, rivi, torrenti, laghi, pozzi e cisterne) men-tre la tiepida (composta da paludi, stagni, pozzanghere,piscine) riesce al contrario insalubre.

Questa classificazione, cui s’è soltanto accennato,presenta almeno un duplice interesse. Sul piano gene-rale pare fondarsi su di una lettura di Tolomeo nonmolto diffusa, ma analoga d’altronde a quella dellariforma geografica e idrografica del Riccioli, e fondatasul riconoscimento della pluralità dei profili interpre-tativi, sulla valorizzazione a sistema dei “sensi” nellaletterale accezione che Frege darà al termine, comemaniera con cui le cose si danno: basata sul recuperoinsomma, anch’esso letterale del dettato tolemaicocirca la natura del sapere geografico come sapere deipunti di vista ovvero dei “modi di conoscenza” –espressione che invece i moderni tradurranno edintenderanno quasi esclusivamente e semplicementecome “proiezione”, termine che nel testo tolemaiconon esiste. E, nello specifico, basta comparare adesempio tale tassonomia con quella che organizza lacelebre Geographia Generalis (la stampa napoletanadell’edizione curata da Newton è del 1715) per render-si conto dell’estrema nervosità e insieme della maggiorcomplessità, sistematicità e allo stesso tempo capacitàd’adesione al dettaglio dello schema marsiliano.

La chiave dicotomica non è un’immagine, sostienea ragione il Barsanti49. Ciò però non toglie che il mar-siliano geografico sistema a chiavi della natura, sinteti-ca messa a punto dei risultati di decine d’anni di “per-lustrazione geografica, astronomica, idrografica, stori-ca, fisica” oltre che militare e politica lungo il confinetra la terra e il mare e tra turchi e cristiani, risulti ilcompendio di migliaia di immagini, di migliaia ditavole e mappe geografiche50. Né poteva essere altri-menti per chi, come si è visto, fin dall’inizio program-maticamente ed esistenzialmente si richiama a Baco-ne, ma è nel frattempo al servizio della Serenissima,arruolato cioè nei ranghi dell’intelligence più esperta epervasiva del proprio tempo. E la differenza tra Baconee Marsili è proprio la seguente. Per il primo i Monstra-tores, i funzionari incaricati nella Casa di Salomonedella ministratio ad intellectum, sono i “classificatori”,incaricati di ricavare per mezzo delle tavole osservazio-ni ed assiomi dagli esperimenti51. Per il secondo essi

sono direttamente i cartografi ovvero i geografi, la geo-grafia essendo fondata, come si legge nella marsilianaIntroduzione alla riforma di questa, appunto sulla“dimostrazione assomigliante alle parti della Terra”,cioè su “Tavole e Mappe”52. In tal senso, il Marsili altronon fa che proseguire ed esplicitare la lezione baconia-na. Secondo la quale le carte geografiche sono “il tala-mo per le nozze della mente con l’universo”, in gradodi guidare la prima “così che tutto proceda quasi mec-canicamente”. E ciò perché sono esse il luogo d’insor-genza dello schematismo latente ovvero più occulto esottile che sfugge ai sensi, della coordinazione delleistanze “in modo tale che l’intelletto possa agire su diesse”, dunque in ultima analisi della induzione legitti-ma e vera, che è la chiave stessa dell’interpretazionedella natura – tra i perspicilla figurano infatti “le asteusate per misurare i terreni, gli astrolabi e simili; chenon aumentano il senso della vista ma lo correggono elo indirizzano” come appunto fa lo scandaglio, nelsenso che senza il loro ausilio sarebbe impossibile seca-re la natura, fare a pezzi il mondo, limitarlo. Altrimen-ti e sbrigativamente detto: la mappa è la matrice dellaforma, e per Bacone “la forma di una cosa è la cosa inse stessa”. E la stessa induzione che a Bacone preme èquestione di contiguità, di gradazione, di “giustascala”: ma di una scala che non ha nulla o molto pocoda spartire con la verticale “grande catena dell’essere”di cui Lovejoy ha tracciato la genealogia, ma si fondainvece al contrario sulla diretta trasmissione delle pro-prietà delle mappe orizzontali o tavole a quelle dellavoro mentale53.

Diventa allora ancora più comprensibile il rifiutodel Marsili del plauso letterario, e la sua ostentata pro-fessione di appartenenza al culto di Minerva, dea delsapere ma anche della guerra. Per Bacone infattil’“esperienza letterata” è quella di chi, raccolti nelletavole i particolari, passa immediatamente alla ricercadi nuovi particolari, senza prima salire ai concettigenerali e comuni, che appunto derivano da quella chepotrebbe chiamarsi la logica cartografica. È ad essa indefinitiva che spetta il compito di trasformare in viapreliminare il caos in realtà organizzata, ed è in questosenso che essa finisce con il coincidere almeno in parte– superfluo mobilitare in questa sede gli studi dellaYates e di Paolo Rossi – con le tecniche legate all’ars

25 Iter Limitaneus. Marsili e le acque

memorativa. La forma di una cosa, infatti, non si pre-senta immediatamente. Per il Bacone dell’Advance-ment la “legge perfetta della ricerca del vero è chenulla vi sia nel globo della materia che non sia del parinel globo di cristallo, o forma”54. Ma la forma del globoè caotica per definizione, poiché dal punto di vistageografico (cioè della superficie delle cose) sul globonon esiste un centro, ma esattamente come in un labi-rinto tutti i punti possono esserlo, a seconda di come losi giri. A differenza appunto di quel che accade sullamappa, che per definizione ha uno e un solo centro, eproprio per tale primaria e nativa proprietà funziona daincubatrice d’ordine. Così la carta geografica sta allaconoscenza scientifica esattamente come la prenozio-ne e l’emblema stanno, ancora per Bacone all’artedella memoria. Sia l’emblema che la prenozione altronon sono che prodotti dell’immagine cartografica,vera macchina per l’“interruzione dell’infinito”, comeBacone chiama la specie di aiuto alla memoria. Essa“evita la ricerca indefinita di ciò che si deve ricordare,orientandoci verso una ricerca in uno spazio più ridot-to” (prenozione), e allo stesso tempo “riduce le nozioniintellettuali a immagini sensibili, che colpiscono dipiù” (emblema)55. La carta o tavola dunque, autenticamachina machinarum come emblema e prenozione delmondo, anticipo rispetto ad esso e non copia, modelloe non simulacro, matrice e non riflesso, archetipo enon immagine. Tutt’altro, anzi esattamente l’opposto,rispetto a quel che senza conoscere si finge Baudrillard,quando elegge a specifico ed esclusivo tratto (istanzaavrebbe detto Bacone) non della modernità ma dellapostmodernità il fatto che la carta preceda il territo-rio56. Ma questa è un’altra storia.

Quanto al Marsili, non solo egli sa tutto questo, masa anche che il prezzo che per il suo servizio la carta otavola chiede è quello di congelare nella rigidità delcadavere, da cui il rigore scientifico deriva, il flussodella vita e il funzionamento del mondo. Perciò s’appi-glia con strenua dedizione, al contrario e come corret-tivo, ad osservare “i moti della Natura”, il fluire dellecorrenti liquide, il moto che sostenta la Natura e dacui, fatalmente, “si riceve la quiete”57. Anche perché,come scriveva Bacone, l’esperienza, che è tutto quelloche dal mondo possiamo sperare, è “simile all’acqua:più è estesa e meno si corrompe”58.

26Franco Farinelli

1 F. Farinelli, I segni del mondo.Immagine cartografica e discorsogeografico in età moderna, Firenze,La Nuova Italia, 1992, pp. 43-44.

2 F. de Dainville, Le langage desgéographes, Paris, Picard et Cie,p. 220.

3 Farinelli, op.cit., pp. 47-53.4 Da ultimo N. Broc, La Géo-

graphie des Philosophes. Géographeset voyageurs français au XVIIIe siè-cle, Paris, Ophrys, s.d. ma 1974,p. 211.

5 L.F. Marsili, Danubius Pannoni-co-Mysicus, t. I, Hagae Comitum,apud P. Gosse, R. Chr. Alberts, P.de Hondt; Amstelodami, apudHerm. Uytwerf et Franç. Chan-guion, 1726, p. 35.

6 L.F. Marsili, Parallelo dello statomoderno della Università di Bolognacon l’altre di là de’ Monti, inAA.VV., Memorie intorno a LuigiFerdinando Marsigli, pubblicate nelsecondo centenario della morte percura del comitato marsiliano, Bolo-gna, Zanichelli, 1930, p. 415.

7 L.F. Marsili, Danubialis OperisProdromus, Norimbergae, apud Jo.Andreae Endteri filios, 1700.

8 H. Boerhaave, Lecturo. Pré-face, in L.F. Marsili, Histoire Physi-que de la Mer, Amstelodami, Auxdépens de la Compagnie, 1725,pp. XI e X.

9 Io.B. Ricciolius, Geographiaeet Hydrographiae Reformatae LibriDuodecim, Bononiae, Ex Typo-graphiae Haeredis Victorij Be-natij, 1661.

10 F. Farinelli, Multiplex Geo-graphia Marsilii est difficillima, inAA.VV., I Materiali dell’Istitutodelle Scienze, Bologna, Clueb,1979, p. 63.

11 G. Fournier, Hydrographiecontenant la Théorie et la Pratiquede toutes les parties de la Navigation,Paris, chez Michel Soly, 1643.

12 F. de Dainville, La Géographiedes Humanistes, Paris, Beauchesneet fils, 1940, p. 302.

13 Sulla critica verso tale formadi sapere si veda L.F. Marsili, Intro-duzione alla mia riforma della Geo-grafia, in AA.VV., Memorie, cit.,p. 230.

14 de Dainville, La Géographie,cit., p. 461, data infatti a partiredal 1660 l’inizio di tale divarica-zione.

15 F. Farinelli, Luigi FerdinandoMarsigli, in W. Tega (a cura di),Storia illustrata di Bologna, VI, Bo-logna, Aiep, 1987, p. 241.

16 Marsili, Danubius Pannonico-Mysicus, cit., Praefatio.

17 L.D.C.H.D. Quincy, Memoi-res sur la vie de Mr. le Comte deMarsigli, Zuric, Conrad Orell etComp., 1741, p. 184. Si spiega al-le pp. 194-195 che per il Marsili“il ne s’agissait pas seulement deprendre les differents detours duDanube, des Isles qu’ils renfer-ment, des bords, tantôt de Ro-chers escarpés, qui etrécissent sonlit, et tantôt abaissès au niveaudes plaines du voisinage, qui four-nissent les eaux aux Marais, etaux Prairies, et causent très-sou-vent de très-grands debordementsdans la Campagne; mais il falloitencore chercher exactement lesmonuments antiques, tels quesont les vestiges du Pont deTrajan, des Sentiers à l’usage desBateliers pour remonter leur Bar-ques, qui étoient élevés au dessusde l’eau, et tenoient à des grossespoutres enchassées dans le Ro-cher, en form de pont ecc. Il fal-loit de plus fouiller dans ces Ro-chers à la recherche de ce qu’ilsnourrissent dans leur sein, les fos-siles, les mineraux, les metaux,les cristaux, et semblables pro-ductions de la nature; car son In-stitut de Boulogne n’est riche quepar ces sortes de depouilles”.

18 Su ciò si veda ora J. Stoye,Marsigli’s Europe, 1680-1730,New Haven, Yale UniversityPress, 1994.

19 C. Schmitt, Il Nomos della Ter-ra, Milano, Adelphi, 1991, p. 43.

20 Biblioteca Universitaria diBologna, Fondo Marsili, Ms. 6.

21 Su tale progetto e sulla suamancata realizzazione si veda G.Bruzzo, Luigi Ferdinando Marsili.Nuovi studi sulla vita e sulle opereminori edite ed inedite, Bologna,Zanichelli, 1921, pp. 64-66 e 71.

22 L.F. Marsili, Osservazioni in-torno al Bosforo Tracio overo Ca-nale di Costantinopoli rappresen-tate in lettera alla Sacra Real Mae-stà di Cristina di Svezia, Roma,Nicolò Angelo Tinassi, 1681,pp. 3-5.

23 Sulla strumentazione del

27 Iter Limitaneus. Marsili e le acque

Marsili si veda I. Guareschi, LuigiFerdinando Marsigli e la sua operascientifica, in Memorie della RealeAccademia delle Scienze di Torino,ser. II, 65 (1914), pp. 13-15, e A.McConnell, Introduction, nellaedizione fotostatica con versioneinglese (a cura di Giorgio Drago-ni) dell’Histoire Physique de laMer, Bologna, Museo di Fisicadell’Università, 1999, appendix i,pp.16-17.

24 L.F. Marsili, Primo Zibaldonedell’opera del Danubio, che comin-ciai sotto le tende in Ungaria e cheunita all’opera si conserverà, Biblio-teca Universitaria di Bologna,Fondo Marsili, Ms. 29, II, c. 4 r.

25 L.F. Marsili, Osservazioni fisi-che intorno al lago di Garda dettoanticamente Benaco, in R. Acc.delle Scienze dell’Istituto di Bo-logna, Scritti inediti di Luigi Ferdi-nando Marsili, Bologna, Zanichel-li, 1930, pp. 62 e 75.

26 L.F. Marsili, Confirmation dela découverte des Fleurs du Corail,envoyée à Mons. l’Ab. Bignon,avec quelques nouvelles remarques,Biblioteca Universitaria di Bolo-gna, Fondo Marsili, Ms. 30, IV, c.23 r. e v; Histoire Physique de laMer, Amsterdam, Aux Depens dela Compagnie, 1725, pp. 115-116e 168-73; tavv. XXXVIII-XL.

27 Sulla Korallenfrage si vedaora, per quel che qui importa, A.McConnell, The flowers of coral–some unpublished conflict fromMontpellier and Paris during theearly 18thcentury, in «History andphilosophy of the life sciences»,12 (1990), pp. 51-66; M. Spal-lanzani, Pietre, piante, animali.La storia naturale del corallo daPaolo Boccone a Luigi Ferdinando

Marsili, in I. Nigrelli (a cura di),La cultura scientifica e i gesuiti nelSettecento in Sicilia, Mazzone edi-tori, Palermo 1992, pp. 109-136;McConnell, Introduction, cit.,pp. 8-12, cui immediatamente sirimanda.

28 L.F. Marsili, Primo sbozzo del-l’organica strotura della Terra, Bi-blioteca Universitaria di Bolo-gna, Fondo Marsili, Ms. 90, A, c.21 r.

29 F. Braudel, La Méditerranée etle monde méditérranéen à l’époquede Philippe II, t. 1, Paris, Colin,1966, p. 96.

30 P. Dockès, Lo spazio nel pen-siero economico dal XVI al XVIIIsecolo, Milano, Feltrinelli, 1971,pp. 28-29.

31 McConnell, Introduction, cit.,p. 20, appendix ii.

32 Marsili, Histoire, cit., p. 51.33 L.F. Marsili, Figure, ed alcuna

memoria di pesci in parte spettante altomo dell’opera danubiale, al lago diCostanza e al famoso salmone delReno, Biblioteca Universitaria diBologna, Fondo Marsili, Ms. 30, 2,Praefatio, c. 1 r.

34 F. de Dainville, De la profon-deur à l’altitude. Des origines mari-nes de l’expression cartographiquedu relief terrestre par côtes et cour-bes de niveau, in «InternationaleJahrbuch für Kartographie», II(1962), pp. 145-160.

35 F. Farinelli, L’immagine dell’Ita-lia, in P. Coppola (a cura di), Geo-grafia politica delle regioni italiane,Torino, Einaudi, 1997, pp. 33-59.

36 Il testo della lettera è riporta-to in G. Fantuzzi, Memorie dellavita del Generale Co. Luigi Ferdi-nando Marsigli, Bologna, Leliodalla Volpe, 1770, p. 285.

37 Marsili, Histoire, cit., p. 10.38 Ivi, pp. 2-9.39 Se ne veda il testo in H. Beck,

Das literarische Testament Alexan-der von Humboldts 1799, in «For-schungen und Fortschritte», XXXI(1957), H. 3, p. 68.

40 N. Broc, La Géographie desPhilosophes, cit., p. 215.

41 E. Kant, Geografia Fisica, 1,Milano, Tip. di Giovanni Silve-stri, 1807, p. 144. Si tratta degliappunti presi a lezione dagli stu-denti, e si può dunque supporreche Kant – che ad esempio illustraa dovere le gesta di Cola Pescenello stretto di Messina – non fos-se al riguardo così laconico. Manemmeno nell’edizione criticadell’Adickes, ricavata dalla colla-zione di più versioni, vi è sostan-zialmente di più.

42 Marsili, Histoire, cit., p. 11.43 Si veda al riguardo F. Farinel-

li, Von der Natur der Moderne: ei-ne Kritik der kartographischen Ver-nunft, in D. Reichert (a cura di),Räumliches Denken, Zürich, ETH,1996, pp. 267-302; Id., L’arte del-la geografia, in «Geotema», 1,1995, alle pp. 143-46; Id., DidAnaximander ever Say (or Write)any Words? The Nature of Carto-graphical Reason, in «Ethics, Pla-ce and Environment», I, 1998,pp. 135-144.

44 L. Frati, Catalogo dei mano-scritti di Luigi Ferdinando Marsigliconservati nella Biblioteca Universi-taria di Bologna, Firenze, Olschki,1928, p. 121.

45 Fondo Marsili, Ms. 24, ultimacarta.

46 Marsili, Primo sbozzo, cit., eId., Histoire, cit., Preface.

47 Marsili, Osservazioni fisiche,

cit., p. 38. Sbagliavo perciò quan-do scrivevo che l’interpretazioneantropomorfica della Terra, lasci-to della tradizionale analogiaumanistica tra microcosmo e ma-crocosmo, è in Marsili del tuttoassente: cfr. Farinelli, MultiplexGeografia, cit., p. 66.

48 Marsili, Danubius, I, cit., p. 61.49 G. Barsanti, La Scala, la Map-

pa, l’Albero. Immagini e classifica-zioni della Natura fra Sei e Otto-cento, Firenze, Sansoni, 1992, pp.46-47.

50 Come in altro contesto pro-blematico osservava M. Longhe-na, Il Conte Luigi FerdinandoMarsigli, in «Boll. Soc. Geogr.It.», XCI (1958), p. 561: “IlMarsili a questo, mi pare, tendacon tutte le sue forze: segnare suuna carta lo spazio occupato daun fenomeno, raccogliere i feno-meni della stessa specie e colle-garli in un tutto, stringere insie-me le distanze”.

51 P. Rossi (a cura di), Scritti filo-sofici di Francesco Bacone, Torino,U.T.E.T., 1975, p. 863.

52 L.F. Marsili, Introduzione allamia riforma della Geografia, ripor-tato in AA.VV., Memorie intornoa Luigi Ferdinando Marsigli, cit.,alle pp. 229-232.

53 Rossi (a cura di), Scritti filoso-fici di Francesco Bacone, cit., pp.546, 646, 650, 733 e 666.

54 Ivi, pp. 397 e 326.55 Ivi, p. 696.56 J. Baudrillard, Simulacres et

simulation, Paris, Galilée, 1981,p. 10.

57 Marsili, Osservazioni intornoal Bosforo Tracio, cit., pp. 8 e 10.

58 Rossi (a cura di), Scritti filosofi-ci di Francesco Bacone, cit., p. 411.

Così inizia la relazione di una visita delle valli dellabassa bolognese fatta da Domenico Guglielmini dal 17al 23 maggio 1692 in qualità di sopraintendente alleacque di Bologna e del suo territorio1. Una visita diroutine che il medico e matematico bolognese facevaannualmente dal 1686, l’anno della sua nomina asopraintendente. Tuttavia sin dalle prime battuteecheggiano una tensione e una sensibilità ben diverseda quelle che ci si aspetterebbe in simili circostanze. Ildramma delle acque del Reno, che rompevano gli argi-ni e inondavano i terreni e i borghi circostanti, chevagavano nelle valli di Marrara, del Poggio e di Malal-bergo e sempre più ostacolavano gli scoli dei terrenisoprastanti, e che rendevano sempre più aleatoria lalinea della navigazione lungo il canale Naviglio e nellevalli, non era certo un fatto nuovo nel 1692. MaGuglielmini non si limitava a individuare nel “regola-mento dell’acque di Reno” l’unica possibile via di sal-vezza, e a stigmatizzare la “pertinacia Ferrarese” che siopponeva all’agognato rimedio. L’investigatore deifiumi e delle paludi, che pazientemente ne percorreva

le vene e i “riazzi” più nascosti, accumulava le sue osser-vazioni per essere preparato da fine ed accorto politicoqual era a “cogliere le occasioni”, anche le più tenui,non appena si fossero presentate.

La controversia tra Ferrara e Bologna sulle acque delReno fu una questione secolare. Nel 1763 il senatoreGiovanni Fantuzzi compilò un Indice della Raccolta delleScritture, Atti, Decreti fatti nella Controversia dell’Acquedel Bolognese, raccolta che allora era presumibilmenteconservata nell’archivio privato del Fantuzzi ed ora sitrova presso la Biblioteca Universitaria di Bologna2,che registra 859 pezzi archivistici ordinati cronologica-mente dal 1460 al 1763. Ma il numero complessivo didocumenti presenti nella raccolta è di gran lunga supe-riore perché vari pezzi contati singolarmente sono aloro volta delle filze contenenti decine e decine discritture diverse. Una enorme massa cartacea che occu-pa ben 32 grossi cartoni d’archivio: convenzioni ed attiufficiali, brevi e chirografi pontifici, decreti, relazioni,perizie, progetti, carte e piante del territorio bolognesee dei corsi d’acqua che lo solcano, lettere ed istruzioni

28

LA SCIENZA DELLE ACQUE

E LA QUESTIONE DEL RENO.IL SEICENTO

CESARE S. MAFFIOLI

Perché dal Regolamento dell’Acque di Reno unicamente dipende la salvezza del nostro Territorio sempre più pregiudicato, e sottomesso da nuove inondazioni; quindi se bene da tanto tempo in qua si stà aspettando vanamente il remedio contrastatoci dalla pertinacia Ferrarese; giova nulladimeno, almeno per cogliere le occasioni;

stare in osservazione degl’effetti, che Reno medesimo di Anno in Anno produce nelle Valli, che interseca; non potendosi più dire, che in alcuna di esse vada a mettere la foce, come una volta.

dell’Assunteria, ma soprattutto scritture, risposte e con-trorepliche di parte bolognese e ferrarese, a stampa emanoscritte, quest’ultime il più delle volte copie d’uffi-cio3. Benché la Raccolta delle acque dell’Universitariasia il fondo più consistente, essa non è comunque esau-stiva e va integrata con la sterminata documentazioneconservata negli Archivi di Stato di Bologna, Ferrara,Mantova, Modena, Roma e Venezia, e presso diversialtri archivi e biblioteche di queste e di altre città. Ladocumentazione ferrarese è ad esempio particolarmen-te imponente, a cominciare dai vari tomi delle Scrittured’acque ferraresi raccolte da Alberto Penna (nella secondametà del Seicento), conservati presso l’Archivio delConsorzio di Bonifica del I Circondario e presso l’Ar-chivio di Stato di Ferrara.

Il Reno era stato inalveato nel 1526 nel Po di Ferra-ra, a seguito di una Transattione tra il Duca di Ferrara e iBolognesi del 5 dicembre 1522, seguita da otto Capitolie conventioni stabiliti il 22 dicembre dello stesso anno.Ottanta anni dopo, verso la fine del 1604, il fiumebolognese venne disalveato e mandato nella Valle San-martina in forza del breve papale Exigit a nobis del 12agosto 16044. Nella carta che qui presentiamo in figura1, che rappresenta un “Disegno del corso del Reno” e dialtri fiumi aggiornato al 1682, si vedono chiaramente ilvecchio alveo che sfociava nel Po di Ferrara nei pressidi Porotto, il nuovo alveo che il Reno si era scavatonella Valle di Marrara e che si stava espandendo versola Valle di Malalbergo, e si comprende infine come lalinea della navigazione nelle valli avesse dovuto essereallungata a causa delle torbide ivi depositate dalleacque del Reno5.

A Bologna erano tutti ben consci del pericolo rap-presentato dalla disalveazione del Reno e dalla suadiversione nelle valli. Il 17 marzo 1604 l’arcivescovoPaleotti rivolgeva un’accorata supplica al cardinaleBaronio affinché intervenisse presso Clemente VIII afavore dei Bolognesi. Il progettato “taglio del Reno”avrebbe inondato parte consistente delle possessioniecclesiastiche in un territorio che contava 33.347anime, “sei Hospitali, novantanove chiese, ... e quinde-ci Pievi”, da cui traevano i mezzi di sussistenza varimonasteri e la stessa mensa arcivescovile6. I Bolognesinon avevano mancato di protestare anche presso ilReverendo Padre Generale dei Gesuiti, perché il tecni-

co pontificio che stava progettando ed avrebbe poieffettivamente diretto le operazioni di bonifica era unmembro della Compagnia di Gesù7. I loro sforzi eranoperò stati vani. Nell’ottica della politica centralizzatri-ce della curia romana la diversione del Reno era soloun episodio della lotta contro i Veneziani per il con-trollo delle foci del Po, nel quadro di un vasto progettopolitico ed economico mirante a fare di Ferrara il cen-tro del traffico fluviale della bassa padana8.

I danni della diversione furono subito enormi. In undiscorso a stampa del 1624 si diceva che “in poco piùd’un anno si sommersero da trecento milia tornature diterreno del nostro Contado, tutto terreno arrativo,arborato, vidato, prattivo, & pascolativo”, e si sottoli-neava come a causa della prolungata carestia la popola-

zione di Bologna fosse diminuita di quasi 25.000 perso-ne rispetto ai tempi di Gregorio XIII, e come nella cittàmancassero sempre più le arti e gli artefici9. Una cala-mità di proporzioni inaudite, anche dando per scontatauna certa enfasi retorica e anche ricordando le molterotture di argini ed esondazioni delle acque del Renonelle campagne circostanti avvenute negli ottant’anniche avevano preceduto la disalveazione. Nel secondoquarto del Seicento la situazione continuò a deteriorar-si. Un opuscolo a stampa del 1651 denunciava senzamezzi termini come “l’interim di Clemente” si fosse

29 La scienza delle acque e la questione del Reno. Il Seicento

1. Carta di Camillo Saccenti del corso del Reno e di altri fiumidel bolognese e del ferrarese. Raccolta di Varie Scritture e Noti-tie Concernenti l’Interesse della Remotione del Reno dalle Valli,Bologna, 1682, esemplare della Biblioteca Estense di Modena.

“trasformato in un mezzo seco-lo”, e come i “terreni li più gras-si, e feraci del Bolognese” fosse-ro sistematicamente “annegati”e le loro rendite si fosserodimezzate. Dimezzati altresì gliabitanti delle “opulenti Ville diBonconvento, di S. Agostino,Galliera, Raveda, Mirabello,Dosso”, mentre il “Poggio, e leVille di Caprara, Cominale,Diolo, Tedo, Cagioiosa, Castel-lina, Malalbergo, Pegola, etant’altre in parte sono distrutteaffatto, caduti gli Edificij, che àpena se ne veggono i vestiggi,parte ridotte peschereccie,parte del tutto abbandonate,altre divenute infruttifere, altrerese inhospitali, onde con laperdita di trecentomilla torna-ture di terra... vi è anche lamancanza di quattromilla Con-tadini, che le habitavano, e col-tivavano”10. I territori ferraresiconfinanti con il bolognese nonstavano meglio. “La Pieve, e Cento Terre grossissime, egià poco tempo d’habitatori molto ricchi, ... spesso sivedono il Reno nelle case, e nelle strade, e crescendocontinuamente il fondo del fiume, esse rimangono inconsequenza più basse, & esposte alla discretione del-l’acque”. “Tutta la riviera poi del Reno dalla parte diLevante, Territorio di Ferrara, è stata ridotta in Valle, eBosco, dove prima era campagna fertilissima. Dal latodi Ponente cominciando da Mirabello confine delBolognese sino all’Alveo vecchio del Reno” si pativanoi medesimi mali. La diversione del Reno aveva trasfor-mato in terreno paludoso la campagna della Sanmarti-na, spopolato il borgo di S. Martino, e provocato unulteriore interrimento del Po d’Argenta11. Le acque delReno erano sì state allontanate da Ferrara ma ora esse,unitamente alle acque delle valli, minacciavano ilPolesine di S. Giorgio in modo ben più diretto e preoc-cupante di prima della disalveazione, quando il Reno siscaricava nell’Adriatico tramite il Po di Volano.

Per oltre un secolo dopo ladisalveazione i Bolognesi fece-ro di tutto per ottenere dallaSanta Sede l’allontanamentodel Reno dalle valli. Sebbene sidicessero disponibili a prenderein considerazione altre propo-ste, quale quella di rimetterloin Volano, a giudizio dei loroesperti d’acque il rimedio realeconsisteva nell’indirizzare nuo-vamente le acque del Renoverso tramontana assecondan-do la naturale pendenza del ter-ritorio, inalveandole in uncanale in parte scavato in partearginato sino ad immetterle nelPo Grande. Vari furono i pro-getti messi sul tappeto. Alcuniutilizzavano il vecchio alveodel Reno, superavano il Po diFerrara ormai ridotto a scola-toio dei terreni superiori e face-vano confluire il fiume bolo-gnese nel Po Grande nei pressidi Lagoscuro. Altri progetti,

come la linea proposta dal matematico genovese GianDomenico Cassini nel 1660, prendevano il Reno neipressi di Mirabello e mediante lo scavo di un nuovoalveo lo canalizzavano nella parte più occidentale delPolesine di Casaglia sino a condurlo nel Po Grande neipressi di Palantone (si veda la figura 2 per maggioridettagli). Altri infine, come le linea proposta nel1621-1622 dal cardinale Luigi Capponi e ripresa nel1625 da monsignore Ottavio Corsini e dal matematicobresciano Benedetto Castelli, prevedevano lo scavo diun canale che avrebbe convogliato le acque del Renoverso il Panaro. I due fiumi avrebbero poi proseguito illoro corso sino a gettarsi nel Po Grande alla Stellata.Anche Guglielmini, durante la visita dei cardinali Fer-dinando d’Adda e Francesco Barberini del 1692-1693,si mostrò un convinto fautore di questa linea e la per-fezionò notevolmente. Il progetto di Guglielminiseguiva la linea Cassini del 1660 dal Reno sino all’al-veo del Po di Ferrara. Risalendo lungo questo alveo le

30Cesare S. Maffioli

2. “Linea ultima proposta dal Cassini” per con-durre il Reno nel Po Grande nei pressi di Palanto-ne. Raccolta di Varie Scritture e Notitie Concer-nenti l’Interesse della Remotione del Reno dalleValli, Bologna, 1682, esemplare della BibliotecaComunale dell’Archiginnasio di Bologna.

acque del Reno si sarebbero poi unite a quelle delPanaro, i cui meandri sarebbero stati opportunamenteraddrizzati. La foce dei due fiumi nel Po Grande dove-va infine essere spostata verso valle in modo da asse-condare il filo della corrente (si veda la figura 3 permaggiori dettagli)12. La linea del Po Grande alla Stel-lata divenne la linea bolognese per antonomasia, eanche la linea dei matematici perché associata ai nomidi Guglielmini, Castelli e dello stesso Cassini, benchéessi non fossero stati i primi ad averla proposta. Già nel1578 il matematico perugino Egnazio Danti avevainfatti suggerito a Gregorio XIII di fare “un canalnuovo al Reno, pigliandolo sotto a Cento vicino allavia del Dosso”, tirandolo “à retta linea nel Po di Lom-bardia fin sopra alla Stellata, ..., conducendovi nelmedesimo tempo anco Panara unitamente col Reno oda quella separata da un altro alveo”, ma l’idea nonaveva riscosso grandi favori nella stessa Bologna ed erastata subito accantonata13.

Dalla documentazione di parte bolognese Ferrarasembra, almeno per tutto il corso del Seicento, arroc-cata in una pertinace difesa dello statu quo. Questaimmagine è solo parzialmente corretta. Il territorio fer-rarese doveva naturalmente ricevere gli scoli delle piùalte campagne bolognesi, così come le acque dei fiumie dei torrenti appenninici, ma a causa della sua scarsapendenza lo scarico di questa massa d’acque nell’A-driatico presentava gravi problemi. La visione ferraresenon era quindi focalizzata sul solo problema del Reno,ma tendeva a trovare una soluzione per lo smaltimentodelle acque e la bonifica dei polesini e delle valli del-l’intero delta meridionale del Po. I Ferraresi dovevanopoi fronteggiare il gravissimo problema delle arginatu-re, per difendere un territorio che poteva essere anche15-20 piedi più basso del pelo delle acque e dei fiumiche lo circondavano. Era infine ancora ben vivo ilgrande mito della restaurazione della perduta naviga-zione e del perduto splendore di Ferrara, primarioemporio commerciale grazie al suo porto, con navigli evascelli che sino al Cinquecento inoltrato risalivano ilPo di Volano e il Po di Primaro. Non stupisce quindiche la maggior parte dei Ferraresi, malgrado gli avver-timenti del perito e architetto Giovan Battista Aleot-ti, potesse riconoscersi nei progetti della curia romanae dei tecnici gesuiti. Venti anni dopo, quando il falli-

31 La scienza delle acque e la questione del Reno. Il Seicento

3. Uno schizzo del progetto proposto nel maggio 1693 da Gugliel-mini. Il nuovo alveo del Reno è acquerellato in giallo su una gran-de carta (mm 440x683) della parte superiore del ferrarese. In fi-gura è riprodotta solo la parte sinistra della carta. Su di essa la lineadi Guglielmini è indicata con lettere in inchiostro rosso: parte dal-la botta dei Ghislieri (A) arriva al Po di Ferrara (B), utilizza il trat-to BCD di quest’ultimo, e con il drizzagno DE elimina le tortuositàdell’alveo del Panaro. Il Reno prosegue poi assieme al Panaro per iltratto EF, ma l’ingresso nel Po Grande è spostato verso valle in G.Il progetto riguardava anche il Panaro che, con un taglio alle Doz-ze sopra Bondeno, sarebbe stato raddrizzato e indirizzato verso set-tentrione. Il nuovo alveo del Panaro sulla carta è acquerellato inblu. Archivio di Stato di Bologna, Assunteria di Confini e Acque:Scritture, vol. 63.

mento della bonifica clementina e paolina era ormairiconosciuto anche a Roma e la ricerca di un rimediodivideva la città, il gesuita ferrarese Niccolò Cabeoebbe ancora a proporre lo scavo di un nuovo canaleche facesse affluire le acque del Po Grande nel Po diFerrara interrito e da lì nel Volano e nel Primaro. Nelprogetto del Cabeo lo scolo delle acque alla destra delPrimaro doveva essere assicurato da un canale indi-pendente che andasse al mare sul modello del CanalBianco. Esattamente l’opposto, insomma, di quantoproponevano i Bolognesi14.

Le scritture bolognesi mettevano a nudo un ele-mento di debolezza della strategia ferrarese, e implici-tamente coglievano il mutamento epocale che avevafatto da sfondo alla disalveazione del Reno. Nellaseconda metà del Quattrocento e lungo tutto l’arco delCinquecento Ferrara era stata un grande centro di ela-borazione e di progettazione di opere di bonifica e dicanalizzazione. Dopo la devoluzione del 1598 alloStato Pontificio questo ruolo era gradualmente venutomeno. È significativo come i tecnici che nel primoSeicento diressero le operazioni di bonifica e i falli-mentari tentativi di regolazione pontificia delle focidel Po non fossero ferraresi ma lombardi e romani, eche lungo tutto l’arco del secolo non ci fosse alcun tec-nico o matematico forestiero di prestigio che venissechiamato a Ferrara per difendere gli interessi idraulicidella città15. La chiusura verso le novità scientifichefaceva tutt’uno con l’orgoglio di essere gli eredi di unatradizione centenaria e con la difesa di una perizia tec-nica ancora ben viva e presente.

La contrapposizione non era solo tra Bologna e Fer-rara, e tra due modi di intendere la gestione del territo-rio. Coinvolgeva altresì la rivalità professionale cheandava sempre più emergendo tra tecnici e matemati-ci, e la distinzione se non addirittura la demarcazioneche andava prendendo corpo tra l’architettura delleacque di origine rinascimentale e la nuova scienzamatematica delle acque. Nel corso dei dibattiti romanidel 1657 Cassini, in veste di matematico della città diBologna, aveva riproposto i giudizi e le critiche diBenedetto Castelli contro i periti e gli ingegneri idrau-lici (ferraresi e non) che sconsigliavano l’inalveazionedel Reno nel Po Grande. I Ferraresi risposero con unascrittura a stampa che iniziava con le seguenti parole:

Se li benefici dell’introduzione del Pò di Lombardia [nelPo di Ferrara, ndr], e danni, che potesse causare la remo-zione del Reno in quello, si fossero dovuti discutere, egiustificare per mezzo di discorsi teorici, matematici, especulativi, & autenticare con l’auttorità d’auttori inte-ressati, (...) , havrebbero procurato li Ferraresi (...) con imedesimi mezzi rappresentare le loro ragioni; ma perchegl’ultimi sono dannati affatto da tutte le leggi, e li primipiù adattati per le catedre, che per provare affari di tantorilievo, (...) hanno tralasciato detti mezzi, & applicatosolo à quelli dell’esperienza, prattica, e dell’autorità de iBrevi de’ Sommi Pontefici, decreti, e risoluzioni di que-sta Sac. Congregazione, (...)16.I Ferraresi insomma rifiutavano il terreno di scon-

tro proposto dal Cassini, più adatto alle cattedre che atrattare affari di stato, e si rifugiavano nella esperienzadella pratica delle acque e nell’esegesi dei decretipapali. Che il loro obiettivo polemico fosse il Dellamisura dell’acque correnti di Benedetto Castelli pubbli-cato nel 1628 a Roma, a seguito della visita Corsinidel 1625 in cui per volontà di Urbano VIII il monacocassinense aveva operato in veste di matematico edesperto d’acque del visitatore apostolico, appare evi-dente dalla successiva Replica ferrarese alla rispostadata dai Bolognesi:

Pare ben strano, – così si legge in questa scrittura – che ilPadre Castelli voglia tassare, d’haver commesso erroretutti quei Periti, non sapendosi come possa haver peritiamaggiore d’essi, ch’erano stati in prattica, e su’l fatto, e lipiu prattici di quel tempo, e come tali scelti da S.E. [ilcard. Bonifacio Caetani, ndr], e dalle parti; solo con ilfondamento d’haver questo stampato un libretto inRoma, perche volendosi disputare di questa materia, nonmancano libri, che discordano dalle opinioni del dettoPadre17.I Ferraresi, com’è reso esplicito in una loro ulteriore

Ultima replica, si riferivano al grande commento alleMeteore di Aristotele pubblicato dal Cabeo a Roma nel1646, le cui nove questioni al testo 60 del Tomo I, inti-tolate De mensuratione aquarum decurrentium, costitui-vano un vero e proprio trattatello di idraulica fluviale,in netta ed aperta concorrenza con l’opera del Castel-li18. Quest’ultima ruotava attorno alla legge di conti-nuità, e il Cabeo criticò la formulazione datane dalCastelli perché priva di una vera base sperimentale,

32Cesare S. Maffioli

particolarmente per quanto riguardava la misurazionedella velocità della corrente. La polemica nei confron-ti del matematico galileiano era comunque accompa-gnata, come non mancò di sottolineare Cassini, daattestati di stima e da riconoscimenti sulla novità deltema e sulla validità complessiva del Della misura del-l’acque correnti. Nella sua risposta ai Ferraresi il Cassininon si fermò qui, ma estrasse dal commento del Cabeouna serie di “Attestationi... dell’Incapacità de’ Peritiparticolarmente della misura dell’Acque correnti”19.Lo scopo del Cassini era evidente: anche il matemati-co gesuita chiamato dai Ferraresi a loro sostegno avevacriticato l’opera dei periti, a dimostrazione che biso-gnava rimettersi “non alle prattiche di questi, mà allepiù fondate ragioni”. Scienza versus arte quindi. Il con-trasto riguardava sia questioni di fatto inerenti allerispettive discipline sia questioni di status professiona-le, nel caso specifico di difesa della dignità di un mate-matico “Promotor di nuove scienze” quale il Castelliche non poteva essere messo sullo stesso piano di unsemplice agrimensore o architetto. Le parole del Cassi-ni non lasciano dubbi in merito:

E chi furono finalmente que’ grand’huomini scelti dal S.Card.le Caetano in far tali calcoli, che possino parago-narsi, nonche preferirsi al famosissimo P. Castelli [?]. UnTomaso Spinola Agrimensore, un Bartolomeo Breccioli Architetto, come dalla Visita autentica appare; degnisoggetti in vero da compararsi ad un celebre Mattemati-co, ad un Promotor di nuove scienze. Ma furono purquelli scelti dal S. Card.le Caetano per i maggiori huo-mini di quel tempo fussero; ma il maggiore d’ordine sìinferiore non arriva mai all’infimo d’ordine sì superiore.E pur il P. Castelli dalla S.tà di Urbano 8° essendo statoeletto per suo Mattematico non fù tenuto de gl’infimi diquest’ordine ed in questo stesso negotio d’acque fù dallostesso Pontefice eletto per Assistente, e Presidente alleoperationi da farsi da Periti nella Visita di Mons.r Corsi-ni, non havendo voluto S. S.tà senz’una tale assistenzafidarsi de Periti, (...).E chi fà paragone della Visita del Sig.r Card.le Caetanocon quella di Mons.r Corsini può ben vedere la gran dif-ferenza. Poiche [la] prima fatta senza una tale assistenzariuscì con tanta confusione, e discordia, e svario nelleoperationi, che doppo d’esser fatte tra la Stellata, e Fer-rara 25 livellationi, e molte misure, decretò il S.r Card.le

a di 9 di Maggio [1610, ndr] al Bondeno, che si stesse allelivellationi già fatte d’accordo d’ordine di Mons.r Centu-rione, e non à quelle, che erano fatte per ordine suo inquella Visita. (...) All’incontro la Visita di Mons.r Corsi-ni fatta con l’assistenza del Castelli riuscì con tal’ordine,con tale accuratezza, che furono tutte le osservationiaccettate per indubitate senza una minima differenzadelle Parti, come appare non solo dalla copiosissima rela-tione di tutta la Visita, mà da tanti fogli d’operationi sot-toscritti concordemente da Periti delle Parti20.La posizione dei Ferraresi affondava le sue radici

nell’idraulica rinascimentale, nell’arte e nella scienzaempirica delle acque. Benché il manoscritto dell’Hi-drologia di Giovan Battista Aleotti porti quale sottoti-tolo quello di Ragionamento della Scienza et Arte del-l’Acque, si tratta di una summa dell’idraulica praticadel delta del Po non di un trattato scientifico. Le con-cezioni idrostatiche ivi espresse dall’architetto argen-tano erano ad esempio alquanto arretrate se non deltutto errate, e i riferimenti al moto delle acque larga-mente compilativi e tratti dalle opere di autori dimetà Cinquecento quali Gerolamo Cardano21. Com-pletamente diverso è il caso del Della misura dell’acquecorrenti di Benedetto Castelli, lavoro del tutto origi-nale dal punto di vista scientifico in cui si fonda lascienza matematica delle acque. L’originalità dell’o-pera del Castelli non consisteva tanto nelle criticheai periti e nella scoperta dell’elemento della velocità,come viceversa si fa spesso ancor oggi mostra di cre-dere, ma nel fatto che attorno ad un unico principiounificatore quale la legge di continuità si cercasse diorganizzare con un impianto matematico l’interamateria del moto delle acque. La controversia delReno fornì l’occasione concreta e degli importantispunti di riflessione, ma la nascita della scienza delleacque fu il prodotto della creatività di un matematicogalileiano e non il parto delle pratiche dell’arte22.

Comunque sia, ai Ferraresi premeva sottolinearecome anche la nuova scienza delle acque fosse opina-bile e, soprattutto, evidenziare come i due piani deldiscorso fossero tra loro del tutto separati ed indipen-denti. Da una parte i discorsi teorici per le cattedre,dall’altra l’esperienza concreta, unica maestra negliaffari d’acque. Il Cabeo non condivideva questa posi-zione, che nel caso specifico l’avrebbe esautorato da

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quelle attività di educazione, orientamento ed indiriz-zo su cui si fondava la politica dei Gesuiti. Ma le criti-che del Cabeo alla formulazione e alla concreta appli-cazione della legge di continuità, in parte corrette inparte capziose, tendevano ad un fine per certi versianalogo, cioè a scalzare il credito del Della misura del-l’acque correnti nel campo della fisica sperimentale edell’ingegneria, e a soppiantarlo.

Per i Bolognesi, invece, le cose stavano altrimenti.All’inizio si trattò essenzialmente di una questione diopportunità politica. Nel corso della visita Corsini del1625 i periti bolognesi si meravigliavano, tanto quantoquelli ferraresi, che chi sopraintendeva alle loro opera-zioni fosse un lettore universitario di matematica checontinuava a citare Archimede e a fare discorsi dotti.Ma Castelli era sufficientemente competente sul fattoda non prestare il fianco alle censure delle parti, e suf-ficientemente buon politico da fornire a monsignorCorsini e ai Bolognesi elementi di critica delle posizio-ni ferraresi, quale quella che le previsioni fatte sull’en-tità degli innalzamenti degli argini – che sarebberostati necessari se il Reno fosse stato immesso nel PoGrande – erano inattendibili perché non si era tenutoconto delle rispettive velocità dei due corpi d’acqua.Ma chi convinse definitivamente i Bolognesi dellanecessità di condurre la battaglia anche sul fronte dellascienza fu Gian Domenico Cassini, che sull’idraulicaoltre che sull’astronomia fondò la sua carriera a Bolo-

gna e negli Stati della Chiesa tanto da raggiungere almomento della partenza per Parigi un cumulo di sti-pendi e di emolumenti, quale lettore dello Studio diBologna, ingegnere della Fortezza Urbana [Forte Urba-no a Castefranco Emilia], e sopraintendente in affarid’acque, del tutto inusitato23. Parte delle scrittureidrauliche del Cassini vennero pubblicate nel 1682nella Raccolta di Varie Scritture e Notitie Concernentil’Interesse della Remotione del Reno dalle Valli, a dimo-strazione che a Bologna la ‘guerra delle acque’ stavaassumendo quel carattere di ‘guerra d’autori’ che rag-giunse l’acme nel primo Settecento.

Interessante, per capire gli umori della città, è ilfatto che anche i Gesuiti a Bologna verso la metà delsecolo iniziassero a battere delle vie diverse. Così nel1655 tre allievi del Collegio dei Nobili pubblicarono52 Theses Geometricae, indirizzandole al gonfalonieredi giustizia Alberto Grassi, in cui essi tra l’altro si pro-ponevano di indagare l’altimetria dell’intera regionead uso del negozio delle acque24. Il loro promotore emaestro non poteva che essere il matematico gesuitaGiovan Battista Riccioli, che alcuni anni dopoaffrontò direttamente la questione della velocità deifiumi e del Reno nel Liber VI. Altimetricus dei suoiGeographiae et Hydrographiae Reformatae Libri Duode-cim. Anche se in questo contesto non viene citato ilCassini, è indubitabile che il Riccioli fosse moltoinfluenzato dal suo più giovane collega con cui era inrapporti di stima ed amicizia. Riccioli fondò le sueconsiderazioni di carattere generale su una serie difonti, tra cui l’Architettura d’Acque di Giovan BattistaBarattieri, l’opera del Castelli ristampata a Bolognanel 1660 con l’aggiunta del Libro II, e il commentodel Cabeo. I suoi calcoli sull’innalzamento che ilReno in piena avrebbe provocato nel Po Grande inpiena si basavano sulla scala delle portate del Castelli(la portata di un fiume è proporzionale al quadratodell’altezza del corpo d’acqua in una sua sezione ret-tangolare), fatta propria sia da Cassini che da Barat-tieri, e conducevano a delle stime degli innalzamentidel pelo del Po comprese tra 7 once (con una velocitàdelle acque del Reno di 3 miglia per ora) e 11 oncedel piede bolognese (con una velocità del Reno di 5miglia per ora). Stime moderate, che non potevanonon essere benvenute nella città felsinea, a più forte

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4. Il monumento in memoria di Alvise e Maffeo Venier nella sa-la del Consiglio del Palazzo Comunale di Bologna.

ragione perché provenivano da un autorevole profes-sore gesuita di origine ferrarese25.

A Bologna, dopo la partenza di Cassini nel 1669,ci fu un intermezzo di circa una decina d’anni primadi vedere il giovane Guglielmini affacciarsi in qualitàdi matematico ed iniziare ad occuparsi di affari d’ac-que. Con l’avvento di Guglielmini ci fu però un saltodi qualità, sia a livello di riflessione teorica che alivello amministrativo ed istituzionale. I senatoribolognesi si convinsero anzitutto della necessità diavere in permanenza un matematico che soprainten-desse agli affari d’acque e dirigesse l’attività dei periti.Successivamente crearono per Guglielmini unanuova cattedra nel pubblico Studio, la cattedra dimatematica idrometrica o più semplicemente d’idro-metria, che rappresentò la prima cattedra specifica-mente destinata all’insegnamento dell’idraulica adessere istituita in una università europea26. Questicambiamenti, che in un primo momento potevanoancora apparire esclusivamente legati alla presenza eall’attività di Guglielmini, finirono col radicarsi nellavita della città e assumere forma istituzionale. Dopola partenza di Guglielmini per Padova nel 1698, alcu-ni tra i più noti matematici della città si succedetteroquali sopraintendenti alle acque (Eustachio eGabriello Manfredi) e alla cattedra di idrometria(Geminiano Rondelli ed Eustachio Zanotti), a dimo-strazione del nesso ormai indissolubile che a Bolognasi era creato tra la matematica e la materia delleacque. La centralità del nostro tema è altresì confer-mata dal monumento, che si trova in Palazzo Accur-sio nella sala che serviva alle riunioni del Senato edoggi ospita le sedute del Consiglio Comunale, inmemoria del patrizio veneto Alvise Venier (e del fra-tello Maffeo) che con un fidecommesso aveva lascia-to erede dei suoi beni lo Studio di Bologna ed avevacosì permesso l’istituzione nel 1694 della nuova cat-tedra d’idrometria (si veda la figura 4)27.

I senatori bolognesi furono i dedicatari della gran-de opera idrometrica di Guglielmini, l’AquarumFluentium Mensura Nova Methodo Inquisita, pubblica-ta in due riprese nel 1690 e nel 1691 e subito ripub-blicata nel 1692 nei Miscellanea Italica Physico-Mathe-matica del padre carmelitano Gaudenzio Roberti. Conquest’opera lo scienziato bolognese assurse a notorietà

europea grazie alla critica mossagli da Denis Papin eall’intervento di mediazione e di stimolo del dibattitopromosso dietro le quinte da Leibniz. Queste discus-sioni non riguardavano direttamente il nostro argo-mento, ma piuttosto la minore o maggiore applicabi-lità dello schema galileiano della caduta libera allostudio del moto delle acque, e per tale ragione nonvengono qui riproposte28. Più strettamente legato allaquestione del Reno era viceversa il tema generale del-l’opera, cioè la misurazione delle acque correnti, cheGuglielmini affrontò sia dal punto di vista teorico siada un punto di vista sperimentale e tecnico (la scaladelle portate di Guglielmini, ancor oggi ricordata neilibri di idraulica). In figura 5 vengono illustrati duemetodi utilizzati dallo scienziato bolognese per deter-minare le velocità relative della corrente a diverseprofondità e la portata di un canale: il pendolo idro-metrico e il regolatore con cateratta.

Alcuni anni dopo, nel 1697, Guglielmini pubblicòil suo capolavoro, quel Della Natura de’ Fiumi che gli

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5. Due figure tratte dall’Aquarum Fluentium Mensura NovaMethodo Inquisita di Domenico Guglielmini (esemplare dellaBiblioteca Universitaria di Bologna): a) Il pendolo idrometrico:la corrente del fiume devia la palla D immersa a una dataprofondità, ed il quadrante permette di misurare l’angolo di de-viazione dalla verticale. Secondo Guglielmini le velocità dellacorrente in B e in H erano proporzionali alle tangenti di dettiangoli; b) Il regolatore con cateratta: la base AB del regolatoreè posta sul fondo del canale. Le ali AC, BD, servono a ridurre lasezione dell’acqua che scorre nel canale alla forma rettangolare.Nel regolatore è inserita una cateratta o paratoia mobile che vie-ne immersa nella corrente in modo da limitare la sezione dellaluce di efflusso e da ridurla al rettangolo ABEF. Il pelo dell’ac-qua a monte della paratoia conseguentemente si innalza sino allivello KL. Sulla base di queste misure e dei dati di un esperi-mento di riferimento, Guglielmini era in grado tramite la suateoria di stimare la portata del canale.

a b

dette un nome imperituro nella storia dell’idraulica eche gli assicurò, grazie all’autorevole supporto diCassini, la promozione ad una delle otto prestigioseposizioni di ‘associé étranger’ dell’Accademia delleScienze di Parigi. Degli aspetti dell’opera che piùinteressano la storia della scienza, il corpuscolarismofisico e l’analisi della geomorfologia fluviale, solo ilsecondo aveva degli agganci con la pratica delleacque e l’osservazione sistematica dei fiumi e dei tor-renti. La questione del Reno, benché mai diretta-mente citata, faceva comunque capolino in moltiluoghi, a cominciare da alcune delle incisioni nelletavole che accompagnavano l’opera, quale quellache rappresentava la “Chiavica di Burana posta alBondeno sul Ferrarese” che il perito Egidio Bordoniaveva tratto dai disegni da lui eseguiti nel 1693 inoccasione della visita D’Adda-Barberini29. Ma è lastesso simbolismo dell’antiporta del volume (si vedala figura 6), – raffigurante il fiume Achelòo della

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6. L’antiporta del Della Natura de’ Fiumi di Domenico Gugliel-mini (esemplare della Biblioteca Universitaria di Bologna).

1 Biblioteca Universitaria diBologna (d’ora innanzi BUB),Ms. 1102: 1692, n. 2.

2 Sandra Saccone, GiovanniFantuzzi e il fondo “Affari d’acque”nella Biblioteca Comunale dell’Ar-chiginnasio, in «L’Archiginnasio»,LXXVII (1982), pp. 383-423, inpart. p. 389.

3 BUB, Ms. 680 (l’Indice delFantuzzi) e Ms. 1102 (i 32 voll.della Raccolta).

4 C.S. Maffioli, La controversiatra Ferrara e Bologna sulle acquedel Reno. L’ingresso dei matematici(1578-1625), in GiambattistaAleotti e gli ingegneri del Rinasci-

mento, a cura di A. Fiocca, Firen-ze, Olschki, 1998, pp. 239-267,in part. pp. 243-244 e 251-252.

5 La carta è del perito bologne-se Camillo Saccenti e venne ag-giornata per essere inserita nellaRaccolta di Varie Scritture e NotitieConcernenti l’Interesse della Remo-tione del Reno dalle Valli (Bologna,Per G. Monti, 1682). In un esem-plare della stessa carta risalente al1651, meno dettagliato ma digrande effetto grazie ai bei coloriad acquerello, il corso nel Renonelle valli appare leggermentemeno pronunciato.

6 BUB, Ms. 1102: 1604, n. 19 a.

Grecia antica che sotto le sembianze di un torovenne domato da Ercole ed il cui corno, perso nellalotta, divenne simbolo dell’abbondanza – a richia-mare inequivocabilmente la necessità dell’unionedel Reno con il Po. Sullo sfondo si vedono le duecittà turrite di Bologna e Ferrara e nel cartiglio silegge “tantae molis erat bifidum compellere inunum” (quanta fatica costò riunire in uno ciò cheera diviso in due)30.

Il caleidoscopio delle acque ci fornisce immaginiinattese della rivoluzione scientifica del Seicento. Ilmovimento intellettuale prima sembra essere fagoci-tato dalle esigenze tecniche, dalle pratiche dell’arte,e dai calcoli della politica, ma poi miracolosamenterisorge e rinasce irrobustito e capace di misurarsi sunuovi terreni che prima non gli appartenevano, diespandersi verso nuovi orizzonti, di trasformare lavisione delle cose più comuni in sempre nuovi teatridelle meraviglie. Nell’elogio di Guglielmini recitatoall’Accademia delle Scienze di Parigi il Fontenelleebbe a riportare lo stupore di quei fisici che pensava-no di conoscere la natura dei fiumi ma che, dopoaver letto il libro dello scienziato bolognese, si eranoconvinti che prima di allora non la conoscevanoaffatto. Un lungo tragitto, quello della scienza delleacque e della fisica dei fiumi, che trovò alcuni deisuoi momenti più alti lungo le vene impaludate dellabassa padana grazie a personaggi d’eccezione qualiGuglielmini che seppero coniugare la pubblica feli-cità e la ricerca della verità.

7 Si raccoglie questa notizia dauna lettera scritta dal gesuita lodi-giano Agostino Spernazzati al Ge-nerale dei Gesuiti in data 21 mar-zo 1604 (BUB, Ms. 1102: 1604, n.8). Due mesi avanti lo Spernazza-ti, unitamente ad un tecnicofiammingo, aveva indirizzato aClemente VIII una relazione checostituì il fondamento del brevepapale dell’agosto 1604. In essa siproponeva la diversione in viaprovvisoria del Reno, con l’ambi-zioso obiettivo di ridare a Ferrarala perduta navigazione e di bonifi-care il territorio alla destra del Podi Primaro.

8 A. Giacomelli, Appunti peruna rilettura storico-politica dellevicende idrauliche del Primaro e delReno e delle bonifiche nell’età delgoverno pontificio, in La pianura ele acque tra Bologna e Ferrara. Unproblema secolare, Cento, CentroStudi G. Baruffaldi, 1983, pp.101-254, in part. pp. 103-122.

9 [O. Salaroli], Discorso sopral’inondatione dell’acque del Bolo-gnese, Bologna, Per N. Tebaldini,1624, pp. 6-8. La perdita stimataa causa delle inondazioni del Re-no era di 60.000 ettari di terreno(una tornatura equivale a circa0,2 ettari).

10 G. Rivellino dalla Fratta, DelReno, Bologna, Per G. Monti,1651, pp. n.n.

11 Ibidem.12 C.S. Maffioli, Out of Galileo:

The Science of Waters 1628-1718,Rotterdam, Erasmus Publishing,1994, pp. 44, 136-138 e 240-242.

13 Maffioli, La controversia traFerrara e Bologna..., cit., pp. 249-251 e 263-265.

14 N. Cabeo, Dell’introduttionedell’acqua del Po’ in Volano, e Pri-maro, in BUB, Ms. 1102: 1624, n.7. L’idea del Cabeo di far affluirel’acqua del Po Grande verso Fer-rara non era certo nuova ed erastata uno dei perni di vari proget-ti di tecnici ferraresi e pontifici(si veda ad es. A. Penna, Com-pendiosa descrittione dello Stato diFerrara... , Ferrara, per gli Heredidel Suzzi, 1663, pp. 17-18, ora ri-prodotto in Idem, Atlante del Fer-rarese. Una raccolta cartograficadel Seicento, a cura di M. Rossi,Modena, Franco Cosimo Panini,

1991). Essa venne riproposta an-cora nel 1657, all’epoca dei con-gressi romani convocati da Ales-sandro VII (cfr. infra).

15 Escludo dal novero i profes-sori e predicatori gesuiti, i cuisoggiorni a Ferrara obbedivano acriteri di missione e di avvicen-damento interni alla Compagnia.I Ferraresi avrebbero ad esempiovoluto servirsi dell’aiuto del Ca-beo in occasione della visita Cor-sini del 1625 ma il Generale deiGesuiti aveva rifiutato, adducen-do che si trattava di “materiacontroversa” (Maffioli, La contro-versia tra Ferrara e Bologna..., cit.,p. 259).

16 Alla Santità di N. Signore. Ri-sposta de’ Ferraresi Alle Scritturede’ Signori Bolognesi... , In Roma,Nella Stamperia della ReverendaCamera Apostolica, 1657. Il te-sto, evidentemente parte di unapiù ampia raccolta, è paginato110-116. La citazione è a p. 110.

17 Alla Santità di N. Signore. Re-plica all’ultime Risposte date da’ Si-gnori Bolognesi... Per la Città diFerrara, In Roma, Nella Stampa-ria della Rev. Camera Apostoli-ca, 1657. La citazione è alle pp.119-120.

18 Non si deve per altro dimenti-care come Benedetto Castelli fossestato uno dei più intimi collabora-tori di Galileo e come il commen-to del Cabeo, alla pari di altre ope-re di scienziati gesuiti dell’epoca,avesse quale obiettivo quello di in-terpretare i nuovi risultati della fi-sica sperimentale in un quadro an-cora sostanzialmente aristotelico,in alternativa alla fisica di Galileo.

19 G.D. Cassini, Giudicio delPadre Cabeo In proposito delle ra-gioni de’ Bolognesi riprovato nelleultime repliche de’ Sig.ri Ferraresidate sotto li 5 7bre 1657, Bibliote-ca Apostolica Vaticana, Barb.Lat. 4379, cc. 186-196, in part.cc. 188v-190r (altra copia dellamedesima scrittura in BUB, Ms.1102: 1657, n. 17). Giudizi mol-to duri, quelli espressi dal Cabeosugli ingegneri e architetti delleacque, che non lasciano dubbi inmerito alle difficoltà che anchenella patria ferrarese il matema-tico gesuita aveva incontratonelle sue relazioni con i tecnici.

20 Ibidem, c. 191 r-v. Per ulte-riori dettagli sulle critiche delCabeo ai tecnici e su questa scrit-tura del Cassini si veda C.S. Maf-fioli, Gli albori della fisica modernae l’idraulica del tardo Rinascimento,in Atti del XIX Congresso Nazio-nale di Storia della Fisica e dell’A-stronomia, a cura di P. Tucci, Uni-versità degli Studi di Milano,Istituto di Fisica Generale Appli-cata, Sez. di Storia della Fisica,2000, pp. 109-128, in part. pp.122-123.

21 Per comprendere l’arretra-tezza delle concezioni idrostati-che di Aleotti basta riferire ilmodo con cui nell’Hidrologia sicerca di spiegare l’esistenza difonti sulle cime dei monti. L’ac-qua dei mari scendendo sul fondodegli abissi risalirebbero tramitecondotti sotterranei sino a rag-giungere la cima dei monti,“stando la rotondità sferica delcorpo della terra et dell’acqua in-sieme, et che ogni cosa grave perse stessa scende verso il centro,et che ogn’acqua per se stessatanto ascende quanto discende”.Aleotti non si rendeva conto chenell’idrostatica archimedea delglobo terracqueo ‘scendere più inbasso’ equivaleva ad avvicinarsial centro della Terra, e di conse-guenza che i punti tra loro inequilibrio stavano su una sfera enon su un piano (BibliotecaEstense di Modena, Codice Esten-se It. 551, c. 16r-v). Per quantoriguarda il carattere didascalicodell’Hidrologia, e le derivazionida Cardano si vedano: C.S. Maf-fioli, L’idraulica di Giovan BattistaAleotti. Appunti preliminari, inGiovan Battista Aleotti (1546-1636), Seminario di Studi, III ses-sione, Istituto di Studi Rinascimen-tali, Ferrara 26 maggio 1995, a cu-ra di M. Rossi, Bologna, 1995,pp. 166-180, in part. pp. 173-178e le note 18-19; A. Fiocca, Giam-battista Aleotti e la “Scienza et Ar-te delle Acque”, in GiambattistaAleotti e gli ingegneri del Rinasci-mento, cit., pp. 47-101, in part.pp. 59-69.

22 Per una giustificazione diquesto, e di altri consimili giudizidi carattere generale, rinvio almio Out of Galileo, cit., passim.

23 In una lettera del settembre1668 Cassini valutava in 8.000lire la somma totale dei suoicompensi annuali (A. Cassini,Gio: Domenico Cassini: Uno scien-ziato del Seicento, Comune di Pe-rinaldo, 1994, pp. 160-164). Ilsolo salario di lettore dello Stu-dio ammontava a ben 3.800 lirebolognesi, mentre il salario me-dio degli altri lettori non supera-va le 500 lire.

24 De semidiametro terrae per op-portunitates locorum circa Bono-niam vel indaganda ex altitudinemontium et aquarum libellationi-bus, vel adhibenda pro inquirendoAquarum huius regionis libramentousque ad Adriaticum Theses Geo-metricae Bononiae in Collegio PP.Soc. Iesu expositae, Bononiae, Ty-pis I.B. Ferronij, 1655.

25 G.B. Riccioli, Geographiae etHydrographiae Reformatae LibriDuodecim, Bononiae, Ex Typ. Haer.V. Benatij, 1661, pp. 243-251.

26 V. Pallotti, Domenico Gu-glielmini sopraintendente alle ac-que, in Problemi d’acque a Bolo-gna in età moderna, Bologna, Isti-tuto per la storia di Bologna,1983, pp. 9-62; C.S. Maffioli,Domenico Guglielmini, Geminia-no Rondelli e la nuova cattedra d’i-drometria nello Studio di Bologna(1694), in Studi e Memorie per lastoria dell’Università di Bologna,n.s., VI (1987), pp. 81-124.

27 Maffioli, Out of Galileo, cit.,pp. 244-247.

28 Ibidem, pp. 223-237. Sullaseconda fase della polemica siveda C.S. Maffioli, Guglielminiversus Papin (1691-1697). Scien-ce in Bologna at the end of theXVIIth century through a debateon hydraulics, in «Janus», LXXI(1984), pp. 63-105, in part. pp.88-94.

29 Pallotti, Domenico Guglielmi-ni sopraintendente alle acque, cit.,pp. 50 e 61-62.

30 M. Cavazza, Nota alle tavole,in «Studi e Memorie per la storiadell’Università di Bologna», n.s.,VI (1987), pp. 159-161. Nellepagine successive sono riprodottiil frontespizio e l’antiporta dell’e-ditio princeps del Della Natura de’Fiumi, e le 15 tavole di figurecontenute nell’opera.

37 La scienza delle acque e la questione del Reno. Il Seicento

Il ruolo che le scienze, le tecnologie e le tecniche pre-sentano, in relazione ai rivolgimenti che caratterizza-no l’evoluzione delle società, viene spesso individua-to dagli storici solo con un paziente lavoro di docu-mentazione nelle pieghe stesse della storia dellaciviltà; e non è sempre immediato tirare le fila delleloro molteplici connessioni con la storia del quotidia-no. Quelle stesse connessioni che finiscono comun-que per imporre svolte, talvolta anche molto repenti-ne, all’intera deriva del corso storico. Si tratta di con-nessioni che, nello studio dell’evoluzione storica diregioni attraversate da grandi fiumi, è decisamenteimpossibile ignorare. Nel caso particolare della pia-nura bolognese e della sua storia ormai ampiamentebimillenaria, si è poi di fronte ad uno dei massimiesempi di interrelazione tra problematiche tecniche,scientifiche, sociali e culturali, tutte in qualche modoriconducibili alla particolare struttura idro-orograficadel suo territorio.

La disamina di queste interrelazioni presenta uninteresse storico di importanza primaria, e molti studihanno fin qui provveduto a fornirci un quadro ragio-nevolmente esaustivo di queste tematiche. Ben lungiquindi dall’idea di apportare elementi di assolutanovità documentaria in tematiche tanto entusiasman-ti quanto appassionatamente studiate proprio in ragio-

ne della loro peculiarità, questo lavoro intende inveceaffrontarle da un punto di vista alquanto differente.

Si cercherà di ripercorrere il corso della storia del pae-saggio idrico della bassa pianura padana, talvolta conminimali, quanto inevitabili cenni anche a quella delpaesaggio agrario; il tutto, tenendo costantemente contodelle scoperte tecniche e scientifiche che, oltre a rende-re concettualmente – e in seguito anche operativamente– possibili opere di bonifica spesso colossali, durate avolte per secoli, contribuirono in maniera decisiva allacreazione delle discipline tecnico-scientifiche ad essecorrelate. In questo senso, si vedrà in particolare in chemodo la nascita dell’ingegneria idraulica come idrodina-mica applicata nello Studio bolognese, verso la metà delXVII secolo, sia strettamente correlata alle plurisecolarivicende della bonifica del basso corso del Po a partire dalXII secolo. E proprio il Secolo dei Lumi, con la sua lim-pida propensione per la cultura analitica, ne indurrà lanascita della meccanica dei mezzi continui, oggi comu-nemente detta ‘fluidodinamica’, una delle sfide più entu-siasmanti e tuttora aperta dell’intero dominio della fisicateorica ed applicata.

Intento di questo excursus non sarà quindi solo quel-lo di rivisitare la problematica storica dell’opera dibonifica della bassa bolognese; tale rivisitazione verràcondotta soprattutto alla luce delle innovazioni tecni-

38

ASPETTI DELLA TRADIZIONE

SCIENTIFICO-TECNICA IDRAULICA

BOLOGNESE

GIOVANNI GOTTARDI, ANNALISA BUGINI,SONIA CAMPRINI, MARINA MANFERRARI

co-scientifiche che essa dettò ad alcuni tra i maggioriingegneri idraulici dell’intera storia italiana ed europea.Vedremo in sostanza come, nel corso di oltre due mil-lenni di storia e di tecniche la Bassa Padana, in partico-lare la regione compresa tra Bologna, Ferrara e Raven-na, giunse a costituire uno dei banchi di prova conti-nuativi di nuove discipline tecniche e scientifiche, inparticolare di quelle legate specificamente alle acque inmoto, sia nei loro aspetti applicativi, sia nei loro aspet-ti più prettamente teorici.

AQUÆ LUNGO LA VIA ÆMILIA

La regolamentazione, l’irregimentazione e il generalebuon regime delle acque del basso bacino del Po costi-tuirono, fin dall’antichità, uno degli aspetti economici eculturali di fondamentale importanza per lo sfruttamen-to agrario della piana bolognese,nonché per il suo progresso sociale,culturale e civile. Fin dal III secoloa.C., la generale fertilità delle terrecomprese tra l’Appennino, il MareAdriatico e il Po indusse infattiRoma ad intraprendervi quell’inten-sa opera di trasformazione del paesag-gio, in grado di moltiplicare la produ-zione agraria e di accogliere conse-guentemente quelle schiere di coloniche avrebbero costituito, insiemeall’elemento indigeno, una dellemassime risorse umane ed economi-che dell’intera storia romana.

Come conseguenza, la pianurabolognese1 e, in generale, la bassa pia-nura padana, era stata bonificata ingran parte in epoca romana: i grandiboschi che la ricoprivano e moltedelle paludi che verosimilmente lapunteggiavano erano stati mano a mano sostituiti daestensioni di campi coltivati, succedentisi in appezza-menti agricoli a perdita d’occhio, secondo reticoli per-pendicolari estremamente regolari, con la sistematicaapplicazione di quella centuriazione2 che, ancora in granparte visibile (o quanto meno individuabile) nella ripar-

tizione delle colture e degli appezzamenti agricoli di tuttala pianura padana, era destinata a segnare indelebilmen-te l’evoluzione storica del paesaggio agrario in tutta l’Ita-lia settentrionale.

In materia d’acque, la perizia romana aveva avuto unnotevole precedente nei sistemi di canalizzazione, ade-guati fin dall’epoca etrusca (VI sec. a.C.) alla necessità disalvare dall’interrimento alluvionale causato dal progre-dire del litorale adriatico verso Est, i rami del delta del Ponecessari alla navigazione3. Vestigia delle prime notevoliopere di canalizzazione e di sistemazione idraulica nellaBassa Padana si osservano tuttora nelle aerofotografie delterritorio circostante la città etrusca di Spina, nei pressidi Comacchio4. Ma rifacimenti e aperture di nuovi cana-li ebbero di certo luogo per tutto il periodo repubblicanoe per i primi secoli dell’impero.

La sistemazione data all’ultimo tratto del Po e al suodelta in epoca romana ci dà in effetti un’idea delle impo-

nenti opere idrauliche di cui il fiumeera stato oggetto5. Un sapiente siste-ma di canali (le fossae) assicurava laconnessione idroviaria tra il bacinodel Po e l’Adriatico, attraverso quellache all’epoca costituiva la laguna diRavenna. La rete delle fossae romaneaveva in realtà una duplice funzione:innanzi tutto, quella di costituireun’efficiente rete di idrovie, soprat-tutto per lo scambio di merci; oltre aciò, essa consentiva lo spurgo delleacque, sia di città come Ravenna,all’epoca lagunari, sia di città prossi-me a zone a vocazione palustre (comel’Ariminum romana).

Con la fondazione della sequenzadi città che avrebbe costituito il siste-ma degli oppida e dei municipia romanidella Via Aemilia6, anche i corsi d’ac-qua intercettati dalla nuova via ven-

nero debitamente regolati, eventualmente utilizzandonele relative acque a scopo di difesa e/o di approvvigiona-mento idrico per le città stesse. Con la stessa perizia concui i gromatices7 tracciarono quei gioielli di geodetica checostituirono la rete stradale italica (le Viae Aemilia, Aure-lia, Appia, Traiana e Popilia, la cui struttura di base, sor-

39 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Frontespizio - Giovanni Poleni, Demotu aquae mixto, libri duo, TypisIosephi Comini, Patavii, 1717; Bi-blioteca Universitaria di Bologna,Coll. A.IV.K.IX.7.

prendentemente rettilinea, talvolta per centinaia di chi-lometri, costituisce tuttora il nerbo del sistema viario checongiunge l’Adriatico e il Tirreno alle regioni pedemon-tane e montane di Alpi e Appennini), questi sorpren-denti geodeti ante litteram seppero anche valutare altitu-dini relative e pendenze medie in maniera tale da garan-tire all’insieme del bacino idrico del Po una sfruttabilitàper le esigenze irrigue, un’efficienza nelle reti di scolo euna stabilità nel tempo, quale la pianura padana in gene-rale, e la bassa pianura bolognese in particolare, nonavrebbero mai più conosciuto, dal Medioevo sino ai gior-ni nostri. Mediante il drenaggio e lo scolo delle acquepalustri della pianura, la rettificazione e l’arginatura deicorsi d’acqua, nonché la partizione interna delle areecosì bonificate8 i coloni provvidero, fin dall’epoca repub-blicana, alla prima bonifica su vasta scala della BassaPadana, secondo le direttive topografiche imposte dallacenturiazione. In particolare, la prima bonifica romanain Romagna partì, fin dal III secolo a.C., dal territorioriminese, procedendo secondo la direttiva Valle delConca-Valle del Marecchia-Fiume Savio-Fiume Ronco,frenata peraltro in quest’ultimo tratto dall’instabilitàidro-orografica dell’area tra questi racchiusa.

L’intensa opera parallela di disboscamento, ancoraattiva in epoca augustea, ovviamente condottaanch’essa secondo la direttrice dettata dalla Via Emi-lia, vide necessariamente la ricordata opera di bonificaparallela. A propria volta, questa segnò la prima,autentica rivoluzione ecologica per tutta l’Emilia e perla Romagna, dato che quello che fino ad allora erastata un’unica, immensa foresta divenne, nel volgeredi qualche secolo, quell’immensa campagna che avreb-be costituito un autentico punto di forza dell’interosistema economico romano. D’altra parte, le esigenzedemografiche dell’epoca non spinsero la deforestazio-ne oltre i limiti di guardia, mentre ampie zone acqui-trinose ed ampie paludi continuarono ad accompagna-re il corso dei fiumi principali, costituendo preziosevalvole di sfogo delle acque in regime di piena.

La perspicace opera idraulica, insieme naturale e inge-gneristica, che accompagnò una tale trasformazionesfruttava sapientemente tutta una rete di fossi e canali,sia naturali che artificiali, confluente nei maggiori corsid’acqua della Bassa: tra questi, nella regione compresatra Bologna e Ravenna, il torrente Samoggia, i fiumi

Reno e Savena, nonché i torrenti Idice e Quaderna,all’epoca affluenti dell’attuale Po di Primaro. Quest’ulti-mo, costituente all’epoca il ramo principale del fiume, asua volta, seguiva all’incirca il percorso dell’attuale Stra-da Statale 16 Adriatica fino ad Argenta, per proseguirequindi, seguendo l’attuale corso del Reno, fino alla foce.Il sistema idrico in tal modo congegnato risultava asse-condare al meglio le esigenze di scolo delle acque nellaregione. I corsi d’acqua coinvolti, in gran parte frutto delnaturale deflusso, raccoglievano comodamente le acquemontane in regime ordinario. In regime di piena, le loroacque presentavano una naturale tendenza ad esondareallagando, di norma in misura ampiamente accettabile,le pianure circostanti i rispettivi alvei. Il ritiro delleacque risultava in ogni caso estremamente agevole e lestesse, depositando il limo, contribuivano ad innalzare illivello medio delle aree inondate, rendendo mano amano più difficoltosa, nelle piene successive, la relativafuoriuscita dagli argini predisposti. In virtù della velocitàdelle acque incanalate, la pendenza dei corsi risultavainoltre tale da consentire l’autoescavazione del letto difiumi e torrenti, tale cioè da far sì che i corsi d’acqueinteressati non presentassero necessità alcuna di conti-nuo dragaggio del fondo.

Dal punto di vista strettamente geologico, con l’o-pera dei gromatici e degli ingegneri idraulici delle epo-che repubblicana e imperiale romana era stata garanti-ta la prosecuzione di quel circolo virtuoso, che avrebbeverosimilmente condotto, nel corso dei secoli il bassocorso del Po a trasformarsi lentamente in un altopia-no9, gli alvei dei cui corsi d’acqua avrebbero certorichiesto molte meno attenzioni e generato moltemeno apprensioni nelle popolazioni finitime di quellestoricamente occorse.

Quel che è certo è il fatto che la sistemazione agraria eidraulica in tal modo conseguita aveva portato, duranteil primo millennio dell’era cristiana, ad una sensibilebonifica della pianura bolognese, per progressiva colma-ta degli avvallamenti residui da parte del limo fluvialeesondato e depositato nel corso dei secoli.

Ora, nonostante sia giunta sino a noi l’opera sull’i-draulica di Frontino10, le scarsissime notizie in materia ditecnica di imbrigliamento e bonifica presenti in Plinio ilVecchio11, in Catone il Censore12, in Columella13, inVitruvio14 e nelle restanti, non molte opere superstiti

40Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

della letteratura tecnica latina in materia (opere che cioffrono invece un quadro straordinariamente vivo delletecniche romane di condotta idraulica), non ci consen-tono purtroppo di renderci conto appieno di come sipotesse giungere ad un’integrazione tanto sapiente ditecnica, ecologia ed economia del bacino naturale del Poe dei suoi vari affluenti15.

Relativamente meglio informati siamo invece sulsistema di canalizzazioni escogitato in epoca romanaper consentire una migliore navigabilità del Po,soprattutto nei pressi della foce, sistema che verosimil-mente, oltre a fungere da rete idroviaria, ebbe ancheun’importante funzione di regolamentazione delleacque padane. Stando a quanto afferma Plinio16, il Porisultava tranquillamente navigabile da Torino fino almare17, e già questo elemento suggerisce una sistema-zione ottimale dell’alveo e dei suoi fondali, soprattuttoin relazione alle vicissitudini che caratterizzeranno illetto del fiume nel XVI secolo e oltre.

Anche una descrizione molto sommaria delle tecno-logie di trattamento delle acque in epoca imperialeromana consente del resto di rendersi conto del patrimo-nio di conoscenze semi-empiriche che gli ingegneriidraulici di Roma trasmisero alle epoche successive18.Nel dettaglio, l’insieme di queste tecniche contemplavauna cifra tecnologica piuttosto ragguardevole, che risul-terà utile qui riassumere almeno per sommi capi.

Per quanto concerne le falde di acqua freatica: presedi sorgente, gallerie di drenaggio, escavazione di pozzi; equindi relativi dispositivi di estrazione: la leva, il verri-cello e la ruota a pedale. La tecnologia di condotta delleacque19 poteva realizzare acquedotti a tubazioni, canaliz-zazioni, doppie gallerie in roccia, acquedotti su arcate e,contrariamente a quanto comunemente si ritiene e sep-pure raramente e per brevi tratti, condotte forzate20. Gliimpianti di riserva idrica utilizzavano cisterne, dighe disbarramento e serbatoi in genere. Gli impianti di distri-buzione, oltre che contare sull’asporto manuale, poteva-no funzionare anche in allacciamento diretto alle con-dotte. Quanto allo sfruttamento dell’energia idraulica,abbiamo notizie di orologi ad acqua, organi musicaliidraulici, ruote idrauliche, mulini e pompe meccanichead acqua. Oltre a ciò, sussisteva una viva tecnologia diimpianti di scarico idrico.

La mancanza di una puntuale documentazione tec-

nica sugli accorgimenti individuati ed attuati in epocaromana per la regolamentazione polivalente delleacque nella Bassa Padana, non ci impedisce perciò diapprezzare pienamente il valore tecnologico, insitonell’efficienza raggiunta nella coeva sistemazione idri-ca del bacino del Po.

D’altra parte, sappiamo che almeno due notevolirisultati della futura scienza delle acque erano ben notiagli ingegneri romani, quanto meno a livello empirico.Il principio dei vasi comunicanti (coscientementeapplicato negli acquedotti che permettevano il passag-gio di una valle ad un livello inferiore a quello dei duebacini di raccordo agli estremi della valle), sostanzial-mente enunciato già in Vitruvio; inoltre, il fatto chequella che oggi diremmo la portata di una genericacondotta dipende dalla velocità dell’acqua, a sua voltadipendente dalla pendenza della condotta stessa(asserzioni presenti già in Frontino)21.

L’ingegneria romana era così destinata a lasciare trac-ce millenarie della propria opera nel paesaggio dellaBassa. Di fatto, una parte significativa della rete di scolodelle acque per uso irriguo utilizzata a tutt’oggi, coincidecon la rete di cardini e decumani concepita in epocaromana per le esigenze della centuriazione22, mentre lasistemazione del paesaggio agrario padano parla ancoraun linguaggio altamente geometrico23, sostanzialmentemutuato da quello concepito in epoca romana: segnoevidente del fatto che la relativa sistemazione risultavagià rispondere, forse in maniera pressoché ottimale, alladuplice esigenza di massimizzazione della produzioneagraria (almeno in relazione alle tecniche dell’epoca), difacilità di accesso delle acque per uso irriguo ai campi,nonché di velocità di scolo di quelle di drenaggio.

Alla caduta dell’impero, in epoca alto-medievale, lamodificazione dell’ambiente padano dovette procederemolto a rilento, quanto meno al di fuori delle areeormai urbanizzate. Sicuramente, le estensioni di terrecoltivate delineate in epoca romana non videro note-voli allargamenti, almeno fino al XII secolo. Comeconseguenza, il sistema idrico concepito in epoca roma-na, che non aveva intaccato in misura sostanziale learee di sfogo dei principali corsi d’acqua, formato dagolene naturali e forse anche artificiali, da rami secon-dari, dagli acquitrini e dalle zone paludose ancora vastea fare da casse di espansione, mostrava di reggere

41 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

sostanzialmente bene il complesso dei carichi di porta-ta del grande fiume e dei suoi irrequieti affluenti.

La stessa società economica uscita dalle invasionibarbariche vedeva un territorio ampiamente segnato dazone incolte, peraltro fondamentali all’importantedimensione silvo-pastorale dell’economia dell’epoca.Con ciò, pur soffrendo della secolare incuria, per lungotempo il sistema idrico padano di origine romana non siritrovò oggetto di carichi di portata al di fuori delle pro-prie possibilità di smaltimento.

Verosimilmente, i regimi di piena continuaronoanche nei secoli VI-XI ad esondare su grandi aree,risultando peraltro generalmente e ampiamente assor-biti dalle caratteristiche del paesaggio dell’epoca, arri-vando ben difficilmente ad invadere le zone pretta-mente agricole, e quasi mai i centri urbani; e non rile-viamo notizie di grandi e frequenti inondazioni nem-meno nelle cronache dell’epoca, che pure contempla-no un numero non disprezzabile di fonti narrative.

Come termine di confronto, nessuna delle eventualipiene del Po fino al XII secolo fu paragonabile alla disa-strosa rotta dell’Adige della fine del VI secolo che, aquanto pare, ne spostò drasticamente il corso24.

La ricordata coesistenza di un’economia silvo-pastorale (e la conseguente, necessaria dotazione diaree boschive e forestali), con quella agricola e leestensioni scarsamente alberate di questa, nonché conquella legata all’attività di pesca nelle zone paludose,costituì del resto un tratto comune un po’ a tutte legrandi pianure alluvionali nell’Europa dell’epoca giàdescritte, con felice espressione, come “più ricched’acqua che di terra”25.

L’efficiente quanto delicato equilibrio del sistemaidrico predisposto in epoca romana ebbe in ogni casobruscamente fine nel XII secolo. Due rotte successivedel Po in località Ficarolo, poco distante dalla con-fluenza con il Panaro, nel 1152 e nel 1192 (quest’ulti-ma, come si tramanda, di natura dolosa), consentironoal fiume di aprirsi una nuova strada verso il mare. Lagravità delle conseguenze di una tale risistemazione delletto del Po va individuata nel fatto che la nuova viaassorbì una sempre maggiore quantità d’acqua dal corsostorico del Po, originando i nuovi rami del Po Grande,del Po di Goro e del Po di Venezia. Col nuovo corso, ilfiume si apriva una via nettamente più breve verso il

mare, via che risultava per ciò stesso dotata di maggio-re pendenza media, decretando il conseguente depau-peramento idrico e il progressivo interrimento dell’an-tico corso del Po di Volano e di quello di Primaro.

La rotta di Ficarolo si rivelò la cartina al tornasoledel mutato regime economico a cui venne sottopostaun po’ tutta la pianura tra Reggio Emilia e il mare apartire dal XII secolo, quello stesso che ne determinòin misura notevole l’impossibilità di ripresa in epochesuccessive. A partire dal XII secolo, infatti, l’abbatti-mento di boschi sull’Appennino per fare spazio anuove colture, segnatamente i cereali, l’olivo e la vite,inizia ad un ritmo impressionante e fedele specchio nesono le cronache del tempo26. A partire da tale epoca,tutte le zone appenniniche più prossime alla pianura,poste ad occidente di Bologna e fin verso Parma vide-ro l’instaurarsi di un nuova colonizzazione che assunse,a tratti, i contorni di un intervento generalizzato, spes-so preordinato. In tutta l’Emilia, l’introduzione dellecoltivazioni cerealicole e vinicole, che mal tolleravanola presenza di aree boschive e palustri intermedie,videro un intervento sempre più marcato dell’uomosull’ambiente, che ne uscì ulteriormente, drasticamen-te e definitivamente modificato. Tra il XII e il XIIIsecolo può essere datata la definitiva scomparsa dellegrandi foreste padane in favore delle estensioni agra-rie, nonché l’inizio della conseguente, decisa contra-zione delle residue aree acquitrinose e palustri27. Mamentre le cronache dell’epoca ci consentono di segui-re il processo di modificazione del paesaggio agrario traParma e Modena, molto meno sappiamo per il trattopadano compreso tra Bologna e il mare, in particolarein relazione alla situazione idrogeologica conseguenteal disboscamento, verosimilmente caratterizzata da ungrave sconvolgimento idrico. Sappiamo però che ilproblema del Reno e del Po e della necessità di difen-dersi dalle loro inondazioni si pose in maniera decisaproprio a partire dal XII secolo.

Con la rotta di Ficarolo, che segnava l’inizio dell’a-gonia idrica del vecchio corso del Po, si determinavaquel disordine idraulico, che avrebbe caratterizzato labassa pianura bolognese e ferrarese per tutta l’etàmoderna e oltre. L’instaurarsi del fenomeno di interri-mento deciso dell’antico corso del Po, durato per quat-tro secoli e tuttora in atto, segnò la fine della conviven-

42Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

za relativamente pacifica delle popolazioni della bassapianura padana con il grande fiume. Gli antichiaffluenti di destra del Po, rimasti orfani del loro princi-pale alveo di sfogo, avrebbero ben presto allungato aloro volta il proprio corso per dirigersi autonomamenteverso il mare, diminuendo drasticamente la propriapendenza media, continuando peraltro a recare a valletonnellate e tonnellate di detriti, diretta conseguenzadella friabilità dei terreni attraversati.

A valle, con una corrente ormai troppo lenta, gli alveifluviali di raccolta si sarebbero prestati a loro volta alfenomeno di interrimento, per inevitabile decantazionedel particolato in sospensione, divenendo puntualmentead ogni piena sempre più pericolosi, per la conseguente,insufficiente portata dei nuovi alvei e per la scarsa tenu-ta dei nuovi argini. Le acque, non più trattenute, sareb-bero ben presto rifluite nella pianura, invadendo nuova-mente di paludi regioni fino a pochi secoli prima fertilis-sime, spesso sottratte all’acqua con enormi costi econo-mici e sociali, fagocitando in tal modo prezioso spaziovitale all’agricoltura e alla vita civile ed economica diuna regione che, con la propria crescita demografica el’occupazione sempre più decisa di zone finitime ai corsid’acqua, avrebbe iniziato una contesa disperata e senzaquartiere alle sempre più frequenti acque di inondazione.

La lotta millenaria contro la maestà del GrandeFiume, a volte nella premura di assecondarla, altre voltenella necessità di contrastarla, innescatasi con la voca-zione agricola della regione a scapito di quella in regimemisto agrario e silvo-pastorale, era iniziata nella manierapiù repentina e drammatica. Con essa si sarebbe anchedeterminata, sempre più impellente, la necessità didisporre delle tecniche e degli strumenti culturali, neces-sari per cercare di guardare a quella stessa maestà e allasua apparente imprevedibilità con la maggior confidenzae la minor sudditanza possibili.

DAL QUATTROCENTO AL SEICENTO: L’INGEGNERIA

IDRAULICA ITALIANA TRA LE PREMESSE DEL

RINASCIMENTO CIVILE ED ECONOMICO

In tutta Europa andavano a mano a mano spegnendo-si i clamori delle ultime, miserrime Crociate, impietosefoglie di fico a mascherare gli ampi squarci che le eresie

avevano aperto nell’ormai definitivamente perdutaunità religiosa e spirituale europea. Questa unità, nel girodi qualche decennio, sarebbe letteralmente deflagrata,percorrendo l’intero continente con il suo carico dirivendicazioni, rivoluzioni e tragiche devastazioni. L’Ita-lia intanto conosceva un’epoca di progresso civile e cul-turale, che il seguito delle sue vicende storico-politicheavrebbe, al contrario, finito per negare. Il Rinascimentoitaliano è, in particolare, anche l’epoca in cui le grandiopere tecnico-scientifiche del pensiero greco ed elleni-stico iniziano a farsi strada nei sempre più numerosiStudi disseminati nella penisola e la cui tradizione, ormaigià plurisecolare, guarda con sempre maggior interesseall’uomo e alle necessità del suo quotidiano.

Archimede ed Erone soppiantano a mano a mano l’e-sclusivo interesse per Platone, Aristotele e la filosofia

43 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Tavola di frontespizio - Benedetto Castelli, Della misura del-l’acque correnti, 3a ed. accresciuta del Secondo Libro, per gliHH. del Dozza, Bologna, 1660; Biblioteca Universitaria di Bo-logna, Coll. A.IV.K.XI.15.

peripatetica in genere; Euclide soppianta definitiva-mente Cassiodoro, inizia a cedere l’ormai tradizionalesuddivisione del sapere nelle sette artes liberales, mentrele lezioni universitarie si arricchiscono dei temi suggeri-ti dalle necessità stringenti di un’esistenza ormai anchecompiaciutamente terrena. Alla cultura uscita dallarivoluzione umanista si richiedono sempre meno com-petenze in materia di vita eterna, sempre maggiori emigliori risposte in merito alla prassi dell’agire dell’uo-mo in rapporto alle sue necessità, sempre maggioriconoscenze applicative, sempre meno onnisciente reto-rica, ancor meno autoreferenziale dialettica.

La tecnica può allora iniziare il suo corso autonomo,dapprima strettamente correlata con l’arte, in particola-re con l’architettura, e quindi insieme alle altre discipli-ne matematiche. Affrancata dalle necessità di una logi-ca e di una dialettica già vacuamente volte alla più stre-nua difesa della verità rivelata, in dissanguante quantosterile confronto con la tradizione religiosa del VicinoOriente, la filosofia dell’Occidente cristiano inizia aguardare al corpo, alla macchina, al meccanismo e allameccanica, alla ponderabilità e al moto. Ci si rendeormai conto che questi elementi, divenuti oggetti diuno studio nuovo ed attento, possono far capire il mododi attenuare le pestilenze, rendere accettabili le primeesplosioni demografiche, scovare risorse fin lì impensatein terre nuove o inimmaginate.

Gli arsenali, l’imprenditoria e l’artigianalità dei can-tieri edili, navali e fluviali28 divengono le autentichefucine delle nuove idee e del nuovo sapere, ben lontanodelle stantie biblioteche che ancora arroccavano nelleabbazie, nei conventi e nei monasteri un sapere tantoprezioso quanto ormai vecchio, logoro e lacero. Quellestesse biblioteche che si sarebbero comunque rivelatepreziose per il reperimento di importanti manuali tecni-ci dell’antichità. Sotto la spinta delle nuove idee, lamatematica iniziava poi quel percorso che l’avrebbecondotta a generare le discipline di contatto tra sé e ilmondo della tecnica, quel mondo che per vocazioneintrinseca plasmava da sé gli oggetti del proprio studio edel proprio pensiero, in ciò lasciandosi definitivamentealle spalle anche il modello greco della pura astrazionelogico-deduttiva.

Dal punto di vista economico, il tramonto dellaciviltà marinara e comunale aveva fatalmente condotto

la penisola a divenire un terreno di permanente scontrotra signorie locali per la supremazia, amministrativa-mente floride, politicamente intricate e intriganti, masocialmente avanzate e, soprattutto, caratterizzate da unmecenatismo ineguagliato. Forse mai, prima di allora,nella storia del mondo occidentale si rivelò tanto strettoil rapporto tra l’esercizio del potere e l’organizzazioneculturale del suo consenso. La vita di quelle corti, lapolitica economica su cui si reggevano, i lauti compensia filosofi ed artisti di ogni tipo e il costo materiale dellestesse opere d’arte o di parola esigeva però continueimmissioni di denaro, e la garanzia di strutture economi-che in grado di favorire la produzione di ricchezza neces-saria. La seconda metà del Cinquecento vide così,anche sotto l’azione delle prime decise pressioni demo-grafiche, la necessità di ingrandire gli spazi economici,diversificandoli da quelli di natura prettamente mercan-tile, caratterizzati da una notevole alea e necessitanti (sipensi ai dominii extraitalici della Repubblica di Vene-zia) di una dispendiosissima rete di basi di scalo e di traf-fico delle merci.

La nuova frontiera dell’Italia e delle signorie politico-economiche che la frammentavano divenne allora lasolida terra, fonte di investimento sicuro nel medio e nellungo periodo, con margini di guadagno certo inferiori ainotevoli lucri che caratterizzavano le attività mercantili,ma anche con rischi enormemente più bassi. Così, perquanto la terra in proprietà offrisse margini di guadagnopiù ridotti, essa finì per costituire l’autentica spina dorsa-le di tutto un insieme di attività economiche che, sog-gette all’incertezza dei mercati e dei traffici, potevanoperò reperire nel suo sfruttamento gran parte dei capitalinecessari al proprio finanziamento. Un mondo economi-co, quello del Rinascimento nella penisola, che avevanel contempo imparato anche a diffidare conveniente-mente dell’alea che accompagnava gli investimenti ban-cari alle imprese dei grandi sovrani (si pensi ai ripetutifallimenti delle grandi compagnie finanziarie nei duesecoli precedenti), un mondo che certo non disdegnaval’accumulazione veloce di grandi capitali, ma che teoriz-zava ormai la pratica filosofica della buona contabilitàcome prassi operativa. Non a caso ad uno dei grandimatematici di quest’epoca, Luca Pacioli (Luca di BorgoSan Sepolcro, 1445-1515 ca.), l’autore (tra l’altro) delDe divina proportione, spetta anche il merito di aver intro-

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dotto, in via definitiva, il sistema di registrazione dientrate e uscite, oggi noto alle discipline contabili come‘partita doppia’29.

Così, mentre gli investimenti di capitali si diversifica-vano, mentre le nuove ville di campagna iniziavano acontendere ai palazzi di città il ruolo di simbolo di deco-ro e di rappresentanza, l’imprenditoria locale sentiva inmaniera pungente la pressione delle nuove esigenze eco-nomiche. In particolare, la riscoperta economica dell’en-troterra, con la sua insistente richiesta di stabilità nellaresa degli investimenti effettuati, mal tollerava i rischi egli effetti di grande impaludamento che oltre due secolidi gestione idrografica malaccorta (se non proprio diincuria) avevano imposto, tra il XII e il XV secolo, allabassa pianura compresa tra Bologna e Ferrara.

Frattanto, la necessità di disporre di nuove estensioniagrarie portava con sé anche quella di facilitare il colle-gamento tra le attività di terra e quelle di mare. In altritermini, la necessità di nuove bonifiche si andava spo-sando a quella di rendere navigabili fiumi e canali. Così,la riconversione degli investimenti nelle attività agricolefavorì, nella pianura padana in generale e in quellaorientale in particolare, sia la ripresa decisa delle iniziati-ve e dei tentativi di bonifica di vaste estensioni territo-riali, sia quella di ridefinizione delle vie nautiche dicomunicazione.

L’entità degli investimenti necessari al recupero delleestensioni agrarie che il Po e i suoi antichi e nuoviaffluenti avevano sottratto all’agricoltura padana costituìcertamente uno degli elementi di radicale novità per ilmondo economico che andava preparandosi e, mutatismutandis, non solo in Italia. All’epoca in cui queste esi-genze si presentavano nella pianura padana, analogheiniziative di bonifica di vaste estensioni territoriali veni-vano intraprese in gran parte d’Europa, ovunque ungrande fiume offrisse, spesso poco distante dalle porte diuna capitale, o addirittura nelle sue stesse parrocchie, laconvenienza ad intervenire per la bonifica di zone citta-dine o extracittadine, destinate comunque ad entrare (oa rientrare) nel paesaggio rurale della città.

Questo fervore di interessi economici e culturali perl’ingegneria idraulica, che contagiava nello stesso tempoun po’ tutte le grandi corti europee, presenta un suo inte-resse specifico anche in relazione all’ambito tematico egeografico che ci siamo proposti, dato che segna una

decisa preminenza dell’opera degli ingegneri provenientidai vari staterelli italiani: un’opera che finisce inevitabil-mente per vedere le Università al centro della produzio-ne culturale della Penisola in materia d’acque, influen-zando la nascita di quelle tecniche idrauliche, che segne-ranno profondamente la vita successiva delle più impor-tanti città europee.

Basterà a questo proposito citare anzitutto l’interven-to di bonifica delle paludi che il Tamigi formava, ancoranel XVI secolo, alle porte di Londra e all’interno dellacittà stessa (parrocchie di Erith, Lenses e Plumstead). Fuproprio un ingegnere italiano, molto più noto alla storiae alla cultura come filosofo, il trentino Jacopo Aconcio(1492?-1566/1567), l’ideatore30 ed attuatore del primopiano operativo (1565-1566) di bonifica sistematicadella città, opera che continuò secondo le direttive delgrande filosofo e ingegnere anche dopo la sua prematurascomparsa. Non è certo azzardato affermare che l’aspettodi Londra ne fu profondamente modificato, e che pro-prio questa bonifica avviò in definitiva la capitale ingle-se ad una sistemazione urbanistica ben più consona alsuo ruolo effettivo e alle sue future aspirazioni.

Ma l’estrema perizia raggiunta dagli ingegneri italianidell’epoca nella regolamentazione delle acque è altret-tanto ben testimoniata dalla figura del cremonese Gia-nello Turriano (1500-1585)31, ingegnere personale diCarlo V, da questi ingaggiato al proprio servizio in occa-sione della propria incoronazione (1530) ad imperatorea Bologna, ad opera di Clemente VII (1478-1534, papadal 1523). Tra il 1569 e il 1581, il Turriano progettòquello che rimane negli annali della storia della tecnolo-gia come l’autentico gioiello dell’intera ingegneria idrau-lica rinascimentale: il sistema di pompaggio dell’acquadel Tago, resosi necessario per soddisfare le rinnovate esi-genze idriche della città di Toledo. L’impianto idraulico,ammirato in tutta Europa, realizzato completamente inpietra, legno e ferro, funzionò ininterrottamente percirca un secolo, sollevando quotidianamente, ad un’al-tezza di quasi 100 metri dall’invaso di raccolta, qualcosacome 16.000 litri d’acqua, pescata lungo un fronte di 600metri. L’energia necessaria al processo veniva fornita dauna ruota a pale, azionata dalla corrente stessa del fiume.

Questi ed altri personaggi, alcuni dei quali verrannoincontrati anche nel corso di questo lavoro, sono oggiforse scarsamente noti rispetto ai loro effettivi meriti

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ingegneristici; ma segnano, in effetti,tutta la storia della tecnologia, cheinevitabilmente dirama dalle cortieuropee del XVI e XVII secolo, pro-ponendosi come indizio evidente delfatto che l’ingegneria idraulica nell’I-talia del tempo, pur non derivandoancora da una scuola specifica, dispo-neva di un bagaglio di conoscenze esoprattutto degli strumenti culturalinecessari per affrontare i problemitecnici (talvolta davvero formidabili)che andavano ponendosi, in modo dacollocarsi sempre e comunque all’a-vanguardia nell’ambito della tecnolo-gia idraulica dell’epoca.

In ragione delle mutate esigenzeeconomiche e strutturali, l’arte dellaregolamentazione delle acque, sia insede di imbrigliamento a scopo dibonifica sia in sede di irregimentazio-ne a scopo di approvvigionamentoidrico e di irrigazione conobbe, nell’I-talia rinascimentale e post-rinascimentale, una fortunatanto meritata quanto improvvisa. È quindi importantenotare come il percorso empirico della nuova scienzaidraulica dati ad almeno un secolo e mezzo prima che ilparadigma scientifico galileiano-newtoniano si aprissedefinitivamente la strada nel nuovo mondo culturale;quello stesso mondo culturale che la penisola finì perimporre al Vecchio Mondo. Non fu raro il caso di archi-tetti, che nella storia dell’arte occupano tutt’oggi unruolo importante – fino all’opera di Leonardo da Vinci(1452-1519), acutamente intuitiva ma priva del suppor-to tecnologico che le avrebbe permesso di anticipare disvariati decenni progressi e realizzazioni – i quali, in quel-l’epoca straordinaria che fu il Rinascimento italiano,dedicarono il loro ingegno ed ampi periodi della propriaattività all’ingegneria idraulica32.

Più in dettaglio, l’interesse degli architetti rinasci-mentali per le tematiche idrauliche connesse con ilcorso del Po può essere fatto risalire almeno all’opera diFilippo Brunelleschi (1377-1446). Nel 1431 la suaopera è documentata a Staggia, dove il grande architet-to fu impegnato in progetti relativi ad impianti di dighe

sul Po; compiti simili lo videro all’o-pera anche l’anno successivo a Ferra-ra e nel 1436, su incarico della stessaSignoria di Firenze, a Mantova dove,secondo la testimonianza del Vasari,“… diede disegni di fare argini in sulPo l’anno 1445”33.

I grandi fiumi italiani, l’Arno e ilTevere dapprima, e il Po subito dopo,pur piccoli rispetto a quelli di altrecittà europee, divennero così il bancodi prova della nascente fisica idrauli-ca, quella stessa che come si vedrà,dopo la pubblicazione delle opere diJohann e Daniel Bernoulli34, di JeanBaptiste le Rond d’Alembert35 e diLeonhard Euler36 nella prima metàdel XVII secolo, passerà alla storiadelle scienze come la nuova disciplinadell’idrodinamica o, con termine tec-nicamente più attuale ed evoluto,della fluidodinamica.

L’ingegneria idraulica rinascimen-tale si trovò evidentemente a concentrarsi su due distin-ti ordini di problemi: in primo luogo, le opere di canaliz-zazione e di navigabilità, le cosiddette “vie d’acqua”, oidrovie, spesso adattate al duplice scopo di deflusso delleacque e di sistemi di trasporto via acqua; accanto a ciò, leopere volte principalmente al prosciugamento e allabonifica, o specificamente dirette al recupero agrario dizone altrimenti improduttive o scarsamente produttive.In entrambi i casi si trattava di tematiche particolarmen-te importanti nelle economie di quasi tutti i maggioristati dell’Europa del tempo: dalla Germania alla Francia,dai Paesi Bassi alle Fiandre e all’Inghilterra.

Ma mentre la costituzione di vie d’acqua37 fu un obiet-tivo di tutte le nazioni europee, al quale tesero i miglioriingegneri, escogitando soluzioni validissime di problemitecnici – comuni a tutto il continente – , il caso italiano,relativamente alle bonifiche, può dirsi particolare.

Grandi protagonisti storici delle opere di bonifica e disottrazione alle acque di terre per uso agricolo furononaturalmente i Paesi Bassi, impegnati fin dalla primametà del XVI secolo in un vasto programma di recuperodi terre per prosciugamento progressivo dei numerosi

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Frontespizio - Galileo Galilei, Discorsoal Serenissimo Don Cosimo II Gran du-ca di Toscana intorno alle cose, chestanno sù l’Acqua, ò che in quella simuovono, per gli H.H. del Dozza, Bolo-gna, 1655; Fondo antico DISTARTdella Facoltà di Ingegneria dell’Univer-sità di Bologna, Inv. n. 1378.

laghi interni, all’epoca esistenti a nord di Haarlem. Atale opera è legato, tra gli altri, il nome di Stevino(Simon Stevin, 1548-1620), che proprio in relazione adessa ottenne il brevetto del suo geniale sistema di adatta-mento del tradizionale mulino olandese per operazioni didrenaggio, sistema che utilizzava un semplice meccani-smo a cremagliera per trasmettere il moto rotatorio oriz-zontale fornito dalle pale al sistema di pescaggio dell’ac-qua, disposto verticalmente.

Anche in Italia, ovviamente, il problema del recuperodi terre dalle acque fu affrontato in stretta relazione allastruttura geografica del territorio. Uno sguardo attentoalla struttura idro-orografica della penisola aiuta però acapire l’elemento cruciale di diversità: trattandosi di unapenisola stretta, percorsa da una lunga catena montuosacome quella degli Appennini, e fronteggiata a nord dauna catena altrettanto lunga e mediamente molto piùalta come quella delle Alpi, le sue zone pianeggiantisono necessariamente a tiro diretto del corso di fiumi etorrenti, che si riversano a valle con pendenza considere-vole. Ne consegue che le relative acque trasportano ingenere notevoli cumuli di detriti fangosi, che inevitabil-mente tendono a depositarsi per decantazione, dalmomento stesso in cui la presenza della pianura lecostringe ad un deflusso molto più lento. E tutto ciòrende necessariamente instabile i relativi alvei.

In altri termini, l’imbrigliamento e la sistemazione delletto di fiumi e torrenti risultava essere in Italia il puntocruciale di qualsiasi opera di bonifica. In definitiva, men-tre nei pressi del Mare del Nord il problema della bonifi-ca si riduceva, dal punto di vista strettamente fisico, adun problema di idrostatica applicata (si ripensi ai laghiinterni dei Paesi Bassi, caratterizzati ovviamente daacque sostanzialmente statiche), nel caso dell’Italiaentrava direttamente in gioco la variabile ‘velocità’ delleacque, così da rendere i problemi tecnici assolutamentepeculiari nel contesto europeo; in definitiva, a ben vede-re, il problema delle bonifiche si pose fin dall’inizio comeun problema di fluidodinamica, costringendo i tecnici amisurarsi continuamente con le questioni legate al motodelle acque imbrigliate in canalizzazioni.

Non parrà quindi certamente un caso se il salto diqualità delle tecniche idrauliche, quello che porterà allanascita della dinamica dei fluidi come disciplina fisico-ingegeneristica, si ebbe proprio con l’innesto della filoso-

fia galileiana del moto sul tronco delle conoscenze diidraulica, ormai stabilmente acquisite in ambito pada-no. Tale innesto poté logicamente avvenire infatti soloa valle delle numerose conoscenze empiriche e operati-ve accumulate nei secoli tra l’età dei Comuni e il Rina-scimento da organizzazioni e corporazioni specializzate;tra queste, nella Bassa Padana, gli acquaroli di Roma-gna, i cavarzellari di Ferrara, i cavarzerani del Polesine, ilavorieri del Po.

Ma le conoscenze tecniche acquisite costituiscono dinorma un centro di attrazione per i capitali d’investi-mento. Accanto a queste corporazioni, ai battifanghi, aigiudici di argine, alle magistrature idrauliche ed a variealtre organizzazioni correlate, nel corso del Cinquecentosi afferma la figura specifica del ‘bonificatore’, di solitoun privato che dispone di capitali (ad esempio un pro-prietario terriero), e che impianta un’attività di traspa-rente speculazione sui terreni da bonificare: ad esempio,il diritto di sfruttamento agricolo, o di vendita delle terrebonificate, contro una percentuale delle terre stesse dariservare o da corrispondersi al signore locale, o in basead altri contratti di questo tipo38. L’ingresso del capitaleprivato nelle opere di bonifica concorse così per la suaparte ad affrancare l’ingegneria dalla sua sudditanza conil modello rinascimentale dell’artista-ingegnere, inne-stando un elemento di radicale novità rispetto alla dia-lettica tra il signore-mecenate e l’artista-camaleonte. Inparticolare, l’ingegneria idraulica inizia con ciò un decisocammino di riformulazione della professione, camminofatto di superamento delle nozioni, del sistema di cono-scenze e del linguaggio espressivo; in sostanza, di tuttoquello che ancora si poneva come sostanziale ereditàdella tradizione antica.

L’affrancamento dell’ingegneria (in particolare, diquella idraulica) dal modello vitruviano passò cosìinnanzi tutto attraverso una modifica profonda delleinterrelazioni tra il linguaggio espressivo e gli oggettidella tecnica di supporto. Tale linguaggio, che per tutto ilRinascimento e almeno fino a Leonardo da Vinci39 rima-se sostanzialmente limitato al disegno, iniziò ad appro-priarsi sempre più dell’universo simbolico della matema-tica40. L’ingresso dell’algebra nelle opere degli ingegneriidraulici verso la fine del Rinascimento costituisce di persé una questione di fondamentale importanza dal puntodi vista della storia della scienza: per la prima volta dal-

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l’età aurea dell’era ellenistica (si pensi allo stretto con-nubio dell’opera archimedea con le necessità della cittàdi Siracusa, o alle strette connessioni del Museo alessan-drino con le esigenze del potere politico dei Tolomei),emerge una figura nuova per tutto il contesto culturaleeuropeo: quella del matematico-ingegnere.

Lo sviluppo di tale percorso è segnato innanzi tuttodal nome del grande matematico bresciano NiccolòTartaglia (1499 ca.-1557), traduttore (1543) in latinodel I libro di Archimede Sui galleggianti, nonché ricerca-tore attivo delle modalità di recupero di navigli affonda-ti41 su bassi fondali: nel 1551 lo stesso Tartaglia pubbli-cava a Venezia un’operetta tecnica in materia, La trava-gliata inventione, presentata come addendum al II librodell’opera archimedea (De insidientibus aquae, nella ver-sione di Tartaglia).

Possiamo anche individuare, come punto intermediodel processo, l’importante opera di raccordo effettuatadal medico, matematico e filosofo Girolamo Cardano(1501-1576), nel VI capitolo del suo De rerum varietate(1557), intitolato Acquae natura & genera, ac motus.Qui Cardano, proprio nell’intento di stabilire la ragionedei moti delle acque, utilizza la terminologia e i disegnitipici del linguaggio artistico, accanto all’approccio piùstrettamente matematico-filosofico, con la ricerca dellecause dei fenomeni e delle relazioni tra le grandezze inesame42. Il percorso storico del processo si completa conla pubblicazione (1628) del Della misura dell’acque cor-renti di Benedetto (Antonio) Castelli (1577/78-1643)43,abate benedettino, allievo di Galileo e coraggiosamenteal fianco di questi anche nei difficili giorni dell’Inquisi-zione. Proprio quest’ultima opera segna l’atto di nascitadell’ingegneria idraulica, intesa come disciplina stretta-mente fisico-matematica.

Ma tra questi due limiti temporali, la partecipazionedi ingegneri e architetti idraulici (pur con i limiti didefinizione che tali professioni comportano ancora pertutto il Cinquecento e almeno per la prima metà delSeicento), soprattutto ai progetti e alle iniziative relati-ve alla bonifica di zone paludose fu davvero intensa.

La cospicua opera ingegneristica di architetti come ilveneziano Cristoforo Sabbadino (1496-1560)44, il vene-ziano-ferrarese Silvio Belli (?-1579 ca.) e il ferrareseGiovan Battista Aleotti45, di imprenditori di bonifiche,come il veneziano Alvise Cornaro (1475-1566), di filo-

sofi, come il ferrarese Francesco Patrizi (1529-1597), dimatematici, come il domenicano Egnazio Danti46, pro-fessore di matematica allo Studio di Bologna, e il giàricordato Benedetto (Antonio) Castelli, professore dimatematica presso gli Studi di Pisa e di Roma; nonchédel gesuita, filosofo e matematico Niccolò Cabeo(1586-1660), professore negli Studi di Ferrara, Mantovae Modena, tutti profondi cultori dei temi legati all’inge-gneria delle acque, finì indubbiamente per costituireuno dei tratti salienti della proposta culturale e civiledel Rinascimento italiano e dell’epoca immediatamentesuccessiva. Alcuni di questi nomi rimarranno indissolu-bilmente legati alla secolare contesa tra Bologna e Fer-rara sul corso del Reno. Ad esempio quello di Danti, cheproprio a Bologna formulò, su preciso incarico di Grego-rio XIII (Ugo Boncompagni, 1502-1585, papa dal 1572)un preciso progetto per ricondurre il Reno nel Po Gran-de; o quello di Giovan Battista Aleotti che, in veste diarchitetto e ingegnere del Municipio ferrarese, si battéstrenuamente per la difesa della campagna dalle acquedel Reno e contro il velleitario progetto pontificio diridare navigabilità al Po di Ferrara.

SUCCESSI E FALLIMENTI NEI TENTATIVI

DI IRREGIMENTAZIONE D’ACQUE E DI BONIFICA

NELLA PIANURA PADANA TRA BOLOGNA E FERRARA: UN NODO TECNOLOGICO E CONOSCITIVO, DALL’ETÀ

DEI COMUNI A QUELLA DEI LUMI

Si è già visto come, dopo le grandi opere ingegneristi-che di epoca romana e i sistematici interventi di bonifi-ca effettuati nella prima epoca medievale (spesso, daimonaci benedettini) un po’ in tutta la pianura47 la solle-citazione, dovuta ad eventi spesso disastrosi, come ledue rotte di Ficarolo e l’instaurarsi del nuovo corso delPo, imponesse definitivamente in età comunale lanecessità di una nuova tecnologia idraulica, tanto osse-quiosa dei dettami degli antichi, quanto pronta all’os-servazione indipendente, tenacemente abbarbicata allarealtà quotidiana dei problemi d’acque.

A partire dal XII secolo andarono ad esempio molti-plicandosi, soprattutto in Lombardia (come del resto intutto il Nord Europa48), i lavori di scavo per l’apertura dicanali di navigazione. La stessa città di Bologna siattivò, verso la fine del XII secolo, con la progettazione

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e soprattutto la successiva realizza-zione del canale di Reno, dalla Chiu-sa di Casalecchio fino all’internodella città. Quest’opera, che senz’al-tro merita di essere collocata tra lerealizzazioni più significative dell’ar-chitettura idraulica medievale49,costituiva il logico sviluppo delleaspirazioni cittadine a disporre diuna via d’acqua di collegamento conl’Adriatico. La naturale via di comu-nicazione, costituita fin dall’epocaromana dai tratti di palude che sisusseguivano lungo la Via Emilia,giungendo fino in Romagna, erainfatti ormai da ritenersi perduta findagli inizi del XII secolo, quando lacontinua arginatura e l’incanala-mento delle acque di scolo, avevaconvertito in terreno solido e pro-duttivo ampie estensioni di terreno,comprese tra il corso del Po e la città.

Naturalmente, tale opera di bonifica e prosciuga-mento aveva consentito lo sviluppo di un’agricolturamolto più redditizia, basata sulla vite e sui cereali, colti-vazioni che esigevano terra solida su cui crescere, e cheda allora avrebbero caratterizzato per i secoli a venire ilpaesaggio agrario della Bassa bolognese. Il Medioevovide conseguentemente in tutta la regione l’investi-mento di considerevoli capitali finanziari e di una note-vole quantità di manodopera nella lotta contro le inon-dazioni dei fiumi e il rigurgito delle paludi; una lottache, proprio per il considerevole successo ottenuto,segnò l’allontanamento drastico di Bologna da quellache era stata fin dall’epoca romana la sua naturale viadi collegamento col Po e con l’Adriatico. Consideratala realizzazione di un canale artificiale come unica solu-zione praticabile, la città dette dunque corso (forse nel1191), alla ricordata realizzazione del canale di Reno.Una volta in città, superata l’ultima cerchia di mura, lanuova via d’acqua si scaricava in un vecchio alveo, inseguito denominato ‘Cavaticcio’, proseguendo percirca 6 chilometri oltre Corticella, prima di reincontra-re l’antica rete di canali, in grado di garantire il suo pro-seguimento fino al mare. Scopo della grande chiusa di

Casalecchio era proprio quello diincanalare parte del corso del Reno,frenando nel contempo l’impetodelle sue acque, eccessivamente peri-coloso per la navigazione. Comenoto, il canale proseguiva, a partiredalla chiusa, con un tratto pensile,formato da archi in muratura, inmodo da superare un tratto collinarein contropendenza: una coscienteapplicazione delle tecniche di con-dotta già note in epoca romana.

Il canale di Reno costituì peraltrosolo il primo dei numerosi interventicittadini, volti allo sfruttamentodelle risorse idriche del territorio50.Nel secolo successivo la città finanziòad esempio lo scavo del canale che,alimentato dalle acque dello stessocanale di Reno in uscita dalla cittàgarantiva, facendo ricorso ad unaserie di chiuse a partire da Porta

Lame, un collegamento navigabile fino all’antico portodi Corticella.51 La fondamentale importanza economicadella nuova via d’acqua per la città indusse Giovanni IIBentivoglio (1443-1508), a rinsaldare (1490) l’operacon opportuni lavori di sostegno, soprattutto nei pressidi Porta Galliera. È qui che compare nelle cronachedelle opere cittadine il primo nome di progettista,distinto dall’opera delle maestranze: si tratta di PietroBrambilla, all’epoca architetto del duca di MilanoLudovico Maria Sforza (detto “il Moro”, 1452-1508).

Di quest’epoca è anche l’opera del grande AristoteleFioravanti52, figura dell’ingegneria e dell’architetturaidraulica bolognese, dalla fama quasi leggendaria,anch’egli per lungo tempo al servizio della signoria mila-nese. Si tratta di una delle prime figure di ingegnere earchitetto, la cui opera vanti un tratto di internaziona-lità assolutamente europea (fu, tra l’altro, anche al ser-vizio delle corti di Budapest e di Mosca). Sua fu la rea-lizzazione (1465) del canale del Crostolo, tra le città diParma e di Reggio Emilia, mentre una sua partecipazio-ne è attestata anche nella costruzione del canale diCento (il cosiddetto ‘Canalino’). Inoltre, nel 1470 ilMunicipio di San Giovanni in Persiceto gli affidò la

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Frontespizio - Benedetto Castelli, Del-la misura dell’acque correnti, 3a ed.accresciuta del Secondo Libro, per gliHH. del Dozza, Bologna, 1660; Bi-blioteca Universitaria di Bologna,Coll. A.IV.K.XI.15.

costruzione di un canale di 1.100 pertiche (circa 42km), destinato a condurre le acque ai mulini di Cento53.

E una menzione merita anche l’opera bolognese diJacopo Barozzi54 (detto “il Vignola”, 1507-1573), archi-tetto personale di papa Paolo III (Alessandro Farnese,1468-1549, papa dal 1534). Al Vignola la città di Bolo-gna affidò (1548) il ripristino del Navile, nel tratto dicanale che congiungeva Porta Lame a Corticella, con lacostruzione del primo porto interno alle mura cittadine.Quest’opera comportò, in particolare, la realizzazione ditre conche di chiusa in successione, di forma ovale, lun-ghe 30,5 metri, larghe 7,5 metri al centro e 3,5 metri alleporte55. A loro volta, queste ultime erano del tipo a duebattenti ad angolo controcorrente, secondo il modello asuo tempo proposto (1492) da Leonardo da Vinci (alquale va attribuita l’invenzione del meccanismo56, unadelle conquiste fondamentali della tecnologia idraulica),per la navigazione nel Naviglio Interno milanese.

Quanto alla città di Ferrara, sappiamo invece benpoco delle opere di ingegneria idraulica, che pure in cittàcertamente occorsero per tutto il Medioevo. A partiredal XV secolo siamo però a conoscenza di una serie diopere di arginatura del Po e di bonifica delle estensionipaludose limitrofe alla città, per immissione nel Po diPrimaro di vari affluenti appenninici, con il progetto(intorno alla metà del secolo) di chiudere la diramazionedel Po di Volano, in modo da obbligare il flusso della cor-rente a deviare verso il Po di Primaro, così da renderequest’ultimo nuovamente adatto alla navigazione.

Le mutate esigenze economiche e demografiche del-l’Italia nel tardo Medioevo avevano però reso indispen-sabile, oltre alla realizzazione di opere di navigazioneinterna, un’opera di bonifica che coinvolgeva necessa-riamente l’intera pianura emiliana, a cominciare dalcorso del Po che interessava le zone immediatamente adEst della piana bolognese. Le rive del fiume furono per-ciò testimoni di un’intensa opera di imbrigliamento ebonifica a partire dalle zone di Reggio e Parma. È benequindi rilevare anche gli importanti precedenti ai pro-getti di sistemazione idraulica nel bolognese e nel ferra-rese, che si ebbero più a monte lungo il corso del Po,dove vari tentativi di bonifica di aree più o meno estese,con tecniche di imbrigliamento permanente, furonointrapresi a partire già dal XV secolo.

Tra le opere di imbrigliamento delle acque di maggio-

re spessore ingegneristico e di grande portata storica diquesto periodo, va senz’altro menzionata in propositoquella intrapresa dal marchese Cornelio Bentivoglio(1519/1520-1585), relativa alla parte bassa della pianu-ra, compresa tra i fiumi Enza e Secchia. La questione tec-nica era posta dai continui disalveamenti del torrenteCrostolo (che scorre ad ovest di Novellara) e dalle acquedi scolo delle relative terre alte, che si riversavano disor-dinatamente nelle terre più a valle, finendo per impalu-darle. Nel 1539 il feudo di Guastalla, attraversato dalCrostolo, era passato ai Gonzaga, nella persona del ducaFerrante (1507-1557), capostipite del nuovo ramo dellafamiglia (da allora, Gonzaga-Guastalla), quale premioimperiale di Carlo V (1500 - 1558) ai servigi resigli dalduca come generale delle truppe imperiali nelle Fiandre.

Nel 1542 Ferrante (che certo si era fortemente inte-ressato ai grandi lavori di bonifica nell’Olanda dell’epo-ca), preso personalmente possesso del feudo, ebbe ilmerito di rendersi chiaramente conto del fatto che laregolamentazione delle acque nel tratto oggi noto comeParmigiana-Moglia avrebbe condotto all’eliminazionedelle numerose ed estese paludi presenti nella zona dellasponda destra del Po, in tutta l’area a cavallo tra le attua-li province di Parma, Reggio Emilia e Modena. Nel 1556il fattore camerale (sovrintendente che in campagnainvigilava e amministrava i possedimenti del proprieta-rio) di Ferrante, Pellegrino de Micheli, presentò il suopiano di bonifica, basato su due idee di fondo: condurre ilCrostolo a sfociare direttamente nel Po, nonché scolarele acque palustri di Gualtieri, Brescello e varie altre loca-lità attraverso un apposito cavo57.

Le trattative politiche per la realizzazione del progettosi fecero però complesse, impegnando a lungo fronte afronte le diplomazie estense e mantovana. Fu infine Cor-nelio Bentivoglio, luogotenente delle milizie di AlfonsoII d’Este (1533-1597) ad estromettere il de Micheli dalsuo stesso progetto, convincendo il duca di Ferrara eCesare Gonzaga (succeduto nel frattempo a Ferrante) adaccordarsi per l’esecuzione dell’opera. Nel 1567, a bonifi-ca iniziata, il Bentivoglio ottenne in via definitiva daAlfonso II la concessione in feudo di Castel Gualtieri.

Deciso a sfruttare il nuovo titolo, il Bentivoglio feceinfine costruire il grande cavo collettore di acque discolo della regione, da allora detto Cavo Fiuma, destina-to ad immettere tali acque nel Cavo Parmigiana-Moglia,

50Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

in località Torrione di Reggiolo; in questo modo, prose-guendo verso Est, le acque erano costrette a confluirenel Secchia, in località Bondanello di Moglia. La rea-lizzazione di questo cavo (1576) comportò in particola-re il sottopassaggio del torrente Crostolo, con unacostruzione sotterranea in muratura, lunga 76 metri econ due luci, di 2,5 e 2,2 metri. Costruita in una solaestate sotto la guida di Cristoforo Feduzoni da Carpi,l’opera sarebbe in seguito andata a costituire la spinadorsale del sistema reticolare che, attuato mano a manonel corso di qualche secolo, avrebbe permesso infine didrenare la quasi totalità delle acque dalle zone paludosedel modenese, del reggiano e del carpigiano verso illetto del fiume Secchia; ed è tutt’ora egregiamente infunzione. L’opera, che suscitò l’ammirazione dei con-temporanei, fu completata da altre 10 botti minori, 7sfioratori e ben 22 ponti, in legno o in muratura.

Possiamo incidentalmente notare come la realizzazio-ne tecnica adottata per il Cavo Fiuma con il sottopassodel Crostolo emblematizzasse la necessità di razionalizza-re il più possibile il sistema delle acque, distinguendolonettamente nei due sottosistemi oggi noti come “acquealte” (le acque di chiamata per l’irrigazione e i vari usi

agricoli e civili) e “acque basse” (acque di scolo o dideflusso). Per inciso, è questa la sistemazione a cui tutt’o-ra si riferisce l’intero sistema d’acque della bassa pianurapadana, oggi variamente disseminata di torri-acquedot-to, nelle quali avviene il pompaggio dell’acqua che deveessere portata a livello di “acqua alta” e che, dopo l’uso,viene variamente convogliata nella rete delle acquebasse di deflusso.

Accanto ai successi totali o parziali dell’ingegneriaidraulica dell’epoca, vanno però annotati anche i nume-rosi quanto infruttuosi tentativi eseguiti dai duchi d’Esteper cercare di ridare navigabilità al Po di Ferrara, ripristi-nando l’antica via d’acqua verso Bologna attraverso ilReno. La casa d’Este si trovava nell’impellente necessitàdi imbrigliare finalmente il corso del fiume Reno che,con la diversione sempre maggiore d’acque causata dal-l’apertura del Po di Venezia, aveva smesso di costituireun affluente del ramo principale del fiume. L’antica con-fluenza del Reno nel Po di Ferrara conferiva ancora nel1350 una certa navigabilità al ramo destro del Po, nono-stante il continuo interrimento di quest’ultimo. Di fatto,le veloci acque del Reno, per quanto limacciose in regi-me di piena, costituivano ormai l’unico deterrente al

51 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Topografia del Corso del Po e delle Acque adiacenti da Piacenza fino al Mare - Raccolta d’autori italiani che trattano del moto del-le acque, Eustachio Manfredi, Opere idrauliche, tomo V, tav. III, Tipografia Marsigli, Bologna, 1822; Fondo antico DISTART del-la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna.

continuo innalzamento dei fondali fluviali, ed è certoche, almeno in un primo tempo, la città di Ferrara eser-citò discrete pressioni per evitare la deviazione delleacque del fiume dal Po di Ferrara. D’altra parte, il pro-gressivo interrimento del ramo di destra del Po ebbecome conseguenza, evidente fin dal XV secolo, la fortediminuzione della capacità del vecchio corso del Po diaccogliere i fiumi e i torrenti che storicamente costitui-vano una parte significativa del basso bacino del fiume.Le necessità idrografiche della regione, avevano per con-tro costretto ad immettere via via nelPo gran parte dei corsi d’acqua dellaRomagna: nel 1460 vi fu immesso ilSanterno, nel 1506 il Lamone; nel1534 fu la volta del Senio e quindi, aseguire, del Sillaro, della Gaiana, del-l’Idice e del Savena.

La diminuita capacità di deflussodei rami del Po ferrarese non potevaperò che condurre ai dissesti idrografi-ci a ciclo continuo che martoriaronoletteralmente la Bassa dell’epoca. Lerotte del Reno e degli altri corsidivennero sempre più frequenti, ori-ginando lo straripamento sistematicodelle rispettive acque, a colmare e diconseguenza ad impaludare le zonevallive circostanti. Tutto ciò detteovviamente il via ad una serie di dia-tribe, che indussero svariate contesetra i poteri politici locali. Del resto, lamateria relativa alle acque era giàstata ampiamente resa oggetto diattenti studi giuridico-amministrativifin dall’epoca comunale, a testimonianza di un rapportodecisamente tormentato delle popolazioni interessatecon quelle acque che finivano in definitiva per costitui-re, con crudele alternanza, la loro ricchezza vitale e laloro tragica disperazione.58

La situazione si presentava estremamente critica giànel 1460, quando un primo accordo tra la città di Bolo-gna e il duca Borso d’Este (1413-1471) consentì di darcorso alla saggia decisione di immettere il Reno nel Ponei pressi di Bondeno. Il tracciato del nuovo corsodovette però incorrere in errori tecnici piuttosto grosso-

lani: forse una sovrastima della pendenza media attribui-ta al fiume dal nuovo alveo, forse una sovrastima dellacapacità del Po di raccogliere in quel punto le acque delReno. Fatto sta che già nel 1471 Ercole I d’Este (1431-1505), fu costretto a rioccuparsi della questione del Reno(questione che lo avrebbe in seguito angustiato a piùriprese, fino alla morte), che aveva ormai rotto gli arginiin più punti. Il fiume venne reintrodotto nel Po di Ferra-ra, all’altezza della diramazione di Punta San Giorgio.Anche il nuovo corso dovette però risultare inadeguato,

se ancora nel 1522 è documentatauna transazione tra Alfonso I d’Este(1476-1534) e la città di Bologna, inforza della quale il Reno, nuovamentedisalveato in più punti, venne rein-trodotto nel Po, secondo il progetto asuo tempo attuato da Ercole d’Este. Ilsostanziale fallimento dei progetti dideviazione del nuovo corso del Renoavevano nel frattempo convinto gliEste e i loro tecnici del fatto che lachiave di volta del sistema fluviale delbasso Po, l’unico elemento in grado digarantire contemporaneamente lanavigabilità del Po di Ferrara e il cor-retto inalveamento della relativa reteidrografica, poteva ottenersi unica-mente per correzione dell’ormai enor-me sottrazione d’acque causata dal Podi Venezia. In sostanza, si trattava diriparare alla rotta di Ficarolo, dopopiù di due secoli di diversione delfiume verso il nuovo alveo di Venezia.Di qui, il progetto di una barriera, in

grado di obbligare il fiume ad abbandonare il nuovoalveo, ritornando all’antico.

Quest’ultimo progetto fu attuato nel 1538 da Ercole IId’Este (1508-1559), con un’enorme barriera a riempi-mento, opera grandiosa, che mosse l’interesse dello stes-so papa Paolo III, il quale incaricò monsignor de’ Medici (Giovanni Angiolo Medici, 1499-1565; a sua voltapapa, dal 1559, col nome di Pio IV) come osservatore deilavori. Il tentativo si rivelò nuovamente inutile: la primagrande piena del Po successiva alla deviazione travolse labarriera, ripristinando definitivamente lo status quo ante

52Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Frontespizio - Evangelista Torricelli,De Sphaera et Solidis SphaeralibusLibri Duo, in Opera geometrica, Ty-pis Amatoris Masse & Laurentij deLandis, Florentiæ, 1644; BibliotecaUniversitaria di Bologna, Coll.A.IV.M.IX.8.

del fiume. In un disperato tentativo di evitare l’interri-mento ulteriore del Po di Ferrara, lo stesso Ercole II tentòanche (1542) la diversione delle scure acque del Renodal ramo del Po, provocando una rotta artificiale a Pievedi Cento, rotta che però fu costretto a colmare da undecreto papale dello stesso anno. L’ultimo tentativo sto-ricamente documentato e messo in opera, per obbligarela massa delle acque del Po ad abbandonare il ramo diVenezia reca infine la data del 1570, quando Alfonso IId’Este (1533-1597), ultimo duca di Ferrara, tentò inva-no, con nuovi, poderosi lavori, di far defluire le acque delPo unicamente verso Ferrara. Allo stesso Alfonso d’Estesi deve però anche un ulteriore progetto, tecnicamentepiù interessante del precedente, per impedire il continuosvuotamento del Po di Ferrara. Precisamente, si cercò diobbligare le acque del Panaro e del Reno, congiunta-mente, ad affluire verso il Po di Ferrara, mediante unargine di terra immediatamente ad est dello sbocco delPanaro a Bondeno. L’argine venne però costruito inmaniera da poter essere facilmente rotto in tempo dipiena del Po, in modo da sfruttare l’argine stesso e lacontemporanea onda di piena per facilitare ai due fiumila strada verso Ferrara. Nel 1592, infine, Alfonso II tentòdi dare corso al suo ultimo progetto concernente il Renoe il Panaro, volto ad assicurare almeno la navigabilità delPo di Volano, poco tempo prima che la Santa Sede, allamorte del duca senza figli maschi, decidesse di reincorpo-rare il ferrarese negli stati della Chiesa (1598).

Come noto, immediata conseguenza del reincamera-mento della signoria estense nell’ambito dei dominiipontifici fu il progetto papale di estendere la propriainfluenza politica diretta su tutta la regione del delta delPo, con una serie di opere di imbrigliamento e bonificache, se condotte a buon fine, non avrebbero certo man-cato un obiettivo tanto ambizioso. La regione era ormaicostretta a convivere tra le vessazioni ad opera dellepiene e le continue diatribe in merito a responsabilitàvere o presunte59.

Il problema del nuovo corso da dare al Reno vennenuovamente ritenuto la chiave di volta del problemaidrologico connesso a tale progetto. Nel 1604 il fiume,all’epoca nuovamente affluente del Po di Ferrara, vennedeviato verso la valle della San Martina, un’area paludo-sa a Sud di Ferrara, e quindi nell’adiacente Val di Marra-ra, in modo da permettere l’escavazione e il dragaggio dei

due rami del Po di Volano e del Po di Primaro, così darenderli nuovamente navigabili, recuperando parte deitraffici che, lungo il Po Grande, arricchivano ormai lecasse della Repubblica di Venezia, e nell’intento di farenuovamente di Ferrara il centro di collegamento viaacqua tra l’Adriatico e la pianura lombarda. Nel contem-po, si riteneva probabilmente che il corso veloce delleacque del Reno avrebbe facilitato il deflusso delle acquedalla San Martina60, facilitando l’individuazione diun’opportuna rete di canali di scolo.

L’Exigit a nobis di Clemente VIII (Ippolito Aldobran-dini, 1535-1605, papa dal 1592), datato 12 agosto 1604 eimmediatamente attuato, diede in realtà origine ad unodei più impressionanti disastri mai conosciuti dalla bassapianura padana nel lungo periodo. Il Reno non tardò arompere con le sue grandi correnti di piena i nuovi argi-ni, invadendo con le proprie alluvioni l’intera pianacompresa tra Ferrara, Bologna e Ravenna, trasformandoun’intera area nobile dell’agricoltura rinascimentale(conquistata, come s’è visto, con grande fatica e coningenti investimenti, a partire dal Medioevo), in un’im-mensa palude, che offriva ormai come unica risorsa quel-la della pesca. Il danno più ingente fu certamente sop-portato dalle famiglie nobiliari bolognesi: cinquant’annidel nuovo corso del Reno bastarono infatti perché 600km2 di suolo agrario altamente produttivo fossero irrime-diabilmente perduti, mentre le nuove paludi giunsero adinvadere San Giorgio di Piano e a minacciare lo stessoabitato di Castel Maggiore. Oltre a ciò, la mancanza del-l’afflusso del Reno decretò la morte rapida dei vecchirami del Po. L’interrimento proseguì infatti a velocitàancora più sostenuta, e i tecnici pontifici e municipalidovettero ben presto rendersi conto che la velocità didragaggio e di escavazione consentita dalle tecniche edalle finanze del tempo non riusciva in alcun modo atenere il passo dei depositi trasportati dal fiume61: lanavigazione diretta tra Bologna e Ferrara ne fu definiti-vamente impedita, il vecchio corso del Po di Primaroavrebbe ben presto assunto in pianta stabile la denomi-nazione di Po Morto, mentre il Reno diveniva un fiumea sé, destinato ormai a sfociare in Adriatico immediata-mente a Nord di Ravenna, presso quella che era statal’antica foce dello stesso Po.

Per tutto il Seicento (e oltre) Bologna cercò di otte-nere dal papa la correzione del progetto e della sua incau-

53 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

ta attuazione, reimmettendo il Reno nel Po. Ne conseguìperò, oltre all’inizio di una sequela (durata complessiva-mente oltre un secolo e mezzo) di inconcludenti visite eispezioni papali, solo l’aperta ostilità di Ferrara. I ferrare-si infatti con la deviazione del Reno avevano definitiva-mente perduto la navigabilità del Po eliminando però ilproblema delle piene che minacciavano l’abitato. Nenacque la secolare e ben nota contesa tra le due cittàche, nei suoi risvolti storici e documentari, è già stata daaltri ampiamente trattata62.

In risposta all’iniziale appello di Bologna, la SantaSede dette però almeno una prima svolta significativaalle diatribe intercittadine in materia d’acque. Nel 1625il legato pontificio, monsignor Ottavio Corsini (1588-1641) plenipotenziario di Urbano VIII (Maffeo Vincen-zo Barberini, 1568-1644, papa dal 1623) per la contesain esame, nel corso della sua visita nominò ufficialmentel’abate benedettino Benedetto Castelli (della cui opera sitratterà più oltre), consulente della Santa Sede in mate-ria di idraulica, quale perito super partes. La novità del-l’atteggiamento papale era evidente: per la prima voltaad un professore universitario (fin dal 1613, presso loStudio di Pisa) di matematica veniva affidato il giudiziotecnico su una materia dai risvolti importanti quantointricati, tanto che ormai in essa convergevano questio-ni economiche, sociali e politicamente campanilistiche.

Del resto la Camera Apostolica si trovava in unmomento di grande sofferenza finanziaria: le ripetutealienazioni di beni passati ad altre Chiese in seguitoalla Riforma protestante e gli enormi costi d’investi-mento della Controriforma cattolica avevano costrettoUrbano VIII a riguardare al disastro economico dellaBassa bolognese con occhi più attenti. D’altra parte,Roma non disponeva di un proprio esperto in problemidi tecnica idraulica, e Urbano si vide costretto adappoggiarsi a competenze esterne all’ambito stretta-mente curiale. Castelli era anche un convinto seguacedi Galileo, e ciò dava certo modo al papato di stempe-rare alquanto la dura presa di posizione nei confronti diquest’ultimo e della sua teoria del mondo. La quasi mil-lenaria tradizione benedettina in materia di tecnicad’acque (all’epoca, Castelli era monaco cassinese)costituì poi il nocciolo della versione ufficiale di affida-mento dell’incarico allo scienziato pisano.

La visita di monsignor Corsini (gennaio-maggio

1625) ebbe come risultato un rapporto alla Santa Sede,nel quale venivano ventilate due ipotesi per riparare aldisastro innescato nel 1604. La prima era quella diriprendere il Reno e il Panaro in confluenza presso Bon-deno, al fine di riversarli nel Po Grande attraverso ilcanale del Po di Ferrara (questa era anche la soluzioneappoggiata da Castelli e dallo stesso Corsini); l’altra ideaera quella di ricondurre il Reno verso Punta San Gior-gio, così da introdurlo nel ramo del Po di Volano.

La Santa Sede ebbe il buon senso di convincersi dellavalidità dell’idea di Castelli, visto anche l’appoggio dimonsignor Corsini e la sostanziale somiglianza del pro-getto con la proposta a suo tempo fatta propria dal cardi-nale Luigi Capponi (1583-1659), all’epoca (intorno al1620) arcivescovo di Ravenna. Con Breve del 4 novem-bre 1628, Urbano VIII ordinava in effetti l’attuazione delprogetto di Castelli a monsignor Corsini, conferendoglialtresì pieni poteri in merito alle contese locali.

In questo caso, a frapporsi all’esecuzione del progettopapale fu la peste di manzoniana memoria, che in queglianni infuriò pressoché in tutta l’Alta Italia, particolar-mente nella pianura padana; peste che spopolò certo piùle città che le campagne, ma che distolse comunque lapreziosa manodopera necessaria, e in definitiva impedì ilfinanziamento del progetto in tempi sufficientementerapidi. La fine della pestilenza vide anche i preparatividell’ultimo tentativo storicamente documentato dirichiamare verso il Po di Ferrara le acque del Po di Vene-zia, effettuato nel 1638 dal cardinale Pallotta, legatopontificio per Ferrara. Tentativo che abortì ben prestosotto l’immane pressione delle acque, costrette a defluireda quello che in breve ritornò ad essere l’alveo principa-le del Po, col disegno del corso fluviale sostanzialmentecoincidente con quello attuale.

Per noi, la vicenda del recupero dell’insano progettodel 1604 presenta anche un altro aspetto, strettamentelegato alla scuola galileiana. È infatti documentabile63 laconsiderazione che suscitò in Galileo l’incarico diCastelli e il progetto da questi approntato. Del resto l’in-teresse di Galileo per l’idraulica era ampiamente giustifi-cato dai suoi stessi trascorsi. Non si dimentichi che findal 1594 la Repubblica di Venezia aveva concesso aGalileo un brevetto per macchine di sollevamento del-l’acqua, e che egli fu altresì sovrintendente delle acqueper la Toscana.

54Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Per afferrare la connessione tra la filosofia galileianadella natura e la vexata quaestio che opponeva Ferrara eBologna, si osservi come una delle principali obiezionimosse dalla delegazione ferrarese al progetto di reintro-duzione del Reno in Po attraverso il Po di Ferrara fossel’osservazione (in effetti, tutt’altro che banale ed oziosa)del conseguente innalzamento medio delle acque del PoGrande, che essi quantificarono in circa 1,5 metri inregime di piena, con tutti i pericoli di allagamento chela città di Ferrara ne avrebbe sofferto, e che invece lanuova disposizione idrogeografica aveva finito perallontanare sensibilmente.

Castelli obiettò correttamente, individuando l’erro-re fisico contenuto nell’argomento addotto dalla dele-gazione ferrarese, in relazione al calcolo dell’innalza-mento del livello del fiume. Come il grande ingegnereebbe modo di osservare, andava tenuto conto anchedell’incremento nella velocità della corrente delfiume, conseguenza dell’immissione delle nuoveacque. Acque più veloci avrebbero così significato undeflusso più veloce delle acque stesse, con sensibileaumento della portata a parità di alveo; nel contempo,si sarebbe determinato anche una notevole diminuzio-ne dei fenomeni di interrimento, con concreto vantag-gio di entrambe le parti in causa.

Dal ricordato carteggio con Galileo, si evince ancheche Castelli si era posto il problema fondamentale del-l’eventuale costanza della velocità dell’acqua per tuttala sezione di portata di un fiume, o se invece si dovesseipotizzare una sua dipendenza dalla profondità. Sappia-mo inoltre che Galileo tentò per conto proprio (peral-tro, senza particolare successo) un approccio sperimen-tale al problema di determinare la variazione di velocitàdi un flusso di corrente costretto a passare in una sezioneminore. Il problema era in effetti di importanza crucialeper tutte le applicazioni idrauliche connesse ai progettidi diversione e di bonifica. Ma la sua soluzione teorica esperimentale completa dovrà attendere oltre un secolo,con l’opera del reggiano-modenese Giovanni BattistaVenturi (1746-1822)64 e, soprattutto, del venezianoGiovanni Poleni65.

La mancanza dei necessari strumenti sperimentali eteorici, in grado di fornire risposte tecnicamente valide,veniva nel frattempo puntualmente evidenziata dallastoria stessa delle rotte del fiume Reno, avviatosi a dive-

nire un autentico flagello per le popolazioni rurali finiti-me e per gli abitati attraversati, o prossimi al suo corso.

Prendendo in considerazione un campione abbastan-za rappresentativo del corso del fiume, quello compresodalla grande ansa nei dintorni di Cento, gli argini delfiume, che nel XIII secolo avevano fatto registrare allecronache locali 5 rotte (più due artificiali, effettuate perragioni militari), videro tale numero ridursi a 3 nel seco-lo successivo, per tornare a 4 nel XV secolo (più duerotte artificiali, una per ragioni militari e l’altra, nel1465, su progetto di Aristotele Fioravanti, per consenti-re l’esecuzione di un drizzagno ad Argile). Il secolo XVIregistrava invece non meno di 50 rotte, quaranta dellequali nel periodo 1526-1542 e una per ciascuno dei treultimi anni del secolo. Fu però il XVII secolo a vedere le

55 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Frontespizio - Giovanni Battista Aleotti, Difesa di Gio. BattistaAleotti d’Argenta, Architetto, per riparare alla sommersione delPolesine di S. Giorgio, & alla rouina dello Stato di Ferrara, Stam-peria Camerale, Ferrara, 1601; Fondo antico DISTART della Fa-coltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, Inv. n. 302.

catastrofi maggiori: 12 rotte, tra cui quella disastrosadel 1648, che allagò completamente la città di Cento;quella del 1652, rimasta aperta fino al 1687 e quella del1660, che ebbe l’effetto di distruggere per interrimentol’intera rete di fossati di Pieve di Cento; il tutto a pre-parare i disastri del 1693-1694, che videro l’interoalveo del fiume segnato da rotte su entrambi gli argini.La progressione diminuì in termini numerici nel Seco-lo dei Lumi, che però vide ancora tre tragiche rotte:quella del 1738 a Mirabello (ricordata come una dellepeggiori), e quella dell’anno successivo (detta “Panfi-lia”, che allagò un’area di circa 90 km2)66. Più ad orien-te, tra il 1645 e il 1651 ben 6 rotte, tanto nelle argina-ture delle valli, quanto nel Po di Primaro, giunsero aminacciare seriamente gli abitati di Ferrara e della stes-sa Comacchio, obbligando la Santa Sede a notevoliesborsi per il loro recupero. Pagamenti reincameratiovviamente con ulteriori tassazioni su popolazioni eco-nomicamente già provate, e che posero la Sacra Con-gregazione delle Acque di fronte alla necessità di muo-

versi per trovare una nuova soluzione all’ormai pluride-cennale problema.

Una nuova ispezione della delegazione pontificianel 1660, guidata dal cardinale Federigo Borromeo(1544-1631), si avvalse nell’occasione della consulen-za del grande astronomo Giovanni Domenico Cassini(1625-1712). La relazione da questi redatta descrive-va in maniera impressionante lo stato della regionecompresa tra Bologna, Ferrara e Comacchio, a distan-za di poco più di 50 anni dalla diversione imposta alReno67. Nuovamente, Cassini raccomandava la reim-missione del Reno in Po Grande, ma con una lineadiretta che, evitando il Panaro a Bondeno, lo avrebbeportato a sfociare in località Palantone. Come piùsopra accennato, le dispute tecniche e politiche sullasistemazione idrografica della bassa pianura padanasotto il dominio pontificio erano destinate a protrarsiper tutta la durata di quest’ultimo, fin oltre l’annessio-ne delle regioni al Regno d’Italia (1861) e arrivando alambire il XX secolo.

Per il prosieguo di questo lavoro conviene qui limi-tarsi ancora alla sola visita pontificia del 1693, quellavoluta da Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1615-1700, papa dal 1691) il quale, fin dall’inizio del propriomandato papale, si vide costretto a rincorrere la que-stione del Reno; in ciò sollecitato, attraverso la SacraCongregazione delle Acque, dalle insistenti richiestedei Bolognesi, sempre più allarmati della progressivaoccupazione di terre alte e dall’invadenza reiteratadelle acque. La conseguente visita ispettiva, guidatadai cardinali Ferdinando d’Adda (1649-1719) e Fran-cesco Barberini (1662-1738), fu quella che si avvalsedell’assistenza tecnica di Domenico Guglielmini, ilfondatore dell’ingegneria idraulica come scienza, sullacui opera si tornerà necessariamente più oltre. La rela-zione della commissione papale, datata 2 gennaio1694, rilevava tutte le soluzioni possibili in linea diprincipio, scartandone la massima parte per difetti dipendenza in risposta alle grandi concentrazioni detriti-che presenti negli eventuali affluenti di destra, soprat-tutto in regime di piena, e che avrebbero mano a manocostretto il nuovo corso del Reno ad un andamentosempre più sinuoso, con rapida perdita della pendenzanecessaria all’autoescavazione dell’alveo. In conclusio-ne, la relazione della commissione ritenne “unico e

56Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Tavola di Frontespizio - Domenico Guglielmini (ritratto), Ope-ra Omnia, Sumptibus Cramer, Perachon & Socii, Genevæ,1719; Biblioteca Universitaria di Bologna, Coll. A.IV.K.X.47.

reale rimedio praticabile per dar sesto a queste acque,sia il mettere il Reno in Po Grande”68.

Per ragioni che non sono del tutto chiare, il rappor-to venne però tenuto segreto per ben 21 anni, e pubbli-cato solo nel 1715, per volere di Clemente XI (GiovanFrancesco Albani, 1649-1721, papa dal 1715), dopoche nuove, insistenti rotte e i conseguenti disastri fini-rono per reclamare nuovamente l’attenzione del poterecentrale sulla martoriata regione. Ma la pubblicazionedella relazione fece insorgere gli Stati finitimi, in parti-colare il Ducato di Mantova, che si avvalse della con-sulenza tecnica del matematico Giovanni Ceva69,Commissario della Camera Arciducale, per evidenziare(1716) i danni prevedibili in conseguenza della venti-lata ipotesi papale di dare finalmente corso al progettoguglielminiano. Alle rimostranze di Mantova e alleobiezioni tecniche di Ceva, Bologna si peritò di oppor-re le argomentazioni fisico-ingegneristiche di EustachioManfredi70, argomentazioni che convinsero sì la con-troparte mantovana, ma ancora una volta non sarebbe-ro riuscite ad avere ragione delle paure e delle resisten-ze dei ferraresi: i quali, per parte loro, ebbero buongioco diplomatico nell’argomentare che i decenni tra-scorsi dalla relazione di Guglielmini avevano sensibil-mente modificato la struttura idrografica del territorio,rendendo necessarie nuove perizie.

Nonostante una doppia sentenza di refutazione delleargomentazioni ferraresi (1717 e 1718), il progetto diGuglielmini vide però ancora le rimostranze politichedegli Stati attraversati dal Po: nuovamente quelle delDucato di Mantova, ma anche di quelle di Modena epersino della Repubblica di Venezia. Di fronte ad unsimile nodo politico-diplomatico, la diplomazia ponti-ficia decise unilateralmente di non accampare il pro-prio diritto, nonostante la vertenza riguardasse un terri-torio integralmente sotto il suo dominio; anzi, permascherare la propria timidezza tutta politica nei con-fronti degli stati confinanti, il potere pontificio nonavrebbe tardato a rispondere alla solita maniera, nomi-nando una nuova commissione d’indagine tecnica,voluta dallo stesso Clemente XI: commissione che nel1721 iniziò i suoi lavori di sopralluogo, rinnovandoperò un rito ormai antico quanto stucchevole, dinanziall’impietoso ossimoro costituito dall’urgenza del pro-blema, a fronte della sua ormai persistente secolarità.

GALILEO, CASTELLI, TORRICELLI E LA FONDAZIONE

DELLA SCUOLA ITALIANA DELL’IDRAULICA FLUVIALE

Dal punto di vista strettamente fisico, il camminoverso l’idraulica come scienza meccanica dei fluidi inmoto, richiede il concorso di almeno tre strumenti con-cettuali irrinunciabili: il principio dei vasi comunicanti;il principio di continuità applicato ai fluidi; infine, lalegge di conservazione dell’energia meccanica trasporta-ta dal fluido.

Fu proprio la scuola galileiana a consentire, su basestrettamente fisico-matematica, di intuire la possibilitàdi una meccanica dei fluidi in moto, dalla quale tutta lastatica dei fluidi avrebbe dovuto evincersi per semplicededuzione, vale a dire come caso particolare di correntinulle all’interno del fluido.

Altre idee dovevano però farsi strada, prima di com-piere tale passo. Innanzi tutto, in relazione al principio diconservazione dell’energia meccanica, due enunciati divitale importanza: la definizione di flusso del fluido,come volume che attraversa una data sezione nell’unitàdi tempo; inoltre, il principio di conservazione del volu-me del fluido che, nel caso di moto stazionario, conduceal concetto di flusso costante attraverso sezioni arbitrariedi canali o guide idrauliche. E qui furono proprio i duegrandi discepoli dello stesso Galileo, Castelli71 e il faenti-no Evangelista Torricelli, ad individuare il percorso fisicoche avrebbe portato infine la meccanica ad incontrarsicon le discipline relative al buon governo delle acque.

L’epoca che connette l’opera dei primi galileiani aiproblemi della nascente fisica idraulica applicata ai corsidel basso bacino del Po segna una tappa evolutiva dienorme importanza, sia per la storia della scienza e dellatecnica, sia per la storia e la cronaca stessa dell’ostinatalotta contro la devastante potenza delle acque padane dipiena. Fu la meccanica galileiana ad indirizzare il cammi-no dell’idraulica verso l’universo teorico della fluidodi-namica, col concorso diretto di un insieme di eccezzio-nali personalità scientifiche. Un’epoca che si determinacome emanazione dello spirito rinascimentale e del rin-novato interesse che la precedente cultura umanisticaaveva imposto, anzitutto per le opere scientifiche del-l’antichità classica, di Archimede e di Erone, ma anchedei grandi pensatori arabi, puntuali commentatori, spes-so acutamente critici, dell’opera di Aristotele.

57 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

I prodromi della fondazione dell’idraulica comedisciplina fisica possono essere rintracciati (come si èvisto in precedenza) fin dall’opera di Tartaglia sul recu-pero delle navi affondate. Nella Travagliata inventioneinfatti, il grande matematico bresciano, operando sullabase di considerazioni strettamente matematiche,mostrava con quali modalità si potesse far risalire insuperficie il naviglio affondato. Vi descriveva anche labilancia idrostatica di derivazione archimedea (stru-mento in seguito ripreso dallo stesso Galileo), dandoinfine una tavola (forse la prima della storia della fisi-ca) dei pesi specifici. Le ricerche idrostatiche di Tarta-glia presentano per noi un evidente interesse, dato checontengono, in nuce, il criterio-guida della successivafilosofia galileiana della natura: l’applicazione del lin-guaggio matematico al problema fisico. La ricordataoperetta di Tartaglia chiede infatti esplicitamente allabase matematica del fenomeno risposte precise e quan-titative specificamente dirette ad un’applicazione prati-ca. Non sarà qui inutile ricordare che fu proprio svilup-pando le concezioni di Tartaglia che il suo discepoloGiovanni Battista (Giambattista) Benedetti72 ebbe lagrandiosa idea di utilizzare le conclusioni matematichederivate dal maestro per contrastare le affermazioni inmateria di fisica dell’aristotelismo dell’epoca, con ciòrivendicando implicitamente, per la prima volta, ilconcetto di indipendenza della nuova scienza dalla tra-dizione filosofica.

Tornando all’opera di Castelli, ad essa è dovuta inparticolare la prima illustrazione del ‘paradosso idrosta-tico’73, diretto sviluppo delle idee di Tartaglia, e la cuisoluzione implica una conoscenza puntuale del concet-to di pressione. Una chiara padronanza di questo con-cetto era in effetti essenziale per le tematiche che quipiù interessano; inoltre in relazione ad esso, un’impor-tanza altrettanto cruciale presentava la soluzione delproblema dei vasi comunicanti. Quest’ultimo spiegainfatti, ad esempio, come l’acqua degli alvei possa, inlinea di principio, esondare senza straripare, per sempli-ce effetto sifone (i cosiddetti ‘fontanazzi’). Ed è bennoto come tali fenomeni determinino drastiche ridu-zioni nella compattezza delle arginature, spiegando innumerosi casi, in combinazione con la pressione del-l’acqua sugli argini, l’improvviso cedimento delle spon-de, che può interessare anche tratti di centinaia di

metri74. Nella sua opera capitale, Diversarum speculatio-num mathematicorum et physicarum liber (Torino, 1585),Benedetti affrontò anche (e ne dette una prima soluzio-ne, peraltro parziale) il problema dei vasi comunicantia differente sezione, particolarmente importante per laconcezione di macchine tecnologicamente fondamen-tali, come la pressa idraulica. La nuova macchinaavrebbe infatti consentito lo sviluppo di forze in lineadi principio comunque grandi, pur di disporre di un’a-deguata tecnologia di confinamento dei fluidi, con ciòcostituendo un passo decisivo nella storia della tecnicain generale, e di quella idraulica in particolare.

Tralasciando il contributo indiretto alla meccanicadei fluidi, indotto dalle sue scoperte sulla legge di cadu-ta dei gravi e sulla traiettoria parabolica dei proiettili(entrambe peraltro importantissime, nelle mani del suoallievo Torricelli), il contributo di Galileo ai problemitecnici dell’idraulica fu piuttosto marginale: fu invece ilsuo approccio metodologico alla disciplina ad avere perquesta conseguenze profonde. Il contributo galileiano silimitò apparentemente a connettere all’interno dellanuova visione meccanica del mondo fisico i risultatiparziali, precedentemente ottenuti da Archimede,Benedetti e Stevino. Ma l’apparato concettuale che nescaturiva si sarebbe rivelato infine decisivo, come sivedrà, per il progresso della nuova disciplina.

I contributi di Galileo all’idrostatica75 sono contenu-ti in due opere: La bilancetta (1586), trattatello scrittoprima della sua nomina alla cattedra di matematica aPisa, che riprende nella sostanza il principio di Archi-mede per individuare la bilancia idrostatica come stru-mento fisico-meccanico per la determinazione dei pesispecifici; e, soprattutto, il Discorso al Serenissimo Gran-duca Cosimo II intorno alle cose che stanno in su l’acqua oche in quella si muovono (1612).

In quest’ultima opera Galileo fornisce una dimostra-zione indipendente e completamente autonoma delprincipio di Archimede, nonché del principio dei vasicomunicanti. In quest’ultimo caso, la sua dimostrazionecoinvolge anche un’importantissima formulazione(seppure ancora a livello embrionale ed intuitivo) delprincipio dei lavori virtuali, che tanta fortuna avrà nelseguito delle scoperte relative alla meccanica dei fluidi.La formulazione galileiana, tradotta in linguaggiomoderno, suonerebbe “differenti pesi sono in equilibrio

58Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

quando la variazione temporale totale del lavoro vir-tuale da essi compiuto è nulla”76. Nonostante i successi-vi tentativi galileiani di applicazione delle proprie teo-rie meccaniche alla dinamica dei fiumi si rivelasserosostanzialmente errati77, non è possibile sottovalutarel’importanza di questo passo concettuale: con la formu-lazione implicita del principio dei lavori virtuali, Gali-leo applicava coscientemente un assioma fondamenta-le della meccanica alla soluzione del problema, insiemeconcettuale e tecnico, dei vasi comunicanti.

Questo problema era stato in effetti già affrontato,seppure tra incertezze iniziali e ripensamenti, da Leo-nardo da Vinci, che ne aveva escogitato una soluzio-ne davvero ingegnosa78, senz’altro degna della suafama di precursore dell’approccio galileiano alla filo-sofia della natura. Merito fisico precipuo di Castelli(che con ogni probabilità era completamente all’oscurodei manoscritti di Leonardo) fu proprio quello di asseri-re con chiarezza l’annullamento reciproco di tutte leforze agenti in senso parallelo alle superfici libere di unfluido, come conseguenza della distribuzione uniformedel peso del fluido secondo strati orizzontali. Compiutoquesto passo concettuale, Castelli già allora offriva lasua soluzione del paradosso idrostatico. È pur vero cheil paradosso, nella formulazione castelliana, non èancora completamente risolto in generale. Il passo defi-nitivo sarà compiuto da Stevino solo qualche annodopo, e spianerà definitivamente la strada al principiodi Pascal, che costituisce (tra l’altro) la prima formula-zione compiuta del principio della pressa idraulica.

Il passo successivo alla dimostrazione puramentemeccanica del principio dei vasi comunicanti, necessa-rio per avviare l’idraulica sulla sicura strada della mec-canica dei fluidi, era ovviamente costituito dal princi-pio di continuità, nonché dalla relativa “equazione dicontinuità”. Anche qui entra in gioco la figura diCastelli, e nuovamente una menzione a parte merite-rebbe il genio di Leonardo, che sembra essere stato ilprimo pensatore a possedere una percezione ben chiaradella sostanza del principio. D’altra parte, non esistealcuna evidenza storica conclusiva del fatto che le noteche Leonardo redigeva sui suoi “taccuini”, autenticaminiera di idee tecnico-scientifiche, anche in materiadi meccanica dei fluidi, avessero una loro effettiva dif-fusione presso gli ingegneri idraulici coevi79. La storia

delle tecniche applicate all’idraulica ci impone comun-que di lasciare (seppure a malincuore) la torre d’avoriodegli scritti e dei disegni di Leonardo, dai quali traspareevidente anche l’aspirazione di arrivare a comprendereanche graficamente lo stesso regime di moto turbolentodelle acque80 (problema tuttora in gran parte insoluto):nuovamente, alle necessità operative degli idraulicirinascimentali non rispose tanto l’arte scientifica diLeonardo, quanto il pensiero meccanico di Castelli, ilcui trattato Della Misura dell’Acque Correnti, fu pubbli-cato a Brescia nel 1628.

Il trattato castelliano contiene la dimostrazione delprincipio di continuità proprio come Proposizione I.Stante la sua importanza, la riproduciamo qui per inte-ro, traendola dalla II edizione dell’opera (Roma, 1639):

Siano due sezzioni A, e B, nel Fiume C, corrente da A,verso B, dico che scaricaranno uguali quantità:

d’acqua in tempi uguali; imperoche, se maggiore quantitàd’acqua passasse per A, di quello che passa per B, neseguirebbe, che l’acqua nello spazio intermedio del FiumeC, crescerebbe continuamente, il che è manifestamentefalso; mà se più quantità di acqua uscusse per la sezzioneB, di quella che entra per la sezzione A, l’acqua nello spa-zio intermedio C, andarebbe continuamente scemando, esi abbasserebbe sempre, il che è pure falso: adunque laquantità dell’acqua che passa per la sezzione B, è ugualealla quantità dell’acqua, che passa per la sezzione A, eperò le sezzioni del medesimo fiume scaricano, etc. Che sidoveva dimostrare.La dimostrazione di Castelli (si noti come l’oggetto

di studio venga ancora chiamato esplicitamentefiume!), riducibile in sostanza ad un’elegante reductioad absurdum, poggia su dati empirici intuitivamenteevidenti, come il fatto che tra due sezioni sufficiente-mente vicine del fiume, in regime stazionario di corren-ti, non si creano ingrossamenti, né si creano vuoti.Oltre ciò, il resto appare semplice frutto di limpida

59 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

necessità logica, e si tratta di un passo deciso quantoprezioso verso la meccanica dei fluidi in movimento.

Un ulteriore passo importante verso la conquistadell’apparato concettuale della meccanica dei fluidivenne compiuto da Torricelli (il massimo tra i disce-poli di Galileo, del quale fu successore alla cattedra dimatematica nello Studio di Pisa), nell’ambito diun’approfondita analisi delle conseguenze della leggegalileiana di caduta dei gravi. Nell’ambito della suaOpera geometrica (1644), Torricelli analizzò in partico-lare il moto dei proiettili, con considerazioni sulla git-tata e l’altezza massima, considerazioni che lo pongo-no (insieme allo stesso Tartaglia) tra i fondatori dellabalistica. Assimilando poi a proiettili le particelle diun fluido, Torricelli si pose il problema meccanico distudiare il flusso di un liquido attraverso un foro,situato alla base di un recipiente. Per esplicitare ilragionamento di Torricelli, ne riproduciamo una ver-sione particolarmente pregnante, dovuta ad ErnstMach (1838-1916), uno dei massimi epistemologi chela storia ricordi, ed egli stesso grande cultore dellameccanica dei fluidi:

Se si divide in n parti uguali il tempo necessario allosvuotamento di un vaso, e si prende come unità la quan-tità di liquido che scorre via nella n-esima (cioè nell’ul-tima) di queste parti, si trova che le quantità 3,5,7 (…)rispettivamente scorrono via nelle (n-1)-esima, (n-2)-sima, (n-3)-esima (…) frazione di tempo. Questa osser-vazione mette in evidenza l’analogia che esiste tra ilmoto di caduta dei corpi e il moto dei liquidi. Inoltrepermette di notare che si avrebbero bizzarre conseguen-ze se il liquido potesse, per la velocità acquistata, diri-gersi in senso contrario e innalzarsi ad un livello supe-riore a quello che aveva nel vaso. Torricelli disse che illiquido può al massimo sollevarsi a questa altezza, echiarì che esso si solleverebbe precisamente a questaaltezza se tutte le resistenze fossero eliminate. Dunque,astrazione facendo dalle resistenze, la velocità di efflussov di un liquido attraverso un’apertura praticata nel vasoalla distanza h sotto il livello del liquido è data dalla for-mula ���2 g h . In conclusione, la velocità di efflusso èquella che acquisterebbe un corpo pesante, cadendoliberamente dall’altezza h81.Come si nota, il ragionamento di Torricelli richia-

ma implicitamente il principio di conservazione dell’e-

nergia meccanica nella sua forma potenziale. Si trattadel primo, notevole risultato ottenuto dalla nuovameccanica in relazione al moto di un fluido. La lungastrada verso la meccanica dei fluidi poteva dirsi aperta.

Tra il 1665 e il 1667 il principe Leopoldo de’ Medi-ci riuniva tutti i discepoli di Galileo nell’Accademia delCimento, sostanzialmente il primo gruppo di fisica spe-rimentale della storia della scienza, costantementeimpegnato nella conferma o nella confutazione speri-mentale delle teorie avanzate dagli scienziati dell’epo-ca. All’Accademia afferirono, tra gli altri, il matemati-co, fisico, astronomo e biologo Giovanni AlfonsoBorelli (1608-1679), che fu tra i discepoli di Castelli etra i primi ad applicare i concetti della nuova scienzadei fluidi al corpo degli animali (De motu animalium, Iparte, Roma 1680; II parte Leyda 1685.), nonché adescogitare spiegazioni razionali di fenomeni idrodina-mici importanti come la viscosità, la formazione dellegocce, i fenomeni di adesione e di coesione, nonchéquelli relativi alla tensione superficiale nei liquidi,ricorrendo ad un modello sostanzialmente atomico.Molto vicino all’Accademia del Nuovo Cimento fupoi Geminiano Montanari, del quale andiamo senz’al-tro ad esaminare l’opera, e che nel 1665 fondò un’ana-loga Accademia sperimentale presso lo Studio di Bolo-gna. Discepolo di Montanari, Domenico Guglielminiavrebbe infine chiuso la parabola storica che, dallerive del principale fiume italiano, avrebbe additato almondo la potenza della nuova scienza della dinamicadei fluidi.

MONTANARI E LO STUDIO BOLOGNESE

Geminiano Montanari (1633-1687), nativo neipressi di Modena, studiò inizialmente giurisprudenza,esercitando per lungo tempo anche l’attività forense (aFirenze, ma anche a Salisburgo e a Vienna), prima didedicarsi esclusivamente alla scienza a partire dal 1661.La sua conversione agli studi scientifici avvenne perincoraggiamento ad opera del fisico ed ingegnere Paolodel Buono (1625-1659), da Montanari incontrato aVienna. Fin dalla giovinezza (1646) a Modena, Monta-nari si era comunque già dedicato ad intensi studi dimatematica e, in seguito, anche di astronomia. Parte-

60Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

cipò, in particolare, alle misurazioni fiorentine dellefasi di Saturno, avvenute dopo la pubblicazione (1659)del Systema Saturnium di Christian Huygens (1629-1695). Nel 1661 Montanari fu nominato matematicoe filosofo di corte a Modena, alle dipendenze del ducaAlfonso IV d’Este (1634-1662, duca di Modena e Reg-gio dal 1658). La morte del duca tolse ben presto lacarica al Montanari, ma gli offrì l’opportunità di cono-scere il marchese Cornelio Malvasia di Bismantova(1603-1664), influente membro del Senato bolognesee protettore delle scienze, che aveva allestito un osser-vatorio privato nel proprio castello di Panzano, neipressi di Castelfranco Emilia. Nello stesso 1662, Mon-tanari passava alle dipendenze del Malvasia, comple-tando con l’aiuto di questi e pubblicando le proprieEffemeridi (Modena, 1662). L’opera convinse definiti-vamente il Malvasia dell’opportunità di associare ilMontanari allo Studio bolognese. Malvasia si adoperòanche per fargli assegnare la cattedra di matematicadell’Università di Bologna, assegnazione che il Senatocittadino ratificò nel dicembre del 1664. A BolognaMontanari sarebbe rimasto sino al 1678, attraendo conle sue lezioni (peraltro molto tradizionali) gran partedei rampolli delle famiglie aristocratiche della città.Durante la sua permanenza a Bologna (1664-1678) enel corso del suo insegnamento bolognese, Montanaridovette spesso esaminare i problemi tecnici postiglidalle autorità cittadine, nonché interessarsi allacostruzione di strumenti di precisione per i necessaririlevamenti geodetici. E già nel corso della sua perma-nenza a Bologna, con la sua personalità, caratterizzatada grande vivacità intellettuale, nonché da un carismatale da metterlo nelle condizioni di combinare sapien-temente la ricerca e la didattica nelle scienze speri-mentali, attirando gli entusiasmi dei giovani studenti,Montanari può essere considerato a giusta ragionecome il vero promotore della fisica sperimentale nel-l’università bolognese. Anche se solo dopo la sua par-tenza per Padova (1680) iniziò ad interessarsi a fondodi problemi di idraulica applicata, ed anche se le suericerche non furono specificamente mirate alla soluzio-ne della questione del Reno bolognese, la vitalità intel-lettuale di Montanari, tutt’altro che schivo e timidodinanzi alle figure del potere cittadino, segnò unmomento di relativo splendore dello Studio di Bologna

che, nelle sue cattedre di matematica, vide contempo-raneamente presenti anche personaggi come PietroMengoli (1626-1686)82 e Gian Domenico Cassini.

Un esempio di tale vitalità si può ritrovare nelleriflessioni di Montanari nell’ambito dell’idrostatica edel comportamento dei liquidi. Mentre ancora fior distudiosi, e tra questi Galileo, Viviani e Borelli, si affan-nano alla ricerca di un adeguato concetto di pressionenei fluidi, Montanari cerca una risposta precisa al que-sito a suo tempo posto dall’Accademia della Traccia83:“per quale ragione la Natura rispetta la proporzione trai pesi specifici nell’equilibrio dei liquidi, piuttosto che ipesi assoluti nel caso dei solidi?”. Servendosi di unmodello corpuscolare, Montanari elaborò un’idea diliquido (o, come diremmo oggi, un suo modello fisico),approssimandolo concettualmente ad un ammasso distrati di piccole particelle sferiche, sovrastantisi l’unl’altro; e, proprio ricorrendo a tale modello, fu in gradodi giustificare l’esistenza di una forza interna, o pressio-ne, esercitantesi in ogni direzione, e che si rivela pro-porzionale alla profondità (rispetto alla superficie delliquido). Questo tentativo di rappresentazione tramiteun modello può essere definito come il primo passodeciso in un ambito di idee radicalmente nuove appli-cate all’idrostatica, effettuato nel panorama dellanascente fisica italiana dei fluidi. Per Montanari esiste-va la necessità di dare per scontata la possibilità diimmaginare un numero enorme di particelle, dispostesecondo strati sovrapposti, in ogni più piccola gocciad’acqua. Con le parole dello stesso Montanari:

Ma per levare ogni scrupolo, anche a quelli che volesserointendere l’Acqua per corpo continuo non mi negheròalcuno, che non possa entro di essa concepire particole diqualunque grandezza, e figura, le quali sebbene non divise“actu”, siano però in potenza così facile al dividersi, comefacilmente vediamo che si divide, e perciò non potràanche negare darsi fra esse la vicendevole comunicazionedel peso, nel modo sopra spiegato84.Un modello fisico che, ripreso e precisato alla luce

delle scoperte della successiva fisica molecolare, avreb-be costituito la base di partenza della disciplina ogginota come fluidodinamica molecolare.

Nel 1678 Montanari lasciava lo Studio di Bolognaper quello di Padova. La stessa via seguita, qualchedecennio dopo, dal suo discepolo Guglielmini.

61 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

VERSO GUGLIELMINI: BOLOGNA E LA MISURA

DELLE ACQUE

La compilazione di una storia della misura delle acque,con particolare riferimento al territorio bolognese, sirivela una fonte di documentazione e notizie, che nonsoltanto conducono alla scoperta di un panorama viva-ce e variegato in merito alla tecnica e alla scienza di talemateria. Come si vedrà, accanto alla realtà tecnico-scientifica, si articola infatti anche una realtà accade-mica e politica, che a sua volta caratterizzò e influenzòin misura sostanziale l’evoluzione della nascente idrome-tria come disciplina autonoma.

Si è già ampiamente visto come Bologna, negli ulti-

mi decenni del XVII secolo, fosse sede di continuinegoziati con la città di Ferrara per il controllo delleacque dei fiumi appenninici e come, per regolamentaretale situazione, fosse di fondamentale importanza l’atti-vità svolta dai periti idraulici. Tali periti erano in realtàtecnici polivalenti, la cui preparazione spaziava su piùcampi: erano agrimensori, estimatori, sapevano valuta-re raccolti, conoscevano elementi di architettura edeseguivano, ovviamente, progetti idraulici.

Nel periodo storico che qui più interessa, il mestieredel perito idraulico non appare comunque codificato: laprofessione relativa non fruisce ancora di trattati e testitecnici specifici, né risulta regolamentata in quanto taleda congreghe di sorta: resta invece sovente nell’ambitodella famiglia, dove di generazione in generazione vienetramandato un sapere, di cui spesso non si individuanoaltri codici di trasmissione, all’infuori di quella orale perlinee parentali.

Un primo tentativo di trasmettere e rendere accessi-bile alla maggior parte degli studiosi quella che potrem-mo definire la “pratica oscura” dei periti idraulici si puòtrovare nel testo edito tra il 1656 ed il 1663 da GiovanBattista Barattieri85: si tratta del suo Architettura d’ac-que, opera in cui la trattazione di tale sapere viene effet-tivamente caratterizzata da un taglio prevalentementetecnico-scientifico, anche se in essa ancora forte apparel’influenza degli aspetti prettamente giuridici.

In quest’opera, Barattieri forniva, tra l’altro, il prezio-so suggerimento di “disegnare bene e chiaro e conbuona destintione le parti di quei siti che occorrerannotrattarsi…”86, sottolineando in tal modo l’importanza diuna chiara e dettagliata documentazione grafica adaccompagnare il lavoro di perizia idraulica.

Le visite ai luoghi di studio, i sopralluoghi effettuatisul “campo degli efflussi” dei fiumi (secondo la locuzio-ne tecnica dell’epoca), costituiscono per i periti altret-tante occasioni per lavorare a stretto contatto con imaggiori scienziati della propria città, ma anche con itecnici rappresentanti di quelle oppositrici.

La generale necessità di sollecitare la curiosità di per-sonaggi pubblici e creare un consenso attorno al proble-ma delle acque rimaneva forzatamente una delle preoc-cupazioni di tutti coloro che in quest’epoca si interessa-vano a problemi di ingegneria idraulica. Ma anche isti-tuzioni prettamente civiche o civico-giuridiche finisco-no per avere un ruolo culturale di primo piano.

Un’importante raccolta di scritture inedite, pococonosciute e non ancora pubblicate, tra cui spiccano inomi di Gian Domenico Cassini, dell’Aleotti, delCastelli e dello stesso Barattieri viene data alle stampedal segretario dell’Assunteria di Confini ed Acque (aBologna nel 1682): si tratta della Raccolta di varie Scrit-ture e Notitie Concernenti l’Interesse della Remotione delReno dalle Valli 87, nella quale emerge il ruolo specifico a

62Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Fig. IX, Libro Terzo, Tratto del Po - Giovanni Battista Barattie-ri, Architettura d’acque di Gio. Battista Barattieri ingegnere,Stampa Ducale di Lealdo Leandro Bianchi, Piacenza, 1699;Fondo antico DISTART della Facoltà di Ingegneria dell’Uni-versità di Bologna, Inv. n. 299.

suo tempo assegnato all’Assunteria: ossia quello dicostituire un preciso punto di riferimento sia per i tec-nici che per la cittadinanza, assicurando così alla città iservigi e le consulenze di personaggi di alto valore tec-nico-scientifico: si pensi, ad esempio, allo stesso GianDomenico Cassini, il quale ricopriva nel contempo ilruolo di matematico e lettore dell’Archiginnasio bolo-gnese, oltre agli incarichi di astronomo presso la RoyalSociety, nonché quello di organizzatore dell’Osservato-rio Astronomico di Parigi.

Accanto ai tradizionali periti si muovono le figuredei primi ingegneri, “ottimi Artefici” nelle cronachedell’epoca, coloro che hanno l’esperienza “per mae-stra”. Tra questi viene ricordato in particolare proprioGiovanni Battista Aleotti di Argenta, “Ingegnerioperitissimo d’acque della città di Ferrara”88, il cui pare-re negativo sull’opportunità di introdurre “le acque nelPo grande, e dare insieme sicuro, e perpetuo recapito alReno”89, pubblicato nel 1601, verrà preferito a quelloespresso da altri illustri tecnici stranieri; sostanzial-mente, poiché questi ultimi vengono reputati poco oper nulla pratici del luogo di cui si tratta: poco pratici,ad esempio, degli effetti che le rotte secolari cagionanoal territorio.

Nel 1625 sarà un altro personaggio di rilievo, il giàincontrato Benedetto Castelli, ad introdurre unimportante elemento di discussione nella nascentescienza idraulica. Fu proprio Castelli ad accorgersi del-l’errore fisico, scaturito da un’incauta applicazione delsenso comune, commesso dai tecnici ferraresi in occa-sione delle piene del Po Grande: vale a dire, l’idea didare sfogo alle acque di quest’ultimo, immettendolenel Po di Ferrara. Castelli dimostrò nel suo trattato90

Della misura delle acque correnti come venisse sistemati-camente commesso un errore nella valutazione dellavelocità finale dell’acqua, proveniente dalla confluen-za di due distinti corsi d’acque: di fatto, veniva com-pletamente trascurata quella “cognitione” (per utiliz-zare il termine di Castelli) relativa alla distribuzionedel parametro “velocità” dell’acqua nei diversi punti diuna data sezione.

Più in dettaglio, secondo Castelli, occorreva capirese la velocità dell’acqua mantenesse la medesima inten-sità sul fondo dell’alveo e sulla sua superficie; ovvero, seessa variasse all’aumentare della profondità, ricordando

altresì come il concetto di velocità fosse necessariamen-te associato alla quantità di acqua che fluiva attraversouna sezione trasversale (del fiume) in un dato tempo:

Pronunziato Terzo. Le sezioni uguali, e che scaricanouguale quantità d’acqua in tempi uguali saranno ugual-mente veloci91.Da allora, il problema della determinazione della

velocità dell’acqua corrente, fosse essa racchiusa intubature e condotti oppure libera di fluire entro il lettodi un fiume, si sarebbe costituito come polo effettivo didiscussione tecnica; e attorno ad esso si sarebbero foca-lizzati gli studi teorici e le “experienze” dei maggioriingegneri idraulici dell’epoca.

Nel tentativo di dare una risposta al quesito sulle“profondità”, Castelli propose poi un esperimento, attoa confermare la legge dell’efflusso (descritto nella quar-ta proporzione, Libro II, della sua opera). L’esperimen-to, effettuato dallo stesso Castelli nel Monastero di SanCallisto a Roma, sua residenza dell’epoca, consistevanel far scaricare 100 sifoni d’acqua alla sommità di unacanalina inclinata, con lo scopo di misurare l’altezzadell’acqua che scorre in un dato punto del canale.

Siamo in grado di seguire passo-passo l’esperimentodi Castelli. Innanzi tutto, la prova viene effettuata con19 sifoni, prendendo l’altezza misurata h come altezza diriferimento; viene quindi ripetuta con 81 sifoni, osser-vando che questi forniscono, come misura dell’altezzaeffettuata nella medesima sezione, una valore pari a9/10 di h. Altre misure forniranno i seguenti dati: con64 sifoni, 8/10 di h; con 49 sifoni, 7/10 di h, e così via;la proporzione risulta mantenersi anche per piccolivalori di h, portando alla conferma di quella che vieneoggi definita Legge dell’efflusso; denotando con Q la por-tata della canalina, essa si scrive:

Q ∝ h2

Interpellato in proposito da Castelli, il grandeBonaventura Cavalieri92 si assume il compito di prova-re la veridicità teorica di tale affermazione, derivandosotto ipotesi opportune la necessità della proporziona-lità tra la velocità v e il quadrato dell’altezza. Nel suoragionamento, Cavalieri assume che le velocità, inogni sezione trasversale di un corso d’acqua, abbianoun profilo triangolare, e che ognuna di queste velocitàsia proporzionale alla distanza dal fondo. Immaginan-do di poter dividere la sezione in diversi piani paralleli

63 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

di uguale spessore, si potrà essere portati a pensare cheogni strato piano abbia la stessa velocità. Ma, poichéognuno dei medesimi piani è “trasportato” da quellisottostanti, ogni singola velocità v viene incrementatadi una grandezza proporzionale al numero degli straticonsiderati. Inoltre, sempre nel Libro II del trattato,Castelli definisce con precisione i tre parametri fonda-mentali per determinare con una certa precisione lavelocità di flusso dell’acqua corrente: ossia la larghezzadel corso d’acqua, la sua profondità (chiamata anchealtezza viva) e la forma (del letto del fiume o del cana-le entro il quale l’acqua scorre).

A valle delle fondamentali ricerche di Castelli,occorre però tornare un attimo al panorama accademi-co e politico della città del tempo, al fine di introdurredegnamente la figura di spicco nel campo degli studi diidraulica nel bolognese. Agli inizi del 1680, l’Assunte-ria di Confini ed Acque avvertiva la necessità di pote-re disporre di competenze che avessero “non solo prati-ca, ma teorica ancora in materia d’acque oltre ai peri-ti”. Sollecitata da tale necessità, essa coinvolgeva G.Antonio Pietramellara, all’epoca ambasciatore bolo-gnese a Roma, al fine di far sì che Bologna non rima-nesse arretrata nella corsa verso la formazione di tecni-ci dediti allo studio delle acque: la competizione conFerrara si faceva sempre più forte, e Bologna sentivaormai viva la necessità di una scuola di istruzione per-manente in materia di perizia d’acque.

Ma con le rotte del Reno che inondavano ormaiun’ampia parte dei territori a Nord e a Nord Est dellacittà, nonché un piano regolatore delle acque (comediremmo oggi) che gli organi responsabili e competen-ti faticavano a porre in opera (conseguentemente adostacoli politici ed amministrativi che si profilavanoormai come sempre più difficilmente sormontabili),l’ufficio stesso della Gabella Grossa93, importante fontedi reddito per il finanziamento di attività di interessecittadino, versava, suo malgrado, in uno stato di apertapenuria finanziaria; in difficoltà, ad esempio, nell’a-dempiere al pagamento dello Studio e degli stipendidei lettori universitari. Fu proprio quest’ultimo ele-mento ad influire in maniera decisiva nella carriera diun giovane allievo di Malpighi94 e Montanari95, medi-co per formazione ed astronomo per passione: Dome-nico Guglielmini96.

DOMENICO GUGLIELMINI: LO STUDIO DI BOLOGNA

E L’IDROMETRIA FISICO-MATEMATICA

È il 14 ottobre del 1678, quando Guglielmini chiedeufficialmente di occupare la lettura stipendiaria cheera stata del Montanari, proponendosi di prestare l’o-pera per una lettura onoraria (in altre parole, senza sti-pendio). L’Assunteria di Studio, favorevole a talerichiesta, sottolinea per parte propria le qualità delcandidato, “erudito nelle scienze matematiche”,vedendo in lui una sorta di summa delle scienze mate-matiche, fisiche e biologiche.

Nel 1679 la lettura onoraria di matematica vieneconcessa e, nel 1681, la stessa Assunteria nominaGuglielmini “per fare le parti di teorico matematico”:di fatto, per affiancare il perito pubblico nelle misu-razioni necessarie, al fine di verificare la proposta deiferraresi nel 167997; in particolare nelle misurazionida effettuarsi durante i sopralluoghi, per controllarela fattibilità operativa delle proposte effettuate daiferraresi. Il proposito non dichiarato dei membri del-l’Assunteria, che ebbero il merito di intuire le molte-plici qualità di Guglielmini, fu chiaramente quello diutilizzare il giovane matematico, la sua energia e ilsuo desiderio di mettersi in luce, per farne eventual-mente anche un ministro capace di mediazioni poli-tiche, oltre che un prezioso maestro per la generazio-ne a venire.

I compiti progettuali affidati a Guglielmini sono findall’inizio di prim’ordine: la regolazione e il controllodel deflusso stabile ed ordinato delle acque del fiumeReno, nonché il funzionamento della navigazione traBologna e Ferrara; inoltre, a livello politico-diploma-tico, nelle competenze di Guglielmini rientra anchel’assistenza e l’informazione dei ministri della CameraApostolica, dalla cui persuasione dipende l’eventualeprosecuzione dei finanziamenti papali in materia diregolamentazione delle acque, su progetti favorevolialle tesi della città.

Nel dicembre del 1682, terminata la missione diesplorazione, il Senato cittadino elegge Guglielminisovrintendente alle materie d’acque, con nominaprovvisoria, retribuita; due anni dopo gli viene richie-sto di lasciare la professione medica; ciò, affinché siapossibile rendere quinquennale l’incarico affidatogli,

64Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

con relativo adeguamento del compenso, in armoniacon le richieste dello stesso Guglielmini. La richiestadel Senato si pone evidentemente il fine di utilizzare atempo pieno le competenze di quest’ultimo, rendendocosì possibile un monitoraggio continuo e sistematicodello stato dei fiumi della pianura; in attesa di sblocca-re la ripresa dei negoziati tra Bologna e Ferrara, nel1686 il Senato bandisce così il concorso per la caricadi sovrintendente, al quale partecipa anche il valentematematico modenese Geminiano Rondelli98.

Il problema tecnico-amministrativo dell’assunzionedi Guglielmini viene aggirato ricorrendo ad una solu-zione di compromesso. Dopo la partenza di Montanariper Padova nel 1678, solo il già incontrato PietroMengoli è rimasto lettore di matematica. L’Assunteriasi riunì riunisce volte su tale soggetto, con l’ulterioreintento dell’assegnazione di una nuova cattedra, rag-giungendo infine una soluzione di compromesso: ilnuovo incarico sarebbe stato offerto ad tempus con unsalario iniziale dimezzato. Il 29 ottobre 1689 Gugliel-mini viene quindi nominato alla cattedra mattutina dimatematica per un periodo di due anni, mentre a Ron-delli viene assegnata la cattedra pomeridiana, per unperiodo di cinque anni.

La lunga diatriba tra Bologna e Ferrara delinea aquest’epoca il seguente prospetto: i Ferraresi detengo-no il controllo di gran parte degli impianti per la rego-lazione delle acque, determinando con le loro decisio-ni lo status idrico delle acque dell’intera regione; a ciò,i Bolognesi possono opporre unicamente i diritti dirichieste operative, derivanti da analisi tecniche spe-cifiche, correlate in sostanza alla tendenza naturaledelle acque dei fiumi a riversarsi nel mare secondo lalinea di massima pendenza, compatibilmente con gliostacoli naturali.

Intensa è anche l’attività di informazione e media-zione svolta da Guglielmini per la salvaguardia dellanavigazione tra il 1686 e il 1691: attività che appareimmediatamente consapevole dell’esigenza di un sape-re auto-fondante e costituito, a supportare le ragioniaddotte per contrastare lo status giuridico di esclusivasovranità di Ferrara sulle acque del proprio territorio. Ètutto questo insieme di incarichi, incombenze e rifles-sioni correlate a sottendere l’elaborazione autonoma,da parte di Guglielmini, dei sei libri (editi tra il 1690 e

il 1691) dell’Aquarum fluentium mensura nova methodoinquisita, opera che rappresenta il primo tentativo diassicurare basi generali alla teoria della misura delleacque correnti.

Sul versante pubblicistico, la confutazione gugliel-miniana delle proposte della delegazione ferrarese eragià stata effettuata in precedenza, in forma alquantodecisa, se non proprio ai limiti della diplomazia: “lanatura stessa gli ha fatto connoscere quanto si allonta-nino dal raggionevole, e riuscibile havendo l’acquedella Valle rotti gli argini del Po di Primaro… invecedi incamminarsi dove essi si erano presupposto99.”

Durante la stesura del lavoro, e soprattutto durantela rielaborazione dello stato dell’arte dell’epoca inmateria d’acque, Guglielmini si impone anche di ana-

65 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Frontespizio - Domenico Guglielmini, Aquarum fluentium men-sura nova methodo inquisita, ex Tipographia Pisariana, Bononiae,1690; Biblioteca Universitaria di Bologna, Coll. A.IV.K.X.46.

lizzare puntualmente i lavori e gli studi di colleghi epredecessori. Riscontra così alcuni importanti errorinelle teorie di Castelli e Barattieri, rispetto agli ele-menti sperimentali e teorici che andava elaborando(“benché qualche volta per accidenti possa riuscire inpratica100”).

In particolare, una lettera al Montanari del 15 set-tembre 1680 ha un ruolo di notevole importanzanella storia della scienza delle acque. Discostandosidalle teorie del Castelli, Guglielmini vi azzarda unaprima versione qualitativa del metodo che andavarielaborando:

(…) penso che la teoria di Castelli sia sbagliata. Ho deiproblemi con l’esperimento dei cento sifoni di Castelli econ l’esperienza del Barattieri, che si accorda con lamisura della radice delle altezze. (…).Io considero le acque correnti che si muovono libere in

fiumi o canali oltre che l’acqua corrente rinchiusa intubature o condotti sotterranei, ed assumo il seguenteprincipio.Penso che l’acqua, ovunque essa scorra, si muova unica-mente grazie al principio di gravità, che non si comportacome nei corpi solidi con solo un unico impulso di gra-vità (a causa della quale i corpi cadono), ma come per glialtri liquidi agisce in modo per cui le parti meno pressatesono mosse da quelle più pressate.(…) se consideriamo l’acqua corrente indipendente-mente dalla forza della pressione, questa sarà la medesi-ma cosa del considerare un corpo solido che si muovelungo un piano inclinato. (…) La forza delle acque cor-renti è composta dalla forza di pressione e dal momentodi caduta lungo il piano inclinato. Conoscendo queste, siconoscerà la forza delle correnti.Questo è il metodo con il quale mi propongo di investi-gare tale problema101.Si noti che all’epoca lo scienziato bolognese è un

giovane di soli venticinque anni; ma non gli fannocerto difetto l’energia e la forza per criticare una tradi-zione che annovera, tra i suoi sostenitori, Castelli,Cassini, Barattieri, Riccioli102 e lo stesso Montanari.

Dalla lettere di quest’epoca si evince anche ladistinzione esplicita che Guglielmini applica al com-portamento di solidi e liquidi, cogliendo nell’esistenzadella pressione dei fluidi il principale elemento didistinzione, che impedisce un’analogia diretta di com-portamento.

La stessa dinamica dei fluidi in caduta secondo unalveo inclinato, argomento apparentemente cancella-to nelle riflessioni di vari contemporanei dal ricorso alconcetto di pressione, riemerge invece di lì a poco,quando Guglielmini si rende infatti conto dell’impor-tanza di una trattazione senza distinzioni di principiotra condotti aperti e chiusi. Sempre dalla stessa letteradi Guglielmini a Montanari, possiamo infatti citareanche quanto segue:

(…) la proposizione tra forze a diverse profondità non èquella supposta da Castelli, cioè che la velocità delle par-ticelle sul fondo è due volte più grande di quelle chestanno tra il fondo e la superficie, ma quella riportata daBaliani nel Libro VI De Motu Liquidorum, da Mersennenei Fenomeni Idraulici, da De Chales nel trattato DeFontibus & Fluvius.

66Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Frontespizio - Vincenzo Viviani, Discorso al Serenissimo Cosi-mo III Granduca di Toscana Intorno al difendersi de’ riempi-menti, e delle Corrosioni de’ fiumi, Piero Martini, Firenze,1687; Fondo antico DISTART della Facoltà di Ingegneria del-l’Università di Bologna, Inv. n. 3631-224.

(…) Con esperimenti si è provato che: le velocità adiverse profondità, cioè i momenti dai quali le parti sonopressate a diverse profondità, hanno subduplicata pro-porzione cioè, la [radice quadrata] con le profondità enon la semplice proporzione come asseriva Castelli.Da questo segue che tutte le velocità possono essereimmaginate disposte lungo una linea perpendicolare attaalla misura dell’altezza dell’acqua in una sezione (o rego-latore), dico che tutte queste velocità (rappresentate dasegmenti orizzontali che hanno tutti origine da questaperpendicolare) terminano su una linea parabolica, cheè regola e norma per ogni situazione (…)103.Questo dimostra innanzi tutto come l’eredità teori-

ca di Guglielmini non fosse solo e puramente italiana(si notino le menzioni dei nomi di Mersenne e diDechales); d’altra parte, l’idea di un profilo parabolicodelle velocità (e della relativa rappresentazione grafi-ca) si può attribuire a Galileo e Torricelli; in particola-re, nel caso dei fluidi, è la legge dell’efflusso di Torri-celli a costituire per Guglielmini l’esperienza-base ditutta la costruzione, ben più delle pur ingegnose ideesperimentali della fisica idraulica del tempo:

(…) Ho incontrato un’altra difficoltà con la dimostrazio-ne di Castelli, poiché per me è molto complicato trovarele reali misure.Porre un galleggiante nella corrente ed osservarne ilmoto; colorare l’acqua con inchiostro o vino; utilizzaregli strumenti del Barattieri e del Cabeo (…) tutte questecose mi appaiono portatrici di una grande confusione,pure nel caso in cui si consideri solamente la velocità insuperficie104.Oltre a svolgere incarichi di ingegneria idraulica per

conto della città, in quegli anni Guglielmini continuauna parziale collaborazione con Malpighi, curandoalcuni pazienti sotto la supervisione di questi. La prati-ca della professione medica, lo mette in contatto conpazienti influenti come, ad esempio, il cardinale Giro-lamo Gastaldi (fl. 1655), legato papale a Bologna dal1678, e alle cui dipendenze sarà ancora durante ilritorno di questi a Roma dove era stato richiamato nel1684. Nella capitale Guglielmini incontra, tra gli altri,Michelangelo Fardella105; ma la conoscenza più impor-tante si delineerà essere quella con un membro dellafamiglia Borghese, il principe Marcantonio III (1598-1658)106. Guglielmini gli dedicherà le Riflessioni filosofi-

che dedotte dalle figure de’ sali (1688), mentre dedica adun parente del suddetto principe, il cardinale Benedet-to Pamfili107 (o Pamphili, 1653-1730), le Epistolae duaeHydrostaticae (1692).

Un nuovo momento cruciale dell’attività accademi-ca di Guglielmini nello Studio bolognese va individua-to nel 1686, quando Antonio Felice Marsili (1649-1710) viene eletto arcidiacono della cattedrale di Bolo-gna: si tratta di un incarico molto ambito, poiché godedel privilegio papale ed imperiale di confermare le cat-tedre universitarie. Durante la prolusione pronunciatanel novembre del 1687, in occasione dell’apertura del-l’anno accademico, l’arcidiacono sottolinea la “doloro-sa catastrofe” e la sempiterna “crisi” in cui versa l’uni-versità. Per debellare i continui abusi e per porre frenoal declino dello Studio, Marsili auspica apertamente ilritorno alle antiche regole e agli antichi costumi delloStudio. Ma l’ascesa al soglio pontificio (nel luglio del1691) di Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1615-1700) e la seguente chiamata a Roma del Malpighi perassumere l’incarico di medico personale del papa, tol-gono al Marsili un importante alleato, frustrandone sulnascere piani di riforma dello Studio.

In questa situazione confusa, in cui da una parte simuovono l’aspirazione alla promozione del saperesacro e della filosofia sperimentale, e dall’altra il tenta-tivo di riformare l’università, non solo tramite unariorganizzazione ed una rimodernizzazione dei currico-li, bensì mirando anche alla soppressione di privilegi(peraltro discutibili) dei dottori bolognesi, mancanoinformazioni precise sul ruolo e sulla posizione assuntadal Guglielmini. Il quale, per parte sua, non si trovacerto in una posizione comoda; né, tanto meno, tra-sparente: come Sovrintendente alle acque un funzio-nario del Senato; ma anche un potenziale candidatoalla carica di lettore dello Studio, relatore nell’accade-mia dell’Arcidiacono e allievo del Malpighi.

Probabilmente Guglielmini riuscì a mantenersicomplessivamente in una posizione politicamenteintermedia. Agli inizi (1687-1688) lo scienziato sim-patizzava certo per le idee espresse dal Marsili108 ma, inseguito, constatata la profonda contrarietà del Malpi-ghi ad ogni tentativo di riforma dello Studio, seppeassumere una posizione più conciliatoria, unita ad unatteggiamento di prudente neutralità.

67 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

L’AQUARUM FLUENTIUM MENSURA E IL PENDOLO

IDROMETRICO

Si è già accennato al fatto che, fin dalla fine del1680, Guglielmini aveva intuito l’importanza di per-correre la tradizione galileana in materia d’acque,attraverso i trattati di Giovanni Battista Baliani109,Marin Mersenne110 e di Claude François Dechales111,oltre a basarsi sui lavori di Galileo e Torricelli. In par-ticolare, lo stimolo provocato dal lavoro di Dechales fumolto maggiore di quanto lo scienziato bologneseabbia mai ammesso. Per quanto la sezione sulle acquecorrenti del trattato Cursus seu mundus mathematicus diDechales (1674) fosse un lavoro puramente compilati-vo, e nonostante questi accettasse in maniera sostan-zialmente acritica i risultati degli esperimenti sull’ef-flusso di Mersenne, è in quest’opera che, dopo una cri-

tica alla legge dello stesso Castelli, si incontra unaprima applicazione della relazione (errata) di propor-zionalità tra la velocità dell’acqua e la profondità alcaso dei fiumi. Certamente, nel lavoro di Dechales que-sto tipo di generalizzazione è lontano dall’essere com-pleto ed esaustivo: d’altra parte, è la prima volta che ilmodello fisico dell’efflusso di un liquido da un piccoloforo di un recipiente viene esplicitamente introdotto inun lavoro attinente lo studio dei corsi d’acqua. L’assun-to di Dechales era che la velocità di flusso attraversouna sezione trasversale fosse proporzionale alla ��h3,dove h indica la profondità della massa di acqua cor-rente; la relazione non è quindi sostanzialmente diversada quella che, nei testi di idraulica editi in Italia, è tal-volta denominata legge di portata di Guglielmini (laportata è proporzionale a ��h3).

Nel 1684 il gesuita Francesco Eschinardi112 avevatrattato il caso dell’efflusso da un piccolo foro e quellodelle acque correnti in un canale aperto ancora comefenomeni fisici nettamente disgiunti. Secondo l’analisidi Eschinardi, nel primo caso la velocità è proporzio-nale a ��h mentre nel secondo è proporzionale ad h.Per Eschinardi, era possibile sostenere la proporziona-lità tra v e ��h solo per l’efflusso da un piccolo foro, eper proporre un metodo sperimentale per la misurazio-ne della portata di un canale o di un fiume. Questoapproccio fu seguito, in particolare, dal matematicomilanese Giovanni Ceva113, il cui lavoro si propone losviluppo di un metodo, in grado di tradurre sperimen-talmente concetti provenienti dai campi gemelli dellameccanica dei fluidi e dell’idraulica. Il quarto trattatodegli Opuscola mathematica di questi è dedicato agliesperimenti sulla questione della portata dei fiumi; piùprecisamente, esso costituisce un tentativo consapevo-le di fornire un metodo meccanico pratico, per la rive-lazione delle velocità relative in un fiume.

Il metodo proposto da Ceva misurava il cambio didirezione dalla verticale del filo di un pendolo immer-so nel flusso della corrente. Il dispositivo ideato e spe-rimentato da Ceva costituisce perciò un precedenteimportante del pendolo idrometrico, successivamen-te (e in maniera verosimilmente indipendente) pro-posto da Guglielmini per risolvere il problema speri-mentale della determinazione della volontà di uncorso d’acqua. D’altra parte, la lettura del trattato

68Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Tab. 8 - Giovanni Ceva, Opuscola mathematica, Ex Typo-graphia Ludouici Montiæ, Mediolani, 1682; Biblioteca Univer-sitaria di Bologna, Coll. A.IV.L.IX.10.

guglielmiano consente di rendersi conto del lungoperiodo di incubazione che il problema delle acquedovette avere nelle riflessioni del fisico bolognese.

La prima parte dell’Aquarum fluentium mensura fustampato “ex Typographia Pisariana” e pubblicato aBologna nell’agosto del 1690. Nell’opera, Guglielminiriporta e sviluppa ampiamente le motivazioni e leintuizioni che egli stesso aveva comunicato al Monta-nari dieci anni prima, cercando di ordinare e sistemarel’argomento da lui studiato, in accordo con il metodogeometrico di stampo euclideo. E fin dalla prefazioneLectori Benevolo, Guglielmini rende omaggio a Castellicome al primo che, con l’aiuto della geometria, fu ingrado di stabilire un canone e delle regole affinché lavelocità dell’acqua fosse da prendere in considerazionenella misurazione delle acque correnti.

Ma è proprio studiando l’opera di Castelli cheGuglielmini sorgono due dubbi: innanzi tutto, poichéla velocità non è la stessa in ogni punto dell’acqua cor-rente, rimaneva da stabilire a quale velocità Castelli siriferisse in particolare; inoltre, rimaneva da risolvere laquestione cruciale della seconda proposizione del IIlibro dell’opera di Castelli, che asseriva che tra la velo-cità di una massa d’acqua in movimento secondo unadata sezione trasversale (di un fiume) e la sua profon-dità vi fosse una proporzionalità lineare. Insoddisfattodalle argomentazioni di Castelli che supportavano taliasserzioni, Guglielmini si impegnò nella ricerca di unadimostrazione più convincente. Il rapporto tra le velo-cità dell’acqua corrente a diversa profondità in unadata sezione trasversale di un canale (o di un fiume)dovrebbe essere lo stesso che si evince dall’esperimen-to dell’efflusso da un recipiente; vale a dire che talivelocità dovrebbero essere proporzionali alle radiciquadrate delle suddette profondità. Gli esperimenti diGuglielmini sembravano confermare l’idea che levelocità in prossimità del fondo fossero maggiori, manessun esperimento mostrava chiaramente che la rela-zione v ∝ ��h potesse essere applicata a fiumi e canali.

Il tema della determinazione della velocità di scorri-mento dell’acqua alle varie profondità di un alveointeressava le riflessioni dei migliori allievi dello stessoGalileo. Un importante approccio alternativo al pro-blema della misurazione della velocità delle acque,oltre a quello indicato da Ceva, venne apportato da

Vincenzo Viviani (1622-1703), l’ultimo grande allievodi Galileo. La sera del 1° settembre 1690, al suo rientroa casa, Viviani viene informato che una copia deiprimi tre libri dell’Aquarum fluentium era stato conse-gnato al suo indirizzo per iniziativa di Guglielmini.Viviani sfoglia i volumi e nota immediatamente che ildisegno del profilo parabolico delle velocità vieneripetuto più volte nelle quattro tavole dei tre libri,comprendendo – come scriverà in una lettera alGuglielmini datata il giorno seguente – che il bologne-se “aveva battuto la vera via”: la medesima, del resto,in precedenza seguita dallo stesso Viviani.

In quel periodo, infatti, anche Viviani stava prepa-rando un trattato sull’idrometria e, visionato il lavorodi Guglielmini, non poté non dirsi indispettito dall’e-videnza di essere stato anticipato in una materia di taleimportanza. Durante un suo precedente soggiorno aRoma (dal dicembre 1689 al maggio 1690), Vivianiaveva avuto l’opportunità di eseguire esperienze diret-te sul moto delle acque, stendendo una bozza del suolavoro in quattro libri; un’opera che, nei suoi progetti,avrebbe dovuto intitolarsi Sogno idrometrico. Benché inseguito Viviani dichiarasse come suo scopo principalequello della misura delle acque correnti, dalla copiamanoscritta superstite del Sogno idrometrico, egli sem-bra essersi limitato a formulare una teoria per determi-nare l’ammontare di flusso che sgorga da diverse aper-ture in vasi, serbatoi e clessidre. A dispetto di una scar-sa comprensione dell’innovazione apportata dal lavorodi Guglielmini, l’affermazione di Viviani non era com-pletamente infondata; e, se avesse revisionato e pub-blicato il Sogno idrometrico in tempo, questo avrebbeprobabilmente tolto una parte consistente di origina-lità all’Aquarum fluentium mensura.

Al contrario di Viviani, Guglielmini sottolineò sindall’inizio, come abbiamo visto, come lo scopo del suolavoro fosse quello di riformare la dottrina di Castelli.Nella prefazione all’opera, Guglielmini rileva peraltronon solo la necessità di un nuovo metodo d’indagineper la misura delle acque correnti, ma anche quella diun’intera revisione della dottrina114. Guglielmini sipropone specificamente di introdurre una grandezzache rappresenti ‘tutte’ le velocità di flusso rilevatenella totalità dei punti di una data sezione trasversale(al contrario di quanto si faceva sino ad allora, ossia cer-

69 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

care di studiare il moto delle particelle dell’acqua lungoi loro cammini). Sceglie quindi di utilizzare un altro tipodi approccio, basato sulla somma delle velocità dell’ac-qua, campionata in diversi punti di una sezione trasver-sale. Seguendo un’analisi alquanto simile all’idea gali-leiana di composizione di moti indipendenti, Gugliel-mini presenta l’argomento come in figura:

Rappresentazione di Guglielmini per il profilo della velo-cità di un fiume lungo una perpendicolare AB.

Ora, Guglielmini conosce, dall’esperienza, che lungola perpendicolare AB ad una sezione trasversale delcorso d’acqua, dove A indica la posizione della superfi-cie del liquido e B quella del fondo, le particelle d’acquache si trovano tra A e B non hanno la stessa velocità. Ilsegmento GI viene individuato come rappresentativodella velocità dell’acqua in G; il segmento FH dellavelocità dell’acqua in F, ecc. mentre la curva KIHECdenota il profilo delle velocità lungo la perpendicolareAB. La velocità media viene definita da Guglielminicome la velocità intermedia rappresentata dalla lineaFH, in modo tale che se tutta l’acqua passasse attraversoAB alla medesima velocità, il flusso sarebbe lo stesso delcaso reale, nel quale diversi ‘settori’ di acqua si muovo-no con velocità diverse attraverso AB.

Fin qui, nulla di nuovo: Guglielmini aveva in sostan-za correlato il rettangolo ABML al triangolo ABC (nonevidenziato in figura), ottenendone un’intelligente rela-zione di media, il profilo parabolico ABCHK. Figureanaloghe erano invero presenti, seppur separate, anchenel lavoro di Borelli115. Confrontando dunque tra loro i

piani prodotti da un moto uniforme e da un moto acce-lerato, Guglielmini aveva introdotto qualcosa di analo-go all’attuale definizione di velocità media. D’altraparte, mentre per Galileo e Borelli il rettangolo ed iltriangolo esprimevano moti di natura diversa (uniformee accelerato), la figura a profilo parabolico di Guglielmi-ni era il risultato dell’unione di infinite velocità costan-ti. Nei libri II e III dell’Aquarum fluentium (in cui si illu-strano gli studi sui canali orizzontali ed inclinati), vieneattuata la generalizzazione del modello di efflusso da unorifizio, applicandola al caso di un corso di acqua cor-rente. I canali e gli alvei dei fiumi vengono quindi com-parati a recipienti, mentre le sezioni trasversali deglialvei sono assimilate ad orifizi; per la legge dell’efflusso,Guglielmini si riferisce alla dimostrazione di Torricelli, aquel tempo considerata la migliore.

Nel Libro II, proposizione 2, Guglielmini scrive: “lavelocità dell’acqua che fluisce attraverso una datasezione di un canale inclinato è la medesima di quellache sgorgherebbe da un orifizio di un recipiente, simile[in forma] ed uguale [in area] alla sezione, tanto distan-te dalla superficie dell’acqua quanto la sezione [stes-sa]…” E poiché l’acqua è un “corpo pesante”, il suovalore di velocità finale lungo il piano inclinato saràuguale alla velocità di caduta finale di un corpo secon-do l’altezza considerata; ne consegue che la velocitàdell’acqua è la stessa in entrambi i casi116 (per il canalee per il recipiente).

La meccanica dei corpi solidi e il paradigma dellacaduta libera controllavano quindi ancora completa-mente la scena (come Papin dichiara nel maggio1691 negli «Acta Eruditorum»117). Guglielmini eraconsapevole dell’ambivalenza del modello del reci-piente, modello che peraltro sfruttava con un certovantaggio. Nel caso dei canali orizzontali (elementoportante del Libro III), il principio della forza di pres-sione diviene invece la sua linea-guida, prendendomarcatamente le distanze dal suddetto modello. Ilmoto dell’acqua in tali canali dipende essenzialmen-te, in accordo con Guglielmini, dalla pressione del-l’acqua sovrastante. Una perpendicolare ad una sezio-ne trasversale del canale era infatti da questi concepi-ta come una serie infinita di piccoli orifizi, dispostilungo una verticale.

Una generalizzazione della legge dell’efflusso era già

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stata in precedenza proposta da Torricelli118; in effetti,seguendo Torricelli, Guglielmini presuppone che il flus-so dell’acqua secondo tale perpendicolare sia libero,come nel caso di un efflusso da un’apertura stretta elunga, secondo la parete verticale di un recipiente man-tenuto costantemente pieno di acqua119. Guglielminiosserva anche che, in un caso ideale, se la superficielibera è a livello, allora o l’acqua è ferma, oppure tutte levelocità in una data perpendicolare sono le stesse; l’ac-qua procederebbe in tal caso per vis inertiae. Nel casoreale, è invece solo grazie a una piccola inclinazionelongitudinale sull’orizzontale della superficie che l’acquascorre in condotti aperti.

A conclusione di quanto raccolto, combinando ladipendenza della velocità media dell’acqua dallapressione (a sua volta dipendente dall’altezza dellacolonna d’acqua h) e quella imposta dalla legge del-l’efflusso di Turricelli, Guglielmini è in grado didedurre la proporzionalità della velocità in questioneal prodotto h��h = ��h3 .

Le osservazioni sperimentali del suo dispositivo,compiute da Guglielmini con un pendolo accoppiatoad un quadrante graduato, mostravano poi come l’an-golo di deviazione dalla verticale aumentasse effettiva-mente con l’abbassarsi del contrappeso del pendolo,supportando perciò, entro certi limiti, l’idea che la cor-rente vicino al fondo fosse più veloce. Del resto la pre-cisione tecnico-costruttiva dello strumento, consenti-ta dalle tecniche dell’epoca, non era certo in grado dievidenziare la reale diminuzione della velocità dell’ac-qua in condotta, in prossimità del fondo. Si osservi loschema centrale della figura. La corrente fa deviare ilcontrappeso del pendolo immerso ad una data profon-dità dentro un flusso di acqua corrente. In accordo conGuglielmini, le velocità della corrente nei punti diprova sono proporzionali alle tangenti degli angoli dideviazione dalla verticale del filo del pendolo. Questaprocedura fu in seguito messa in discussione per ragio-ni empiriche e teoriche; un discepolo di Leibniz, cheincontreremo in seguito, Jacob Hermann120, mostròinfatti come le velocità non fossero in effetti propor-zionali alle tangenti degli angoli di deviazione, bensìalle radici quadrate di tali tangenti. Per di più, nellaseconda metà del XVIII secolo si osservò che la cor-rente curvava il filo del pendolo, portando alla rileva-

zione di valori per la velocità delle correnti altamentesovrastimati, soprattutto alle alte velocità di flusso121.

Ancora un’ultima barriera concettuale resisteva, allafine del XVII secolo, tra la statica e la dinamica dei flui-di. Si deve infatti ricordare come anche Guglielminifosse influenzato dalla tradizione di stampo rinascimen-tal-archimedea: la novità del suo approccio consiste inun’originale mescolanza di tradizioni ingegneristiche, uninsieme di conoscenze dove il principio ingegneristicodella forza della pressione diviene un supporto ausiliario,pur se ormai fondamentale per lo studio dei canali incli-nati. Lo stesso termine di “pressione” (lat. pressio), utiliz-zato da Guglielmini in un contesto che oggi diremmo“dinamico”, sposta in misura sensibile il proprio signifi-cato, sino a divenire più o meno equivalente a forze nonequilibrate che producono moto122.

Guglielmini, con notevole intuito fisico, si poseanche il problema di tenere conto degli attriti dell’acquacon la parete e il fondo del canale, cercando di definire la

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Pendolo idrometrico - Domenico Guglielmini, Aquarum fluen-tium mensura nova methodo inquisita, Tab. III, fig. 18, ex Ti-pographia Pisariana, Bononiae, 1690; Biblioteca Universitariadi Bologna, Coll. A.IV.K.X.46.

relativa velocità-limite di scorrimento. L’assioma postoall’inizio del Libro IV sembra accogliere il paradigmadella caduta libera:

Oltre ad un moto violento, l’acqua non può avere nel suoflusso una velocità più grande di quella che potrebbe averese potesse discendere liberamente lungo una linea vertica-le, senza alcun ostacolo123.Sulla base di tale assioma, Guglielmini capisce che in

un canale inclinato senza attrito la profondità dell’acquanon avrebbe alcuna influenza sulla velocità. Ciò rendein definitiva chiara la ragione di porre una distinzione trai canali orizzontali e quelli inclinati, dato che essi obbe-discono a diversi principi (o ‘cause’) di moto: rispettiva-mente, la ‘pressione’ e l’‘inclinazione’.

Nei casi reali, la resistenza prodotta dal canale frena(rallenta) il moto; ne consegue che il principio di pres-sione fa la sua comparsa anche sulla scena dei canaliinclinati. La forza data dalla pressione dell’acqua noncontribuisce, secondo l’idea di Guglielmini, alla velocitàeffettiva della corrente in prossimità del fondale; insostanza, la pressione idrostatica non influirebbe sullavelocità dell’acqua, fin tanto che quest’ultima è suffi-cientemente elevata, mentre il suo contributo si farebbesentire unicamente nel caso di fluidi in condizioni quasi-statiche: quindi, se la velocità dell’acqua è bassa, allora lapressione diverrebbe dinamicamente importante (effica-ce), contribuendo ad aumentare la velocità sino a quelloche Guglielmini riteneva un valore-limite124.

Esaminando la quantità di acqua scaricata (per cosìdire) da un generico canale, Guglielmini si rende infineconto dell’esistenza di un profilo parabolico delle velo-cità anche nelle condotte chiuse. In accordo con la teo-ria enunciata ne l’Aquarum fluentium mensura, vi è unpunto (chiamato locus o centrum velocitatis) sull’asse delprofilo parabolico delle velocità, le cui ordinate rappre-sentano la velocità media dell’efflusso. La velocitàmedia, in altre parole, è data dalla velocità di efflusso da unorifizio la cui profondità al di sotto della superficie del liquido èuguale alla differenza, in livello, tra il vertice della parabola eil ‘centrum velocitatis’. Al fine di ottenere alcuni valorisignificativi, Guglielmini realizzò un’ulteriore serie diesperimenti, dai quali poi trasse una tabella125 che analiz-zava le velocità di efflusso per altezze varianti da 1 polli-ce a 30 piedi bolognesi126. Moltiplicando il rapporto travelocità di efflusso e velocità media (dato in tabella) per

l’area della sezione del fiume, si otteneva il volume del-l’acqua scaricata in un certo periodo di tempo.

Il metodo si basava in sostanza su un canale simulato;nella figura, AB sta ad indicare la base, mentre AC e BDindicano le sponde dell’apparato. Ad esso, Guglielminiaggiunse la cataratta EFGO. Una volta abbassata la cata-ratta, il flusso d’acqua era forzato a passare attraverso lasezione ABFE ed il livello della superficie libera del flui-do si innalzava sino a KL. L’arco IH di una parabola diasse KB e vertice K forniva il profilo delle velocità lungola perpendicolare FB. Dalle proprietà della parabola sipoteva così facilmente determinare M, il centrum veloci-tatis. La velocità media è data poi dalla velocità di efflus-so di un liquido da un foro in un recipiente la cui profon-dità, rispetto alla superficie del liquido, è uguale a KM(che si conosce, se si conoscono KB e KF). Con l’aiuto diquesto modello, insieme teorico e sperimentale, Gugliel-mini otteneva una stima della portata degli alvei e, diqui, una stima, seppur grossolana, della velocità deifiumi. Successivamente, Guglielmini studiò un ulterioremetodo sperimentale, che utilizzava anch’esso il pendoloidrometrico, in grado di porre in rapporto la superficielibera dell’acqua con la velocità di flusso sul fondo.Neanche questo metodo d’indagine può dirsi fondamen-talmente corretto, dato che portava a sovrastimare levelocità in prossimità del fondo. Si tratta comunque didettagli, innegabilmente importanti, ma non in grado diinficiare in misura sostanziale la grandezza complessivadell’opera guglielminiana: quel che qui preme sottoli-

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neare è il fatto che, con le ricerche e gli studi effettuatida Guglielmini, il problema della misura delle acque cor-renti veniva raccordato in un corpus di conoscenze orga-nico, andando a costituire una disciplina fortementeagganciata alla validità fondamentale del metodo gali-leiano e della meccanica newtoniana. Tutto ciò consentìalla nuova scienza dell’idrometria di salire (letteralmen-te!) in cattedra, per la prima volta, sia a livello teorico chesperimentale.

GUGLIELMINI, LA VISITA PONTIFICIA DEL 1692–1693 E LE PRIME VICENDE STORICHE DELLA CATTEDRA

D’IDROMETRIA DELLO STUDIO DI BOLOGNA

Possiamo ora tornare in via definitiva alla vexataquaestio del Reno, il cui corso storico abbiamo lasciatoprima delle vicende accademiche tra Montanari eGuglielmini, con l’entrata in scena della nuova idrauli-ca di Guglielmini. In relazione alle precedenti visite deilegati pontifici alle ‘zone d’acqua’ della regione, si èvisto come Castelli, nel 1625, divenisse il protagonistadella visita Corsini; a sua volta, Gian Domenico Cassi-ni, nel 1666, fu protagonista della menzionata ‘visitaBorromeo’. Nella visita della delegazione D’Adda-Bar-berini (1692-1693) la personalità scientifica di spiccofu proprio Guglielmini. La mossa di chiedere ai cardi-nali Ferdinando D’Adda e Francesco Barberini di con-durre una nuova visita ufficiale alle acque di Bologna,Ferrara e Ravenna fu, almeno nelle intenzioni, moltopiù di un semplice atto di comprensione o di riguardonei confronti della drammatica situazione in cui versa-vano le campagne di queste province.

Da Roma, i cardinali giunsero a Bologna il 1° dinovembre del 1692, ponendosi subito al lavoro; il loroincarico era principalmente tecnico: esso consistevanon soltanto nel compiere un’esauriente indagine delterritorio, ma anche nel cercare di risolvere finalmenteal meglio e in via definitiva il problema della diversio-ne del Reno. I tecnici erano alle dipendenze non solodei due cardinali, in rappresentanza di Papa InnocenzoXII, ma anche degli amministratori locali, della SacraCongregazione delle Acque e della Camera Apostolica.I lavori effettivi sul campo iniziarono nel 1693, in gen-naio: alla visita parteciparono circa ottanta persone. I

tecnici svolgevano mansioni differenziate, a secondadell’ambito di pertinenza: i matematici elaboravano ilprogetto e supervisionavano il lavoro dei periti, impe-gnati a loro volta nel compiere una lunga ed attentaserie di rilevamenti. L’enorme lavoro compiuto daGuglielmini gli guadagnò ben presto la benevolenza deidue cardinali, che finirono per appoggiare apertamentele sue proposte tecniche; specialmente entusiasta dellasua opera fu D’Adda, nonostante di tutti i problemipolitico-diplomatici sorti durante i lavori: tra questi lapaura delle rimostranze dei Veneziani, l’opposizione dellegato papale a Ferrara e del duca di Modena, i ritardidella delegazione ferrarese, nonché i tentativi degliesperti romani per individuare una posizione politica-mente intermedia a quella delle due parti in causa. Lelotte tra i rappresentanti di Bologna e quelli di Ferraracostituirono però un freno deciso al procedere dei lavo-ri: mentre i rappresentanti bolognesi consideravano sestessi come i veri ed unici depositari della nuova scien-za delle acque e concentravano tutti i loro sforzi sulproblema del Reno, l’approccio rimaneva era più tradi-zionale, unicamente teso a reclamare la sovranità sulleacque del proprio territorio.

La situazione idrologica incontrata dalla delegazioneD’Adda - Barberini appariva ampiamente mutata neitre decenni trascorsi dal precedente sopralluogo ponti-ficio. Dopo la visita del 1660 del cardinal Borromeo, ilReno aveva infatti mutato ancora il corso nelle valli diSan Martino e di Marrara, dividendosi in due corsi. E, adispetto degli argini sempre più alti, durante le alluvio-ni l’acqua esondava ovunque. Guglielmini asseriva cheoccorreva spostare il fiume: il Reno doveva essere spo-stato nel Po Grande, secondo quanto stabilito dallanatura, dal momento che la massima pendenza per l’al-veo si sarebbe incontrata verso Nord, non verso Est. IlReno non poteva neppure essere condotto nel ramominore del Po di Ferrara, anch’esso parzialmente inter-rito a causa “della mancanza di acqua e pendenza”; neconseguiva la sua diversione verso un nuovo alveo, checonsentisse lo scarico delle sue acque nell’alveo princi-pale del Po, destinato naturalmente a ricevere gliaffluenti provenienti dagli Appennini. L’idea non eranuova e, come si è visto, era stata a suo tempo giàampiamente supportata da autorità riconosciute comeCastelli, Cassini e Barattieri.

73 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Tra le notevoli obiezioni tecniche al progettoguglielminiano, non certo l’unica, va evidenziato ilproblema dell’innalzamento che, secondo il pareredella delegazione ferrarese, il Reno avrebbe prodottonel Po, nel caso di acque alte127. In proposito, Gugliel-mini si limitò ad usare la sua Legge dell’efflusso (Q ∝��h3), senza peraltro considerare l’effettiva velocitàmedia della corrente. Si osservi come questa procedura,basata sull’esperienza guadagnata da Guglielmini rife-rendosi a due sezioni nelle quali il Reno e il Po eranovicini128, eguagli sezioni a forma irregolare a quelle aforma rettangolare e non tenga in alcun conto fenome-ni osservati alla confluenza di due fiumi, come ad esem-pio i rigonfiamenti. Varie furono allora le obiezionimosse in proposito dalla delegazione ferrarese: si asseri-va che gli idraulici bolognesi non avessero consideratoi depositi che sarebbero stati prodotti dalle torbideacque del Reno, mentre altre obiezioni ancora, più omeno fondate, furono sollevate per gli effetti di frenatada parte dei venti e, vicino alla foce sull’Adriatico, perun analogo effetto frenante derivante dalle onde delmare e dalle maree. I tecnici ferraresi contestarono difatto tutti i dati ottenuti da Guglielmini, dati dai quali iloro divergevano enormemente, avendo essi usato neicalcoli per la velocità dei fiumi valori tanto assoluti,quanto sostanzialmente arbitrari. Il bolognese eracomunque in grado di confutare tranquillamente lamaggior parte degli argomenti della delegazione ferra-rese, anche se il suo modello per il comportamento deifiumi era di tipo fortemente qualitativo e verrà portatoa compimento solo alcuni anni più tardi, nel già citatocapolavoro sull’idraulica fluviale.

È chiaro a questo punto perché l’idrometria, fin lìconsiderata un soggetto alquanto periferico negli Studiuniversitari, dopo la ricordata visita dei due cardinali,assumesse una repentina importanza. Certo, non siavvertiva ancora la necessità di trasformarla in discipli-na: ma in ciò giocò un ruolo importante la personalitàdi Guglielmini, unitamente all’atteggiamento di alcunidei senatori della città (in particolare, dei membri del-l’Assunteria delle Acque). Dal punto di vista finanzia-rio, lo Studio bolognese versava però in gravi condizio-ni, a causa delle ricordate difficoltà finanziarie dellaGabella Grossa, della lotta tra l’arcidiacono Marsili e ilCollegio dei dottori, nonché per il basso numero di

iscritti. Non mancava però la volontà politica dell’As-sunteria delle Acque che, fin dall’aprile del 1694,intendeva incoraggiare il proprio sovrintendente conun congruo aumento di salario; ma all’attuazione delprogetto si frapponeva lo stato delle casse della Came-ra, fortemente provate dai continui esborsi.

L’Assunteria degli studi, d’altra parte, nel giugno1694, decise di pagare un “Intendente della Materiadelle Acque”; dai documenti, non appare ben chiaro seintendesse solo pagare un lettore per insegnare idrome-tria al proprio domicilio (compito già svolto dal sovrin-tendente!), ovvero se l’intenzione fosse quella di trasfor-mare la cattedra di matematica di Guglielmini in quelladi ad mathematicam hydrometricam e quindi di istituireuna nuova cattedra129. Fu un evento completamenteesterno a risolvere infine la situazione. Il patrizio vene-ziano Alvise Venier nel 1617 aveva sancito, in un codi-cillo apposto al proprio testamento, che se il figlio Gio-van Battista non avesse avuto discendenti maschi, tuttii suoi beni sarebbero passati allo Studio di Bologna,“Città della Chiesa”. Dopo la morte di Giovan BattistaVenier, che non lasciava eredi maschi, fu aperto il codi-cillo. Il Senato bolognese dovette in realtà procederecontro la volontà degli eredi Venier. Un accordo tra ledue parti venne raggiunto solo nel 1693: i Venier sividero obbligati a pagare 6.200 ducati veneziani; da cui,dedotte le tasse e i costi della lunga negoziazione, rimasea disposizione un fondo di 17.000 lire bolognesi130. Unaparte dell’eredità Venier venne così usata per costituireuno stipendio per un posto di professore per le “materiedelle acque dette scolasticamente hidrometriche”. EGuglielmini era certo il candidato ideale per lo stipen-dio Veniero. Tra i compiti connessi all’assegnazionerientravano l’insegnamento dell’idrometria e l’obbligodi tenere due sedute accademiche pubbliche sul medesi-mo soggetto ogni anno: affidandolo al Guglielmini indata 29 ottobre, il 25 agosto del 1694 il Senato dellacittà decise infine di istituire l’incarico Venier. Così,mentre ancora nelle altre università europee la discipli-na delle acque non godeva di una propria autonomia enon vedeva riconosciuto un proprio ruolo istituzionale,a Bologna l’insegnamento dell’idrometria veniva inclu-so a tutti gli effetti nella lista degli insegnamenti impar-titi accademicamente per quasi un secolo, dal 1695 al1794, senza interruzioni. Sembra quindi appropriato, su

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questa base storica, considerare la cattedra bolognese diidrometria come la prima cattedra di Idraulica istituitain un’università europea.

ALLE ORIGINI DELL’IDEA DI FLUIDODINAMICA

MOLECOLARE: I “CORPUSCOLI” DELL’ACQUA

In una lettera del 13 agosto 1695 ad Antonio Maglia-bechi131, Guglielmini aveva comunicato di volere pub-blicare le sue riflessioni sulla natura dei fiumi sotto iltitolo di Saggi di Fisica sopra la natura dei fiumi. Solo inseguito pensò di invece sottotitolarlo Trattato Fisico-Matematico, con ciò rimarcando il fatto che l’opera rima-neva principalmente, per il suo autore, un lavoro di fisi-ca a tutti gli effetti. Così, mentre nell’Aquarum fluentiummensura l’acqua veniva considerata invece come uncorpo fluido continuo, nella Natura de’ fiumi essa venivaconsiderata come costituita da piccole sfere, liscie e rigi-de, specificando quindi il modello fisico di base. Fin dal-l’inizio Guglielmini si rivelò dunque essere vicino ad unacorrente filosofica di tipo corpuscolare, anche se l’adesio-ne al corpuscolarismo non spiega comunque l’inusualesviluppo dato da Guglielmini al suo modello “dell’accu-mulo di sfere”. Gli insegnamenti di Geminiano Monta-nari influenzarono certamente tale scelta filosofica, chevisibilmente tendeva a corroborare la dottrina dei fluididel Montanari stesso.

A più riprese, Montanari aveva espresso l’opinioneche tramite questo modello si sarebbe data la possibilitàdi spiegare le leggi idrometriche. Il modello, nelle mani enelle intenzioni di Guglielmini, sarebbe dovuto divenireun potente strumento fisico-matematico, usato non soloper illustrare le leggi dell’idrostatica, ma anche la legge diefflusso di Torricelli e le leggi delle acque che scorronolungo un declivio. Le piccole sfere del modello fisico-concettuale di Guglielmini erano infatti solide e, di con-seguenza, soggette alle leggi di caduta libera di Galileo.Guglielmini considerò questo un potente argomento afavore dell’opinione secondo cui le leggi del moto per icorpi liquidi e solidi possono essere derivate dai medesi-mi principi, insieme all’ipotesi che un modello corpusco-lare possa dare un’immagine plausibile della strutturainterna di un corpo132, fosse esso solido o liquido. Le sferemicroscopiche venivano considerate da Guglielmini

come una massa di quelli che oggi diremmo “punti mate-riali”. Nel primo capitolo del suo trattato sui fiumi,Guglielmini sviluppò addirittura un’analogia stretta tral’acqua e l’ammasso di particelle di sabbia o di grani dimiglio, cogliendo peraltro tra di esse ben tre differenzesostanziali:1) la dimensione delle particelle (le partcelle sono perce-

pite dai nostri sensi, mentre i corpuscoli dell’acquasono così piccoli da essere impalpabili);

2) la forma (le particelle di sabbia o i semi di migliohanno forma irregolare, mentre l’acqua mantieneuna forma geometrica e costante per tutte le suepartcelle);

3) i corpuscoli d’acqua si presentano perfettamente liscie lucidi.

Con le basi della meccanica dei fluidi in moto e ilmodello corpuscolare dei liquidi, Guglielmini consen-tiva così alla scienza delle acque correnti di iniziarequell’evoluzione che, nel successivo Secolo dei Lumi,l’avrebbe condotta a confluire nella dinamica dei fluidie nellafluidodinamica molecolare, una delle linee piùavanzate della ricerca fisico-matematica e ingegneristi-ca. L’evoluzione qualitativa impressa alla storia dellascienza e della tecnologia dall’opera teorica e sperimen-tale guglielminiana appare allora in tutta la sua profon-dità. In sintesi, è interessante anche ricordare comeviene descritta, post festum, la voce “idrometria” (hydro-

75 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Domenico Guglielmini, Della natura de’ fiumi, Tab. I, in OperaOmnia, Sumptibus Cramer, Perachon & Socii, Genevæ, 1719;Biblioteca Universitaria di Bologna, Coll. A.IV.K.X.47.

metrie) nell’Encyclopédie133 di Diderot e d’Alembert:[Il termite] Hydrometrie est moderne et de peu d’usage; ons’en est servi pour la première fois en 1694, que l’on fondaune nouvelle chaire de professeur d’Hydrometrie dans l’u-niversité de Bologne, en faveur de Guglielmini, qui a pous-sé la doctrine des eaux courantes beaucoup plus loin qu’au-cun de ceux qui l’avoient précedé.

RICONOSCIMENTI ALL’OPERA DI GUGLIELMINI

NELLA COEVA TRATTATISTICA EUROPEA

L’istituzione della cattedra d’idrometria nello Studiodi Bologna fu accompagnata da una risonanza europea.Tramite importante e privilegiato nei rapporti tra la cul-tura universitaria bolognese e la scienza europea dell’e-poca fu certamente Gottfried Wilhelm von Leibniz(1646-1716). Considerato uno dei padri fondatori, con-temporaneamente ed indipendentemente da Isaac New-ton (1643-1727), dell’analisi infinitesimale, Leibniz fuuno dei massimi innovatori nella storia del pensieroscientifico e filosofico. Il suo interesse per le idee sostan-zialmente nuove è ben noto, così come sono noti i suoisforzi per affrancare le discussioni filosofiche e scientifi-che dall’effimero della dialettica, in favore dell’immedia-tezza della logica.

Leibniz intrattenne assidue ed ampie relazioni con la“Repubblica delle Lettere” di Bologna134: fu il primo arendere pieno merito all’opera e ai contributi degli alge-bristi bolognesi del Cinquecento (quali Dal Ferro, Car-dano, Ferrari, Bombelli)135; oltre a ciò, egli stesso rico-nobbe come fondamentale per la propria formazione epreparazione lo studio della geometria degli indivisibilidel Cavalieri136. E certo, altrettanto considerevole si puòstimare l’attenzione che lo scienziato e filosofo tedescoriservò in generale agli studiosi, ai letterati ed agli scien-ziati italiani, e particolarmente bolognesi, suoi contem-poranei: attenzione che è valutabile a partire dai contat-ti con i membri più eminenti delle Accademie scientifi-che locali e dalla stessa corrispondenza epistolare intrat-tenuta con essi.

Per giustificare storicamente l’interesse di personaggicome Leibniz per l’opera degli scienziati italiani, è neces-sario prestare attenzione alle Accademie scientifichedell’epoca, le istituzioniche consentirono il collegamen-

to delle esperienze bolognesi ed emiliane con quelleeuropee. La materia in esame ha già conosciuto studiesaustivi137: è però conveniente qui almeno citare il ruologiocato dall’Accademia della Traccia (o dei Filosofi) e l’Ac-cademia degli Inquieti, come pure quello del «Giornale deiLetterati» che, sebbene non bolognese, rappresentò untramite importante per quanto concerne la diffusione ela circolazione delle idee prodotte in questa area, tra lafine del XVII e i primi anni del XVIII secolo.

Contrariamente a quanto si sarebbe condotti a rite-nere, la fine dell’Accademia del Cimento (1667) noncoincise con il temporaneo tramonto della scienza spe-rimentale in Italia: piuttosto, ne sancì il consistentetrasferimento nel Nord d’Italia; in particolare, nellacittà di Bologna, facendola divenire uno dei maggioricentri di produzione culturale scientifico-tecnica delperiodo in esame138.

Certamente un ruolo fondamentale in tale processoebbero figure già incontrate nel corso di questo lavoro,come quelle di Gian Domenico Cassini, di Malpighi e diMontanari. Quest’ultimo in particolare, una volta trasfe-ritosi a Bologna (nel 1664, per rimanervi fino al 1678) aricoprire, come già si è detto, la cattedra di matematica eastronomia, trasferì parte della propria esperienza perso-nale, maturata nel contatto con i membri del Cimento ela tradizione galileiana di Firenze, nella creazione di unanuova accademia, quella detta appunto “della Traccia” o“dei Filosofi” (nel 1665)139. L’intento dichiarato era quel-lo di dare maggiore risonanza possibile alla “nuova scien-za” galileiana, proseguendo anche a Bologna l’attività diricerca del Cimento. È questo, in particolare, un chiarolegame, almeno di impostazione, con le attività dellaRoyal Society londinese e della Académie des Sciences, fon-date rispettivamente nel 1660 e nel 1666.

Oltre al Malpighi e al Cassini, gli incontri della neo-istituita Accademia sono frequentati dagli allievi delMontanari all’Università: tra questi, Antonio Davia,Luigi Ferdinando Marsili, Ulisse Gozzadini e lo stessoDomenico Guglielmini140. L’esperienza ebbe termine conla partenza del Montanari per Padova, causata degli este-nuanti attacchi dei tradizionalisti. Tuttavia, nonostantela partenza di Montanari e nonostante la grave crisi nellaquale versa lo Studio bolognese, e di cui si è già accenna-to, si è visto con l’opera di Guglielmini come esso desseprova di notevole vitalità.

76Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Una menzione a parte merita invece l’“Accademiadegli Inquieti” fondata nel 1691 nella casa di EustachioManfredi il quale, ancora giovanissimo, assieme ad alcu-ni coetanei, stilò un insieme di regole associative per lostudio della filosofia. In realtà gli “Inquieti” si inserironoben presto a pieno titolo nel panorama accademicobolognese, adottandone strumenti, metodi e tematiche,e divenendo con il passare del tempo accademia rinoma-ta, assiduamente frequentata da personaggi di rilievo141.

Non andrebbero certo dimenticate le successive isti-tuzioni dell’Accademia delle Scienze di Bologna (inseguito, Istituto delle Scienze, dal 1714) da parte di LuigiFerdinando Marsili, per diretta trasformazione dell’Ac-cademia degli Inquieti; ma anche questo approfondi-mento ci condurrebbe troppo distanti dal tema centraledelle acque142. E vale comunque la pena rimarcare comelo stesso Marsili, certo seguendo la traccia degli interessiaccademici dello Atudio di Bologna in materia d’acqua,si sarebbe di lì a poco proposto al mondo culturale euro-peo, con la sua Histoire physique de la mer (la sua operacapitale), come il fondatore di una nuova scienza: quelladell’oceanografia.

Un cenno merita anche il già ricordato «Giornaledei Letterati» di Parma e di Modena che coinvolgeràimportanti studiosi ed eruditi, religiosi e non solo, del-l’area complessiva di Bologna, Modena e Milano143.Soprattutto, il «Giornale» rappresenterà un trait d’u-nion rilevantissimo tra Bologna, la Lombardia dei Lumie l’Europa. Fondato e redatto quasi interamente daBenedetto Bacchini144, e finanziato dal carmelitanoGaudenzio Roberti145, esso rappresentò infatti, a partiredal 1686, anno della sua fondazione, l’alternativa italia-na ai nuovi modelli europei di riviste scientifiche,costituiti ad esempio dagli «Acta Eruditorum» di OttoMencke146 o le «Nouvelles de la République des Let-tres» di Pierre Bayle147.

Anche l’influente fiorentino Antonio Magliabechi,bibliotecario della Palatina durante il granducato diCosimo III (1639-1723, granduca di Toscana dal 1670),uno dei protagonisti chiave della «Repubblica delle let-tere di Bologna»148, non solo supportò fin dall’inizio il«Giornale dei letterati» di Bacchini, ma rappresentò ilpiù importante contatto italiano con Mencke, e il grup-po tedesco che partecipava agli «Acta Eruditorum».

Già nel 1683 Mencke chiedeva a Magliabechi di col-

laborare con gli «Acta», al fine di porre rimedio alla scar-sità di informazioni provenienti dall’Italia. E lo scopovenne certo raggiunto se si considera il numero di lavoridi autori italiani pubblicati presso gli «Acta» nei duedecenni successivi.

Oltre a ciò, la casa di Magliabechi divenne, a partireda questo momento, una sosta obbligata per qualsiasierudito straniero in viaggio in Italia. Le lettere di pre-sentazione del Magliabechi favorivano l’accesso acospicue fonti di informazioni (biblioteche, archivi,ecc.), ma anche preziosi contatti con letterati e studio-si italiani, scienziati ed eruditi in genere; favorivanoanche l’accesso a varie corti regie e, in generale, l’acco-glienza in varie città, nelle quali il grande bibliotecariomanteneva numerosi ed attenti rapporti di amicizia ecollaborazione149.

Lo stesso Leibniz avrà modo di beneficiare ampiamen-te delle relazioni intrattenute dal Magliabechi. Il lungoviaggio compiuto in Italia nell’inverno 1689-90, e che loporterà sino a Napoli passando per Roma150, risulterà unmomento di importante raccordo tra lo scienziato tede-sco e gli studiosi italiani: certo non solo quelli di Bolo-gna, ma anche di Ferrara, Modena, Reggio Emilia,Parma e i grandi centri della cultura scientifica venetadell’epoca (Venezia, Padova)151. In particolare Leibnizebbe modo di fermarsi a Bologna in tre tappe successive,l’ultima delle quali non legata a questioni di itinerario,ma ad una precisa pianificazione dello scienziato.

Il primo passaggio per Bologna è databile all’incircatra il 5 e il 9 aprile 1689; un secondo passaggio all’incircatra il 24 e il 25 dicembre 1689. Nel passare da Firenze(dove soggiornerà dal 25 novembre al 22 dicembre1689) Leibniz ricevette appunto da Magliabechi tre let-tere di presentazione per “gli amici bolognesi”, indirizza-te a Guglielmini, Malpighi e Sabatini152. In occasionedell’ultima tappa, Leibniz avrà modo di incontrare Mal-pighi, in compagnia proprio di Guglielmini, nelle gior-nate del 26 e del 27 dicembre 1689.

Sarà a partire da questo momento che Guglielminie Leibniz intraprenderanno una relazione epistolarediretta, purtroppo pervenutaci solo in parte. È tutta-via possibile rintracciare e ricostruire parte degliscambi avvenuti tra Guglielmini e Leibniz attraversola corrispondenza indiretta con il Magliabechi, ilquale, anche in questo caso, giocherà un ruolo chiave

77 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

all’interno della relazione scientifica dei due studiosi.Come già osservato, Gugliemini, pubblicò l’Aquarum

fluentium mensura nova methodo inquisita, in tre Libri nel1690, dedicandolo al Senato di Bologna. Il trattato pos-sedeva un solido ed efficace impianto geometrico, manon contemplava minimamente l’utilizzo dell’algebra,né quello dell’analisi. Leibniz recensirà la prima partedell’opera sugli «Acta» solo nel febbraio 1691, a causa diuna serie di disguidi che gli faranno pervenire il trattatocon molto ritardo rispetto ai suoi stessi desiderata 153.

Una seconda parte dell’opera uscirà dalle stamperienel 1691 (Aquarum fluentium… Pars altera) anch’essarecensita dal Leibniz per gli «Acta» nel novembre 1692,anch’essa in ritardo per ulteriori problemi nella spedizio-ne154. Ma nel frattempo, compariva sugli «Acta» delmaggio 1691155 un articolo a firma di Denis Papin156

(1647-1714), nel quale venivano riprese in terminimolto critici alcune delle proposizioni dell’opera diGuglielmini, riportate dall’anonimo recensore (verosi-milmente lo stesso Leibniz).

L’articolo di Papin in replica alla recensione dell’ope-ra di Guglielmini prese il via dalla proposizione 2 delLibro II, già analizzata nei precedenti paragrafi:

Eadem est velocitas aquæ fluentis per aliquam sectionemcanalis inclinati, ac si fluxerit e vase per lumen simile, &aequale sectioni, tandundem a superficie aquæ remotum;quantum sectio ab horizontali per initium canalis157.Questa affermazione era in netto contrasto con l’as-

serzione dello stesso Papin (contenuta in un suo lavorodel 1690158), in base alla quale la velocità di efflusso daun tubo era solo la metà di quella che si ottiene facendodefluire l’acqua da un orifizio di un serbatoio, sottopostoalla medesima pressione159.

Fu Leibniz ad avvertire Magliabechi della pubblicazio-ne delle Observationes di Papin con una lettera del 23agosto 1691, avvertimento che certo non celava il preci-so intendimento del filosofo tedesco:

Papinus in Acta Eruditorum quedam objecit contra Cl.Guglielmini demonstrationem De Motu aquarum; respon-sorum non dubito160.Guglielmini rispose indirettamente a Papin, con

una prima lettera indirizzata proprio a Leibniz. A que-sta si aggiunse una seconda missiva indirizzata questavolta al Magliabechi161. Entrambi i contributi conflui-ranno in un unico pamphlet, pubblicato da Guglielmi-

ni sotto il titolo di Epistolae Duae Hydrostaticae162.È bene osservare che la disputa con Papin163 non rag-

giunse mai i requisiti della novità e della originalità, néper ciò che riguardava l’idraulica teorica, né per quellasperimentale; si segnala però come elemento indiziariodi una nuova apertura della scienza fisica italiana versoun confronto allargato al dibattito europeo, confronto dicui è ulteriore segnale, nel contempo, elemento di gran-de novità, l’attiva intermediazione esercitata da Leibniz.Del resto sono le parole dello stesso Guglielmini a rico-noscere tale ruolo al filosofo tedesco:

Ill.mo Sig.re, [...]Io restai cossì pieno d’ammirazione, quando hebbi la sorteper mezzo del nostro eruditissimo Sig.re Antonio Maglia-bechi, di riconnoscere nella persona di VS. Ill.ma laprofondità et universalità di dottrina che tiene; che io nonho potuto di meno di non conservarmi una memoriaincancellabile, et un vivissimo desiderio di palesargliela. Ladistanza de Paesi non me ne dava la facilità, e la incertezzadel sicuro recapito delle lettere m’ha sin hora distolto dalpraticare questo mezzo. Onde volentieri hò presa la con-giuntura della stampa per apparire in faccia a tutto ilmondo servitore di VS. Ill.ma et adoratore del suo rarosaper, tanto più che essendomisi appresentata l’occasioneproprijssima di rispondere alle osservazioni fatte dal Sig.Papini sopra una mia proposizione della misura delle acquecorrenti; (…)164.Tornando al motivo specifico della contesa Gugliel-

mini-Papin, e limitandoci ai contenuti della prima missi-va, si osservi a titolo esemplificativo, la seguente figura:

78Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

La figura è costruita in stretta similitudine col disegno pre-sentato dal Papin in Acta Eruditorum, Anno 1691, tab. V.

Come si vede165, ABCD è un reci-piente che viene tenuto semprecolmo di acqua, G ed E sono dueorifizi uguali posti sul fondo, mentreFE individua un tubo uniformesempre pieno d’acqua e aperto alleestremità. Analizzando allora ilmodello proposto alla luce dei risul-tati galileiani relativi alla cadutadei gravi, Papin ne inferiva che ifluidi non seguivano sempre la sem-plice legge di caduta dei gravi diGalileo. Con ciò, Papin giungeva anegare la base fisica della dimostra-zione della proposizione 2 del LibroII di Guglielmini, più sopra riporta-ta. In sostanza, sulla base del pro-prio modello, Papin arguiva che, per la natura stessa deifluidi, anche nel caso di un condotto inclinato aperto,era possibile affermare l’interdipendenza tra gli stratiinferiori e superiori del fluido considerato. Per Papin,l’errore di Guglielmini166 consisteva nell’aver utilizzatosolo le leggi di Galileo per la descrizione dello stato delfluido; come controprova, sfidò Guglielmini a determi-nare la curva formata dal profilo longitudinale di unasuperficie di acqua corrente in un canale inclinato.

Papin non fu in realtà il solo a manifestare dubbiriguardo all’applicazione diretta ai liquidi della leggedella caduta libera (la velocità dell’acqua in un tubo èin realtà il risultato della media di differenti tendenzedi moto ed è comunque inferiore alla velocità in cadu-ta libera): riserve in merito manifestò, ad esempio Car-tesio, che sull’argomento ebbe uno scambio epistolarecon Mersenne.

Oggi sappiamo che i dubbi di Papin avevano un lorofondamento, anche se gli strumenti teorici dell’epocanon erano in grado di evidenziare le carenze dell’approc-cio di Guglielmini. Peraltro, lo stesso Guglielmini fu age-volmente in grado di individuare la tautologia contenu-ta nell’affermazione di Papin. Il paradosso nell’argomen-tazione di questi era causato dall’implicita assunzioneche il tempo di discesa dell’acqua lungo il tubo FE fosseuguale al tempo di discesa di un grave lungo il pianoinclinato FE. Invece, la velocità in E dovrebbe risultareuguale a quella in G.

Guglielmini decise pertanto diapportare una serie di modificheall’apparato concettuale di Papin,al fine di eliminare ogni possibileelemento di disturbo: coprì lasuperficie libera con uno stratosottile e tenne sempre colmo ilrecipiente complessivo con unserbatoio ausiliario.

Si immagini di prolungare oriz-zontalmente il tubo FE fino a G edi sostituire la pressione atmosferi-ca in G e S con due colonne d’ac-qua di uguale altezza, per mezzo diun tubo GN, avvalendosi dellaprolunga SI del recipiente cilin-drico RS. In questo modo Gugliel-

mini riduce il caso di Papin a quello dell’efflusso da unorifizio in un singolo recipiente, ed è nella posizione diconcludere che VN è uguale alla velocità di efflusso da unorifizio sotto la pressione IM. Ma VE = VN per la legge dicontinuità, e IM = PG per costruzione. Così V

E= VG:

almeno teoricamente, la velocità di efflusso dal tubo FE edall’orifizio G sul fondo è esattamente la stessa (si vedain proposito la figura in alto).

Lo scienziato bolognese tentò anche un approcciosperimentale alla soluzione del problema, raccogliendodati che confermavano in pieno la sua ipotesi167.Guglielmini tentò poi anche di rivolgere la propriaattenzione alle cause fisiche del fenomeno così osserva-to. Si tratta della parte forse più discutibile, ma anchepiù interessante della prima epistola. Qui Guglielminiridusse il caso di un’imboccatura cilindrica che rientranel recipiente al ricordato esperimento torricelliano del-l’efflusso. L’idea è valida però solo (e in modo parziale)per la sezione nella quale le linee delle correnti prove-nienti dall’orifizio G e dall’uscita E sono parallele, e nellequali la pressione dei beccucci è quella atmosferica (siosservi di nuovo la figura precedente). Nella sezione tra-sversale del tubo FE queste condizioni non sono perfetta-mente verificate, ma va riconosciuto che gli strumentiteorici dell’epoca erano certo inadeguati per affrontarein maniera soddisfacente la questione. D’altra parte, aGuglielmini va il merito di aver definito il problema inmaniera sufficientemente chiara. Nella seconda delle

79 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Domenico Guglielmini, Epistolae Duae Hy-drostaticae, fig. 8a, in Opera Omnia, Sump-tibus Cramer, Perachon & Socii, Genevæ,1719; Biblioteca Universitaria di Bologna,Coll. A.IV.K.X.47.

Epistolae Duae Hydrostaticae inviate a Magliabechi,Guglielmini ribadirà la propria posizione, trovando inparticolare ulteriori stimoli per ricercare un metodo per ladeterminazione della velocità di efflusso da un sifone168.

A partire da questo importante dibattito, Leibnizincoraggerà Guglielmini a proseguire le sue ricerche diidrodinamica applicata ai fluidi corporei, ricerche che ilfilosofo tedesco considerava un tentativo di grande inte-resse per guardare alle scienze mediche (o, più propria-mente, alla fisiologia) attraverso l’applicazione allamedicina di teoremi fisico-matematici, uno dei teminodali del dibattito scientifico e culturale europeo delperiodo (Italia compresa); ma anche a proseguire le suericerche più strettamente fisiche, ad esempio le sue ricer-che sulla natura cristallina dei sali169.

Leibniz era ovviamente fortemente interessato all’o-pera di Guglielmini, anche in virtù della concezionerigorosamente meccanicista di quest’ultimo, che ne face-

va un convinto sostenitore della necessità di indagare intutti gli ambiti della natura mediante lo strumento mate-matico. Inoltre, per Leibniz, Guglielmini, e più in gene-rale il gruppo degli studiosi afferenti all’Accademia degliInquieti, rappresentava un importante tramite per l’in-troduzione del calcolo infinitesimale in Italia, strumentoche, con le notazioni introdotte da Leibniz, si sarebberivelato di importanza fondamentale al progresso tecni-co-scientifico dell’epoca170.

Anche se Guglielmini mostrerà gravi difficoltà nel-l’assimilazione del calcolo differenziale e integrale171, tut-tavia sarà proprio il bolognese ad informare Leibniz, conuna lettera del 5 giugno 1703, della novità che darà il viaall’introduzione della filosofia leibniziana della matema-tica nell’Italia accademica. Guglielmini lasciò infatti lacattedra di matematica presso l’Università di Padova perquella di medicina teorica: sarà proprio ciò che permet-terà a Leibniz di attivarsi al fine di poter collocare pressoquella stessa cattedra di matematica Jacob Hermann172.

Guglielmini ebbe prestigiosi riconoscimenti dallacomunità scientifica internazionale: l’elezione a membrocorrispondente da parte della Royal Society nel 1696173 equella all’Académie des Sciences nel 1697174, senza contarel’ammissione alle Accademie di Berlino e Vienna.

Del resto l’influsso esercitato da Guglielmini sull’idro-metria e soprattutto sull’idraulica fluviale europea dellaprima metà del Settecento, oltre che della già citatapolemica con Papin tramite Leibniz, è rivelata anche daalcune opere di illustri scienziati europei dell’epoca175.

Daniel Bernoulli cita il Gugliemini sperimentatore,oltre ad altri studiosi italiani, nella Sectio Prima del suoHydrodynamica176 in due momenti diversi. Innanzi tuttoa partire dal risultato di Torricelli sull’efflusso dell’acquada un orifizio:

[...] Torricellius observavit, velocitates crescere in subdupli-cata ratione altitudinum, [...] nec dum vero conveniebantde absloluta velocitatis mensura, experimenta tamen insti-tuerunt, qua istam mensuram definiri existimarunt, interquæ potissimum allegari solet illud, quod Gulielmino sun-tum, octiesque repetitum fuit, quamvis id ab aliis experi-mentis ex illo tempore factis admodum recedat: solentautem omnia inter se differre, quæ sub diversis fiunt cir-cumstantiis, nec semper tutum est, uti suo loco dicemuspluribus, ex quantitate aquæ, definito tempore per defini-tum lumen effluentis, judicium ferre de ejusdem velocitate.

80Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Frontespizio - Guglielmo Jacobo s’Gravesande, Physices Ele-menta Mathemathica experimentis confirmata, Tomus primus,Leidæ, 1748.

Sic cum ad calculum revocamus experimentum Gulielmi-nianum, cujus modo mentionem fecimus, concludendumesset ex quantitate aqæ, quæ per lumen datum temporedato effluxit, velocitatem ejus non majorem fuisse illa, quædebetur quartæ parti altitudinis superficiei aqæ supra fora-men. Et alia sunt eodem Auctore experimenta, quæ recen-sentur Lib. 2. Prop. I. mens. Aquarum fluent: vi quorumaqua effluens velocitate sua ascendere possit ad duas tertiasistius altitudinis; (…)177.Ma anche in riferimento alla disputa con Papin ed

alla eco ad essa associata, il Bernoulli cita intere frasitratte dall’opera di Guglielmini:

[...] Gulielminus in Tract. de aquarum fluentium mensurapropositione accuratiori & generaliori complexus est tali,eandem velocitatem, [...] esse aquæ fluentis per canalem incli-natum, ac si fluxerit e vase per lumen simile, et æquale sectioni,tantundem a superficie aquæ remotum, quantum sectio abHorizontali per initium alvei, quam propositionem impugna-vit Dionysius Papinus, ipse multum a veritate aberrans178.E tuttavia Bernoulli, non trattando in maniera speci-

fica del moto dell’acqua in fiumi e canali, non farà uso inmaniera sostanziale delle teorie guglielminiane; delresto, in questo è possibile anche rintracciare la tenden-za, in via di consolidamento lungo tutto il Settecento,alla separazione di ambiti specifici di ricerca quali l’i-draulica e la meccanica razionale, che si caratterizzeran-no sempre più come discipline a sé stanti.

Così, non troviamo alcun accenno al Guglielmini inaltre opere fondamentali dell’inizio secolo (ad esempioin Newton e in d’Alembert). Il ritardo stesso accumulatodall’Italia in campo matematico, con l’eccessivamentelenta diffusione del calcolo differenziale ed integrale,non aiutò certo gli studiosi italiani dell’epoca, né la dif-fusione della loro produzione. Pur tuttavia, tale ritardo fuaccompagnato anche (come nel caso di Guglielmini)dall’implicita ammissione della difficoltà nell’applicare inuovi strumenti analitici a fenomeni complessi qualiappunto i moti d’acqua nei fiumi e nei canali, difficoltàche si protrarrà almeno sino al genio analitico di Eulero.

Uno dei maggiori riconoscimenti verrà comunque aGuglielmini proprio dall’Olanda, terra d’elezione perquanto concerne il governo delle acque, e quindi per l’i-draulica pratica, e i cui esperti vengono richiesti per con-sulenze in tutta Europa179. Di Guglielmini parlerà, infat-ti, ’sGravesande180 nel suo Physices Elementa Mathematica.

Nella prefazione dell’opera troviamo questa dichiarazio-ne esplicita:

Caput X. Agit de motu fluminum. Quæ de determinandâvelocitate aquæ habemus, dedit Guglielmini [...]. Ex quoauctore etiam quædam alia desumsimus [...] MensuraAquarum fluentium. (…)181.Inoltre nel capitolo X del Liber III dell’opera di ’sGra-

vesande è possibile trovare una precisa sintesi delle prin-cipali teorie guglielminiane.

Particolare attenzione all’opera di Guglielmini dedi-cherà anche Jacob Hermann, il ricordato successoredello scienziato alla cattedra di Matematica dello Studiobolognese. Proprio in Italia, Hermann compone la pro-pria principale opera: la Phoronomia182. Si tratta di untrattato di meccanica avanzata, nel senso moderno deltermine e, pur con qualche distinguo e correzione, vi tro-vano ampio spazio le teorie dello scienziato bolognese:

81 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Frontespizio - Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, sive de viribuset motibus fluidorum commentarii, Typis Joh. Henr. Deckeri,Basilea, 1738; Fondo antico DISTART della Facoltà di Inge-gneria dell’Università di Bologna, Inv. n. 1599-224.

In Sectione præcedenti pressiones tantum fluidorum exgravitate, quas tum in subjecta plana tum etiam invasorum latere exercent, contemplati sumus. In hacvero secunda sectione, quæ ad motus liquorum perforamina, utlibet vasis insculpta, erumpentium perti-nent, breviter excutiemus. Hoc argumentum utilitatesuâ celeberrimis Geometris Castello, Baliano, Torricel-lio, Borellio, Mariotto aliisque se probavit, atque abipsis diligenter nec sine fructu examinatum est quidem,non verò exhaustum, quandoquidem Cel. Gulielminusipsorumque repertis nonnulla adjecit; ipsorumque,maxime verò Torricellii, doctrinam motui fluminumingeniose applicavit183.E ancora, poco più avanti:[...] Tractatus De mensura aquarum Fluentium Celeberri-mi Gulielmini, qui merito suo primum locum in Miscel-laneis Italicis Physico Mathematicis à P. GaudentioRoberti editis, occupat. (…)184.Anche Christian Wolff185 si riferirà al Guglielmini,

nella sua opera Elementa Matheseos Universae186 citan-dolo nella prefazione degli Elementa Hydraulicae, pur sein maniera abbastanza generica:

(…) ita diffiteri non possumus, in posterore excolendoposteris adhuc multum relictum esse, utut præclara jamdederint viri de Hydraulica optime meriti Marjottus,Castellus, Torricellius, Borellus, Guilielminus, Mariottus &inprimis celeberrimus Varignonius (…)187.In definitiva è possibile rintracciare, in tutti i mag-

giori esponenti della cultura scientifica dei paesi del-l’Europa Continentale più progrediti dell’epoca sottoil profilo scientifico-tecnico (Olanda, Germania,Francia), l’impronta guglielminiana; riconoscimentiche vanno ad aggiungersi a quelli già avuti in patria188.

LUMI OLTRE LE ALPI, UNA SCIENZA NUOVA E UN

LUNGO FUTURO: I BERNOULLI, D’ALEMBERT, EULERO E

LA FONDAZIONE DELLA FLUIDODINAMICA

Si è così visto ampiamente come e perché l’ingegneriaidraulica delle acque in movimento prendesse corponella penisola italica, e in Emilia in particolare, sotto laspinta congiunta delle necessità di sistemazione idricaconnesse al basso bacino del Po e della nuova filosofiadella natura di derivazione galileiana. E analogamente

come, con lo stesso concorso di fattori, nell’Italia deldopo-Rinascimento prendesse corpo quell’idea dell’i-draulica come scienza dell’equilibrio e del movimentodei fluidi, evoluta oggi sotto il nome di fluidodinamica:una disciplina che emerse, in ultima analisi, come ulte-riore, preziosa eredità dall’ambiente culturale, prodottodall’Italia rinascimentale e post-rinascimentale. Degnodi nota è poi il fatto che la teoria del moto dei fluidi nac-que nel XVII secolo per svilupparsi impetuosamente nelsuccessivo Secolo dei Lumi, senza avere di fatto alcunantecedente nell’antichità, ma con forti agganci allequestioni ingegneristiche e tecnologiche, nonché comeemanazione diretta della meccanica galileiano-newto-niana. Il processo di formazione della nuova disciplinaquindi non fu lungo: la conquista dei principi fisici dellafluidodinamica richiese un arco di tempo di circa unsecolo, dalle scoperte di Castelli e di Torricelli fino all’o-pera di Eulero. A tutt’oggi, tale processo costituiscesenz’altro una delle argomentazioni storiche più forti infavore dell’effettività e del successo del cosiddetto‘metodo galileiano’189.

Non è questa la sede per trattare con dovizia di parti-colari la genesi della fluidodinamica e le sue complesseinterrelazioni: d’altra parte, i cenni che seguono (com-presi quelli biografici), risulteranno senz’altro sufficientiad inquadrare l’assoluta eccezionalità scientifica dei pro-tagonisti della fondazione della nuova disciplina; ci con-sentiranno anche di individuare, all’interno della loroproduzione scientifica, la rispettiva, notevole opera diapporto alla fondazione della meccanica dei fluidi.

Il primo nome associato alla creazione della fluidodi-namica è certamente quello di Daniel Bernoulli (1700-1782), membro di una delle famiglie più famose nellastoria della scienza, per gli altissimi e numerosi contri-buti alle discipline fisico-matematiche, scaturiti dall’o-pera di quasi tutti i suoi membri, nel corso di un interosecolo ed oltre190.

Nonostante un rapporto estremamente conflittualecon il padre Johann I (1667-1748), che tentò addiritturadi impossessarsi per plagio diretto di molte delle scopertedel figlio in merito alla nuova disciplina (forse, oltre cheper invidia, anche per costringere quest’ultimo alla benpiù doviziosa professione di mercante, tradizionale nellafamiglia), Daniel proseguì ostinatamente nella propriacarriera scientifica, nonostante alcuni brucianti insuc-

82Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

cessi iniziali191. Nel 1724 fu a Venezia, dove lavorò con ilgrande fisiologo e anatomista Pietro Antonio Michelotti(1673-1740). Nel corso di questo soggiorno in Italia,Bernoulli entrò in contatto con Giovanni Poleni (1683-1761), e già l’anno successivo pubblicava il suo primolavoro matematico, le Exercitationes quaedam mathemati-ces, che già contiene alcune delle idee-base della moder-na fluidodinamica.

Vale a questo punto la pena fermarsi un attimo a con-siderare la figura del marchese Giovanni Poleni, profes-sore presso l’Università di Padova, tra il 1708 e il 1761,dapprima alle cattedre di Astronomia e Meteorologia (alui si deve la fondazione, a Padova, della prima stazionemeteorologica nella storia della scienza occidentale, nel1725) e quindi (dal 1715) a quella di Fisica, di Matema-tica (nel 1719-1720, quando successe a Nikolaus Ber-noulli) e infine (dal 1738) a quella di Filosofia sperimen-tale. Poleni fu per lungo tempo perito idraulico di parteper la Repubblica di Venezia e, come tale, chiamato asopralluoghi e perizie in merito alla regolazione delleacque in città come Pavia, Vicenza e Trento. Fu membrodelle Accademie delle Scienze di Padova, Londra (dal1710), Berlino (1715), San Pietroburgo (1724) e, natu-ralmente, Bologna192.

Torniamo ora alla carriera di Daniel Bernoulli. Risul-tato del suo primo lavoro fu una fama immediata, non-ché la sua chiamata a segretario della neo-istituita Acca-demia delle Scienze di Genova, incarico cui egli peròrinunciò, in favore della cattedra di matematica dell’U-niversità di San Pietroburgo, alla quale fu associato insie-me al fratello Nicolaus II (1695-1726), morto solo pochimesi dopo. Proprio a San Pietroburgo Bernoulli redassela prima stesura della sua Hydrodynamica, l’opera capita-le alla quale è tutt’ora legata la sua fama. Tornato a Basi-lea nel 1727, vi trascorse il resto della sua vita, ottenen-dovi in seguito la sospirata cattedra di antomia e botani-ca, lasciata nel 1750 per quella di fisica.

L’Hydrodynamica reca in qualche modo traccia dei tra-scorsi italiani di Bernoulli. Nell’anno stesso della primastesura dell’opera (1727), questi scriveva infatti a Poleni,con cui era in contatto epistolare e col quale sarebbe inseguito rimasto in rapporti di amicizia: “J’aurai cepen-dant l’honneur de vous dir que je suis enfin heureuse-ment tombé sur la véritable théorie du mouvement deseaux, qui est trés générale et peut être appliquée à tous

les cas possibles…”193. L’opera, all’epoca della sua stesuraa Pietroburgo, era concepita in due parti (un De motu etactione fluidorum, liber primus; e un Commentatorium defluidorum aequilibrio et motu, sectio preliminaris). L’edizio-ne definitiva dell’opera, col titolo di Hydrodynamica, sivede motu fluidorum fu pubblicata solo a Strasburgo nel1738, e proprio in questa occasione Bernoulli coniò iltermine “hydrodynamica”, a comprendere i fenomeniprecedentemente indicati come “idrostatica” (fluidi inquiete) e “idraulica” (fluidi in movimento).

L’Hydrodynamica manifesta un evidente interesse perle applicazioni pratiche della teoria, interesse che costi-tuisce il leit motiv di tutta l’opera e di gran parte dell’atti-vità di ricerca del suo autore. In effetti, essa ha solo par-zialmente l’aspetto di un trattato sistematico, soprattuttoin considerazione del fatto che, per questo, sarebbe statonecessario possedere le equazioni generali del moto deifluidi, dalle quali partire per discutere i vari casi partico-

83 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Tab. XI - Daniel Bernoulli, Hydrodynamica, sive de viribus etmotibus fluidorum commentarii, Typis Joh. Henr. Deckeri, Ba-silea, 1738; Fondo antico DISTART della Facoltà di Ingegneriadell’Università di Bologna, Inv. n. 1599-224.

lari, interessanti per le applicazioni. Ma tali equazionisarebbero state scoperte solo 15 anni dopo da Eulero, chepoté peraltro vantaggiosamente avvalersi dei risultatidell’amico. Si tenga comunque presente che l’interaopera è basata sul principio di conservazione dell’energiameccanica, la cui conoscenza derivava certamente a Ber-noulli dalla frequentazione dell’opera di Huygens, a suavolta fortemente interessato alle applicazioni tecnichedella meccanica galileiana, alla quale aveva apportatograndi contributi.

L’opera di Daniel mosse anche la pubblicazione daparte del padre di un’opera di contenuto analogo, laHydraulica, edita nel 1742, ma furbescamente retrodata-ta sul frontespizio al 1732. Nonostante costituisse uninnegabile plagio di quella del figlio, quest’opera neemendava peraltro alcune delle manchevolezze. In parti-colare, in relazione al principio di conservazione dell’e-nergia, trattato ancora in modo alquanto impreciso daDaniel, e che Johann seppe trasformare in una formaequivalente al principio di conservazione dell’energiacinetica in correlazione con quella potenziale194.

Importante ponte tra le scoperte dei Bernoulli e quel-le di Eulero fu certamente l’opera di Jean le Rond d’A-lembert sul moto dei fluidi. Il Traité de l’èquilibre et dumouvement des fluides (1744), da questi esplicitamenteconcepito come prosecuzione del proprio Traité de dyna-mique (1743), usava programmaticamente i risultatiesposti nella propria opera meccanica per trattare i pro-blemi relativi alla descrizione del moto dei fluidi.

Gli interessi di d’Alembert erano in realtà molto piùgenerali di quelli relativi alla dinamica dei fiumi e deicorsi d’acqua in genere, interessi che pure erano ben pre-senti. Essi affondavano le proprie radici nella trattazionedel moto dei fluidi presente nei Principia newtoniani, conl’evidente intento di confutare la teoria dei vortici pla-netari di Cartesio195. Nell’Europa del XVII secolo, lacomunità dei fisici matematici era infatti in gran partefavorevole all’idea del moto dei fluidi come ragione ulti-ma di spiegazione dell’intera realtà fisica; ad essa si tenta-vano di ricondurre, ad esempio, i fenomeni elettrici,quelli magnetici e quelli che originavano dal calore.

L’opera di d’Alembert riproduceva in sostanza gli stes-si risultati dei Bernoulli, per quanto da un punto di vistaalquanto più generale. La sua notevole importanza per lanascente fluidodinamica è in effetti legata più al fatto

che essa costituì il primo, cospicuo intervento del grandefisico francese in un tema che andava appassionandol’intera cultura filosofico-scientifica del secolo.

Nel 1747 d’Alembert spostava i propri interessi versoil moto dei fluidi atmosferici, con le sue Réflexions sur lacause générale des ventes, opera che meritò il Premio del-l’Accademia Prussiana delle Scienze. Ripreso il temagenerale del moto dei fluidi dopo il 1749, quando ormaistava decisamente per sorgere l’astro euleriano, d’Alem-bert concorse nuovamente al Premio dell’AccademiaPrussiana con un notevole lavoro, che tentava di gettarenuova luce sul moto dei fluidi, tenendo conto anchedella loro resistenza al moto. Il premio gli fu negato (ineffetti, non venne dichiarato nessun vincitore) in ragio-ne della mancata verifica sperimentale dei risultati teori-ci ottenuti. Piccato contro l’Accademia, che ritenevaormai sotto la diretta influenza del giovane Eulero, d’A-lembert ne derivò ulteriore ragione di acrimonia verso ilgrande rivale, sentimento che andò radicandosi neltempo, peraltro da ambo le parti. In ogni caso, nel 1752,d’Alembert decideva di pubblicare il proprio Essai d’unenouvelle théorie de la résistance des fluides, il suo ultimo,grande contributo alla dinamica dei fluidi, l’opera nellaquale per la prima volta compaiono le equazioni diffe-renziali della fluidodinamica espresse in termini di lineedi flusso, di componenti della velocità del fluido e dellasua accelerazione; vi compariva inoltre per la prima voltal’equazione di continuità, scritta in forma differenziale.

Pressoché coetaneo, concittadino e personale amicodi Bernoulli fu Leonhard Euler (Eulero, 1707-1783), unodei massimi matematici e fisico-matematici di tutti itempi, forse il più grande genio mai espresso dalla mate-matica, certamente il più poliedrico, in ogni caso uno deimaggiori geni scientifici di tutti i tempi.

Il padre, pastore protestante e appassionato cultore dimatematica, incoraggiò notevolmente gli interessi scien-tifici del figlio, pur subordinandoli a quelli per la teolo-gia. Eulero, che contrariamente a quanto potrebbe farsupporre la sua sterminata opera fisico-matematica196

non fu un fanciullo prodigio, fu dapprima studente dellostesso Johann I Bernoulli (padre, come si è visto, diDaniel) il quale, riconosciutane immediatamente lagenialità, gli fu maestro privato di matematiche e neappoggiò le aspirazioni per tutta la vita.

Nel 1727 Eulero vinceva il premio dell’Accademia

84Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

delle Scienze di Parigi con un importante lavoro sullafisica del suono: fu l’inizio di una lunghissima carrierascientifica, disseminata di riconoscimenti e di grandiopere. Daniel Bernoulli ed Eulero avrebbero amichevol-mente rivaleggiato per tutta la vita a vincere l’ambitissi-mo premio dell’Accademia stessa: nei successivi 40 anni,Bernoulli lo vinse per ben dieci volte, Eulero per dodici;in due occasioni (1748 e 1752) il premio fu assegnatoloro ex-aequo197.

Nel 1733 Eulero aveva ottenuto a propria volta la cat-tedra di matematica di San Pietroburgo; nel 1741 passò aquella di Berlino, cattedra offertagli direttamente daFederico II di Hohenzollern (1712-1786, re di Prussia dal1740), dove fu immediatamente nominato membro del-l’Accademia Prussiana delle Scienze. Nel 1766 tornò aSan Pietroburgo, dove Caterina II (1729-1796, impera-trice di Russia dal 1762) gli affidò il compito di riorganiz-zare la locale Accademia delle Scienze. Nonostante laprogressiva perdita della vista198, anche quando rimasecompletamente cieco Eulero continuò nella sua stermi-nata produzione (la morte stessa lo colse ancora al lavo-ro), dettando a getto continuo le sue memorie e i suoitrattati (oltre 300 dei quali concepiti in completacecità), ai suoi figli o a stenografi messigli a disposizionedalla stessa imperatrice.

La prima, grande opera euleriana di interesse per ilpresente lavoro, sulla quale però non possiamo soffer-marci199, fu senz’altro la sua Meccanica200 (1736), opera indue volumi, nella quale il grande scienziato riformulò intermini analitici ed applicativi tutta la meccanica new-toniana. Non sarà qui inutile menzionare il fatto chequella che è oggi nota come “seconda legge di Newton”,nella forma F = ma, risale proprio a quest’opera201.

A sua volta, l’opera di Eulero sulla fluidodinamica sipose come diretta prosecuzione delle ricerche dei dueBernoulli, integrata con i notevoli risultati nel contem-po raggiunti da altri eminenti fisici-matematici, qualiAlexis Claude Clairaut202 (1713-1785) e, soprattutto,lo stesso d’Alembert. Nel 1749, quindi solo dopo lamorte di Johann Bernoulli, Eulero pubblicò la suaprima grande opera in materia, la Scientia navalis203, indue volumi: in particolare, il primo di essi presenta unateoria completa del moto e della quiete dei corpi in gal-leggiamento sull’acqua.

Ma è con le due grandi opere edite a Berlino nel 1755

(Principes généraux de l’état d’equilibre des fluides, e Princi-pes généraux de mouvement des fluides), seguite dalle suc-cessive Sectio prima de statu equilibri fluidorum (San Pie-troburgo, 1768) e Sectio secunda de principiis motus fluido-rum (San Pietroburgo, 1769) che Eulero completa effet-tivamente il corso storico di fondazione della fluidodina-mica, scrivendo quelle che oggi sono note come “equa-zioni del moto dei fluidi”.

Nel dettaglio, dette X,Y e Z le forze agenti sul fluido eu,v,w le componenti della velocità secondo le tre coordi-nate cartesiane, ρ la densità del fluido, esse si scrivono,in notazione moderna, come:

Insieme a queste equazioni, Eulero derivò anche unarappresentazione matematica del principio di continuitàin forma differenziale: nota oggi come ‘equazione di con-tinuità’, essa viene scritta:

Nel caso di un fluido incompressibile, p = costante, edessa si riduce alla ben nota condizione sulla divergenza:

All’analisi euleriana mancava peraltro l’essenzialetrattazione relativa ai fluidi con attrito viscoso (i fluidicosiddetti “reali”), tema già parzialmente affrontata,come si è visto, da d’Alembert. Eulero affrontò anchequesto tema d’indagine, con il Tentamen theoriae de fric-tione fluidorum (San Pietroburgo, 1761) e successivamen-te nelle Delucidationes de resistentia fluidorum (1763).Nonostante l’importanza dei risultati parziali da lui con-seguiti, il problema generale del moto di un fluido visco-so era destinato a resistere anche agli attacchi di Eulero.L’ingenerarsi di moti turbolenti, la cui trattazione apparecomunque oggi ai limiti estremi delle effettive possibilitàdell’analisi differenziale del moto, avrebbe richiesto l’in-tervento dei migliori fisici matematici dei due secoli suc-cessivi204, fornendo comunque solo risultati tanto impor-tanti quanto parziali.

Lo stesso Eulero non sarebbe in sostanza riuscito asfruttare appieno le conseguenze fisico-matematiche

85 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

della propria scoperta, costituita da equazioni che difatto consentono di individuare per estensione unintero corpus di leggi fondamentali della natura. Esseavrebbero comunque seguito il loro corso, generandole equazioni di Navier-Stokes205 per i fluidi viscosi, econ ciò additando alla ricerca fisico-matematica e aquella ingegneristica ulteriori possibilità dell’analisieuleriana. Possibilità spesso inaspettate, come quelleche palesavano, verso la metà del XX secolo, i limitiintrinseci dell’analisi differenziale del moto di fluidiviscosi, soprattutto in regime turbolento206.

A loro volta, le equazioni di Navier-Stokes, succes-sivamente rinforzate (per così dire) dalla presenza diulteriori forze della natura (ad esempio, quelle magne-tiche, con la relativa teoria della magneto-fluidodina-mica), rimangono oggetto di studio accanito dellamoderna fluidodinamica, sia con metodi analitici, siacon il ricorso massiccio ai metodi numerici e agli ela-boratori elettronici.

Nella storia della fisica, lo studio del moto deifiumi si sarebbe evoluto nello studio del moto deifluidi atmosferici (aerodinamica, fine del XIX secolo)e di qui in quello dei fluidi oceanici, dei fluidi sotto-posti a campi elettrici e magnetici (tra il XIX e il XXsecolo) fino allo studio dei fluidi stellari ed interstel-lari (XX secolo), caratterizzati da stati della materiacompletamente differenti. Con tutto ciò, l’ondalunga generata delle vicissitudini storiche dell’idro-metria bolognese, dell’idea di applicare al moto del-l’acqua negli alvei fluviali il paradigma galileiano, inconnubio con la necessità a suo tempo avvertita dallostudio di Bologna di affidarne l’esame a fisici-mate-matici (nuovamente, ante litteram), individuandoneuna specifica disciplina d’insegnamento universita-rio, è ben lungi dal potersi dire esaurita207.

CONSIDERAZIONE CONCLUSIVE

Abbiamo visto innanzi tutto come la storia dellerelazioni di Bologna con le acque del suo territorioabbia da sempre accompagnato il corso storico dellesue vicende culturali e civili; e si è visto anche comela vocazione culturale della città e, in particolare, ilsuo Studio (o, come diremmo oggi, la sua Università)divenisse a mano a mano un importante centro diproduzione tecnico-scientifica in materia di ingegne-ria d’acque.

La lunga contesa che vide opposta la città ai terri-tori finitimi (in particolare Ferrara, ma anche Mode-na, Mantova e Venezia) vide altresì l’opera dei grandiingegneri idraulici afferenti allo Studio bolognese,opera di progettazione e di alta produttività tecnico-scientifica, peraltro costretta a misurarsi oltre checon questioni politico-diplomatiche che travalicava-no ampiamente la capacità persuasiva delle argomen-tazioni tecniche, con un potere politico (quello pon-tificio) alquanto pavido.

Non v’è dubbio alcuno che, nelle secolari conteseche opposero Bologna e Ferrara, fu quest’ultima aveder imposto (spesso per fattori completamente al difuori della propria portata e della propria volontà) ilproprio punto di vista, con la conservazione quasi perinerzia dell’infelice sistemazione idraulica adottata

86Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

Frontespizio - Jean Baptiste le Rond d’Alembert, Traité de l’é-quilibre et du mouvement des fluides, David, Paris, 1744; Bi-blioteca Universitaria di Bologna, Coll. A.IV.L.VI.27.

con la diversione del Reno dal Po nel XVI secolo.Le opere di bonifica recarono immancabilmente

con sé questioni tecnico-scientifiche altamente com-plesse, attorno alle quali si accesero dispute e diatribeche in casi non rari sfociarono anche nell’apertapolemica. Una polemica che si fece via via anchespecchio di rivalità di natura professionale, con tec-nici e maestranze delle acque che mal digerivano ilraffronto delle loro conoscenze su base empirica con iprincipi tecnico-scientifici propugnati dai grandiidraulici che si avvalevano della loro opera.

Un raffronto esperienza-teoria che certo non fuindolore, con reciproci scambi di accuse di insuffi-cienti conoscenze nell’altro campo, fino ai classicipalleggiamenti di responsabilità nel caso di insucces-si. Va però notato che, nella sostanza, nessuna delleparti in causa ricorse ad argomenti speciosi, alle sotti-gliezze e agli artifici della retorica o della dialettica ascapito delle argomentazioni strettamente tecniche.

In maniera analoga, progressi concettuali possononotarsi anche nel tipo di contrapposizione che mise afronte le parti in causa nelle lunghe diatribe deltempo (ad esempio, quella tra Bologna e Ferrara, maanche di entrambe con Venezia). Si tratta di conteseche non si ricomporranno se non parzialmente, emolto più avanti nel tempo. D’altra parte, i problemitecnici coinvolti erano davvero enormi e, come sivedrà, i falliti tentativi di soluzione non potevanoche intricare ulteriormente quel gioco di interessieconomici e commerciali che ruotava intorno alleacque e alle idrovie della bassa pianura padana.

A differenza dei secoli precedenti, a partire dalXVI secolo appare però evidente lo sforzo di sostene-re le rispettive posizioni con argomenti tecnici e/oscientifici adeguati, con i legulei che spesso si trova-vano a dover fare precisi conti con la nuova realtà deiperiti, sia di parte, sia super partes. Come diremmooggi con terminologia popperiana (ci si passi un certoanacronismo), le parti in causa dovettero in qualchemodo accettare l’idea di falsificabilità della propriaposizione, delegando ad ingegneri, a tecnici e scien-ziati quella che poteva essere, in ultima analisi, laforza effettiva delle argomentazione addotte. Certo,su una base di problematiche scientifiche e tecniche,non avrebbero tardato ad innestarsi quelle tematiche

particolaristiche e campanilistiche, che non manca-rono di dare la stura a contese che da secolari simutarono in plurisecolari. Emerse così innegabil-mente, nel contesto della bonifica della regione com-presa tra il basso corso del Po e il fiume Reno, quellarivalità di interessi, che avrebbe finito per impedirel’applicazione delle soluzioni tecniche che, pur indi-viduate, non poterono essere operativamente attuate;anche se avrebbero certamente condotto ad un dra-stico miglioramento delle condizioni di vita di unaregione che, viceversa, vide invece il proprio svilup-po economico vistosamente rallentato per secoli.

Ad ogni buon conto, vari motivi inducono a spun-ti di riflessione che vanno ben al di là delle contesepolitico-diplomatiche che tali problematiche sepperoinnescare. Ad esempio, il progresso culturale rispettoalle discussioni accademiche dei secoli precedenti,che appare qui netto e irreversibile. L’ingegneria, l’ar-chitettura, la meccanica e la matematica strutturava-no ora con le loro proposizioni tecniche la sostanzadei problemi; evidenziando altresì come scienza epolitica potessero entrare in aperto contrasto in que-stioni spesso socialmente scottanti, sulle quali peròben difficilmente la politica avrebbe accettato dirimanere in secondo piano.

Di inferenza in inferenza, come banco di provadella validità operativa delle nuove idee, l’ingegneriaidraulica non fu certo estranea all’affermarsi deimetodi d’indagine della fisica; il nuovo sapere avevaormai iniziato quella rotta di collisione con una tradi-zione culturale, che aveva in precedenza ammessounicamente le norme di un diritto consuetudinario,persino a dirimere controversie legate alle questionieconomiche e commerciali, in questo caso connessealla conformazione del territorio208. Queste problema-tiche avevano evidentemente trovato un primo com-pimento storico nella penosa diatriba che il poterepolitico-religoso innescò con la fisica e la tecnicagalileiane209. Ma ciò che qui preme di più evidenziareè un fatto radicalmente nuovo, che la suddetta dico-tomia individuava, nuovamente ante litteram, nellequestioni legate alla geografia idrografica territoriale:il concetto di ‘sovranazionalità’ dei problemi applica-tivi della scienza e della tecnica, una problematicache, proprio in quest’ambito di piccole signorie dalle

87 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

grandi ricchezze, incessantemente impegnate a spar-tirsi aree geograficamente ed ecologicamente correla-te, evidenziava in toto la debolezza intrinseca del rap-porto tra i risvolti applicativi della scienza e dellatecnica, e la miopia connaturata ai dettami dellapolitica dell’immediato.

Limitiamoci ad osservare ulteriormente che soload unificazione d’Italia ampiamente avvenuta, e cioèall’inizio del XX secolo, il problema idraulico-inge-gneristico della bassa pianura padana verrà ripreso esostanzialmente risolto. Una risposta tanto tarda, danon poter essere giustificata unicamente sulla basedelle difficoltà tecnico-ingegneristiche riscontratenel corso dei vari tentativi di sistemazione.

A ben vedere, ci troviamo invece di fronte ad unmomento di particolare interesse per la storia dellascienza e della tecnica: nella contesa tra Bologna eFerrara emerse in maniera davvero drammatica (forseper la prima volta) la dicotomia tra l’ampiezza geo-grafica di vedute dell’analisi tecnico-scientifica e l’o-stinata miopia degli interessi localistici, tra la genera-lità ambientale di un problema tecnico e la particola-rità politica degli interessi economici e commerciali.Un lontano preludio a tematiche storicamente insi-stenti che, mutatis mutandis, tuttora travagliano l’Eu-ropa unita degli ultimi anni del XX secolo.

Dal punto di vista strettamente storico-scientifico,la contesa sul problema delle acque fu comunque ilfattore che originò l’ingresso della tradizione idrauli-ca toscana di derivazione galileiana nell’Universitàbolognese. Qui, il concorso dell’opera di ingegneriidraulici come Montanari e Guglielmini innescò quelprocesso culturale che portò alla prima istituzione diuna cattedra universitaria di meccanica dei fluidi,attraverso il lascito del veneziano Venier. A partireda qui, l’opera di Guglielmini, ancora saldamenteancorata alle necessità tecniche di irregimentazionedelle acque correnti, si diffuse infine nel resto d’Euro-pa, anche attraverso la mediazione di personaggicome Leibniz, dando inizio ad una fiorente linea diricerca, destinata sempre più ad accentuare, oltre leAlpi, la propria vocazione teorica: fino alle grandiconquiste del Secolo dei Lumi: dei Bernoulli, di d’A-lembert e, infine, di Eulero.

Una linea di ricerca che si pose, in definitiva,

88Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

*Il presente lavoro è frutto di una riflessione comune degli autori; tuttaviasi segnalano le parti specificatamente redatte dai singoli:Montanari e lo Studio bolognese (G. Gottardi)Verso Guglielmini: Bologna e la misura delle acque (A. Bugini)Domenico Guglielmini: lo Studio di Bologna e l’idrometria fisico-mate-matica (A. Bugini)L’Aquarum Fluentium Mensura e il pendolo idrometrico (A. Bugini)Guglielmini, la visita pontificia del 1692-1693 alle acque e le prime vi-cende storiche della cattedra d’Idrometria dello Studio di Bologna (G.Gottardi; A. Bugini)Alle origini dell’idea di fluidodinamica molecolare: i “corpuscoli” dell’ac-qua (A. Bugini)Riconoscimenti all’opera di Guglielmini nella coeva trattatistica europea(S. Camprini)Lumi oltre le Alpi, una scienza nuova e un lungo futuro: i Bernoulli,d’Alembert, Eulero e la fondazione della fluidodinamica (G. Gottardi).

come eredità e dono indiretto di secoli di storia, diprogresso civile, delle vicende storico-politiche tradue città rivali, della maestà irrequieta del GrandeFiume e della riottosità ostinata di uno dei suoinumerosi affluenti.

RingraziamentiOltre al prof. Giorgio Dragoni, Re-sponsabile del Museo di Fisica del-l’Università di Bologna, gli autoridesiderano qui ringraziare:il dott. Massimo Tozzi Fontana, perla disponibilità e la comprensionecon cui ha seguito tutte le fasi delloro lavoro; il prof. Cesare Maffio-li, per le preziose indicazioni che,sin dall’inizio, li hanno guidati nel-la progettazione e realizzazione de-gli exhibit per la mostra; nonchéper i considerevoli e fondamentalistudi specifici, che di fatto hannocostituito una base importante peril loro lavoro; il dott. Giovan Bat-tista Porcheddu, per le iniziali efondamentali consulenze biblio-grafiche; il dott. Eugenio Govoni ela signora Paola Fortuzzi per leconsulenze bibliografiche riguar-danti il fondo antico della Biblio-teca del Museo di Fisica; inoltre,Barbara Frentzel-Beyme e AlbertoZamboni per una fondamentale se-gnalazione bibliografica; il prof.Mario Gandini, della BibliotecaComunale di San Giovanni inPersiceto (Bologna), per la cortesiae la sollecitudine dimostrata nelreperimento di informazioni e nel-l’individuazione di importanticontatti; il signor Libero Poluzzi

per aver loro permesso di consulta-re un proprio scritto, ancora inedi-to, sulla cronologia delle rotte delPo orientale; ancora, per disponi-bilità e gentilezza, la dott.ssa Mari-na Zuccoli della Biblioteca del Di-partimento di Astronomia dell’U-niversità di Bologna e la signoraCarla Lazzari della Biblioteca delDipartimento di Filosofia dell’Uni-versità di Bologna; un ringrazia-mento meritano anche i colleghied amici P. Piero Todesco e, parti-colarmente, Giovanni Lensi, il cuilavoro di riorganizzazione del ma-teriale bibliografico raccolto è sta-to da loro grandemente apprezzato;inoltre, l’ing. Livio Pancaldi, perl’aiuto prestato nella realizzazionedella parte iconografica del lavoro;desiderano ringraziare infine la Bi-blioteca Universitaria Bolognese,la Biblioteca del Dipartimento diFisica, la Biblioteca Centralizzatadella Facoltà di Ingegneria “G.P.Dore”; e, last but not least, il Dipar-timento di Ingegneria delle Strut-ture, dei Trasporti, delle Acque,del Rilevamento e del Territorio(DISTART) della Facoltà di Inge-gneria dell’Università di Bologna,per aver consentito loro l’accesso ela consultazione del proprio splen-dido Fondo librario antico.

89 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

dendo verso Piacenza (Placentia,colonia fondata nel 218 a.C.), at-traverso le colonie di Caesena (Ce-sena), Forum Popili (Forlimpopoli),Forum Livii (Forlì), Faventia (Faen-za), Forum Cornelii (Imola), Felsina-Bononia (Bologna, rifondata comecolonia romana nel 189 a.C.), Mu-tina (Modena), Regium Lepidum(Reggio Emilia, fondata nel 187a.C. come Forum Lepidi), Parma(fondata nel 183 a.C.), Fidentia (Fi-denza), Florentiola (Fiorenzuola).Successivamente, la Via venne si-stematicamente ed interamente la-stricata, tanto da sopravvivere insvariati punti ai secoli di incurie,devastazioni e spoliazioni che fece-ro seguito alla caduta dell’Impero.Un’idea molto fedele dell’aspetto diquesta autentica arteria della civiltàromana è facilmente accessibile vi-sitando il tratto perfettamente con-servato della pavimentazione origi-naria, recentemente (1999) ripor-tato alla luce proprio sotto la ViaEmilia cittadina a Reggio Emilia. Iltratto si trova circa 3 m sotto il li-vello della pavimentazione attuale,dato che consente di rendersi contodella velocità di innalzamento delsuolo alluvionale in epoca storica.

7 Così erano chiamati gli (agri)mensores romani, dal nome dellostrumento principale della loro pro-fessione, la groma, sorta di alidada-goniometro. Nata come figura sa-crale, la figura del gromaticus si af-francò ben presto da quella degliàuguri, rivestendo unicamentel’importantissima funzione tecnicadi rilevazione mensurale, rappre-sentazione cartografica delle super-fici agrarie. La loro opera apriva lafondazione delle nuove colonie,stabilendone il piano urbanistico,con la determinazione delle diret-trici di vie e quartieri; presiedevaalla distribuzione dell’ager publicus(distribuzioni di terre ai veterani) efissava le tasse agrarie in relazionealle mappe catastali. Fin dall’età diCesare, un gromaticus era assegnatoa ciascuna legione, e la loro operadi ingegneria del territorio iniziavaquindi fin dalla prima conquista, alfine di assicurare la rapidità e la fa-cilità di collegamenti e rifornimen-ti. Ci è pervenuta una notevolemesse di opere (per lo più anoni-me), relative all’attività dei groma-tici. Questo nucleo letterario costi-tuisce oggi una parte notevolissima

di tutte le nostre conoscenze relati-ve alla trattatistica tecnica degliantichi. Per una prospettiva geogra-fica complessiva della centuriazio-ne romana in relazione alla Via Ae-milia si veda “Atlante dei beni arti-stici e culturali ecc.”, cit., p. 132,fig. 17.

8 Cfr. G. Susini, Bonifica e paesag-gio cispadano, cit., p. 14.

9 G. Veronesi, Cenni storici sullevicende idrauliche della bassa pianu-ra bolognese, in: Memorie della So-cietà Agraria della Provincia di Bolo-gna, vol. X, 1859, pp. 1-73, inpart. pp. 4 ss.

10 Frontino, Sesto Giulio (30 ca.-103 d.C.), uomo politico e tecnolo-go romano. Fu sovrintendente (cu-rator aquarum) degli acquedotti diRoma (96-97). Il suo trattato DeAcquae ductu urbis Romae, più notocome De acquis urbis Romae, in 2 li-bri, costituisce l’unica opera latinadi tecnologia idraulica pervenutaci.Si tratta ovviamente di un’opera dieccezionale interesse per la storiadella tecnologia, soprattutto quellaidraulica di distribuzione. Nonparrà qui fuori luogo evidenziarecome proprio in quest’opera vengaenunciata per la prima volta espli-citamente (a quanto ci è dato sape-re) l’esistenza di una relazione chelega la velocità di fuoriuscita del-l’acqua da un orifizio in un reci-piente all’altezza della colonna diliquido soprastante: “… omnemaquam, quotiens ex altiore loco venitet intra breve spatium in castellum ca-dit, non tantum respondere modulosuo sed etiam axuberare; quotiens ve-ro ex humiliore, id est minore pressu-ra, longius ducatur, segnitia ductusmodum quoque deperdere”, “... ognicorso d’acqua, ogni volta che pro-viene da una zona molto elevata, egiunge in un serbatoio dopo un bre-ve tragitto, non solo ha volumeequivalente alla sua portata, mauno superiore; ogni volta che pro-viene da un punto più basso, vale adire minor pressione attraversandoun percorso più lungo, l’inerzia delcondotto diminuisce la portata teo-rica”. Cfr. Sesto Giulio Frontino,Gli acquedotti di Roma, testo latino afronte, Lecce, Argo, 1997, e la tra-duzione ivi riportata; oggi direm-mo, più concisamente, “La velocitàdell’efflusso dipende dall’altezzadell’acqua al di sopra del foro diuscita”. Come si vedrà, l’esatta di-

1 Riteniamo utile non addentrar-ci qui nelle tematiche geologicheconnesse alla formazione della Pia-nura Padana, tematiche che pureavrebbero un loro interesse nellaspiegazione delle curve di livelloche caratterizzano il corso del Po,dando adito alla possibilità che unarotta in un suo argine possa deter-minare un drastico mutamento nelcorso del fiume verso il mare. Unasintetica ma puntuale disamina del-le trasformazioni geologiche chehanno interessato la Pianura Pada-na può comunque essere reperita inM. Fuoco, Evoluzione paleoidrografi-ca della pianura compresa tra Samog-gia e Reno, in Tra Reno e Samoggia:soluzioni per due fiumi, S. Giovanniin Persiceto, Edizioni Aspasia,1999, pp. 11-26.

2 Per “centuriazione” si intende“un particolare tipo di delimitazio-ne e divisione di terreni (lat. limita-tio), in funzione tanto di una loroassegnazione, di regola ai cittadinidi una colonia, quanto anche diuna distribuzione viritana (vale a di-re di singoli assegnatari, anche mol-ti di numero) … L’incrocio di lineerette, parallele ed equidistanti tra diloro, allineate rispetto a due lineeprincipali, che si incontravano or-togonalmente nel pinto centraledella zona soggetta a questa struttu-razione agrimensoria, determinavauna serie di appezzamenti quadratidi terreno (centuriae)”. Cfr. Perun’interpretazione storica della centu-riazione romana, in Misurare la terra:centuriazioni e coloni nel mondo ro-mano, Modena, Edizioni Panini,1983, p. 20. Nella sostanza, essaconsisteva nella misurazione e nelladivisione regolare di un territorio ingrandi appezzamenti quadrati di200 iugera, pari a 50 ettari, costi-tuenti una centuria. Il nome deriva-va, secondo la tradizione latina an-tiquaria, dalla tradizione di distri-buire in parti uguali l’equivalente diuna centuria a cento proprietari. Idue iugeri spettanti a ciascun pro-prietario costituivano poi un here-dium. Il reticolo della centuriazioneera comunque calibrato in ragionedelle esigenze agrarie del territoriocui doveva essere applicato. Nel ca-so della Repubblica Cispadana, sipotevano avere centuriazioni in cuiogni maglia constava di norma diun quadrato di 710 m di lato, pari adue iugeri (iugera), mentre ciascuno

di tali quadrati era poi suddivisibilein cento minuscoli appezzamenti(heredia). Nel caso della bassa bolo-gnese, la centuriazione susseguentealla bonifica emiliano-romagnoladovette certamente dar luogo adappoderamenti di ben maggioreestensione: i dati archeologici rela-tivi alla bassa bolognese suggerisco-no che ogni maglia potesse conte-nere quattro fondi come quelli quidescritti.

3 Per un esame dettagliato delleinterrelazioni tra bonifica e paesag-gio agrario nella regione del Po (edel suo delta in particolare) in epo-ca romana, si veda G. Susini, Boni-fica e paesaggio cispadano: l’evo anti-co, in I settant’anni del consorzio dellabonifica renana, Bologna, Forni,1980, pp. 9-23.

4 Cfr.: Le prime forme di suddivisio-ne del suolo in Italia, in: Misurare laterra: centuriazioni e coloni nel mondoromano, cit., p. 74, fig. 12. Anchefig. 10 in: Atlante dei beni artistici eculturali dell’Emilia Romagna, a curadi G. Adani e J. Bentini, II vol.,Carimonte Banca Spa, 1994, p. 54.

5 L’aspetto del fiume era in epocaromana ovviamente completamen-te diverso da quello attuale. Il Poscorreva come un fiume unico finoa Trigaboloi (nei pressi di Ferrara),punto in cui si biforcava nelle duediramazioni di Padova e di Olano.Le successive diramazioni del Poerano usate come vie di collega-mento e di traffico: la Fossa Augustaconnetteva Ravenna al corso delPo; a nord di Ravenna correva laFossa Asconis; il ramo di Olano an-dava a sfociare in Adriatico nelletre diramazioni di Caprasia (OstiumCaprasiae), Sagis e Volano; dal ramodi Sagis partiva la Fossa Flavia, ca-nale iniziato dagli Etruschi e com-pletato in epoca Flavia, ad intercet-tare un sistema di vecchi rami deldelta ormai interriti (Ostia Carbo-naria). Da qui proseguivano una se-rie di canali (fossiones): le FossaePhilistinae, la Fossa Clodia, e i duerami Meduaci, che conducevano di-rettamente al mare. Cfr. voce «Pa-dus», in Der kleine Pauly. Lexikonder Antike in fünf Bänden, Mün-chen, Deutscher Taschenbuch Ver-lag, 1979.

6 Il tracciamento della Via Aemi-lia avvenne nel 187 a.C. prendendole mosse da Rimini (Ariminum, co-lonia fondata nel 268 a.C.), progre-

Hydraulics in the Roman period, inHydraulics and Hydraulic Research.A Historical Review, a cura di G.Garbrecht, Rotterdam-Boston,A.A. Baikema, 1987, pp. 23-32.

22 Ciò risulta particolarmenteevidente nel paesaggio agrario checaratterizza i dintorni di Imola (laromana Forum Cornelii) e Faenza;cfr. in proposito M.L. Paoletti, Con-tinuità della centuriazione: fossi, filarie strade, in Misurare la terra: centu-riazioni e coloni nel mondo romano,Modena, Edizioni Panini, 1983, pp.261-267 e bibliografia collegata; mail caso non è certo isolato, cfr. inproposito anche Il territorio modene-se e la centuriazione, in Misurare laterra: centuriazioni e coloni nel mondoromano: il caso modenese, Modena,Edizioni Panini, 1983, pp. 31-44 ebibliografia collegata. Si vedonoanche le aerografie di copertina(recto e verso) di quest’ultima, non-ché quelle presenti in “Atlante deiBeni artistici ecc.”, cit., p. 133(Centuriazione nel Modenese,Panzano, Castelfranco Emilia) e p.134 (Agri centuriati nei pressi diBudrio e Castenaso).

23 La geometria rigorosa che lacenturiazione impose alla Bassa Pa-dana è divenuta nel tempo una sor-ta di topos letterario; cfr. ad es. Car-lo Levi “… le campagne matemati-che di Romagna…”, in Cristo si èfermato a Eboli, Torino, Einaudi,1979, p. 235.

24 Da questa considerazione van-no ovviamente esclusi i cosiddetti“diluvi”, la cui frequenza è storica-mente documentata con cadenza dievento singolo in un millennio. Inparticolare, abbiamo notizia moltodi seconda mano (di epoca otto-centesca, a sua volta ripresa dallaletteratura romana rinascimentale,a sua volta verosimilmente ripresada una fonte latina a noi ignota) diuna disastrosa alluvione che, nel108 a.C. avrebbe interessato il bas-so corso del Po, con migliaia di vit-time. L’Historia Longobardorum diPaolo Diacono (720 ca.-800 ca.), cireca notizia, nel III Libro, cap.XXIII, del “diluvio” sconvolgentedel 589, che interessò tutta la peni-sola, in particolare per la ricordatarotta dell’Adige, alla quale moltifanno risalire il ridisegnamento delsistema viario e idraulico dell’interapenisola. L’ultimo diluvio venne re-gistrato nel 1385: interessò tutta l’I-

talia Centro-Settentrionale (videperaltro allagamenti anche a Romae a Firenze), ma si scatenò soprat-tutto con furia devastatrice nellapadania orientale, mettendo lette-ralmente in ginocchio le popolazio-ni e l’intera economia del venezia-no, del mantovano e del ferrarese.Queste notizie sono state tratte daL. Poluzzi, Storia cronologica dellerotte del Po, stralcio tratto dalla Sto-ria idrografica persicetana, 1998, ine-dito di proprietà dell’Autore (diprossima pubblicazione).

25 V. Fumagalli, Colonizzazione ebonifica nell’Emilia durante il Medioe-vo, in I settant’anni del consorzio del-la bonifica renana, Bologna, Forni,1980, pp. 27-50, in part. p. 27.

26 Si veda in proposito, il lavorodi Fumagalli citato nella nota pre-cedente, che fornisce altresì unapreziosa disamina del processo dimutamento del paesaggio agrariopadano tra l’XI e il XVI secolo.

27 Si aprirebbe qui un tema di di-scussione e ricerca di indubbio inte-resse: quello relativo alle intercon-nessioni tra il dissesto idrogeologi-co, i disboscamenti qui menzionatie il tipo di culture, che hanno ca-ratterizzato la bassa padana in epo-ca storica. Ci limitiamo ad osserva-re come le varie tecniche di colti-vazione della vite, storicamente do-cumentate, abbiano verosimilmen-te influito in modo differente sullacapacità di trattenimento delle ac-que da parte dei terreni agrari. E’noto, ad esempio, come la colturadella vite ‘ad alberello basso’, o a‘palo secco’, caratterizzasse questotipo di coltura nell’area mediterra-nea di tradizione greca. Nella pia-nura padana, invece, la vite fu col-tivata in tutta l’antichità secondola cosiddetta tecnica promiscua(probabilmente di derivazione etru-sca), con la vite allevata alta su so-stegno vivo, quasi sistematicamen-te ‘maritata’ a pioppi, olmi, aceri ealtri alberi ad alto fusto (si veda inproposito: E. Sereni, Storia del pae-saggio agrario italiano, Laterza, Bari,1979, p. 404; nonché: M. Fregoni,Origini della vite e della viticoltura,Musumeci-Quart, 1999). La gra-duale sostituzione della tecnica a‘vite maritata’ (lat. arbusta gallica)con quella a palo secco, sistemati-camente progredita in Emilia e Ro-magna a partire dall’epoca medioe-vale, contribuì verosimilmente ad

90Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

pendenza della velocità dalla radi-ce quadrata dell’altezza verrà indi-viduata 15 secoli più tardi da Tor-ricelli.

11 Naturalis historia Libri XXXVII;in particolare, il III libro contieneuna descrizione sommaria della si-stemazione urbanistica (parr. 112-116) e idrografica (parr. 117-122)della regione padana e del bacinodel Po in epoca romana. Interessan-te notare come parte della sistema-zione idrografica prospettata da Pli-nio non sia ormai più riconoscibile,segno evidente delle profonde tra-sformazioni che, a partire dal Me-dioevo, hanno accompagnato lastoria del Po, particolarmente versola foce. L’edizione qui consultata èquella curata da A. Barchiesi, R.Centi, M. Corsaro, A. Marcone eG. Ranucci per la collana I Millenni(5 voll., Torino, Einaudi, 1982-1988).

12 De agri coltura liber, si veda, inparticolare, il capitolo XLIII, 1, incui si espone il modo di preparare illetto dei solchi per ottenere unbuon drenaggio dell’acqua: Sulcos,si locus aquosus eris, alveatos esseoportet, latos summos pedes tres, altospedes quattuor, infimum latum P. I etpalmum. Eos lapide costernito: si lapisnon erit, perticis saligneis viridibuscontroversus conlatis consternito: sipertica non erit, sarmentis conliga-tis.…, “I solchi, se il luogo fosse ric-co d’acqua, è opportuno che sianosvasati, larghi all’imboccatura 3piedi [80 cm], profondi 4 [1, 2 m],con la base larga 1 piede e 1 palmo[35 cm]. Li coprirai sul fondo di pie-traglia: se non avrai pietraglia, dipali di salice verde, messi l’uno difronte all’altro; se non avrai pali, licoprirai di fascine di vimini.…”.L’edizione consultata è L’Agricoltu-ra, testo latino a fronte, a cura di L.Canali e C. Lelli (Milano, OscarMondadori, 2000).

13 Rei rusticae Libri XII (più notocome De re rustica). In particolareil cap. V del I libro tratta delle esi-genze idriche del paesaggio agrarioin epoca romana. L’edizione quiconsultata è quella a cura di H.Boyd Ash, E.S. Forster ed E. Heff-ner (3 voll., Loeb Classical Li-brary, 1948-1968).

14 Vitruvio, De architectura, a cu-ra di P. Gros, trad. e comm. di A.Corso ed E. Romano, coll. I Mil-lenni, 2 voll., Torino, Einaudi,

1997. La parte che qui più interes-sa è ovviamente quella costituitadall’VIII libro, interamente dedi-cato all’idraulica.

15 Molto di più sappiamo sullatecnica architettonica romana diconduzione delle acque, anche perle notevoli vestigia lasciateci dagliaquaeducti romani, come quelli pre-senti in Italia, Spagna, Francia eTurchia. Per un elenco completo ditali vestigia e uno studio della rela-tiva tecnologia cfr. G. Carettoni,voce Acquedotto, in Enciclopedia del-l’arte antica classica e orientale, I vol.,Roma, Istituto della EnciclopediaItaliana Treccani, 1958, pp. 36-45.

16 Naturalis Historia, III libro, par.123.

17 Secondo Strabone (64 ca. a.C.-21 d.C.), il tragitto tra Piacenza e ilmare via acqua richiedeva all’epocadue giorni e due notti (Geografia, V,217). L’edizione qui consultata èquella tradotta a cura di H.L. Jones,8 voll., Loeb Classical Library,1949-1961.

18 Dei numerosi ingegneri idrauli-ci che servirono nelle legioni o alledirette dipendenze imperiali, posse-diamo solo due nomi: L.P. Festo esoprattutto Nonio Dato. Sappiamo,in particolare, che quest’ultimo,membro in qualità di geometra (li-brator) della terza legione, di stanzain Nord Africa, fu responsabile (IIsec. d.C.) del progetto per la costru-zione dell’acquedotto di Saldae(oggi Bejaja, sulla costa algerina),in Mauretania. La realizzazione del-l’acquedotto (per uno sviluppo di21 km) comportò la realizzazione diun notevole tunnel lungo 482 mnei pressi dell’odierna località di ElHabel, realizzato con doppio scavoa fronte. Cfr.: R. Tölle-Kastenbein,Archeologia dell’acqua. La culturadell’acqua nel mondo classico, Mila-no, Longanesi, 1993, p. 75.

19 Un interesse specifico merite-rebbe senz’altro la storia dell’acque-dotto romano di Bologna. Si vedain proposito AA.VV., Acquedotto2000. Bologna, l’acqua del duemilaha duemila anni, Bologna, GrafisEdizioni, 1985.

20 Per queste notizie sulla tecno-logia idraulica romana, si veda ilquadro riassuntivo in R. Tölle-Ka-stenbein, Archeologia dell’acqua,cit., p. 246.

21 Per queste notizie, si veda H.Fahlbusch, Vitruvius and Frontinus –

un sensibile accrescimento delproblema idrogeologico, venendoa mancare ai terreni agricoli inte-ressati le radici lunghe degli alberidi sostegno. Per una disamina del-l’evoluzione della coltura della vi-te in epoca medioevale si veda:A.I. Pini, Vite e vino nel Medioevo,Clueb, Bologna, 1989, in part. pp.31-46. Interessante per questo te-ma è anche un esame dell’icono-grafia presente nelle opere citatenella presente nota.

28 Non parrà qui superfluo ram-mentare per esteso il celebre passodei Discorsi e dimostrazioni matemati-che intorno a due nuove scienze, ope-ra che in un certo senso segna lasumma del pensiero fisico-meccani-co di Galileo e riassume post factumla svolta impressa al pensiero occi-dentale dalla riscoperta rinasci-mentale delle tecniche: “Largocampo di filosofare a gl’intellettispecolativi parmi che porga la fre-quente pratica del famoso arsenaledi voi, Signori Veneziani, ed in par-ticolare di quella parte che mecca-nica si domanda; atteso che quiviogni sorte di strumento e di machi-na vien continuamente posta inopera da un numero grande d’arte-fici, tra i quali, e per l’osservazionifatte dai loro anteccessori, e perquelle che di propria avvertenzavanno continuamente per se stessifacendo, è forza che ve ne siano diperitissimi e di finissimo discorso”;l’edizione qui consultata è quella acura di A. Carugo e L. Geymonat,Torino, Boringhieri, 1958, p. 13,corrispondente alla p. 49 dell’VIIIvolume dell’Edizione Nazionaledelle Opere, 1890.

29 È significativo il fatto che lapartita doppia, come sistema di ba-se per la registrazione delle scritturecontabili, sia di origine italiana. Ipiù antichi registri organizzati inpartita doppia, risalenti al 1340, so-no conservati nell’Archivio di Sta-to di Genova. I primi cenni allapartita doppia si trovano nell’operaDella mercatura et del Mercante per-fetto di Benedetto Cotrugli, redattaa Napoli nel 1458, ma stampata aVenezia solo nel 1573. La primaopera a stampa contenente la teoriadella partita doppia rimane quindila Summa de Arithmetica, geometria,proportioni et proportionalità (Vene-zia, 1494) di Luca Pacioli. L’operacomprende infatti un lavoro di au-

tore ignoto, inserito dal Pacioli nel-la Summa, intitolato Tractatus XIparticularis de computis et scripturis,nel quale viene trattata largamentela partita doppia, già utilizzata nellaVenezia del XII secolo.

30 Lo spessore ingegneristico del-l’opera di Jacopo Aconcio è ancoralungi dal potersi dire pienamentecompresa. Anche se la sua menzio-ne in questo contesto ci appare pie-namente giustificata, data la suaestraneità con la regione storico-geografica al centro del nostro stu-dio, dobbiamo qui limitarci a questibrevi cenni. Per un primo, utile in-quadramento dell’opera di Aconciocome ingegnere idraulico cfr. la re-lativa biografia nel Dizionario Bio-grafico degli Italiani (vol. 1, Roma,Istituto dell’Enciclopedia ItalianaTreccani, 1960), nonché quellapresente nell’Encyclopedia Britanni-ca (Londra, 1960). Vedi anche larelativa voce biografica in G. Dra-goni, S. Bergia e G. Gottardi, Dizio-nario biografico degli scienziati e deitecnici, Bologna, Zanichelli, 1999.

31 Qui, ancor più che nel caso diAconcio, siamo costretti a non di-lungarci sulla figura e sull’opera delgrande ingegnere cremonese. Ci li-mitiamo ad osservare come atutt’oggi manchi (anche per i for-midabili problemi editoriali con-nessi) un’edizione critica della suaopera e un vaglio sufficientementeesauriente delle sue realizzazionitecniche (in particolare, di quellerelative all’ingegneria idraulica). Ciripromettiamo comunque di torna-re sulla figura di Torriano in unostudio successivo.

32 Per motivi di spazio, non pos-siamo qui permetterci un’analisidell’opera di idraulica teorica e pra-tica, che per tutta la vita costituìuna sorta di leit motiv del genio diLeonardo da Vinci. Rinunciamoesplicitamente a fornire qualchescarno riferimento alla ormai cospi-cua bibliografia in proposito, ri-mandando ad una eventuale rivisi-tazione alla splendida modellisticapresente nella relativa sezione stori-ca nel Museo della Scienza e dellaTecnica di Milano.

33 G. Vasari, Le vite dei più eccel-lenti pittori, scultori e architetti (ed.1568), Roma, Newton Compton,1991, pp. 347-348.

34 D. Bernoulli, Hydrodynamica,sive de viribus et motibus fluidorum

commentarii, Basilea, J.H. Decker,1738.

35 J.B. le Rond d’Alembert, Traitéde l’equilibre et du mouvement desfluides, Paris, David, 1744.

36 L. Euler, Principes généraux desmouvement des fluides, Berlino,1755.

37 Per un excursus sulle tematicherelative alle idrovie in Italia e nelresto d’Europa, cfr. A.W. Skemp-ton, Canali e navigazione su fiumiprima del 1750, unitamente alla bi-bliografia ivi indicata in Storia dellatecnologia, vol. 3/II Il Rinascimento el’incontro di scienza e tecnica, a curadi C. Singer, E.G. Holmyard, A.R.Hall e T.I. Williams, Torino, Bolla-ti Boringhieri, 1993, pp. 447-480.

38 Per un’idea del tipo di contrat-ti che i bonificatori impegnavanocon i signori locali cfr. ad es. G.L.Masetti Zannini, Il Cardinale Igna-zio Boncompagni Ludovisi e gli idrau-lici bolognesi nella bonifica pontina diPio VI (dalle fonti vaticane inedi-te), in: «Bollettino del Museo delrisorgimento», V, III (1960), pp.76-78, nonché L.E. Harris, Prosciu-gamento e bonifiche, in: Storia dellaTecnologia, cit., p. 319.

39 Qui il riferimento a Leonardo ealla sua opera di ingegnere idraulicosarebbe d’obbligo: ci limitiamo adaccennarvi. Per una breve scorsadell’opera relativa di Leonardo siveda ad es. M. Cianchi, Le macchinedi Leonardo da Vinci, Firenze, Be-cocci Editore, s.i.d.; cfr. in part. Lemacchine idrauliche, pp. 33-44.

40 Per una disamina del passaggioalla fisica moderna segnato dai temidell’ingegneria idraulica nel Rina-scimento, cfr. C.S. Maffioli, Gli al-bori del Rinascimento e l’idraulica deltardo Rinascimento, Atti del XVIIICongresso Nazionale delle Ricer-che, Commissione per la Storia del-la Fisica e dell’Astronomia (Como,1998). Quello qui consultato è ilpreprint (Strasburgo, 1998).

41 Nello stesso 1551, Tartagliachiese ed ottenne dal Senato vene-ziano il “privilegio” (o, come di-remmo oggi, il brevetto) per losfruttamento di una sua invenzionein materia di recupero dei relitti.Cfr. C.S. Maffioli, Gli albori del Ri-nascimento e l’idraulica del tardo Ri-nascimento, cit., pp. 10-11.

42 Il tema in esame è più ampia-mente trattato sempre in C.S. Maf-fioli, Gli albori del Rinascimento e l’i-

draulica del tardo Rinascimento, cit.,p. 8.

43 B. Castelli, Della Misura del-l’Acque Correnti, Roma, StamperiaCamerale, 1628. Da segnalare chela 3a edizione accresciuta dell’opera,fu pubblicata postuma a Bologna(1660).

44 A questo grande ingegnereidraulico della Serenissima sembrasi debba, in particolare, una delleprime attribuzioni del flusso e riflus-so delle maree all’attrazione eserci-tata sulla Terra dal Sole e dalla Lu-na. Il tema delle maree rimarrà unadelle riflessioni ricorrenti dei grandifondatori della fluido-dinamica. Siveda in proposito l’opera di Eulero,segnalata in § “Oltre le Alpi...”.

45 Giovanni Battista Aleotti (Ar-genta 1546-Ferrara 1636), architet-to e ingegnere. Studiò matematica,architettura ed ingegneria a Ferraradove, dal 1571 al 1593, fu al servi-zio del duca Alfonso II d’Este che losoprannominò “l’Argenta”. Qui sidedicò alla costruzione di opere dicarattere civile e religioso e, apprez-zato anche come ingegnere milita-re, progettò la fortezza di Ferrara.Ebbe un ruolo di primaria impor-tanza nella bonifica ferrarese intra-presa dagli Estensi contribuendo,tra l’altro, alla compilazione del Li-bro dell’Estimo, il primo catasto fer-rarese di cui ci sia giunta notizia.Noto ideatore di strutture e mac-chine teatrali fu, in questo campo,al servizio del duca Vincenzo IIGonzaga, del marchese Enzo Benti-voglio e di Ranuccio I Farnese.

46 Egnazio Danti (Perugia 1537-Alatri, Frosinone 1586), matemati-co, astronomo, architetto e cosmo-grafo. Frate domenicano, fu cosmo-grafo e maestro di matematichepresso la corte di Cosimo I de’ Me-dici, dove rimase fino alla morte diquesti (1574). Fu professore dell’U-niversità di Bologna dal 1571 al1583. Nel 1575 costruì nella chiesadi S. Petronio di Bologna una meri-diana, ai nostri giorni non più visi-bile, che servì per la verifica accura-ta del giorno equinoziale. Unita-mente a Cristoforo Clavio e LuigiLilio, fu ufficialmente invitato dapapa Gregorio XIII ad occuparsidella riforma del calendario, cheprese poi il nome di gregoriano.

47 Per una rassegna storica dell’o-pera benedettina in materia d’ac-que nell’Alto Medioevo, si veda: R.

91 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Rosselli, La disciplina delle acque nel-l’Alto Medio Evo: problemi e letture,in Acque di frontiera, a cura di F.Cazzola, Bologna, CLUEB, 2000.

48 Per un excursus sulle tematicherelative alle tecniche di bonificanel resto d’Europa, cfr. L.E. Harris,Prosciugamento e bonifiche, unita-mente alla bibliografia ivi indicata,in Storia della tecnologia, vol. 3/I IlRinascimento e l’incontro di scienza etecnica, a cura di C. Singer, E.G.Holmyard, A.R. Hall e T.I. Wil-liams, Torino, Bollati Boringhieri,1993, pp. 307-319.

49 A. Hessel, Storia della città diBologna dal 1116 al 1280, Bologna,Alfa, 1975, p. 191. La costruzionedel canale, che sfruttò una prose-cuzione dell’esistente ramus Reni,iniziò nel 1208. Una notevole di-samina storica dei sistemi di cana-lizzazione che hanno caratterizzatola città di Bologna, nel II millen-nio si trova in: A. Zanotti, Il siste-ma delle acque a Bologna dal XIII alXIX secolo, Editrice Compositori,Bologna, 2000.

50 Per una rassegna storica dellerealizzazioni del Municipio di Bolo-gna per garantire le proprie idrovieverso l’Adriatico, si veda: M. Baral-di, A. Vanzini, Le vie d’acqua da Bo-logna all’Adriatico, in Bologna d’ac-qua: l’energia idraulica nella storiadella città, a cura di G. Pesci, C.Ugolini e G. Venturi, Bologna, Edi-trice Compositori, 1994, pp. 37-44.

51 Per questa rassegna delle prin-cipali opere idrauliche che interes-sarono nel corso del tempo la regio-ne tra Bologna, Cento e Ferrara, cfr.L. Samoggia, Architetti in opereidrauliche: Bologna, Cento, Ferrara,in La pianura e le acque tra Bologna eFerrara, un problema secolare, Cen-to, Centro Studi Giacomo Baruffal-di, 1983, pp. 27-59. Vedi anche larassegna iconografica alle successi-ve pp. 60-99.

52 Aristotele Fioravanti (Bologna1415 ca.-Mosca 1486 ca.), architet-to e ingegnere. Distintosi giovanis-simo nella città natale (nel 1436partecipò all’innalzamento dellatorre del Palazzo del Podestà), nel1458 fu chiamato a Milano da Lu-dovico il Moro; a Milano eseguì, tral’altro, lavori idraulici al Ticino.Dopo un intenso periodo di viaggiin Italia e all’estero, nel 1475 fuchiamato dallo zar Ivan III a Mo-sca, dove eseguì opere architettoni-

che di carattere prevalentementereligioso.

53 Per un compendio dell’operaingegneristica di A. Fioravanti, siveda la relativa biografia, nel Dizio-nario Biografico degli Italiani,vol. 48,Roma, Istituto dell’EnciclopediaItaliana Treccani, 1997).

54 Jacopo Barozzi detto “il Vigno-la” (Vignola (Modena) 1507-Roma1573), architetto. Studiò pittura eprospettiva a Bologna. Chiamato aRoma verso il 1534, qui iniziò il suotirocinio presso le fabbriche papali.Nel 1540 fu segretario dell’Accade-mia Vitruviana. Dal 1541 al 1543,chiamato da Francesco I, si trasferìin Francia per lavori alla reggia diFointainebleau. Collaboratore diMichelangelo nella fabbrica di SanPietro (1552-1554), alla morte diquesti gli successe nella direzionedei lavori. Le sue opere più note ri-mangono la villa Farnese a Capra-rola e la chiesa del Gesù a Roma.

55 Cfr. A.W. Skempton, Canali enavigazione su fiumi, in Storia dellatecnologia, vol 3/II, Il Rinascimentoe l’incontro di scienza e tecnica, cit.,p. 459.

56 Il meccanismo delle chiuse adangolo, a sostituire la chiusa a sara-cinesca calata dall’alto, di anticaconcezione, è di una semplicitàtanto disarmante quanto intrinse-camente geniale. Mentre la vec-chia chiusa resisteva semplicemen-te alla pressione delle acque, contutti i conseguenti rischi di affatica-mento delle strutture e dei materia-li a scapito della tenuta, nelle chiu-se ad angolo si fa in modo che i bat-tenti, una volta chiusi, formino unangolo acuto rivolto contro il sensodella corrente e/o della pressioneidrica orizzontale. In tal modo, piùaumenta la pressione, più i due bat-tenti tendono ad avvicinarsi, ga-rantendo una tenuta molto miglio-re e una sollecitazione molto infe-riore delle strutture di cardine.

57 Si veda F. Cazzola, CornelioBentivoglio e la bonifica di Gualtieri,in Bonifiche e investimenti fondiari, inStoria dell’Emilia Romagna, a cura diA. Berselli, vol. II, Bologna, Uni-versity Press, 1977, pp. 209-228; inpart. pp. 222-223.

58 Per un esame delle numerosecontese giuridico-amministrativein materia d’acque, che interessaro-no l’intero territorio compreso traModena, Bologna e Ferrara si veda-

no in particolare i saggi contenutiin Acque di frontiera. Principi, comu-nità e governo del territorio nelle terrebasse tra Enza e Reno (Secoli XIII-XVIII), Quaderni di Discipline Sto-riche, Bologna, CLUEB, 2000.

59 Per una storia delle contesescientifiche collegate alla diatri-ba tra Bologna e Ferrara in meri-to al corso del Reno, cfr. C.S.Maffioli, Out of Galileo. Thescience of Waters, 1628 – 1718,Rotterdam, Erasmus Publishing,1994, in part. cfr. cap II.

60 La denominazione di Valle SanMartina (o Sammartina, comespesso riportato nelle cronache deltempo) è oggi alquanto desueta.All’epoca, indicava la zona attual-mente compresa tra Porotto, Ferra-ra, San Biagio, San Martino e Co-ronella. Uno sguardo al profilo alti-metrico della zona, consente di ren-dersi facilmente conto di come laminaccia di impaludamento gra-vasse particolarmente su questa zo-na, in conseguenza dell’interrimen-to cui andava soggetto l’antico al-veo del Po, ormai incapace di acco-gliere con la necessaria efficienzagli scoli e i corsi d’acqua minori chela attraversavano.

61 Per avere un’idea anche quan-titativa del problema, si tenga pre-sente che il Po trasporta comples-sivamente al mare ogni anno circa13 milioni di tonnellate di torbi-de, provenienti in massima partedagli affluenti di destra del Po, cheaccrescono l’area del delta sull’A-driatico di circa 60 ettari; il conse-guente avanzamento del delta nelMare Adriatico è di circa 60-70metri annui.

62 Oltre al citato lavoro di G. Ve-ronesi, si veda anche F. Manaresi,Per una storia della bonifica idraulicadella pianura bolognese, in «CultaBononia, rivista di studi bologne-si», V, 2 (1973), pp. 141-155; non-ché G.L. Masetti Zannini, Il Cardi-nale Ignazio Boncompagni Ludovisi egli idraulici bolognesi nella bonificapontina di Pio VI (dalle fonti vaticaneinedite), in «Bollettino del Museodel Risorgimento», V, III (1960),pp. 74-125.

63 Tra il 1625 e il 1626 si contanoinfatti ben cinque missive di Ca-stelli a Galilei. Cfr. C.S. Maffioli,Out of Galileo, cit., p. 45.

64 La prima trattazione sperimen-tale esauriente del fenomeno, che

conduce direttamente al noto “tu-bo di Venturi”, è contenuta nelleRecherches expérimentales sur le prin-cipe de la communication latérale dumouvement dans les fluides appliqué àl’explication de différents phénomèneshydrauliques (Parigi, 1797). Il tubodi Venturi, detto anche “venturi-metro”, dispositivo che consente dimisurare la velocità dell’acqua nellecondotte forzate, fu comunque in-ventato dall’ingegnere statunitenseClemens Herschel (1842-1920), eproprio da questi così denominato,in onore del grande fisico che più didue secoli prima aveva studiato itubi convergenti e divergenti checaratterizzano il dispositivo.

65 Giovanni Poleni (Venezia1685-Padova 1761), architetto ci-vile e militare, matematico, fisico eastronomo. A soli 26 anni ebbe lacattedra di Astronomia e meteorepresso l’Università di Padova; nel1715 passò alla cattedra di fisica. Aquesto periodo risale la sua intensaattività nel campo degli studi diidraulica, che compendiò nel Demotu aquae mixto (1717), ove espo-se fra l’altro l’applicazione delle sueteorie all’estuario veneto, e nel DeCastellis (1718), dove trattò dellechiuse che si utilizzavano per rego-lamentare o derivare il flusso delleacque fluviali. Dato il successo dellesue opere di idraulica, fu chiamatocome consulente scientifico delMagistrato delle acque della Re-pubblica Veneta. In questo ambito,compì estesi studi sulla rete fluvialedel Veneto e dedicò particolare at-tenzione ai problemi della lagunaveneta. Nel 1729 pubblicò l’operaEpistolarum mathematicarum fascicu-lus, ove affrontò problemi di mate-matica, astronomia, idraulica e fisi-ca. È nell’ambito dei suoi studi diidraulica che Poleni fu portato adaffrontare una questione sulla qualela comunità scientifica si era divisa,e che avrebbe continuato a suscita-re discussioni ancora per moltotempo: quella riguardante cosa sidovesse prendere a misura della“forza dei corpi in movimento” o,in altri termini, quale sia la gran-dezza fisica che determina l’effettoche si produce quando un corpo inmovimento urta contro un ostaco-lo. L’atto di nascita di questa “di-sputa delle forze vive” è segnato dauno scritto di G.W. von Leibniz del1686, nel quale quest’ultimo, con-

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trapponendosi a Cartesio e a New-ton, aveva proposto, in luogo dellaquantità di moto, prodotto dellamassa per la velocità, la vis viva,prodotto della massa per il quadratodella velocità. Nel De Castellis, Po-leni sottolineò che senza una rispo-sta al quesito gli “intendenti d’ac-que” non avrebbero potuto operarea ragion veduta, e che l’intera mec-canica dei fluidi avrebbe avuto basiincerte. Per dirimere la questione,ricorse a un esperimento, nel qualeprovò che due corpi “acquisivano lastessa forza” cadendo da altezze in-versamente proporzionali alle ri-spetttive masse, un risultato omo-geneo con la tesi leibniziana. Nel1722 l’esperimento fu ripetuto daW.J. s’Gravesande, che riconobbepienamente la priorità di Poleni.L’esperimento divenne ampiamen-te noto in Europa dopo la traduzio-ne del 1723 di J.T. Desaguliers. Po-leni aveva compiuto un ulteriorepasso in avanti, del quale nessunodei due autori prese però atto: si erainfatti reso conto del fatto che negliurti si deve conservare anche laquantità di moto, impostando for-malmente, probabilmente per pri-mo, la trattazione dell’urto centraleelastico, assumendo la validità dientrambe le leggi di conservazione:quella dell’energia e quella dellaquantità di moto.

66 Cfr. L. Poluzzi, Cronologia dellerotte del Samoggia e del Reno, in TraReno e Samoggia, cit., pp. 30-32.

67 Un brano significativo, a que-sto proposito, della relazione diCassini è riportato in G. Veronesi,Cenni storici sulle vicende idrauliche,cit., pp. 18-19: “Già le valli tuttefra il Reno e il Santerno grande-mente interrite dalle torbide,quanto si sono alzate di fondo, al-trettanto verso le pareti si sono di-latate in ampiezza, occupando ipaesi circostanti già fertili, e ridu-cendo col trattenimento degli sco-li a sterilità i lontani; già ne’ tempidelle piene, sormontati tutti i dossiinterposti, formato di cotanti seniun solo mare, che appoggiato nellaparte inferiore al solo arguine sini-stro del Po di Primaro, unica difesadelle valli di Comacchio, e di granparte del Polesine di S. Giorgio(essendo il destro anche nello sta-to ordinario sormontato da vallirialzate) quello urta in maniera,che non è più bastante nella solita

grossezza a sostenere tanto carico”.68 Cfr. G. Veronesi, Cenni storici

sulle vicende idrauliche, cit., p. 22.69 Giovanni Ceva (Milano

1647/1648-Mantova 1734), mate-matico e ingegnere idraulico. Tra-scorse la maggior parte della sua vi-ta a Mantova, come matematicocesareo e commissario generale delducato dei Gonzaga. Integrò teore-mi geometrici con considerazionimeccaniche. Si può considerare trai fondatori della geometria proietti-va e dell’economia matematica. Lasua opposizione alla diversione delReno nel Po, contribuì in manieradecisiva all’abbandono del proget-to. Tra le sue opere principali ricor-diamo: De lineis rectis se invicem se-cantibus statica constructo, (Milano,1678) e Opuscola mathematica depotentiis obliquis, de pendulis, de vasiset de fluminibus, (Milano, 1682).

70 Eustachio Manfredi (Bologna1674-ivi 1739), astronomo, mate-matico, idraulico e letterato. Studiòfilosofia dai Gesuiti e in seguito silaureò in legge presso lo Studio bo-lognese (1692). Versato nellescienze, ebbe come maestro in ma-tematica e idraulica Domenico Gu-glielmini, studiando contempora-neamente astronomia da autodi-datta. Nel 1690 fondò l’Accademiascientifica detta “degli Inquieti”,che nel 1714 diventerà l’Accade-mia delle Scienze dell’Istituto diBologna. Nel 1699 fu nominatolettore di matematica presso l’Uni-versità di Bologna; dal 1704 fu an-che a capo del collegio pontificio diBologna divenendo, nel 1711, so-vrintendente delle acque del terri-torio bolognese; carica che man-tenne a vita. Per la sua fama comeidraulico si disse di lui: “non fu que-stione d’acque alquanto grave inItalia che a lui non si portasse”.Nello stesso anno fu nominatoastronomo dell’Istituto. Durante lasua carriera scientifica pubblicò cir-ca una trentina di opere, tra le qua-li le famose Ephemerides motuumcoelestium (1715-1750), che lo im-posero nel panorama scientifico eu-ropeo dell’epoca e, di conseguenza,contribuirono notevolmente allarinomanza dell’Osservatorio astro-nomico di Bologna e della stessaAccademia. Nel 1742 il fratelloGabriele (Bologna 1681-ivi 1761),professore di matematica pressol’Università di Bologna dal 1720,

gli successe come sovrintendentedelle acque del territorio bolognese.Eraclito Manfredi (Bologna 1682-ivi 1759), fratello dei succitati, fuprofessore di medicina ed in seguitodi geometria presso l’Università diBologna.

71 Benedetto Castelli (Brescia1577/1578-Roma 1643), matema-tico e fisico. Di questo grande allie-vo di Galilei, va ricordato ancheche fu il primo ad istituire sistema-tiche misure pluviometriche. Il suoapporto principale all’idraulica,contenuto nella menzionata opera(Della misura delle acque correnti,Roma, 1628) fu proprio lo studiodei metodi di contenimento dellepiene dei fiumi.

72 Giovanni Battista (Giambatti-sta) Benedetti (Venezia 1530-Tori-no 1590), matematico e fisico. Di-scepolo di N. Tartaglia (1558-66),fu alla corte di Parma come lettoredi filosofia e matematica. Dal 1567alla morte visse a Torino. Nella suaopera principale, Diversarum specu-lationum mathematicarum et physica-rum liber (Torino, 1580), precisò ilconcetto di inerzia in relazione almoto circolare. Precorritore di Ga-lileo nella dinamica, può anche es-sere considerato un precursore dellageometria analitica.

73 Col termine di ‘paradosso idro-statico’ si intende il fatto che sulfondo di recipienti di differente ba-se, per una medesima altezza del li-quido contenuto, il valore dellapressione risulti sempre lo stesso. Inaltre parole, la pressione sul fondodel recipiente non è determinatadalla quantità complessiva di liqui-do contenuta nel recipiente, ma so-lo dall’altezza della colonna di li-quido sovrastante il punto in cui es-sa viene calcolata.

74 Come termine di paragone, ladisastrosa alluvione del Polesineche, in risposta ad una caduta me-dia di 250 cm di piogge nel bacinoidraulico del fiume, tra il 7 e l’11novembre 1951, che allagò i dueterzi dell’intera provincia di Rovi-go, fu originata da tre distinte rotte,tutte in sinistra, nei pressi di Oc-chiobello, avvenute nel giro di po-che ore (tra le 19.45 e le 24): la pri-ma, in località Vallice, aprì unosquarcio di 220 metri; la seconda,in località Bosco, squarciò altri 313metri di argine; infine la terza, inlocalità Malcantone, ne travolse al-

tri 204 metri. Si veda: L. Poluzzi,Storia cronologica delle rotte del Po,cit., p. 34. Si noti che il fiume ruppea più riprese in sinistra, diminuen-do drasticamente la pressione sugliargini di destra, e ciò salvò la pro-vincia di Ferrara, condannando alladisperazione quella di Rovigo; sitrattò in sostanza di una sorta dicrudele clinamen lucreziano. La sto-ria d’Italia, della sua insistente edesorbitante urbanizzazione e del suocontinuo dissesto ecologico e idro-orografico, insegna anche questo.

75 È certo che in qualche modoGalileo ebbe accesso all’opera diArchimede, ma è altrettanto certoche la prima traduzione latina del-l’opera del grande siracusano sulgalleggiamento fu posteriore allapubblicazione del Discorso galileia-no. Ricordiamo infatti che la primaversione latina a stampa dell’operaarchimedea è costituita dalla ver-sione di Federico Commandino(1509-1575), De hiis quae vehunturin aqua, libri duo a Federico Com-mandino urbinate in pristino nitoremrestituti, edita a Bologna nel 1615.

76 Si veda in proposito l’analisidella dimostrazione galileiana con-dotta in: C.A. Fasso, Birth of Hy-draulics during the Renaissance period,in Hydraulics and Hydraulic Resear-ch: A Historical Review, cit., p. 65,analisi che traduce nel linguaggiodifferenziale moderno l’argomenta-zione dimostrativa di Galileo. L’a-nalisi galileiana in questione è con-dotta senza l’ausilio del linguaggiodifferenziale e risulta, in questo sen-so, più “elementare”. Si veda inproposito il testo del Discorso in“Opere di Galileo Galilei”, Einau-di, Torino, 1996 (1a ed. ivi, 1964),pp. 438-441.

77 Abbiamo ad esempio notizia diun interessamento di Galileo(1630) alle problematiche idrauli-che connesse al corso del fiume Be-senzio, peraltro trattate con moltomaggior acume dallo stesso Castel-li. È pensabile che l’interesse di Ga-lileo per l’idraulica applicata na-scesse in giovane età, se già nel1594 la Repubblica di Venezia gliriconosceva il brevetto (con 20 an-ni di usufrutto) per la sua invenzio-ne di una macchina a forza animaleper il sollevamento dell’acqua e lasua distribuzione per uso irriguo.Cfr. C. Maccagni, Galileo, Castelli,Torricelli and others. The Italian

93 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

school of Hydraulics in the 16th and17th centuries, in Hydraulics and Hy-draulic Research: A Historical Re-view, ed. G. Garbrecht, Rotterdam-Boston, A.A. Baikema, 1987, pp.81-88.

78 Si veda in proposito C.A. Fas-so, Birth of Hydraulics during the Re-naissance period, in Hydraulics andHydraulic Research: A Historical Re-view, cit., p. 62.

79 Cfr. Fasso, Birth of hidraulics du-ring..., cit., pp. 55-80, in part. pp.66 ss. L’affermazione qui riportataandrebbe forse ammorbidita, allaluce della tesi di E. Lombardini(1872) ed L. Reti (1980), che la-scierebbero intravedere un possibi-le plagio delle idee di Leonardo,proprio ad opera di Castelli.

80 Si veda anche il saggio di E.O.Macagno: Leonardo da Vinci: Engi-neer and scientist, in: Hydraulies andHydraulic Research. A Historical Re-view, cit., pp. 33-53. Nel lavoro èsostenuta in dettaglio la tesi, in ba-se alla quale proprio l’idraulica e ladinamica dei fluidi videro i contri-buti più autenticamente originalidell’opera di Leonardo.

81 Il brano è tratto dall’opera ca-pitale di E. Mach, La meccanica nelsuo sviluppo storico-critico, trad. it. acura di A. D’Elia, Torino, Borin-ghieri, 1977, pp. 407-408.

82 Cfr. Maffioli, Out of Galileo,cit., p. 130.Pietro Mengoli (Bologna 1626-ivi7.6.1686), matematico. Allievo diBonaventura Cavalieri, le sue ri-cerche segnano il passaggio tra imetodi geometrici infinitesimalibasati sugli “indivisibili” e il calco-lo infinitesimale di Newton e vonLeibniz. Nel trattato Geometria spe-ciosa (1659) emerge una prima de-finizione di integrale secondo ilconcetto di limite che prelude alladefinizione rigorosa di Cauchy.Nelle Novae quadraturae aritmeticaestudiò serie fondamentali, dimo-strando la divergenza della serie ar-monica (1, 1/2, 1/3, 1/4, ...), risul-tato comunemente attribuito aBernoulli, enunciando principi ge-nerali sui concetti di convergenza edivergenza. Professore di meccani-ca all’Università di Bologna dal1650 fino alla morte.

83 Geminiano Montanari (Mode-na 1633 - Padova 1687). Astrono-mo. Partecipò attivamente ai cir-cuiti internazionali dell’informazio-

ne scientifica, fu un attivo diffusoredelle nuove idee, organizzatore epromotore a Bologna dell’Accade-mia della traccia (fondata verso lametà del XVII secolo). L’Accade-mia ebbe rilevanza non solo per illivello del dibattito scientifico, maanche per la formazione che diedeai migliori allievi di Montanari.

84 G. Montanari, Alcune esperien-ze fatte nell’Accademia di FilosofiaSperimentale, in G. Targioni Tozzet-ti, «Notizie», II, 2 (1780), p. 730.

85 Giovanni Battista Barattieri(1600/1601-1677), ingegnere e ar-chitetto. Notevole la sua opera diriconnessione dell’architettura al-l’ingegneria idraulica.

86 G.B. Barattieri, Architetturad’acque, Parte prima, Libro III, Pia-cenza, 1656.

87 La raccolta in questione è cita-ta in Problemi d’acque a Bologna inetà moderna, Atti del 2° colloquio,10-11 ottobre 1981, Bologna, Isti-tuto per la Storia di Bologna, 1983,pp.16-17.

88 Giovanni Battista Aleotti, Di-fesa di Gio. Battista Aleotti d’Argen-ta, Architetto, per riparare alla som-mersione del Polesine di S. Giorgio, &alla rouina dello Stato di Ferrara, Fer-rara, Stamperia Camerale, 1601.

89 Ibidem.90 Castelli, Della misura delle acque

correnti (1628), cit.91 Castelli, Della misura delle acque

correnti (1628), cit., p. 46.92 Bonaventura Cavalieri (Mila-

no 1598-Bologna 1647), matemati-co. Entrò in giovane età nell’ordinedei Gesuiti e quindi studiò mate-matica a Pisa. Qui incontrò Gali-leo, che ebbe una notevole influen-za sullo sviluppo del suo pensiero.Galileo considerava Cavalieri unodei maggiori matematici del suotempo, e fu con il suo appoggio cheCavalieri divenne lettore a Bolo-gna nel 1629, cattedra che tenne si-no alla morte e dalla quale, primoin Italia, diffuse la teoria copernica-na e le scoperte astronomiche diGalileo. La fama di Cavalieri è ba-sata sulla sua Geometria indivisibili-bus continuorum nova quadam ratio-ne promota, del 1635. Il metodo de-gli indivisibili, che Cavalieri usòper determinare aree e volumi, rap-presentò una tappa fondamentaleper la successiva elaborazione delcalcolo infinitesimale.

93 Ufficio che amministrava i

proventi da dazi sulle merci traspor-tate in generale, in particolare an-che per via d’acqua.

94 Marcello Malpighi (Crevalcore(Bologna) 1628-Roma 1694), me-dico e biologo.

95 Geminiano Montanari (Mode-na 1663-Padova 1687), astronomo.Si veda più oltre.

96 Per meglio seguire le vicendein seguito descritte, forniamo quiuna breve biografia dello scienziato:

Domenico Guglielmini (Bologna1665-Padova 1710), fisico e inge-gnere idraulico. Fu intendente ge-nerale delle acque nel bolognese,professore di matematica e di idro-metria prima all’Università di Bo-logna, poi a quella di Padova, doveinsegnò anche medicina. Fra le sueopere meritano particolare atten-zione gli studi di idraulica fluviale:Aquarum fluentium mensura nova etinquisita (1692); Epistolae duae hy-drostaticae (1692), la prima direttauna a Leibniz e l’altra a Magliabe-chi; infine, il trattato Della naturadei fiumi (1697). Nel trattato De sa-libus pose le basi della cristallogra-fia, precorrendo la scoperta di Haüyintorno alla costituzione internadei cristalli.

97 Si rammenti che la proposta diFerrara per rimediare ai danni arre-cati dal dissesto idrico della pianu-ra, che consisteva appunto nella di-versione del Reno dal Po nella Val-le San Martina, e tendente ad unaripresa della navigazione tra le duecittà, fu avanzata nel 1679.

98 Geminiano Rondelli (Ronco-scaglia (Modena) 1652-Bologna1735), noto soprattutto come ma-tematico e professore di idraulicaall’Università di Bologna, fu ancheil primo bibliotecario all’Istitutodelle Scienze di Bologna. Ha lascia-to un’edizione degli Elementi di Eu-clide, assai apprezzata ai suoi tempie un trattato di trigonometria, oltrea numerose memorie di idraulica.

99 Relazione del Guglielmini inviataall’ambasciatore con lettera d’Acquein data 31 dicembre 1687, in:A.S.B., Ambasciata Bolognese aRoma, Posizioni degli affari trattati aRoma, c. 30 r. citato in: “Problemid’acque a Bologna in età moderna”,cit., p. 28.

100 Lettera di Domenico Guglielminia Geminiano Montanari, Bologna,15 settembre [dicembre?] 1680, in:Lettere di uomini dotti tratti dagli au-

tografi ed ora per la prima volta pub-blicati, trascritta a cura di A.G. Bo-nicelli, Venezia, 1807, p. 58; citatain “Problemi d’acque a Bolognaecc.”, cit., p. 29.

101 Vedi nota precedente.102 Giovanni Battista Riccioli

(Ferrara 1598-Bologna 1671),astronomo conservatore, fu unconvinto seguace del sistema tole-maico, in favore del quale scrisseanche sul finire della vita l’Apolo-gia contra systema copernicanum(Venezia, 1669), che era stata pre-ceduta dall’Argomento contro il mo-to diurno della Terra (Bologna,1668). Fu tuttavia ammiratore delnuovo sistema copernicano per lasua straordinaria sinteticità e com-pattezza. Il trattato AstronomiaReformata (1665) costituisce unnotevole repertorio, in cui Ricciolifissò la nomenclatura di circa 600mari lunari; vi si menzionano le os-servazioni di Mizar dalle quali Ric-cioli dedusse l’esistenza delle stellebinarie. Scrisse inoltre Geographiaet hydrographia reformata (Bologna,1661), Chronologia reformata (Bo-logna, 1669).

103 Lettera di Domenico Guglielminia Geminiano Montanari, Bologna,15 settembre [dicembre?] 1680, in:Lettere di uomini dotti tratti dagli au-tografi ed ora per la prima volta pub-blicati, cit., passim.

104 Lettera di Domenico Guglielminia Geminiano Montanari, Bologna,15 settembre [dicembre?] 1680, inLettere di uomini dotti tratti dagli au-tografi ed ora per la prima volta pub-blicati, cit., passim.

105 Michelangelo Fardella (Trapa-ni 1650-Napoli 1718), filosofo ematematico. A 15 anni entrò nelconvento di San Francesco a Tra-pani dove compì gli studi e doveiniziò ad insegnare filosofia. A Mes-sina conobbe il fisico e matematicoGiovanni Alfonso Borelli, di cui di-venne discepolo; nella stessa città sidedicò all’insegnamento di geome-tria, meccanica e fisica sperimenta-le. Professore di astronomia e me-teorologia presso l’Università di Pa-dova (1694-1709), fu in seguito aBarcellona e a Napoli. Fu lettore diteologia presso l’Università “La Sa-pienza” di Roma e presso quella diModena.

106 Si tenga presente che durantela permanenza a Londra (1682), ilgiovane principe rivela un certo

94Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

interesse nella filosofia sperimen-tale e diviene membro della RoyalSociety.

107 Lo stesso cardinale BenedettoPamfili giunge a Bologna, in qualitàdi legato papale, nel novembre1690.

108 Lettera di Guglielmini a LuigiFerdinando Marsili, fratello di An-ton Felice (cit. in. “BUB, Mss.Marsili, 79, VI”); Guglielmini vicritica, con dispiacere, il “nuovo”corso intrapreso dai senatori i quali“attendono più a moltiplicare i let-tori per favorire gl’Amici, che a gra-tificare chi fatica facendo giustiziaal merito. Per me vedo lo studio perterra, la Città in rovina, ogni [cosa]in desolazione”

109 Giovanni Battista Baliani(Genova 1582-ivi 1666), politico efisico. Si dedicò con successo allacarriera politico-amministrativanella Repubblica di Genova rag-giungendovi alte cariche, tra lequali quella di governatore di Savo-na (1647) e di senatore. Gli impe-gni politici non gli impedirono, tut-tavia, di dedicarsi, in modo sia teo-rico sia sperimentale, allo studio diproblemi della fisica quali l’equili-brio meccanico delle masse e il mo-to naturalmente accelerato ampia-mente dibattuti nell’Europa dell’e-poca; prendendo spunto da lavorid’idraulica di cui si occupò nel por-to di Genova (1630), diede un im-portante contributo all’impostazio-ne e alla risoluzione del problemadella pressione atmosferica. Fu cor-rispondente scientifico di Galileodal 1614 alla morte di questi.

110 Marin Mersenne (Oizé 1588-Parigi 1648), fisico, filosofo e reli-gioso francese. Amico e compagnodi studi di Cartesio, fu in contattoepistolare con tutti i più noti scien-ziati del tempo e tenne regolari se-minari che portarono, in seguito,alla fondazione dell’Accademiadelle Scienze. Rifiutando il princi-pio di autorità, pose i fondamenti diun metodo scientifico basato sull’e-sperienza e supportato in terminimatematici; fu tra i fondatori dellanuova scienza meccanicistica.

111 Claude François Dechales(Chambéry 1621-Torino 1678),matematico francese. Fu missiona-rio gesuita in Turchia e insegnò perquattro anni matematica a Parigi.Dopo ulteriori periodi di insegna-mento a Lione e Chambéry, si tra-

sferì a Marsiglia, dove insegnò inge-gneria nautica e militare, oltre chematematica applicata alla tecnica.In seguito, ottenne la cattedra dimatematica presso l’Università diTorino. Ebbe il merito di presentareun primo quadro unitario della ma-tematica.

112 Francesco Eschinardi (Rota,Roma, 1623-1703), matematico efisico. A 14 anni entrò nella Com-pagnia di Gesù dove compì gli studied in seguito insegnò filosofia e re-torica. Fu incaricato di insegnarescienze matematiche prima a Firen-ze, poi a Perugia, e successivamentea Roma presso il Collegio Romano.Fu ammesso all’Accademia fisico-matematica fondata nel 1677 a Ro-ma da mons. Giovanni Ciampini.Si occupò di ottica, fluidodinamicae architettura civile e militare.

113 Giovanni Ceva (Milano1647-Mantova 1734), matematico.Integrò teoremi geometrici conconsiderazioni statistiche. Si puòconsiderare tra i fondatori dellageometria proiettiva e dell’econo-mia matematica. Opere: De lineisrectis se invicem secantibus staticaconstructo, 1678; Opuscola mathe-matica de potentiis obliquis, de pendu-lis, de vasis et de fluminibus, 1682.

114 Nel prosieguo della discussio-ne si tenga presente a questo pro-posito che, fino alla fine del XVIIsecolo non aveva ancora presopiede la tecnica di usare simboliper rappresentare dimensional-mente le grandezze fisiche: nondeve quindi sorprendere il fattoche Guglielmini non definisca lavelocità media come il rapportotra la quantità di flusso (espressocome il volume di acqua “scarica-ta” nell’unità di tempo) e l’areadella sezione trasversale.

115 Già Galileo, a livello intuiti-vo, aveva associato la superficiepiana rappresentante la somma del-le variazioni delle velocità allo spa-zio attraversato nell’unità di tempo;Borelli era invece giunto alla con-clusione che esistesse una propor-zione tra i detti piani e le distanzepercorse. Segnaliamo che, prima diBorelli, una rappresentazione grafi-ca dello studio dell’efflusso da uncontenitore era stata introdotta an-che da Torricelli e da Mersenne.

116 Si noti che, basando in sostan-za la discussione sul modello fisicodi un corpo che rotola lungo un

piano inclinato, non viene assolu-tamente presa in considerazionel’opportunità di comparare il com-portamento dell’acqua con il com-portamento di un corpo liquido.

117 Per la polemica con Papin e gli«Acta Eruditorum», vedi § “Rico-noscimenti all’opera...”.

118 Legge di Torricelli (o anche:legge dell’efflusso di Torricelli): rela-zione che lega la velocità v di ef-flusso dall’orifizio praticato in unacisterna alla distanza h di questodalla superficie libera del liquido:v=��2 g h (dove g è l’accelerazionedi gravità).

119 In realtà, ogni strato dellasezione trasversale del canale odel fiume interagisce con quelloadiacente e quindi il flusso nonpuò essere considerato libero, ec-cetto per i punti della superficiesuperiore, a causa della pressioneatmosferica. Si veda in propositola discussone condotta in: C.S.Maffioli, Out of Galileo, cit., pp.201 ss.

120 Jacob Hermann (Basilea1678-ivi 1733), matematico. Vedipiù avanti, al § “Riconoscimentiall’opera...”.

121 Per una trattazione modernadel pendolo idrometrico, si vedala relativa voce in Dizionario d’in-gegneri, vol. VIII, Torino, UTET,1976). Per completezza, ne ripor-tiamo comunque qui gli estremi.Il pendolo idrometrico è un flussi-metro a misura locale di velocitàutilizzato per misure in correnti apelo libero ed in particolare incanali d’acqua a superficie libera.Nella sua forma più semplice, es-so è costituito da una sfera, diraggio R, di materiale aventemassa volumica maggiore di quel-la dell’acqua, sospeso ad un cen-tro di sospensione C mediante unfilo sottile inestensibile, di massatrascurabile rispetto a quello del-la sfera.

Quando la sfera è immersa nellacorrente fluida si trova soggetto ad

una forza F di trascinamento nelladirezione della velocità del fluido, ead una forza gravitazionale P, diret-ta verticalmente verso il basso, do-vuta alla differenza di massa volu-mica tra sfera e liquido.La forza F vale, in modulo F = c A mv,f u2

in cui: c = coefficiente sperimenta-le, A = π R2/4 l’area del cerchiomassimo della sfera di raggio R; mv,fe la massa volumica del fluido ed ula sua velocità.La forza P➝ vale, in modulo: P =(4/3) π R3 (mv,s – mv,f) g, essendomv,s la massa volumica della sfera eg l’accelerazione di gravità.In condizioni di equilibrio, quandola sfera è immersa nella corrente, ilfilo di sospensione non è più in po-sizione verticale, bensì inclinato diun angolo ϕ rispetto alla verticalestessa, in modo che la componentedella forza P➝ in direzione perpendi-colare al filo di sospensione siauguale ed opposta alla componentedella forza F➝nella stessa direzione.Si ha allora: tan ϕ = F/P e, dalleprecedenti relazioni, si ottiene:

Dalla misura dell’angolo ϕ si puòquindi risalire, mediante la formulaottenuta, alla velocità della corren-te fluida nella zona in cui è immer-sa la sfera.Con questo metodo si ottengono ri-sultati necessariamente approssi-mati, poiché la vorticosità dellascia, generata nella corrente dall’in-troduzione della sfera, causa movi-menti irregolari di quest’ultima evibrazioni del filo di sospensione,che rendono difficile una misuraaccurata dell’angolo.

122 La chiarificazione completadel concetto di pressione è oggi cor-rettamente attribuita a Blaise Pa-scal (1623-1662). Si deve peraltroriconoscere l’importanza del con-cetto guglielminiano di ‘forza nonequilibrata’ nel cammino concet-tuale verso l’idea pascaliana di‘pressione’.

123 Domenico Guglielmini,Aquarum Fluentium Mensura, II(1691), p. 1 (Libro IV: assioma).

124 Guglielmini ideò uno specia-le esperimento per cercare diesemplificare queste variazioni,realizzando un modello di un ca-nale di ferro alimentato con acquatramite un contenitore.

95 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

Il modello del canale poteva ruota-re attorno ad una cerniera, in mododa assumere l’inclinazione desidera-ta; disponeva inoltre di una catarat-ta, che poteva essere abbassata edimmersa nel fluido. In questo modola sezione trasversale veniva artifi-cialmente ridotta e l’acqua si innal-zava lungo la cataratta fino a rag-giungere un certo livello. Fino ache la velocità di flusso nel canalerimaneva costante, Guglielmini at-tribuiva l’incremento della velocitàmedia nella sezione trasversale allapressione dell’acqua che premevasopra e lungo il piano inclinato.Con ciò, egli aveva realizzato unaparziale variazione nel principio delmoto: dall’inclinazione del canale siera passati alla pressione esercitatadall’acqua. Guglielmini arrangiòanche un piccolo modello in scaladi un canale inclinato che venivaalimentato da alcuni sifoni. Ridu-cendo artificialmente la sezione tra-sversale del liquido nel canale conl’abbassarsi della cataratta, l’acquapremeva continuamente su taleporta, crescendo di livello sino araggiungere quello prefissato. L’ac-qua che premeva da sopra contri-buiva ad incrementare la velocitàmedia nella sezione ridotta, in mo-do tale da permettere al canale discaricare la stessa quantità di acqua.Si noti come la simulazione di si-tuazioni fisiche idrodinamiche rive-sta per Guglielmini almeno la stessaimportanza ad essa conferita dalCastelli: la modellistica sperimen-tale accompagna quindi l’idrodina-mica fin dalla sua nascita come ‘di-sciplina delle acque’.

125 Più in dettaglio, Guglielminidivide il peso dell’acqua convoglia-ta in un minuto per il peso specificodell’acqua determinato precedente-mente, così da ottenere il volumed’acqua che è sgorgato in un minu-to. Dividendo questo volume perl’area dell’orifizio, ottiene lo spazioche l’acqua avrebbe attraversato inun minuto se avesse potuto proce-dere uniformemente; cioè la velo-cità di efflusso corrispondente al-l’altezza a cui si trova l’orifizio.

126 Per la consultazione delle ope-re che documentano la progressio-ne delle estensioni agrarie in pro-vincia di Bologna, può essere utilela tavola delle corrispondenze sulleunità locali storicamente utilizzatenella provincia di Bologna riporta-

ta alla voce Bologna, unità locali del-la provincia di, in: A. Ferraro, Dizio-nario di metrologia generale, Bologna,Zanichelli, 1959.

127 La delegazione ferrarese poseanche un problema collaterale:quello del possibile, ulteriore in-sabbiamento del Po Grande. Gu-glielmini negò che potesse darsiuna tale possibilità, facendo riferi-mento all’esperienza acquisita conil caso del Panaro (fiume di porta-ta comparabile a quella del Reno,con acque caratterizzate da grandiquantità di argilla, sabbia e sedi-menti). In effetti, quando il Pana-ro confluì nel Po di Venezia (chedivenne il Po Grande) non sinotò alcun insabbiamento del Po.La teoria di supporto era sempli-ce: una maggior quantità di acquasignificava anche una velocitàmaggiore e quindi, sotto opportu-ne condizioni, una maggior puli-zia dei fondali, operata dalla cor-rente stessa.

128 Le due sezioni di riferimentoper il Reno e per il Po (quando en-trambi sono in piena) vengonoeguagliate da Guglielmini a due ret-tangoli di acqua, secondo il proce-dimento qui riportato.Sezione del Po = 760 piedi (di lar-ghezza), 31 piedi (in altezza). Se-zione del Reno = 189 piedi (di lar-ghezza), 9 piedi (in altezza). Chia-mando Q1 e Q2 le velocità del flus-so del Po e del Reno quando sonoin piena, queste quantità, in ac-cordo con la legge di Guglielmini,risultavano rispettivamente pro-porzionali a 760 ��313 e 199 ��93,rispettivamente.Dopo la confluenza, la velocità diflusso, per il principio di conserva-zione dei volumi, risultava (Q1 +Q2). La profondità della correntedel Reno e del Po uniti insieme econfluenti in una sezione rettan-golare di 760 piedi non poteva ec-cedere i 31 piedi e 9 once. L’attesoinnalzamento del Reno in Po eraquindi previsto in 9 once bologne-si (all’incirca 30 centimetri). Ilpunto delicato, a parte la questio-ne dell’effettiva validità della leg-ge di Guglielmini e l’innegabileipersemplificazione della realtà fi-sica coinvolta, era l’avere assuntolo stesso valore di proporzionalitàper (Q1), (Q2) e (Q1 + Q2).

129 Il fatto sarebbe infine statodefinito, ma solo nel 1699, dopo

la partenza di Guglielmini perPadova.

130 Il ducato veneziano corrispon-deva a 6 lire e 4 soldi ed era equiva-lente a 3 lire bolognesi e 9 soldi.

131 Antonio Magliabechi (1633-1714), erudito e bibliofilo fiorenti-no. Numerosi gli attestati di grati-tudine e di ammirazione che si tro-vano in opere del tempo per il con-tributo offerto dal Magliabechi allericerche altrui, anche grazie alla co-piosissima corrispondenza con eru-diti italiani e stranieri. Estesissimala raccolta di manoscritti e libri chelasciò in eredità alla città di Firen-ze. Si veda anche la nota 149.

132 “Dovendo perciò ognuna delleparti di un fluido considerasi comeun corpicciuolo solido, e grave, nonvi è alcuna ragione, che non per-suada, dovere esso discendere albasso colle Leggi medesime, che os-servano i solidi maggiori, e perciò,per quanto è in lui, accelerandosi dimoto, secondo la proporzione dellesemiordinate alla “parabola”. (Sullanatura de’ fiumi, 1697, p. 62).

133 Encyclopédie ou Dictionnaireraisonné des Sciences, des Arts et desMétiers (28 voll., Parigi, 1751-1772;suppl. in 5 voll., Amsterdam, 1776-1777; tavola analitica, 2 voll., a cu-ra di F. Mouchon, ivi, 1780-1781;per complessive 23.135 pagine e3.132 tavole).

134 AA.VV., Studi e Memorie per lastoria dell’Università di Bologna. Rap-porti di scienziati europei con lo studiobolognese fra ’600 e ’700, a cura diM. Cavazza, Nuova serie, vol. VI,Bologna, 1987.

135 Scipione Del Ferro (1465-1526), professore di aritmetica egeometria a Bologna tra il 1496 eil 1525; Ludovico Ferrari (1522-1565), professore di matematica aBologna dal 1564 alla morte; Raf-faello Bombelli, matematico edingegnere idraulico; GirolamoCardano (1501-1576), professoredi medicina a Bologna tra il 1562e il 1571. Alla loro opera risale larisoluzione delle equazioni alge-briche di 3° e 4° grado e, in rela-zione ad esse, l’introduzione nellascienza del concetto di “numerocomplesso”.

136 Di lui Leibniz affermò: “Je neconnaissais au commencement queles indivisibles de Cavalieri et lesDuctus du P. Grégoire de S. Vin-cent, avec la Synopsis geometrica di

F. Fabri…”; citato in A. Robinet,G.W. Lleibniz et la République deslettres de Bologne, in AA.VV., Studie Memorie per la storia dell’Universitàdi Bologna, cit., pp. 35-36.

137 Si veda ad esempio, a tale pro-posito, l’articolo di Marta Cavazza,Le accademie scientifiche, inAA.VV., Le sedi della cultura nell’E-milia Romagna, Milano, 1988, pp.47-77; si veda anche Anatomie ac-cademiche. I.I commentari dell’Acca-demia delle Scienze di Bologna, a curadi W. Tega, Imola, 1986, pp. 9-42.

138 In merito alla produzione cul-turale e scientifica bolognese dell’e-poca, un ruolo peculiarmente im-portante, e per certi versi innovati-vo, venne svolto, ad esempio, dalCoro Anatomico, istituito, intornoal 1650, da Bartolomeo Massari,maestro di Marcello Malpighi; siveda, in proposito: M. Cavazza, Set-tecento inquieto. Alle origini dell’Isti-tuto delle Scienze di Bologna, Bolo-gna, Il Mulino, 1990, pp. 42-44.

139 Per approfondimenti a tale ri-guardo si veda in Maffioli, Out ofGalileo. The Science of waters. 1628-1718, cit., pp. 140-141.

140 Giovan Antonio Davia(1660-1740), cardinale e diploma-tico, vescovo di Rimini (1698-1729); Luigi Ferdinando Marsili(1658-1730), raggiunti i vertici del-la carriera militare al servizio del-l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo,si impegnava in osservazioni e rile-vamenti di carattere scientifico.Una volta destituito dal suo gradomilitare, rientrò a Bologna nel1704. Da questo momento alter-nerà la sua presenza in città a viaggiin Italia e Europa, entrando in con-tatto con le più rilevanti istituzioniscientifiche e i più importantiscienziati del tempo. A Bolognafonderà anche l’Istituto delleScienze, al quale donerà tutto ilmateriale scientifico, le ricche col-lezioni e i capitali scientifici in suopossesso; Ulisse Gozzadini (1650-1728), cardinale, vescovo di Rimi-ni (1711), legato di Romagna(1713).

141 Anatomie accademiche. I.I com-mentari dell’Accademia delle Scienzedi Bologna, cit., pp. 60-62.

142 Rimandiamo in proposito alsaggio di Cavazza, Settecento inquie-to. Alle origini dell’Istituto delle Scien-ze di Bologna, cit., in part. pp. 51-56.

143 Bernardino Ramazzini (1633-

96Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

1714), Francesco Spilamberti (?-1693), Gaetano Fontana (1645-1719) , Geminiano Rondel l i(1652-1739), Giacomo Cantelli(1643-1695), Giovanni Franchini(1633-1695); e Tommaso Ceva(1648-1737) fratello di Giovanni,uno dei più capaci scienziatiidraulici dell’epoca, e ancora lostesso Guglielmini.

144 Benedetto Bacchini (1651-1721), nato Bernardino, vestì ilsaio benedettino. Letterato, filo-sofo, teologo, storico, musicista, fuin rapporto con i maggiori eruditidel tempo. Il Giornale nella sua edi-zione parmense, durò dal 1686 al1690; riprese le pubblicazioni nel1692 a Modena, dove nel frattem-po si era trasferito il Bacchini, sem-pre a spese del Roberti (si veda lanota successiva). Alla morte diquest’ultimo, Bacchini proseguì lepubblicazioni, con l’appoggio di al-cuni collaboratori, per le annate1693 (stampata nel 1696), 1696(stampata nel 1697) e 1697 (stam-pata nel 1698). Si veda la biografiadi Bacchini in Dizionario Biograficodegli Italiani, Roma, Istituto dell’En-ciclopedia Italiana, 1960.

145 Gaudenzio Roberti (1655-1695), padre carmelitano, lo stessoche due anni più tardi fornirà ilsupporto economico necessario perla stampa dell’Aquarum fluentiummensura di Guglielmini.

146 Otto Mencke (1644-1707).Professore di filosofia morale e poli-tica presso l’Università di Lipsia dal1668, fondò, nel 1682, sempre a Li-psia, gli «Acta Eruditorum», la pri-ma rivista letteraria in Germania.Dopo la sua morte le pubblicazionifurono proseguite dal figlio JohannBurckhard (1674-1732) e ancoradopo dal nipote Friedrich Otto(1708-1754) e da alcuni altri come«Nova Acta Eruditorum». Nei pri-mi decenni la rivista ospitò anchemolti lavori matematici e fisici.Leibniz stesso si era fatto promo-tore della fondazione della rivista,pubblicandovi negli anni succes-sivi numerosi contributi di carat-tere fisico, matematico e filosofi-co, senza contare le molteplici re-censioni relative ad opere di altriautori.

147 Pierre Bayle (1647-1706), filo-sofo francese. Figlio di un pastoreprotestante, redige la sua primaopera di filosofia nel 1670, alcuni

mesi dopo la sua conversione al cat-tolicesimo, come allievo del colle-gio gesuitico di Tolosa. Torna peròben presto alla religione dei padri,cosa che lo obbliga a fuggire a Gi-nevra, dove resterà fino al 1673.Nel 1684, fonda le «Nouvelles de laRépublique des Lettres», destinatea diventare il più influente periodi-co letterario e filosofico dell’epoca.Dopo la revoca dell’Editto di Nan-tes (1685), Bayle attacca duramen-te le posizioni intolleranti dei teo-logi di ogni confessione, difenden-do nel Commentaire philosophique(1686) i “diritti della coscienza er-rante”. A partire da questi anni,Bayle rinuncia ad ogni forma di im-pegno diretto nei dibattiti politici esi dedica interamente ad un nuovoprogetto: la stesura del Dictionnairehistorique et critique, la sua opera piùcelebre, che esce in prima edizionealla fine del 1696. Gli ultimi annidella vita di Bayle sono consacratiad una nuova edizione del Diction-naire (1702) e a controversie, taloraassai violente, con teologi prote-stanti quali Jean Le Clerc, Isaac Ja-quelot, Jacques Bernard.

148 Così definita da A. Robinet,in: G.W. Leibniz et la République deslettres de Bologne, in AA.VV., Studie Memorie per la storia dell’Universitàdi Bologna, cit., p. 3.

149 Alla sua morte, Magliabechidonerà l’intera sua biblioteca perso-nale in beneficio della città di Fi-renze e dei poveri. Si costituirà cosìla “biblioteca Magliabechiana”,che verrà collocata in locali apposi-tamente allestiti presso gli Uffizi. Ladonazione si componeva di qualco-sa come 28-30.000 volumi di cui al-meno 2.873 manoscritti. Per avereun’idea della mole libraria coinvol-ta, osserviamo che l’intero traslocodella biblioteca, dall’abitazione pri-vata alla nuova destinazione, ri-chiese oltre 20 anni di lavoro.

150 Per un rendiconto dettagliatodei viaggi leibniziani in Italia si ve-da: A. Robinet, G.W. Leibniz et laRépublique des lettres de Bologne, inAA.VV., Studi e Memorie per la sto-ria dell’Università di Bologna, cit., pp.3-49.

151 Obiettivo ufficiale del viaggiodiplomatico di Leibniz era il com-pletamento di una ricerca storicasulla Casa di Brunswick, al fine diaccertarne le comuni radici con laCasa d’Este.

152 Luigi Sabatini (?-1699). Mo-naco minore del convento di SanFrancesco a Bologna, fu iscritto alcollegio di Teologia dell’Universitàe divenne lettore di metafisica dal1689 al 1698. Diede alle stampeFirmamentum theologicum…, Vene-zia, 1689.

153 (…) Librum Guglielmini ad memissum non vidi, et facile crediderimintercidisse. Interea non eo minus ob-strictum me profiteor doctissimo Viro,a quo nihil non insigne expecto, scri-veva Leibniz a Magliabecchi nelMarzo 1691. Citata in Robinet,G.W. Leibniz et la République des let-tres de Bologne, in AA.VV., Studi eMemorie per la storia dell’Universitàdi Bologna, cit., p. 10.

154 Robinet riferisce di una terzarecensione del Leibniz per gli «Ac-ta» nel settembre 1692, pp. 431-435. Cfr. A. Robinet, ibidem, p. 10.

155 Dion. Papini ObservationesQuaedam circa Materias ad Hydrauli-cam spectantes, Mensi Februariohujus anni insertas, in «Acta Erudi-torum», Anno 1691 (…), Lipsia,1691, pp. 208-210.

156 Denis Papin (1647-1714), me-dico e fisico, discepolo di Chri-stiaan Huygens (1629-1695) e col-laboratore di Robert Boyle (1627-1691), a sua volta trasferitosi defini-tivamente a Londra a causa dellarevoca dell’editto di Nantes (1598).Nel 1687, il principe Carlo I (KarlAugust), elettore dell’Assia-Kasseldal 1670 al 1730, gli offrì la cattedradi matematica presso l’Università diMarburgo, la Philipps-Universität(prima università protestante delmondo, fondata nel 1527 da Filippoil Magnanimo (1504-1567), langra-vio d’Assia dal 1509, sotto la reg-genza della madre, e a pieno titolodal 1518). Il Papin è prevalente-mente conosciuto per le sue ricer-che in ambito tecnologico, per isuoi studi sul vapore acqueo e sulvuoto, nonché per la costruzione dimacchine a vapore. Già da questibrevissimi cenni della sua biografiascientifica, si evince come gli inte-ressi di Papin per l’idraulica, sia nel-la scelta delle priorità, sia in quelladegli obiettivi e delle applicazionidella ricerca stessa, fossero marcatidall’approccio per lo più ingegneri-stico-tecnologico dello scienziatofrancese alla disciplina.

157 Domenico Guglielmini,Aquarum Fluentium Mensura, I ,

1690, p. 25: “La velocità dell’acquache scorre attraverso una certa sezionedi un canale inclinato è la stessa che siavrebbe se l’acqua defluisse da un reci-piente posto ad una distanza dalla su-perficie dell’acqua pari alla distanzamisurata sull’orizzontale esistente tral’inizio del canale e la sezione stessa”.

158 D. Papin, Examen SiphonisWurtemburgici in verice effluentis.Excerpta ex literis Dn. Dion. Papin,in «Acta Eruditorum», Lipsia, 1690.

159 Papin aveva in precedenza af-frontato questo argomento in rela-zione allo studio del cosiddetto“sifone di Würtemberg” (SiphoWürtembergicus). Nello stimarel’efflusso di tale dispositivo, Papinera giunto proprio alla conclusioneche lo avrebbe contrapposto in ma-niera netta al bolognese.Per ulteriori approfondimenti inproposito si veda: C.S. Maffioli,“Guglielmini vs. Papin (1691-1697).Science in Bologna at the and of theXVIIth century through a debate onhydraulics”, in «Janus», LXXI, 1-4(1984), pp. 76-78 e 101 alle note41-44. Tra l’altro, come evidenziatosempre dal Maffioli, in “Guglielminivs. Papin” (1691-1697), cit., pp. 78e 102 alla nota 47 Papin, nel con-siderare la “potenza motrice” deldispositivo in rapporto alla resa,applica, con rimarchevole antici-po, un metodo di analisi che si svi-lupperà solo 150 anni dopo, sti-mando probabilmente per la primavolta l’efficienza di un motoreespressa come comparazione nu-merica di due grandezze fisicheomogenee, fornendo come risulta-to un numero puro.

160 Lettera (A, I, VII, 346).161 La prima lettera in data 24 di-

cembre 1691, mentre la seconda indata 16 febbraio 1692.

162 Dominici Gulielmini […] Epi-stolae Duae Hydrostaticae AlteraApologetica adversus Observationescontra Mens. Aquarum Fluentium AClarissimo Viro Dionisio Papino fac-tas, & Act. Erud. Lipsia Anni 1691.Insertas: Altera DE Velocitate, &motu fluidorum in siphonibus recurvissuctorijs, Bononiae, 1692.

163 Per una più precisa, approfon-dita e dettagliata analisi dell’interavicenda rimandiamo al saggio, adessa interamente dedicato, già cita-to in note precedenti, di C.S. Maf-fioli: Guglielmini vs. Papin (1691-1697). Science in Bologna at the end

97 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

of the XVIIth century through a deba-te on hydraulics, cit., pp. 63-105.

164 Cfr. M. Cavazza, “La corri-spondenza inedita tra Leibniz, Do-menico Guglielmini, Gabriele Man-fredi”, in AA.VV., Studi e Memo-rie per la storia dell’Università diBologna, cit., p. 61.

165 L’analisi, qui riportata persommi capi, è ripresa da C.S.Maffioli “Out of Galileo”, cit., pp.229-233.

166 Si noti la ragionevolezza del-l’obiezione di Papin.

167 Con gli strumenti della mo-derna idraulica, è possibile portareuna serie di obiezioni a questo tipodi approccio. Il riempimento totaledi un condotto inclinato è possibilesolo in linea teorica. Nella boccasuperiore si verifica in realtà unacontrazione del flusso, seguito daun’espansione nel riempimento deltubo. L’espansione è accompagnatada turbolenza, da perdita di pressio-ne e da una diminuzione della velo-cità. D’altra parte, anche l’efflussoda un orifizio è accompagnato dallostesso fenomeno di contrazione delflusso. Sebbene l’applicazione diquello che è oggi noto come “teore-ma di Bernoulli” al caso teoricoipotizzato da Guglielmini porti ef-fettivamente alla conclusione cheVE = VG, dal punto di vista dellamoderna idraulica i presuppostidella querelle non sarebbero suffi-cienti per riuscire a dirimere la con-troversia. In sostanza, Guglielminiaveva descritto abbastanza corret-tamente il fenomeno; al contrariol’obiezione di Papin risulterebbe og-gi fondata, ma sulla base di argo-mentazioni completamente diverseda quelle proposte dallo scienziatofrancese, la cui posizione appare co-munque fisicamente errata.

168 Per approfondire in particola-re i contenuti della seconda delleEpistulae si veda in: C.S. Maffioli,Out of Galileo. The Science of wa-ters. 1628-1718, pp. 233 ss. La con-tesa aveva nel frattempo visto il ri-tiro di Papin. Il motivo, addotto daquesti, per il proprio ritiro era lega-to al particolare momento, che lovedeva coinvolto in polemiche ac-cese sia in ambito universitario, siaall’interno della comunità francesedi Marburgo. Papin, come già ac-cennato, rimase maggiormente in-teressato al concetto di pressionedal punto di vista dinamico e più

interessato al valore reale della ve-locità delle acque, piuttosto che al-la distribuzione relativa delle velo-cità, che veniva invece investigatada Guglielmini. Tutto ciò indusselo scienziato francese a concentrar-si maggiormente sulle ricerche incampo tecnologico, del resto a luipiù congeniale, piuttosto che rin-correre improbabili dispute di ordi-ne teorico.

169 Leibniz stilò quasi un vero eproprio programma di ricerca per ilGuglielmini: Coepisti a mathematicain fluminum cursus inquisitione, po-pulis utilissima, inde spes est vitaliamicrocosmi fluenta, liquoresque intragyros vorticesque exercentes a Te illu-stratum iri. Is enim demum in rationa-li Medicina operae pretium prae caete-ris facere potest qui lumen mathemati-cum ad has tenebras affert, quod a Tepraeclare fieri posse, jam specimen ele-gantissimum de salium figura ostendit,quo movisti nobis salivam, famen veronostram non explevisti. Itaque rogan-dus es nobis etiam atque etiam, uthaec subinde cogites, tantisque rebus,quae a Te jure merito expectantur nedesis. Vides et Malpighi et Borelli pro-vinciam jam ad Te unum rediisse,quam et unus vestrum optime tueripotes. Tratto da M. Cavazza, La cor-rispondenza inedita tra Leibniz, Do-menico Guglielmini, Gabriele Man-fredi, in AA.VV., “Studi e Memorieper la storia dell’Università di Bolo-gna”, cit., p. 67.

170 Come si può approfondire nelsaggio di A. Robinet, G.W. Leibnizet la République des lettres de Bologne,in: AA.VV., Studi e Memorie per lastoria dell’Università, cit., pp. 39-40.

171 Come scriveva Guglielministesso: “mihi saltem obscura sunt,quin et multis aliis”, ibidem, p. 40.

172 Il matematico Jacob Hermanngià nel 1701, quindi in giovane età,divenne membro dell’Accademiadi Berlino, sempre per intercessionedi Leibniz. Nel 1707 diviene profes-sore di matematica presso l’Univer-sità di Padova; l’anno successivoverrà accettato appunto nell’Acca-demia di Bologna che lascerà nel1713 per accettare una chiamata alFrankfurt-an-der-Order. Tutti que-sti spostamenti saranno resi possibi-li dall’interessamento diretto diLeibniz.

173 Di tale nomina si fece, promo-tore proprio Cassini. Per maggioridettagli si veda: M. Cavazza, Sette-

98Giovanni Gottardi, Annalisa Bugini, Sonia Camprini, Marina Manferrari

cento inquieto. Alle origini dell’Istitutodelle Scienze di Bologna, cit., p. 160alle note 32 e 34.

174 Guglielmini venne eletto “as-socié physicien” alla fine del 1696mentre agli inizi del 1699 vennefregiato del titolo di “associé étran-ger” da Luigi XIV (1643-1715).

175 In questo lavoro guardiamo inparticolare ai riconoscimenti tribu-tati allo studioso bolognese e rin-tracciabili in opere di eminenti stu-diosi “ultramontani”. Certo Gu-glielmini non fu l’unico scienziatobolognese, o studioso afferente adistituzioni italiane, ad ottenereplauso presso la comunità interna-zionale; è possibile trovare riferi-menti ad altri autori quali G. Pole-ni (si veda più oltre), Paolo Frisi(1728-1784) e diversi altri ancora;ma il ruolo di Guglielmini, in quan-to padre di una nuova scienza, restaovviamente peculiare.

176 Daniel Bernoulli, Hydrodyna-mica, sive de viribus et motibus fluido-rum commentarii, Basilea, TypisJohannes Henricus Deckeri, 1738.

177 “[…] Torricelli osservò che le ve-locità […] crescevano proporzional-mente alla radice quadrata dellaprofondità; né ancora si era d’accordosulla misura della velocità assoluta, etuttavia si realizzavano esperimentiche stimavano tale misura; tra questi siè soliti citare principalmente quello ri-portato da Guglielmini, e che fu ripe-tuto per otto volte; nonostante essodifferisca [nei risultati, n.d.t.] da altriesperimenti, interamente svolti dopoquell’epoca: d’altra parte, tutti questiesperimenti, che vengono condotti indifferenti condizioni, sono soliti differi-re tra loro; e, come abbiamo detto al-tre volte, non è sempre sicuro inferiredalla quantità d’acqua che defluisce inun tempo definito da un determinatoorifizio un giudizio [sicuro, n.d.t.] sul-la velocità stessa. Così, quando ricon-duciamo l’esperimento di Guglielminial calcolo, esperimento di cui abbiamofatto soltanto menzione, si dovrebbeconcludere, dalla quantità d’acqua cheè fluita attraverso l’apertura data neltempo dato, che la sua velocità non èmaggiore di quella dovuta alla quartaparte della altezza della superficie del-l’acqua rispetto all’apertura. Ed altri[ancora, n.d.t.] sono gli esperimentidello stesso autore, che vengono ripor-tati nel Lib. 2. Prop. I. mens. Aqua-rum fluent; in virtù dei quali la[quantità d’, n.d.t.] acqua che deflui-

sce secondo la propria velocità può sa-lire fino ai 2/3 di tale altezza”.

178 […] Guglielmini, nel trattato Deaquarum fluentium mensura, [os-servò, n.d.t.] che la velocità dell’acquache scorre lungo un canale inclinato èla stessa che se l’acqua defluisse da unorifizio di pari sezione e tanto distantedalla superficie, quanto la sezione delpiano orizzontale rispetto all’inizio del-l’alveo; proposizione che Denis Papincontestò, [rimanendo, n.d.t.] peraltroegli stesso molto distante dalla verità.

179 Il più noto e citato fu certa-mente Cornelis Janszoon Meijer(Cornelis Jansz Mejjer, 1629 -1701), ingegnere olandese, che fecela propria fortuna in Italia. Lavoròper Papa Clemente IX soprattutto aopere di regimazione del Tevere,pubblicando nel 1683 a RomaL’Arte di restituire a Roma la trala-sciata navigazione del suo Tevere. Inprecedenza si era applicato a Pisa alavori di regimentazione dell’Arno,per diretto incarico di Cosimo III,al quale il Meijer dedicò i Nuovi ri-trovamenti pubblicati a Roma nel1696. Nell’opera vengono riferitigli esperimenti compiuti dall’autorecon la calamita acquistata da Cosi-mo II su consiglio di Galileo. Tra isuoi massimi contributi all’idraulicavanno annoverate le due opere Delmodo di secare le Paludi Pontine(1683) e L’Arte di rendere i fiumi na-vigabili in varij modi con altre nuoveinventioni, e varij altri segreti (1699).

180 Willem Jacob ’sGravesande(1668-1742), divenuto professoredi matematica e astronomia inLeida nel 1717 e professore di filo-sofia nel 1734, insegnò e scrissemolti testi sulla scienza newtonia-na. Le sue lezioni erano spessocontrassegnate da esperimenti difisica e fu l’autore di molti testi dimatematica e filosofia.

181 Guglielmo Jacobo ’sGravesan-de, Physices Elementa Mathematica,Experimentis Confirmata, Tomus Pri-mus, Leidæ, 1748 p. XXVIII; “Ca-pitolo X. Tratta del moto dei fiumi.Alla determinazione della velocità del-le cui acque si applicò Guglielmini[…]. Dal quale autore abbiamo de-sunto altre cose […] Misura delle ac-que correnti”.

182 Jacob Hermann, Phoronomia,sive de Viribus et Motibus CorporumSolidorum et Fluidorum Libri Duo,Amstelaedami, Apud R. & G.Wetsetenios, 1716; l’opera otterrà

99 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

una favorevole recensione sugli«Acta Eruditorum»; recensione sti-lata dallo stesso Leibniz.

183 Ibidem, Sectio II, De MotibusAquarum, p. 213. “Nella sezione pre-cedente abbiamo trattato le pressionidei fluidi, che si esercitano tanto sui so-stegni piani, quanto nei contenitori. Inquesta seconda sezione esamineremobrevemente quelle [pressioni] che sonodovute al moto dei liquidi attraverso gliorifizi, aperti da qualche parte sul con-tenitore. Questo argomento, celeberri-mo per la sua utilità, si impose ad ope-ra di matematici celeberrimi come Ca-stelli, Baliani, Torricelli, Borelli e Ma-riotte, e fu da questi esaminato diligen-temente e non senza frutto; ma non fuesaurito, dal momento che il celebreGuglielmini aggiunse [ancora, n.d.t.]qualcosa a quanto da essi trovato; traquesti invero Torricelli applicò in modosommamente ingegnoso la dottrina sulmoto dei fiumi”.

184 Ibidem, Caput IX, De motibusliquorum per minore foraminaerumpentium Scholion, I, p. 224.“[…] Il trattato De mensura aqua-rum Fluentium del celeberrimo Gu-glielmini, che per merito suo occupail primo posto nella miscellanea fisi-co-matamatica italiana edita da P.Gaudenzio Roberti”.

185 Christian Wolff (1679-1754),filosofo, diventerà lettore di mate-matica, nel 1702, a Lipzia e succes-sivamente, nel 1706, professore dimatematica e scienze naturali pres-so l’Università di Halle, quest’ulti-ma destinazione sarà ottenuta gra-zie all’intervento di Leibniz stesso,con il quale Wolff intratterrà unastretta corrispondenza e le cui ideefilosofiche andranno a costituire lapietra angolare degli scritti dellostesso Wolff. Il suo interesse per lalogica prenderà presto il sopravven-to insieme a temi più strettamentefilosofici, senza risparmiarsi scrittidi ontologia, di cosmologia genera-le e giuridici. Wolff organizza cosìun vasto sistema filosofico, per lopiù privo di grande originalità epiuttosto eclettico, che sottintendeperò un profondo rispetto per il me-todo matematico con precise defi-nizioni e uno sviluppo sillogistico.Nella sua opera, Wolff incorrerà ad-dirittura in alcuni degli errori con-cettuali di Guglielmini.

186 Christian Wolff, ElementaMatheseos Universae. Tomus Secun-dus, Qui Mechanicam cum Statica,

Hydrostaticam, Aërometriam atqueHydraulicam complectitur. Editio no-va, Magdeburgo, Officina LibrariaRengeriana, 1733.

187 Ibidem, Elementa Hydrostaticæ,Præfatio, p. 23. Possiamo anche rin-tracciare, in particolare nel capitolodell’opera che tratta il corso dei fiu-mi, una sostanziale adesione alleteorie guglielminiane relative almoto dell’acqua nei sifoni (Ibidem,pp. 350-351): […] così non possiamonegare che sarà rimasto molto ai poste-ri da aggiungere nel successivo perfe-zionamento [rispetto, n.d.t.] a quantogià apportato dai grandi dell’idraulica[…] Castelli, Torricelli, Borelli, Gu-glielmini, Mariotte e soprattutto il ce-leberrimo Varignon […]. Si veda, perconfronto, la seconda epistola delGuglielmini diretta a Magliabechi.

188 Per una disamina più articola-ta ed esauriente si veda C.S. Maf-fioli, “Guglielmini, Rondelli e la catte-dra di idrometria, in AA.VV., Studi eMemorie per la storia dell’Universitàdi Bologna”, cit., pp. 115-124

189 Ovvero, ‘metodo ipotetico-deduttivo’, in antitesi alla posizio-ne epistemologica teorizzante in-vece l’illusorietà del metodo stes-so. Le rispettive posizioni episte-mologiche sono ben emblematiz-zate da H. Reichenbach (si vedaad esempio, The Rise od ScientificPhilosophy, Berkeley-Los Angeles,University of California Press,1951) e da P. Feyerabend (si vedaAgainst Method: Online of anAnarchistic Theory of Knowledge,Minnesota Studies in the Philosophyof Science, vol. IV, Minneapolis,1970; trad. it. Contro il Metodo,Milano, Feltrinelli, 1979.

190 Non essendo facile districarsinelle fitte relazioni parentali checaratterizzano la famiglia Bernoulli,diamo qui un sunto genealogico.Capostipite della famiglia fu Nico-laus (o Nikolaus, 1623-1708), mer-cante di Basilea. Dei suoi tre figli,Jacob I (1654-1705) fu un notevolematematico, Nicolaus (1662-1716)un apprezzato pittore, mentreJohann I (1667-1748) fu a sua voltagrande matematico. Il figlio di que-st’ultimo Nicolaus, noto come Ni-colaus II (1687-1759) fu anch’eglimatematico di fama. Johann I ebbea sua volta tre figli: Nicolaus II(1695-1726), Daniel (1700-1782)e Johann II (1710-1790), tutti va-lentissimi matematici e fisici. La di-

nastia proseguì con Johann III(1744-1807), matematico e astro-nomo, e Jacob II (1759-1789), an-ch’egli matematico.

191 Daniel Bernoulli studiò pres-so le Università di Strasburgo e diHeidelberg, laureandosi in medici-na a Basilea con una dissertazionesulla respirazione, un’originalecompilazione delle conoscenzedell’epoca in materia. Nei mo-menti liberi si dedicava alla mate-matica, ma nel 1721 non riuscì adottenere la cattedra di anatomia ebotanica dell’Università di Basi-lea, mentre l’anno successivo gli funegata dalla stessa Università an-che quella di logica.

192 Per altre notizie sulla figura diPoleni si veda la nota biografica diP.-G. Franke: “Marchese GiovanniPoleni”, in Hydraulics and Hydrau-lic Research: A Historical Review,cit., pp. 115-116, nonché la biblio-grafia celebrativa per il bicentena-rio della morte, ivi raccolta. Inconnessione con la tradizione bo-lognese degli studi di idraulica, siricordi che Guglielmini era passa-to fin dal 1698 alla cattedra di ma-tematica dell’Università di Pado-va, lasciata nel 1702 per quella dimedicina teorica. In merito alle vi-cende che segnarono il passaggiodi Guglielmini da Bologna a Pado-va, si veda: C.S. Maffioli, Out ofGalileo, Part IV: Along the Waters;in part. pp. 280 e ss.

193 Si veda in proposito, D. Vi-scher: Daniel Bernoulli and LeonhardEuler; the advent of hydromechanics,in Hydraulics and Hydraulic Resear-ch: A Historical Review, cit., pp.145-156; in particolare, il brano quitrascritto è riportato a p. 150.

194 In particolare, a quest’opera diBernoulli viene fatta risalire la sco-perta di quello che è oggi noto co-me “teorema di Bernoulli”, relativoall’espressione della conservazionedell’energia nel moto di un fluidoideale. In realtà Bernoulli derivacon argomentazione diretta (ripresain sostanza dalla concezione ener-getica leibniziana) i soli termini po-tenziale e cinetico; il termine pres-sorio viene derivato per ricorso al-l’equazione newtoniana della con-servazione del momento. La primaderivazione completa dell’equazio-ne di Bernoulli risale in realtà adEulero, nel suo lavoro Principesgénéraux de l’etat d’equilibre des flui-

des (1755), come conseguenza dellesue equazioni in condizioni di flussostazionario e irrotazionale, sotto l’a-zione della forza di gravità.

195 È interessante notare come l’i-dea dei vortici che si creano neifluidi in moto come base di spiega-zione della realtà fisica, fosse desti-nata a ricomparire proprio nellostudio generale del moto dei fluidi.La teoria degli atomi vorticosi diKelvin e, per certi aspetti, la dina-mica dei sistemi ciclici di H. vonHelmholtz andranno infatti, versola fine del secolo successivo, pro-prio in questa direzione.

196 L’Opera omnia di Eulero(Leonhardi Euleri opera omnia) è an-cora in corso di stampa a cura del-l’Accademia Svizzera delle Scienze,ed è ormai pressoché certo, dopo ilritrovamento di una serie di memo-rie euleriane tra gli Atti dell’Acca-demia di San Pietroburgo, che essaoltrepasserà ampiamente i 100 vo-lumi (si parla cautelativamente di105). Non esiste campo della mate-matica o della fisica-matematicache non rechi l’impronta del suopensiero e della sua sterminata ca-pacità di lavoro, che finì per costi-tuire quella che a tutt’oggi rimanela più copiosa produzione scientifi-ca nell’intera storia del pensiero oc-cidentale. Al di là della quantità,ciò che lascia attoniti in una taleiper-produzione è però l’incredibilenumero di opere di valore supremolasciate da Eulero: una sorta di gi-gantesco, monolitico e poliedricomonumento all’analisi matematica,logico-teologico-filosofica e fisico-matematica. Si veda in propositoanche la nota bibliografica alla vo-ce “Euler”: in Dictionary of ScientificBiography, a cura di C.C. Gillispie,New York, Macmillan PublishingCompany, 1981.

197 Si veda, in proposito, C.Thirriot: Pouvoir politique et re-cherche hydraulique en France auxXVIIe et XVIIIe siècles, in Hydrau-lics and Hydraulic Research: A Hi-storical Review, cit., pp. 103-143,in part. p. 104.

198 Si tengano presenti le pessimecondizioni di illuminamento dell’e-poca, e il fatto che Eulero lavoravaininterrottamente, in ogni momen-to del giorno e della notte; fin dal1738 aveva perduto l’occhio destro,verosimilmente per eccessivo affa-ticamento; nel 1771 fu la volta di

quello sinistro, colpito da cataratta.199 Si veda, in proposito, G. Mal-

tese: La storia di F = m a. La secondalegge del moto nel XVIII secolo, Ol-schki, Città di Castello, 1996.

200 Propriamente: Mechanica, sivemotus scientia analitice exposita, 2voll., San Pietroburgo, 1736.

201 In effetti I. Newton, al qualela legge viene fatta risalire, lascrisse nei Principia, unicamentecome F = dp/dt, formula sostan-zialmente equivalente, ma moltomeno comoda in svariati tipi diapplicazioni.

202 In particolare, Clairaut pub-blicò nel 1743 la Théorie de la figurede la Terre tirée des principes de l’hy-drostatique (Parigi, 1743; ried. ivi,1808); opera nella quale, trattandola Terra come una massa fluida inmoto di rotazione attorno al pro-prio asse, si deduceva la forma fina-le assunta dal pianeta per effetto delraffreddamento. L’opera era desti-nata a divenire a propria volta unadelle pietre angolari della costruzio-ne della nuova meccanica dei siste-mi fluidi.

203 Propriamente: Scientia navalisseu tractatus de construendis ac diri-gendis navibus , 2 voll., San Pietro-burgo, 1749. Un cenno va comun-que fatto anche all’opera di Euleroin relazione al flusso delle maree,l’Inquisitio physica in causam fluxusac refluxus maris.

204 Ci riferiamo ovviamente ai la-vori di scienziati come Lagrange,Bénard, Boussinesque, vonHelmholtz, Stokes, Reynolds, Kel-vin, Mach, Prandtl, von Kármán,Alfvèn e Chandrashekhar. Ma la li-sta potrebbe essere conveniente-mente allungata ed estesa.

205 Navier, Claude-Louis-Marie-Henri (1785-1836), ingegnere ci-vile francese. Apportò notevolicontributi alla teoria dell’elasticitàe alla fluidodinamica, della resi-stenza dei materiali e dell’elasticitàdelle strutture. Stokes, George Ga-briel (1819-1903), matematico efisico irlandese. Gli si devono im-portanti contributi alla matematiz-zazione della fluidodinamica, allateoria dei campi vettoriali e delleserie, all’elettromagnetismo e allateoria dell’elasticità e della tra-smissione telegrafica.

206 Ci riferiamo all’opera diEdward Norton Lorenz (1916-) ealla sua scoperta (1960) della so-

stanziale caoticità delle strutturefluide non ideali. La scoperta av-venne peraltro con l’ausilio di unodei primi elaboratori elettronici,evento che segnò un’autentica ri-voluzione nello studio della mecca-nica dei fluidi. Per uno studio dellostato dell’arte sul moto dei fluidi inregime turbolento subito prima del-l’introduzione dell’uso massicciodei calcolatori, analogici o digitalisi vedano, ad esempio, i classici la-vori di L. Prandtl, Führer durch dieStrömungslehre (lett. Guida allo stu-dio della corrente), 3a ed., Viewegund Sohn, Brunswick; trad. ingl.Fluid Dynamics, London-Glasgow,Blackie and Son, 1952; H. Lamb,Hydrodynamics, 6a ed., CambridgeUniversity Press, 1932, ried. Dover-New York, 1945; H.L. Dryden, F.P.Marnaghan e H. Bateman, Hy-drodynamics, Dover, 1956; e J.O.Hinze, Turbulence, New York, inMechanical Engenering, Mc Graw-Hill Series, New York, 1975.

207 Bisogna peraltro notare che ilcontributo degli ingegneri idrauliciitaliani alla scienza dell’idraulicafluviale rimane comunque anch’es-so notevole per tutto il secolo deilumi; molti di essi sono stati più omeno ampiamente ricordati nelcorso di questo lavoro. Ci premeperò qui segnalare innanzitutto lafigura di Bernardino Zendrini (Sa-viore 1679 – Venezia 1747), mate-matico della Serenissima e ‘so-praintendente dell’acque, dei fiumi,delle lagune e dei porti degli StatiVeneti’, a partire dal 1720. Medicodi formazione, dopo avere esercita-to per alcuni anni la professionemedica passò decisamente allo stu-dio della fisica dei fluidi. Fu comeconsulente al servizio di vari statiitaliani, in particolare di Ferrara. Lesue Leggi e fenomeni, regolazioni edusi delle acque correnti (Venezia,1741) segnarono l’ingresso dei me-todi dell’analisi infinitesimale nellafisica e nell’ingegneria idraulica ita-liane. Ebbe una parte importantenel rilevare i limiti dell’approcciosemplificativo di Guglielmini alleproblematiche idrometriche. E an-cora, la figura di Giovanni AntonioLecchi (Milano 1702 – ivi 1776),ingegnere idraulico, soprattutto peri suoi studi in relazione alle proble-matiche idrauliche connesse al cor-so del Reno. Dopo aver studiato aBrera presso i Gesuiti, insegnò let-

tere a Vercelli e Pavia, e successi-vamente eloquenza e filosofia aMilano. In seguito gli fu assegnatala cattedra di matematica all’Uni-versità di Padova, che tenne peruna ventina d’anni. Papa Clemen-te XIII gli affidò la direzione dei la-vori per l’immissione del Reno nelPo che, dopo la morte di Lecchi,furono proseguiti sui suoi disegni.Ricordiamo, al riguardo, la Relazio-ne della visita alle terre danneggiatedalle acque di Bologna, Ferrara e Ra-venna per deputazione di Nostro Si-gnore Clemente PP. XIII… (Bolo-gna, 1767) e il Piano per l’inalvea-zione delle acque danneggianti il Bo-lognese, il Ferrarese e il Ravennate:formato per ordine di Nostro SignoreClemente Papa XIII (Roma, 1767).Fu direttore dei lavori idraulici an-che per le città di Ferrara e Raven-na. Il duca di Modena FrancescoIII e l’arciduca Ferdinando, gover-natore di Lombardia, gli affidaro-no importanti lavori di idraulica.L’imperatrice d’Austria Maria Te-resa lo nominò matematico eidraulico di corte.

208 Non siamo qui in grado di ap-profondire ulteriormente gli aspettievolutivi delle interrelazioni tranormative giuridiche e conquistetecnico-scientifiche; come punto dipartenza rimandiamo in propositoad: A.A.V.V., Gli esordi della norma-tiva statuaria, in: Acque nascoste,cit., pp. 13-182.

209 Si ripensi al coraggioso appog-gio di Castelli a Galileo nella vicen-da umana di cui questi fu protagoni-sta, e alla quale si è accennato nel §“Galileo, Castelli, Torricelli...”.

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101 Aspetti della tradizione scientifico-tecnica idraulica bolognese

In una città come Bologna, dove le acque hanno costi-tuito sin dal Medioevo un momento determinante dellasua vita, è quasi naturale che immaginazione e scienzaabbiano più volte dialogato tra loro, tra lo spazio esattodel reale e quello suggestivo dell’immaginario. Si sa ilruolo fondamentale che gli scienziati e i tecnici bologne-si hanno assunto nei secoli nel campo della fisica idrauli-ca e delle sue applicazioni nella regolamentazione deicorsi d’acqua naturali e artificiali. Così non stupisce cheanche l’arte figurativa abbia a sua volta interpretato que-sta sensibilità e questa attenzione al mondo visibile delleacque, sia pure attraverso immagini codificate dalla tra-dizione che ripropongono insieme una tecnica e unasimbologia. L’acqua ha sempre rappresentato un simbolovitale tanto più ricco di valenze quanto più si congiungea una visione religiosa dell’esistenza, come appunto neisecoli della Bologna medievale. Non per nulla il pellegri-no è anche un navigatore e la vita è una “peregrinatio”tra le onde del tempo. Così simbolismo e realismo posso-no compenetrarsi, tanto per l’occhio dello scienziatoquanto per quello del pittore.

Queste mie considerazioni sul settore dell’idraulicatraggono spunto da un poco noto ma prezioso passaggiocontenuto nell’autobiografia postuma (1967) del grandematematico Theodore von Kármán (1881-1963). Invisita a Bologna nel 1904, lo scienziato fu colpito dall’in-

teressante rappresentazione del moto dell’acqua espressada un lacerto di affresco in San Domenico, ora conserva-to nel museo della basilica. L’opera, Madonna in trono colBambino fra i Santi Domenico, Pietro Martire e Cristoforo,fu eseguita intorno alla fine del XIV secolo da una igno-ta maestranza presumibilmente emiliana, sulla scorta disuggestioni naturalistiche rafforzate dall’adesione all’am-bito della cultura figurativa veneta. Questo spiega la resacoerente dei vortici e dei mulinelli prodotti dall’acqua,nel solco dell’iconografia tardogotica dell’elemento. Maesaurisce solo in parte, allo stato degli studi sul dipinto, ea nostro avviso, la sapienza dell’artista nel rappresentarela fisicità del movimento dalla quale trasse ispirazione,continuando a meditarne, per parecchi anni, i principimatematici ispiratori.

Per cercare di comprendere le ragioni di una sceltapittorica e la sua eventuale valenza scientifica ci è sem-brato doveroso consultare la bibliografia più accreditatanel settore dell’idraulica. E da questo punto di vista qualmiglior referente dello stesso Kármán, il più grande deiteorici di fluidodinamica e di aeronautica?

Tra la sua amplissima bibliografia abbiamo preso inconsiderazione, in particolare, un articolo pubblicato nel1912 dove lo studioso affronta un problema già posto erisolto in parte dal suo maestro Prandtl (1875-1953) inmerito alla stabilità del flusso di un fluido e alla forma-

102

UNO SCIENZIATO E UN AFFRESCO.TRA SIMBOLOGIA E REALISMO

GIORGIO DRAGONI

103 Uno scienziato e un affresco. Tra simbologia e realismo

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zione dei relativi filetti vorticosi in presenza di unoggetto che si interponga al moto delle acque. Senzavoler entrare negli specifici algoritmi matematici postida Kármán alla base e nello sviluppo delle sue argo-mentazioni, è però utile, penso, offrire al lettore alcuneinformazioni sulla soluzione che Kármán dava al pro-blema sopraindicato.

La soluzione di Kármán porta ad affermare che dueserie di filetti vorticosi possono essere prodotti nell’im-patto di un fluido ideale (o quasi) con un oggetto postosul suo percorso.

Il riferimento alla situazione quasi ideale è connessocon il fatto che senza attrito alcuno non possono formar-si vortici. Analoga situazione si troverebbe nel caso rela-tivisticamente identico. Acqua ferma, oggetto in movi-mento con la stessa velocità posseduta dall’acqua nelcaso precedente. In particolare la soluzione più stabile èquella rappresentata dalle figure 2 (b) e 4.

Si tratta, cioè, di filetti vorticosi rettilinei, paralleli di

uguale intensità, con opposto senso di rotazione alli-neati in due serie e sfalsati tra loro. Pur rinviando unacomprensione soddisfacente del problema ad ulterioriindagini sia teoriche, che sperimentali, Kármán avanzaun’ipotesi piuttosto interessante.

Quando un corpo è posto in moto in un fluido a par-tire dalla posizione di riposo (o, simmetricamente eviceversa, si ha la produzione di una corrente fluidaattorno ad un corpo fermo) si forma dapprima sul corpouna specie di “strato di separazione” che comincia gra-dualmente ad avvolgersi simmetricamente ai due latidel corpo, fino a quando qualche piccolo disturborompe la simmetria. Il “disturbo” può essere individua-to in alcuni scuotimenti dell’oggetto campione posto inacqua (il “provino”), ovvero da forme inevitabili di tur-bolenza che si manifestano anche nel moto più “ideale”dell’acqua in situazioni reali. Questa situazione porta aldistacco di filetti fluidi a sinistra e a destra dell’oggetto,innescando un effetto di pendolamento. Il pendola-

104Giorgio Dragoni

3 4

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Scienza a Confronto, a cura del-l’Assessorato alla Cultura delComune di San Giovanni inPersiceto, Bologna, EdizioniAspasia, 2000, pp. 97-101.

Si ringrazia Mr. V.K. Chew a lun-go collaboratore del Science Mu-seum di Londra, per la segnalazio-ne, fattami alcuni anni fa, relativaai Kármán vortex street, il professorLuigi Montefusco dell’Universitàdi Firenze per averla recentemen-te confermata e il dottor Giovan-ni Gottardi per le sue indicazionibibliografiche.

Un sincero ringraziamento poialla Basilica di San Domenico e aisuoi Padri e, in particolare, al Pa-dre Stefano Rabacchi, per avermiconsentito le riproduzioni foto-grafiche dell’affresco conservatonel loro Museo.

Si ringraziano inoltre i signoriGiovanni Lensi ed Ernesto Pettiper la trascrizione informatica deltesto; la signora Paola Fortuzzi peril suo aiuto bibliografico; il profes-sor Alberto Zamboni per la colla-borazione nella traduzione del te-sto tedesco di Kármán e, infine,mia moglie Alessandra Ferrettiper gli utili scambi di idee.

mento poi perdura, in relazione alla regolare formazio-ne dei filetti vorticosi che si staccano alternativamentea sinistra e a destra, con opposta rotazione.

Oltre ad aver trovato una soluzione matematicaquale quella rappresentata dalla descrizione su riporta-ta, Kármán eseguì delle verifiche sperimentali, peraccertarsi della sua validità, e coerenza con la realtà.Egli rese visibile la configurazione del flusso dietro a uncorpo (per es. un cilindro verticale) mediante una pol-vere finissima impalpabile di semi di licopodio che benevidenziavano i moti vorticosi e la loro rotazione. Dallefoto che egli ottenne, la disposizione regolarmentealternativa dei filetti vorticosi dietro al corpo fu mani-festamente innegabile.

Sulla base delle annotazioni riportate dallo studiodi Kármán citato, possiamo ora ritornare al problemaposto in precedenza e all’attendibilità, come rappre-sentazione reale, delle acque descritte dall’ignotoautore dell’affresco in San Domenico.

Anche l’invenzione figurativa di un’arte a suomodo ideale può suggerire dunque allo scienziato isegni del vero. D’altro canto è la stessa scienza a rico-noscere che anche nel suo severo laboratorio puòentrare l’immaginazione.

105 Uno scienziato e un affresco. Tra simbologia e realismo

Il nostro lavoro vuolericostruire una porzionedel territorio urbano adalta densità idraulica permettere in luce e, alme-no in parte, spiegare lacomplessità del sistemabolognese di distribuzio-ne dell’energia idrauli-ca. Abbiamo tentato diconiugare lo sguardo diun sapere urbanistico earchitettonico per anniimpegnato nel recuperoe nel riuso di spazi, edifi-ci e impianti del passatocon il sapere e il metododi una storia economicaattenta al dato tecnico,ai processi produttivi epiù in generale all’uso economico degli spazi urbani.La ricerca, fondata su documenti in larghissima parteoriginali, ha riportato alla luce fonti iconografiche emateriali documentari di grande qualità. Questo pre-zioso giacimento é stato rielaborato e contestualizzatoutilizzando cartografia di epoche più recenti e altre

informazioni riconduci-bili all’area e agli edificioggetto del nostro inter-vento. Si è in tal modoconfigurato un progettoesecutivo che ha costi-tuito il piano di lavoroper il modellista. I risul-tati richiedono qualcheprecisazione soprattuttoper quanto attiene allaricostruzione degli edifi-ci e delle loro macchineoperatrici. Né le fontistoriche, e nemmeno leinformazioni ricavatedalla cartografia succes-siva e altro permettonouna completa e esau-riente restituzione degli

interni e soprattutto del capitale fisso industriale; cosìabbiamo riprodotto gli impianti facendo ricorso aidisegni delle macchine riportati nei dizionari tecnicibolognesi del primo Ottocento. Una scelta per cosìdire obbligata che tuttavia non tradisce il nostrointento. Mettere in luce un aspetto nascosto ma al

106

DISTRIBUZIONE DELL’ENERGIA

NEL “CUORE INDUSTRIALE” DELLA

CITTÀ IN ETÀ PRECAPITALISTICA

CARLO DE ANGELIS E ALBERTO GUENZI

Il sistema idraulico nell’area urbana (secoli XVI-XIX).Bologna non è sorta lungo un fiume, è attraversata solo da torren-ti, a regime incostante. Con la costruzione delle chiuse di Reno eSavena e degli omonimi canali la città ha potuto avere acqua inquantità sufficiente per le diverse attività artigianali e industriali eper assicurare, con chiaviche sotterranee e canalette di superficie,lo smaltimento dei liquami e delle acque piovane. Un sistema effi-ciente, già definito fin dalla metà del Duecento quando la città as-sunse la sua forma stabile all’interno della terza cerchia di mura e,poi, via via sempre più perfezionato. (Fonte: A. Guenzi, Acqua eindustria a Bologna in antico regime, Torino, 1993).

107 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

tempo stesso fondamentale della Bologna di anticoregime significa riconsiderare la natura stessa dellacittà correggendo un’immagine stereotipata che larelegava a capitale di una “provincia” agricola delloStato Pontificio. Bologna, dall’età comunale e alme-no per tutto il Settecento, era in realtà una grandecittà industriale di caratura europea; i suoi prodotti ei suoi imprenditori si misuravano sul mercato inter-nazionale con le economie che di lì a poco avrebberoimboccato la via della prima Rivoluzione industria-le1. Vogliamo in particolare mostrare la presenza diun rilevante capitale fisso (privato ma soprattutto

pubblico) incorporato nelle strutture destinate a con-vogliare e distribuire l’energia idraulica essenziale perl’industria locale, negli opifici idraulici e negliimpianti produttivi. Si tratta di una ricostruzioneparziale, che prende in considerazione solo una partedel territorio urbano, utile soprattutto a rivelare lagamma di soluzioni tecniche che consentì alla cittàdi dotarsi del più potente apparato urbano di opifici eruote idrauliche di cui si abbia notizia.

1. La planimetria della distribuzione delle acquenel tratto inferiore di via delle Lame è stata rico-

Pianta di una zona compresa tra strada delle Lame e via Riva di Reno (Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Gabi-netto delle stampe. Cartella Gozzadini 26, n. 13). La planimetria (senza data ma risalente agli ultimi anni del Settecento) non ri-produce in scala e con fedeltà topografica la zona, ma identifica, con una schematizzazione efficace, ogni corso d’acqua presente condiverso grado di utilizzazione. Il perito ha censito un sistema complesso che a partire dalle bocche di presa lungo il canale, sfruttan-do la naturale pendenza del terreno, distribuiva acqua ai vari opifici idraulici (mulini da seta, pile da miglio e da riso, macine da olioe da tabacco); la fonte iconografica vuole mettere in luce il complesso delle derivazioni che potevano alimentare presso la Porta La-me, l’edificio che ospitava la trafila pubblica, una macchina utilizzata dalla Zecca.

108Carlo De Angelis e Alberto Guenzi

Il filatoio alla bolognese dal Novo teatro di machine et edifici diVittorio Zonca (Padova, Bertelli, 1607).Una delle attività più specialistiche che sfruttava la forza motri-ce dell’acqua, a mezzo di ruote idrauliche a cassette, era quelladei mulini da seta (filatoi), lungo la sponda sinistra del canale diReno. La famiglia Rizzardi, una delle più attive nel campo dellaproduzione di filati e tessuti (veli) di seta, e altri imprenditoriavevano concentrato in questo tratto di canale molti filatoi, gra-zie alla particolare configurazione della pendenza del terrenoche consentiva un buon flusso d’acqua alle ruote e un “recupe-ro”, subito a valle, verso le chiaviche.I filatoi davano lavoro a numerosi operai e garzoni, ma ancorapiù consistente era il numero degli addetti nelle altre fasi delprocesso produttivo. Secondo un memoriale del 1587 a Bologna“vivevano del setificio 24.900 persone: 12.000 maestre tessitri-ci, 3.000 tessitori, 4.000 incannatrici, 2.600 addetti alla torci-tura ed altre migliaia di persone impegnate nei servizi e nelleoperazioni di rifinitura”.Il mulino da seta è considerato come la macchina a più elevato svi-luppo tecnologico in età preindustriale, che anticipa di oltre due se-coli l’introduzione del sistema di fabbrica: era una macchina com-plessa che serviva a ritorcere il filo di seta per renderlo resistente edelastico al fine di essere successivamente lavorato sul telaio.Le rappresentazioni tecniche del mulino da seta non possono re-stituire la complessità della macchina. Così nel 1607 ne parlaVittorio Zonca: “Bellissima anzi meravigliosa è la fabbrica delfilatoio ad acqua percioché in essa si vede tanti movimenti diruote, fusi rotelle e altre sorte di legni per traverso, per lo lungoe per diagonale, che l’occhio vi si smarrisce dentro a pensarvicome l’ingegno umano abbia potuto capire tanta varietà di cose,di tanti movimenti contrari mossi da una sola ruota che ha ilmoto inanimato”.

struita su una mappa proveniente dal Gabinettodelle stampe della Biblioteca dell’Archiginnasio2. Ildocumento non ha né autore né data; tuttavia, attra-verso l’analisi dei nominativi dei proprietari degliopifici idraulici, è riconducibile ai primi anniNovanta del secolo XVIII. Il documento non haintestazione né cartiglio che segnalano a quale finesia stato predisposto. D’altra parte considerando glielementi che vengono messi in rilievo possiamoavanzare un’ipotesi verosimilmente credibile: mette-re in luce attraverso quali percorsi le acque derivatedal lato sinistro del canale di Reno nel tratto com-preso tra via San Felice e via Lame raggiungevanopoi Porta Lame. Potremmo anche azzardare che l’in-tento fosse quello di verificare la disponibilità diacqua per l’unico opificio pubblico presente nellazona, la trafila della Zecca bolognese. Pur in presen-za di tali limiti la qualità della fonte ne consiglial’uso al fine di presentare un pezzo rilevante del siste-

ma idraulico della città. In particolare l’immagine(opportunamente rielaborata e per così dire “anima-ta” in mostra da luminescenze colorate) consente dicogliere la complessità della rete micro-idraulica. Apartire dalla base di informazioni fornite dal docu-mento abbiamo elevato la sua espressività introdu-cendo elementi idonei ad identificare le funzioniproduttive fornendo – ove consentito da documen-tazione proveniente da altri fondi archivistici – datisul numero delle ruote idrauliche installate e sulladimensione degli impianti. In questo modo abbiamomesso in rilievo la molteplicità delle forme di sfrut-tamento dell’energia idraulica a fini industriali.

Analizzando in dettaglio la planimetria possiamotentarne una lettura per coglierne gli elementiessenziali. In primo luogo va sottolineato che lapianta ha un orientamento del tutto particolare.Non segue il sistema attuale fondato sui punti cardi-nali e nemmeno quello di numerosissime piante di

109 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

Ricostruzione in scala 1/2 del modello di torcitoio da seta “alla bolognese”. Museo del Patrimonio Industriale di Bologna.

antico regime orientate secondo l’altimetria con lazona elevata in alto. Qui la parte alta è rivolta adovest mentre la pendenza del terreno va da sinistra adestra. Riteniamo comunque utile leggere il docu-mento seguendo il senso del movimento dell’acquasecondo la direzione principale (sinistra/destra) e ladirezione secondaria (dall’alto in basso). In secondoluogo è opportuno distinguere due livelli di osserva-zione: quello superficiale e quello sotterraneo. Come

già sottolineato gli edifici e i condotti riportati nellamappa sono elementi di un comune sistema di distri-buzione che trova nell’area di Porta Lame (con parti-colare riferimento all’edificio della trafila) il suoluogo di raccolta. A livello superficiale osserviamo asinistra il corso del canale di Reno. Sulla spondasinistra ritroviamo segnalati quattro complessi edili-zi: i mulini da seta Zagnoni e Salaroli, il conventodelle Suore dell’Abbadia, e la pila Gibelli. Sulla

sponda destra mulini da seta Giovanardi, Rizzardi eFacci, lavanderia Rizzardi, mulino da seta Vizzani,lavanderia e mulino da seta e altre due lavanderie del-l’Ospedale della Vita e – sorpassata via Lame – un edi-ficio dell’Ospedale di Santa Maria Nuova. Nel trattoinferiore di via Lame a sinistra troviamo il mulino daseta Landini, una tintoria e altri mulini di Marsigli eLeonesi. Sul lato sinistro di via Lame osserviamo iconventi delle Convertite e delle madri Cappuccinecon la Chiesa della Purità e spostati all’interno la pilada miglio Rinaldi con il mulino da seta Monti; sullaparte sinistra della Porta delle Lame si trova l’edificiodella trafila della Zecca di Bologna. Nell’area prativacompresa tra le via Riva di Reno e Lame ritroviamouna pila e una macina da tabacco di proprietà Torto-relli. La presenza delle acque è segnalata con differentitecniche di rappresentazione: i condotti principali sco-perti e coperti (quelli che seguono la via Lame) sonocolorati di blu; i percorsi delle chiaviche sono indicaticon leggeri tratti di colore beige. Come si può agevol-mente rilevare buona parte dei condotti provenienti

dal canale di Reno – si tratta prevalentemente di con-dotti destinati a singoli utenti – vanno ad alimentarealtre utenze. Seguendo la pendenza naturale del terre-no e utilizzando un dislivello consistente per riemerge-re le acque convergono verso Porta Lame per essereimmesse nel fossato antistante le mura della città.

La vocazione produttiva dell’area urbana riportatanella planimetria emerge con evidenza per la presen-za di numerosi opifici idraulici: 11 mulini da seta ealtri 5 opifici adibiti a diverse lavorazioni per com-plessive 55 ruote idrauliche. Occorre sottolineare chel’area in oggetto – così come tutta la zona industrialedella città – sul finire del Settecento viveva una fasedi profonda deindustrializzazione. Nel primi anni delsecolo XVIII erano in attività 27 opifici alimentati da103 ruote idrauliche3.

110Carlo De Angelis e Alberto Guenzi

Appunti di rilievo di Francesco Martinelli delle case e filatoi Riz-zardi (Archivio di Stato di Bologna, Periti Agrimensori. Campionedei beni dell’Abbazia dei Santi Naborre e Felice, 1625. Tomo + Li-bro sesto delle piante originali di Francesco Martinelli).

Intestatario Tipologia Ruote Dimensioneimpianti

1 Zagnoni mulino da seta 6 poste 7722 Salaroli mulino da seta 4 poste 3843 Gibelli pilla da miglio 3 mazzi 64 Giovanardi mulino da seta 6 poste 1.0005 Rizzardi mulino da seta 5 poste 9206 Facci mulino da seta 6 poste 7727 Vizzani mulino da seta 5 poste 3578 Osp. Vita mulino da seta 2 poste 909 Tortorelli pilla da miglio 2 mazzi 5

10 Tortorelli pilla da tabacco 3 pilloni 411 Landini mulino da seta 1 poste 9012 Marsigli mulino da seta 2 poste 21013 Leonesi mulino da seta 5 poste 1.00014 Rinaldi pilla da miglio 1 mazzi 515 Monti mulino da seta 2 poste 92616 Senato trafila di zecca 2

di Bologna

(Fonte: Campione e riparto sopra alle poste di ciascun filatoglio entro incittà che profittano il benefizio dell’acqua di detto canale (1790), Biblio-teca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Ms. Gozzadini 173).

Tab. 1- Opifici idraulici attivi nella zona illustrata dalla plani-metria (Bologna, circa 1790).

111 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

Appunti di rilievo di Francesco Martinelli delle case e filatoi Rizzardi (Archivio di Stato di Bologna, Periti Agrimensori. Campionedei beni dell’Abbazia dei Santi Naborre e Felice, 1625. Tomo + Libro sesto delle piante originali di Francesco Martinelli).

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Case e filatoi Rizzardi. Perito Giuseppe Maria Toschi, 1671 (Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Gabinetto dellestampe. Cartella Gozzadini 39).

113 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

Case e filatoi Rizzardi. Perito Giuseppe Maria Toschi, 1671 (Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Gabinetto dellestampe. Cartella Gozzadini 39).

2. La ricostruzione del plastico di un complesso diunità immobiliari facenti capo a diversi componentidella famiglia Rizzardi vuole restituire l’immagine diun insediamento produttivo ad alta concentrazionedi impianti. Nel primo Seicento sulla sponda sinistradel canale di Reno nel tratto compreso tra via SanFelice e via Lame prende forma un complesso di edi-fici posseduti dalla famiglia Rizzardi come enfiteutidell’Abbazia dei Santi Naborre e Felice. L’insedia-mento, che era alimentato da diverse prese d’acquacollocate sulla sponda sinistra del canale di Reno,comprendeva diverse unità immobiliari tre dellequali erano mulini da seta. Si trattava di opificiidraulici in cui si effettuava la torcitura meccanica

114Carlo De Angelis e Alberto Guenzi

della seta ad opera della macchina che all’epocacostituiva l’espressione del più elevato livello tecno-logico presente nei sistemi produttivi a livello mon-diale. Ma il mulino da seta era una fabbrica del tuttoparticolare a Bologna. Differentemente da quanto siregistrava in altri contesti italiani ed europei i muli-ni dei Rizzardi (e gli altri mulini da seta bolognesi)non presentavano una specifica architettura indu-striale. Si trattava di unità immobiliari che potevanoalternare funzioni produttive e funzioni di abitazionecivile dal momento che le macchine di torcituraerano strutture dalle dimensioni variabili, idonee adadeguarsi alle cubature disponibili, in grado di essererapidamente montate e smontate. Insomma era lamacchina che si adattava allo spazio a disposizione.Non solo: nel corso del tempo il numero e la dimen-sione delle macchine di torcitura potevano variareanche con una certa frequenza. Di qui l’esigenza diavere a disposizione fonti in grado di documentare lostato di fatto in un particolare momento4.

Per questi motivi la ricostruzione del plastico nonpoteva realizzarsi se non in presenza di documenti ingrado di fornire una base di conoscenze e di dati taleda restituire con precisione gli spazi, il loro utilizzo,la dimensione degli impianti produttivi, il numero ela posizione delle ruote idrauliche, il sistema di ali-mentazione e di scarico delle acque attraverso i con-dotti che attraversavano gli edifici.

Il nostro intento – seguendo l’approccio applicatoalla planimetria più sopra illustrata – è quello di darevisibilità alla ricca tipologia di soluzioni collegateallo sfruttamento dell’energia idraulica5.

Con un paziente lavoro di ricomposizione – che hatenuto necessariamente conto delle tecniche costrut-tive dell’epoca – abbiamo ricostruito le volumetrieindividuando in particolare i locali che ospitavanogli impianti produttivi (cantine con le ruote idrauli-che, stanze con le macchine, vasche coperte e scoper-te). Un’ulteriore operazione di incrocio con le fontici ha permesso di ricostruire i dislivelli utilizzati siaper la derivazione dell’acqua dal canale, sia per il suc-cessivo scarico delle acque nei condotti di scolo. Ladeterminazione della dimensione degli impianti pro-duttivi deriva da una fonte fiscale cronologicamenteposteriore al rilievo del perito Martinelli6.

Filatoio Rizzardi dal Campione dei beni dell’Abbazia dei SantiNaborre e Felice, 1625 (Archivio di Stato di Bologna, Dema-niale 75/6764).

Restituzione in scala degli appunti di rilievo di Francesco Martinelli e individuazione dei filatoi. Con un attento incrocio tra fonti diffe-renti per tipologia e per epoca (mappe, rilievi, relazioni peritali, contratti di locazione, censimenti a fini fiscali ed altro), si sono potute ri-costruire le planimetrie delle case Rizzardi poste in serie lungo il canale di Reno: una porzione di città che oggi non esiste più. La compa-razione dei dati e l’utilizzo di carte topografiche storiche quali la mappa catastale del 1831-33, come base misurata attendibile, ha portatoa fissare le dimensioni, in pianta, degli edifici, secondo gli appunti del perito Martinelli, tutti corredati di misure in piedi bolognesi e fra-zioni. Trasferendo le misure in piedi bolognesi (1 piede bolognese corrisponde a cm 38,0098) in metri si è verificata la rispondenza, al-l’interno della trama dei confini riportata nella mappa catastale, delle dimensioni dei vari ambienti, sia nelle case che nei filatoi rilevati dalperito. Le volumetrie sono il risultato di una successiva elaborazione e messa a punto delle informazioni desumibili dagli appunti di Mar-tinelli, integrate da quelle riportate nei disegni più tardi del perito Toschi, alla luce delle conoscenze delle tecniche dei metodi e dei para-metri costruttivi del tempo. Lungo il canale erano poste, a poca distanza dal fondo (da pochi centimetri a una ventina), le prese d’acquache alimentavano le chiaviche; questi condotti sotterranei attraversavano le cantine per raggiungere le ruote idrauliche poste alla base deifilatoi o di altre macchine. La pendenza minima dei condotti consentiva di far uscire le acque utilizzate allo scoperto nel terreno a lentodeclivio, alla fine dei lotti.

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BATTOCCHIOCOPERTO

BATTOCCHIO

ORTO

CANALE RENO

ORTO

ORTO

3. Abbiamo scelto di ricostruire il plastico dellapila da miglio perché riteniamo opportuno segnalarela presenza di altre tipologie di opifici idraulici al dilà della presenza dominante dei mulini da seta. Unascelta per così dire imposta anche dalla cronologiadei materiali utilizzati per l’esposizione. A parte ilcomplesso degli edifici Rizzardi, le altre fonti sonoriconducibili al secondo Settecento; si tratta di unafase in cui il setificio iniziava un declino che di lì apoco si sarebbe trasformato in crollo. A fronte dinumerosi filatoi che chiudevano la loro attività apartire dai primi decenni del secolo XVIII, si molti-plicano gli opifici destinati alla lavorazione di pro-dotti agricoli. La possibilità di ricostruire la pila damiglio deriva dalla disponibilità di due preziosi docu-menti iconografici redatti dall’architetto Gian Gia-como Dotti. Si tratta di un disegno acquerellato cheriproduce il complesso intreccio di condotte idrauli-che situato nella parte inferiore di via delle Lame inprossimità dell’omonima porta, e di una pianta diqualche anno posteriore dell’edificio della pila damiglio. Le informazioni riportate nei documenti tut-tavia non potevano costituire una base solida per laricostruzione del plastico; era necessario acquisirenotizie dettagliate sull’articolazione degli spazi inter-ni e sulla dotazione di capitale fisso della strutturaproduttiva. Abbiamo pertanto cercato di ricostruirele vicende dell’immobile nella speranza di trovarealtra documentazione idonea a rispondere alle esi-genze qui sopra richiamate. In particolare volevamoverificare se, in occasione del trasferimento di pro-prietà dell’immobile, fossero state prodotte descrizio-ni dettagliate in grado di rispondere alle nostredomande. Dovevamo pertanto verificare se e quando

erano avvenuti passaggi di proprietà per un edificioche le fonti già ricordate definivano di proprietàpubblica utilizzato nell’interesse della Assunteria diZecca. La natura pubblica del bene spiega l’interven-to del Dotti “pubblico architetto” che si occupa del-l’immobile perché l’acqua che riceve sarà quella chesuccessivamente andrà ad alimentare la trafila dellaZecca pubblica7. L’indagine sulle fonti notarili hadato buoni frutti; abbiamo ricostruito la storia del-

116Carlo De Angelis e Alberto Guenzi

FILATOIO FILATOIO

RUOTE

FILATOIO FILATOIO

RUOTE CANALETTA PRESA CANALE RENO

Sezione schematica di studio di una casa e filatoio dal canale alla ruota.

Filatoi Circonferenza Altezza Capacità Capacità in bacchetti in valichi produttiva produttiva

(a) (b) in bacchetti in rocchetti

1 24 6 144 8642 24 6 144 8643 30 6 180 1.0804 30 6 180 1.0805 22 6 132 7926 24 6 144 8647 24 6 144 8648 24 6 144 8649 18 6 108 64810 18 7 126 75611 24 6 144 86412 24 6 144 864

a) Bacchetto: modulo operativo composta da sei rocchetti.b) Valico: sezione circolare composta da un numero variabile di bacchetti.

(Fonte: Nota e descrizione di tutti li filatoi che sono dentro di questa città1697. Archivio di Stato di Bologna, Ornato, Chiaviche del canale diReno e filatoglieri).

Tab. 2 Dimensioni produttive dei mulini da seta nel plastico“Rizzardi”.

l’immobile a partire dai primi anni del Settecento eci siamo imbattuti in una descrizione peritale digrande interesse.

La pila da miglio fu acquistata nel 1708 da Gio-vanni Marcigoni così come si evince dall’inventariodell’eredità compilato nel 17368. Gli eredi Giuseppee Giacomo Cuppini nel marzo del 1744 vendono l’e-dificio (che è affittato a Girolamo Poggi) a PaoloMagagnoli. All’atto è allegata la descrizione dell’im-

mobile predisposta dal pubblico perito AlessandroContoli. Si tratta di una perizia dettagliata chedescrive in forma particolareggiata gli ambienti e illoro utilizzo, il sistema di alimentazione, di uso e discarico delle acque, la tipologia e le dimensioni dellemacchine operatrici. Sulla base di questo documentoabbiamo integrato le notizie disponibili acquisendole informazioni necessarie per procedere alla rico-struzione tridimensionale dell’opificio9. Nell’aprile1750 Bernardino Giovanardi acquista da DomenicoMagagnoli lo stabile per circa 7.000 lire. In realtà ilGiovanardi rappresenta le assunterie di Zecca e diSollievo delle arti. La prima è interessata a trovareuna soluzione stabile al sistema di approvvigiona-mento della “trafila” situata a Porta Lame. La secon-da intende acquisire la porzione di terreno retrostan-te l’edificio per collocarvi la cosiddetta “fabbrica deicaldierini alla Piemontese”. Un’iniziativa neomer-cantilista che mira ad introdurre nel setificio bolo-gnese un nuovo metodo di trattura dei bozzoli diseta; tale iniziativa sarà appunto affidata al Giova-nardi banchiere e imprenditore che si affermerànegli anni successivi come promotore e dirigente delcartello industriale dei mercanti da seta10.

Dall’atto si apprende che la pila godeva di due ser-vitù presso il vicino mulino da seta di proprietàBaratta: nel portico su via Lame esisteva una ribaltache consentiva l’accesso alla chiavica11 per regolarneil flusso, nel filatoio si trovava un’altra apertura simi-le il cui accesso era protetto da una porta con serra-tura (il conduttore della pila aveva una copia dellechiavi così come il conduttore del mulino da seta).

Il team del diritto all’acqua riguarda ancora l’edi-ficio adiacente la pila: il mulino da seta Bonaccorsi

117 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

Attività 1653 1693 1723 1747 1785 1790 1797

Cartiera 3 7 9 5 8 10 11Pila da miglio 1 5 5 4 6 6 6Macina da galla 1 5 7 6 3 5 5Pistrino 2 2 1 3 1 7 6Arrotatrice 4 2 2 1 2 2 2Pila da droghe 1 1 1 1Macina da olio 1 1 2 1 2 3Gualchiera 2 3 1 2 3 7Mangano 2 1 1 2Macina da tabacco 2 1 1 1 1 4Trafila 1 1 1 1 1 1Mulino da rizza 3 8Pila da riso 1 14Macina da grani 2Macina da terra 1Totale 13 29 32 23 25 43 73

(Fonte: A. Guenzi, Acqua e industria a Bologna in antico regime,Torino, 1993).

Tab. 3. Tipologia delle attività degli opifici idraulici – ad ecce-zione dei mulini da seta – alimentati dal canale di Reno nellacittà di Bologna (secoli XVII-XVIII).

Prospetto delle case e filatoi Rizzardi.

118Carlo De Angelis e Alberto Guenzi

Plastico dei filatoi Rizzardi.

ora di proprietà della vedova Pellegrina Ospitali.Poiché la pila utilizzava una chiavica che rifornivaquesto filatoio era indispensabile impedire per con-tratto ogni e qualunque intervento destinato adaumentare la potenza del mulino da seta in quantoavrebbe automaticamente determinato una riduzio-ne della disponibilità di energia idraulica per lapila12. Nel 1751 gli assunti di Zecca e Sollievo dellearti affittano l’immobile a Giovanni Lorenzo figlio diDomenico Maria Magagnoli. L’immobile risultacomposto dalla parte destinata ad abitazione delconduttore (tre stanze, una sala, cucina, cantina,pozzo e lavatoio) e dagli ambienti riservati all’atti-vità produttiva secondo la struttura già rilevata nel1744. L’affitto della durata di anni 20 inizierà il gior-no 8 maggio 1752 e è concesso al canone annuo dilire 250. Per quanto riguarda la manutenzione dell’e-dificio il locatore sottoscrive le seguenti condizioni:

a) mantenere tutte le dentature delle ruote comepure la soveratura ossia sugheri della macina; b)risarcire ogni danno alla struttura e provvedere allespesa di manutenzione ordinaria come opera dimuratore per i condotti idraulici e i muri e opere difalegname per le macchine e ruote garantendocomunque l’assoluta pulizia dei condotti per l’acqua;c) potrà ottenere qualche risarcimento in caso diinterruzione nel rifornimento dell’acqua se questonon avverrà per scarsezza generale o per causa dellasecca annuale del canale13.

A questo punto possiamo interpretare con mag-giore consapevolezza la perizia Dotti del 1755. Ilperito che propone di costruire un piccolo condottoin grado di aumentare la disponibilità d’acqua per lapila. Si tratta di sfruttare gli scoli del mulino da setaBeccadelli che si trova sulle sponde del canale diReno: il condotto attuale raccoglie l’acqua derivata

119 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

Disegni ricostruttivi della pila da miglio posta a Porta Lame.Nella via degli Apostoli (o Cul di Ragno, traduzione giocosa del dialettale “Co’ d’Ragn” “via dietro Reno”), accanto ad un filatoio,sfruttando la stessa condotta idraulica, si trovava una pila da miglio (o macchina per “infranger grani”). La chiavica che alimentava l’o-pificio raccoglieva, attraverso un complesso sistema articolato su diversi livelli, acque che già erano state utilizzate nella zona a monte.A sua volta la chiavica della pila da miglio riforniva gli impianti della trafila della Zecca di Bologna, posti subito a valle.

CAMERONE

CAMERA

CAMERA

CAMERINA

CAMERA

CAMERACON

CAMINO E POZZOLATRINA

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GIA

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PORTICO

PRATO DE’ CALDERINI

POZZO

VIA PUBBLICA PIANO TERRA

BALATRONE

PILA DAMIGLIO

RUOTA

PICCOLOBALATRONE

BALATRONE

PARATIA

SECONDO INTERRATO

PRIMO INTERRATO

CAMERONECON DUEMACINE

CANTINA(TINAZZARACON POZZO)

CANTINA

CORRIDOIO

CANTINA

CANTINA

PROSPETTO SU VIA DEGLI APOSTOLI (CUL DI RAGNO)

PROSPETTO INTERNO SUL PRATO DE’ CALDERINI

PRATODE’ CALDERINI

VIA

SEZIONE

da due chiaviche delle stesso Beccadelli. Le deriva-zioni, concesse in origine con diametro rispettiva-mente di 3 e 4 once sono al momento ridotte ciascu-na al diametro di once 1 e pertanto esistono marginisignificativi per accrescerne la portata. Il Dottisostiene che la soluzione proposta è la meno dispen-diosa e insieme l’unica che non pregiudica l’intricatae complessa ragnatela di condotti che si ritrova intor-no a Porta Lame dove si trovano tre mulini da seta eun opificio idraulico di proprietà della Zecca di Bolo-gna. La pianta allegata mette bene in luce lo stato difatto e la soluzione proposta; la planimetria delinea ilnuovo condotto in grado di avviare le acque verso laribalta contenente la derivazione sotto il porticodella Compagnia della Purità14. Come abbiamo sot-tolineato aumentare la disponibilità di energia per lapila significava ottenere un analogo risultato per l’e-dificio della trafila che la riceveva per scolo. Così

negli anni successivi (1762 e 1763) altre visite delDotti certificano il buono stato delle condotte. Allarelazione del 1763 è allegata una memoria del peritotecnico Rocco Mazza sullo stato delle macchine15.Così nel 1764 ritroviamo il documento che per cosìdire ha ispirato la scelta di ricostruire questo edificio.Il Dotti disegna il prospetto e la sezione dell’immobi-le e la pianta del terreno di pertinenza16. Per quantoriguarda gli aspetti tecnici inerenti la ricostruzionedelle macchine operatrici, di cui conosciamo tipolo-gia e dimensioni, ci siamo avvalsi delle opere delNegri e dello Zambonini17.

4. Concludiamo questo contributo con una consi-derazione di carattere più generale. Questa sezionedell’esposizione non costituisce il tentativo isolatodi ricostruire un pezzo significativo del sistema idrau-lico urbano della città. Piuttosto rappresenta un

120Carlo De Angelis e Alberto Guenzi

Macchina da pila da miglio dal Manuale pratico per la stima delle case e degli opifici idraulici di P. Negri (Firenze, 1836).La pila da miglio, oltre alle macine, disponeva di una serie di magli verticali (le “pile” dotate di punte metalliche a scaglie) azionatialternativamente da un “albero a camme”, mosso con ingranaggi dalla ruota idraulica.

121 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

ulteriore elemento della lunga opera di ricostruzionedella struttura e del funzionamento di un apparatoproduttivo tra i più potenti e tecnologicamenteavanzati d’Europa in età precapitalistica. Un’operache ha mobilitato l’impegno di singoli studiosi e diistituzioni culturali e museali, che si è tradotta inmonografie, saggi, convegni di studio ma anchemodelli di macchine, plastici, esposizioni, materialimultimediali. La parte prevalente delle conoscenzeacquisite ha acquisito visibilità presso il Museo delPatrimonio Industriale dove si trova il grandemodello del mulino da seta, il “teatro delle acque”, iplastici dell’opificio Pedini e della conca di naviga-zione, e ancora numerosi materiali audiovisivi18. Lamostra organizzata dall’IBC rappresenta un ulterioree decisivo contributo che allarga la prospettiva diindagine a nuovi temi senza trascurare – è il casodella nostra sezione – di apportare significativi arric-chimenti su terreni di indagine già parzialmenteesplorati. Formuliamo l’auspicio che quanto realizza-to con questa esposizione possa in futuro trovare unacollocazione stabile in quanto rappresenta una partedell’identità del sistema economico e sociale diBologna nel corso di sette secoli.

Prospetto e sezione di Gian Giacomo Dotti allegata alla periziadel 1764. (Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna,Gabinetto delle stampe, Cartella Gozzadini 23).

Schizzo prospettico dell’edificio della pila con individuazionedei livelli.La situazione dei luoghi è stata desunta dalla base cartografica ca-tastale del 1831-33 e successive redazioni. Anche in questo casol’insieme degli edifici descritti nelle perizie non esiste più. Al loroposto sorgono alti palazzi e i prati dei Calderini sono ora annullatida strade e dalle costruzioni dell’ex macello. Resta solo superstiteun tratto di via Apostoli dove confina tuttora una parte, molto tra-sformata, del complesso conventuale delle monache cappuccinediS. Maria della Natività. Le dettagliatissime perizie del 1743 del pe-rito Alessandro Contoli e quella del 1762, di Gian Giacomo Dot-ti, hanno consentito di ricostruire con attendibilità la successionedei locali e la dotazione dei macchinari presenti nell’opificio. Sin-golare è risultata la situazione di intreccio tra le due proprietà chesi dividevano gli edifici in verticale: la pila da miglio si insinuava aldisotto del vicino filatoio per raggiungere la chiavica di alimenta-zione della ruota idraulica, mentre il filatoio sovrastava i locali apianterreno della pila da miglio. Tutta la lavorazione della pila damiglio avveniva in angusti sotterranei: al piano terra vi erano soloil magazzino e parte dell’abitazione del proprietario. Lo scoscesoprato dei Calderini confinava con la strada interna alle mura ed erasolcato dalla chiavica uscente dagli opifici.

1 A. Guenzi, Reconstruccion hi-storica de un sistema industrial: laciudad de Bolonia en la Edad Mo-derna, in L.A. Ribot Garcia e L.De Rosa (a cura di), Ciudad ymundo urbano en la Epoca Moder-na, Madrid, 1997.

2 Pianta di una zona compresatra strada delle Lame e via RivaReno (secolo XVIII), in BibliotecaComunale dell’Archiginnasio diBologna, Gabinetto delle stampe,Cartella Gozzadini 26, n. 13.

3 Per una ricostruzione diacro-nica della struttura degli im-pianti produttivi e delle condot-te idrauliche cfr. A. Guenzi, Ac-qua e industria a Bologna in anticoregime, Torino, 1993.

4 Sul mulino da seta a Bologna siveda C. Poni, Espansione e declinodi una grande industria: le filature diseta a Bologna tra XVII e XVIII se-colo, in Problemi d’acque a Bolognain età moderna, Bologna, 1983; Id.,Scenari e fuori scena di un teatro dimacchine, introduzione al volumedi V. Zonca, Novo teatro di machineet edificii (1607), Cremona, 1985;R. Curti, Il mulino da seta in mostra,in Il luogo del lavoro (XVII Trienna-le di Milano, Milano, 1986, pp.58-60; F. Crippa, Il torcitoio circola-re da seta: evoluzione, macchine su-perstiti, restauri, in «Quaderni sto-rici», 73 (1990), pp. 170-212.

5 La rielaborazione si è soprattut-to fondata su perizie e stime di beni

Disegni ricostruttivi e progetto dei plastici: Carlo De Angelis. Realizzazionedei plastici: Francesco Bortolotti. Studio SegnoDisegno Bologna.

122Carlo De Angelis e Alberto Guenzi

Plastico della pila da miglio. Particolare.

Apostoli (1751). Archivio diStato di Bologna, Arti, Miscel-lanea, vol. XV.

14 Perizia e pianta dell’architettoGiacomo Dotti sopra il modo dicondurre l’acqua che serve al filato-glio Beccadelli dietro Reno alla pilladel miglio situata alla porta delle La-me (12 marzo 1755), Archivio diStato di Bologna, Arti, Miscella-nea, vol. XVI.

15 Visita di Giacomo Dotti per or-dine dell’Assunteria d’arti al con-dotto e corso dell’acqua inservienteal pillamiglio posto nella via degliApostoli (22 dicembre 1762); De-scrizione e stima di Giacomo Dottiarchitetto d’uno stabile ad uso di pi-lamiglio con abitazione annessa po-sto in Cul di Ragno, di ragione del-l’Assunteria d’Arti, e stima di Roc-co Mazza del mulino et altro edifitioda infranger grani in detto stabile edella detta ragione (23 febbraio1763), Archivio di Stato di Bolo-gna, Arti, Misc., vol. XIX.

16 Dotti G.G., Pianta dimostrativail confine stabilitosi fra l’Assunteriasopra le arti per la vendita fatta alMarchese Marco Antonio Ercolani diun edifizio ad uso di pillamiglio postonella strada detta Cul di Ragno(1764), Biblioteca Comunale del-l’Archiginnasio di Bologna, Gabi-netto delle Stampe, Cartella Goz-zadini 23.

17 A. Zambonini, Raccolta deidisegni rappresentanti le principalimacchine in ogni ramo d’industrianella Provincia di Bologna, Bolo-gna, 1829; P. Negri, Manuale pra-tico per la stima delle case e degliopifici idraulici, Firenze, 1836.

18 Per la ricostruzione del mo-dello di organizzazione della pro-duzione industriale bolognese de-rivato dal sistema delle acque cfr.A. Campigotto, R. Curti, M.Grandi, A. Guenzi (a cura di),Prodotto a Bologna. Un’identità in-dustriale con cinque secoli di storia,Bologna, 2000.

immobili dell’istituzione proprieta-ria dell’area. Archivio di Stato diBologna, Periti agrimensori, 23.Campione delli beni dell’Abbazia deiSanti Naborre e Felice (1625). To-mo + Libro sesto delle piante origi-nali di Francesco Martinelli; Ar-chivio di Stato di Bologna, Dema-niale, 75/6764. Beni dell’Abbazia diSanti Naborre e Felice 1625; Biblio-teca Comunale dell’Archiginnasiodi Bologna, Beni dell’Abbazia diSanti Naborre e Felice 1671, Gabi-netto delle Stampe, Cartella Goz-zadini 39.

6 Nota e descrizione di tutti li fila-toi che sono dentro di questa città1697. Archivio di Stato di Bolo-gna, Ornato, Chiaviche del canaledi Reno e filatoglieri.

7 Sulle macchine e in generalesulla Zecca di Bologna si veda G.Giannantonj, Uomini, macchine emonete della Zecca di Bologna inantico regime, Bologna, 1996.

8 Inventarium hereditatis Joannis

Marcigoni (4/2/1736). Archiviodi Stato di Bologna, Notarile,Giulio Antonio Canali.

9 Emptio Pauli Magagnoli ab he-redibus fiduciariis olim JoannisMarcigoni (26/03/1744). Archi-vio di Stato di Bologna, Notarile,Capelli Giulio Antonio Maria.

10 Sulla figura di BernardinoGiovanardi cfr. A. Guenzi, Uncartello industriale a Bologna nel se-condo Settecento: la Società deimercanti da velo, in «Quadernistorici», 96 (1997).

11 Con il termine “chiavica” siintende sia condotto sia canaletta.

12 Emptio Bernardini Giovanardia Domenico Magagnoli (14 aprile1750). Archivio di Stato di Bolo-gna, Copie degli atti, vol. 494, cc.43 ss. (notaio Filippo Donducci).

13 Scrittura privata e locazionedell’Assunteria di Arti e Zecca aGiovanni Lorenzo Magagnoli diuno stabile ed edifizi ad uso di pila-miglio posto nella via detta degli

123 Distribuzione dell’energia nel “cuore industriale” della città in età precapitalistica

Progetto di miglioramento idraulico per alimentare la pila da miglio.Lo schema planimetrico rappresenta la situazione delle chiaviche e delle canalette in prossimità di Porta Lame: disegno allegato allaperizia di Gian Giacomo Dotti del 12 marzo 1755 (Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Gabinetto delle stampe,Cartella Gozzadini 23).La canaletta dietro al Monastero delle monache Cappuccine, dopo aver percorso in superficie la via degli Apostoli, lungo il muro delconvento, scorreva sotto al portico della Compagnia della Purità: con una deviazione, raggiungibile da una ribalta, alimentava primail filatoio dei Baratta e poi la pila da miglio. Oltre la deviazione, la canaletta proseguiva in linea retta verso la trafila della Zecca po-sta a fianco della Porta Lame, unendosi al ramo estremo della canaletta di vicinanza che scorreva a tergo delle case a sinistra dellastrada delle Lame, poi si scaricava nel fossato esterno delle mura. Il “chiavicotto maestro” posto sotto la strada delle Lame alimen-tava i due filatoi all’interno delle ultime due case, vicine alla Porta Lame, indi riceveva le acque dello scolo della pila e, dopo aver at-traversato le mura e scavalcato il fossato, raggiungeva il canale Navile alla Bova. Il progetto tende a risolvere la carenza di portatad’acqua per il filatoio dei Baratta e per la pila da miglio: è prevista la costruzione di un tratto di un condotto “nuovo da farsi” per in-tercettare l’acqua della canaletta di vicinanza sotto la strada delle Lame. Il nuovo condotto raggiunge la canaletta di alimentazionedel filatoio dei Baratta e della pila da miglio in corrispondenza della deviazione sotto al portico della Compagnia della Purità, ad unlivello più alto del chiavicotto maestro, con un tratto in apparente contropendenza rispetto al declivio della strada.

1. L’organizzazione idraulica è da sempre alla basedella vita economica della pianura padana. Prima ditutto dell’agricoltura. Ma anche dell’industria e delcommercio. Il legame con l’acqua si costituisce giànell’XI e XII secolo. E attraversa come un asse portan-te secoli di storia, caratterizzati da fasi alterne di svi-luppo, di declino, di adattamenti, di crescita, di crisi.

Queste affermazioni generali potrebbero esseredimostrate solo da un’analisi storica di lungo periodo.Un compito che non può trovare posto in questa sede.Scegliamo quindi un’altra via espositiva. Quella dimettere a fuoco i problemi idraulici che proprietariterrieri e mezzadri della campagna bolognese dovette-ro affrontare per coltivare con vantaggio le loro terre,per conservare ed esaltare la fertilità dei suoli. E tenia-mo pure presente che questi problemi sono comuni atutte le campagne poste alla destra del fiume Po, dovei terreni, formati dai detriti alluvionali depositati daifiumi appenninici, sono fortemente argillosi. Argillosie quindi impermeabili. Una caratteristica comuneanche ad aree del Veneto e del Friuli.

Nei terreni argillosi l’acqua piovana tende a stagna-re. Bisogna quindi incanalarla e portarla fuori dalleterre coltivate e seminate per difenderle dal pericolodi essere “uccise dalle acque”. Secondo l’efficaceimmagine di un agronomo bolognese. Ovviamente si

trattava delle acque in sopra più, di quelle stagnantiche abbassavano o annientavano la fertilità dei suoli.

Ma come avveniva questa difesa? Intanto arandoprevalentemente a colmare invece che a scolmare,cercando di dare ai campi (lunghi 120-140 metri e lar-ghi 30-40) quella forma arcuata (baulata o a schienad’asino) che avrebbe facilitato il deflusso delle acqueverso i due fossi permanenti laterali scavati con lavanga o con il badile. E poi seminando a porche (ridgeand furrow) con l’aratro, in modo che almeno le pian-te poste sui ridges potessero salvarsi dalle acque (even-tualmente stagnanti). Sempre per facilitare lo scolodelle acque invernali e primaverili, i contadini scava-vano nei campi (dopo le semine) fossi trasversali –detti anche solchi acquai – più piccoli e meno profon-di di quelli laterali. In generale i fossi trasversali eranocinque o sei per campo. Un lavoro che si faceva con lavanga. E sempre con la vanga si costruivano nei campimigliori – dove la canapa era in rotazione continuacol grano – una baulatura spiovente sui quattro lati(detta padiglione).

Qui occorre fare altre precisazioni distinguendo lesistemazioni permanenti da quelle provvisorie. Prov-visori erano i solchi trasversali (acquai) e le porche,che dovevano essere rifatti ogni anno (almeno neicampi seminati in rotazione continua a grano e a

124

L’IDRAULICA PODERALE,L’AVANZATA DELLE PALUDI, L’USO

DELLE RISORSE PALUSTRI

CARLO PONI

canapa). Permanenti erano invece la forma baulatadel campo e i fossi laterali. Ma essi richiedevano unamanutenzione continua. I fossi laterali dovevano esse-re riscavati con la vanga ogni anno, perché si riempi-vano di terra e foglie che le acque scolanti portavanofuori dai campi. Nel XIX secolo in alternativa allavanga si usava uno strumento tirato da due buoi dettoscavafossi. La baulatura (a schiena d’asino o a padi-glione) doveva essere controllata e ricostruita di tantoin tanto perché l’impiego intenso dell’aratro tendevaa deformarla in due modi. Primo modo: la prevalenzadell’aratura a colmare rispetto a quella a scolmare ten-deva ad alzare eccessivamente in senso longitudinaleil centro del campo che finiva per assumere la forma“a basto rovescio”. Un ostacolo al deflusso delle acqueverso i fossi laterali. La seconda deformazione eradovuta alla terra che l’aratro depositava girando sulledue estremità del campo con il risultato di sopraeleva-re le testate sul livello del campo. Questo fenomeno èben noto agli studiosi di agricoltura. In Germaniaqueste sopraelevazioni – fino a un metro e più di altez-za – si chiamano Ackerberg, in Francia crêtes de labour,in Gran Bretagna headland.

Nell’area bolognese, ma in realtà in tutta la pianu-ra padana, questi sopralzi sono stati sistematicamentesbancati e distrutti perché davano al campo una formaa scodella che ostacolava il deflusso delle acque.Secondo gli agronomi ferraresi e bolognesi le caveda-gne – così si chiamano le strisce su cui gira l’aratro(che servono anche come strade poderali) – dovevanoessere più basse del campo (di 20 o 25 centimetri) inmodo da richiamare le acque in sovrappiù, ma dove-vano essere più alte del fondo di tutti i fossi perma-nenti e provvisori per non essere invase dalle acque.Le cavedagne poste tra due campi erano di regola piùlarghe (cavedagne doppie) ed erano divise in due parti(in senso longitudinale) da un fosso raccoglitore delleacque dei campi frontisti.

Lo sbanco delle cavedagne e le colmature (a schie-na d’asino o a padiglione) non si facevano solo con lavanga o con il badile, ma anche e soprattutto con lecarriole, con carretti a due ruote e con uno strumentochiamato raspa, trainato – come il carretto – da uno opiù buoi. Bisognava infatti spostare ogni tre-quattroanni centinaia di metri cubi di terra. Una dura fatica

pari a circa il dieci per cento di tutto il lavoro che imezzadri eseguivano nei campi. Una spesa e un impe-gno lavorativo che non esisteva o era di gran lungainferiore nelle grandi pianure “silicee” dell’Europacentrale e orientale.

Vorrei a questo punto aggiungere che parallela-mente ai fossi laterali si piantavano alberi in filare(posti a circa quattro metri di distanza l’uno dall’al-tro) e che questi alberi erano sposati alla vite. Un’an-tica tecnica produttiva già descritta dagli agronomilatini con il nome di arbustum gallicum. I campi bolo-gnesi non producevano sufficiente foraggio per l’alle-vamento del bestiame, che era poco numeroso edessenzialmente da tiro. In compenso questi campiproducevano legname (da riscaldamento e da costru-zione) e vino. Talvolta in questi filari si trovavano

125 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

Carlo Berti Pichat, Istituzioni di agricoltura, vol. 3, Torino, 1851,p. 994. Proiezione di un campo a quattro acque caratteristico deicanapai bolognesi.

126Carlo Poni

Tabella passiva del Reggimento e Camera di Bologna. Relazionedel perito Giuseppe Cantoni sopra il Terratico, Bologna, 1787.

gelsi le cui foglie servivano all’allevamento del bacoda seta. Un prodotto mercantile di fondamentaleimportanza nell’economia della famiglia mezzadrile.Verso la metà del secolo XIX, nei campi più argillosie di difficile scolo, i filari di alberi vennero separatidai campi da un secondo fosso. Si formò così una stri-scia di terra larga circa quattro metri detta cavalletto,di norma non arata.

Da quanto detto sembra evidente che la natura deicampi bolognesi – ma questo vale anche per i campidella pianura padana – non può essere ricondotta alrapporto fra lunghezza e larghezza, secondo la propo-sta di Marc Bloch. Il campo, caratterizzato da bassirilievi, è evidentemente una struttura idraulica artifi-ciale, la cellula microidraulica poderale. E deve esse-re compreso all’interno di un complesso sistema con-cettuale in cui l’acqua e l’argilla giocano un ruolo difondamentale importanza.

Ci si potrebbe chiedere se i mezzadri scavavanoeffettivamente tutti i fossi poderali, così come stabili-vano i contratti mezzadrili. La risposta non è univoca.Essi scavavano volentieri i fossi che esaurivano la loroproduttività nel giro di uno-due anni. Ma erano restiia scavare quei fossi più profondi e più larghi cheincorporavano durevolmente per sei o sette anni laloro capacità produttiva. Siccome i contratti di mez-zadria duravano generalmente tre anni, i contadinierano ragionevolmente contrari a compiere sforzi pro-duttivi da cui non avrebbero tratto alcun vantaggio infuturo. Secondo un attento agronomo bolognese, imezzadri scavavano i fossi solo fin dove arrivava l’oc-chio del padrone. Scriveva Vincenzo Tanara nel 1644:

Nel fare i fossi cava il contadino solo quella parte che èvicina alle vie [= le cavedagne] per dove passa il padro-ne presupponendo che si creda che tutto il resto delfosso stia nel medesimo modo.Questo significa che la realtà era diversa dai model-

li che figurano nei disegni qui presentati. Il paesaggioagrario era anche il risultato del comportamentoopportunistico dei contadini che cercavano di sottrar-si con la “malizia” a certi lavori. Dappertutto c’eranofossi non cavati, cavedagne alte, campi non perfetta-mente baulati… eventi ribelli al codice strutturale… Igiuristi bolognesi avevano elaborato fin dal secoloXIV appropriati strumenti concettuali per dividereequamente gli oneri e i frutti tra proprietari e contadi-ni. A questi ultimi dovevano spettare le spese e i lavo-ri ordinari; ai primi quelli straordinari. Ma che cosaera ordinario e cosa straordinario in rapporto allamanutenzione dei fossi? Su queste norme che, apren-do spazi negoziali, erano favorevoli ai contadini, pre-valsero in ultima istanza le consuetudini locali piùspesso favorevoli ai proprietari terrieri.

Tutte le acque di ogni singolo podere – mi riferiscoalle acque in sovrappiù e dannose alla vegetazione –venivano convogliate in uno o più condotti più gran-di che a loro volta sfociavano in canali più profondi elarghi che raccoglievano le acque scolanti di una par-rocchia o di più parrocchie e comunità. Insomma lamicroidraulica poderale era congiunta alla macroi-draulica del territorio. Ma una volta condotte fuoridai campi e raccolte in più larghi canali, dove veniva-no dirette le acque? La risposta intuitiva suggerirebbe

verso i fiumi vicini. Ed era così. Ma l’obiettivo nonera a portata di mano. Nei terreni argillosi della pia-nura padana meridionale i fiumi non erano in grado discavare l’alveo. Scorrevano tra argini che diventava-no sempre più alti, a mano a mano che i detriti porta-ti dalle acque alzavano il livello dei fiumi. Già nelsecolo XVII i fiumi scorrevano sopra il livello dellapianura. Nel 1692 l’ingegnere idraulico DomenicoGuglielmini osservava che nel Bolognese esistevanodue sistemi idraulici: quello delle acque torbide (deifiumi appenninici) che scorrevano su alvei pensili equello delle acque chiare (piovane) che scorrevano incanali artificiali scavati a forza di braccia.

Sembrerebbe quindi che mancassero le condizioniper immettere le acque chiare nell’alveo delle acquetorbide. Queste condizioni si creavano tuttavia dopoche le acque torbide – arrivate in pianura e perduta lavelocità iniziale – avevano depositato sul letto delfiume la più gran parte dei loro detriti. Solo allora, aincominciare dal punto dove il letto del fiume si eraadeguatamente abbassato, era possibile immettervi leacque chiare. Questo punto non era definito unavolta per tutte. E doveva essere spostato a valle quan-do il letto riprendeva ad alzarsi (anche come effettodei disboscamenti collinari e montani). In caso dipiena del fiume l’immissione delle acque chiare

Carlo Berti Pichat, Istituzioni di agricoltura, vol. 3, cit., p. 685. Campi baulati divisi dal cavalletto dove si trova la piantata. Le vitisono disposte a dondolo, secondo la testimonianza di M.me de Staël, durante il suo Voyage en Italie, 1810.

Carlo Berti Pichat, Istituzioni di agricoltura, vol. 3, cit., p. 996. Sezione di un campo baulato (“alto nel mezzo”). L’ondulamentodi superficie rappresenta l’aratura a porche.

127 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

diventava difficile. Talvolta impossibile. Ma potevaaccadere anche che le acque impetuose del fiumeripercorressero a ritroso il sistema delle acque chiareinvadendo campi e seminati. Per evitare queste per-verse intrusioni si ricorse alla costruzione di porte vin-ciane che si chiudevano automaticamente quando leacque dei fiumi in piena cominciavano a sospingere aritroso le acque chiare.

Oltre che dalle acque torbide e da quelle chiare, lecampagne coltivate erano minacciate anche dallepaludi. Queste paludi, che giunsero a coprire quasi unterzo della pianura, erano dotate di una forte spintaespansiva perché lì spagliavano non pochi fiumi cheavevano perduto il loro sbocco naturale nel Po. Inqueste paludi, che il potere politico e i privati proprie-tari cominciarono a drenare con qualche efficacia nelcorso del XVIII secolo, si sarebbe poi diffusa la colti-vazione del riso.

2. La storia delle paludi padane è multisecolare. Manon è ancora entrata nella memoria storica condivisa.Nelle pagine seguenti cercherò di ricostruire alcunefasi di questa storia (ma solo per il territorio di Bolo-gna) a incominciare dell’inizio del XVII secolo. Quan-do vennero prese complesse decisioni per ristabilire lanavigazione del Po di Ferrara (il ramo meridionale delPo) che per Bologna significava il collegamento conVenezia e con il mercato internazionale. Questo ramonon era più navigabile perché largamente interratodall’apporto di ingenti masse argillose provenienti dalfiume Reno, uno dei più importanti affluenti di destradel Po.

Secondo il complesso e invasivo piano di interventodell’idraulico gesuita Agostino Spernazzati – approvatoe fatto proprio da Papa Clemente VII – per recuperarela navigazione si doveva deviare il Reno dal Po di Fer-rara e immetterlo “provvisoriamente” nella valle SanMartina, una palude posta a sud di Ferrara. Questadeviazione avrebbe permesso lo scavo del Primaro, inmodo da attivare nel vecchio alveo il corso principaledel Po. Una volta realizzato questo obiettivo le acquedel Reno (dopo aver depositato nella San Martina lepesanti argille), avrebbero dovuto essere restituite nel-l’antico letto con la foce nel Po.

L’ambizioso piano sostanzialmente fallì. Il Reno fu

128Carlo Poni

deviato dal Po e “provvisoriamente” dirottato nellavalle San Martina. Ma con i mezzi della tecnica secen-tesca (sommata all’insufficienza dei mezzi finanziari)non si poté scavare il letto del Po di Ferrara (ormai 28piedi più alto del Po di Venezia) per la profondità, lar-ghezza e lunghezza necessarie per potervi richiamare leacque che da tempo avevano preso altro corso. I lavoridi scavo – sostanzialmente realizzati con badili e carrio-le – costarono forti investimenti senza raggiungere glieffetti desiderati. E il progetto, dopo diversi tentativi,venne abbandonato. Ma le acque del Reno, deviatetemporaneamente secondo il piano, non tornaronopiù, per la decisa opposizione ferrarese, nel Po. Conti-nuarono invece a versarsi nella valle San Martina,

Tessitura di arella. La “chiopa” è un giunco “da legar le posteche fanno le arelle”. Sotto si legge “Poste di canne con la qualesi tesse l’arella per lavori da pesca”.La parola “posta” sembra definire una grandezza data. Una spe-cie di standard. In un primo tempo il commentatore (forse lostesso Marsili) aveva scritto con minor precisione “chiopa da le-gar l’arella”. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II10 c. 1, Biblioteca Universitaria di Bologna.

L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

Diversi tipi di ronche. In alto a sinistra il “segolo” per tagliaresul telaio “la canna superflua” rispetto alla larghezza dell’arella.Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II 5 c. 30, Bi-blioteca Universitaria di Bologna.

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Al centro tessitura di arelle con canne. A destra una ragazza la-vora alla treccia. Sempre a destra in basso una donna fa sportedi paglia. Le arelle servivano a diversi usi. Anche per la pesca.Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II 10 c. 2, Bi-blioteca Universitaria di Bologna.

diventando causa permanente di rovina delle campa-gne settentrionali della pianura bolognese, che subiro-no per oltre 150 anni un drammatico processo di alla-gamento e di sommersione.

Già nel 1605, alla prima piena, si ruppe il nuovoargine che conduceva il Reno nella valle. E dagli argi-ni sormontati e rotti le acque spagliarono nei campiinondando numerosi paesi, “con sterminio di case,chiese e ville”, e con la totale perdita del raccolto dimolte campagne “abbondantissime di grani”.

Così, appena a un anno dalla deviazione, apparveevidente che il Reno non avrebbe potuto essere conte-nuto nella valle San Martina, dove avrebbe trovatouno sfogo sempre più difficile e stentato, di mano inmano che i piani depressi della palude si fossero alzatiin forza delle torbide che lo stesso fiume vi andavadeponendo. Queste torbide – scriveva il cardinale Piat-

ti nel 1608 – hanno riempito “tanta parte di essa valle,et in tanta altezza che è uno stupore a vederla”. Neidecenni successivi le catastrofi idrauliche si susseguiro-no con ritmo pauroso colpendo duramente la bassa pia-nura bolognese. Nel 1621 si calcolavano a 217 mila letornature danneggiate (45.208 ettari) con perdita dioltre 90 mila corbe di grano all’anno. Nel 1624 un ano-nimo riteneva che le tornature sommerse ascendesseroa 300 mila corbe (circa 62.500 ettari).

I danni non si estendevano solo alle campagne infe-riori, in parte allagate e in parte in continuo pericolo disommersione, ma anche a quelle centrali, private degli“scoli necessari alla fertilità de’ terreni”. Naturalmentei bolognesi non potevano assistere indifferenti allarovina dell’agricoltura di pianura. Il periodico falli-mento dei provvedimenti di emergenza messi in operaper contenere la palude – che invece si andava tenden-

130Carlo Poni

Le arelle di canne venivano usate per una pesca del tutto speciale. Piantate sul terreno in modo da formare fitte e lunghe siepi a labi-rinto, le arelle orientavano il pesce, che restava intrappolato dentro le “nasse” o “grisole”, da cui era impossibile uscire. Nei punti do-ve erano applicate le “nasse”, facevano buona guardia i pescatori, che scaricavano i pesci catturati, per poi ricollocare le “nasse” al lo-ro posto. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II 5 cc. 34, 35 e 36, Biblioteca Universitaria di Bologna.

zialmente allargando – li spingeva a chiedere e a pro-spettare soluzioni di fondo e decisive. Ma queste solu-zioni, volte a dare al Reno un alveo capace di condur-lo al mare, non riuscirono a passare dalla fase dellaelaborazione e della progettazione a quella dell’esecu-zione, non solo per ragioni tecniche e per difficoltàfinanziarie, ma anche per il violento e irriducibilecontrasto fra i bolognesi, che volevano rimandare ilReno nel Po, e i ferraresi, che non lo volevano a nes-sun costo, nel timore che i disastri del bolognese aves-sero a trapassar nelle loro campagne, già minacciate(soprattutto nei Polesini di San Giorgio e San Gio-vanni) da una pesante e difficile situazione idraulica.

Tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo,quando il Reno, colmata la San Martina (che facevaparte della Legazione di Ferrara), cominciò a rivolger-si con maggior decisione verso la media pianura bolo-gnese, torcendosi contro il proprio corso, le cause difondo del marasma idraulico subirono un nuovoaggravamento. Scriveva nel 1716 Monsignor Dome-nico Riviera, segretario della Sacra Congregazionedelle Acque, uno dei tanti visitatori apostolici inviatidal Pontefice per studiare sul luogo la situazione e pro-porre misure adeguate:

È stato giustificato per fedi giurate dei parrochi (...) chedall’anno 1693 (...) di trentanove comuni i quali sonostati soggetti a simili disgrazie [le inondazioni], si hadistinto e sicuro riscontro che in ventisei di essi sonorimaste affogate 55.940 tornature [11.675 ettari] di terralavorata, che davano di rendita altrettante corbe di fru-mento, le quali corrispondono a rubbi 15.982; che inventidue dei medesimi manca la rendita di corbe 16.624di marzatelli che fanno rubbi 9.498; che in venti deglistessi mancano 8.470 abitanti; che in sedici dei medesi-mi restano sommerse 26.191 tornature di prati che ren-devano ogni anno carra di fieno 10.462; che sono abbat-tute 554 case da contadini abitate; che in quattordici diesse restano sommerse 171 case civili fatte a comodo de’padroni; che in nove solo dei medesimi si sono perdute41 cascine per gli armenti; che in otto di essi mancano16 chiese; che ne’ soli due comuni di Bagno di Piano edella Molinella si è perduta l’entrata di 104.000 libbredi canapa; che nel comune d’Argile si è scapitato per2.150 capi di bestie bovine e minute. Oltre il danno ine-vitabile che in ognuno di questi generi sarà succeduto

agli altri comuni che non hanno potuto esprimere laquantità dei danni, ma solamente in termini generali,da cui non può rivelarsene la vera qualità e valore.Non descriverò ulteriormente questa vicenda (si

veda in questo stesso volume il saggio di Cesare Maffio-li). Né rievocherò le ostinate e lunghe polemiche checoinvolsero i più eminenti idraulici del tempo, divisi sulmodo di condurre il Reno dalle paludi al mare.

Le vicende qui raccontate sono già note agli specia-listi. Poca attenzione è stata invece dedicata al muta-mento di stato giuridico dei terreni stabilmente allagati(o paludosi), che diventano tendenzialmente benicomuni. Su cui comunque diventa difficile, se nonimpossibile, esercitare il diritto di proprietà (privata).Questo radicale mutamento si rispecchia in profondicambiamenti sociali ed economici. Alle famiglie conta-dine e nobiliari, le cui dimore mappano il territorio,subentrano altri gruppi sociali: di vagabondi, di conta-dini impoveriti cacciati dai poderi dalla invasione delleacque e dal crollo delle case, di braccianti senza lavoroche si insediano in “casoni” di paglia e legno ai bordidelle valli, spesso stentando la vita. Essi imparano avivere delle risorse della palude. In palude si va a caccia(con ronche, ronconi e picche rudimentali ma anchecon armi da fuoco), si va a pesca su agili barchette, siraccolgono i frutti selvatici, le bacche, le uova dei vola-tili. Ma si praticano anche piccoli mestieri “industria-li”. Si lavorano le canne per farne stuoie, si utilizzano lepaglie per fare trecce, cappelli. Con i giunchi si fannoceste, corde, gabbie, culle...

Secondo Garrett Hardin la degradazione dell’am-biente è inevitabile quando molti individui sfruttanoin comune una risorsa scarsa (“aperta a tutti”).Soprattutto se ciascun individuo o gruppo persegueil proprio esclusivo interesse fino a distruggere lerisorse appartenenti alla comunità. Di qui un degra-do progressivo che lo stesso Hardin ha definito “thetragedy of the commons”. Per evitare questo perver-so risultato occorre introdurre sistemi di regole chelimitino lo sfruttamento delle risorse a certi periodidell’anno, che proibiscano certe pratiche come lapesca a strascico, ecc. con la minaccia di punizioniper gli inadempienti.

Purtroppo queste regole – integrate negli statutidelle comunità che gestiscono un bosco oppure un

131 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

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possesso collettivo (penso alle Partecipanze Emiliane)– non sono mai state formulate – salvo nuove ricerche– per regolare pratiche sociali di appropriazioni dellerisorse collettive in aree paludose bolognesi. Almenofin dal secolo XVII, anche i contadini delle terre col-tivate si recavano con i loro pesanti carri a quattroruote verso la palude. E lì tagliavano lo strame di valleda “sovesciare” nei campi destinati alla esigente colti-vazione della canapa. Si tratta di una pratica diffusa,descritta dall’agronomo bolognese Vincenzo Tanarafin dal XVII secolo, che si prolunga fin verso la finedel XIX secolo. Insomma le aree più arretrate dallapianura sostengono le aree più avanzate, caratterizzateda una esigente rotazione continua.

Non tutte le terre allagate subirono i cambiamentiche ho sinteticamente descritto. Dove le acque sonopoco profonde, lì è possibile la coltivazione del riso.

Una produzione ad alto rischio. Se arrivava la fiuma-na il raccolto andava perduto. Di qui il nome di risaia“d’azzardo”. Ma c’erano altri rischi. Dalla fine delsecolo XVI il potere politico (Cardinal Legato e Sena-to) proibiva di tanto in tanto le risaie, percepite comecausa di pericolose malattie. Ancora nel secolo XIXgli agronomi bolognesi, fra cui Berti Pichat, cercava-no di attribuire le malattie infettive – come la malaria– non alla risaia, ma alla palude e alle sue fetideacque. A difesa del riso gli agronomi colti citano unaaffermazione del grande agronomo medievale bolo-gnese, Pier de’ Crescenzi, che vedeva nel riso “il teso-ro delle paludi”.

3. Ma, oltre al riso, esistevano altre possibilità disfruttamento delle risorse palustri.

Mi riferisco all’attenta inchiesta sulle paludi di Bolo-

Carlo Poni

In alto, pesca con la rete “chiarella” a maglie larghe per prende-re solo pesci grossi. In basso la pesca con bilance. Sul promon-torio pesca con la fiocina. Ms. 139, Agri Bononiensis PalustrisHistoria, II 5 c. 38, Biblioteca Universitaria di Bologna.

Pesca con tramazzo. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Histo-ria, II 5 c. 39, Biblioteca Universitaria di Bologna.

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gna, intitolata Agri Bononiensis Palustris Historia, promos-sa dal conte Luigi Ferdinando Marsili, fondatore (1712)della Accademia delle Scienze di Bologna (si veda inquesto stesso volume il saggio di Franco Farinelli).

Marsili – che non riuscì a condurre a termine que-sto studio – indaga fin dal primo capitolo la storia (nelsenso di descrizione) delle produzioni vegetali sponta-nee della palude. Che divide in quattro gradi (acqui-trino, acqua, palude e fondo di palude), a secondadella maggiore o minore quantità d’acqua. L’analisicomincia dall’acquitrino, caratterizzato da poca quan-tità d’acqua, “che non impedisce la vegetazione amoltissime erbe che hanno per naturale di nascerefuori dalle acque”. In queste aree acquitrinose, dovel’acqua non superava “l’altezza del collo del piede”, leterre si asciugavano “ad ogni minima differenza d’ac-qua”. Dove l’acqua arrivava normalmente fino al

ginocchio (seconda categoria) erano presenti – secon-do Marsili – le condizioni per incrementare “la vege-tazione di giunchi, paviere... ed altri generi consimiliche lussurreggiano dentro dell’acqua”. Tuttavia questepiante languivano se completamente sommerse. Soloquando le acque cominciavano a ritirarsi – come nor-malmente accadeva durante l’estate – la terra comin-ciava a produrre in abbondanza “herbe grosse” – detteanche “strame di valle” – da utilizzare come foraggeree anche come lettiera degli animali da tiro (soprattut-to buoi e vacche).

Il termine palude, in senso proprio, viene applicatoda Marsili solo “dove vi è tant’acqua da alimentarel’herbe che vogliono o intieramente vivere sott’acquao che le loro foglie e fiori riposano” durante l’estate“sulla superficie della medesima acqua”. Queste pian-te – ninfee, aloe e altre – al sopraggiungere della sta-

Pesca di posta con sacconi e “redoni”. Ms. 139, Agri BononiensisPalustris Historia, II 5 c. 37, Biblioteca Universitaria di Bologna.

Pesca con l’amo. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia,II 5 c. 42, Biblioteca Universitaria di Bologna.

134Carlo Poni

In alto a sinistra.Pesca delle anguille col cogollo. Il torrente è la Zena. La frec-cia indica insieme la direzione del corso d’acqua e delle an-guille verso il mare. La stagione è l’autunno. Ms. 139, AgriBononiensis Palustris Historia, II 5 c. 31, Biblioteca Univer-sitaria di Bologna.

In alto a destra.Paludarolo con pesci e ronca per tagliare le canne. Ms. 139,Agri Bononiensis Palustris Historia, II 5 c. 29, BibliotecaUniversitaria di Bologna.

A sinistra.Dall’alto in basso. Diversi tipi di reti da posta: il cogollo perla pesca delle anguille, il redone e il saccone per la pesca dascoglio, la nassa di giunchi “per la pesca di qualunque pesce”.Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II 5 c. 32, Bi-blioteca Universitaria di Bologna.

gione invernale “si ritiravano tutte nel fondo conser-vandosi le piante intatte”.

L’ultima categoria – definita “il fondo della palu-de” – doveva essere considerata “quasi un lago”, per-ché anche nella grande estate difficilmente si asciu-gava. In queste aree nemmeno le canne palustri pote-vano sopravvivere, almeno laddove l’acqua superava“la metà dell’altezza della canna” senza mai scenderea livelli più bassi. In questo caso anche le canne sitrasformavano in putredine. Marsili aveva individua-to nelle “sue” valli di Savena la canna più lunga (12piedi e mezzo) [il piede, misura lineare bolognese,equivale a cm 38,010]. Riportava inoltre diversi econtraddittori pareri sulla riproduzione delle canne.Secondo i pescatori “le canne non hanno seme” manascevano dalle radici. Altri vallaroli affermavanoinvece che le canne non crescevano “dove per avantinei prati sommersi non vi fossero stati cannavilli”.Secondo un’altra opinione le canne crescevano inluoghi sommersi dalle acque per due-tre anni. Ameno che non si staccassero dal fondo venendo allasuperficie, formando “isole natanti” di vegetazionedette “quore”.

Questa distaccata analisi non impediva al Marsilidi deplorare le condizioni di tante campagne bologne-si che “da fertilissime... erano diventate paludi, giac-ché le inferiori terre che erano le vere e antiche palu-di si sono dalla deposizione delle acque asciugate ealzate”. Mentre erano andate a fondo “le più fertilicampagne, desolando case, palazzi e templi”. La perdi-ta di tante terre coltivate aveva accresciuto “le cala-mità della patria ridotta agli stremi... per la mancanzadelle migliori terre che davano la sufficienza de’ graniper gli abitanti” ormai obbligati a esportare monetasonante per acquistare le sussistenze.

La consapevolezza della difficile situazione econo-mica e dei modi di affrontarla inducono Marsili – pro-prietario di beni sommersi alla Baricella – a considera-re, in attesa di più efficaci decisioni strategiche, qual-che rimedio dalla stessa “miseria di queste paludi” pertrarne qualche utile a favore “dei padroni e per dareda vivere ai meschini abitanti”. Egli esortava i cittadi-ni di Bologna “a non avvilirsi affatto, ma di tirar fuoriquel poco di più sarà possibile da esse paludi”, ricor-rendo eventualmente alle sue proposte fondate sull’e-

same locale delle paludi e “sulle risposte avute a tantemie ricerche e dai più esperti delle medesime”. Tutta-via egli avvertiva il lettore che il suo trattato sullapaludicoltura non era ristretto “a precetti per l’econo-mia e coltura delle medesime”. Conteneva anche“erudite, fisiche dimostrazioni, che tutte unite avreb-bero dovuto comporre la storia naturale del distrettodi Bologna”.

Marsili aveva una visione pessimistica dei processiin corso. Egli riteneva che le paludi avrebbero conti-nuato ad espandersi “indispensabilmente”, trasfor-mando “fertilissime campagne” in boschi di canne“dove muoiono col gemito dei popoli gli arbori e leviti”. Anche per questo riteneva che si dovessero col-tivare le paludi “con la sua particolare arte... ad imita-zione di quella che si pratica nella cultura degli agri”.In sostanza egli si proponeva consapevolmente di scri-vere trattati analoghi a quelli che i grandi agronomibolognesi – Pier de’ Crescenzi e Vincenzo Tanara –avevano scritto per la coltivazione dei campi.

Marsili descrive le piante utili della palude chedistingue in tre categorie: legnose, quasi legnose ederbacee. Le piante legnose appartengono sostanzial-mente alla famiglia dei salici. Le quasi legnose sono lecanne. Alla famiglia delle erbacee egli assimila quellepiante “che nella declinazione delle acque sono falcia-bili per uso di strame da ridurre in letame”.

Notevoli erano gli usi dei salici “per il pubblicobene”. Le radici servivano ai tintori per il color rosso;la scorza esteriore delle pertiche (= rami) era “un otti-mo nutrimento per li bovi durante l’inverno”; le foglieda agosto a dicembre erano “un grato e utile cibo aibovi”. La più importante attività dei salici era quelladi produrre rami “verticalmente dritti” che gettavanoaltri rametti: i “vinchi” noti per la loro flessibilità.Con questi vinchi, artigiani di palude legavano i tral-ci delle viti, i rami dei virgulti, le siepi, facevano cap-pelli per le donne. Facevano inoltre in gran quantitàborse, ceste, sporte, culle, che venivano vendute sulmercato cittadino. Sempre coi vinchi si facevano gab-bie “artificiose” (le nasse o grisole) da pigliar pesce e sicerchiavano i tini. Ognuna di queste attività era basa-ta su una raffinata selezione della materia greggia.Con i giunchi – assortiti in sei classi: grossi, correnti,mediocri, minuti, minutissimi, fil di seta – si facevano

135 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

principalmente stuoie, “grisole” per la pesca e arelleper soffittature. Purtroppo Marsili nulla dice sui mer-canti che commercializzavano i prodotti della palude.Annotava invece, sulla base della propria esperienzamilitare, che in Ungheria aveva fatto fare con i giun-chi funi “in forma di treccia per legare le navi”.

Anche il legno del piede dei salici aveva un pro-prio specifico uso. Ridotto in assicelle lo stesso Mar-sili lo aveva utilizzato per costruire “modelli di forti-ficazione”. Ma usualmente veniva impiegato per fare“le doghe per tinazzi da bolirli dentro l’uva”. I salicivivevano mediamente da quindici a venti anni eproducevano fino a venti-venticinque rami didiscreta lunghezza. La loro vita si riduceva fortemen-te qualora i rami non venissero tagliati almeno ognitre anni. I salici meglio curati erano quelli dellaPegola e Malalbergo per “la naturale condizione del-l’acqua transitoria” (= l’acquitrino) e per la “partico-lare coltura ed applicazione di quei paludaroli” (cosìMarsili chiama coloro che abitavano e/o lavoravanoin palude). Sembra evidente che nelle aree “acqui-trinose” (non impaludate), insieme con i diritti diproprietà, si conservano le pratiche colturali selezio-nate nel corso del tempo.

Oltre a questo tipo di salice (diffuso in aree acqui-trinose e soggetto a private cure) ce n’era un altrodetto “di Borgogna” di diversi colori, che crescevaspontaneamente in palude “con una infinità di rami”.Questi rami poco robusti e molto sottili (il quinto diun’oncia) erano usati dai pescatori di valle “per faresemicircoli ai quali legano li piccioli cogolli dettisavani”. Ritornerò in seguito su questo originale tipodi pesca. Marsili si interroga anche sulla riproduzionedei salici. Avveniva attraverso sementi? In ogni casoegli consigliava (quando si potavano i salici in gen-naio) di scegliere un ramo di quelli più dritti (pianto-ne) e tenerlo col piede nell’acqua fino a marzo quandoveniva messo a dimora dentro la terra. Così trattato,nel mese di maggio-giugno, il piantone incominciavaa mettere radici e a produrre “giovani rametti”. Eracon queste veloci pratiche biologiche, fondate suosservazioni ripetute, che si riproducevano le materiegregge con cui sostenere un sempre più ricco e varioartigianato di palude.

Al trattato sulla vegetazione e sulle industrie della

palude segue una densa indagine sui pesci e sulla pescain palude. Che rivela, come mostra l’allegato Indice, ilprofondo interesse di Marsili per lo studio della biolo-gia dei pesci, sulla scia tracciata da Ulisse Aldrovandinella sua fondamentale opera De piscibus (Bononiae1638). Dei diciassette articoli di questo Indice almenosette riguardano la loro riproduzione.

Indice delle materie per la pesca nelle valli1) Nomi dei pesci che nascono e vivono nelle valli emultiplicano in esse.2) Nomi dei pesci che vanno e vengono in fiumi emari e che da essi ritornano nelle valli.3) Grandezza maggiore d’ogni specie di pesci.4) In quale stagione ogni pesce comincia avere l’ova.5) In quale stagione le getta.6) In quali siti le getta.7) Quale mescolamento si faccia fra pesci.8) Quanto tempo stiano l’ova nell’acqua prima dinascere.9) Se l’ova restassero in estate in Reno e poi tornassel’acqua, se veramente quelle siano più fertili.10) Se nel avere l’ova o nel farle muti il pesce nelcolore e nei membri.11) Qual pesce cresca più presto.12) Cibi dei pesci.13) Morti de’ pesci per ragione delle stagioni (luna,caldo, freddo e vento).14) Se sia vero che alli lucci crescano e cadano lidenti.15) Età dei pesci.16) Se le anguille facciano ova o feto.17) Se il sapore del pesce muti nelle stagioni e inquale sia migliore.18) Qual pesce mora più presto fuori d’acqua o vivapiù lungo tempo.

Un particolare interesse Marsili mostra, forse sottol’influenza di Antonio Vallisnieri, per il ciclo di vitadelle anguille. In primo piano dell’Indice è infatti laseparazione dei pesci che “vivono nelle valli e molti-plicano in esse” dai pesci che “vanno e vengono infiumi e mari e che... ritornano nelle valli”. Questotema si intreccia con altri interrogativi. In quale sta-gione ogni specie di pesce incomincia a depositare le

136Carlo Poni

137 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

In alto a sinistra.Attracco. Davanti al casone – sullo sfondo a sinistra – un “pa-ludarolo” trasporta un fascio di canne. Gli uomini sono a piedinudi. Un anonimo ha disegnato a matita l’avambraccio destrodel barcaiolo (mancante nel disegno a penna). Sul piano dell’im-barcazione un pennato per tagliare le canne. Un bastone a for-cella conficcato sulla sponda trattiene eventuali smottamenti.Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, III c. 29, Biblio-teca Universitaria di Bologna.

In alto a destra.Caccia in valle con armi da fuoco. Ms. 139, Agri BononiensisPalustris Historia, II 5 c. 9, Biblioteca Universitaria di Bologna.

A destra.Trappole per animali selvatici. Ms. 139, Agri Bononiensis Palu-stris Historia, II 5 c. 40, Biblioteca Universitaria di Bologna.

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139 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

Sopra.Ragazza che fa la treccia. Ms. 139, Agri Bononiensis PalustrisHistoria, II 10 c. 3 r., Biblioteca Universitaria di Bologna.

A destra.Donna che fa la treccia con il “pavirolo”. Ms. 139, Agri Bono-niensis Palustris Historia, II 10 c. 4, Biblioteca Universitaria diBologna.

Pagina a fianco, sopra.Trappole per uccelli in palude. Ms. 139, Agri Bononiensis Palu-stris Historia, II 9 c. 2, Biblioteca Universitaria di Bologna.

Pagina a fianco, sotto.Casone di canne. In primo piano a destra un tronco d’albero.Alla sinistra reti poste ad asciugare. Ms. 139, Agri BononiensisPalustris Historia, II 5 c. 47, Biblioteca Universitaria di Bologna.

uova? E in quali siti? Quando avvengono le nascite? Equale influenza hanno i processi biologici sulla forma,il colore e la pelle dei pesci adulti? Come valutare laloro età e le aspettative di vita? E quale pesce, se nonl’anguilla, era capace di coprire spazi notevoli fuoridall’acqua... Questi interrogativi ricevono interessan-ti risposte e riguardano i crostacei, i pesci e altre spe-cie, tutte di valle (almeno temporaneamente). Densepagine riguardano la biologia, il colore, la grandezzadei persici, dei cavadelli, dei gambrasuti, dei barbi, deilucci, delle rane, delle lumache, dei ranocchi... Que-sta particolare attenzione alla “storia” dei pesci è coe-rente con una passione coltivata almeno fin dal 1681,quando il conte pubblicò le Osservazioni sul Bosforo.

Un saggio di 108 pagine ricco di descrizioni sulla geo-grafia del luogo, sul gioco delle correnti, sulla profon-dità, la salubrità delle acque, sulle diverse specie dipesci e sui loro diversi comportamenti. Non si trattadi una compilazione libresca. Sulle altre fonti prevalel’inchiesta orale, l’intervista ai pescatori, l’osservazio-ne diretta. Una pratica che Marsili avrebbe seguitocon coerenza interrogando i pescatori del Danubio,del lago di Garda, della Provenza. Una pratica origi-nale che appare formalizzata nell’Indice.

Non entrerò nei dettagli di questa importante inda-gine, che travalica le mie conoscenze attuali. Sottoli-neo invece che a questa trattazione scientifica seguo-no gli Avvertimenti per pescare nelle valli confluenti dei

140Carlo Poni

Donna che prepara la paviera (ital. càrice, bol. pavira) per fare stuoie e sporte. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II10 c. 3 v., Biblioteca Universitaria di Bologna.

fiumi Reno, Savena, Fiumicello e Zena. Insomma l’anali-si delle diverse specie di pesci non è fine a se stessa.Seguendo la linea di pensiero già tracciata per la vege-tazione di palude, Marsili collega il trattato dei pescialla pesca, che vorrebbe più efficiente. Non è improba-bile che la vasta conoscenza europea di tanti fiumi epercorsi d’acqua (a incominciare dal Danubio) abbiasuggerito innovazioni che non sono in grado di identi-ficare. Tuttavia la ricchezza e la qualità delle soluzionitecniche non credo possano essere attribuite solo all’i-niziativa dei paludaroli. E lo stesso potrebbe valere perla pesca con i “redoni” delle anguille che risalgono iltorrente Zena verso il mare.

I diversi tipi di rete non hanno bisogno di particolari

commenti. Non è così per la pesca con le arelle (fatte dicanne intrecciate). Queste arelle, piantate nei fondali,si dispiegavano per più miglia ininterrottamente, perintercettare i pesci in ingresso dal mare o in uscita versoil mare (a seconda delle stagioni). I pesci venivano con-vogliati verso labirinti obbligati formati dalle stesse arel-le. Alla fine del percorso erano applicate nasse o grisole(cioè trappole) in cui i pesci una volta entrati, nonpotevano più uscire. Marsili annotava che quando leacque della palude sormontavano l’altezza delle arelle,questo tipo di pesca non si poteva più praticare con suc-cesso. Visto che i percorsi erano aperti verso l’alto (cfr. idisegni a pagina 132). Questo tipo di pesca, descrittocon sagacia in una pionieristica ricerca di Andrea Zagli,

141 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

Stuoie e sporte. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, IIIc. 41 r., Biblioteca Universitaria di Bologna.

Come piegare le “pertiche” (i rami) di salice in cerchi per le botti.Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II 6 c. 6 e c. 7, Bi-blioteca Universitaria di Bologna.

142Carlo Poni

Parnassia palustris.È una pianta oggi relegata agli ambienti umidi montani; la suapresenza nella pianura settecentesca denota condizioni clima-tiche assai diverse dalle attuali. Ms. 139, Agri BononiensisPalustris Historia, II 7 (tav. XVII), Biblioteca Universitariadi Bologna.

Orchidee, probabilmente Dactylorhiza majalis (a sinistra) eD. incarnata (a destra). Si tratta di orchidee di ambienti umidi, oggi scomparse dalla pia-nura bolognese, dove erano segnalate fino alla seconda metà delXIX secolo. Grazie all’analisi del lavoro di Marsili sarà possibileidentificare piante un tempo presenti nelle zone umide bolognesi. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia, II 7 (tav. XVI),Biblioteca Universitaria di Bologna.

era praticata nelle paludi di Bientina (Toscana) almenofin dal XVIII secolo.

Non passerò dalla pesca in palude alla caccia inpalude. Un tema appena accennato da Marsili. E chequi rappresento con alcuni disegni di trappole per ani-mali e per uccelli. Mi preme invece rimettere in circo-lazione il tema delle risorse comuni. Non mi sembraazzardato pensare che la raccolta di informazioni sullavegetazione e sui pesci in palude potrebbe essere lapremessa per una vasta regolamentazione, volta a

garantire la riproduzione di risorse potenzialmenteminacciate da uno sfruttamento non regolato. E pocoattento al ciclo vitale delle risorse.

Oltre ai temi finora indagati, il trattato Agri Bono-niensis Palustris Historia contiene anche appunti sullecause della diffusione della palude e sulle praticheper ridurne l’ampiezza. Siccome questi appunti sonostati rielaborati, approfonditi e ampliati in due lette-re (o Memorie) inviate da Marsili al Pontefice Bene-detto XIII nel 1725 e nel 1728, credo opportuno

143 L’idraulica poderale, l’avanzata delle paludi, l’uso delle risorse palustri

esporre rapidamente i due punti più importanti toc-cati nelle due lettere.

Nel primo punto – che implica un profondo cambia-mento strategico – Marsili propone la rinuncia a incana-lare il Reno nel Po di Venezia, vista la ferma opposizionedella Repubblica di Venezia, dell’Impero e dei vicini Fer-raresi. Come sostitutivo egli propone di condurre il Renonel Po di Primaro che tutto scorreva sul territorio delloStato Pontificio e che non implicava nessuna trattativainternazionale. Un vantaggio non piccolo. Purtroppo aquesto progetto si diede mano con qualche successo solonell’età napoleonica.

Il secondo punto contiene invece aspre critiche ainobili proprietari bolognesi per la loro incapacità di agirein modo cooperativo. Essi cercavano invece di rovescia-re le acque della palude sulle terre dei vicini. “E questicon lavori tali si distruggono fra loro e si attraversano…e vivono in una continua guerra senza che se ne veda ilfrutto che quello di non concludere alcun utile… masolo per confondere e distruggere”. Poche righe dopo eglicondanna le reciproche prepotenze nella prospettiva di“utili immaginari”. Critica i proprietari terrieri per la loroavversione a pulire e nettare gli scoli e per il rifiuto dipagare tasse per quanto basse sui loro terreni che scola-vano in condotti pubblici… “Nemici della fatica preten-dono che dopo fatto un semplice cavamento debba da sèsussistere e che non si debbano fare ulteriori spese permantenerlo”. Di qui i disastri idraulici provocati da “ognisingolo torrente”. Di qui l’estensione delle paludi. Di quil’esigenza di regole cooperative per gestire al meglio lerisorse esistenti. Lamenta inoltre che per diciotto anni ilSenato di Bologna aveva fatto il possibile per impedireche la mappa di queste paludi arrivasse nelle sue mani.Propone invece come modello di comportamento civile“la diligenza degli olandesi che hanno fabbricato città,canali, manifatture ed empori di merci in un putridosuolo…che era tutto mare e che solamente difendonocon dispendiosissime dighe manufatte che rompendono”provocano vasti allagamenti. Profondamente colpito eraMarsili dalle tecniche olandesi per rimettere le acquenell’oceano col mezzo dei mulini a vento.

L’implicito confronto sembra scolorire il tenue ottimi-smo che circola in non poche pagine dell’Agri Bononien-sis Palustris Historia, che cede ormai il passo a unosconfortante pessimismo.

Stratiotes aloides (Coltellaccia) denominata da Giuseppe Monti,illustre botanico bolognese (1682-1760), “Aloe palustre” e da luiproposta come nuovo genere “Marsillea” dedicato al Marsili. Og-gi la sua presenza è minacciata in tutta Italia ed è scomparsa dal-l’Emilia-Romagna. Ms. 139, Agri Bononiensis Palustris Historia,III, foglio 22, Biblioteca Universitaria di Bologna.

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1. A Bologna le varietà linguistiche legate alle acque– come a tante altre dimensioni dell’organizzazionesociale ed economica e della cultura materiale – sonoalmeno quattro, ricorrenti dal medioevo al Novecen-to (Foresti 1992, 1994) tanto nella documentazioned’archivio e a stampa, quanto negli usi orali dei par-lanti della comunità.

Da quando, nei primi decenni del Duecento(Zanotti 2000), il Comune attuò stabilmente la cana-lizzazione verso la città del fiume Reno e del torrenteSavena, fino alla regressione delle funzioni del siste-ma idraulico artificiale compiutasi tra la fine dell’Ot-tocento e l’inizio del secolo XX, le terminologie rela-tive ai canali, alle loro diramazioni e ai manufatti, allavoro degli opifici basato sulla fonte energetica del-l’acqua, ai diversi mestieri che la impiegavano, alleattività del porto e della navigazione, da una parte, lestesse denominazioni di molte strade, riferite in mododiretto o mediato alle acque, dall’altra, si presentanoa livello scritto, fino al primo Cinquecento, in latinoe in volgare, che in un diverso registro caratterizza lacomunicazione orale, successivamente in italiano,comprendente pure la sua varietà locale, mentre ildialetto domina il livello parlato.

Queste varietà linguistiche, alle quali si dovrebbe-ro affiancare anche quelle gergali in uso anticamente

144

IL LESSICO E IL RACCONTO

DELLE ACQUE

FABIO FORESTI

in alcuni mestieri, stabiliscono rapporti articolati e siinfluenzano reciprocamente, soprattutto nella dire-zione oralità-scrittura, mostrando per un lungo arcocronologico tratti di forte continuità.

Così, per esempio, il condotto per derivare e distri-buire le acque dei canali è attestato nelle fonti, inlatino medievale come clavica o claviga, nel volgarechiavega, nell’italiano locale chiavica o chiaviga, neldialetto ciavga, il mulino da seta è definito rispettiva-mente filatorium, filatoglio, filatoio, filatói, il muretto oparapetto lungo le rive dei canali viene designato conmurellus, murello, morello, murèl, la specie di chiusuradi legno avvolto in stoppa per sigillare le imboccatu-re dei condotti si ritrova come choconus, cucone, coco-ne, cucàn. In queste forme, oltre al variare dell’aspet-to grafico e fonetico corrispondente, si deve rilevareanche che il significato (per esempio quello di chiavi-ca) o il tipo lessicale (per esempio cocone) sono diambito bolognese ma non dell’italiano comune.

Mentre la documentazione in latino, in volgare ein italiano, relativa generalmente a fonti istituzionalie ufficiali è abbondante, senz’altro più circoscritta sipresenta quella in dialetto, che nella produzione let-teraria è raramente interessata alla cultura materiale(Foresti 1990 b.) e che si concentra in particolare neivocabolari ottocenteschi, anch’essi comunque più

volti a testimoniare un lessico e una cultura di tipo“borghese” che non modi di vita e attività lavorativedella quotidianità popolare (Ferrari 18352, CoronediBerti 1869-74, in minor misura Ungarelli 1901).

Non sempre, di conseguenza, di una voce testimo-niata nella varietà italiana possediamo la corrispon-dente dialettale, sia coeva sia cronologicamente suc-cessiva, tanto più in un campo terminologico connes-so ad un contesto economico e tecnico già ampia-mente in crisi al momento della stesura dei maggiorilessici bolognesi, risalenti – come s’è visto – agli ulti-mi trent’anni dell’Ottocento: di queste parole dialet-tali perdute è un esempio quella designante un“ammasso di ghiaia, sabbia e altri materiali nel lettodi un corso d’acqua”, che nei testi documentari e tec-nico-scientifici (Guglielmini 1697) del Sei-Settecen-to bolognese corrisponde all’italiano dosso.

Occorre tuttavia notare come, altre volte, dell’esi-stenza di una determinata parola dialettale è sicuro –anche se indiretto – indizio proprio la voce dell’italia-no locale, che, pur presentandosi in lingua, non è altroche la trasposizione di una voce bolognese: non puòche rinviare al dialetto il termine, usato dalle fonti delsecolo XVII, terafitoli “pali piantati longitudinalmentesul fondo, di supporto per altri” (il GDLI attesta sol-tanto, al riguardo, fitola, di area ferrarese e di epocacoeva, connesso al nostro anche nel significato funzio-nale di “staffa in cui entra il saliscendi di usci, ecc.”).

Se a tutto questo si aggiunge che è diffusa nellefonti l’abitudine di non soffermarsi sul significato ditermini dati per scontati e conosciuti o sulle pratichelavorative concretamente svolte, il lessico delleacque non può che consegnarsi lacunoso e intermit-tente alla nostra osservazione.

Un ulteriore problema da affrontare nella ricerca èdato dalla non raggiunta standardizzazione dellanostra lingua nazionale, che – in questo come in altriambiti lessicali della cultura materiale – non disponedi termini di sicura e generalizzata tradizione. Perquesta ragione è abbastanza frequente verificare chenei saggi di storia sociale ed economica, negli studitecnici e in pubblicazioni di taglio divulgativo ricor-rono voci le quali – pur essendo nel tipo lessicale e/onel significato di ambito soltanto regionale o subre-gionale – sono ritenute standard e come tali impiega-

te. Si tratta in sostanza di voci tecniche che noncompaiono nei vocabolari della lingua italiana dell’u-so (per esempio Zingarelli 199312 o Devoto-Oli1990), cui il lettore legittimamente deve potersirivolgere in caso di dubbi e incertezze, oppure – se visono registrate – presentano significati diversi rispet-to a quelli in questione. Un esempio di questo secon-do caso è dato dal termine chiavica nell’accezione, giàsopra illustrata, di “condotto di derivazione dell’ac-qua”, assente nei dizionari (anche dialettali), che silimitano a fornire quelle di “fogna” e di “paratoia”,mentre un esempio del primo caso è offerto dal termi-ne sostegno “manufatto costruito su un corso naviga-bile per regolarne la portata e la percorribilità”, deltutto assente nei dizionari ricordati.

Così operando, si contribuisce a mantenere e a farproliferare un disordine terminologico che rende inparte ambigui i testi e i contenuti dei saggi e spessodifficoltosi i rilievi comparativi con situazioni areal-mente diverse e anch’esse, a loro volta, terminologi-camente difformi.

145 Il lessico e il racconto delle acque

Il ponte e la chiesa della Madonna delle Lame in via Riva diReno, intorno al 1950.

La direzione che si intende suggerire non prevededi certo l’abbandono dei lessici storici di circolazionelocale, ma un loro impiego consapevole da parte deglistudiosi di vario ambito disciplinare e degli operatoriculturali, un uso cui tuttavia affiancare una precisadefinizione affidata a una perifrasi e il ricorso allavoce italiana corrispondente. Come si è accennato,tuttavia, la storia della nostra lingua ha largamentesfavorito il formarsi di un lessico unificato relativo aimestieri e ai cicli di lavoro (Foresti 1990 c), alleattrezzature e alle realtà materiali, così che – signifi-cativamente – soltanto nell’imminenza dell’unifica-zione politica nazionale si è giunti alla realizzazionedi uno strumento sistematico diconsultazione, non più necessa-riamente ordinato in modoalfabetico, ma metodico. Essodoveva cioè essere in grado diindicare i corrispondenti italia-ni delle voci presenti nei molte-plici dialetti della penisola edelle isole, rispondendo a unodei problemi capitali – ancoraoggi non risolto del tutto – postidalla domanda di unificazionelinguistica del Paese, quelloappunto della correttezza e con-gruità terminologica, per cui“data una cosa se ne doveva tro-vare la denominazione”.

In base a quanto già altrove siè discusso (Ibid.), la migliorefonte cui attingere per la sceltadi termini tecnici standardizza-bili, relativamente alle attività tradizionali, è il Voca-bolario d’arti e mestieri di Giacinto Carena, che rap-presenta il repertorio più sistematico nel settore,integrando parole già affermate nei dizionari dell’ita-liano comune con altre di ambito toscano-fiorentino(parte delle quali non sono tuttora di conoscenza euso generalizzati).

In questo contributo la terminologia analizzata ècircoscritta ad un arco cronologico compreso tra ilXVI e tutto il XVIII secolo: attiene quindi all’italia-no (quale è attestato nei bandi e negli atti degli orga-

nismi di governo riportati da Zanotti 2000 e da altriautori, di volta in volta citati), senza riferirsi diffusa-mente al latino medievale e al volgare, per non appe-santire il testo con eccessive citazioni di forme (edata anche la continuità linguistica che si è eviden-ziata tra le varietà in questione); del dialetto, a partenon frequenti forme testimoniate da autori di epocaprecedente, viene riportata la documentazione forni-ta dai lessicografi ottocenteschi.

2. Il torrente Aposa (latino medievale Apoxa oAposa, volgare Avosa o Veza, italiano Avesa, dialettaleAvsa), un idronimo di etimo indoeuropeo attestato in

varie zone dell’Italia settentrio-nale, della Francia, Germania edella penisola balcanica (Coco1953-55), è l’unico corso d’ac-qua naturale che attraversa ilcentro della città, rappresentan-do il confine orientale dellacittà romana. Pur di modestissi-ma portata, il torrente svolge unruolo importante nel corso deltempo e ad esso ricorre la cultu-ra umanistica per assicurareanche a Bologna proprie originimitiche circa le modalità e i pro-tagonisti della fondazione:secondo il racconto quattrocen-tesco di Girolamo AlbertucciBorselli (Sorbelli 1926), ripresopoi dallo storico Leandro Alber-ti, il valoroso Fero giunge sullerive di un corso d’acqua, cui dà

il proprio nome la moglie Aposa, costruendo il primonucleo del futuro insediamento.

Un alone di leggenda e di tragico mistero (Aposamuore in quelle acque), che nella Bologna carduccia-na – alla ricerca della sua identità medievale e dellagloria del primo Studio europeo – Alfonso Rubbiani ripropone nel 1889, riferendo l’antichissima previsio-ne di un agrimensore etrusco: “Aposa allagherà Bolo-gna” (in Emiliani-Cuniberti 1962: p. 30).

Il piccolo rio arreca davvero di frequente “grandanno” alla città con periodici straripamenti e inonda-

146Fabio Foresti

Fero, ritenuto fondatore di Bologna, con la mo-glie Aposa, nella cronaca immaginaria del quat-trocentesco Girolamo Albertucci Borselli.

zioni, quando “cresce e si fa grossa” a causa di “straor-dinari pluviali” (dial. pluvièl “acquazzoni”), portandovia steccati, ponti di legno e paratoie, allagando canti-ne, sgretolando le sue rive nonostante la costruzione dicavedoni (dial. cavdón), cioè sbarramenti di vario mate-riale realizzati trasversalmente all’alveo per disciplina-re le acque. Allo stesso tempo, però, l’Aposa portabenefici innegabili, dal momento che le acque del suocorso originario, quello orientale, servono dapprima aconciatori, cartolari e tintori, quindi ai lavatoi e all’ir-rigazione delle aree ortive nella città, mentre il ramoscavato nell’alto medioevo a occidente (seguendo viaTagliapietre, via Val d’Aposa, piazza Galileo e, ancora,le vie Venezian, Galliera e Avesella) provvede allosmaltimento delle acque reflue e delle immondizie.

2.1. Bologna diventa tuttavia una grande cittàeuropea soltanto intervenendo sugli equilibri ecologicidel territorio e creando un sistema idraulico artificialea partire dai due corsi d’acqua tra cui si trova: il Save-na (Savna) a oriente e il Reno (Réin, Ragn) a occiden-te, deviati dentro la città grazie alla costruzione di duechiuse (cius·) e costeggiati di lavorieri in legname, pan-nelli trasversali alla corrente per difendere le spondedall’erosione. Da questo sistema, dal controllo eserci-tato sulle acque viene a dipendere per lunghi secoliuna parte consistente dell’assetto socio-economico edell’organizzazione della comunità.

Il canale (canèl) di Reno, che entra nel contestourbano sotto a un battifredo, attraverso una grata diferro (grada) di cui – all’interno dell’edificio – si con-serva ancora il congegno di sollevamento (paratura),scorre come quello di Savena nel suo alveo (lèt),dovepossono formarsi dossi (ammassi di sabbia, ghiaia emateriali vari), i quali rallentano il corso delle acque:quando si determina interrimento occorre intervenire,escavare e spurgare, cioè ripulire a fondo. Parimenti, siprovvede a proteggere e consolidare le ripe, gli argini(èrzen) del canale con agocchie (agòc’), pali di legnopiantati nel suo alveo, i quali – uniti e allineati insie-me – formano le palificate, palizzate di solito congiun-te a veminate, intrecci di rami di piante (cfr. dial.vémmna “vermena”). Nel loro insieme queste eranosostenute da contane (deriv. dal lat. contus “pertica”, dicui la voce dell’it. bol. è l’unica continuatrice attesta-ta), specie di contrafforti che a loro volta poggiavano

su terafitoli, legni longitudinali “piantati sino sulfondo” dell’alveo.

Un funzionario specifico, il battifango, era addettoalla manutenzione degli argini, che avevano scarpe,ovvero pareti inclinate e opere di difesa in muratura,rinforzate da banchette, muretti costruiti al loro piede eda coronelle (dial. curunèl), argini semicircolari posti aprotezione di altri in procinto di rompersi. Le sponde(rivèl) del canale, lungo le quali sono piantate fioppe(fiòp “pioppi”), per non farle dirupare o franare (a que-ste in acqua corrispondono per funzione le già vistepalificate), vengono dotate di morelli o parapetti con ilbordo superiore di pietre posate di taglio (rizzolo).

Si provvede progressivamente a voltare, copriremediante la costruzioni di volti ad arco i canali che,come il torrente Aposa, corrono per la città inizial-mente a cielo aperto: l’ultimo tratto del canale diReno in via Riva Reno viene coperto nel 1957, men-tre al 1840 risale il tombamento del canale di Savenain un segmento dell’attuale via Rialto, il Fiaccalcollo,dove le acque scendevano precipitosamente, comeattestano l’antica denominazione, che significa “rom-picollo” e il termine dell’italiano locale borione, rife-rito appunto a una cavità scoscesa dove si forma ungorgo, che era usato ancora nella seconda metà del

147 Il lessico e il racconto delle acque

L’insegna dell’osteria del Fiaccacollo in un’incisione di GiuseppeMaria Mitelli, secolo XVII.

XIX secolo per il luogo (Ungarelli 1901): al buriàn edFiacalcòl (e calandrone di Fiaccalcollo era denominatoil corso del canale con forte pendenza che di là pro-veniva, in quanto produceva un vivace gorgoglio,connesso appunto all’intensa voce della calandra, unaspecie di allodola); molti, ancora, erano gli stramazzi(per cui cfr. il dial. a stramàz “in bilico”), cioè le boc-che di scarico dell’acqua in eccesso dei canali, chepotevano sborare, sgorgare con impeto.

Sia il toponimo (Fiaccalcollo) che la voce (borio-ne), del resto, sono impiegati dalle fonti per un’altrazona ancora più scoscesa e ripida, nella quale il cana-le di Reno compie un salto di oltre dodici metri tra ilpunto di derivazione (poco dopo l’incrocio tra l’at-tuale via Marconi e via Riva Reno) e l’area portuale aridosso delle mura, vicino a Porta Lame. Si tratta delCavadizzo o Cavaticcio (cavadézz), nel XIII secolo giàscavato, come il nome medesimo attesta, nel qualeimmetteva da via Polese un vicolo chiamato Fiaccal-collo (Fanti 20002) e in cui si formava un borione ori-ginato dalla cascata dell’acqua. Di questo canale sidistinguevano parti specifiche con precisi riferimentiterminologici: per esempio scaffa indicava generica-mente ogni tratto di caduta del corso d’acqua, il qualea sua volta poteva essere partitamente denominato(“[…] fare l’escavatione et stirpare [dial. stirpèr “leva-re gli sterpi”] e slargare l’alveo del Cavadizzo, princi-piando dalla caduta d’acqua chiamata la Castellatasino alli traversi […]”).

2.2. Per gli usi lavorativi e di altro genere l’acquaviene distribuita mediante condotti, per lo più sotter-ranei, ma anche discoperti, con l’imboccatura postasulle sponde dei canali che attraversano la città, for-mando una complessa rete idraulica di derivazione, ingrado anche – mediante collettori – di recuperare erimettere in circolo – oltre che smaltire – le acque giàimpiegate. La distribuzione è affidata, come si èdetto, a condotti o chiaviche, mentre la funzione appe-na considerata a chiavicotti, pur se le fonti mostrano avolte di usare queste forme come sinonimi, affiancan-do spesso all’ultima la voce resoraduro (che ricorreperò altre volte nell’accezione di condotto derivato-re). Chiaviche (/chiavighe) e chiavicotti (/chiavigotti)sono dotati di bocche (talora busi), aperture circolaridi masegna o pietra, con bironi o coconi, tappi di legno

avvolti in caveccia o stoppa; nel caso si tratti di con-dotti principali in cui scolino altri minori sono rego-lati da paratoie (paradure) con pilastri di pietra,munite di molinelli o fusi, catene di ferro oppure cordeper alzarli e, per manovrarle, di stanghe o chiavi metal-liche infisse nei fusi (e così erano provedute anche lechiaviche dei canali fuori città).

Alla manutenzione dei condotti era addetto unchiavichino, che interveniva a startarare (eliminare laconcrezione calcarea), ad espurgare nei casi fosseroturati, completamente occlusi e amuniti (dial. muné),ostruiti, oppure ad accomodare e resarcire qualoraavessero sponde e volto dirupati e si trovassero rotti esfondati perché il terreno era sgrottato (dial. sgrutè),cioè franato.

Singoli chiavicotti e chiaviche portavano una deno-minazione (chiavegotto di Miola, chiavegotto dellaScimmia, chiavica il Torlione, chiavica del Sentiero),così come i principali delle Vicinanze, che potremmodefinire condotti consorziali: tra le tante ricordiamola Guidotta, quella della Pioppa, la Presidonia e laSchiava. Proprio di quest’ultima chiavica riportiamouna parte del percorso descritto con toni minuti ecolloquiali in una relazione dell’Assunteria d’Ornatonel 1694 (Zanotti 2000: p. 491):

[…] passando sotto ad un certo uscio e traversando perfianco il detto claustro e poi obliquandosi verso la stra-da maestra di Galiera traversava sopra al chiavigotto diGaliera nel vicolo che camina dietro la chiesa di sanBenedetto per il tratto di alcune pertiche […] fumostrato il sito dove caminava la detta chiavica […],come anche il sito dove presentemente camina, cioègiù per detto vicolo sino alla strada maestra voltandodietro al sacrato sino alla prima casa traversando lastrada, entra nell’orto […].La costruzione dei condotti ha sempre rappresen-

tato un fatto importante per la città e viene ricordata,insieme ad avvenimenti di politica e cronaca nonsolo cittadina, che a noi sembrano di ben maggiorerilievo, da Gaspare Nadi nel suo Diario, che giungesino alla fine del Quattrocento: “rechordo come del’ano 1443 fo fato uno chiavegon da san Stefane decha de Bianchin e va lungo la casa de Gozadin, arivain stra Maiore e va lungo insino in la chiavega diPelacan di quel da le casse […]”; “rechordo chome de

148Fabio Foresti

l’ano 1498 fo fato uno chiavegon, chomenza da lacrosse di santi in quelo de le done e va insino […]”.

Oltre alla manutenzione, alla vigilanza delle auto-rità sul “libero corso delle acque”, con costanti inter-venti per far rimuovere manufatti abusivi quali cavedo-ni, rastrelli, giarate, palificate, schivardelle (piccoli pigno-ni, punte di argini trasversali alla corrente, per cui cfr.dial. schivardàn “pignone”), si sottosta ad obblighi col-lettivi per garantire i benefici delle acque come risorsaenergetica per gli opifici e come sostanza indispensabi-le nei cicli di lavoro. In tempo di scarsezza e scicitàd’acqua, cha causa la secca dei canali, il prezioso liqui-do, considerato un vero e proprio bene comune, vieneamministrato mediante meccanismi istituzionali esociali di controllo e utilizzazione, che prevedevano diserrare, chiudere i condotti secondo tipologie gerarchi-che di attività e scansioni temporali che restano pres-soché invariate attraverso i secoli (ad esempio nel1705 le prime chiaviche a dover interrompere il flussodell’acqua sono quelle che alimentano “edifici daseghe, ruote da acqua, valchiere, pestatori e pistrini,mangani, macine da galla”, quindi tocca ai filatogli daseta e, per ultimi, ai mulini da cereali, essenziali pergarantire l’alimentazione di base).

3. Le acque contribuiscono anche per molti altriaspetti a ritmare la vita della città e dei suoi abitanti,che se ne servono per lavare la biancheria e gli indu-menti, per annaffiare i numerosi orti, per abbeveraree detergere le bestie nei guazatori o guazzatoi (dial.guazadùr), smaltire scarichi di varia natura e allonta-nare le acque di rifiuto, ripulire le strade e sgomberar-le dalla neve, oltre che per spedire merci, prodotti delterritorio e viaggiare.

3.1. L’attività delle lavandaie, in particolare,viene descritta all’inizio del Seicento da Giulio Cesa-re Croce, il quale dedica una parte consistente dellasua opera ai lavori e alle condizioni di vita (materialie non) dei ceti popolari, ritraendoli – senza retorica ocompiacimento – con un realismo che non lo acco-muna pressoché a nessun altro autore, anche minore,della nostra letteratura. Vero testimone della culturasubalterna (“mentre parlo, fate conto udir esse, quan-do la mattina salutano l’amica e la vicina”), Crocevuole “illustrar lor’arte” e le “ciancie e il cicalare /

ch’elle fan quando al Ren stanno a lavare”, utilizzan-do ponti e scanni a la Grada (anche le fonti ottocente-sche ricordano i ponti da lavandaio, specie di impalca-ture in cui lavoravano; per una tipologia dei lavatoi obatùc’ nella stessa epoca, si veda Pesci et al. 1994).

Sul canale “i fatti tutti s’odon di Bologna, e belli ebrutti” perché le lavandaie, essendo state “in questecase e in quelle”, costituiscono una fonte inesauribiledi pettegolezzi e chiacchiere, quasi una gazzetta per ladiffusione delle notizie in città. Ma a questo aspettol’autore, che utilizza il dialetto nell’opera per conferi-re ai dialoghi maggiore aderenza alla realtà, affiancaaltri temi meno leggeri: la distinzione tra chi si trovaa lavare i panni (lavèr i pagn) tra le tante altre man-sioni, essendo a servizio presso una casa padronale(l’è un viver molt dur quel d’nu altr servitur) e chi inve-

ce esercita il mestiere in proprio (– mo vo havì alman-ch la vostra libertà!), anche se in entrambi i casi occor-re sottoporsi a turni di lavoro gravosissimi (a tgnéntirar al dì e la not s’a vlen manzar “dobbiamo sgobbaredi giorno e di notte se vogliamo mangiare”), tanto daarrivare ad allattare sul canale (– al mia tusèt, l’è unbon pez ch’an t’ho da ‘l tet!); la solidarietà tra colleghe,che si aiutano svuotando il contenitore del bucato(olla), permettendo alle nuove arrivate di inserirsinella fila di chi è già intenta a lavorare o di recupera-re (pescar) con un gancio (grafi) un indumento cadu-to in acqua, oppure di assentarsi momentaneamenteper ragioni personali, raggiungendo il porto dellacittà (a vo fin a le nav a vder s’al fuss arrivà mia marì

149 Il lessico e il racconto delle acque

Lavandaie sul canale di Reno presso la Certosa, inizio secolo XX.

ch’andò a Frara “vado fino alle navi per vedere se èarrivato mio marito, che è andato a Ferrara”).

Assistiamo ancora ad accese discussioni, puredovute agli inconvenienti causati dal traffico chescorre vicino al canale : “tirav innanz un pas con qualcar, tant ch’a passà, siv sord? Olà biolch a ch’dighia och’ balord, m’hal mo tut quant lord sti pagn e al bso-gna ch’ai torna a lavar!” (“andate avanti un po’ conquel carro, tanto da riuscire a passare, siete sordo?Olà bifolco, con chi parlo? Che balordo, mi ha tuttoinsozzato questi panni e mi tocca rilavarli!”). Sitenta, infine, di stendere (dstendr) il bucato (la bugà)per asciugarlo (sugar), nonostante il tempo volga albrutto (al s’è inturbdà), predisponendo il filo (corda) ela pertica (furcela) per tenderlo, ma il vento di tra-montana (muntàn) è troppo forte e spazza via tutto,tanto che bisogna portare a casa la roba ancorabagnata e tentare almeno – tra la sera e la notte – diasciugarla un po’ (impassìrla).

Nella produzione letteraria della città, nel secolosuccessivo, una lavandaia è la protagonista, vedovadi un prem master del filatoi, di una commedia anoni-ma, La Fleppa lavandara, pubblicata nel 1741 e ripro-posta in vari teatri italiani nel 1987 (con Erio Masi-na primo attore e Gianfranco De Bosio regista),men-tre nell’Ottocento Al batòc’ (“il lavatoio”) è il titolodi un “ bozzetto dal vero” di Raffaele Bonzi, cheenfatizza soprattutto le chiacchiere e i bisticci dellelavandaie al canale, pubblicato nel 1928 con la pre-fazione di Alfredo Testoni. Un tema ripreso poi nel1970 da Franco Cristofori, che ricorda – in un testoin lingua – le lavandaie al lavoro al tempo della suagiovinezza:

“Il canale, a Porta Castiglione, correva per qualche deci-na di metri allo scoperto: dalla chiesa della Misericordiaa via Castiglione. D’estate era un rigagnolo; un’acquatorbidiccia, che si muoveva appena, e se ci si gettava unturacciolo se ne andava pian piano verso l’arcata e làsostava in giri lenti e larghi; poi spariva nel buio.Nella spalletta bassa, tutta sbreccata, s’apriva un varcoper le lavandaie: una scaletta, pochi gradini di matto-ne, e una banchina, pure di mattone, con i mastellipieni di biancheria e i pezzi di sapone, gialli. Allineatelungo la spalletta, le cariole; e sulla spalletta i figli dellelavandaie a far la bada [...].

Adesso l’hanno coperto, ma non me ne dolgo: è beneche dell’adolescenza ci rimangano soltanto i ricordi,dentro, nel cuore. Lo rammento un bel canale. D’esta-te bellissimo.L’Argia, che non aveva figli, mi chiedeva di accompa-gnarla. Mi sembra, adesso, che tutte le lavandaie can-tassero. Forse è soltanto il canto di una che torna.Ero seduto sulla spalletta, le gambe penzoloni, e il solefaceva luminello sull’acqua. La lavandaia cantava,immersa nella corrente fino al ginocchio, le gambebianche e piene, la camicetta aperta. Quando si piega-va, il sole le sfiorava i seni fatti pieni dalla positura.Tuffava il lenzuolo girando il busto con grazia e la tela siallargava sull’acqua, si gonfiava e s’immergeva poiondeggiando.Lei si raddrizzava, teneva il lenzuolo sollevato, tuttogocciolante, quindi lo deponeva sulla banchina e, cosìpiegata, per l’energico muoversi delle braccia – unamano stringeva il sapone, l’altra il bruschino – il senovibrava e il sole, che penetrava obliquo nella scollatura,creava ombre e candori [...].Ma seguiamo la descrizione del lavoro delle lavan-

daie, più attenta alle pratiche tecniche, raccoltaqualche anno fa da chi scrive durante un’intervista aBruna Mazzanti, che si affida alla propria memoria diosservatrice:

Con al sòul, con l acua, con la naiv o al giaz èl i arivè-ven con èl cariól carghi d linzù e d tótt al rèst dlabughè. A i n éra ed tótt li etè, al scavèven al zavàt, as mitèven dènter una bòtt, una mèza cassatta e altachèven a savunèr, sbruschèr e smuièr. Po carghèvenun ètra volta la carióla e turnèven a ca. Cué i cum-pandèven la bughè int al mastlàn e i trèven so acuabuiànta e soda. I turnèven al dé dòpp a smuièr, i turnè-ven a cumpander incossa int al mastlàn, i cruvèven conal zindrandel, i mitèven in vatta la zander ed laggna, poi vudèven in vatta l acua buiànta. I cruvèven al mastèlcon di sach parché la stéss chèlda al pió pussébil e al dédòpp i tirèven l alsì. I lasèven sguzlèr pulìd, po dòpp ic’cumpandèven, i mitèven incossa in vatta a la cariolae èl turnèven al canèl a arsintèr. I turnèven a carghèr lacaratta e andèven a ca a dstènder. L éra una vétta chese èl dòn i lavéssen da fèr al dé d incù l andarén a finìrint al canèl insàmm ai linzù!(Con il sole, la pioggia, la neve e il freddo più intenso,

150Fabio Foresti

arrivavano con le carriole cariche di lenzuoli e di tuttoil resto del bucato. Ce n’era di tutte le età, si levavanole ciabatte, si mettevano nel loro posto e incomincia-vano a insaponare, sbruscare e strofinare. Poi caricava-no un’altra volta la carriola e tornavano a casa. Quimettevano in un grande contenitore la roba più grossae più sporca sotto e via via le cose più delicate, buttan-dovi sopra acqua bollente e soda. Il giorno dopo torna-vano a strofinare e a sistemare ogni cosa, coprivanotutto con un lenzuolo di tela molto fitta dal quale nondoveva passare la cenere, mettevano sopra la cenere dilegna, quindi gli vuotavano sopra acqua bollente.Coprivano il contenitore con dei sacchi perché stesse ilpiù possibile calda e il giorno dopo toglievano la lisci-via, cioè l’acqua nella quale si era bollita la cenere.Lasciavano sgocciolare ben bene, poi tiravano fuori dalcontenitore il bucato, mettevano tutto sulla carriola etornavano al canale a risciacquare. Caricavano dinuovo la carriola e tornavano a casa a stendere. Era unavita che se dovessero farla le donne d’oggi finirebberonel canale insieme ai lenzuoli!).3.2. All’acqua dei pozzi, pubblici e privati, e delle

fontane, alle quali attingono anche per la vendita gliacquaroli ritratti nel Seicento dal Mitelli (in Vianelli 1969), la popolazione ricorre prevalentemente per gliusi potabili e alimentari.

Ancora nella seconda metà del XIX secolo, lamancanza di un acquedotto (attivato nella città sol-tanto nel giugno del 1881!) costringeva la popolazio-ne a continui disagi e privazioni e a rifornirsi comeriusciva e poteva. Le cronache dei giornali del tempo(«Gazzetta dell’Emilia», 25 marzo 1880) trattanospesso dei problemi dell’approvvigionamento idrico:“A proposito d’acqua, se ne deplora la solita mancan-za nella fontana di piazza Maggiore, la quale fino asabato rimane a secco, con grave disturbo dei cittadi-ni”. Due anni prima, il 24 marzo 1878, lo stesso foglioera stato ancora più puntuale e dettagliato nel fornireuna notizia consimile: “È noto che una grande quan-tità di persone si affolla a prendere acqua alla fontanapubblica del Nettuno, la sola che per ora ne abbia.Però neppure questa bastando all’uopo, molti reca-vansi anche nel cortile della Cisterna, entro il palaz-zo comunale per attingervi acqua. La cisterna sin quiera guarnita della catena di ferro e relative secchie.

Ma che è, che non è, da vari giorni la catena e le sec-chie sono sparite e le povere donne del popolo sonodisperate perché non possono tirar l’acqua dalla cister-na se non portando con sé la corda e la secchia…”.

Nella fontana del Nettuno la funzione primaria diutilità (pur talora intermittente, come s’è visto) sisomma alla forte carica simbolica rappresentata nelcontesto della città dalla statua del dio (al Zigànt),come evidenzia una delle rare indagini sociologichecompiute sul centro storico (Rescigno Di Nallo1970) e come testimonia anche il sonetto di Adria-no Banchieri (1629) A unòr dla Funtana in piazzad’Bulogna:

Pr mustrar ch ‘Bulogna sippa un marI an erett in piazza al Diè NettunEminent a Siren e a mascarun,Ch’buttan acqua a bzeff a tutt’andar.I passazier si ferman a guardarE stupefatt i disin zascadunCancar sti Bulgnis ‘n son minchiunvet ve’ l’belli cos chi san far.I adocchian po qui quattr funtanin,

151 Il lessico e il racconto delle acque

Il canale delle Moline in un’incisione di Antonio Basoli.

ch da divers donn son guardàcon qul’acqua d’niclizia,ch par vinA tutt ai vien d’bevern ansietàE con pagar arisg un tri quattrinSiè ampullin i in sgozlan in t’un fià(Per mostrare che Bologna è un mare hanno eretto inpiazza il dio Nettuno, che si erge su sirene e maschero-ni che gettano acqua in quantità e in continuazione. Ivisitatori si fermano a guardare e meravigliati diconoche i bolognesi non sono da poco, guarda che belle cosesanno fare. Osservano poi quelle quattro fontanineintorno, custodite da diverse donne, con quell’acquabuonissima che pare vino. A tutti vien desiderio diberne e pagando un prezzo modesto ne tracannano inun fiato sei ampolline).A soddisfare i bisogni di acqua della popolazione,

per bere e cucinare, sono tuttavia soprattutto i pozzi,cui si attribuiscono puntuali denominazioni (degliOceletti, Rosso da san Damiano, di san Petronio, ecc.).Sono curati da pozzai, addetti alla loro costruzione emanutenzione, hanno una muraglia interna di rive-stimento (camisa), un parapetto (dèlta), un’apertura(fnestra) e sono dotati di scuèder o erre, uno strumen-to di ferro a forma ricurva appeso accanto al pozzo perfissarvi la fune (corda) o la catena della carrucola(zirèla) di un secchio (calzèider, nell’italiano localeantico calcedo), fissato alla fune tramite un ferro

ripiegato (muiètta) e, infine, del tramàz, un congegnoa leva costituito da una pertica posta in equilibrio suun palo verticale per tirare l’acqua dal pozzo.

Anche di quest’acqua, oltre che di quella dei cana-li, si occupa una commissione della Società medico-chirurgica di Bologna nel 1886, permettendoci diconstatare che ancora alla fine dell’Ottocento eranovisibilmente tangibili i disagi e i pericoli determinatidal sistema dei canali e dei condotti:

[…] il sottosuolo ha proprietà peggio che cimiteriali,come apparisce dalla qualità delle acque dei pozzi e daltanfo nauseoso che risale su dai fognoni semiaperti(…). Il canale di Reno, scoperto com’è nel suo lungotragitto, costituisce un’indecenza e tutt’insieme unaminaccia continua alla salute dei cittadini per gli usiche si fanno delle sue acque immonde, le quali tra loimmettervi fogne o latrine e per le lavature di bian-cherie sudice sono niente di meglio che una diluitasoluzione di feci, di urine ed altre materie organicheputrescibili. Or bene, in acque tanto immonde si lava-no, per nettarli, i panni sudici e d’estate vi si tuffanoper godimento e nettezza del corpo moltissime persone(chi potrebbe supporlo?) e i barilai attingono da que-sto canale l’acqua per portarsi nelle case private perbagni e forse in molte cantine, come in passato, perdiluirvi il mosto od il vino; e gli inservienti municipa-li ne pompano l’acqua dentro le botti destinate all’in-naffiamento delle strade cittadine, spargendo in talmaniera una vera miriade di microbi morbigeni (inCristofori 1965: p. 22).Il fetore e il puzzore che provengono dagli scarichi

delle case e delle manifatture accompagnano la vitadella città e dei suoi strati sociali più bassi (nella stes-sa opera di Croce sopra analizzata, del 1609, unalavandaia confida di dover cambiare casa perché ilmarito non ce la fa più a stare in Fregatette, l’attualevia del Fossato, dove “ai è una puzza ch’al n’si poldurar” (c’è un puzzo insopportabile). Contro un talestato di cose, come testimoniano i numerosissimibandi emanati (puntualmente registrati in Zanotti2000), tentano di contrapporsi – inutilmente – persecoli le autorità di governo, anche per evitare conta-gione et morbo. A questo pesante contraltare dellainnegabile, polivalente utilità delle funzioni svoltedalle acque – cui la comunità associa un valore posi-

152Fabio Foresti

Il ponte della via Cavaliera (nell’ultimo tratto di via Oberdan)e il canale delle Moline.

tivo – occorre tuttavia aggiungere ancora l’umiditàdiffusa, gli straripamenti, il fango delle strade (per cuiil dialetto dispone di molti termini specifici, sói,paciùgh, mèlta, lazza, paciacra), gli stilicidi, cioè l’acquache spiove trasversalmente dai tetti senza grondaie odozze, inzuppando chi per strade camina, quello – infi-ne – che oggi si chiamerebbe una specie di inquina-mento acustico: prodotto ad esempio dalle ruote e daimeccanismi dei mulini da seta (il gran rumore dei fila-torii, sottolinea Bumaldi 1660) e, più in generale,come testimonia Antoine Claude Valery, un viaggia-tore francese del primo Ottocento (Sorbelli 1927-33), dal “chiasso industriale delle officine, delle filan-de e delle fabbriche che non annunziavano affatto ladotta Bologna” girando per la città.

4. Quasi cent’anni prima, nel 1731, un altro fran-cese, Jean-Baptiste Labat (Ibid.), rimarca ancora unavolta la centralità dell’acqua per la vita economica diBologna, seguendo un leit-motiv dominante delledescrizioni urbane compiute dai viaggiatori stranieri:

I suoi abitanti, laboriosi e industriali, hanno talmentecurato il piccolo fiume che esso non fa un passo senzarendere un servizio ai suoi padroni. Vi si vedono mulinida carta, altri per segare il legno che scende dall’Ap-pennino, dei martinetti per forgiare il ferro e per pulirele canne da fucile, per pestare le scorze e le erbe divalle, per conciare i cuoi, per far l’olio, per la canapa eil vino, per macinare ogni sorta di grani, per filare laseta, torcerla e farne matasse e per un’infinità di altrilavori che richiederebbero molto più tempo e spesa, sesi dovessero impiegare uomini e cavalli.Un’attività multiforme ed alacre descritta da

Adriano Banchieri nel 1629 in un suo vademecumdella città, quando la guida (un apparecchiatore daseta), che sta illustrando le più significative peculia-rità di Bologna, afferma:

driè al nostr fium Ren s’ved divers edifizi ch’lavoranindustriosament a forza d’aquadutt e in particular almirabil filatuoi dala seda […], appres al sgar dl tavl,mulin da carta e da furment […].(in un’area nei pressi del canale di Reno si vedonodiversi edifici ove si lavora industriosamente grazie acondotti e, in particolare, il mirabile mulino da seta,poi la segheria, mulini da carta e da frumento).

Una vera celebrazione delle acque, viste in funzio-ne del lavoro e dell’ingegno che le condiziona, laquale viene di volta in volta confermata nel tempo,quando si definiscono città le aree urbane dove siconcentrano i più importanti cicli di lavoro che uti-lizzano l’acqua: così le fonti sei-settecentesche chia-mano città delle Moline la zona servita da un ramo delcanale di Reno e così Bumaldi nel 1651 denomina ildistretto di via Polese (“picciola città potea dirsi quelluogo pieno di acquatiche machine a mille politiciusi utilissimi destinate”). E già nel 1513 GiovanniFiloteo Achillini nel suo poemetto in ottave Il Virida-rio esalta il ruolo delle acque bolognesi:

“Quanti edifici son sul nostro fiume?Quante moline, rote, seghe e carte?Quante valchiere e purghi? Ogniun prosumeogni dì renovarli ingegno et arte.Quante legna ci vengon dal cacumede le fredde Alpi da lontana parte?Quante tinture habbiam di seta e lana?A scriver tutto la mia penna è vana”.4.1. Vastissimo è, in effetti, l’insieme tipologico

delle attività dipendenti dalle acque nel contestourbano. Rinviando ad altra sede l’analisi – insieme aquella del suo lessico – di una tra le più importanti, ilciclo di lavoro della seta, dalla bachicoltura alla con-fezione dei prodotti finiti, dedichiamo qui un brevespazio all’attività dei tintori, i quali – pur essendo for-temente collegati all’Arte della seta – estendevano amolte altre corporazioni artigianali la loro collabora-zione professionale.

Gli statuti dell’Arte dei tintori, costituitasi auto-nomamente soltanto nel 1580 proprio per tale sua“trasversalità”, si riferiscono succintamente – nelventesimo capitolo – alle fasi lavorative, alle tecni-che di esecuzione e alla gamma di filati, tessuti e capidi vestiario su cui si interviene:

Per arte principale della Tintoria si intende ogni tra-smutazione, rinfrescamento, alterazione o sminuimentodi colore infisso, attaccato, o incorporato per attuffa-mento, immergimento o irrigamento di acqua fredda,tiepida o calda, artificiata o amaestrata, pura o mista,sopra drappi, pezze, scampoli, gavette, matasse, torselle,abiti, veste, calze, scapini, capelli, feltri, baretti, cinto-le, cordelle, fili o altre cose cucite o meno, naturali o

153 Il lessico e il racconto delle acque

meno, e inoltre lana, seta, bambace, filo, bavella, lino,caneva, pelli, corami (Rosi 1979-80: p. 198).Si precisa che le forme gavetta e matassa devono

assumere una specifica accezione – al momentoindefinibile – in relazione al materiale di riferimen-to, dato che il primo termine significa “matassa” nel-l’italiano locale e in dialetto (gavatta), rispetto all’i-taliano antico “piccola matassa di corda” (GDLI);torselle (pure femminile nel dialetto tursèl, in con-fronto all’italiano antico torselli) vale “rotoli di tela”;scapini e bavelle indicano – rispettivamente – “pedu-le, le parti della calza o dei calzini che ricoprono ilpiede” e, probabilmente, prodotti con il cascamedella seta, poiché in dialetto bavela significa “filo chesi trae dai bozzoli messi nella caldaia prima di cavar-ne la seta”; bambace, infine, dovrebbe designare unprodotto del cascame della filatura del cotone, piùche genericamente “bambagia”.

Tenendo presente che le operazioni da eseguire,con accorgimenti particolari, variano a seconda

delle caratteristiche delle fibre (di lana, seta, cotone,lino, canapa) e degli oggetti già definiti, in generale letecniche per colorire (ténz·er) prevedono l’acquisizionedelle sostanze necessarie, le quali vengono preparatedapprima da un maestro dell’arte in un mortaio(murtèl), quindi mescolate con l’acqua in un conteni-tore (tén “tino”). Si ottiene così il bagno di tintura(bagn), una soluzione di acqua impregnata di colorantivegetali e di mordenti, sostanze utilizzate per fissarlisulle fibre (per esempio il lume, dial. lómm, cioè l’allu-me potassico). Ciascun colore era estratto da unasostanza vegetale (ténta), quale la galla (dial. gala), uninvolucro legnoso o coriaceo che avvolge i frutti diuna famiglia di piante arboree, le Cupulifere, da cuiper macinazione si ricava una sostanza impiegata peril colore grigio; il guado, pianta erbacea delle Cruci-fere, le cui foglie macerate davano l’azzurro turchino;la robbia, una pianta delle Rubiacee da cui si estraevail colorante rosso utilizzando il rizoma (e il nero dalleradici); vertiuola (vidariól), cioè l’afaca, un’erba dellePapilionacee, nelle sue varietà romana e todesca, usataper produrre il giallo, un colore che si traeva anchedalla corniola o ginestrella; il verzino (TB), pianta ilcui legno serviva per il rosso e, dopo la scoperta del-l’America, il campeggio (campàz), un albero dellePapilionacee che dava una sostanza colorante perottenere la tintura in nero.

L’acqua artificiata, amaestrata, pura o mista deglistatuti identificano altrettante soluzioni a gradazionedi acidità, oltre che di colore, variabile, messe apunto nella bottega (tinturì), i cui significati restanoincerti. Quanto doveva subire il processo di tinturaera immerso in una grande vasca (vasèla), dove siinzuppavano nella soluzione a temperatura diversa,da tiepido-fredda a bollente, i tessuti trattati per illungo o distesi in tutta la loro larghezza. I procedi-menti di tintura, che portavano alla trasmutazione, alrinfrescamento o allo sminuimento del colore, cioè –rispettivamente – a cambiare il colore, a ravvivarlose sbiadito o a diminuirne l’intensità, avvenivano invari modi, che le definizioni statutarie non chiari-scono completamente: per attuffamento, con un’im-mersione del prodotto che sembra di breve durata,per immergimento (che indica un’azione prolungatanel tempo) e – infine – per irrigamento, forse la tecni-

154Fabio Foresti

Bagnanti nel canale di Reno in via della Grada, inizio secolo XX.

ca più radicale di tintura, dal momento che il colore(come ancora ricordano gli statuti) veniva cosìincorporato, mentre con il primo procedimento infis-so e con il secondo attaccato. A processo ultimato, iltintore (tintòur), insieme ai suoi collaboratori (garzo-ni e altri), appendeva i panni ad asciugare nelle chio-vare, cioè in telai di legno muniti di tettoia, dovetendeva le pezze di stoffa fissandole ai lati mediantechiodi (da cui, appunto, il nome); a strutture deno-minate poi – almeno dall’Ottocento – rastlìr più par-ticolarmente si attaccavano su asticciole infisse lematasse, mediante una pertica armata in cima di unferro adunco (nel suo insieme, furzèla) per raggiun-gere le posizioni alte.

5. La rete delle acque di Bologna può essere inter-pretata come un racconto, caratterizzato da elementiricorrenti dello scenario urbano: gli artigiani, i loromestieri all’aperto e gli opifici con l’acqua che vi ron-zava dentro, i percorsi dei canali e dei condotti, insie-me ai muretti cui affacciarsi, i guazzatoi sulle rive pergli animali, le lavandaie alle sponde e i panni stesi, inomi evocativi delle chiese (San Bartolomeo di Reno,Madonna del Ponte delle Lame, SS. Girolamo edEustachio detta Le Acque, Crocefisso delle Navi, SanMichele del Ponticello, Madonna della Grada, SantaMaria dell’Aposa, Santa Maria della Chiavica, degliAnnegati, Sant’Antonio di Savena); e ancora ilGigante, come la gente chiama la statua del Nettuno,le insegne delle osterie (la Barchetta, del Fiaccalcollo,la Nave, i tre morelli, Vianelli 1973), i ragazzini che situffano per bagnarsi e nuotare, i ponti, grandi e piccolie le passerelle.

5.1. Questi, nel loro insieme, sono numerosi e assol-vono per lungo tempo in una città d’acque il compito diassicurare gli spostamenti e la mobilità di persone, mezzie animali (per esempio gli asini, come riferisce Bumaldinel 1660, che “tutto il dì vanno dalla città nostra alfiume Savena con due sacchi sopra le spalle pieni dirusco, perdizzo [pattume, pietrisco] e terra cavate dallecase particolari dei cittadini e ritornano dall’istessofiume carichi medesmamente di sabbia grossa detta sab-bione. Angeli di Savena si chiamano per ironia, per latardità grandissima connaturata a quelle bestie, aggiun-tovi il peso di quei due sacchi sempre pieni”).

I ponti più importanti sono in muratura e pietra,attraversano l’Aposa e i canali del Savena e delReno: sul torrente vi sono i ponti di san Bernardo,del Crocefisso del Cestello, di Ferro, di San MicheleArcangelo. A uno di questi, il 20 novembre 1907,Giovanni Pascoli dedica Il ponte sull’Aposa, una ispi-rata poesia dei suoi Canti di Castelvecchio:

Aposa trista! Il povero al tuo pontesosta, e non altri. Siede sul sedile,né guarda: non a valle non a montenon alle torri lunghe e sdutte, che oggisfumano in grigio, non a quelle filed’alti cipressi tra i castagni roggi:ascolta a capo chino, ad occhi bassi,te che laggiù brontoli cupa, e passi.A te vengono gli uomini infelici,Aposa trista! E nella solitarianotte a qualcuno tristi cose dici.T’ascolta a lungo. E poi, quando una foglia

155 Il lessico e il racconto delle acque

Un particolare del “Gioco della Città di Bologna” (1691) diGiuseppe Maria Mitelli, dove si evidenziano il porto e il gergoche vi si parlava.

Secca di platano, a un brivido d’aria,sembra un fruscio di gonna su la soglia:ecco quell’uomo non è più: dirupa...tu passi, e dopo un po’ brontoli cupa.Aposa trista! E l’Aposa risponde:– Vien l’usignolo, a marzo, tra le acace!Al gorgoglio delle mie picciole ondeSta prima attento, a lungo impara, e tace.Ma poi di canto m’empie le due sponde;e il canto suo già mio singulto fu.Canta al suo nido, al nido suo di fronde;di quelle fronde che cadono giù...Sull’Aposa viene costruito fin dal XIII secolo un

particolare ponte (pant canèl “ponte canale”), che

permette l’attraversamento del torrente non soloalla strada, ma anche alle acque del fossato dellemura. A parte il canale di Savena, scavalcato da unponte ad esempio nel Fiaccalcollo, è sul canale diReno che si addensano i manufatti. Ecco un brevebrano, tratto da una “notificatione di appalto” del1684 per eseguire la manutenzione dell’alveo, da cuisi evidenzia la loro presenza nello spazio urbano(Zanotti 2000: p. 482):

[…] anco sotto il ponte delle Lamme per di sotto dallaporta del Cavadizzo sino per tutto il ponte del torresot-to da san Giorgio […] per di sotto dal ponte della Casadel signor conte A.B., seguitando sino alla macellaria di

Galiera […] sino al ponte del Guazzatore sino al pontedel torresotto di san Tomaso […].E ancora sono da menzionare il ponte di Morando

(dove era la cosiddetta punta di Morando, all’iniziodell’attuale via Marconi), dell’Abbadia, della Grada,di Galliera, della Carità (all’incrocio tra via san Feli-ce e via Riva Reno), sul quale Riccardo Bacchelli ambienta uno dei capitoli centrali del suo romanzo Ildiavolo al Pontelungo, del 1927, intitolato appunto Ilponte della Carità.

Tra i tanti ponti senza o, più verosimilmente, dicui non ci è giunta la denominazione ufficiale e con-divisa, ne ricordiamo alcuni che conosciamo per iltramite dell’oralità, grazie a toponimi di tipo affetti-vo ricordati da Alberto Menarini (1964, 1969): pantdi Stécch, caro ai suicidi, tra la Certosa e porta sant’I-saia, pant dla Saiga, all’incrocio tra borgo delle Casse(ora via Marconi) e via Ripa di Reno, il Puntgén invia di Ravone e altri ancora.

Costruito de prede de fora et il resto de sasi e mase-gne (come una fonte tardo-cinquecentesca precisa),ogni ponte (pant) ha la parte fondata sulla riva ocoscia (culatta), il volto o arcata (èrch) con i propripeducci o pietre di imposta (it. loc. peduzzi), le spon-de e i parapetti (rispettivamente, nell’it. loc. moraie,morelli, in dial. murài, murèl). Come per altri manu-fatti, vi è un addetto o pontiero incaricato di sorve-gliare e curare la manutenzione (risarcire), che lefonti attestano come continuamente necessaria, acausa di sgrotature cioè cedimenti (cfr. dial. sgrutèr“franare”) nei fianchi della volta, di peducci ruinati erotti e così via.

I ponti potevano essere anche di legno, di struttu-ra imponente e destinata a durare nel tempo, comela pedagna (lunga circa trenta metri), di rovere esostenuta da venticinque agocchie, sul torrente Save-na, nei pressi della chiesa di Sant’Antonio (nell’at-tuale via Massarenti), rimasta in funzione dal 1536fino alla metà del Settecento (Zanotti 2000: pp. 362-364); oppure poteva trattarsi di semplici assiti a pelod’acqua o sistemati su pali per il passaggio pedonale,i quali mantenevano la stessa denominazione dipedagna (dial. bdagna). I manufatti di questo secondotipo dovevano essere senz’altro molti, disseminati incittà nelle zone dove più fitta era la trama della

156Fabio Foresti

Una veduta settecentesca del porto navile di Pio Panfili: nel piaz-zale si svolgono le operazioni di carico e scarico delle merci con icarri per il trasporto alla sede principale della Gabella Grossa.

canalizzazione, se Carlo Salaroli nella prefazionedella sua guida Origine di tutte le strade, sotterranei eluoghi riguardevoli della città di Bologna, pubblicata nel1743, li ricorda con molti particolari, fornendocicome dal vivo un’istantanea sulle concrete condizio-ni delle strade e della loro percorribilità tra il XVIIsecolo e il successivo:

L’Ecc.mo Senato ha fatto spianare, livellare e seliciaretutte le strade e vie, levando alcuni ponticelli, bocchedi chiaviche e altro che venivano d’incomodo al tran-sito delle carrozze e dei carri (…). Nel fine poscia delsecolo passato furono levati molti ponticelli larghi ealti o a mezzo a moltissime strade ancora strette rim-petto alle porte delle case de’ Nobili o vicino allemedesime o pure nelle cantonate delle vie e case, iquali servivano acciocché il passo si rendesse sicuro elibero al corso in tanto l’acque scorrevano dopo lepiogge: in mancanza di tali ponticelli vi si trovavanoconficcate in terra alcune pietre larghe ed alte affineche ci si passasse sopra a piedi sicuri.5.2. Per secoli, dai ponti e dalle sponde dei canali

ci si tuffa in acqua, nonostante i divieti: la disposizio-ne “che alcuno non possa nuotare dal ponte dellaCarità sino a quello di Galliera”, per esempio, si ripe-te costantemente almeno dal primo Seicento all’Ot-tocento, ma invano, se ancora nell’agosto del 1912un giornale locale, «Il Resto del Carlino», pubblicaun trafiletto intitolato Bagnanti in contravvenzione:

Ieri dai carabinieri della stazione di Ponente furonodichiarati in contravvenzione certi G.C. di anni 16droghiere, abitante in via Mazzini 8, ed i fratelli E.Z. dianni 14 e G.Z. di anni 13 abitanti in via del Pratello, iquali stavano bagnandosi nelle acque del canale diReno senza il costume.Ecco come Franco Cristofori descrive una scena

simile nel 1971, ambientandola nei pressi di portaCastiglione, in una sorta di sceneggiatura – affidataalla memoria – scritta per ricostruire la storia visivadella propria infanzia (Bologna magra, dal capitoloGiorno d’estate):

Più tardi arrivarono i ragazzi a fare il bagno. C’era,contro il muraglione, mezzo metro d’acqua. Ammuc-chiarono i calzoni, le scarpe e le maglie sopra la spal-letta. Il canale ribolliva. Uno si immerse tutto, supinosul fondo: ogni tanto metteva fuori il viso, le gote

rigonfie, e spruzzava in aria l’acqua. Altri, seduti nellacorrente, agitavano le gambe o, gridando, lottavano, echi era finito sotto riemergeva tossendo, tutto conge-stionato. Un ragazzetto, piccolo e bruno, si allontanòcorrendo nell’acqua ormai tutta una schiuma: agitavauno straccio. – Sporcaccione, ridagli le mutande! – Lelavandaie ridevano. […] Una addirittura lagrimava.L’urlo arrivò all’improvviso: una voce di bimbo, il fra-tello di uno dei bagnanti. – La pullaaa! [la guardia].Il desiderio di bagnarsi non era però soltanto dei

ragazzini, ma riguardava anche il resto degli abitantiche avevano necessità di lavarsi e di rinfrescarsi. Alriguardo, prende posizione la «Gazzetta dell’Emilia»nel luglio del 1880:

Ogni anno, quando siamo nel periodo dei calori ecces-sivi, si avverte il bisogno di un pubblico lavatoio. Inmancanza però di questo sembra a taluni troppo rigoro-sa la disposizione municipale che vieta il bagnarsi nelleacque della città anche dopo la mezzanotte, e coperti.Abbiamo in proposito ricevuto la seguente lettera:“Ill.mo Sig. Direttore, ieri sera, verso la mezzanotte,finito il mio lavoro giornaliero, mi portai in Ripa diReno per tuffarmi nell’acqua, essendo questo il luogopiù comodo e pulito; ma fui subito avvertito da alcuniche non potevo andare a bagnarmi senza cadere incontravvenzione. Non feci calcolo di quell’avverti-mento e mi spogliai, ma sopraggiunte le guardie mivietarono assolutamente di scendere nel canale anche

157 Il lessico e il racconto delle acque

Il settecentesco deposito del sale e il magazzino delle merci al-l’inizio del Novecento.

colle mutande. Allora, costretto da quell’imposizione,mi portai fuori sant’Isaia, località meno adatta e piùpericolosa […]”.5.3. Un ulteriore elemento, tra i più fondanti, del

racconto delle acque a Bologna è costituito senz’altrodal porto e dalle imbarcazioni, dal movimento incittà delle merci e dei passeggeri sbarcati, dal canaleNavile fuori dalla cerchia muraria che giungeva conle sue chiuse (it. loc. sostegni) fino a Malalbergo.

La navigazione interna mediante canali artificialiè documentata a Bologna e nel suo territorio a parti-re dai primi decenni del Duecento, quando la cittàviene collegata con una via d’acqua a Corticella. Lanatura argillosa e il dislivello del terreno creano tut-tavia gravi problemi, tanto che le imbarcazioni pro-venienti dal Po nel corso del secolo sono costrette afermarsi a Corticella o, successivamente, nel portodel Maccagnano, alla Bova, nelle immediate vicinan-ze della città. Con la signoria dei Bentivoglio (sulfinire del Quattrocento), mediante la costruzione dichiuse e di un nuovo fossato a destra dell’antico navi-le, si riattiva la navigazione fino alla città, cometestimonia nel suo Diario Gaspare Nadi:

Rechordo chome el signore messer Zoane [Giovanni II]

de Bentivoli andò insino a Chortessela adì 10 de zenaro1494, lì iera amanoade [preparate] sie nave e unobuzentorio, el quale avea fato fare el dito segnore e foordenado una bela prucesione de tute le regole di frati echanonisi e tute le compagnie de le arte e de li spiritua-le e uno vescovo foseno de fuora da la porta de Galieraa la riva del dito chanale e el dito messer Zoane venechon le dite nave a la dita porta e li fo benedete lenave,el dito chanale e sustiegnie.Tuttavia, nel 1515, si torna a far scalo a Corticella,

a causa dei continui interramenti del canale.5.3.1. Finalmente, dalla metà del Cinquecento, la

città dispone in modo stabile di un proprio portonavile, a ridosso delle mura interne vicino a PortaLame. Si trova su un ramo del canale di Reno, dettoil Cavadizzo, scavato fin dal XIII secolo e caratteriz-zato – come si è visto – da una forte pendenza tra ilpunto di derivazione e l’area a destinazione portuale.Costruito da Jacopo Barozzi, detto il Vignola,ampliando l’ultimo tratto del Cavaticcio, lo scaloaveva un bacino lungo 76 metri e largo 12, con unrattone, uno scivolo per poter eventualmente tirare insecco le imbarcazioni, e due banchine, destinate alleoperazioni di attracco e di carico e scarico dei natan-ti. A questo erano addetti i facchini, retribuiti secon-do precise tabelle in questo bando legatizio del 1714(in Rosa 1974-75):

per ogni nave che caricaranno o scaricaranno, in ognitempo, conforme porterà l’acqua, o più, o meno, soldi16, tanto nel caricarla che nello scaricarla e riporre lemerci destinate alla Gabella sopra i carri. Per quellenavi che si gabellassero per lo più al porto […] per ognisacco di galla la mercede dovrà essere di soldi 1 , perogni pane di zolfo soldi 2. E, dovendo pesare le suddet-te robe, la loro mercede dovrà essere duplicata. Per lebotti d’olio, per la fatica di caricarle al porto sopra carrie per pesarle alla stadera della Gabella, soldi 16. Per isacchi di formento, e biade, quattrini due per ognisacco. Per li barili di pesce, soldi tre per barile.Sulla banchina di destra vi era un magazzino per le

merci (quello che, già defunzionalizzato, agli inizi delNovecento era chiamato per la sua forma e per lanuova destinazione Cisa di lavandèr “chiesa dei lavan-dai”, tanto da venir confuso anche in pubblicazionirecenti con la chiesa della Compagnia del Crocifisso,

158Fabio Foresti

Il porto navile in un acquerello del 1715: A) portone di entra-ta, B) magazzino delle merci e uffici della dogana, C) banchinadi destra e piazzale, D) banchina di sinistra o ripa del gesso e,in alto, prato di Magone, E) abitazione del custode, F) magaz-zino del sale.

che un tempo esisteva nell’area portuale), contenen-te anche gli uffici dei dazieri, i quali dovevano com-pilare e consegnare a ciascun carradore la bolletta dellerobbe e merci, oltre ad altri stabili di servizio, tra cui lefonti finora consultate non citano un cantiere, alme-no per le riparazioni dei natanti che si fossero rese piùurgenti. Sul piazzale si trovava, all’inizio del Sette-cento, una stadera granda “capace di libbre 4.000 perpesare i colli di tratta grossi, come balloni di stoppa,balle di garzuolo […]” (Ibid.), al posto della quale –un secolo dopo – è in azione “un proficuo e dovutoutensiglio, la bella macchina del Paganuzzi servibileper tirare ovunque qualunque peso di mercanzia”(Gatti 1803). Da qui i carri risalivano lungo la stradadel Porto e la via Avesella verso la sede centrale dellaGabella Grossa, il dazio generale delle merci dellacittà, nell’attuale via Ugo Bassi.

Sulla banchina opposta, la Ripa del Gesso, si depo-sitavano i blocchi di gesso crudo che Bologna espor-tava dalle sue colline e, in uno spiazzo chiamato Pratodi Magone, i tronchi in arrivo per fluitazione (sul Sillae il Reno, come attesta Zanotti 2000), destinati allesegherie cittadine. Sempre su questa sponda vi sonoedifici di uso commerciale e, nel 1785, si costruirà ilnuovo grande magazzino del sale, la Salara, l’unicostabile ancora esistente di tutto il porto, restauratonel 1998 (Pesci e Ugolini 1995).

Per oltre tre secoli e mezzo, dal Cinquecentoall’Ottocento, il porto svolge un ruolo importantenel sistema delle comunicazioni commerciali tra lacittà e Ferrara, il settentrione d’Italia e Venezia, assi-curando la circolazione di merci e passeggeri lungo ilNavile. Adriano Banchieri (1635) fornisce un quadrodettagliato di questo servizio:

Da tal porto si transita artificiosamente per sostegni aCorticella lungi tre miglia e poi per canale, Po, Valle eLaguna si traffica l’utile mercantile di Venezia. Ognimartedì a sera di costì parte un corriero per Venezia, equesto conduce seco passeggeri e portalettere, groppi,fagotti, balle e ogni altro traffico mercantile. Poi incapo l’ottavo giorno il martedì mattina ritorna collerisposte, rimesse, lettere e mercanzie. Il sabato a seracon gli stessi requisiti parte un altro corriere pur navi-gabile per Ferrara. Per i signori forestieri che voglinobarca per Ferrara soli o in camerata ogni giorno della

settimana se ne trova allestite di partenza, eccettuati lidoi giorni suddetti martedì e sabbato, ché in tali gior-ni, per la partenza dei corrieri, non possono partirealtre barche.“Molt util e gran comodità – aveva scritto lo stesso

Banchieri nel 1629, in un’altra opera – st port ancoradà al cumerzi pr Frara, Mantua, Pavia e altr luoghmercantil”. Sono informazioni riproposte circa unsecolo e mezzo dopo (Gatti 1803):

parte il lunedì sera di ogni settimana il procaccia [cor-riere] di Firenze che va a Venezia, il quale seco prendequalunque forestiero e suo equipaggio per il prezzo dipaoli 55 spesati, e così pure segue il martedì sera colcorriere di Bologna per il prezzo di soli 50. Quei pas-seggeri pertanto che bramassero ire col primo devonorivolgersi alla Camera del medesimo permanente nellastrada Veturini sotto la locanda san Marco e quelli poiche acudissero andare col secondo è necessario si reca-no alla Posta delle lettere dirigendosi all’uffizio a ciòdestinato.La ricettività annua del Navile, secondo Rosa

(1974-75), era di circa 1.500 imbarcazioni, gravate –insieme ai loro carichi – da pedaggi e tassazioni capil-lari amministrati dalla Gabella Grossa. Questa istitu-zione aveva il compito anche di gestire in tutti i suoiaspetti il porto, un luogo sicuramente molto animato,che coagulava intorno a sé traffici e genti di ognitipo, fissando compiti e retribuzioni del personaleaddetto alle diverse attività, regolamentando – oltreal servizio dei corrieri – anche quello di noleggioofferto agli spedizionieri e ai viaggiatori dai paroni oproprietari dei natanti e dai barcaroli che effettuava-no i trasporti, disciplinando il traffico, come in que-sto bando legatizio del 1593 (Ibid.):

[…] i barcaroli e conduttieri in evento non arrivasseroa Bologna a hora di poter vuotar o scaricare la barca emerci, in tal caso debbono fermarsi vicino alla gradadel porto con la barca e merci la notte e la mattina poiseguente entrare con essa (…); non possono li condut-tieri, barcaroli et altre persone tenere nel porto intempo di notte alcuna nave carica, né meno possono sìdi giorno come di notte esse navi o vuote o carichetenerle legate dal lato del Gesso, ma si ben sono tenutilegarle dal lato del magazino, acciò si veda chi entra euscisse di dette barche […].

159 Il lessico e il racconto delle acque

Ancora, la Gabella verificava le condizioni igieni-che delle barche destinate ai corrieri e ai viaggiatori,si opponeva al contrabbando, ai furti e alle evasionifiscali, proibendo – tra l’altro – di giocare e di faretrebbi, cioè di riunirsi tra più persone, nell’area por-tuale. Qui, come in altre consimili e come di normain determinate attività professionali (Foresti 1990 a,c), si utilizzava una speciale lingua furbesca per lecontrattazioni e le varie operazioni, secondo quantoci informa Giuseppe Maria Mitelli nel suo Giocodella città di Bologna, una specie di grande gioco del-l’oca tracciato sui vari luoghi della città, nella casel-la del porto: “Qui è al port dl sport e qui s’negozia inzergh stram, ldam e malan per Malalbergh” (“qui c’èil porto delle sporte e qui si negoziano in gergo stra-me, letame e malanni per Malalbergo”).

5.3.2. Il vero e proprio Navile iniziava dopo l’usci-ta del canale dalla città, attraverso una grande portasulle mura. La porta era dotata di due imposte lignee“di rovera in due parte, alta piedi 8, larga 6 perparte”, con un “telaro di quaderlettoni di rovera inquadro et in croce” (relazione dell’Assunteria diMunizione, 1676, Ibid.) e, immerse nell’acqua, duegrate di ferro o ferriate di ferro doppio, il tutto precedu-to – dentro il porto – da una grossa catena azionata dauno speciale addetto, il catenarolo, che regolava iltraffico in entrata e in uscita. La cosiddetta naviga-zione superiore, fino a Malalbergo, avveniva in disce-sa seguendo la corrente ed era consentita da ben diecisostegni, chiuse del canale che rallentavano la corsadell’acqua, fornite di una conca laterale a due portoniper far passare le imbarcazioni e curate per la manu-tenzione da specifici addetti, i sostegnaroli. Cinquechiuse fino a quella di Corticella (Bova, Battiferro,Landi, Torreggiani, Grassi), altre tre (Chiusetta,Castelmaggiore, Bentivoglio) fino all’ultima – com-prendente anche il porto – di Malalbergo. Da qui ini-ziava la navigazione inferiore attraverso le valli, gran-di aree depresse della pianura invase dalle acque,verso il Po di Primaro che giungeva fino a Ferrara,quindi verso il fiume Po o con direzione Venezia.

Possediamo molte testimonianze riguardanti lanavigazione appena descritta ad opera di scrittori eviaggiatori stranieri (Sorbelli 1927-33): “Seguitandoil canale si ritrova Bentivoglio, molto sontuoso

palazzo sorto in fortezza con una torre, quindi navi-gando per il detto canale si passa Malalbergo, osteriainfame di nome e di fatto […]. Comincia poi la palu-de e con alcune barchette, che si chiamano sandoli,si va a una taverna e alla torre della Fossa, postasopra la riva del Po” (Andreas Schott, 1622); “Dopomezzogiorno salimmo in barca e navigando contro-corrente giungemmo verso le otto ad una casa dipescatori costruita per servizio delle poste […]. Amezzanotte cambiammo di nave presso Malalbergo eall’alba, a cagione degli ostacoli, specialmente dellechiuse, e per essere vicini alla città [di Bologna],decidemmo di proseguire il viaggio a piedi” (DanielPapebroeck, 1660); “Il corso del canale è così lentoche si impiega moltissimo tempo a fare il viaggio [daFerrara a Bologna] e ci si annoia mortalmente. Visono anche tante cateratte o salti che senza partico-lari espedienti sarebbe impossibile servirsi di questocanale per la navigazione, ma col mezzo di chiuseche si ha avuto la cura di fare ora si è rimediato a taleinconveniente” (Michel Guyot de Merville, sec.XVIII); “Partii per Venezia su un battello chiamato ilMessaggero, che parte da Bologna più volte la setti-mana. È la più detestabile vettura di cui un galantuo-mo possa servirsi. Da poco ci eravamo avviati, quan-do a poche miglia da Ferrara l’acqua era troppo bassae tutti quelli che erano nel battello dovettero scende-re a terra. Si misero i bagagli su delle carrette e noifummo fatti salire su delle specie di carrozze” (KarlLudwig Freiherr von Poellnitz, 1725); “Partii da Fer-rara sul far del giorno per traversare la pianura pienadi macchie e inondata d’acque, fino a Malalbergo, aotto miglia da Ferrara. La sera presi la corriera [comeal solito, un natante] che dopo una notte di viaggio cicondusse a Bologna” (Anonimo fiammingo, 1726).

La Gabella Grossa provvedeva alla manutenzionedel tratto fino a Malalbergo, che distava dal porto diBologna oltre 33 chilometri e richiedeva undici oredi viaggio (Rosa 1974-75), intervenendo ad elimina-re ogni ostacolo “per il quale possa essere difficolta-to, impedito e reso malsicuro il felice transito dellenavi” (da un bando legatizio del 1702, in Reggiani-Chiarini 1984), così come disciplinando le operazio-ni nel porto di Malalbergo, al fine di evitare le eva-sioni delle imposte daziarie: “[…] per oviare ale frau-

160Fabio Foresti

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di predette si ordina e commandaespressamente a tutti li paroni,barcaroli e nolezini di nave, e lorogargioni, che in avvenire non ardi-scano sotto qual si sia titolo, causa,quesito scaricare le loro barche,burchi, bozentori o qual si vogliaaltro legno se prima non haveran-no chiamato il capitano di Malal-bergo o suoi agenti e ministri”(editto legatizio del 1674, Ibid.).Nel tratto Bologna-Malalbergonon dovevano operare più di cin-quanta imbarcazioni e tra esse laprecedenza spettava al corriere dae per Venezia.

Il traffico sul canale era limitatomediamente a sette mesi all’anno acausa dell’insufficiente portatad’acqua, ma anche – durante inver-ni particolarmente rigidi – per laformazione di ghiaccio (e allora entrava in azioneuno speciale natante, la giacciarola, con lo scopo diriattivare la circolazione rompendo il ghiaccio).Annualmente la mobilità riguardava circa 2.500imbarcazioni, delle quali non tutte giungevano den-tro la città. I natanti viaggiavano maggiormentecarichi se si dirigevano a Malalbergo, meno gravatidi peso quando affrontavano il ritorno in ascesa,controcorrente, verso Bologna. In questo caso dove-vano ricorrere al traino ad opera di cavalli o buoi,che procedevano lateralmente al canale, sulle alzaie(nell’it. loc. restare, dalla forma antica resta “fibravegetale grossolana da cui si ricavava corda”, GDLI).

Nel 1878 il Genio Civile riferiva – in un periodogià di crisi per il porto – che il numero medio annuodelle imbarcazioni verso la città era di 1.284 (con untotale di 11.637 tonnellate di merci), mentre quellodestinato a Malalbergo consisteva di 944 natanti (con16.500 tonnellate trasportate). Anche se lo scalo diBologna aveva già perso da alcuni anni le sue funzio-ni, il Navile è rimasto attivo lungo l’intero tratto finoalla Prima guerra mondiale: l’ultimo barcone solcheràle sue acque nel 1948, anno che segna la cessazioneufficiale di ogni attività di navigazione (Rosa 1974-

75), definitivamente soppiantata davie e mezzi di trasporto più veloci,anche se spesso non compatibilicon il rispetto ambientale e ilrisparmio energetico.

Un vastissimo patrimonio disaperi, pratiche tecniche e lessico –mentre soltanto da poco si è avviatoil recupero materiale di alcunestrutture del porto e del Navile – siè disperso senza essere documentatoin modo anche lontanamente ade-guato e non possiamo perciò affidar-ci che alle poche e carenti fontiscritte che se ne sono occupate.

Tra le quasi inesistenti testimo-nianze orali, è disponibile un brevebrano tratto da un numero mono-grafico di «Scuolaofficina» (Se ilcanale potesse parlare, 1987), dedi-cato al Navile, in cui il nipote di

un barcaiolo ricorda i preparativi della partenza:Nonno Luigi, soprannominato al Rézz, trasportava risoda Bentivoglio alla pila del Battiferro e, qualche volta,dalla Fornace Cooperativa di via dell’Arcoveggio,laterizi per costruzioni […]. Le ultime ore del pomerig-gio mio nonno era indaffarato, doveva preparare laroba par al viaz: strigliava il cavallo, lo accarezzavadandogli un po’ di biada, puliva i finimenti, preparavaal bilanzén [asticella collegata con due corde alla funedell’imbarcazione da trainare], esaminava la lungacorda che sarebbe servita per il traino della barca.Riempiva due sacchi di spagna per nutrire il cavallodurante il viaggio, la mastella per abbeverarlo, unavecchia coperta per assorbire il sudore. Poi, in casa,con la nonna a preparare la roba da magnèr par chiomen. Poche cose, un pentolino di fagioli in umido,due pezzi di pane, dau ciupàtt, due fiasche di vino, unvecchio asciugamano di tela blu a righe bianche. Infi-ne la lanterna a petrolio per rischiarare durante lanotte la coccia, un bugigattolo con un pagliericcio apoppa della barca, dove a turno si sdraiavano gli uomi-ni durante il viaggio. Alle prime luci dell’alba, sottocasa, nel silenzio della campagna, udivo una voce:Rézz, a preparàn al burcèl! Dopo poco gli zoccoli del

Il lessico e il racconto delle acque

La terracotta di Camillo Mazza, untempo sulla facciata del magazzino del-le merci e della dogana (ora in cima al-lo scalone del palazzo Comunale) nelporto di Bologna.

cavallo rimbombavano lenti. Il nonno partiva per unaltro viaggio.Per i tipi di imbarcazione operanti nel Navile si

rinvia al contributo di Marco Bonino in questo stes-so volume, limitandoci qui a citare una relazione del1786 della Gabella Grossa (Rosa, 1974-75), chemenziona i più rilevanti, a ciascuno dei quali venivaassegnato un nome (quasi sempre di un santo):

bucentoro è una nave che ha la coperta, la quale daiparoni vien detta timo, fatta con qualche decenza ecomodità per servire ai passeggeri e loro equipaggio. Ilbucentoro dell’ill.ma Congregazione, il quale è l’unicoche sia nella navigazione superiore, non è diverso dauna nave grande, se non nel timo. Gli altri bucentoriin tutta la navigazione inferiore sono più piccoli e sonodiversi dai burchielli, se non che quelli hanno il timo equesti sono scoperti; nave o barca è quella che costu-masi nella navigazione superiore, per qualunque tra-sporto e tutte sono coperte ; burchiello è un legno sco-perto, minore della barca e maggiore del sandalo. Damolti il burchiello viene denominato sandalo, chia-mando poi il sandalo con sandaletto; sandalo è unlegno scoperto, più piccolo del burchiello e si usa nellanavigazione inferiore. Da molti è detto sandaletto.

6. Accanto alla funzione delle destinazioni e degliimpieghi, le acque identificano complessivamentenella città un ambiente di partecipazione e di interre-lazioni molteplici tra le persone e tra queste e lecose. Integrato, quasi sedimentato, nel contestoarchitettonico e urbanistico (a fianco di altri ele-menti centrali, quali i portici), il sistema delle acqueassume così un ruolo di spazio espressivo, comuni-cante – come sopra s’è ampiamente visto – valoriumani di socialità e di incontro, anche di svago ericreazione. È questa la funzione seconda, di rilevan-za simbolica, delle acque, percepita e interiorizzataper secoli dalla popolazione, sia che esse scorresseroin superficie sia che dessero vita a quel monumentoinvisibile che è la griglia dei condotti sotterranei.

Alla forte carica simbolica del “paesaggio delleacque” in città rinviano anche le pratiche della cul-tura popolare tradizionale come, ad esempio, l’im-portante festa del giovedì di mezza Quaresima, chia-mata Segavecchia, collegata ai riti della fecondità,

durante la quale il fantoccio di una vecchia – tagliatoe svuotato dei frutti e confetti che conteneva – eraportato in corteo sul ponte della Carità, all’incrociotra via Riva Reno e via san Felice, quindi gettatonelle acque del canale (Menarini 1969).

Del resto, a questa dimensione simbolica delleacque, così diffusa nel tessuto sociale e culturale, con-tribuisce anche la comunicazione linguistica: nelleparole tecniche dei mestieri e dei manufatti delleacque, negli stessi modi di dire e nelle locuzioni del-l’oralità dialettale corrente (per esempio andèr a l’a-cua “fare il bagno nel canale”, andèr/mandèr in t alcanèl “andare/mandare al diavolo”, parèir una ciavga“puzzare moltissimo”, èser un ciavgot “essere un granbevitore”), nella toponomastica urbana (Fanti 2000).

6.1. Le denominazioni di oltre cinquanta strade siriferiscono, infatti, in modo diretto o mediato, alleacque. Nell’ampia esemplificazione che qui si forni-sce si distinguono, per pura comodità espositiva, tresezioni: a) le acque e il loro ambiente; b) i manufattidelle acque; c) i mestieri delle acque.

Nella prima (a) si possono includere via Aposazza,dallo scolo così denominato che scorre vicino; viaAvesella, dall’antico corso del torrente Aposa(Avesa), che costeggiava la strada provenendo da viaGalliera; via Berleta, dal greto cespuglioso (barlàida)del fiume Reno; via della Beverara, ove era un luogoper abbeverare il bestiame, sull’antico corso del tor-rente Savena; via della Dozza, dal vicino alveo(duza) del torrente Savena abbandonato; via delleFonti, da una sorgente d’acqua minerale che vi sgor-gava, per lungo tempo luogo di cura e di svago; viaFossa Cavallina (ora via Cavallina), da un torrentel-lo che scorre nelle vicinanze; via del Fossato, dal fos-sato della penultima cerchia di mura; Fossato deiCastagnoli (ora vicolo Facchini), dal vicino fossatodella penultima cerchia di mura; Gangaiolo di Vald’Aposa (ora uno dei due tratti di via dei Griffoni),dall’antico corso del torrente Aposa; via del Gomito,da un’ansa dell’antico corso del torrente Savena; viadelle Lame, dall’area depressa della pianura spessoinvasa dalle acque (lama) del fiume Reno; via Mal-volta (ora via delle Armi), che si riferiva ad unmeandro del vicino corso del torrente Savena;Musomo (ora via Senzanome), da un antico terreno

162Fabio Foresti

163 Il lessico e il racconto delle acque

acquitrinoso (mosume); la via era anche nota comesguazatoglio, da un luogo lungo il canale dove siabbeveravano e detergevano gli animali; via Nuovada Reno o dietro a Reno (ora via San Carlo), dallavicinanza del canale di Reno; via Oltre Reno (oravia Triumvirato), dalla posizione della strada che eraal di là del fiume Reno; via Passo della Barca (ora viadella Barca), per un traghetto del fiume Reno; viaPolese, dall’antica natura paludosa del luogo (polesi-no); via di Ravone (ora via del Chiù), dal corso deltorrente Ravone; Contrada di Reano (ora via deiGiudei), dal torrentello (rianus) dell’Aposa che scor-reva nei pressi; via Riva Reno, dal percorso, scopertofino al 1957, del canale di Reno; via Savena (ora viaBarontini) con riferimento all’antico corso del tor-rente Savena; via Savena antico, dal corso del tor-rente Savena che, prima della deviazione nell’Idice (1776), attraversava qui la via Emilia; via Savenella,da un ramo del canale di Savena che qui entrava incittà; via della Selva Pescarola, per la vicinanza delfiume Reno o di un’area invasa dalle acque ricca dipesce; via Suso il Fossato (ora via del Cestello), perla prossimità del fossato della penultima cerchiadelle mura cittadine; via Traversa, dalla direzionedella strada, trasversale rispetto alla corrente delfiume Reno; via Val d’Aposa, dall’antico corso deltorrente Aposa, qui deviato; via Valdonica, da unavalle padronale (dominica), area invasa dalle acquefuori dalla cerchia delle prime mura, presso il corsodel torrente Aposa.

Nella seconda sezione (b, i manufatti delle acque)rientrano: via Cavedone, da una specie di chiusa(cavedone) che fu costruita nella seconda metà delSettecento per deviare il Savena nell’Idice; giardinidel Cavaticcio, da un ramo del canale di Reno, cosìdenominato, che qui scorreva; via Centotrecento,dalle piccole chiuse (traxende) che regolavano ildeflusso delle acque del canale; Fiaccalcollo (ora viaRialto, nel tratto da via Orfeo alla biforcazione convia Castellata) per il forte dislivello dell’acqua delcanale di Savena, che vi scendeva a rompicollo;Braina di Fiaccalcollo (ora via della Braina), dalcampo vicino al Fiaccalcollo, tratto in forte penden-za del canale di Savena; via della Grada, per la gratadi ferro attraverso cui il canale di Reno entra in

città; via del Guazzatoio (ora via del Cane), che eravicina ad un luogo (guazzaduro) dove si abbeverava-no e lavavano gli animali; via delle Oche, da unaspecie di guazzatoio per abbeverare e detergere glianimali, dove sguazzavano le oche; Cantarana (oravia A. Quadri), per un’antica cloaca (cantarana) neipressi delle penultime mura della città; Rialto (oravia Sampieri), da un ramo del canale di Savena chevi passava; via Rialto, dal canale di Savena (rio) par-ticolarmente profondo (alto) in questo tratto; viaFontanina (ora via Marconi, nel tratto che dall’in-crocio con via Riva Reno conduceva al canale Cava-ticcio e al porto), da un’antica fontana da dove sgor-gava “acqua delicata” (Banchieri 1635); via dellaGabella, dalla Congregazione della Gabella Grossa,che dal Cinquecento alla fine del Settecento costituìla Dogana Generale delle merci in transito nel porto

L’inizio e la scala della scomparsa via Fontanina in un dipinto diAntonio Basoli del 1826.

della città; via della Guardia, dal servizio di guardiaal fiume Reno, tenuto in quest’area; strada di NostraDonna dell’Avesa (ora via dell’Inferno), dalla chiesadi Santa Maria dell’Aposa, che qui scorre; via delPelago, da uno specchio d’acqua a valle della chiusadi Corticella, vicino all’antico porto del luogo; Pon-ticello di Sant’Arcangelo (ora via Santa Margherita,nel tratto da via dei Gargiolari a via Val d’Aposa),dall’antico ponte sul torrente Aposa vicino allachiesa di Sant’Arcangelo; Viazzolo del Ponte diFerro (ora vicolo San Damiano), per la vicinanzaall’antico ponte sull’Aposa; Ponte di Ferro (ora viaFarini, da piazza Calderini a via Castiglione), dalponte che attraversava il torrente Aposa; via Ponte-vecchio, per il ponte della via Emilia che scavalcavail torrente Savena; via del Porto, dall’antico porto diBologna; via del Rivale (ora via del Macello), dallaripa (rivèl) del canale Cavaticcio, detta Prato diMagone, alla quale la strada conduceva; via SanGiacomo, dall’antica chiesa dei SS. Giacomo e Filip-po di Savena; piazzetta di Santa Maria della Chiavi-ca (ora via Massei), da un antico condotto di canalevicino alla omonima chiesa (la via era conosciutaanche come Stufa della Scimmia, da un bagno pub-blico (stufa) esistente presso l’osteria della Scim-mia); vicolo Sant’Arcangelo, dalla chiesa di SanMichele Arcangelo, detta il Ponticello, trovandosivicina al ponte che scavalcava il torrente Aposa; viadel Sostegno, da una chiusa (sostegno) per frenare larapidità delle acque lungo il Navile; via del Soste-gnazzo, da una chiusa (sostegnazzo) sul canale Navi-le; Vivaro (ora via dei Pepoli), da un’antica peschie-ra (vivaio) nel terreno dell’abbazia di Santo Stefano.

Infine, appartengono alla terza sezione (c, imestieri delle acque) i seguenti toponimi urbani: viaAltaseta, dalla seta di altezza superiore a quella nor-male, che aveva nella strada depositi o laboratori;via Bertiera, dove esercitarono il loro mestiere i ber-rettai, lungo l’antico fossato delle mura; Pellacanivecchi (ora via dei Bibiena), dai conciatori di pelli(pelacani, placàn) che vi lavorarono utilizzando l’ac-qua, prima di passare nell’attuale via Petroni; viaCartoleria, dai cartolari che ricavavano pergamenadalla conciatura delle pelli, grazie ad un ramo delcanale di Savena; via Chiudare, dai grossi chiodi

(chiuvare), ai quali – in telai sotto tettoie – venivanoappesi ad asciugare i panni di lana dopo la tintura;via dei Molini (ora via Alessandrini), per la presenzadi numerosi opifici spinti dall’energia idraulica delcanale delle Moline; via delle Moline, dai mulinimossi dall’acqua di un ramo del canale di Reno (inorigine tra via Capo di Lucca e via Alessandrini);Pelacani (ora via G. Petroni), dai conciatori di pelli(pelacani, plàcan) che impiegavano l’acqua del cana-le di Savena; Pellacani Vecchi (ora via Vinazzetti),dai conciatori di pelli che sfruttavano l’acqua delcanale di Savena, prima di passare nell’attuale viaPetroni; via dei Tintori (ora via Castellata), dall’at-tività degli artigiani tintori che utilizzavano l’acquadi un ramo del canale di Savena; via Vascelli, dallecaldaie (vaselle, vasèli) dei tintori che impiegavanol’acqua del canale di Savena o del torrente Aposa.

164Fabio Foresti

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I documenti diretti sulle barche che percorrevano inostri canali non sono numerosi: ci restano pochi dipin-ti, disegni e fotografie e una serie di testimonianze, cheper lo più danno informazioni indirette, sicché l’identifi-cazione dei tipi navali si presenta spesso difficile. I datiarcheologici e quelli della tradizione orale ci aiutano ariempire le lacune, ma proprio perché molte informazio-ni dirette sono orali, non pochi aspetti tecnici, linguisti-ci e dell’arte di chi costruiva barche sono andati perduti.

Per riconoscere e ricostruire i tipi navali del canaleNavile di Bologna si è cercato così di prendere in consi-derazione tutti i documenti disponibili, anche quelli chea prima vista appaiono troppo idealizzati, come i dipintibarocchi e romantici, o le semplici evocazioni grafiche,in quanto anche l’iconografia fissa un’idea del “sentire”la civiltà materiale delle acque. E per vedere come leacque abbiano segnato la vita della nostra città bastaricordare le insegne delle osterie (nave o porto), oppure,camminando lungo il Pavaglione ed il mercato, osserva-re che quasi tutte le pietre di marmo di Verona, pietrad’Istria o trachite di Monselice, tipiche dell’edilizia bolo-gnese, sono giunte a noi per via d’acqua. È una ricerca,quindi, che non si può riferire riduttivamente a una soladisciplina: tecnica navale, archeologia, storia, etnografia,linguistica, economia, arti figurative e topografia si uni-scono ed in diversi periodi interagiscono in modo diver-

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IMBARCAZIONI E NAVIGAZIONE

A BOLOGNA

MARCO BONINO

so a comporre un rompicapo di cui questa presentazionevuole offrire gli elementi indiziali, le tracce essenziali.

Di fatto, le condizioni, i tipi e le tecniche usate all’ini-zio del Novecento sono il punto di arrivo di un’evoluzio-ne di cui possiamo seguire le grandi linee a partireapprossimativamente dal Quattrocento, in un palinsestoche va sondato pazientemente e senza preconcetti. Ilpunto di partenza cronologico non dipende dall’evolu-zione navale, ma dalla documentazione: dal gotico inter-nazionale e dall’affermarsi nell’uso corrente della linguavolgare. Da quell’epoca cominciamo infatti ad avere unalettura più attenta agli aspetti reali della vita e a trovaremodi costruttivi, termini e forme in accordo con la tradi-zione più recente. Certo vi sono anche elementi che ciriportano molto più indietro, come i sandones o i batellidell’Alto e Basso Medioevo, ma si tratta di nozioni percosì dire residue.

Dal Quattrocento si comincia quindi ad avere unabuona documentazione del burchio padano (fig. 1) e dialcune varianti del battello (fig. 4, A e C). Del primo vi èun notevole numero di raffigurazioni che vanno dall’af-fresco del Pisanello nella chiesa di Santa Anastasia aVerona fino a quello recentemente restaurato nel con-vento di Santa Cristina a Bologna. Le fonti scritte ciconfermano dimensioni relativamente ridotte, ma cidicono anche che la parola burchio era più tipica del

167 Imbarcazioni e navigazione a Bologna

1. Burchio rinascimentale.I dipinti del Pisanello ed una lunga serie di quadri, affreschi,stampe e disegni, oltre ai documenti scritti, consentono di de-scrivere con precisione qual era la barca più usata nei trafficifluviali dell’area medio e basso padana. Le dimensioni nonerano molto grandi, lo diventeranno solo dopo il XVIII seco-lo; lo scafo era basso ed allungato, aperto, con una coperturaparziale con un tiemo, una tenda stesa su di una struttura leg-gera, oppure una vera e propria cabina. Verso prua vi era l’albero, che serviva in genere per il traino,ma che poteva anche armare sia la vela latina che la vela qua-dra arcaica prolungata in altezza. Il governo era fatto con unoo due derive-timoni ai lati della poppa, come avveniva gene-ralmente nelle imbarcazioni antiche e medievali. Lunghezza m17,5; larghezza m 3,5.

Veneto che dell’Emilia: da noi si usava di più la parolanave, che non è generica, ma si applica a questa barca,con varianti locali più o meno evidenti dal Piemonte alFerrarese e nel bacino di destra del Po. La nostra nave,come il burchio di allora, aveva fondo piatto, uno scafopiuttosto basso ed allungato con estremità rialzate, untimone-deriva laterale di ricordo classico, una tenda ouna cabina (tièm) al centro o verso poppa e, verso prua,un albero che sul Po armava una vela latina e che suinostri canali serviva per il traino sull’alzaia (attiraglio,come si scriveva a Modena, tiraglio e restara a Bologna). Èin sostanza quella barca che più tardi e negli esemplariun po’ più grandi, troveremo definita come rascona (fig.2), termine questo usato per lo più sul Po da Cremona adOstiglia. Il Jal nel primo Ottocento vide alcune rascone aVenezia e le attribuì alla tradizione veneziana, un’attri-buzione ripetuta acriticamente per un secolo e mezzo: edè uno dei tanti esempi di preconcetti storici.

La diffusione di questa barca mostra una certa unifor-mità nell’area padana, con varianti locali dovute per lopiù al tipo di corso d’acqua percorso, le sue chiuse ed isuoi tratti difficili. Con l’andar del tempo la forma origi-naria della nave viene mantenuta sui nostri canali, men-tre il burchio attorno alla laguna veneta, sull’Adige e sulSile, attorno al XVIII secolo, si è evoluto dalla sua formarinascimentale acquistando le dimensioni e la forma tipi-che recenti, con l’acquisizione di un solo timone, duealberi, e dimensioni rilevanti: i dipinti del Canaletto, delMarieschi e del Guardi testimoniano le prime fasi di que-sti cambiamenti.

Dal Seicento in poi è diffusa la moda di acquistaregondole o peòte veneziane per le gite su acque normal-mente solcate da tipi navali diversi: è il caso di Monacodi Baviera, Londra, Stoccolma e anche di Torino e dell’I-sola Bella sul lago Maggiore, dove possiamo ancoraammirare la peòta che Carlo Emanuele III acquistò aVenezia nel 1735 oltre a un modello di peòta dell’iniziodell’Ottocento. In altri principati si costruirono bucintorisul modello della peòta veneziana: gli esempi locali sononumerosi, gli Estensi a Ferrara, i Gonzaga a Mantova, iBentivoglio a Bologna o il conte Zanelli in occasionedell’inaugurazione del Naviglio di Faenza. Un ricordodell’imbarcazione bentivolesca è forse nella traccia del-l’affresco della sala delle storie del pane nel castello diBentivoglio; un bel disegno a seppia e acquerello conser-

vato presso l’Archivio di Stato di Modena ritrae quelladi Francesco III del 1780. La fama del grande bucintorousato a Venezia per la cerimonia dello sposalizio del mareera tale da influenzare il linguaggio pomposo dell’epoca,tanto che sarebbe stato considerato troppo modestochiamare con il loro vero nome le pur eleganti ed ornatepeòte per le gite sull’acqua. Questa moda, oltre alla pre-senza di barche veneziane o ad esse ispirate, ha portatoanche ad un’attribuzione generale di tipi veneti adambienti che erano loro estranei. Lo si vede nelle stiliz-zazioni romantiche dei dipinti in cui “faceva antico”

168Marco Bonino

2. Rascona, della seconda metà del XIX Secolo, modello del PioIX di Boretto, al Museo Storico Navale di Venezia.Diretta discendente del burchio rinascimentale (fig. 1), la rasco-na ne ha ereditato la struttura ed il tipo di governo. Veniva co-struita sul Po da Cremona ad Ostiglia ed a Mantova; versionipiù piccole, a volte con un timone solo, si trovavano ancora al-l’inizio del Novecento sull’Adige (pescantina o burchio di Pe-scantina), sul Panaro e sul Mincio. Il termine rascona è statofatto risalire al latino ratis. Questa barca veniva costruita impo-stando la forma dello scafo sul tre di spade che ne disegnava ilfondo. Le due vele erano quelle padane al quarto (simili a quel-le adriatiche al terzo, ma senza pennone inferiore); dei due ti-moni di solito si teneva fisso quello di sinistra, come una deriva,e si manovrava quello di destra con la barra (rìgola) come unnormale timone moderno, si poteva regolare l’immersione dellapala con la legatura sul cavalletto e con un tirante che sostenevail timone stesso. Lunghezza m 18,60; larghezza m 3,75.

3. Bucintoro da trasporto, Boretto 1960.Questo scafo è forse l’ultimo costruito di questo tipo e si chia-mava Dante, il nome del costruttore, ed era ancora in condizio-ne discrete nel 1979. A poppa ha l’asta rettilinea simile a quelladei burchi veneti recenti, ma altri esemplari avevano la formaincurvata originaria, come nella rascona. Anche il bucintoro eraconformato con il sistema del tre di spade ed era costruito traCremona ed Ostiglia. Quando andava a vela aveva due albericon vela al quarto simili a quelle della rascona. Apparentata alnostro bucintoro era la gabàrra, che si distingueva per avere l’a-sta a prua invece della curvatura del fondo a ricciolo.Lunghezza m 20,20; larghezza m 4,70.

4. A: Batlèna, Boretto circa 1975.È la tipica barca mediopadana di dimensioni piccole-medie, co-struita con il metodo del tre di spade. A prua il fondo si innalzafino all’estremità, mentre la poppa sottile termina con un profi-lo curvo e con l’asta. Viene manovrata a remi e con il palo dispinta. Lunghezza m 7,5; larghezza m 2,10.B: Burciäle, Comacchio, primi anni del Novecento.Barca per il trasporto di materiali sfusi (sale) o leggeri (pali, fa-scine, canne). La sua costruzione è fatta sulla base della formadelle fiancate regolata dalla sezione maestra e dal loro tratto ret-tilineo, a differenza di quanto si faceva nell’area mediopadana. Ilfondo, come nel Veneto, veniva ricoperto solo alla fine della co-struzione. Questa struttura si caratterizza per le fiancate rettili-nee e per il blocco di prua che serve per collegare le estremitàdel capodibanda delle fiancate e del fondo. Viene manovrata conpalo di spinta (paradèl) o a traino.Lunghezza m 12,40; larghezza m 2,25.C: batèl, Comacchio, circa 1945.La costruzione a partire dalle fiancate regolate al centro ed aitrasti assume qui il massimo perfezionamento in termini di for-ma e di leggerezza. È la barca meglio adatta alla navigazione divalle e di canale e la si trova, con poche varianti, dal Ferrarese alRavennate e sul Reno. Viene manovrata a remi e con il paradèl.Lunghezza m 4,60; larghezza m 0,91.

A

B

C

169 Imbarcazioni e navigazione a Bologna

6. Burchièllo da trasporto sul Navile della fine del XIX secolo, ri-costruzione da fotografie dell’epoca.Ancora con dimensioni analoghe a quelle della nave del XVIII se-colo, ha subito alcuni cambiamenti che ne hanno semplificato laforma e la struttura. Le fiancate sono dritte e la prua non è più in-curvata in alto e si nota un blocco di legno d’appoggio per fiancatee fondo, come si è visto per il burciàl comacchiese. In alcuni esem-plari il blocco è diventato uno specchio, o tavoletta, che d’altraparte troviamo quasi sempre a poppa. Con questa la poppa è menorilevata ed ospita un paio di pioli che servono per appoggiare un re-mo o un palo di spinta che aiutava la manovra del timone colloca-to sul lato destro della poppa. Questo ha ancora la struttura e lamanovra antica della nave e della rascona: è appoggiato ad un gio-go fatto di legno resistente (radice di noce o di pesco) posto al ca-podibanda ed il fuso è legato al cavalletto che sta verso prua. La le-gatura doveva essere lenta per poter ruotare il pesante timone, per-ciò occorreva anche un tirante tra la pala e la traversa del cavallet-to per sostenerlo e per regolarne l’immersione. A prua c’è il siste-ma di traino con le doppie bitte (màncoli) e con l’albero che poggiasul piede ed è fissato al trasto che delimita il mezzo ponte di prua.Lunghezza m 13,20; larghezza m 2,70.

5. Nave bolognese del XVIII secolo.La ricostruzione è basata sui documenti figurati e su quelli scritti,che per il Settecento danno la portata da 20.000 a 24.000 libbre(7/8,5 tonnellate circa), e tiene conto della comunanza con il bur-chio rinascimentale e con la tradizione mediopadana. Le notizied’archivio dicono che a queste barche venivano dati nomi di Santie che il loro stato era spesso molto precario, cosa che suscitava leproteste dei viaggiatori. Lunghezza m12,15; larghezza m 2,90.

riportare particolari ed imbarcazioni di ambienteveneto e questo modo di sentire ha un po’ contagiatochi scriveva di imbarcazioni facendo sì, per esempio,che, alla lunga, le parole bucintoro e sàndolo fosserousate impropriamente anche da parte degli stessi“addetti ai lavori”. Non è perciò agevole districarsi daquesta pratica quando si scorrono i documenti scritti,uno spunto curioso ci viene dato da Vincenzo Coro-nelli, il quale, alla fine del Seicento, ci dice che il bur-chiello era diffuso nel Modenese; e formulata da unveneziano, l’affermazione sembra credibile.

Tornando alle barche da lavoro, un documento dellaGabella Grossa di Bologna del 1786, redatto con la meti-colosità caratteristica del suo tempo, fornisce un elencodelle barche usate sul Navile: e sono, in ordine decre-scente di grandezza: bucintoro, nave, o barca, burchiello,sandalo, sandaletto.

La nobiltà e la fama del bucintoro veneto ha indottoad usarne il nome anche per una grossa barca da traspor-to con la prua elegantemente arrotondata verso l’alto(fig. 3). Si tratta della derivazione dalla nave padana acui è stato applicato il timone singolo e l’alberatura delburchio veneto e della gabarra. Qui, oltre al fatto che diquesti bucintori da trasporto si parla anche nei docu-menti sul canale Navile, interessa il sistema costruttivo,che si chiama del tre di spade. Consiste nell’impostare laforma della barca a partire dal fondo, dandogli la formavoluta con tre tavole, una longitudinale rettilinea al cen-tro e due curvilinee ai lati che ne disegnano il contorno.La denominazione si rifà alla disposizione del tre di spadenelle carte da gioco. Le implicazioni di forma e di strut-tura di questo metodo sono ben riconoscibili anche nellenavi del Navile di Bologna, che quindi si confermanoappartenere alla tradizione mediopadana.

Dal Ferrarese e dal Comacchiese giungono ulterioriprecisazioni ed è naturale che vi siano stati apporti daquelle zone, in quanto storicamente i rapporti tra i Ben-tivoglio e gli Estensi furono molto stretti; inoltre il cana-le Navile arrivava a Malalbergo, sul limite delle grandivalli: le raffigurazioni, i metodi costruttivi ed i nomi deitipi di barche lo confermano. I tipi meglio paragonabili aquelli comacchiesi sono le imbarcazioni un po’ più gran-di usate per carichi sfusi (fig. 8 A). Hanno la struttura deiburciaj comacchiesi (fig. 4 B) e di questi si può riconosce-re il blocco di legno che, anche nelle navi, fungeva da

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ruota e ad esso erano inchiodate le estremità del fondopiatto e delle fiancate. È una semplificazione strutturaledella ruota che alla fine dell’Ottocento divenne anchespecchio di poppa, cioè una tavoletta trasversale chesvolgeva le stesse funzioni del blocco di legno. Un ulte-riore motivo di somiglianza con i tipi comacchiesi è laforma delle fiancate che, in pianta, è rettilinea, quasisquadrata, a differenze delle magàne mediopadane, chesono elegantemente curve.

Ma la barca più piccola usata sul Navile era allora ilsandalo ed il sandaletto e la parola rivela una certainfluenza veneta, ma mediata dal ferrarese: ferraresierano i sandalari che svolgevano la loro attività sul Navi-le nel XVIII secolo. Le raffigurazioni mostrano che que-sti sandali avevano dimensioni intermedie tra quelledelle batlène mediopadane, ad esempio di Boretto (acausa della forma della prua), e dei battelli ferraresi ecomacchiesi; questi d’altra parte erano regolarmenteusati sul Reno da Casalecchio fino alla foce.

Un tipo di imbarcazione non ricordata nel Bolognese,ma presente nel Modenese e nella Bassa fino alla Roma-gna ed al Naviglio Zanelli, era la zattera e la ragione delsilenzio dei documenti del nostro Navile su questo tipodi imbarcazione può spiegarsi con il fatto che non si trat-ta di natanti evoluti o da trasporto, ma con funzioni diappoggio per lo spostamento a breve distanza di materia-li voluminosi, tali dunque da non essere interessate dalregime fiscale presente sul Navile. Questo quadro gene-rale non presenta sostanziali cambiamenti dalla fine delCinquecento fino al primo Novecento: nel corso del-

8. Altri tipi del Navile. A: Burchièllo per carichi sfusi, 1890.Riso, sabbia, ghiaia, legname o mattoni erano di solito tra-sportati con questi burchièlli, ancora più semplificati rispettoal tipo maggiore della figura 6. Erano completamente aperti esenza alcuna attrezzatura che ne migliorasse l’agibilità, adesempio non vi era il pagliolato né i mezzi ponti. Spesso nonaveva il timone, dato che veniva rimorchiato e la rotta venivaregolata con remi o pali di spinta. Misure stimate: lunghezzam 12,5; larghezza m 3,2.B: Barchétto, 1925.Simile alla batlèna mediopadana, di medie dimensioni, era la barcausata per la caccia, la pesca ed i piccoli trasporti. All’inizio del No-vecento la si costruì anche in ferro, lasciando in legno il capodi-banda. Misure stimate: lunghezza m 6,80; larghezza m 1,80.C: Barchètto da riso, circa 1930.Questo riproduce in piccolo la forma e le strutture del tipo B,con forme più piatte. Gli esemplari costruiti a Bentivoglio trail 1920 ed il 1930 erano in genere di ferro.Misure stimate: lunghezza m 4,20; larghezza m 1,50.

In alto a sinistra.7. Burchièllo da passeggeri del Navile, 1903.La data è quella di un documento del Genio Civile che dà 19,3m di lunghezza e 3,90 di larghezza; una rara fotografia mostraquesta barca caricata all’inverosimile di bagagli e trainata da duecavalli. Poteva portare un centinaio di passeggeri, le sue caratte-ristiche strutturali e di manovra sono simili a quelle descritteper il burchièllo della figura 6.

A

B

C

171 Imbarcazioni e navigazione a Bologna

l’Ottocento si registra un certo aumento delle dimensio-ni delle barche, che dal punto di vista economico previ-legia le dimensioni rispetto al numero e va di pari passocon quanto era avvenuto per il burchio veneto e che sipuò mettere in relazione con la limitazione a valle diCorticella del tratto generalmente navigabile. In que-st’epoca si ha la generalizzazione del termine burchielloper qualsiasi imbarcazio-ne di medie e grandidimensioni usata sia perle merci sia per i passeg-geri. Per barchètto si inte-sero invece le barche dipiccole dimensioni, cheoltre al Navile percorre-vano i canali delle adia-centi risaie.

Queste sono le im-barcazioni documenta-te, che dobbiamo trat-tare come oggetti ar-cheologici, con scarsisupporti linguistici. Chile costruiva fondava ilproprio sapere su unatradizione orale, senzalasciare tracce scritte. Lapresenza di cantieri oluoghi di raddobbo èintuibile, dal Cinquecento al Settecento, a Corticella, aBentivoglio e a Malalbergo, in luoghi che le planimetrieriportano con spazi liberi e non praticati dai carri, senzaindicarne la funzione. Le sole notizie circostanziateriguardano Bentivoglio; la pianta del 1726 disegnata dalperito Luigi M. Casoli riporta per questa località Palazzo,Sostegno, Molino, Osteria, Fabreria de’ SSri Bentivoglji equella del Bonfadini del 1735, rappresenta in una zonadefinita Pradino sulla stessa isola una o due piccole bar-che. Sono indizi fragili, ma ci dicono che in quella zonasi svolgeva un’attività di costruzione generica (fabreria)che comprendeva anche le imbarcazioni. Quel cantierealla fine dell’Ottocento era gestito dalla famiglia Bassi,in casa Bassini, ora sede del Circolo degli Anziani; in unafotografia del 1890 si vedono tavole di legno accatastate

davanti al portico, due fondi in costruzione con il meto-do del tre di spade, un barchètto su cavalletti e, sul canalesottostante, due burchielli per il trasporto di carichi sfusi.Negli anni Venti del Novecento Quinto Bassi è ricorda-to come falegname e meccanico costruttore di macchi-ne, ed è una diversificazione che abbiamo visto già neisecoli precedenti e che fu comune a quella di molti suoi

colleghi che operava-no su acque interne.Tra il primo ed ilsecondo dopoguerrale attività alternativealla costruzione dibarche hanno manmano preso il soprav-vento, data la pro-gressiva scomparsadella navigazione suinostri canali. Ricordoad esempio che lafamiglia Altini diBagnacavallo svolge-va l’attività di costru-zione di barche sulcanale Naviglio Za-nelli e contempora-neamente costruivacarri, anche i beiplaustri romagnoli,sino alla trasformazio-

ne in officina meccanica dopo l’ultima guerra.Questa attività diversificata ha accompagnato e cer-

tamente facilitato, dall’inizio del Novecento, l’introdu-zione del ferro nella costruzione delle barche. Il falegna-me era anche meccanico utilizzando un materiale dispo-nibile e sapeva lavorare bene per realizzare imbarcazionisimili a quelle della tradizione; questo si riscontra nonsolo sul canale Navile di Bologna, ma anche sul Po, sulTicino, sui navigli milanesi e poi ancora sul lago di Bol-sena. Un confronto più vicino è quello delle burchiellecostruite in ferro per i servizi nella salina di Cervia neglianni Venti e di cui è stato realizzato un bel modello per illocale Museo della Civiltà Salinara. Sono quindi barchetradizionali a tutti gli effetti, come possiamo notare inuna rara fotografia scattata il 13 giugno 1925 durante la

9. Giovanni da Modena, Storie dei Magi, Bologna, Cappella Bolognini,San Petronio, 1415.In questo affresco Giovanni da Modena illustra una situazione solo inparte marittima: a parte le navi mercantili, troviamo ben evidenziate lebarche di fiume e di canale, con e senza vela. Vi è inoltre una galea bi-reme, assai idealizzata, che ovviamente si riferisce alla navigazione ma-rittima, ma che ipoteticamente si può mettere in relazione con quelleche stazionavano nel porto bolognese e di cui abbiamo notizie da crona-che bolognesi dell’epoca (Fileno delle Tuate).

172Marco Bonino

Dopo la costruzione del nuovo Porto Navile (1546) abbiamo una serie di topografie bolognesi, che descrivono in modo efficacel’ambiente portuale e confermano la permanenza del tipo nave sulla via d’acqua bolognese e la sua comunanza con il burchio rina-scimentale.10. In alto a sinistra. Scipione Dattili, Pianta di Bologna, Roma, Vaticano 1575.11. In alto a destra. Planimetria del canale Navile del perito Luigi M. Casoli del 1726, Archivio di Stato di Bologna, Gabella Grossa.12. In basso a sinistra. Disegno acquerellato del notaio Silvio Costa, 1715, Archivio di Stato di Bologna, Gabella Grossa.13. In basso a destra. Atlante di Antonio Conti, 1756, Biblioteca dell’Archiginnasio, Bologna.

173 Imbarcazioni e navigazione a Bologna

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A. Vianelli, Luci ed ombre delcanale Navile, Bologna, Tamari,1967.

visita di Vittorio Emanuele III a Bentivoglio, conservatanella locale Biblioteca Comunale: si vede una fila di bar-chètti in uno stretto canale che facevano ala al corteoreale. Ve n’erano di legno, ma anche in ferro con la stes-sa forma e struttura. Altri barchètti documentati in quel-l’epoca erano quelli da riso che, lungo il canale checosteggiava la risaia vicino a Bentivoglio, erano caricatiall’inverosimile di covoni di riso.

Con queste imbarcazioni si conclude anche la storiadelle barche del Navile, dove la navigazione cessa defini-tivamente nel 1948. A noi ora di ricomporla e soprattut-to di comprenderla.

14-15. Vedute del Porto Navile di Pio Panfili (1779) e di An-tonio Basoli (1817).Il disegno di Pio Panfili è realistico e ci aiuta a capire com’eranole imbarcazioni che solcavano il canale Navile. Basoli invecepreferisce le scene d’ambiente: egli interpreta le imbarcazionipiuttosto che riprodurle. Le due versioni sono comunque con-cordi e si possono vedere dettagli che le cartografie non ci pote-vano dare. Abbiamo la nave, che appare standardizzata, come siera intuito dalla cartografia, ed il sandalo, simile al battèllo del-la Bassa ferrarese e comacchiese. Si conferma comunque l’as-senza, a Bologna, di un cantiere o un luogo di raddobbo per leimbarcazioni.

“Nel bene e nel male, sia come incubo idrico sia comeelemento vitale, dispensatrice e regolatore della vita,sostanza preziosa ed energia motrice, l’acqua era sem-pre presente nella realtà civile, nei progetti collettivi enelle fantasie individuali al punto che una città diterra come Bologna (aveva costruito però un impor-tante naviglio ed utilizzava un porto fluviale) era riu-scita ad imporre alle sue acque un dominio tecnicovicino alla perfezione imbrigliandole in una straordi-naria rete di canali, di chiuse, di chiaviche e di chiavi-chette che attirava opifici e mulini. Il suo complessosistema idrico veniva guardato come una delle maggio-ri (seppur quasi invisibile) meraviglie d’Italia”. Ilbrano dello studio che Piero Camporesi ha dedicato,con il suo acume di critico e di storico, alla nascita delpaesaggio italiano tra Cinquecento e Seicento (Le bellecontrade, Milano, Garzanti, 1992, p. 59) mi sembrapossa introdurre in modo adeguato il tema del rappor-to strettissimo tra Bologna e le sue acque sotterranee,naturali o captate dai corsi del Savena e del Reno.

È un rapporto che fin dagli esordi della vita comu-nale si caratterizza come scelta ingegnosa di sfrutta-mento delle acque a fini produttivi e che si consolidanei secoli, dal Duecento al Settecento, contribuendoin maniera sostanziale alla ricchezza e al prestigio dellacittà e dei suoi abitanti. E fin dal Medioevo, i canali (il

174

ACQUE

E LAVORI PUBBLICI

PIER LUIGI BOTTINO

Reno, il Savena, il corso dell’Aposa e il Navile cheraccoglie i tre corsi d’acqua in uscita dalla città) ven-gono massicciamente utilizzati per le attività produtti-ve con le modalità ben descritte da Alberto Guenzi.

Fino all’Ottocento ha così prevalso una logicaeconomica e mercantile che ha condizionato la regi-mazione idraulica e indotto l’utilizzo delle acquecome forza motrice, per opifici e manifatture, o comevie naturali per i commerci e la navigazione. Ampitratti dei canali, ad usi plurimi, correvano a cieloaperto, connotando e singolarizzando il paesaggiourbano. Ma con l’evoluzione delle risorse energeti-che, si cercò in un primo tempo di sfruttare quellaidroelettrica utilizzando a tale scopo la portata deicanali. L’8 aprile del 1911 l’ingegnere FrancescoBassi presentava all’assemblea del Consorzio canaleil progetto per la “Centrale elettrica al Cavaticcio”.Il testo pubblicato nello stesso anno illustra motiva-zioni, calcoli e prospettive.

In tempi più vicini a noi è invece divenuta crucia-le la scelta tra il mantenere pulite le acque e il privi-legiare la pulizia della città, optando per gli scarichinei canali progressivamente ricoperti per raccoglierele emissioni e liberare le strade. Di fatto la decisionedi utilizzare sistematicamente i canali sotterraneicome fognature della città risale alla fine dell’Otto-

cento: è datato 1906 il primo piano regolatore orga-nico delle rete fognaria cittadina, preceduto, nel1901, dalla “Mappa dei fabbricati del Comuneamministrativo di Bologna”, in 20 fogli telati inscala catastale 1:1.000, accompagnata da una copiain cartoncino con “Comprensori acque principali discolo. Superfici costruite e non. Rete appartenente acanale Savena e Reno”. Il disegno di risanamentofognario a scapito dei canali urbani era già definito.

Risale invece al 1913 il primo progetto cittadinodi depuratore: quando era già apparsa evidente,come già in precedenza all’ingegnere bologneseAntonio Zannoni cui si deve la riscoperta dell’ac-quedotto romano (Progetto di “Attivazione anticoacquedotto di Bologna” per l’Ing. Antonio Zannoni,Bologna 1868), la contraddizione insita nello scari-care in quegli stessi canali le cui acque, alimentandoi pozzi, servivano come riserva idrica per la cittadi-nanza. Non è dunque un caso che durante il XIXsecolo si siano verificate anche a Bologna epidemiedi colera con alta mortalità.

Intanto il “Progetto di depurazione per la città diBologna” è redatto a Milano da Henry Desrumaux il25 novembre 1913, lo stesso anno in cui il Comuneredige il “Progetto per la fognatura della città” in trevolumi con relazione, disegni e calcoli. La questionefognaria si ripresenta con più progetti nella primametà del secolo. Così è degli anni Venti la “Planime-tria Generale della rete fognante per la città di Bolo-gna e forese” in scala 1:2.000 con indicazione di“pozzetti per pluviali, pozzetti d’ispezione, cantine”in 24 tavole. Altre due cartelle degli stessi anni con-tengono i “Profili longitudinali dei collettori dellefogne principali, delle falde acquifere e del terreno”e “Diagrammi e tabelle dei calcoli idraulici, tipi disezione e d’opere d’arte” con relative tavole. L’inge-gner Olmi firma, fra il 1920 ed il 1924, 57 tavole del“Progetto Generale fognature zona I alta del Com-prensorio di Ponente”, oltre alle 10 cartelle di pro-getto per la ditta Halb Sckukir Schnellhefter.

Con l’espansione urbana il Comune prevede l’in-cremento della rete fognaria. Ne sono conferme: il“Progetto di Massima per la fognatura delle nuovezone di Piano Regolatore Anno 1941 XX” ed il “Pro-getto generale delle fognature per le zone di amplia-

175 Acque e lavori pubblici

mento della città di Bologna previste dal PRGapprovato nel 1958”.

L’identificazione tra canali e fognature ha resistito alungo, giacché dobbiamo giungere agli anni Settanta eOttanta per assistere a un ripensamento teorico e legi-slativo (si pensi alla legge Merloni) di tutta la questione.

In quegli stessi anni le conseguenze drammatichedell’inquinamento marino, a cominciare da quellodel mare più vicino, l’Adriatico, contribuiscono a faraccettare idee innovative altrimenti controcorrente.

Condotto sotterraneo dell’Aposa.

Si fa strada, all’inizio a fatica, ma con sempre mag-giore forza, il convincimento che non è più possibileinquinare impunemente fiumi, canali e falde acquife-re. Inizia così la stagione della riqualificazione deicanali bolognesi di cui stiamo oggi cogliendo i frutti,forse insperati: vengono risanati il Ravone, il canaledi Reno, l’Aposa, il canale di Savena. Nello stessotempo gli scarichi delle abitazioni sono raccoltiall’interno di tubazioni convogliate su due collettoriche corrono lateralmente al corso del canale risanato.

I lavori si svolgono tra il 1995 e il 1998 e riguardanoben 800 condotti di scarico, interessando una popola-zione di circa 50.000 cittadini. Le esplorazioni prelimi-nari all’inizio dei lavori rappresentano anche l’occasio-ne per “scendere” nelle fogne: non lo faceva più nessu-no ormai da 100 anni.

Qui le scoperte o meglio le riscoperte non sono soloresti maleodoranti e informi: gli esploratori rivedonodopo un silenzio di quasi un secolo il ponte romano

situato sotto via Rizzoli, rintracciano archi gotici,riprendono dimestichezza con una Bologna sotterra-nea che si rivela piena di sorprese, di affascinantiavventure.

La pulizia della Fontana del Nettuno permette asua volta di riscoprire il condotto che la alimenta,proveniente dai Bagni di Mario e dalla fonte delRemondato situata sotto la collina di san Michele inBosco. E il risanamento delle acque rende fruibileuna parte di quel sistema idrico sotterraneo che,come ricordava Camporesi, rappresentava una dellemeraviglie di Bologna. Si delineano scenari pronti aun turismo urbano alternativo come avviene in altrecittà che hanno saputo valorizzare il loro scenariosotterraneo: Palermo, Parigi, Napoli, Roma, Siena.La Bologna sotterranea, o perlomeno la sua parte piùagibile, rappresentata dagli otto chilometri lungo cuisi snoda l’Aposa diventa oggetto delle attenzionidella società “Bologna Turismo” da poco costituita.

176Pier Luigi Bottino

Porta Galliera. Tracce delle mura dell’antica rocca.

Il Comune di Bologna si incarica di rendere pratica-bili gli accessi, e ne qualifica due: rispettivamente inPiazza Minghetti e in Piazza San Martino.

A maggior ragione i cittadini ricominciano a farepropri i percorsi ancora scoperti dei canali: unaveduta viene riaperta in un passaggio pubblico sulcanale delle Moline, in uno dei pochi tratti ancoravisibili fra le case, analogo a quello dipinto fedel-mente da Luigi Venturi a metà del XIX secolo ripro-dotto nella copertina di questo volume.

Da poco è stato commissionato dal Settore LavoriPubblici al Centro Villa Ghigi uno studio preliminareper la realizzazione di percorsi ciclo-pedonali lungo lerive del Navile, fra il parco di villa Angeletti e il confinecomunale con Castel Maggiore; la ricerca, alla quale haanche collaborato l’IBC, ha evidenziato che moltissimitratti delle antiche restare sono ancora praticabili sì dafar ritenere possibile la formazione di un itinerario conti-nuo di grande suggestione, al seguito degli straordinarimanufatti idraulici ancora perfettamente riconoscibili.L’elaborato ha pure giustamente suggerito l’inserimentodi un percorso non invasivo, bensì rispettoso delle pree-sistenze strutturali e di un ambiente che mantiene in séanche aspetti d’interesse naturalistico. Inoltre va ricor-dato che tale itinerario s’inserisce in una fascia di territo-rio ove sono previsti ingenti interventi di riqualificazio-ne delle aree verdi, dove già è stato costituito il parco divilla Angeletti e dove sorgeranno nuovi insediamentiuniversitari. Né va dimenticato che nell’area si trovaanche il Museo del Patrimonio industriale, che verrebbecosì naturalmente collegato a manufatti propri dellavicenda economica della città, fra navigazione e produ-zione energetica e industriale, e tutto l’insieme potrebbedavvero costituire un grande museo a cielo aperto.

Ora i lavori promossi dal Comune di Bologna conti-nuano in più cantieri: mentre in occasione dei lavoridi restauro del giardino di Porta Galliera, sono venutialla luce otto metri di mura appartenenti all’antica efamosa Rocca Galliera, più volte distrutta e ricostruita.Sotto la Rocca passa l’Aposa e qui era localizzato pre-sumibilmente uno dei porti fluviali della città: inaugu-rato solennemente nel 1494, ma destinato a funziona-re solo per 40 anni. Il terreno era sabbioso e saggia-mente il Vignola trasferì il porto alla Salara. La valo-rizzazione della Bologna sotterranea appare quindi un

177 Acque e lavori pubblici

giusto tributo alla storia cittadina, la quale non siesprime solo nella verticalità svettante delle torri enell’opulenza dei palazzi senatori, in una Bologna pro-toindustriale, città della seta, della carta, della lana edel ferro, autentica città-cantiere. Ed è anche il tributoad una sapienza tecnica e pragmatica che rappresentauno dei filoni più fecondi della nostra cultura. Naviga-re nel nostro passato e nell’incanto perduto delle sueacque e delle sue invenzioni significa insieme scoprirequalcosa di noi stessi.

Condotto sotterraneo dell’Aposa.

Nel 1575 Monsignor PietroDusina, delegato apostolicoautore di una delle primedescr i z ioni del l ’ i so la diMalta, rilevò con ricchezzadi particolari quanto scarsefossero le sorgenti idriche:“posta nel mare Mediterra-neo, senza boschi, senzafiumi, con alcune montagno-le, le quali sono cavernose a‘canto del mare”1. I numerosiporti dell’isola, collocatinella parte meridionale eorientati NE-SO, accoglievano le barche in navigazio-ne nel Mediterraneo e le rifornivano con l’acqua dellaMarsa. Le galere attingevano l’acqua dalla fonte postanelle vicinanze di Senglea e la trasportavano con l’aiu-to di barili. Dusina scriveva inoltre che nella zona postapiù a nord si trovava la ricca fonte di San Paolo: “nellamedesima cala di San Paolo è un’altra caletta, chiama-ta la maestra, che è capace di galere numero quattro, etla’ sono molte fontane d’acqua. Dalla cala di San Paolosino alla salina v’è un miglio, et è di lunghezza migliaiadue, la bocca guarda per greco tramontana et vi sonogran fontane”2. Infine nella sua relazione Dusina para-

178

UN ACQUEDOTTO BOLOGNESE

A MALTA

FRANCESCO MENCHETTI

gona il perimetro di Malta ad“un pesce largo di corpo”, macontestualmente alla scarsitàdi acque dolci dovrebbe trat-tarsi di un pesce di mare.

Carlo V nel 1530, annodell’incoronazione a Bolo-gna, concesse i l piccoloarcipelago di Malta, Gozo eComino in feudo libero eperpetuo ai Cavalieri di SanGiovanni Gerosolimitano. Inquel periodo l’unica città del-l’isola, Mdina, si approvvi-

gionava grazie alle conserve di acqua piovana scavatenella roccia3. Le descrizioni dei viaggiatori e degli sto-riografi dell’epoca ritraggono una difficile situazione,quella di un’isola arida dove si diffondevano le febbri4.Diversi viaggiatori la pensavano come il cavaliere Giu-seppe Cambiano5, ricevitore apostolico a Roma e scrit-tore di un dialogo sull’isola. Nel 1555, prima che ilGran Maestro La Vallette fondasse la Città Nuova Val-letta, Cambiano descriveva infatti Malta come unluogo sterile “mal sano per il gran calore che vi è […]che pare che quelle pietre gettino fuoco et per gli desor-dini che si fanno in mangiar frutti et altri inconvenien-

Melita nunc Malta, pianta di Valletta, Anonimo, XVIsec., Biblioteca Universitaria di Bologna.

ti, si causano infirmità incredibili”6; sottolineava inol-tre “che bisogna comprar, fine l’acqua per la sterilità delluoco”7. Le cronache ricordano che per un certo perio-do i maltesi, acquistarono oltre all’acqua quantità diterreno fertile per ampliare le zone coltivabili e perconsentire il riempimento dei terrapieni8.

La sicurezza garantita dalle fortificazioni era fonda-mentale per la stabilità politica e commerciale del-l’Ordine. I Cavalieri infatti basavano la propria eco-nomia sul traffico con le sponde del Mediterraneo esoprattutto con la Sicilia e l’Italia meridionale, inmari infestati continuamente da navi corsare. Ilgrano era importato in ragione ditre quarti del fabbisogno comples-sivo, insieme a vino, olio, carneed altri generi di prima necessità.

Ulisse Aldrovandi nel suo Pere-grinarum Rerum Catalogi9, più otti-mista di Giuseppe Cambianodescrive Malta e ne commenta iprodotti “in tutta eccellenza come èil cotone, i frutti, et i fiori massimele rose”. Le piante ricordate dalloscienziato, tranne le rose, richiede-vano una certa abbondanza idrica.In effetti sull’isola anche oggi nonesiste nessun corso d’acqua, né unfiume né un lago naturale. Duranteil grande assedio del 1565 i Cavalie-ri erano riusciti ad ostacolare l’a-vanzata dei Turchi sfruttando que-sto aspetto e avvelenando la Marsa,una delle pochissime fonti dell’isolaposta vicino a Valletta. La Marsa era l’unica conserva ingrado di rifornire di acqua le barche nei porti di Birgu eSan Michele, capaci di accogliere fino a 300 vascelli.

L’ostilità del luogo privo di beni primari, non impedìall’isola di acquistare importanza politica nel corso deisecoli, sia per la posizione strategica occupata al centrodel Mediterraneo, sia grazie alla zona dei grandi porti di“Grand Harbour” e Marsamuscetto. I porti, protetti dauna serie di insenature naturali, favorirono la crescita diBirgu già nel XV secolo e poi la nascita della CittàNuova Valletta10, costruita ex novo nel 1566. In questicentri abitati, si poteva effettuare scalo al riparo dei forti

venti e proteggersi dagli attacchi dei Turchi e dei loroalleati corsari del nord-Africa. L’abate Cenni nel Sei-cento a proposito dell’area dei porti, parla di un’“ammi-rabile e capricciosa situazione di terra, e d’acqua” nellaquale gli elementi hanno contribuito ad offrire “un sivago, e si giocondo teatro” dove “terra, e’ l mare habbia-no voluto gareggiare insieme per più meravigliosamenteabbellirlo: quella col dargli in si piccolo spazio tanteCittà, e quello con si ampi seni tanti porti”11.

Lo stampatore francese, ma romano di adozione,Antonio Lafreri, autore di una fra le prime mappestampate di Malta, disegnò nel 1551 una pianta a vedu-

ta zenitale in cui si possono ricono-scere le fonti naturali d’acqua dellacala di San Paolo, così chiamatadal luogo dove si riteneva fossesbarcato il santo. Inoltre Lafreriindica la fonte della Marsa allespalle di Valletta, ed una secondavicino a Rabat corrispondente allazona di Diar Handùl, da dove sgor-gava l’acqua utilizzata da Bontadi-no Bontadini per l’acquedotto.Un’ultima fonte è rappresentata al“Megiarra” vicino al “Vallone giar-dini”12 dov’era la residenza estivadei grandi maestri. Le stampe dell’i-sola di Malta ebbero grande diffu-sione in seguito all’assedio del 1565(quando i Turchi di Solimano ilMagnifico uscirono sconfitti controil generale Jean de La Vallette), e lamaggioranza dei disegnatori ripro-

posero la disposizione delle fonti d’acqua offerta dalLafreri. Nel Settecento, quando il sistema idrico dell’i-sola era ormai definitivo, “il soprintendente delle fon-tane”, il comandante canonico Fra Anna Giuseppe deBeaumont Brison, descrisse 4 sorgenti principali, vale adire le sorgenti di Diar Handùl, di “Vijed il Berbig”,detta anche di Paula, quella di “Aaijn Kaijed Aijn cira-ni” e quella detta “d’Hariescem”13.

Bontadino Bontadini lasciò notizia di sé grazie ai pro-getti per l’acquedotto realizzato nel 1610 a Malta per ilGran Maestro dell’Ordine Militare di San GiovanniGerosolimitano Alof de Wignacourt. Di Bontadino

179 Un acquedotto bolognese a Malta

Acquedotto progettato da Bontadino Bon-tadini in località Attard, Malta.

scrissero sia gli storiografi maltesi, come Giovan France-sco Abela14 sia quelli italiani. Ricordiamo in particolarelo storico dell’Ordine il veronese Bartolomeo del Pozzo15

e lo storiografo e collezionista bolognese Marcello Oretti.Marcello Oretti, autore delle Vite de’ Professori16 inse-

risce nel suo volume la biografia del Bontadini, ponen-dola subito prima di quella su Sebastiano Serlio. Il Bon-tadini è ricordato sia come ingegnere, ma anche come“intagliatore” e “architetto”. Non sono invece citati isuoi progetti per Bologna. Paolo Masini17, cinquant’annidopo la costruzione dell’acquedotto maltese, nel 1666,lo ricordava come Vittorio Bontadini e non come Bon-tadino. Un cartiglio tutt’oggi visibile, posto su una tor-retta dell’acquedotto a Valletta, commemora BontadinoBontadini a fianco al nome del Gran Maestro Wigna-court, patrocinatore dell’opera pubblica: BONTADI-NUS BONTADINO DE BONTADINIS BONON.ACQUE DUCTORE MDCX18.

L’acquedotto maltese, lungo “otto miglia”, è visibilein particolare per chi oggi si sposta dalla Città Nuovaalla Città Vecchia, praticamente da Valletta a Mdina. Gliarchi che percorrono tutto il centro dell’isola portavanol’acqua a Valletta19, la gloriosa sede dei Cavalieri. Vallet-ta sorge protetta dal mare su una stretta e lunga strisciadi terra, anticamente detta Montsciberras, che in malte-se significa “luce del promontorio”.

Due atti notarili hanno permesso di fare luce sullaquestione del nome dell’ingegnere, nonostante la scarsadocumentazione rinvenuta presso gli archivi bolognesi.Bontadino è ricordato residente a Bologna nella zonadel “Samodia”20 in località Savigno, tra il 1593 e il 1598e in ambedue i manoscritti con il nome di Bontadino enon di Vittorio. Il 20 giugno 1598 Bontadino Bontadiniè citato come confinante nella vendita che fece AlviseBontadini, parente di Bontadino, a Sante di FrancescoBontadini di una “torri domo dirruta” in località “Samo-dia in loco detto alla Fontana dello Piantano”21. Ilnotaio che effettuò il rogito fu Girolamo Mosca22. Lafamiglia Bontadini, presente negli Alberi genealogici dellefamiglie di Bologna studiati da Baldassarre Antonio MariaCarrati23 è ricordata anche tra le famiglie nobili bolo-gnesi dal Canetoli24. Esponenti della famiglia sonosegnalati dal Carrati dal 1682 con Cristoforo Bontadinifino ad arrivare al 1778 a Luigi di Paolo Bontadini. Giu-seppe Guidicini anticipa la presenza dei Bontadini al

180Francesco Menchetti

Torretta dell’acquedotto Bontadini a Floriana, Malta.

Particolare della torretta con il cartiglio dedicato a BontadinoBontadini e al Gran Maestro Alof de Wignacourt, 1610, Floria-na, Malta.

secolo precedente e nelle Cose Notabili di Bologna25

parla di un “dottor Pietro Bontadini” che aveva acqui-stato la casa di Folco d’Argelata, morto suicida nel1505 nell’abitazione di via Bertiera. Come apparedalla documentazione sinora individuata sulla famigliaBontadini, solamente Bontadino si distinse per i pro-getti d’ingegneria e di sistemi idrauli-ci26. Il fatto che Bontadino fosse pro-babilmente uno pseudonimo che coltempo è andato a sostituire il nomeoriginale, ha reso più difficile la ricer-ca di notizie sul suo conto e non hapermesso di individuare la data delbattesimo, sempre che sia stato battez-zato in San Petronio27.

Il Wignacourt ebbe il grande meritodi completare Valletta dotandola di unsistema idrico capillare, in grado diapprovvigionare i Cavalieri e gli abi-tanti, giorno e notte. L’acquedottoaggiungeva alla sicurezza delle mura lagaranzia di resistere agli assedi più lun-ghi. Francesco de Marchi nel suo trat-tato di architettura, parlando della fon-dazione di una nuova città pose l’ac-cento su quanto fosse fondamentalel’abbondanza d’acqua. Un luogo privo

di acque avrebbe infatti condizionato fortemente il siste-ma igienico e produttivo della città: “le acque servono ormolte cose […] ogni volta che un populo sarà privo deacqua non sarà mai stimato per un luocho compiuto debellezza ne de bonta, ne de commodita”28.

La città fondata ex novo dal generale La Vallette,venne disegnata in forma di “città idea-le”29 nel 1566 dal cortonese FrancescoLaparelli. L’acqua entrava passando perla Porta Reale di Valletta e arrivava alpalazzo magistrale. Alimentava così igiochi d’acqua, le fontane, l’infermeria,la cancelleria, le prigioni, e i vari alber-ghi dei Cavalieri portando nutrimentoal sistema dei giardini, come illustral’album del cavaliere Nicolò Poncet.Collaboratore del Bontadini, Poncet èautore di un album decorato da bellissi-mi disegni acquerellati che hanno persoggetto l’acquedotto. L’ingegnere fran-cese, noto come “Cavalier Poncet”, eraattivo a Malta già prima del 1610 ed èricordato in seguito quale “soprastante”o soprintendente delle fontane.

Wignacourt figlio della nobile fami-glia della regione dell’Artois, nelleFiandre, aveva voluto fare del palazzo

181 Un acquedotto bolognese a Malta

I condotti dell’acquedotto che salgono a Floriana dal fossato alla torretta di Sarria, Cavalier Fra Nicolò de Poncet, soprintendentedelle fontane a Malta nel 1610, National Library of Malta.

Particolare dei condotti a PortaReale presso Valletta, Cavalier FraNicolò de Poncet soprintendentedelle fontane a Malta nel 1610,National Library of Malta.

magistrale un “luogo di convegno degli uomini più illu-stri”30. Caravaggio, durante la sua permanenza a Malta loritrasse in due occasioni: una volta nelle vesti di SanGerolamo e l’altra in un ritratto di stato con armatura.Quest’ultima tela, conservata al Louvre, eseguita nel1608, ritrae il Gran Maestro in posacon la mazza ferrata in mano, rivestitodi una bellissima corazza brunita (oraesposta presso l’Armeria di Valletta)insieme con un giovane paggio cheporta l’elmo in mano.

Grazie all’impegno costante delBontadini dopo 5 anni di lavori, il 21aprile 1615, l’acqua sgorgò dalla fontenella piazza davanti al palazzo e “sividde spargersi con dilettevoli zampellidel fonte magnificamente construttonella Piazza di Palazzo opera da parago-narsi alli antichi acquedotti di Roma”31.Per l’occasione vennero indetti festeg-giamenti e distribuiti doni ai maltesi.

Un’altra fontana venne costruita sulporto da dove, attraverso tubi in cuoio,le barche si approvvigionavano. Soprala fontana del molo una statua del Net-

tuno attribuita a Leone Leoni, lo scultore personale diCarlo V, dominava il grande porto di Malta. Il Nettunomaltese, meno muscoloso di quello del Giambologna32 èoggi visibile all’interno del palazzo magistrale, l’attualesede del primo ministro. Recenti studi hanno rilevato

che lo scultore volle rappresentare lafigura di Andrea Doria33, il famoso capi-tano eroe del Mediterraneo sceso indifesa di Malta, baluardo della Cristia-nità insidiato dagli infedeli. È un Net-tuno vittorioso che tiene in una manoil tridente e nell’altra un ramo di alloro,simbolo dei trionfi militari dell’ammi-raglio genovese.

Quasi un secolo prima a BolognaGiovanni Bentivoglio, anche luimosso dall’esigenza di rifornirsi diacqua senza uscire dal palazzo, avevachiamato un maestro da Reggio. Allaricerca dell’acqua potabile, le crona-che ricordano che questi perforò finoalla profondità di 62 metri, finché latrivella si ruppe e il signore della città“non volle si riprendesse il lavoro”34.

L’urgenza a Malta era più sentita

182Francesco Menchetti

Particolare dell’acquedotto di Bontadino Bontadini. All’altezza della torre di San Giuseppe l’acqua del condotto attraversando unavasca di decantazione entrava in un canale sotterraneo. Cavalier Fra Nicolò de Poncet soprintendente delle fontane a Malta nel1610, National Library of Malta.

Particolare dei condotti a PortaReale presso Valletta, Cavalier FraNicolò de Poncet, sovrintendentedelle fontane a Malta nel 1610,National Library of Malta.

rispetto a Bologna, città ricca di canali, ed il GranMaestro Wignacourt non si fermò di fronte alle primeinsidie che ostacolarono la costruzione dell’acquedot-to. I problemi nacquero in un primo tempo a causadella pozzolana impiegata da Natale Tomassucci, inge-gnere gesuita palermitano35 come Tommaso Laureti. Ilgesuita era stato scelto dal consiglio dell’Ordine per lesue “esperienze in maniera di acque”, ma dopo dueanni di lavori dovette rinunciare e ripartì da Malta nelgennaio del 1612. L’impasto di sua invenzione che ser-viva a legare le pietre tra loro si sbriciolava con l’ac-qua. Le cronache ricordano che “quella sua colla, o’pasta non faceva lega alcuna con questa pietra diMalta, che e fuor dell’ordinario humida”36. Che la glo-bigerina, la pietra estratta da Malta, sia umida è undato di fatto, evidenziato anche oggi nel corso deirestauri della Chiesa di Santa Caterina d’Italia a Val-letta curati dall’Università degli Studi di Bologna.

Il progetto dell’acquedotto venne promosso la primavolta nel 1596 quando il Gran Maestro Garzet si reseconto dell’urgenza di un condotto che portasse acqua,giorno e notte e in abbondanza alla città. In quelmomento la difficile situazione economica della Tesore-ria dell’Ordine non permise l’esecuzione di nessun dise-gno. Il ripetersi di alcuni inverni particolarmenteasciutti pose l’accento sull’urgenza della questione e nel1610 Wignacourt e il priore di Capua, Bernardino Sca-glia, stanziarono per l’inizio dei lavori rispettivamente2.000 e 6.000 scudi. Quest’ultimo in cambio dell’ingen-te somma messa a disposizione, pose come condizione lacostruzione di alcuni mulini idraulici di sua proprietà. AMalta i mulini che ebbero maggiori risultati furono inogni modo quelli mossi dalla forza eolica ed alcuni diquesti sono ancora esistenti.

L’acquedotto progettato da Bontadino “Ingenierosopra queste acque”, partiva dalla località di HarHandùl, toponimo che significa “case antiche”, allespalle di Mdina dove sgorgavano le sorgenti con mag-giore quantità di acqua. Percorrendo due terzi della lar-ghezza dell’isola, il condotto si snodava tra i centri abi-tati di Attard, Hamrun e Floriana, portando acqua aigiardini, uscendo attraverso “spiragli”37 e passando negli“spurgatori”38. Gli archi che trasportavano alla sommitàil prezioso liquido erano stati costruiti dal Bontadinisfruttando un impasto che rendeva la superficie imper-

183 Un acquedotto bolognese a Malta

meabile. Le cronache ricordano che la “massa di dettaterra mischiata con calce i canali laterizij […] vien afare con esso loro all’umido dell’acqua una cossi forte,e tenace lega, che come un corposodo et impietritoresiste alla violenza dell’acqua, e col tempo sempre piùsi indurisce”39. Bontadino Bontadini si era formatoprobabilmente a Bologna, alla scuola di Tommaso Lau-reti, l’ingegnere che realizzò la conserva manierista deiBagni di Mario nel 1564. L’attività ingegneristica eidraulica a Bologna si era sviluppata sin dal Medioevofavorendo l’evoluzione economica e commercialedella città emiliana. La questione del rifornimentoidrico era stata affrontata a partire dal Duecento, con-vogliando in città le acque del fiume Reno nel 1208 e

Progetto per una nuova fontana del Nettuno, Anonimo, XIXsec., Main Registry, Ministry for the Environment, Malta.

La fontana del Nettuno sul grande porto di Valletta, Anonimo,olio su tela, XVIII sec., Museum of Fine Arts, Valletta.

utilizzando l’antico acquedotto romano40.Già nel XIV secolo i navigli erano utilizza-ti per il trasporto delle merci.

Bontadini a Malta, pur portando con séle soluzioni maturate in terra emilianadovette scontrarsi prima con un materialeda costruzione come la globigerina, eccessi-vamente poroso, e poi affrontare la nonfacile questione altimetrica dei condotti.Fare scorrere le acque per una decina di chi-lometri attraverso un territorio con un’oro-grafia priva di rilievi montuosi non dovetteessere cosa semplice. Superato l’abitato diBirkirkara l’acquedotto all’altezza della tor-retta di San Giuseppe irrigava i giardini41

omonimi e alimentava l’abbeveratoio. Da lì scendevanograzie ad un sistema di sifoni per poi risalire dai terrapie-

ni delle fortezze, nella torretta davanti allachiesa di Sarria a Floriana42. Le acque com-presse in tubi o “canali sigilati” passavanoprima attraverso una vasca o “tromba”posta tra la casetta e la torretta detta di SanGiuseppe, un’abitazione dove risiedeva ilsoprintendente delle fontane. Nella “trom-ba” vi erano diversi serbatoi affinché “l’ac-que ora monti, ora cali, acciò con questomontare, e calare, venga a purificarsi”43 gra-zie anche a tre grandi sifoni “spurgatori”. Acausa della notevole quantità d’acqua checircolava, questi sifoni dovevano essereaperti almeno ogni 3 anni per togliere ilfango accumulato. Un lavoro che si svolge-

va con una certa premura ed al quale collaboravanoanche le squadre delle fortificazioni. Le acque salendo

184Francesco Menchetti

Pianta di Valletta con la numerazione di tutte le gebbie della città, Fra Romano Fortunato Carapecchia, Ristretto generale di tutte lecisterne e gebbie pubbliche e private con l’acque ritrovate nelle medesime, tanto in questa città Valletta come nelle città Vittoriosa,Senglea e Bormola, 1723, National Library of Malta.

Arma gentilizia dellafamiglia Bontadini, F.

Canetoli, Blasone Bolo-gnese, 1833, Archiviodi Stato di Bologna.

185 Un acquedotto bolognese a Malta

dalla casetta alla torretta di San Giu-seppe superavano il dislivello procu-rato dai fossati e dalle fortezze e sialzavano attraverso gli imponentibaluardi e le controscarpe di SanGiacomo e San Giovanni della cintadi Floriana. Quando in periodo disiccità la conduttura della “tromba”non si riempiva, le canalizzazioniprocuravano un forte rumore che siudiva fin dalla strada; al contrario ininverno, quando era troppo abbon-dante, l’acqua si spandeva per lestrade sino ad arrivare all’altezza diSanta Venera.

L’acqua, giungendo a Florianalungo la Strada Reale, venivaimmessa nella torre della “Beata Ver-gine d’Attocia”44 e distribuita attra-verso la fontana di piazza, nel con-vento dei Cappuccini, nell’ospizio delle donne (dov’erala “fontana degl’Infetti”) ed nel giardino magistraledella Sarria. Nel Settecento l’acquedotto arrivava finoalla calcara, la fornace di calce della FondazioneManoel, alla fabbrica della ceramica e ai magazzini delporto. La torretta di Sarria posta a Floriana dal lato diMarsamuscetto, aveva sia un abbeveratoio per gli ani-mali sia un lavatoio per le donne. I rubinetti aperti gior-no e notte portavano nutrimento tre giorni la settimanaai giardini del commendatore Telles e tre giorni al giar-dino detto di “Sammison”.

Tra il 1715 e il 1719 la parte del condotto che arri-vava all’altezza dei giardini Argotti e percorreva ilfianco del gioco del Maglio, venne modificato ulte-riormente. Come ricorda l’ingegnere Charles Fran-cois de Mondion45 (1683-1733) nella sua relazionesullo stato delle fortezze, scritta per la “Congregazionedella guerra”, allo spostamento del condotto preseroparte le maestranze dell’“Atelier”46 e coloro che ave-vano lavorato alla cinta muraria posta alla “testa dellaFloriana”. Questa flessibilità delle maestranze e degliingegneri testimonia la versatilità dei progettisti chia-mati dall’Ordine e quella dei cantieri maltesi, ingrado di operare su fabbriche di difesa, quali le fortez-ze, ed anche su quelle civili e idrauliche. Mentre

Mondion completava i lavori aicamminamenti coperti ed al“Glacis”, molto probabilmente sioccupò anche della nuova dispo-sizione del condotto che portaval’acqua all’abitato di Floriana,ricco di giardini. Documenta que-sti lavori alle condutture il dise-gno dell’ingegnere francese conl’annotazione Partie du plan desFloriane pour la nouvelle dispositionde la fontaine47, conservato pressola National Library di Valletta edatato 1715.

L’acquedotto, prima di entrare aValletta, attraversava il fossato e peruna grande gebbia48 riforniva d’ac-qua i bastimenti, concludendo la suacorsa nella fontana del Nettuno. Sulmolo, la conserva detta la “colonna”

o “pilastro” per la sua forma cilindrica, era posta “soprala scalinata vicino al mare”49. Con il suo volume la“colonna” permetteva di rifornire, in caso di grandesiccità, anche gli abitanti di Vittoriosa e Bormola,situate dalla parte opposta rispetto al porto di Valletta.Naturalmente la chiavica con paratoie di Porta Realeera regolata da una “chiave di bronzo con manicolungo di ferro”50 che misurava la quantità idrica direttaall’Albergo di Provenza, al convento degli Agostinia-ni, alla strada detta della “Falconeria” ed alla stradadell’Albergo di Francia.

Dalla parte opposta un’altra chiavica, all’angolodella chiesa di San Giacomo portava le condutture alPriorato di Castiglia, alla strada di San Giovanni, allastrada detta “del Lino”, alla strada di Santa Maria diGesù, ed ai giardini Baracca. Altre tre chiavicheinviavano acqua rispettivamente alla strada degliArgentieri, alla loggia dei Cavalieri, alla strada deiMercanti, alla strada detta delle Galline, alla stradaSan Paolo, della Neve, di Santa Lucia, delle Prigioni,dell’Infermeria, dei Francesi ed infine alla strada delbastione Sant’Elmo51. Un’altra chiavica sistemataall’angolo del palazzo magistrale sotto il balcone delGran Maestro distribuiva i condotti in direzione delconvento di Santa Caterina, alla “Bucieria Vecchia”,

Disegno di una chiavica, pianta e alza-to, Fra Anna Giuseppe de BeaumontBrison (soprintendente delle fontane aMalta), XVIII sec., National Libraryof Malta.

186Francesco Menchetti

al Palazzo Carnero, alla Madonna del Pilar, all’Alber-go d’Aragona, all’Albergo “d’Alemagna”, al PalazzoPinto, ed alla “tromba” del porto artificiale detto ilMandracchio. Sotto la “Baracca Vecchia” vi era ilgrande lavatoio dove le donne andavano a lavare ipanni: una serie di vasche con 22 rubinetti che ilguardiano apriva al pubblico due volte la settimana.

L’acquedotto snodandosi lungo il reticolato urbanoraggiungeva il Palazzo del Gran Maestro e le princi-pali istituzioni dell’Ordine: la Cancelleria, l’Inferme-ria e la Chiesa Conventuale di San Giovanni con ilcimitero ed il giardino52.

La fontana posta al centro della piazza di fronte alpalazzo magistrale era funzionante solo di giorno edaveva una vasca coronata da un giglio, simbolo dei

Wignacourt, dal quale fuoriuscivano 5 zampilli. Al disotto del giglio una vasca piccola era sorretta a suavolta da una “vasca mezzana” decorata da 4 dragoni e4 delfini. I giochi d’acqua della parte alta spandevanoi loro zampilli fino alla base della fontana in unavasca più grande. Tutto il volume idrico veniva con-vogliato dentro due mascheroni e spinto all’esternoin 4 punti defluendo attraverso delle cannelle. Unsistema di chiaviche permetteva che lo “spandimentodella vasca grande” ritornasse “nelli canali delle fon-tane, e quella che si” perdeva “col manegiar dellibarili o dal vento”53 defluiva verso la Cancelleria.Ogni sabato il guardiano della fontana aveva l’incari-co di “polire, netare, raddrizzare tutti li getiti”54 perl’ottimo funzionamento dell’impianto. Oggi questafontana non esiste più, ed al suo posto sono state col-locate due fonti marmoree ai lati della piazza. All’in-terno del palazzo il sistema dei condotti raggiungevauna “grotta, entro la quale una fontana con cinquegietiti”55 stillava acqua insieme con un’altra fonte infondo al cortile sotto la loggia. Naturalmente anchela servitù di palazzo utilizzava l’acqua ed i rubinetti.Le “cavallerizze” o stalle avevano due abbeveratoiche scorrevano parallelamente a due gebbie. Questeultime, collocate dalla parte opposta della strada neipressi della Conservatoria, rifornivano le botteghedel pane e le lavanderie. I forni erano provvisti di 3rubinetti, “cioè uno per il forno di sua Eminenza […]due ove s’impasta per la Religione”56.

Il gusto tipicamente manierista delle fontane con igiochi d’acqua, le grotte, ed i giardini all’italiana,giunse a Malta nel Palazzo del Gran Maestro attra-verso Bartolomeo Genga, Baldassare Lanci e France-sco Laparelli. Questi ingegneri vennero commissio-nati dal Gran Maestro Jean de La Vallette durante lametà del Cinquecento ed influenzarono lo stile diGerolamo Cassar, autore della maggior parte degliedifici monumentali dell’Ordine.

Il sistema delle acque a Malta, dopo la messa inopera dell’acquedotto del Bontadini, venne sorve-gliato dai “Commissari deputati sopra l’acque” nomi-nati dal Concilio Ordinario. Quella delle acque erauna commissione formata da cavalieri che a lorovolta controllavano il lavoro del soprintendentedelle fontane. Tra i soprintendenti, oltre al Cavaliere

Dimostrazione dell’effetto di una bomba sopra una cisterna co-perta da tavole, Fra Romano Fortunato Carapecchia, Ristrettogenerale di tutte le cisterne e gebbie pubbliche e private conl’acque ritrovate nelle medesime, tanto in questa città Vallettacome nelle città Vittoriosa, Senglea e Bormola, 1723, NationalLibrary of Malta.

187 Un acquedotto bolognese a Malta

Poncet collaboratore del Bontadini, i Cavalieri nomi-narono nel Seicento Ugone de Fleurigny Vauvilliers(del quale si conserva la lapide nella chiesa conven-tuale di San Giovanni)57 e nel Settecento RomanoFortunato Carapecchia, autore tra l’altro di un prege-vole album acquerellato sulle gebbie. Vauvilliers fucollaboratore del fiammingo Carlo Grunembergh,ingegnere visiting58 progettista per Floriana e autore didue modelli in pietra delle fortezze conservati alMuseum of Fine Arts di Valletta59. Il compensoannuo del soprintendente delle fontane, concordatoper la durata complessiva di 6 anni era, nel 1681, di195 scudi, da ricevere in due rate da 6 mesi. Vauvil-liers si avvaleva nel lavoro di controllo delle fontane,dei condotti e degli abbeveratoi di tre salariati: mae-stro Pietro Fontana, maestro Graziano Imbrogl edAndrea Farrugia, i quali complessivamente riceveva-no in un anno 105 scudi. In esecuzione del suo man-dato Vauvilliers promise di mantenere in buono statole fontane di Valletta “nello stato, et attitudine che

sono al presente con li loro canali dalla scaturigine”60

cioè dalla fontana del Nettuno alla “Porta di Monte”davanti al palazzo del Gran Maestro.

Probabilmente fu un bolognese che godeva di uncerto credito presso il Gran Maestro Wignacourt a con-sigliare all’ambasciatore La Marra di convocare per l’ac-quedotto l’ingegnere Bontadino Bontadini.

Nel 1610 era inquisitore a Malta il bolognese Monsi-gnor Evangelista Carbonesi61 e forse fu proprio questiche, grazie all’intermediazione dell’Ordine, fece affidarel’incarico al Bontadini. Nel 1609 Carbonesi vennechiamato a Malta in sostituzione del vecchio inquisito-re della Corbara ed in seguito tornò a Bologna qualecanonico presso San Petronio fino alla morte, avvenutanel 1627. Anche altri bolognesi nel corso del Seicentovennero investiti della stessa carica di inquisitore:“Gian Lodovico dell’Armi Bolognese” dal 1592 al1595, “Carlo Bovio Bolognese”62 dal 1623 al 1624 einoltre Angelo Ranuzzi fu eletto inquisitore a Malta dal1666 al 1668 da Papa Alessandro VIII63.

Cisterne scavate nella roccia lungo le fortificazioni di Valletta, Fra Romano Fortunato Carapecchia, Ristretto generale di tutte le ci-sterne e gebbie pubbliche e private con l’acque ritrovate nelle medesime, tanto in questa città Valletta come nelle città Vittoriosa,Senglea e Bormola, 1723, National Library of Malta.

188Francesco Menchetti

1 Biblioteca Estense Modena,Manoscritti Italiani, misc. 671, Pe-trus Dusina, Discorso di Malta, cc. 1r.- 23 v.

2 Ibidem.3 T. Zammit, The water supply

of the maltese islands, in «Archi-vium Melitense», VII, 1 (1926),pp. 1-46.

4 Una delle prime descrizionidell’isola appartiene al cavaliereJean Quintinus d’Autun (1500-1561), il quale scriveva delle sor-genti che sparivano durante l’esta-te, di febbri malariche e delle geb-bie per contenere l’acqua: Salsae etfeculentae aquae et qui sunt in insuladulcioribus aquis fontis, credo hyber-nis plerosque constare imbribus, quo-rum non in altum origo est; frequen-ter enim aestate deficiunt, sempresubsiderent. Potus ex imbre (si suisest) cisternis servato et frequentiusscrobibus, J.Q. d’Autun, DescriptioInsula Melita, Lione, 1536, p. 5.

5 Il cavaliere Giuseppe Cambia-no ricevitore dell’Ordine a Roma èinterprete insieme al venezianoBernardo Giustiniano, Cavaliereabitante in Malamocco, di un dia-logo inedito, conservato presso laBiblioteca Universitaria di Bolo-gna: Sommario degli ordini, et stili,che si osservano nella Religion del-l’Hospitale di Hierusalem e dell’Es-

sercitio dei Cavalieri di quella. Inter-locutori. Monsignor Bernardo Giu-stiniano, il Cavaliere Cambiano. Idue nel descrivere l’organizzazioneGerosolimitana, sottolineano leforti criticità dell’isola: “Si spendeassai nella compra, et condottadelli grani, vini et legna; che siconduce di Sicilia per lo intratte-nimento de la Religione et dell’i-sola di Malta […]”, BibliotecaUniversitaria Bologna (BibliotecaUniversitaria di Bologna), Ms2120, cc. 51r.-55r.

6 Ibidem.7 Ibidem.8 L.B. Salimbeni, Il porto di Mal-

ta, in Sopra i porti di mare, III (a cu-ra di G. Simoncini), Firenze, Ol-schki, 1997, p. 276.

9 Biblioteca Universitaria di Bo-logna, manoscritti Aldrovandi, Ms.143, VIII, c. 276 r.

10 Sulla costruzione della cittàValletta realizzata ex novo su dise-gno di Francesco Laparelli da Cor-tona, si veda P. Marconi, I progettiinediti della Valletta: dal Laparelli alFloriani, in L’architettura a Malta,Atti del XV Congresso di Storiadell’Architettura, Roma, 1970, pp.454 ss.; in riferimento ad uno deiprimi progetti per la cinta murariadi Valletta si veda F. Menchetti,L’attività di Bartolomeo Genga archi-

L’analisi dei documenti maltesi e italiani relativiall’acquedotto del Bontadini ha permesso di evidenziarequanto il suo progetto fu valido e funzionale portandogiovamento al governo dell’Ordine Gerosolimitano eagli abitanti della città. Le difficili condizioni idriche eambientali nelle quali si trovava l’isola nel 1530 all’arri-vo dei primi Cavalieri, trovarono una soluzione efficacee definitiva all’inizio del Seicento, grazie ai condottidell’acquedotto in grado di portare linfa ai servizi com-merciali, agli enti religiosi ed agli uffici politici di Val-letta, Città Nuova.

tetto militare a Malta, in «CastellaMarchiae», 3 (1999), pp. 12-33.

11 L’abate Cenni nel Seicentoscrisse la storia dell’Ordine ed evi-denziò come le fortezze completas-sero l’opera della natura: “Anzipuò dubitarsi ancora se più confe-risca alla sicurezza de’ porti le tantefortezze della Città; o alla sicurezzadelle fortezze la vicinanza di tantiporti”, National Library of Malta(NLM), Library, Ms. 163, Historiadell’Ordine di S. Giovanni, scrittadall’Abate Cenni, pp. 63-64.

12 Biblioteca Estense Modena,Atlante, c. 31 r., Melita insula, Ro-ma, 1551.

13 NLM, Library, Ms. 768, pp.1-3.

14 G.F. Abela, Malta Illustrata,Valletta, 1777-1780.

15 B. del Pozzo, Historia della Sa-cra Religione Militare di S. GiovanniGerosolimitano detta di Malta, Vero-na, 1703.

16 Biblioteca Comunale dell’Ar-chiginnasio di Bologna (BCAB),Ms. B 124/II, M. Oretti, Vite de’Professori, pp. 41-42.

17 BCAB, P. Masini, Bologna Per-lustrata, Bologna, 1666, p. 640.

18 Oretti, Vite de’ Professori, cit.,p. 42.

19 Negli anni che intercorsero trail 1565, l’inizio della costruzionedella città, e il 1571, anno in cui LaVallette prese dimora in città, i Ca-valieri si avvalsero di una fonte na-turale posta davanti a Marsamu-scetto, nel quartiere detto “Puntadelle forbici”; cfr. R. De Giorgio, Acity by an Order, Valletta, ProgressPress, 1985, p. 98, n. 26.

20 Archivio di Stato di Bologna(Archivio di Stato di Bologna),Studio Alidosi, B 597, vacchettinon. 320, p. 46 “Bontadino Bontadi-ni, da Domenico Mattioli”; e, inol-tre, nello stesso archivio, si vedal’atto notarile “Aloysij Bontadini àSante et de Bontadinis”, CollezioneTognetti, 458, Atti notarili serie “In-dici” n. 35, anni 1597-1598, c. 13 r.

21 Archivio di Stato di Bologna,Ufficio del Registro, L. 341, c. 539v.; secondo il Dizionario dei Toponi-mi Fornioni la località “Salmodia”,“Samotia” o “Samotula” era postanella parrocchia appartenente al-l’Abbadia dei SS. Fabiani e Seba-stiani di Samodia, attuale Savigno.

22 A.C. Ridolfi, Indice dei notaibolognesi dal XIII al XIX secolo, acura di G.G. Venturi, Bologna,1990, estratto da «L’Archiginna-sio» 84 (1989), p. 194.

23 BCAB, Ms. B 716, B. Anto-nio Maria Carrati, Alberi genealogi-ci delle famiglie di Bologna, p. 45.

24 Archivio di Stato di Bologna,F. Canetoli, Blasone Bolognese, III,1833, p. 19.

25 G. Guidicini, Cose Notabilidella Città di Bologna, Bologna, Ar-naldo Forni Editore, 1980, rist.anastatica, Bologna, 1869.

26 Il 23 giugno 1557 il notaioGiovanni Marchetti registrò undocumento per Marco di Cristofo-ro Bontadini calzolaio bolognese,cfr. Archivio di Stato di Bologna,Notarile, 7/15, s.c.

27 Non ci è dato sapere se tra ivari Bontadini (“Domenico di Ri-naldo Bontadini” nato nel 1573,“Paolo Emilio di Rinaldo Bontadi-ni” nato nel 1577, “Bartolomeo diRinaldo Bontadini” nato nel1584) rinvenuti negli estratti bat-tesimali della seconda metà delCinquecento vi sia anche Bonta-dino, noto con questo nome, pro-babile pseudonimo; Archivio Ge-nerale Arcivescovile di Bologna,B. Carrati, Estratti Battesimali, vol.8, pp. 95 e 121, vol. 9, p. 133.

28 Biblioteca Universitaria di Bo-logna, Ms. 4188, F. de Marchi, Die-ci libri di architettura civile, c. 281 r.

29 Cfr. H.W. Kruft, Le città utopi-che, Laterza, Bari, 1990, pp. 57-75.

30 H.P. Scicluna, Il Gran MaestroAlofio de Wignacourt (1601-1622)attraverso un manoscritto, in «Ar-chivum Melitense», VI, 3 (1925),VI, 3, pp. 89-109.

31 NLM, Library, Ms. 632, pp.420-442.

32 In passato anche questa statuafu attribuita erroneamente alGiambologna; cfr., T. Zammit, Thewater supply, cit., p. 8.

33 G. Bonello, The Palace Neptu-ne, in Art in Malta, Valletta, Fon-dazzjoni Patrimonju Malti, 1999,pp. 17-34.

34 A. Zanotti, Il sistema delle ac-que a Bologna dal XIII al XIX secolo,Bologna, Editrice Compositori,2000, p. 58.

35 Il Concilio Ordinario affidòl’incarico dell’acquedotto, tramite

La ricerca documentaria su Bontadino Bontadini è stata svolta nell’ambito delrestauro “Malta: la fabbrica delle mura” curato dal prof. Giampiero Cuppinidel Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Territorio della Facoltà diIngegneria, Università degli Studi di Bologna, in collaborazione con Works Di-vision, Ministry for the Environment, Repubblica di Malta.

189 Un acquedotto bolognese a Malta

i “Commissari deputati sopra l’ac-que”, a Natale Tomasucci l’11marzo 1610 (“ad incarnazione”).L’operazione comprese l’acquistodei giardini e dei terreni posti lun-go il tracciato dell’acquedotto. Incambio i proprietari avrebbero ri-cevuto una “ricompensa dell’ac-quisto, che si fara di dette acque,che li molini si faranno siano go-dute da sua Signoria Illustrissima[…]”; NLM, Archive of the Orderof Malta (AOM), Liber Concilio-rum, Ms. 103, cc. 179 v.-180 r.

36 NLM, Library, Ms. 632, p. 428.37 Questi “spiragli” si trovavano

vicino ai giardini di Sant’Antonio,a quello della Fondazione Manoele al giardino della Fondazione Car-nero; “Nel spiraglio sopra casal At-tard serato con porta a chiave vie-ne spartita la porcione che tocca alGiardino di S.t Antonio come sidissi di sopra… Doppo poi vieneun piccolo spiraglio dal quale il so-printendente delle fontane tiene lachiave qualle serve per dare la pie-tanza regolata al giardino dellaFondazione Manoel”. NLM, Li-brary, Ms. 768, pp. 7, 10 e 15.

38 Vi erano delle fosse dette “gie-biette” dove si depositava il fangoe si spurgava l’acqua attraverso unsifone di stagno: “Il canale del ac-quedotto nel capo di detto traversauna giebietta di qualche due cannedi lungo, una di largo, una di fondoaccio nella medema deponga ilfango prima di entrare nel acque-dotto, e nel fondo di detta giebiet-ta vi è un grosso spurgatore di sta-gno, per netarla in tutti li tempiche fara bisogno”, NLM, Library,Ms. 768, p. 8.

39 Ibidem, pp. 431-432.40 G. Romano, Bologna 1200:

una temperata commissione di op-posti, in Duecento forme e coloridel Medioevo a Bologna, a cura diM. Medica, Bologna, Marsilio,2000, p. 8.

41 Questa parte dell’acquedotto sitrova ben delineata nel cabreo del-la Fondazione Manoel de Vilhena,“Pianta del terreno Tal Breichez vi-cino l’arco della fontana detta diWignacourt nella contrada di S.Gioseppe”, NLM, Treasures B, Ms.310; il soprintendente alle fontaneBeaumont Brison nel Settecentoscriveva che “a S.o Gioseppe ove vi

sono una beveratora della fontanache camina giorno, e notte, et ilspandimento di essa apartiene algiardino di S.o Gioseppe, e di piùanche una pietanza regolata la qua-le il Giardinaro la può diminuireper mezo dell’spiraglio che vi sonodal quale tiene una chiave doppia[…]”, NLM, Library, Ms. 768, p. 9.

42 Il soprintendente alle fontaneBrison nelle sue Memorie parlandodella torretta la cita come “torri-culla di fronte la Madonna di Sar-ria”, NLM, Library, Ms. 768, p. 17;un altro documento utilizza un ter-mine differente per la stessa torret-ta: “torriciovola, ove similmenteprende respiro l’acqua”, NLM, Li-brary, Ms. 632, p. 438.

43 NLM, Library, Ms. 768, p. 10.44 “Dalla torretta di S. Gioseppe

sino alla torre posta nella collina diS. Niccolò oggi della Beata Vergi-ne d’Attocia nella quale torre ro-tonda in mezzo vi è uno sfiatatore enel piano di detta torre rotonda visono una chiave di bronzo che ser-ve per dare l’acqua nei bisogni allitereni dei Giardini del Vicinato”.NLM, Library, 768, Ms. 768, p. 14.

45 Sui progetti svolti dall’inge-gnere Mondion per il Gran Mae-stro Manoel de Vilhena si veda, L.Mahoney, 5000 years of architecturein Malta, Valletta, Valletta Publi-shing, 1996, pp. 173 e 176.

46 NLM, AOM, Ms. 1011, cc. 23v.-24 r.

47 NLM, Cartografia non catalo-gata, F 9, Partie du plan des Florianepour la nouvelle disposition de la fon-taine, Malta, 1715.

48 Questa gebbia era ripulita dalfango ogni tre anni come anche lagrande cisterna di San Giuseppe;“[…] il canale maestro si precipitanel fondo del gran fosso sotto ilponte suddetto [di porta reale] do-ve si vede un spurgatore grande perspurgare il sudetto canale di quipoi torna montare il detto canalemaestro […] a mano dretta entran-do da porta reale”; NLM, Library,Ms. 768, p. 26.

49 Ibidem, p. 25.50 Ibidem, p. 28; a Porta Reale vi

era un abbeveratoio e l’acqua inesubero che fuoriusciva scendevafino ai giardini del “fosso del Mare-sciallo”.

51 Al Forte Sant’Elmo all’inizio

dell’Ottocento venne realizzataun’esedra attribuita all’architettoGiorgio Pullicino (1779-1861) po-sta a fianco della fontana volutadal Gran Maestro Perrellos; cfr.Mahoney, op. cit. , p. 212.

52 L’abbeveratoio posto a fiancoalla sagrestia di San Giovanni eracollegato ad un rubinetto che al-l’interno della chiesa serviva per lefunzioni religiose. Un altro rubi-netto, collocato nelle cantine dellachiesa riforniva dell’acqua neces-saria alla pulizia degli argenti deltesoro della co-cattedrale.

53 Ibidem, pp. 32-39.54 Ibidem; sotto la fontana vi era-

no tutte le chiavi necessarie alla re-golazione dei giochi d’acqua, inol-tre uno spurgatore grande per lecondutture ed un altro per pulire lavasca. Si accedeva in questo spaziodi servizio attraverso una “mina”,ossia una cameretta sotterranea,costruita al di sotto della strada.

55 Ibidem.56 Ibidem.57 A. Ferris, Il maggior tempio di

S. Giovanni Battista, Malta, 1900,p. 69.

58 Sulla distinzione tra ingegnerivisiting e resident ed i diversi ruoliaffidati dall’Ordine ai suoi archi-tetti si veda A. Hoppen, MilitaryEngineers in Malta, 1530-1798, in«Annals of Science», 33 (1981),pp. 413-433.

59 Cfr. L. Dufour, Siracusa città efortificazioni, Palermo, Sellerio,1987, p. 48.

60 NLM, Archive, Ms. 744, cc.170 r.-171 v. Il contratto del Vau-villiers, cita tutte le fontane e gliabbeveratoi che il soprintendenteavrebbe dovuto tenere in ordine aValletta: le tre fontane di San Giu-seppe, quella dell’Infermeria, dellePrigioni, di Forte Sant’Elmo, dellaPiazza (non ben specificata), deiBarracca Gardens, del “lavatorio”della marina, dei monasteri diSant’Ursula e Santa Caterina, ed aFloriana le fontane del monasterodei Cappuccini e del “monasteriodelle Ripentite”, dov’era la polve-riera alla controguardia San Salva-tore. Oltre alle fontane ed ai con-dotti suddetti, Vauvillier con i suoicollaboratori si sarebbe occupatodella gebbia di Porta Reale, lagrande conserva di acqua posta alle

porte di Valletta. La commissionenell’elenco delle mansioni specifi-ca ulteriormente la gebbia di PortaReale ed aggiunge “ne s’intenda es-ser tenuto ne obligato di conciarealtre gebbie e cisterne che sono fat-te in altre parti…]”, NLM, Archive,Ms. 744, cc. 170 r.-171 v.

A Valletta e dintorni erano di-verse le gebbie scavate nel sotto-suolo come dimostrano i disegni diRomano Carapecchia conservatialla National Library di Valletta.Le ricerche svolte su questo argo-mento da Hannibal Scicluna, du-rante l’inizio del secolo hanno di-mostrato che le gebbie erano usateper conservare il grano o l’acqua.Nel 1683, infatti, il Gran MaestroCarafa decise ufficialmente cheuna commissione si occupasse dellefosse e dei granai di Malta. Le geb-bie erano in genere profonde 25“piedi” e del diametro di 15 “piedi”,costruite con “lime” e pozzolana.Le più grandi si trovano ancora og-gi a Vittoriosa, e nella zona deiCappuccini a Floriana, altre sonodistribuite un po’ ovunque e dette“Fosse Sant’Elmo”, “Fosse Crocifis-so”, “Fosse cappuccini”, “Fosse SanPublio”, “Fosse Vittoriosa”, e ”FossePastiglia” (andate perdute per lacostruzione di una strada); cfr. H.C.Luke, in «National GeographicMagazine», 68 (1935), p. 656.

Ringrazio la dott.ssa BeatriceBettazzi per avermi fornito le fotodel manoscritto di Romano Fortu-nato Carapecchia dedicato allegebbie di Valletta, Bormola, Vitto-riosa e Senglea.

61 B. del Pozzo, Historia della Sa-cra Religione Militare di S. GiovanniGerosolimitano detta di Malta, Vero-na, 1703, I, p. 552.

62 G. Moroni, Dizionario di erudi-zione storico-ecclesiastica, XXIX,Venezia, 1844, p. 247.

63 I rapporti politici e diplomati-ci tra Bologna, Malta e l’Ordinesono stati approfonditi in partico-lare dallo storico maltese LorenzoSchiavone; cfr., L. Schiavone, UnGuidotti Gerosolimitano, in «Stren-na storica bolognese», 40 (1990),pp. 368 ss.; e dello stesso autore,Un Gerosolimitano bolognese Priored’Inghilterra Alessandro Zambeccari,in «Strenna storica bolognese», 42(1992), pp. 341-374.

APPENDICE

I LUOGHI

DELLA MOSTRA

PALAZZO POGGI E LA BIBLIOTECA

UNIVERSITARIA DI BOLOGNA

La manifestazione “Bologna e l’invenzione delleacque”, così complessa e ricca di occasioni che spazia-no dalle rappresentazioni plastiche a quelle artistiche ecartografiche fino ai più moderni prodotti multimedia-li, ha il suo fulcro bibliografico-documentario nell’ope-ra di Luigi Ferdinando Marsili, in particolare nei suoistudi sulla scienza delle acque e sugli elementi natura-listici del territorio bolognese. Per questo motivo lesezioni della mostra dedicate alla illustrazione di que-sta parte della sua opera non potevano trovare miglio-re cornice, storicamente parlando, del luogo stessodeputato alla sua conservazione; perciò sono stata benfelice nell’offrire la nostra disponibilità e piena colla-borazione all’Istituto per i Beni Culturali della Regio-ne per questa bellissima impresa espositiva.

Se si parla di Marsili e della sua opera, d’altraparte, non si può prescindere dalla Biblioteca Uni-versitaria; questa è, infatti, l’istituzione che mantie-ne insieme ed integro, dopo quasi tre secoli, il fondooriginario fatto di libri a stampa, preziosi codici,carte orientali e manoscritti, del quale il conte Mar-sili dotò quell’Istituto delle Scienze, da lui fondatonel 1712 e che, purtroppo, le vicende storiche euomini non sempre lungimiranti, prima soppresseroe poi dispersero.

Giova, quindi, illustrare al visitatore, attraversoquesti pochi cenni storici, il legame profondo cheesiste tra i pezzi esposti e il luogo dove si trovano,oggi, per tornare, domani, ad essere riposti, perchégli studiosi possano continuare a fruirne per le lororicerche. Anche perché proprio questo era l’intentodella donazione del conte Marsili: mettere a disposi-zione dei nuovi ricercatori – siamo agli albori delSecolo dei Lumi – un grande laboratorio che, condispendio di energie non solo intellettuali e di risor-se economiche, aveva raccolto per tutta la sua esi-stenza. E quando fu certo che il Senato bologneseavrebbe provveduto alla sistemazione della sua rac-colta di materiali scientifici e di libri e manoscritti,solo allora ufficializzò con atto pubblico la donazioneinter vivos. Il Senato, infatti, per erigere l’Istitutodelle Scienze e collocarvi la biblioteca e i laboratori,

aveva acquistato dalla famiglia Banchieri uno deipiù bei palazzi bolognesi del Cinquecento, fattocostruire dal Cardinale Poggi e ancora oggi cono-sciuto come Palazzo Poggi.

Nel palazzo, eseguite alcune modifiche per ade-guarlo al suo nuovo uso, dovevano poi essere traspor-tate nel 1742 anche le raccolte di Ulisse Aldrovandi:fu, anzi, questo grande naturalista bolognese che, inepoca ben più remota, mancando a Bologna unabiblioteca pubblica, aveva posto le fondamenta del-l’attuale Biblioteca Universitaria con un’altra gran-de donazione di 3.800 libri e 360 volumi manoscrit-ti. In Palazzo Poggi, però, non entrava solo la libreriama anche la sua straordinaria raccolta di repertinaturali, animali, fossili, minerali, l’importante erba-rio, le famose tavolette xilografiche che illustravanola sua opera e gli acquerelli sfumati a tempera. E que-sta raccolta aldrovandiana, ancora prima di esseretrasferita in Palazzo Poggi si era a sua volta arricchitadel museo donato al Senato dal marchese Ferdinan-do Cospi.

Le stanze assegnate per l’Istituto e la biblioteca, tut-tavia, dovevano essere poche e insufficienti se già nel1724, secondo un inventario fatto dal bibliotecarioFrancesco Maria Zanotti, la biblioteca, giunta a 5.000volumi, non aveva più spazi per contenere la libreriaAldrovandi oltreché i doni e gli acquisti successivi. Fucosì che, per collocare la biblioteca di Ulisse Aldro-vandi e allargare gli spazi dei musei, furono acquistati ilocali attigui al palazzo, sulla cui area, una volta demo-liti, fu iniziata la costruzione della nuova biblioteca suprogetto dell’architetto Dotti.

A questo punto si inserisce la figura e l’opera,importantissime per lo sviluppo della biblioteca, chefino a quel momento aveva una consistenza medio-piccola e non era ancora aperta al pubblico, di ungrande bolognese, uomo di cultura e illuminato Pon-tefice: Benedetto XIV che, a giusta ragione, vienericordato come amplificator maximus in una iscrizionescolpita sulla porta dell’Aula Magna. Fu BenedettoXIV a fare degli originari fondi Marsili e Aldrovandi,che costituivano fino a quel momento la bibliotecadell’Istituto delle Scienze, solo il primo nucleo diuna grande biblioteca pubblica: stimolò il Senato adacquistare la libreria Bonfiglioli di circa 3.500 volu-

192I luoghi della mostra

mi, promosse la donazione da parte del cardinaleMonti della sua splendida libreria consistente incirca 12.000 volumi, donò la propria, ricca di 25.000volumi a stampa e di preziosissimi manoscritti, dotòla biblioteca di fondi per acquistare i libri e retribui-re i bibliotecari e i custodi, obbligò i tipografi diBologna a consegnare una copia di tutto quello cheveniva stampato alla biblioteca, inoltre, volle allaguida della stessa un bibliotecario bravo e appassio-nato come Lodovico Montefani Caprara che iniziòla catalogazione e collocazione di tutto il materialeposseduto, distribuendolo per materie e nell’ordinein cui ancora oggi si trova sugli scaffali della splendi-da Aula Magna. Fu proprio Montefani a pronunciareil discorso per la solenne apertura pubblica dellabiblioteca nel novembre del 1756, nel quale nonpoté che lodare le disposizioni e le donazioni delconte Marsili e i grandi meriti e le donazioni fatte daBenedetto XIV.

Resa così pubblica la biblioteca, che al momentodella sua apertura conteneva più di 80.000 volumi, ledonazioni di nobili e cittadini e gli acquisti dellostesso Senato bolognese proseguirono incessanti,tanto che nel 1780 con la rendita assegnata da PioVI sulla gabella grossa, la biblioteca fu ampliata diun nuovo braccio (Aula V). Alla fine del XVIIIsecolo, tuttavia, la dominazione francese rappre-sentò un periodo difficile per la biblioteca. Soppres-so l’Istituto delle Scienze e disperse le sue raccolte, labiblioteca riuscì a salvarsi grazie al suo ingente patri-monio e alla sua caratteristica di struttura pubblica.Passò sotto il diretto controllo del governo repubbli-cano e fu denominata Nazionale. I commissari fran-cesi asportarono i codici più preziosi e le edizioni piùrare, ma per fortuna questa perdita fu controbilan-ciata dalle acquisizioni dovute alle soppressioni con-ventuali: notevoli i codici provenienti dal Conventodi San Salvatore, dal Convento dei Dominicani, daquello di San Paolo in Monte e degli Olivetani diSan Michele in Bosco.

Nel XIX secolo la vita della biblioteca fu forte-mente influenzata dagli avvenimenti storici e daiconseguenti mutamenti istituzionali, come testimo-niano le stesse denominazioni che essa assunse lungoil secolo. Trasferita l’Università dall’Archiginnasio a

193

Palazzo Poggi ad opera dei francesi, fu denominataNazionale, quindi, caduto l’impero napoleonico,Regia e poi, dopo il Congresso di Vienna, Pontificia,denominazione che conservò fino all’unità d’Italia,quando tornò a chiamarsi Regia Universitaria e fuinserita nel gruppo delle biblioteche governative piùimportanti ovvero di prima categoria, come si affer-mava nel primo decreto bibliotecario dell’Italiaunita (1869).

Solo col secondo decreto di riordino delle biblio-teche pubbliche (1885) fu inserita definitivamentefra le “Universitarie”, definendosi così le bibliotechedepositarie delle pubblicazioni di istituti e laboratoriuniversitari nonché di Accademie italiane e stranie-re. Come biblioteca universitaria è stata poi oggettodi numerose donazioni da parte di docenti, studiosi,scienziati, che oggi costituiscono fondi speciali.

Nel XX secolo si assiste al progressivo e continuoampliamento degli spazi, incrementata, nonostante lealterne vicende del rapporto con l’Università, da acqui-sti, doni e diritto di stampa e diventata ormai il polo dilettura “più accogliente e ricettivo” per la popolazionestudentesca. A causa, tuttavia, dell’inarrestabile biso-gno di nuovi spazi per i libri e per gli utenti, la bibliote-ca è andata “fatalmente” incontro ad una svolta, carat-terizzata da una ristrutturazione generale, con relativetrasformazioni e riqualificazione degli spazi. Ha lascia-to, infatti, in questo ultimo decennio, le sale affrescatedi Palazzo Poggi che sono state riutilizzate dall’Univer-sità per il completamento del percorso museale e hatrasferito i fondi moderni in una “avveniristica” torrelibraria, attrezzata per le monografie e i periodici cessa-ti, mentre il cospicuo fondo dei periodici ancora incorso è stato collocato in nuovi magazzini Compact.Anche in questi ultimi sono applicate le più modernetecnologie informatiche per la movimentazione auto-matizzata del materiale librario.

Infine, accanto alle sale della sede storica, sono stateallestite due nuove e confortevoli sale di consultazionedotate di 30.000 volumi relativi a tutte le discipline,recentemente riclassificati ed integrati con moltenuove acquisizioni.

Ma alla fine del XX secolo la Biblioteca Universita-ria ha assistito a un altro grande cambiamento istituzio-nale: per effetto di una convenzione fra il Ministero per

I luoghi della mostra

194

i Beni e le Attività Culturali e l’Università di Bologna,grazie ad una legge dello Stato che ha promosso ildecentramento amministrativo, la gestione e l’uso del-l’ingente e prezioso patrimonio della biblioteca è “tor-nato” all’Università, cui spetterà il compito, ancorauna volta, alle soglie del terzo millennio, di mantenerequesto patrimonio e questa pregevole istituzione intattied integri per coloro che verranno.

Un fatto è certo: oggi la Biblioteca Universitariasvolge la funzione di principale raccolta storico-retrospettiva in ambito cittadino e regionale ed è ilcentro di eccellenza nei settori dell’informazionecatalografica e bibliografica, ma il suo fascino risie-de, non vi è dubbio, in quelle sale e in quei tesori dicarta, manoscritti e a stampa, per i quali è famosa intutto il mondo del sapere.

Biancastella AntoninoDirettrice della Biblioteca Universitaria di Bologna

I luoghi della mostra

195 I luoghi della mostra

SAN MATTIA A BOLOGNA

Da episodio di restauro a luogo di documentazione sull’architettura

Quella di poter disporre, a Bologna, di un centro attivo evivace dove esporre le realizzazioni ed i progetti di inter-vento sul tessuto urbano, luogo di unione e di confronto,era un’esigenza forte e sentita da tempo. Per sottrarre ildibattito, che si sviluppa dopo ogni proposta o ogni inter-vento, all’approssimazione disinformata, avvantaggiandotrasparenza e chiarezza, in un centro, da concepirsi comeluogo di unione, di riflessione, di ricerca e conoscenza primaancora che di contrapposizione e di dibattito.

Dall’altro lato, a Bologna, era stato appena terminatoun lungo e complesso intervento di restauro, che avevainteressato un immobile fra i più significativi, la Chiesadi San Mattia, attribuita a Pietro Fiorini e costruita apartire dal 1575, fino allora sconosciuta e abbandonata.

Monumentale ed elegante, con l’interno decorato a“rabeschi”, la chiesa era stata descritta nel XVII secoloda Carlo Cesare Malvasia come una ricca pinacotecache contava, fra le altre opere, una tela del Tintoretto,un dipinto di Guido Reni ed uno di Innocenzo daImola: una ricchezza che le veniva sia dall’appartenen-za al convento delle Domenicane che dalla sua ubica-zione lungo l’itinerario percorso dalla Madonna di SanLuca, patrona di Bologna, che, a maggio, scendeva dalColle della Guardia in città. In San Mattia, infatti,l’antica tavola raffigurante la Madonna sostava duenotti all’andata e due notti al ritorno, facendo delluogo la meta di molti fedeli.

Completamente rinnovata all’interno verso la metàdel Settecento per opera del “quadraturista” PietroScandellari e degli artisti Nicola Bertuzzi e TertullianoTaroni, che operarono una completa trasformazione del-l’apparato ornamentale e pittorico, conferendogli l’a-spetto fastoso e spettacolare che ancora oggi conserva, lachiesa non subì trasformazioni dal punto di vista archi-tettonico, ad eccezione delle serliane e degli oculi cin-quecenteschi ridotti a grandi finestroni rettangolari.

Nel 1799, in seguito alla soppressione degli ordinireligiosi operato dal governo napoleonico, la chiesa diSan Mattia venne isolata dal convento e divenne di pro-prietà demaniale. Inizialmente sussidiaria della vicinachiesa di Sant’Isaia, fu successivamente sconsacrata e

utilizzata prima come magazzino, poi, per vari decenninel corso del Novecento, come autorimessa, subendodanni irreparabili.

L’intervento di restauro, direttamente condotto dallaSoprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettoni-ci dell’Emilia e terminato nel 1994, ha permesso diriscoprire non solo il monumento, ma anche di fornireun ambiente adatto, nel suo insieme, allo svolgimento dimanifestazioni culturali.

Tali manifestazioni si sono poi concentrate e specia-lizzate in un grande tema unitario, quello dell’architettura,facendo dell’ex Chiesa un centro di informazione e docu-mentazione su progetti ed interventi sul territorio (e non solosul territorio emiliano). Affidata definitivamente allaSoprintendenza dal Dipartimento Demanio e Territorio,San Mattia è oggi sede di esposizioni, incontri, convegnidedicati all’architettura, all’urbanistica, al design, allostato del patrimonio storico-artistico-paesaggistico delterritorio emiliano, entrando a pieno tra gli spazi sceltiper le manifestazioni di Bologna 2000 città europea dellacultura. Il notevole interesse culturale e divulgativo degliavvenimenti ha attirato un numeroso pubblico, con ildoppio risultato di far conoscere ai bolognesi uno deigioielli dell’architettura cittadina del Cinquecento,dimenticato da quasi due secoli e di contribuire, conaperture anche festive e serali, alla riqualificazione diuna strada del centro – via Sant’Isaia – carica di storiacittadina ma, negli ultimi anni, apparentemente, estra-nea alle attività culturali cittadine.

In pochi anni, a San Mattia, si sono svolte – senzasoluzione di continuità – mostre, dibattiti, convegni,presentazioni su argomenti assai diversificati e con lapartecipazione di professionisti e relatori appartenentialla comunità culturale e progettuale internazionale. Macon un unico, grande riferimento, quello dell’architettura(e, quindi, non solo del restauro e del mai risolto rappor-to fra storia e restauro), sentendo anzitutto i protagonisti.Perché gli uomini che fanno l’architettura sono impor-tanti, quanto e forse più dell’architettura stessa, e si èritenuto di dover privilegiare quella che oggi viene defi-nita risposta attiva, finalizzata al benessere dell’uomo nellesue diverse connotazioni.

Elio GarzilloSoprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici dell’Emilia

INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

Abela G.F. 180, 188Achillini G.F. 153, 164Aconcio J. 45, 91Adani G. 89, 173Adickes 27Adige 90, 167, 168Adriatico, mare 15, 31, 39, 40,

49, 53, 74, 89, 92, 175Albani G.F. 57Alberti L. 146Aldobrandini I. 53Aldrovandi U. 136, 179Aleotti G.B. 31, 33, 36, 37, 48,

55, 62, 63, 91, 94, 100Alessandro VII 37Alessandro VIII 187Alfonso I d’Este 52Alfonso II d’Este 50, 53, 91Alfvèn 100Alimenti A. 173Altini, famiglia 171Aposa 146, 147, 155, 156, 162,

163, 164, 174, 175, 176, 177Archimede 34, 43, 48, 57,

58, 93Argenta 40, 63, 91Argile 55, 131Aristotele 32, 43, 49, 57Arno 46, 98Assia 97

Bacchelli R. 156, 164Bacchini B. 77, 97Bacchini Bern. 97Bacone F. 25, 26, 27Bagnacavallo 171Bagni di Mario 183Bagno di Piano 131Baliani G.B 68, 95, 99Banchieri A. 151, 153,

159, 164Baraldi M. 92, 100Baratta 117, 123Barattieri G.B. 34, 62, 66, 67,

73, 94Barberini F. 30, 36, 56, 73Barberini M.V. 54Barcellona 94Barchiesi A. 90Baricella 135Barozzi J., detto “il Vignola” 50,

92, 158Barsanti G. 25, 27Basilea 83, 99Basoli 173Bassi F. 174Bassi Q. 171Bassi, famiglia 171

Bassini, famiglia 171Bateman H. 100Battaglia S. 165Baudrillard J. 26, 27Bayle P. 77, 97Beccadelli 118, 120, 122Beck H. 27Bejaja 90Belgrado 19Belinaz S. 22Belli S. 48Bellini B. 165Benaco 27Bénard 100Benedetti G.B. 58, 93Benedetto XIII 142, 143Bentini J. 89Bentivoglio 167, 170, 171, 173Bentivoglio C. 50Bentivoglio E. 91Bentivoglio G. 182Bentivoglio, famiglia 158Bergia S. 91, 101Berlino 80, 83, 85, 98Bernard J. 97Bernoulli D. 46, 80, 81, 82, 83,

84, 85, 88, 91, 94, 98, 99, 100Bernoulli Jacob I 99Bernoulli Jacob II 99Bernoulli Johann I 46, 82, 84,

85, 99Bernoulli Johann II 99Bernoulli Nikolaus 83, 99Bernoulli Nicolaus II 83, 99Berti Pichat C. 125, 127, 132Berveglieri R. 100Besenzio 93Bianconi S. 173Bignon 27Bloch M. 126Boccone P. 27Boerhaave H. 17, 26Bombelli R. 76, 96Bonaccorsi 117Boncompagni U. 48Bonconvento 30Bondanello di Moglia 51Bondeno 31, 36, 52, 53, 54, 56Bonello G. 188Bonfadini 171Bonino M. 162, 173Bontadini A. 180Bontadini B. 15, 179, 180, 183,

184, 186, 187Bontadini C. 180, 188Bontadini L.P. 180Bontadini V., vedi BontadinoBonzi R. 150, 164

Bordoni E. 36Borelli G.A. 60, 61, 70, 94, 95,

98, 99Boretto 168, 170Borromeo F. 56, 73Borselli G.A. 146Borso d’Este 52Bosco 93Bosforo 140Bosforo Tracio 19, 20Bosi G. 164Boussinesque 100Bova 123, 158Bovio Bolognese C. 187Boyd Ash H. 90Boyle R. 97Brambilla P. 49Braudel F. 27Breccioli B. 33Brecht B. 22Brera 100Brescello 50Brescia 59, 93Breventani L. 164Broc N. 26, 27Brunelleschi F. 46Buache 23Budapest 49Buffon 23Bulgaria 18Bumaldi A. 153, 155, 164Burana 36Burckhard J. 97

Cabeo N. 32, 33, 34, 37, 48, 67Caesena 89Caetano B., cardinale 32, 33Cagioiosa 30Cambiano G. 178, 179, 188Campigotto A. 122Camporesi P. 174, 176Canal Bianco 32Canaletto 167Canali G.A. 122Canali L. 90Canetoli F. 180, 184Cantelli G. 97Cantoni G. 126Capelli G.A.M. 122Capponi L. 30, 54Caprara 30Caprarola 92Caprasia o Ostium Caprasiae 89Capua 183Carapecchia R.F. 184, 186, 187Caravaggio 182Carbonesi E. 187Cardano G. 33, 37, 48, 76, 96

Carena G. 146, 164Carettoni G. 90, 100Carli L. 173Carlo Emanuele III 167Carlo I 97Carlo V 45, 50, 178Carlowitz 19Carrati B.A.M. 180Cartesio 21, 84, 93, 95Carugo A. 91Casa d’Este 97Casa di Brunswick 97Casalecchio 170Casalecchio, chiusa 49Casoli L.M. 171Cassar G. 186Cassini A. 37Cassini G.D. 16, 23, 30, 31, 32,

33, 34, 36, 37, 56, 61, 62, 63,66, 73, 76, 93, 98

Cassiodoro 44Cassis 20Castel Gualtieri 50Castel Maggiore 53, 177Castelfranco Emilia 61Castelli B. 30, 31, 32, 33, 34, 37,

43, 48, 49, 54, 55, 57, 58, 59,60, 62, 63, 64, 66, 68, 69, 73,82, 91, 92, 93, 94, 96, 99, 100

Castellina 30Caterina II 85Catone il Censore 40, 100Cauchy 94Cavalieri B. 63, 76, 94, 96Cavaticcio 158, 164, 174Cavazza M. 37, 96, 98, 100Cavo Fiuma 51Cazzola F. 92, 100Cecchini F. 173Cenni 179, 188Centi R. 90Cento 30, 31, 50, 55, 56, 92Cento, canale 49Centurione, mons. 33Cervellati A. 164Cervia 171Cesare 89Cesena 89Ceva G. 57, 68, 69, 93, 95, 97Ceva T. 97Chambéry 95Chandrashekhar 100Chiarini D. 160, 165Ciampini G. 95Cianchi M. 91Clairaut A.C. 85, 100Clavio C. 91Clemente VII 45, 128

196

Clemente VIII 37, 53Clemente IX 98Clemente XI 57Clemente XIII 100Cocchi G. 100Coco F. 164Colbert 21Columella L.G.M. 40, 100Comacchio 39, 56Cominale 30Comino 178Commandino F. 93Conti A. 172Contoli A. 117, 121Coppola P. 27Cornaro A. 48Coronedi Berti C. 145, 164Coronella 92Coronelli V. 169Corsaro M. 90Corsini O. 30, 32, 33, 34, 37,

54, 73Corticella 49, 50, 158, 160, 171Corticella, chiusa 164Cosimo I de’ Medici 91Cosimo II 58, 98Cosimo III 77, 98Costa T. 164, 173Costantinopoli 18, 19, 20Cotrugli B. 91Cremona 168Crevalcore 94Crippa F. 121Cristina di Svezia 26Cristofori F. 150, 157, 164Croce G.C. 149, 152, 164Crostolo, canale 49, 50, 51Cuniberti P.A. 146, 164Cuppini G. 117Cuppini Giacomo 117Curti R. 121, 122

D’Adda F. 30, 36, 56, 73d’Autun J.Q. 188Dal Ferro S. 76, 96Danti E. 31, 48, 91Danubio 17, 19, 20, 24, 27,

140, 141Dato N. 90Dattili, S. 172Davia G.A. 96de Beaumont Brison A.G. 179,

185De Bosio G. 150De Chales 66de Dainville F. 17, 26, 27de Fleurigny Vauvilliers U. 187de La Vallette J. 179, 186, 188de Marchi F. 181de Merville M.G. 160de Micheli P. 50de Mondion C.F. 185De Rosa L. 121de Wignacourt A. 179

de’ Crescenzi P. 132, 135de’ Medici 52de’ Medici L. 60Dechales C.F. 67, 68, 95del Buono P. 60del Pozzo B. 180, 188, 189delle Moline, canale 164Desaguliers J.T. 93Desrumaux H. 175Devoto G. 145, 164Di Nallo R. 151Diacono P. 90Diderot D. 76Diolo 30Dockès P. 27Donducci F. 122Doria A. 182Dosso 30, 31Dotti G.G. 116, 118, 120, 121,

122, 123Dozze 31Dragoni G. 27, 91, 101Dryden H.L. 100, 101Dufour L. 189Dusina P. 178

El Habel 90Emilia 40, 42, 82, 90Emiliani A. 146, 164Enza, fiume 50Ercolani M.A. 122Ercole I d’Este 52Ercole II d’Este 52, 53Erone 43, 57Eschinardi F. 68, 95Este 51, 52Euclide 44, 94Euler L. o Eulero 46, 82, 84, 85,

88, 91, 99, 100

Facci 110Faenza o Faventia 89, 90Fahlbusch H. 90Fanti M. 162, 164Fantuzzi G. 27, 28, 36, 165Fardella M. 67, 94Farinelli F. 26, 27, 133Farnese A. 50Farrugia A. 187Fasso C.A. 93, 94, 101Federico II di Hohenzollern 85Feduzoni da Carpi C. 51Ferdinando 100Ferrara 13, 28, 30, 31, 32, 33,

36, 37, 39, 45, 46, 47, 48, 50,52, 53, 54, 55, 56, 62, 63, 64,65, 73, 77, 86, 87, 88, 89, 91,92, 94, 100, 128, 131, 160

Ferrari C.E. 145, 165Ferrari L. 76, 96Ferraro A. 96Festo L.P. 90Feyerabend P. 99Fiandre 46

Ficarolo 42, 48, 52Fidenza o Fidentia 89Fileno delle Tuate 171Fiocca A. 36, 37Fioravanti A. 49, 55, 92Fiorenzuola o Florentiola 89Firenze 46, 60, 66, 76, 77, 90,

95, 97Fiumicello 141Floriana 185Fointainebleau 92Fontana G. 97Fontana P. 187Fontenelle 36Foresti F. 144, 146, 160, 165,

173Forlì o Forum Livii 89Forlimpopoli o Forum Popili 89Forster E.S. 90Fortezza Urbana 34Fossa Asconis 89Fossa Augusta 89Fossa Clodia 89Fossa Flavia 89Fossae Philistinae 89Foucault 18Fournier G. 16, 17, 26Francesco I 92Francesco III 100, 167Franchini G. 97Francia 23, 46, 82, 90, 92,

125, 146Franke G. 99Franke P. 99Frati L. 23, 27Frege 25Fregoni M. 90Frisi P. 98Friuli 124Frontino S.G. 40, 41, 89, 101Fumagalli V. 90, 101Fuoco M. 89, 101

Gaiana 52Galilei G. 22, 37, 46, 48, 54,

55, 57, 58, 59, 60, 61, 67, 68,69, 70, 75, 79, 91, 92, 93, 94,95, 98, 100, 101

Galliera 30Gastaldi G. 67Gatti G. 159, 165Genga B. 186Genova 83, 91, 95Germania 46, 82, 97, 125, 146Geymonat L. 91Giacomelli A. 37, 143Giambologna 182Giannantonj G. 122Gibelli 109Gillispie C.C. 99Ginevra 97Giovanardi B. 110, 117, 122Giovanni II Bentivoglio 49, 173Giustiniano B. 188

Golfo del Leone 22Gonzaga C. 50Gonzaga F. 50Gonzaga, famiglia 50, 93Gottardi G. 91, 101Gozo 178Gozzadini U. 76, 96Gran Bretagna 125Gran Maestro Garzet 183Grandi M. 122Grassi A. 34Gregorio XIII 31, 48, 91Grunembergh C. 187Gualtieri 50Guardi F. 167Guareschi I. 27Guastalla 50Guenzi A. 106, 117, 121, 122,

174Guglielmini D. 14, 28, 30, 31,

35, 36, 37, 56, 57, 60, 61, 62,64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71,72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79,80, 81, 82, 88, 93, 94, 95, 96,97, 98, 99, 100, 127, 145,165

Guidicini G. 165, 180, 188

Haarlem 47Hall A.R. 91, 92Halle 99Hardin G. 131, 143Harris L.E. 91, 92, 101Heffner E. 90Hermann J. 71, 80, 81, 95, 98,

101Herschel C. 92Hessel A. 92, 101Hinze J.O. 101Holmyard E.G. 91, 92Hoppen A. 189Huygens C. 61, 97

Idice 40, 52, 163Imbrogl G. 187Imola o Forum Cornelii 89, 90Inghilterra 23, 46Innocenzo XII 56, 67, 73Isola Bella 167Italia 43, 45, 46, 47, 50, 77, 81,

82, 90, 96

Jaquelot I. 97Jones H.L. 90

Kalemberg 18Kant I. 23, 27Karl August, vedi Carlo IKelvin 99, 100

La Marra 187Labat J.B. 153Lafreri A. 179Lago di Bolsena 171

197 Indice dei nomi e dei luoghi

Lago di Costanza 18Lago di Garda 20, 27, 140Lago Maggiore 167Lagoscuro 30Lagrange J.L. 100Lamb H. 100, 101Lamone 52Lanci B. 186Landau 23Laparelli F. 181, 186, 188Laureti T. 183Le Clerc J. 97le Rond d’Alembert J.B. 76, 81,

82, 84, 85, 86, 88, 91Lecchi G.A. 100Leida 17, 98Lelli C. 90Leonardo da Vinci 46, 47, 50,

59, 91, 94Leonesi 110Leoni L. 182Leopoldo Cesare d’Austria 17, 19Leopoldo I d’Asburgo 96Lepenies W. 143Levi C. 90Lilio L. 91Lione 95Lipsia 97Lombardia 48, 77, 100Lombardini E. 94Londra 17, 45, 83, 94, 97, 167Longhena M. 27Lorenz E.N. 100Lovejoy 25Luca di Borgo San Sepolcro 44Ludovico il Moro 92Luigi XIV 98

Macagno E.O. 94Maccagni C. 93, 101Mach E. 60, 94, 100, 101Maffioli C.S. 36, 37, 91, 92, 94,

95, 96, 97, 98, 99, 101, 131Magagnoli D.M. 117, 118, 122Magagnoli G.L. 118, 122Magagnoli P. 117, 122Magliabechi A. 75, 77, 78, 80,

94, 96, 97, 99Malalbergo 28, 29, 30, 136,

158, 160, 161, 169, 171Malcantone 93Malpighi M. 64, 67, 76, 77, 94,

96, 98Malta 15, 178, 179, 182, 183,

184Maltese G. 100Malvasia di Bismantova C. 61Manaresi F. 92, 101Manfredi E. 35, 51, 57, 77, 93Manfredi Er. 93Manfredi G. 35Manica 23Mantova 46, 48, 57, 86, 93,

95, 168

Marburgo 97Marcantonio III Borghese 67Marcigoni G. 117, 122Marcone A. 90Mare del Nord 47Maria Teresa d’Austria 100Marieschi 167Mariotte 99Marnaghan F.P. 100Marrara 28, 29Marsamuscetto 179Marsigli 26, vedi MarsiliMarsili A.F. 95Marsili L.F. 14, 16, 17, 18, 19,

20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27,67, 74, 76, 77, 95, 96, 128,133, 135, 136, 140, 141

Martinelli F. 110, 111, 114, 115,122

Masetti Zannini G.L. 91, 92, 101Masina E. 150Masini P. 180, 188Massari B. 96Matulli R. 165, 173Mauretania 90Mazza R. 120, 122Mazzanti B. 150McConnell A. 27Mdina 178, 183Medici G.A. 52Mediterraneo, mare 23, 24Meduaci 89Meijer C.J. 98Menarini A. 156, 162, 165Menchetti F. 188Mencke O. 77, 97Mengoli P. 61, 65, 94Mersenne M. 67, 68, 79, 95Messina 94Michelangelo 92Michelotti P.A. 83Milano 77, 92, 93, 94, 100Mincio 168Mirabello 30, 56Mitelli G.M. 151, 160Mizar 94Modena o Mutina 42, 48, 50,

57, 60, 61, 73, 77, 86, 89, 92,94, 97, 167

Molinella 131Monaco di Baviera 167Montanari G. 16, 60, 61, 64,

65, 66, 69, 73, 75, 76, 88, 94Monti 110Monti G. 143Moroni G. 189Mosca 49, 92Mosca G. 180Mouchon F. 96

Nadi G. 148, 158, 165Nantes 97Napoli 24, 77, 91, 94Navier C.L.M.H. 86, 100

Naviglio di Faenza 167Naviglio Zanelli 170, 171Navile, canale 13, 28, 50, 123,

158, 159, 161, 162, 164,166, 169, 170, 171, 172,173, 174, 177

Navile, porto 161, 172Negri P. 120, 122Nero, mare 20Newton I. 25, 76, 81, 93, 94, 100Niccoli O. 165Nigrelli I. 27Nord Africa 90Novellara 50

O’Hara J.G. 101Occhiobello 93Oizé 95Olanda 50, 81, 82Olano 89Oli G.C. 145, 164Olmi 175Oretti M. 180, 188Ospitali P. 118Ostia Carbonaria 89Ostiglia 167, 168Ostrom E. 143Otto F. 97

Pacioli L. 44, 91Padova 35, 61, 65, 76, 77, 80,

83, 89, 92, 94, 96, 98, 100Padus 89Paesi Bassi 46, 47Palantone 30, 56Palatina 77Pallotta 54Pallotti V. 37Paludi di Bientina 142Pamfili B. 67, 95Panara 31Panaro 30, 31, 42, 53, 54, 56,

96, 168Pancaldi E. 173Panfili P. 173Panzano 61Paoletti M.L. 90Paolo III 50, 52Papebroeck D. 160Papin D. 35, 37, 70, 78, 79, 80,

81, 95, 97, 98Parigi 34, 36, 63, 85, 95Parma 42, 49, 50, 77, 89, 93Parmigiana-Moglia 50Pascal B. 59, 95Pascoli G. 155, 165Patrizi F. 48Pavia 83, 100Pedini 121Pegola 30, 136Penna A. 37Perugia 91, 95Pescantina 168Pesce C. 27

Pesci G. 149, 159, 165Piacenza o Placentia 51, 62,

89, 90Piatti 129Piemonte 167Pietramellara G.A. 64Pieve 30Pieve di Cento 53, 56Pignatelli A. 56, 67Pini A.I. 91Pio IV 52Pio IX 168Pisa 48, 54, 58, 60, 94, 98Pisanello 166, 167Pizzardi C.A. 173Platone 43Plinio Caio Sesto Secondo 101Plinio il Vecchio 40, 90Po d’Argenta 30Po di Cremona 167Po di Ferrara 29, 30, 32, 48, 51,

52, 53, 54, 55, 63, 73, 128Po di Goro 42Po di Lombardia 32Po di Primaro 31, 37, 40, 42,

50, 53, 56, 65, 93, 143, 160Po di Venezia 42, 51, 52, 54,

96, 128, 143Po di Volano 30, 31, 37, 42, 50,

53, 54Po Grande 30, 31, 32, 34, 37,

42, 48, 53, 54, 55, 56, 57, 63,73, 96

Po Morto 53Po, fiume 14, 31, 36, 38, 39,

40, 41, 42, 43, 45, 46, 47,49, 50, 51, 52, 53, 54, 55,57, 62, 73, 74, 82, 87, 89, 90,92, 93, 94, 96, 100, 124, 128,131, 158, 160, 167, 168,171, 173

Poggi G. 117Poggio 28, 30Poleni G. 55, 83, 92, 93, 98Polesine di Casaglia 30Polesine di S. Giorgio 30, 93, 131Polesine di San Giovanni 131Poluzzi L. 90, 93, 101Poncet 181, 187Poni C. 121Ponte Poledrano 173Porotto 29, 92Prandtl L. 100, 102Primaro 32, 37, 128Provenza 20, 140Prussia 85Punta San Giorgio 54

Quaderna 40Quincy L.D.C.H.D. 18, 22, 26

Rabat 179Raimondi G. 165Ramazzini B. 96

198Indice dei nomi e dei luoghi

Ranucci G. 90Ranuccio I Farnese 91Ranuzzi A. 187Raveda 30Ravenna 39, 40, 53, 54, 73,

89, 100Ravone 163, 176Reggiani G. 160, 165Reggio Emilia o Forum Lepidi o

Regium Lepidum 42, 49, 50, 61,77, 89

Reichenbach H. 99Reichert D. 27Reno, canale 49, 108, 109, 110,

114, 115, 118, 122, 147, 148,153, 155, 156, 158, 163, 164,175, 176

Reno, chiusa 106Reno, fiume 14, 18, 29, 31, 32,

34, 35, 36, 37, 40, 42, 48, 49,51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 61,62, 63, 64, 73, 74, 87, 93, 94,96, 100, 128, 129, 131, 136,141, 143, 144, 147, 159, 162,163, 164, 168, 170, 174, 183

Rescigno Di Nallo E. 165Reti L. 94Reynolds 100Ribot Garcia L.A. 121Riccioli G.B. 16, 17, 25, 26, 34,

37, 66, 94Ridolfi A.C. 188Rimini o Ariminum 39, 89, 96Rinaldi 110Rivellino dalla Fratta G. 37Riviera D. 131Rizzardi, famiglia 108, 110, 111,

112, 113, 114, 115, 116, 118Roberti G. 35, 77, 97Robinet A. 96, 97, 98Rodano 20, 22Roma 39, 41, 48, 54, 63, 64, 69,

73, 77, 89, 90, 92, 93, 94, 98Romagna 40, 47, 49, 52, 90,

96, 170Ronco, fiume 40Roncoscaglia 94Rond d’Alembert J.B. 46Rondelli G. 35, 37, 65, 94, 97Rosa E. 159, 160, 161, 162,

165, 173Rosi C. 154, 165Rosselli R. 92, 101Rossi M. 37Rossi P. 25, 27Rota 95Rouch M. 165Rubbiani A. 146, 173Russia 85

S. Agostino 30S. Martino 30, 92Sabatini L. 77, 97Sabbadino C. 48Saccenti C. 36Saccone S. 36Sagis 89Salaroli C. 157, 165Salaroli O. 37, 109Salimbeni L.B. 188Salisburgo 60Salomoni C. 165, 173Sammartina, vedi San MartinaSamoggia L. 92, 101Samoggia, torrente 40San Biagio 92San Giorgio di Piano 53San Giovanni in Persiceto 49San Martina, valle 29, 30, 53,

92, 94, 128, 129, 131San Pietroburgo 83, 85, 99Sant’Elmo 185Santerno 52, 93Savena 40, 52, 106, 141, 144,

147, 155, 156, 162, 163, 164,174

Savena, canale 147, 155, 156,163, 164, 175, 176

Savigno 180Savio, fiume 40Savona 95Scaglia B. 183Schiavone L. 189Schmitt C. 19, 26Schott A. 160Secchia 50, 51Sella P. 165Senglea 178Senio 52Sereni E. 90Serlio S. 180Servia 18Sesto Giulio 89Sforza L.M. 49’sGravesande W.J. 80, 81, 93,

98, 101Sicilia 179Sile 167Silla 159Sillaro 52Simoni C. 173Singer C. 91, 92Siracusa 48Skempton A.W. 91, 92, 101Solimano il Magnifico 179Sorbelli A. 146, 153, 160, 165Spagna 90Spallanzani M. 27Spernazzati A. 37, 128

Spilamberti F. 97Spina 39Spinola T. 33Staggia 46Stellata 30, 31, 33Stevin S. o Stevino 47, 58, 59Stoccolma 167Stokes G.G. 86, 100Stoye J. 26, 143Strabone 90, 101Strasburgo 99Susini G. 89, 101Svezia 19

Tago 45Tamigi 45Tanara V. 126, 132, 135Tartaglia N. 48, 58, 60, 91, 93Tedo 30Tega W. 26, 101Testoni A. 150Tevere 46, 98Thirriot C. 99Ticino 171Tirreno, mare 40Toledo 45Tölle-Kastenbein R. 90, 101Tolomeo 25Tolosa 97Tomassucci N. 183Tommaseo N. 165Torino 41, 58, 93, 95, 167Torriano 91Torricelli E. 52, 57, 58, 60, 67,

68, 70, 71, 75, 80, 82, 90, 95,98, 99

Torrione di Reggiolo 51Tortorelli 110Toscana 54, 77Toschi G.M. 112, 113, 115Tozzi Fontana M. 165, 173Trapani 94Trento 83Trigaboloi 89Trionfetti 22, 23Tronto 24Tucci P. 37Turchia 90, 95Turriano G. 45

Ugolini C. 159, 165Ungarelli G. 145, 148, 165Ungheria 136Urbano VIII 32, 33, 54

Val di Marrara 53Valery A.C. 153Valle del Conca 40Valle del Marecchia 40

Valletta 178, 179, 181, 184Valli di Comacchio 93Valli di Savena 135Vallice 93Vallisneri A. 136Vanzini A. 92, 100Vasari G. 46, 91, 101Veneto 92, 124, 167, 168Venezia 15, 44, 48, 52, 53, 54,

57, 77, 83, 86, 87, 91, 92, 93,128, 160, 161, 167

Venier A. 35, 74, 88Venier G.B. 74Venier M. 35Venturi G.B. 55, 92Venturi S. 165Vercelli 100Verona 166Veronesi G. 89, 92, 93, 101Via Emilia 40, 49, 89Vianelli A. 151, 155, 165Vicenza 83Vienna 18, 60, 80Vincenzo II Gonzaga 91Vischer D. 99, 101Vitruvio 40, 41, 90, 101Vittorio Emanuele III 173Viviani V. 61, 66, 69Vizzani 110Volano 30, 32, 89von Helmholtz H. 99, 100von Humboldt A. 22, 23, 27von Kármán T. 100, 102, 104,

105von Leibniz G.W. 35, 76, 77,

78, 80, 88, 92, 94, 96, 97, 98, 99

von Poellnitz K.L.F. 160

Wignacourt 180, 181, 183, 186, 187

Williams T.I. 91, 92Wolff C. 82, 99, 101Würtemberg 97

Yates 25

Zagli A. 141, 143Zagnoni 109Zambonini A. 120, 122Zanelli 167Zannoni A. 175Zanotti A. 92, 144, 148, 152,

156, 165, 188Zanotti E. 35Zena 134, 141Zendrini B. 100Zingarelli N. 145, 165Zonca V. 108, 121

199 Indice dei nomi e dei luoghi

Finito di stamparenel mese di febbraio 2001

da Compositori Ind. Grafiche, Bologna