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1 BOLLETTINO SAT SOCIETÀ ALPINISTI TRIDENTINI ANNO LXVI N. 4 - 2003 IV TRIMESTRE Direttore responsabile: Marco Benedetti E-mail: [email protected] Redazione: Claudio Ambrosi Biblioteca della montagna-SAT Trento - Via Manci, 57 Tel. 0461 980211 E-mail: [email protected] Comitato di redazione: Bruno Angelini Giorgio Balducci Franco de Battaglia Franco Gioppi Ugo Merlo Piergiorgio Motter Enzo Zambaldi Direzione Amministrazione: SAT - Trento - Via Manci, 57 Abbonamenti: Annuo Euro 10,50 Un numero Euro 3,00 Rivista trimestrale registrata pres- so la Cancelleria del Tribunale Civile di Trento al n. 38 in data 14 maggio 1954. Stampa: Tipolitografia TEMI - Trento - Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/c Legge 662/96 - Filiale di Trento - Italy - Tassa Riscossa - Taxe perçue In copertina: Sventolio di “Lungta” sul Drolma-La (5672 m). Vedi ar- ticolo: “Emozioni tibetane...” Foto: Daria di Lenna Sommario I soci della SAT al 31 dicembre 2003 2 Emozioni tibetane: da Lhasa al Kailash 3 di Mauro Leonardi, Daria di Lenna e Bepi Pinter I segreti di Cima Lasta 9 di Franco Gioppi Il bilancio di massa sul Ghiacciaio d’Agola (2002-2003) 13 di Roberto Bezzi, Nicola Carlesso, Luca Carturan, Corrado Dellai, Stefano Fontana, Andrea Paoli e Roberto Seppi Educare alla montagna: l’esperienza della SAT. L’autoregolamentazione, ovvero, l’agire e il non agire 19 di Claudio Bassetti Il taccuino di Ulisse: i fiordi 27 di Michele Azzali e Mirco Elena Piccola farmacia dell’alpinista 30 di Giorgio Martini Itinerari scialpinistici in Cima d’Asta 31 di Paolo Acler, Andrea Caser e Franco Dorigatti Rubriche Alpinismo 37 Biblioteca della montagna-SAT 40 Dalle Sezioni 42 Lettere 49 Rifugi 51 Solidarietà 53 TAM 55 Libri 63

BOLLETTINO ALPINISTI IV TRIMESTRE TRIDENTINI SATsatlavis.weebly.com/uploads/3/2/4/9/3249414/2003_-_7.pdfparlare con i Tibetani, apprezzandone il buonumore e la giovialità che conservano

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    BOLLETTINOSAT

    SOCIETÀALPINISTI

    TRIDENTINI

    ANNO LXVIN. 4 - 2003

    IV TRIMESTRE

    Direttore responsabile:Marco BenedettiE-mail: [email protected]

    Redazione:Claudio AmbrosiBiblioteca della montagna-SATTrento - Via Manci, 57Tel. 0461 980211E-mail: [email protected]

    Comitato di redazione:Bruno AngeliniGiorgio BalducciFranco de BattagliaFranco GioppiUgo MerloPiergiorgio MotterEnzo Zambaldi

    Direzione Amministrazione:SAT - Trento - Via Manci, 57

    Abbonamenti:Annuo Euro 10,50Un numero Euro 3,00

    Rivista trimestrale registrata pres-so la Cancelleria del TribunaleCivile di Trento al n. 38 in data14 maggio 1954.Stampa: Tipolitografia TEMI -Trento - Spedizione in A.P. - art.2 comma 20/c Legge 662/96 -Filiale di Trento - Italy - TassaRiscossa - Taxe perçue

    In copertina: Sventolio di “Lungta”sul Drolma-La (5672 m). Vedi ar-ticolo: “Emozioni tibetane...”Foto: Daria di Lenna

    Sommario

    I soci della SAT al 31 dicembre 2003 2

    Emozioni tibetane: da Lhasa al Kailash 3di Mauro Leonardi, Daria di Lenna e Bepi Pinter

    I segreti di Cima Lasta 9di Franco Gioppi

    Il bilancio di massa sul Ghiacciaio d’Agola (2002-2003) 13di Roberto Bezzi, Nicola Carlesso, Luca Carturan, CorradoDellai, Stefano Fontana, Andrea Paoli e Roberto Seppi

    Educare alla montagna: l’esperienza della SAT.L’autoregolamentazione, ovvero, l’agire e il non agire 19di Claudio Bassetti

    Il taccuino di Ulisse: i fiordi 27di Michele Azzali e Mirco Elena

    Piccola farmacia dell’alpinista 30di Giorgio Martini

    Itinerari scialpinistici in Cima d’Asta 31di Paolo Acler, Andrea Caser e Franco Dorigatti

    Rubriche

    Alpinismo 37

    Biblioteca della montagna-SAT 40

    Dalle Sezioni 42

    Lettere 49

    Rifugi 51

    Solidarietà 53

    TAM 55

    Libri 63

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    Sezioni SociAla 337Aldeno 246Alta Val di Fassa 273Alta Val di Sole 197Andalo 113Arco 822Avio 164Bindesi 351Borgo Valsugana 235Brentonico 276Bresimo 90Caldonazzo 165Carè Alto 353Cavalese 342Cembra 300Civezzano 371Centa 285Cles 191Cognola 362Coro SAT 31Daone 142Denno 105Dimaro 228Fiavè 230Folgaria 75Fondo 354Lavarone 82Lavis 209Ledrense 220Levico Terme 177Lisignago 85Malè 189Mattarello 486Mezzocorona 186Mezzolombardo 359Moena 154Molveno 75Mori 702Pejo 191Pergine 401

    Sezioni SociPieve di Bono 206Pinè 192Pinzolo Alta Rendena 634Ponte Arche 113Povo 190Pozza di Fassa 181Predazzo 124Pressano 287Primiero 565Rabbi Sternai 292Rallo 163Ravina 264Riva del Garda 785Rovereto 1.228Rumo 147Sardagna 124S. Lorenzo in Banale 65S. Michele all’Adige 190Sede Centrale 231Sopramonte 174SOSAT 764Spormaggiore 191Stenico 72Storo 165SUSAT 205Taio 172Tesero 75Tesino 144Tione 470Toblino 170Ton 95Trento 1.975Tuenno 201Vermiglio 138Vezzano 229Vigolo Vattaro 164Zambana 114

    Totale 21.653Totale 2002 21.209

    I soci della SAT al 31 dicembre 2003

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    S 30 settembre 2002ono seduto vicino al torrente e sto fis-sando alcune annotazioni sul mio piccolodiario. Quasi impercettibilmente, il rumo-re dell’acqua si attenua sempre di più, per-ché il gelo ne sta rallentando a poco a pocoil corso. Poco più in là, nella tenda, Mauroe Migmar stanno già dormendo. Dalla ten-dina di Daria e Stefania arriva il suono som-messo delle loro voci.

    La luce della luna che sta per nascereillumina la cima innevata del Kailash, checi sovrasta in tutta la sua magica imponen-za dall’alto dei suoi 6714 metri.

    Torno con la mente all’inizio di questoviaggio che ci ha condotti in quest’angolo

    remoto del Tibet occidentale, fra l’Hima-laya e le immense distese dell’Asia centra-le. Spesso i viaggi, come tanti fatti dellavita, hanno un inizio lontano. Si prepara-no quasi inconsciamente dentro di noi,magari sfogliando un libro che parla di ter-re lontane che fin da ragazzi ci avevanofatto sognare.

    Il Tibet mi ha sempre attratto, oltre cheper il suo fascino misterioso e straordina-rio, per il dramma che questo Paese ha vis-suto con l’invasione cinese del ‘59. Volevoconoscere quei luoghi e quella gente pri-ma che l’opera sistematica di demolizionedella sua storia e della sua cultura fosse de-finitivamente conclusa.

    Emozioni tibetane: da Lhasa al KailashTesto di Bepi Pinter - Foto di Mauro Leonardi, Daria di Lenna e Bepi Pinter

    Il Potala visto dal Jokhang

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    Condivido questa avventura con Mau-ro Leonardi, vecchio satino e viaggiatoredi provata esperienza, grande amico e com-pagno prezioso per un viaggiatore alle pri-me armi come sono io.

    Partiamo il 13 settembre per Kathman-du, dove ci fermiamo alcuni giorni in atte-sa del volo che ci porterà in Tibet. Il tem-po è sufficiente per farci un’idea della ca-pitale nepalese, della sua gente, di una re-

    altà dalle mille facce,ricca di fascino e ditante contraddizioni.

    È la mattina del17 settembre. Dal-l’oblò dell’aereo ve-diamo sfilare davantia noi l’Everest, ilLothse, il Makalu. Ilverde del Nepal halasciato il posto allasevera aridità del Ti-bet. Dopo circaun’ora di volo atter-riamo all’aeroporto

    di Gonkar, a circa settanta chilometri daLhasa. Cingendoci il collo con una katha bianca,la tipica sciarpa da preghiera tibetana, ci dà ilbenvenuto la nostra amica Daria di Lenna. Sitrova in Tibet da circa due anni, e studia tibetanoall’università di Lhasa. Sarà per noi una guidapreziosissima; la sua profonda conoscenza dellagente e dei luoghi, ci permetterà di vivere momentie situazioni impensabili per dei normali turisti.

    Lhasa, capitale del Paese delle Nevi, ciaccoglie con lo splendore del Potala, untempo residenza del Dalai Lama e sede delgoverno. Quest’imponente fortezza, chesi staglia maestosa su una delle città piùalte del mondo, è il principale punto di ri-ferimento di Lhasa, e merita senza dubbioun posto tra le meraviglie dell’architetturaorientale.

    La sua grandiosità incute una sorta ditimore. Se ne sta assopito, avvolto nel si-lenzio come un immenso museo e la suaassenza di vita ci ricorda costantemente cheil Dalai Lama è stato costretto a fuggire.

    Se il Potala rappresenta un edificio sim-bolo, è il Jokhang, circa due chilometri adTipica tenda dei pastori nomadi

    Praterie a 4600 m

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    est, il vero centro spirituale della città. Im-merso in una suggestiva mescolanza dimisteriosa oscurità, volute di incenso epellegrini prostrati, è la più venerata strut-tura religiosa del Tibet.

    Descrivere il fascino di questa città in pocospazio è praticamente impossibile. Anche se, apartire dagli anni ottanta, i Cinesi ne hanno sna-turato l’architettura costruendo molti edifici mo-derni che ne hanno alterato il volto, nella parteantica si respira ancora l’atmosfera di un tempo,in modo particolare nel quartiere che sorge attornoal Jokhang. Passeggiare lungo il Barkhor, il cir-cuito di pellegrinaggio (kora) di Lhasa, aggirarsiper le sue vie seguendo l’infinita serie di bancarelleche lo animano, è sempre un’esperienza suggestivaed emozionante. Luogo che non ha eguali in Ti-bet, dove si mescolano profonda religiosità e traffi-ci mercantili.

    Ci fermiamo a Lhasa diversi giorni.

    Questa lunga permanenza ci permette divisitare con calma altri luoghi significatividella città e dei dintorni, fra i quali i mona-steri di Sera e Pabonka. Tramite Daria,possiamo vivere a contatto con la gente,parlare con i Tibetani, apprezzandone ilbuonumore e la giovialità che conservanononostante le loro dure condizioni di vita.Rimanere per tanto tempo a quasi 3700 mdi quota, ci consente inoltre di acquisireun buon acclimatamento che ci sarà utilequando ci sposteremo sugli altipiani occi-dentali. Al nostro gruppo si aggrega Ste-fania Giannetti, torinese, amica e compa-gna di università di Daria. Con non pochedifficoltà organizziamo la nostra piccolaspedizione al Kailash.

    Qualunque spostamento in Tibet è su-bordinato alla concessione di un permes-so; per andare alla Montagna Sacra, di per-

    Deserto d’alta quota a 4700 m

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    messi ce ne vogliono ben cinque. Ci faràda guida Migmar Tsering, un ragazzo ti-betano di ventidue anni; ci sarà inoltreTenzing, l’autista cinese che guiderà il fuo-ristrada, una vecchia Toyota le cui condi-zioni ci preoccupano non poco, visto chedovremo percorrere circa 2800 km di stra-de tutt’altro che agevoli.

    La durezza del viaggio, gli interminabi-

    li scossoni, i guadi, il timore di guasti mec-canici sono però ampiamente ripagati dal-la bellezza del territorio che attraversiamo.Una distesa infinita, interrotta solo rara-mente da piccoli villaggi e minuscoli inse-diamenti dove il tempo si è veramente fer-mato. Greggi di pecore e mandrie di yiakpascolano su un altopiano che non scen-de mai sotto i 4000 metri. E tutt’intornomontagne di una bellezza che toglie il fia-to, sovrastate da un cielo di un colore maivisto, solcato solo da avvoltoi e gipeti.

    Si viaggia per giornate intere, valican-do passi che sfiorano e a volte superano i5000 metri; e dietro ogni passo è un’escla-mazione di meraviglia per quello che si paradavanti a noi. Shigatse, Lhatse, Saga,Parjang: nomi che scandiscono le tappe diquesto lungo viaggio. Senza nulla toglierealla bellezza di alcuni centri come Shigat-se, con le meraviglie del Tashilhunpo, sededel Panchem Lama, ciò che più rimane nelricordo è comunque l’infinita e solitariavastità di questi luoghi. L’emozione nel-l’incontrare pastori nomadi che non si ca-pisce da dove vengano e dove siano diret-ti, visto che fin dove arriva lo sguardo nonsi notano segni di insediamenti umani. At-traversare deserti di alta quota; grandi dunedi sabbia ai lati della pista e, sullo sfondola catena Himalajana. Un contrasto esteti-camente formidabile. I rari incontri sonocon i pellegrini che, con ogni mezzo, pro-cedono verso la Montagna Sacra.

    È la sera del 29 settembre. Saliamo len-tamente verso il passo Majum La (5150 m).Sappiamo che al di là ci attende un grandespettacolo; l’aspettativa non è delusa. L’og-getto che da tanti giorni riempie i nostripensieri è lì, davanti a noi. Eccolo final-

    Il Kailash dalla piana di Tarpoche

    Il passo Mayum-La (5150 m) con il Kailash sullo sfondo

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    mente il Kailash, e ai suoi piedi il LagoManasarovar.

    Fin dagli arbori dell’umanità, esistonoluoghi sacri. Da sempre, fili invisibili lega-no l’uomo alla Terra e alle stelle, ma i ritmidella nostra civiltà ci impediscono di av-vertirne la presenza. Luoghi sacri, presen-ti in tutti i continenti e presso tutte le civil-tà. Il Kailash è uno di questi luoghi “magi-ci” della Terra; da migliaia di anni, milionidi devoti gli rendono omaggio.

    È sacro non solo per i buddhisti tibeta-ni; lo venerano anche gli Indu, i Jaina ne-palesi e indiani e i seguaci della religioneBon, la più antica delle cinque scuole bud-diste tibetane. Da questo monte nascono iquattro grandi fiumi dell’Asia: l’Indo anord, il Bramaputra ad est, il Karnali a sud,e il Sutlej a ovest.

    È considerato il centro di un enorme mandalae il suo nome tibetano è Kang Rimpoche, chesignifica “gioiello di neve”. È permesso solo girar-ci attorno, ma non salirlo; sarebbe sacrilego calpe-stare la sua cima, dimora degli Dei.

    Eccoci dunque qui, ai piedi della Mon-tagna Sacra. Con i pellegrini abbiamo iniziatola Kora (il giro) che durerà tre giorni; due yak ciaiutano a trasportare le nostre cose.

    È l’alba del due ottobre e fa molto fred-do. Dalla tenda vedo la parete nord delKailash, una bastionata verticale e impres-sionante; siamo a 5050m e stiamo per ini-ziare l’ultima tappa della Kora. Ci prece-dono e camminano con noi centinaia dipellegrini di ogni età; sono tutti molto cor-diali e ci salutano immancabilmente conun allegro tashi-delek! Ci sono anche moltivecchi e bambini, qualcuno di pochi mesi.

    Dobbiamo affrontare la salita che con-duce al Drolma La, il passo più alto del

    percorso (5672 m). Ora però comincio adavvertire gli effetti della quota; il respiro sifa affannoso e procedo molto lentamente.Inizia per me un vero e proprio bagno diumiltà. Non c’è nulla più della fatica che cipuò far cogliere il valore e il significato diquesto lento procedere verso l’alto e ine-vitabilmente si colgono le analogie di que-

    Pellegrini in marcia all’alba verso il Drolma-La

    Coppia di pellegrini durante la Kora

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    sto pellegrinaggio con la vita di ognuno.Sul Drolma La, coperto di neve, ci accoglie lo

    spettacolo emozionante delle migliaia di lungta,le bandierine di preghiera che i pellegrini lascianonel vento del Kailash. Anche noi mettiamo le no-stre, pensando a chi ci è più caro.

    Dopo una breve pausa, iniziamo la di-scesa passando vicino al Gouri Kund, unlago glaciale simbolo della rinascita. Ciaspetta una tappa lunga, attraverso unavallata che sembra non finire mai. Comin-ciamo ad intravedere nuovamente il LagoManasarovar, nel quale si specchia il Gur-la Mandata (7728 m).

    La kora è ormai finita; proviamo una grandegioia e un profondo senso di gratitudine perché ci èstato concesso di vivere un’esperienza straordina-ria. Siamo ormai sulla via del ritorno. DopoSaga, attraversato il Bramaputra, ci dirigia-mo verso lo Shisha Pangma con l’inten-

    zione di arrivare fino al campo base diquesto ottomila per salutare Sergio Marti-ni e Cesare Maestri, impegnati nel tentati-vo di salita. Un banale contrattempo cipriva di questa soddisfazione; questa de-viazione ci permette comunque di poterammirare, nei pressi di Tingri, l’Everest eil Cho Oyu.

    Il 10 ottobre siamo di nuovo a Lhasa,dove soggiorniamo ancora alcuni giorni.

    È passato più di un mese dal nostroarrivo ed è tempo di tornare a casa.

    Sorvolando l’Himalaja, mi chiedo se e quan-do avremo la fortuna di tornare troveremo ancoraqualcosa del Tibet o se, nel frattempo, il genocidioculturale di questo meraviglioso popolo sarà defi-nitivamente concluso. Lascio che la speranza pren-da il sopravvento: caccio via questo pensiero e man-do un grande grazie e un ultimo tashi delek alPaese delle Nevi.

    Lo Shisha Pangma (8013 m)

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    Conoscete Cima Lasta? Ma certo. Chi,fra gli innumerevoli escursionisti tren-tini o fra gli appassionati “zainisti” del vi-cino Veneto, non ha salito, almeno unavolta, i 2847 metri della regina dei “Lago-rai”? Chi non ricorda la maestosità dellasua struttura stellare, gli splendidi laghi ele grandi colate granitiche che la compon-gono?

    La domanda, quindi, sembra del tuttosuperflua se non fosse per il fatto che que-ste brevi note non riguardano la frequen-tatissima Cima d’Asta, ma una miscono-sciuta vetta della conca Tesina appartenen-te al gruppo di Montemezza conosciutacon il nome di Cima Lasta.

    I due toponimi, tuttavia, oltre che esse-re alquanto somiglianti hanno la medesi-ma radice etimologica e, nell’essenza, trag-gono la loro origine dalle evidenti superfi-ci rocciose a lastra - in dialetto “lasta” -che contraddistinguono le vette di cui cioccupiamo. Al pari delle grandi star delmondo Hollywoodiano, però, Cima d’Astaha via via alterato la propria carta d’identi-tà stravolgendo, di fatto, il significato au-tentico del suo nome proprio per farlo so-migliare a quello di una nobile ed inesi-stente “Asta” granitica, ossia ad una puntarocciosa diritta e sottile. La seconda vetta,invece, umile cenerentola seminascostadalla fitta vegetazione del suo versante set-

    I segreti di Cima LastaTesto e foto di Franco Gioppi

    Al centro - vista dall’Ortigara - la parete bianca illuminata dal sole di Cima Lasta che sovrasta l’abitato di Ospedaletto

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    tentrionale e per nulla apprezzata nelle altepareti di mezzogiorno che incombonosulla trafficata Valsugana, ha mantenutoinalterato il suo etimo originale.

    Il carattere ovattato del suo toponimo,però, non ha impedito alla modesta CimaLasta di racchiudere al suo interno curio-sità, segreti ed elementi d’interesse noncomuni che, per certi versi, superano quellidella più celebre consorella.

    Ed è di queste dimenticate peculiaritàche qui tratteremo. Geograficamente ubi-cata tra il solco vallivo del canal di Brenta(S) e le propaggini meridionali dell’altopia-no Tesino, Cima Lasta - m. 1679 - è con-trassegnata nella cartografia ufficiale anchecon il toponimo di Monte Mezza. La vet-ta, si eleva fra Cima La Presa - m. 1658 -ed il Cismon - m. 1588 -, componendo, intal modo, quel trittico di rilievi che accom-pagnano in sinistra orografica il fiumeBrenta: dall’abitato di Ospedaletto fino alambire il borgo di Grigno.

    Dal punto di vista geologico, mentre lestrapiombanti pareti di Sud Ovest che siaffacciano alla Valsugana sono costituiteda massicce bancate della dolomia princi-pale i versanti di Nord Est che si offronoalla conca Tesina sono prevalentementeformati da calcari grigi di Noriglio. Ed èsolo su questo lato che Cima Lasta risultavestita da fitte fustaie resinose e latifoglie,ricche di fauna stanziale che, un tempo, an-noverava persino l’orso.

    Il concittadino naturalista FrancescoAmbrosi, infatti, riferisce che il 29 settem-bre 1824 Lorenzo Gasperini di Cinte Te-sino saliva la Cima Lasta dalla “…valle degliAgari sul versante di Ospedaletto in compagniadi altri suoi colleghi di caccia. Questi, a forza di

    fucilate scovarono l’orso ed il Gasperini lo atten-deva ad un sentiero dirupato e solitario. Giuntovil’animale, gli scarica contro l’arma, ma non riescead ucciderlo ed è perduto: la bestia inferocita loaddenta ad una gamba e lo getta giù per l’erta sinoall’orlo d’una rupe. Indi riprende la fuga e tostos’arresta ad un forte sospiro mandato fuori daquell’infelice: ritorna sul luogo, lo afferra novella-mente e lo slancia giù da quell’altissima rupe, siche precipitando di balzo in balzo, cadde al pianodove furono raccolte le sparse membra e sepolte nelcimitero di Ospedaletto” (XII Annuario SAT,1885-1886).

    Un secolo più tardi, ecco che Cima La-sta torna a far parlare di sé. La citano tuttii quotidiani del tempo, la percorrono ingran numero militari e forze di polizia. Mache cos’era accaduto di tanto importantesu quella sconosciuta vetta dell’altopianoTesino, traforata da gallerie di guerra, cam-minamenti e postazioni italiane risalenti alprimo conflitto mondiale? “Il Gazzettino”del 25 aprile 1930 in proposito riferisce:“Si ha notizia di un tragico fatto di sangue avve-nuto l’altra notte a Cinte, tranquillo paesello del-la pittoresca conca tesina, a circa 54 km. da Trento.In seguito a vecchi rancori, il contadino Celio Paced’anni 36, uccideva verso le ore 2.30 nella pro-pria abitazione, il padre Giovanni d’anni 64,sparandogli tre colpi di arma da fuoco e poi sidava alla latitanza […]. Con i famigliari il Ce-lio, da parecchi anni non andava più di buon ac-cordo a causa del suo contegno. […] Il padre daqualche tempo non gli dava più denaro, ma sologli permetteva di entrare in casa a prendere i pa-sti. Il giovinastro, invece, che aveva sempre bisognodi denaro, continuava insistentemente a chiederneal padre e lo minacciava di seri guai. Mercoledìsera egli cenò in casa come di consueto e poi uscì.Verso le due di notte vi fece ritorno e attraverso

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    una finestra entrò nell’abitazione paterna. Il pa-dre scese allora da letto ed ebbe col figlio un vivacealterco in cucina. A un certo momento il giovaneafferrò un fucile militare e sparò a bruciapelo con-tro il padre tre colpi: alla testa, al petto e allegambe […] quindi si sarebbe allontanato nel buiodella notte attraverso i boschi. […] Durante tuttala giornata di ieri i carabinieri di Pieve hannoricercato attivamente il parricida battendo la fore-sta, ma fino a ieri sera alle 17, dell’assassino nonsi aveva alcuna traccia”.

    “Le attive ricerche dei Carabinieri per la cat-tura del parricida Celio Pace”, “Il truce parricidadi Cinte ancora latitante: la fosca tragedia nottur-na nel racconto di un famigliare”, “Il parricida diCinte spara nuovamente contro i Carabinieri”sono solo alcuni titoli dei numerosi arti-

    coli che descrissero l’azione della “Bene-merita” impegnata, sotto la direzione delQuestore di Trento e unitamente a repartidei militi volontari fascisti dell’Undicesi-ma Centuria della MVSN, nella ricerca delfuggiasco sulla montagna di Montemez-za. “La perlustrazione è quanto mai difficile -annota un corrispondente del Brennero -[…] perché il numero delle caverne supera il cen-tinaio (sic) mentre le gallerie dei camminamentisono talora in comunicazione tra loro come glianditi di un labirinto. I nascondigli sono noti inogni particolare al Pace il quale da tempo vivevasulla montagna e per questo si spiega il fatto cheegli riesca ad eludere la vigilanza dei carabinieriche camminano sulle piste”.

    La latitanza del cacciato, durata oltre unmese, fu caratterizzata da una molteplicitàdi brutali episodi che videro coinvolti i fa-migliari del parricida, i proprietari dei masidi monte prospicienti la zona interessatadalle operazioni, autorità civili e militari diogni ordine e grado ma, soprattutto, i Re-ali Carabinieri che per riuscire nella cattu-ra pagarono, ancora una volta, con il sa-crificio di un proprio, valoroso militare. E,infatti, il 20 maggio 1930, il ventunenneCarabiniere De Lunardi Albino da Peda-vena, “… unitamente ad un Brigadiere dell’Ar-ma, dubitando - per tracce scorte sulla neve - che ilmalvivente avesse trovato rifugio in una cavernache si apre sul ristretto gradino di una parete apicco alta ben 500 metri di Cima d’Asta - in-tendendo Cima Lasta -, in pieno giorno, dan-do prova di sommo sprezzo del pericolo e di pro-fondo sentimento del dovere, si avventurò, col su-periore, nel pericoloso accesso alla caverna. Lungoil tragitto, colpito gravemente da colpo di moschet-to esploso dall’assassino nascosto nella caverna, con-servando mirabile calma, dopo aver detto al supe-

    La strapiombante parete rocciosa ove cadde lo sfortunatoCarabiniere

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    riore ‘Brigadiere l’ho avuta, ma adesso gliela resti-tuirò io’ sparava contro il parricida ben tre colpidi moschetto. Dopo di che, sentendosi improvvisa-mente mancare, trovava la forza suprema di con-segnare il moschetto al Brigadiere, dicendogli: ‘Bri-gadiere per me è finita. Nel moschetto ci sono an-cora tre colpi che valgono oro. Continui lei. Misaluti la famiglia’. Precipitava quindi nel profon-do burrone sul quale era sospeso, senza che il su-periore potesse soccorrerlo, immolando, così, la gio-vane ed eroica esistenza nell’adempimento del pro-prio dovere”. (Comando Divisione MilitareBolzano (11°) Ordine del giorno di divi-sione del 22 maggio 1930, anno VIII)

    “Dopo il tramonto - registra ancora ilBrennero - e fino all’alba la cengia venne conti-nuamente battuta da raffiche di mitraglia alter-nate da scariche di fucileria allo scopo di impedirequalsiasi tentativo di fuga del Pace e di rendergliimpossibile il rifornimento d’acqua. Alle primeluci del giorno dal rifugio della belva umana salìuna leggera colonna di fumo misto a faville ed acenere di carta”. Si pensò così di snidare l’as-sassino rifacendosi alla sua stessa strate-gia, ovvero appre-stando delle onda-te di fumo rivolteverso il suo inacces-sibile nascondiglioroccioso, ma il pia-no fu “… reso vanodallo stesso bandito che,sotto l’incubo dei rimor-si e la minaccia dellaspada della giustizia,verso le 10,30, avvici-natosi all’orlo dell’abis-so puntava contro di sél’arma due volte omici-da. […] Quindi un si-

    nistro colpo rintronava nel silenzio pauroso ed uncorpo arrotolava in quello stesso abisso ove già datempo era precipitata l’anima del parricida. Giu-stizia era fatta”.

    Oggigiorno l’orso è scomparso da que-ste alture e del cruento episodio riportatonon rimane che il toponimo “Tana di Celio”unitamente ad una targa marmorea postadai Cintesi sulla strapiombante parete roc-ciosa ove cadde lo sfortunato Carabiniere.Tuttavia, il giro della Cima Lasta è ugual-mente appagante. In poco più di tre ore sipossono visitare i luoghi consegnatari deisegreti testé narrati ed ammirare i fiamman-ti colori autunnali delle faggete che contra-stano nettamente con le tonalità cenerinedelle peculiari “laste” rocciose lavorate dallanatura. Lasciato il segnavia SAT 395, sipossono riscoprire le numerose vestigiamilitari di cui si è già accennato e, guadagna-ta la vetta, rimanere affascinati dalla pro-spettiva “mozzafiato” che si apre sull’inte-ra Valsugana e su tutti i quadranti trentiniorientali a confine con il Veneto.

    La targa marmorea a ricordo del tragico avvenimento

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    Sono proseguiti anche per l’anno idrologico 2002-2003 i lavori di bilanciodi massa intrapresi lo scorso anno da par-te del Comitato Glaciologico Trentinodella SAT sul Ghiacciaio d’Agola, nelleDolomiti di Brenta. Le misurazioni han-no consentito di monitorare in dettagliol’evoluzione dell’accumulo e della fusionesul ghiacciaio in un anno che rimarrà im-presso a lungo nella memoria degli appas-sionati di montagna e glaciologia per ladavvero inconsueta stagione estiva. L’ec-cezionale e prolungata ondata di caldo cheha caratterizzato i mesi estivi, infatti, hadeterminato sul Ghiacciaio d’Agola (manon solo) un’annata di bilancio dai carat-teri probabilmente eccezionali che ha por-tato a notevoli perdite di massa e ad evi-denti modificazioni morfologiche.

    Di seguito sono descritte le operazionieffettuate sul ghiacciaio durante la stagio-ne estiva 2003 e i risultati cui si è pervenu-ti, cercando infine di comprendere le cau-se climatiche che anno determinato l’evo-luzione osservata.

    Le misure di accumuloNei giorni 1 e 2 giugno 2003 si è saliti

    per la prima volta sul ghiacciaio allo sco-po di misurare l’accumulo nevoso deposi-tatosi sulla sua superficie durante la sta-gione invernale (ottobre 2002 - maggio2003). Anche quest’anno si è riusciti a co-gliere il momento adatto alla misurazione,cioè si è misurato l’accumulo appena pri-ma che iniziassero deflussi da fusione,

    come testimoniato dalle temperature an-cora negative rilevate alla base del mantonevoso. Sono stati eseguiti 95 sondaggi dispessore dislocati analogamente allo scor-so anno lungo le curve di livello e distri-buiti in modo omogeneo sulla superficieglaciale. La determinazione della densitàdella neve è stata misurata in una trinceaprofonda fino alla base del manto nevoso.Nella trincea si è proceduto anche adun’analisi qualitativa degli strati di neve edalla misurazione della temperatura fino alghiaccio sottostante.

    L’accumulo nevoso dello scorso inver-no (2002 - 2003) è risultato distribuito inmodo molto disomogeneo. Nelle zone piùripide (ad esempio sui conoidi alla basedelle pareti e sugli scivoli di ghiaccio som-mitali), il manto si presentava di ridottospessore poiché queste aree rappresenta-no i punti di distacco o di scorrimento dellevalanghe. Nelle sottostanti zone più pia-

    Il bilancio di massa sul Ghiacciaio d’Agola (2002-2003)di Roberto Bezzi, Nicola Carlesso, Luca Carturan, Corrado Dellai, Stefano Fontana,Andrea Paoli e Roberto Seppi (Comitato Glaciologico Trentino SAT)

    Il Ghiacciaio d’Agola come si presentava a metà luglio 2003.La superficie è ancora parzialmente coperta dalla neve ros-sa caduta nell’inverno 2002 – 2003.

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    neggianti, corrispondenti alle aree di arre-sto delle valanghe, si sono rinvenuti depo-siti di neve che localmente superavano i5.5 m di spessore. Come lo scorso anno,alcune valanghe si sono fermate a valledella fronte del ghiacciaio, asportando difatto parte dell’accumulo annuale.

    Dalle misurazioni eseguite è emersocome il manto nevoso avesse un’elevatadensità, con molte inclusioni di ghiaccioin forma di canali verticali e lenti spessefino a 3-4 centimetri, a testimonianza diuna precoce fase di fusione avvenuta nellaprima decade di maggio e cessata succes-sivamente, dopo un sensibile abbassamen-to di temperatura accompagnato da unanevicata. L’acqua di fusione prodottasi inquesta prima fase si è quindi ricongelataall’interno del manto, a causa delle tempe-rature progressivamente più basse verso gli

    strati inferiori. La neve si presentava ba-gnata solo nei primi centimetri, mentrenegli strati sottostanti era molto dura ecoesiva. La densità media ricavata dallecampionature della neve in trincea è risul-tata di 560 Kg/m3, valore piuttosto eleva-to e superiore a quello rilevato lo scorsoanno (510 Kg/m3). Le temperature allabase del manto erano di poco inferiori allozero (-0,3 / -0,4 °C). Con i valori di densi-tà rilevati in trincea si sono convertiti in“equivalenti in acqua” gli spessori di nevemisurati con i sondaggi e mediante oppor-tune tecniche di interpolazione spaziale siè calcolato l’accumulo distribuito sull’in-tera superficie glaciale. Questo è risultatopari ad una lama d’acqua di 1872 mm, cor-rispondente a 414648 m3.

    Confrontando i valori di precipitazio-ne misurata presso la stazione di Prà Ro-dont da ottobre 2002 a maggio 2003 conquelli medi degli ultimi 27 anni emergecome la stagione di accumulo di quest’an-no sia da considerarsi del tutto normale, adifferenza dello scorso anno quando siebbe un deficit del 25% (accumulo di 1485mm di equivalente in acqua).

    Le misure di ablazioneDal 12 luglio al 26 settembre 2003 sono

    state effettuate le misure della fusione incorrispondenza delle paline di ablazioneinstallate lo scorso anno. Durante i controllile paline in alluminio sono state re-instal-late ad una profondità di circa due metri esono state sostituite quelle travolte dallevalanghe durante l’inverno. La stagione esti-va è stata caratterizzata da prolungate edintense ondate di calore che ad alta quotahanno prodotto un’accentuata fusione, ini-Misure estive di ablazione sul ghiacciaio (13 luglio 2003)

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    zialmente a carico dell’accumulo nevosoannuale per interessare successivamente ilfirn e il ghiaccio. Già il 12 luglio vaste zonedel ghiacciaio avevano esaurito per interola neve depositatasi durante l’inverno. Lo-calmente sono andati perduti nei primi 40giorni più di 3 metri di neve, corrispondentiad una fusione media pari a 8 cm di neve algiorno. Alla fine di luglio il ghiacciaio si pre-sentava quasi totalmente privo di neve re-sidua, presente con limitati spessori solonelle zone di accumulo valanghivo. Ad ago-sto la fusione ha così potuto interessare ilghiaccio vivo, con perdite fino a 7 cm algiorno nella zona frontale. Il ghiaccio è sen-sibilmente più denso della neve e quindi aparità di spessore le perdite sono maggio-ri. Il 26 settembre si è chiuso il bilancio fa-cendo l’ultima lettura alle paline di ablazio-ne. In questa occasione si è potuto consta-tare come non esistesse alcuna traccia dineve residua invernale e che anche la neveresidua degli anni precedenti (2001 e 2002)avesse subito fortiperdite di spessoreed estensione. Intale data si sonoinoltre recuperati idati di temperaturaregistrati dal data-logger installato il 4luglio 2002 sullamorena laterale si-nistra.

    Durante l’estatesono andati perdu-ti per fusione inmedia 4023 mm,pari a più del dop-pio dell’intero ac-

    cumulo nevoso invernale (nel 2002 l’abla-zione estiva era risultata pari a 2835 mm).

    Il bilancio netto per l’anno 2002 - 2003Il bilancio di massa netto per l’anno

    2002-2003, calcolato sottraendo dall’accu-mulo misurato ad inizio stagione la fusio-ne misurata durante l’estate, è risultato pariad una perdita di 476447 m3, equivalente aduna lama d’acqua di 2151 mm. In sostanzail ghiacciaio nel 2003 ha perso 2,15 voltequanto ha accumulato, mentre per avere unbilancio in pareggio entrate ed uscite do-vrebbero essere equivalenti. Nel settorefrontale e in quello immediatamente supe-riore, maggiormente sfavoriti dalle condi-zioni di esposizione, sono andati perdutipiù di 5 metri di ghiaccio e circa 2 metri dineve. Su di un ghiacciaio di piccole dimen-sioni come questo, caratterizzato da ridot-ta estensione altitudinale e da un limitatobacino di accumulo, questi valori sono deltutto inattesi e tipici di lingue glaciali situa-

    Rappresentazione del bilancio di massa netto per l’anno idrologico 2002 – 2003. I toni inrosso scuro indicano le maggiori perdite di massa

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    te a quota inferiore ealimentate da bacinidi accumulo ben piùvasti.

    Il bilancio per il2003 è quindi daconsiderarsi del tut-to inusuale, se nonaddirittura eccezio-nale, come eccezio-nali sono state lecondizioni climati-che estive, prive diriscontro negli ulti-mi decenni.

    Osservazioni e considerazioni cli-matologiche

    Con i dati registrati dalle stazioni mete-orologiche situate nelle vicinanze delGhiacciaio d’Agola è possibile caratteriz-zare dal punto di vista climatologico l’an-nata idrologica 2002-2003, capire le causeche hanno portato ad una così particolareevoluzione e ipotizzare se effettivamentesi è di fronte ad un andamento meteoro-logico anomalo. Da quest’anno è inoltrepossibile compiere una descrizione del mi-croclima in cui è collocato il ghiacciaio,almeno per quanto riguarda la temperatu-ra, grazie al funzionamento del dataloggerinstallato sulla morena laterale sinistra, acirca 200 m dalla fronte.

    Da ottobre a maggio, le precipitazionimisurate presso la stazione di riferimento(Pinzolo Prà Rodont) sono risultate in li-nea con i valori medi degli ultimi 27 anni(725 mm contro 778 di media), ma analo-gamente con quanto avvenuto lo scorsoanno non sono state distribuite in modo

    omogeneo, bensì concentrate in brevi pe-riodi di intensa piovosità. Il 77% degli ap-porti precipitativi, infatti, sono riconduci-bili ai primi tre mesi e ben il 63% al solomese di novembre. Novembre è stato l’uni-co mese con precipitazioni superiori allanorma (+ 307%), mentre tutti gli altri han-no presentato scarti negativi prossimi an-che al 100% nei mesi di febbraio e marzo.La temperatura più bassa (-20.1 °C) è stataregistrata dal datalogger il 17 febbraio alleore 3. La stagione di fusione è iniziata piut-tosto presto e già il 7 maggio si sono rag-giunti i +10 °C alla quota della fronte, an-che se i valori sono tornati alla normalitàdopo il giorno 10. Con il mese di giugnoinizia una stagione estiva caratterizzata datemperature molto alte e persistenti perlunghi periodi, solo episodicamente inter-rotti da eventi temporaleschi localmenteintensi e da ridotti quanto fugaci abbassa-menti termici. Sul Ghiacciaio d’Agola nonsi sono avute nevicate significative duran-te tutto il periodo estivo, ad eccezione di

    Temperatura media dei mesi estivi registrata dalla stazione di Prà Rodont fra il 1976 e il 2003

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    settembre quando, con il ritorno delle tem-perature su valori prossimi alla normalità,la stagione di fusione si è avviata verso laconclusione. Nei primi giorni di ottobresi è avuta la prima nevicata sul ghiacciaiodell’annata 2003-2004.

    Alla stazione di Prà Rodont il periodoestivo è stato in media 2,2 °C più caldo delnormale, ma con picchi ben più significa-tivi a livello mensile e decadale, come in-dicato dalla tabella sottostante:

    ne molto più intensa della norma, per di piùmai interrotta da significativi abbassamentidi temperatura o nevicate estive, assoluta-mente indispensabili per contenere le per-dite per fusione. Dal grafico di pagina 15 èpossibile vedere come l’estate 2003 sia sta-ta la più calda mai osservata dal 1976, conuna temperatura media superiore di ben 1°C alle più calde estati osservate da 27 anniad oggi. Nei due grafici che seguono è rap-presentato l’andamento climatico (precipi-tazioni e temperature) dell’anno 2002-2003a livello mensile, confrontato con quellomedio dal 1976 al 2002.

    ConclusioniPer il secondo anno consecutivo è sta-

    to determinato il bilancio di massa delGhiacciaio d’Agola con il metodo glacio-logico diretto di superficie. Ciò ha permes-so di misurare in dettaglio sia i processi diaccumulo sia i processi di fusione, grazieall’elevata densità dei punti di misura as-

    temp. temp. media scarto’76-’02 (°C) 2003 (°C) (°C)

    Giugno 11.7 16.1 + 4.4Luglio 14.2 15 + 0.8Agosto 14.2 18 + 3.8Settembre 10.7 10.3 - 0.4Estate 12.7 14.9 + 2.2

    Anche il mese di maggio è stato 2 °Cpiù caldo del normale e non ha visto ap-porti nevosi significativi. Al data-loggerdell’Agola (2600 m s.l.m.) sono stati supe-rati i 18°C (+18.3°C il giorno 11 ago-sto alle ore 17) e perlunghi periodi latemperatura mediagiornaliera (in qual-che caso anche laminima) è rimastasopra i 10°C.

    Le ragioni di unbilancio di massacosì fortemente ne-gativo sono quindidovute ad un accu-mulo di entità nor-male seguito da unastagione di ablazio-

    Precipitazioni mensili presso la stazione di Prà Rodont. Sono confrontate le precipitazionedell’anno 2002 – 2003 con quelle medie degli ultimi 26 anni

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    solutamente indispensabile in un ghiacciaiodove le valanghe giocano un ruolo domi-nante nella distribuzione degli accumulinevosi. Il particolare andamento meteoro-logico dell’anno idrologico 2002-2003 haconsentito di quantificare gli effetti sullemasse glaciali delle nostre montagne diforti e prolungate ondate di calore, sia sul-la neve di annata, sia sul firn e sul ghiaccio.Dal confronto con i valori registrati negliultimi decenni appare evidente l’assolutaeccezionalità del periodo in esame, pur separagonato ad anni certamente non favo-revoli alla conservazione dei ghiacciai.

    Anche le caratteristiche della stagione diaccumulo, comunque, con apporti nevosidovuti a pochi ma molto intensi eventi diprecipitazione (come nel 2001-2002) inter-vallati da lunghi periodi siccitosi, paionopiuttosto inusuali. Quanto osservato sem-bra confermare le proiezioni dei modelliclimatici globali che vengono utilizzati percapire le possibili variazioni del nostro cli-

    ma nel futuro, do-vute alle modifica-zioni della compo-sizione chimicadell’atmosfera in-dotte dall’attivitàantropica. Questimodelli prevedonoinfatti una “estre-mizzazione del cli-ma” dovuta allapersistenza per lun-ghi periodi dellestesse condizioniclimatiche su di unaarea geografica,con repentine e

    brusche variazioni stagionali. Sul Ghiaccia-io d’Agola in soli due anni sono andati per-duti in media quasi 4 metri di ghiaccio, lo-calmente fino a 9 metri alla fronte. Al per-durare delle condizioni attuali o all’accen-tuarsi di questi estremi climatici rimango-no ben pochi anni di esistenza per le pic-cole vedrette dolomitiche, ormai troppolontane dall’essere in equilibrio con le con-dizioni climatiche.

    RingraziamentiQuesto lavoro è stato condotto dagli

    operatori del Comitato Glaciologico Tren-tino SAT. Luca Carturan ha effettuato l’ela-borazione dei dati. I più sentiti ringrazia-menti vanno al Museo Tridentino di Scien-ze Naturali che ha fornito supporto logi-stico e di mezzi, all’Istituto Agrario di S.Michele all’Adige per i dati meteorologicidella stazione di Prà Rodont e a tutta lafamiglia Salvaterra per la calda e cordialeaccoglienza al Rifugio XII Apostoli.

    Stazione di Prà Rodont, temperatura media mensile dell’anno 2002 - 2003 a confronto conquella media degli ultimi 26 anni

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    Isentieri e l’escursionismoIl non agireIl livello di distribuzione sul territorio

    è diventato addirittura talvolta eccessivocon concentrazioni fino a 3-4 km di svi-luppo per kmq. (Dolomiti di Brenta e Valdi Fassa).

    Nel documento programmatico sull’at-tività per la protezione della natura alpinariguardo sentieri e vie ferrate, la SAT cosìafferma: “Ogni nuovo sentiero contribuisce a ren-dere più debole l’equilibrio ambientale. È pertan-to da evitare la costruzione di nuovi itinerari inzone già ampiamente servite e in quelle dove ilfuturo utilizzo comporterebbe pericolo per il man-tenimento dell’equilibrio dell’ecosistema. La sededel sentiero deve seguire i vecchi tracciati rispettan-done la tipologia e il profilo dei versanti; l’even-tuale attrezzatura e segnaletica dovrà essere essen-ziale, in armonia con l’ambiente, rispettosa delletestimonianze storiche e culturali. Per alcuni sen-tieri esistenti, se ritenuti in contrasto con il mante-nimento delle zone di tutela integrale all’internodi Parchi, Riserve, Biotopi, si proporrà il ripristi-no alle condizioni preesistenti. Sono da escluderenuove vie ferrate o attrezzate”.

    Analogo documento venne approvatodal Club Alpino Italiano nel 1990 attraver-so la cosiddetta “Charta di Verona” nellaquale al punto 5 così si afferma: “Nella pro-gettazione e segnatura di reti sentieristiche a livel-lo locale, nazionale ed internazionale, il CAIdovrà porre massima attenzione, al di là degliaspetti tecnici, all’impatto sui luoghi dovuti allafrequentazione, agli effetti e alle ricadute a livellosocio-economico sulle popolazioni montane”.

    Da qualche anno nella SAT e nel CAIè dunque maturato il convincimento che isentieri segnati non devono raggiungerequalsiasi luogo delle nostre montagne, per-ché siamo consapevoli che ogni sentierodi montagna, per il crescente e incontrol-lato movimento turistico attraverso i sen-tieri stessi, comporta danni di non lieveentità non sempre rimediabili o ancorapoco esaminati.

    I sentieri non sono che un piccolissi-mo tassello dell’opera dell’uomo per in-taccare il tessuto naturale della crosta ter-restre e quindi può apparire una forzaturaparlare di concentrazione dei sentieri alpi-nistici o turistici se confrontati ad altreproblematiche di salvaguardia del territo-rio. Quali danni possono provocare allemontagne del Trentino 5000 km di sentie-ri segnalati, rispetto a:- 7000 km di strade forestali,- 270 km di impianti di risalita,- 35-40 milioni di persone trasportate

    Educare alla montagna: l’esperienza della SATL’autoregolamentazione, ovvero, l’agire ed il non agiredi Claudio Bassetti

    “Noi nell’ambiente” è il titolo di una settima-na di mostre, conferenze e laboratori didatticisull’educazione ambientale promossa dal-l’Agenzia provinciale per la protezione dell’am-biente e dalla rete trentina di educazione am-bientale per lo sviluppo sostenibile nella pri-mavera del 2003. La SAT è stata invitata a pre-sentare la propria esperienza. Il testo che ri-portiamo è la seconda parte di una relazionetenuta da Claudio Bassetti all’incontro di ve-nerdì 6 giugno 2003. La prima è già stata pub-blicata sul numero precedente del bollettinomentre la terza sarà pubblicata sul prossimo.

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    con gli impianti sulle piste di sci,- costruzione di nuove strutture in quota,- sorvolo a bassa quota di mezzi aerei,- uso improprio delle vie di penetrazione

    con veicoli a motore e via di questopasso?Come ben sapete però, il danno am-

    bientale, l’inquinamento, è provocato siada grandi disastri sia da una somma for-mata da piccoli atti moltiplicati per un grannumero di persone.

    Ci sono oggi itinerari e luoghi dellenostre montagne raggiungibili solo attra-verso sentieri che sono però così affollatiche impediscono un giusto godimentodell’ambiente visitato. Pensiamo alla Con-ca di Gardeccia nel Catinaccio dove è nor-male una presenza giornaliera estiva di6000 persone, metà delle quali giunte at-traverso la funivia del Ciampediè: il qua-dro che ne esce è quello di una montagnatotalmente mercificata e inquinata. Para-dossalmente è stato riprodotto fin lassù unmodello urbano che il cittadino aveva ap-pena lasciato proprio per cambiare dimen-sione: stress da affollamento, code, velo-cità, qualità ambientale sempre più scaden-te. Nella relazione Partsch al ParlamentoEuropeo (Punto b/11) si legge: il turismoestivo di massa ha trasformato sentieri dialta montagna, un tempo larghi soltanto60 cm in vere e proprie piste larghe fino a30 metri. Le scorciatoie che tagliano lecurve dei sentieri e che vengono utilizzateper lo più durante la discesa si trasforma-no in tracciati erosi privi di vegetazioneche l’azione dell’acqua rende in breve tem-po sempre più profondi ed ampi. L’unicasoluzione efficace sembra al momentoquella di “incanalare” i turisti su sentieri

    dell’ampiezza di 2 metri recintati ai lati.Per rimanere in Trentino, Tarciso De-

    florian ha riportato l’osservazione che ilsentiero fra il lago di S. Colomba e il MonteCalisio, solo fino a 15 anni fa largo al mas-simo 2 metri, per l’aumentato numero diescursionisti a piedi ma soprattutto perl’iperfrequentazione di bici da montagnae cavalli si è allargato (nel giro di qualcheanno) in alcuni punti fino a 15-20 metri!

    Il danno diretto del sentiero è moltolimitato e, come risulta da uno studio delParco Nazionale del Gran Paradiso “Sen-tieri e rifugi e loro impatto sulla vegetazio-ne” a soli 4-5 metri di distanza da un sen-tiero ben tracciato, dove la gente camminaentro la sua sede, non ci sono problemi.Se però il sentiero viene tracciato troppoparallelamente alla linea di pendenza il sen-tiero si erode facilmente, la gente comin-cia a deviare e allora si creano problemi disentieramento.

    Da uno studio condotto nel Parco Na-zionale dell’Engadina risulta che a 2500metri di quota sono necessari 2-300 anniper la formazione della cotica erbosa. Ana-loghi studi condotti in Francia ci diconoche in zone di pendii completamente ero-si una zolla d’erba può impiegare 5-600anni a formarsi.

    L’impatto del sentiero non è però solosulla vegetazione. La massiccia frequenta-zione dei sentieri in alta montagna puòprovocare diversi danni all’ambiente attra-versato, quali:- l’abbandono di rifiuti,- rumori molesti,- alterazione all’ecosistema di quelle zone

    rifugio di vegetali e soprattutto anima-li, con riduzione progressiva degli ae-

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    rali, laddove per esempio sentieri parti-colarmente frequentati si inoltrano inaree tradizionali di svernamento degliUngulati, oppure aree di canto dei Te-traonidi;

    - uso improprio dei sentieri stessi, conmoto, cavalli, che provocano problemial fondo del sentiero e disturbo ai fre-quentatori a piedi, ma soprattuttomountain-bike che attualmente rappre-sentano un punto di conflitto moltocritico. I conflitti sono generati dallafrequentazione sempre più massiccia dibikers sulla rete sentieristica, sui peri-coli innescati dagli incontri fra escur-sionisti che salgono e ciclisti che scen-dono, sui danni a volte molto consisten-ti che arrecano al sentiero nelle sue partipiù ripide e quindi più delicate morfo-logicamente e che vengono lasciati incarico ai manutentori.In sintonia con questa linea, il lavoro

    della Commissione sentieri SAT, è princi-palmente rivolto a sensibilizzare sia chiopera sui sentieri sia chi li frequenta, af-finché:- non si abbandonino i sentieri che par-

    tono dai paesi o dai fondovalle perchéritenuti superflui essendo stati “sosti-tuiti” da strade o impianti funiviari,

    - si valutino non solamente secondo unalogica alpinistica-escursionistica o turi-stica, la richiesta di tracciare, segnare epubblicizzare nuovi itinerari,

    - non si traccino nuove vie ferrate.Negli ultimi anni il numero dei sentieri

    del catasto SAT si è stabilizzato sugli 800percorsi. Sono stati aggiunti pochissiminuovi sentieri andando a recuperare anti-che vie o camminamenti della Grande

    Guerra in zone finora prive di sentieri se-gnalati. Contemporaneamente si sono toltidal catasto alcuni itinerari per lo scopo dinon disturbare gli areali di primaria impor-tanza dell’orso bruno e per impegnarsi anon pubblicizzarne altri1.

    Il ruolo della SAT e del turismo escur-sionistico è in profonda evoluzione, neltentativo di trasformare un concetto cul-turale del turismo stesso frutto della mec-canizzazione della montagna, favorito dalladiffusione in quota delle strade, delle pistedi penetrazione e degli impianti di risalita

    Lo slogan che il CAI si è recentementedato è: “A piedi per conoscere e tutelare”, unmotto che riconosce l’escursionismo comepratica fondamentale, trasversale per tuttele attività del CAI.

    “Anche i sentieri alle soglie del 2000 devonospiccare un salto di qualità, non devono essere solopercorsi di avvicinamento alla montagna ma, dove

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    è possibile, devono diventare veri e propri itinerarinaturalistici o culturali come il S.Vili o il Mar-chetti; ed anche i luoghi diventare passaggio dauno stile di vita consumistico ad uno rispettoso,più umile e meno ricercato”2.

    L’agire- I sentieri tematici

    Nuovi modi di muoversi in montagna,di conoscerla ed apprezzarla, vengonopromossi con l’individuazione di per-corsi tematici, che sfruttano sentieriesistenti o li riscoprono. È una propo-sta che coinvolge varie componenti sa-tine, quella scientifica, quella escursio-nistica, la commissione tutela dellamontagna, e che trova ampi consensiperché arricchente, stimolante, rispet-tosa, coerente.Sentiero San ViliNel 1988 la SAT segnò e pubblicizzòun lungo itinerario escursionistico dibassa quota “Il sentiero di San Vili” che,in sei tappe fra Trento e Madonna diCampiglio, ripercorre grosso modo lavia che il Santo trentino frequentava nelIV secolo d.C. per evangelizzare le po-polazioni delle Giudicarie e della Ren-dena. Il senso del lavoro era e rimanequello di “valorizzare sul territorio i tragittipiù umili, ingiustamente dimenticati e che sirivelano però momenti per comunicare spessorealpestre alla ricerca di avventura, di esplora-zione delle ‘terre alte’, propria del nuovo alpi-nismo. Sono questi sentieri ‘marginali’ cheportano la storia –antica e futura- dentro lecomunità di montagna”3.Sentiero Dal Garda alle DolomitiNon un nuovo sentiero ma un conca-tenamento per un itinerario alpinistico

    che collega due straordinari mondi, ilLago di Garda e le Dolomiti di Brenta,il settore meridionale, passando attra-verso i segni dell’uomo e i paesaggi na-turali, la storia dei primi insediamenti ele tormentate vicende geologiche.Sentiero Vigilio Marchetti“Una grande escursione tra valli, ghiacciai, sor-genti, laghi, percorrendo antichi sentieri, visi-tando luoghi di guerra, attraverso alpeggi e fo-reste. …Un San Vili di alta montagna, nel-l’Adamello per conoscere l’ambiente naturaleed il territorio. …Un viaggio nella natura piùselvaggia del trentino e nel contempo un pelle-grinaggio sui luoghi del lavoro e delle sofferen-ze dell’uomo”4.

    - Il Centro Studi Adamello “J. Payer”Nel 1994 la SAT, nell’antico rifugio delMandron (in alta Val di Genova) ha re-alizzato il Centro Studi Julius Payer conrlo scopo di studiare e divulgare le co-noscenze sui ghiacciai. Il Centro, inau-gurato nel 1994, è dedicato alla memo-ria di Julius Payer, ufficiale austriaco diorigine boema, primo salitore dell’Ada-mello, il 15 settembre 1864, cartografo,pittore e scrittore. Con queste iniziati-ve la SAT afferma il principio che lamontagna non comincia sopra una cer-ta quota ma da ogni fondovalle; che inmontagna si può andare per uno sco-po non solo turistico-ricreativo bensìculturale, scientifico. Il Centro StudiAdamello - Julius Payer è stato ideatodalla SAT per promuovere l’attivitàscientifica e culturale in supporto allatradizionale attività alpinistica e di tu-tela dell’ambiente.Ha sede nell’edificio della vecchia Ca-

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    panna Mandrone, costruita dalla Sek-tion Leipzig del DOeAV nel 1879, unodei primi rifugi del Trentino. L’edificioè stato ristrutturato dalla SAT negli anni1992-’93. Le finalità del Centro, base perl’attività del Comitato GlaciologicoTrentino della SAT (membro del Co-mitato Glaciologico Italiano) e sede distazione meteo, sono le seguenti:a) divulgare, in maniera scientifica, le

    conoscenze sull’ambiente montano,in particolare quelle sui ghiacciai esulle aree periglaciali del GruppoAdamello-Presanella;

    b) favorire l’incontro fra studiosi, ricer-catori, alpinisti ed appassionati del-l’alta montagna attorno alle temati-che della glaciologia e della conser-vazione della natura in genere;

    c) favorire e consentire l’avvio di studie ricerche nelle diverse discipline e ladivulgazione dei risultati delle stesse;

    d) sperimentare l’applicazione dellenuove tecnologie (es. GPS) allo stu-dio dei fenomeni glaciali;

    e) consentire lo svolgimento di sog-giorni di studio, di corsi, di giornatedi formazione e/o appro-fondimento sull’ambienteglaciale, periglaciale e del-l’alta montagna in genera-le da parte di Sezioni e Sot-tosezioni del CAI, di asso-ciazioni alpinistiche di al-tri Paesi, Università, Istitu-ti ed Enti di ricerca, Asso-ciazioni e/o Gruppi am-bientalisti, Parchi e scola-resche;

    f) conservare la memoria sto-

    rica della Guerra Bianca combattu-ta sui ghiacciai dell’Adamello.

    Il centro è gestito da una Commissionecomposta da membri della SAT e delMuseo Tridentino di Scienze Naturali.

    I rifugiIl non agireA partire dagli anni settanta/ottanta, il

    CAI per adeguarsi alle esigenze di unamassa sempre più incontrollabile di turisti-alpinisti, ha favorito la proliferazione dinuovi rifugi, bivacchi, e ampliamenti dellestrutture già esistenti. Tale tendenza haportato, sul finire degli anni ottanta, al rag-giungimento di un livello di guardia che hareso indispensabile una netta inversione dirotta. L’abnorme aumento dei rifiuti solidiprodotti dai rifugi ma anche dai turisti al-pini di passaggio, i problemi riguardanti iltrattamento delle acque reflue organiche,quelli idrici ed energetici, oltre a problemidi natura etico alpinistica che esigono ilmantenimento delle caratteristiche alpini-stiche delle strutture, hanno indotto il CAI,nel corso del 1991, a vietare ogni nuova co-struzione o acquisizione a qualunque tito-

    Centro Studi Adamello “J. Payer”

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    lo di immobili da destinare a nuovi rifugi,ampliamenti della capacità ricettiva oltre illimite del 5% dell’esistente. Su analoga li-nea, la SAT, nel corso del Congresso alRifugio Grostè, attraverso la relazione diFranco De Battaglia, che veniva fatta pro-pria dal Consiglio Centrale dell’associazio-ne, affermava: “La SAT non deve innesca-re il circolo perverso degli ampliamenti:rifugio con maggiore disponibilità di spa-zio, quindi più gente, quindi necessità dinuovi ingrandimenti. Non tutti gli amplia-menti in questi anni hanno dato risultatipositivi ed il rifugio, se tale deve rimanere,dovrà sopportare anche difficili punte di af-follamento senza per questo trasformare lasua struttura ricettiva. Di questa esigenzadovranno farsi consapevoli anche i respon-sabili politici e amministrativi del territorio:il rifugio, proprio per ragioni ambientali eprotezionistiche, ha da restare tale, non puòconformarsi alla logica alberghiera in unadimensione di assalto al mercato dellamontagna […] allo stesso tempo si devefermare la disordinata proliferazione deibivacchi, spinti ed agevolati dalle più diver-se associazioni, che rischiano di estendereun inquinamento a macchia di leopardo sinsulle più alte vette”5. È un intervento corag-gioso, critico, in linea peraltro con quantosottoscritto dal Consiglio centrale SAT nelcitato documento programmatico che allavoce rifugi recita:

    “La presenza dei rifugi alpini deve causare ilminor impatto paesaggistico e ambientale possibilee altresì conservare le caratteristiche gestionali efunzionali sue proprie per il decoroso ricovero deglialpinisti senza trasformarsi in strutture per ferie.Va favorito e sostenuto l’approvvigionamento dalfondovalle con mezzi che comportino il minor dan-

    no ambientale e vanno ricercate soluzioni atte a con-tenere l’accumulo di rifiuti, al fine di contribuire aridurre il grave problema dello smaltimento deirifiuti stessi. Per il fabbisogno energetico occorrefavorire l’utilizzo di energie rinnovabili e non in-quinanti e scoraggiare l’uso di generatori a combu-stibili fossili. L’eventuale fabbisogno d’acqua, deri-vato da laghi e torrenti, dovrà essere effettuato sen-za alterare livello e portata, in modo tale da nonprovocare danni al delicato equilibrio biologico.Particolare attenzione si dovrà avere per quantoriguarda l’uso di detergenti che dovranno essere ilmeno inquinanti possibile e ridotti al minimo in-dispensabile. I rifiuti solidi dovranno essere porta-ti a valle per essere correttamente smaltiti. È comun-que necessaria una chiara e restrittiva disciplinariguardante la ristrutturazione dei rifugi, dei bivac-chi, delle malghe”6. È il marzo del 2000 quan-do all’assemblea dei delegati della SAT aSan Michele, la commissione TAM presen-ta una mozione sui rifugi; lo scopo era sol-lecitare una presa di posizione del Sodali-zio sull’avvenire dei rifugi, sulla necessità disvincolarsi dalle logiche di mercato, di nonaumentare ulteriormente la ricettività com-plessiva dei rifugi, sia come posti letto cheposti a sedere, di ridurre la produzione dirifiuti e il consumo di combustibili, perchéil rifugio sia più in sintonia con il nostromodo di fare alpinismo, torni ad essere“l’ultima baita”. Ecco il testo finale dellamozione, votata a stragrande maggioranza:

    “L’assemblea dei delegati SAT chiedeal nuovo consiglio direttivo:

    1. di tenere in considerazione massi-ma il dibattito avvenuto all’internodel sodalizio allo scopo di definirela tipologia della casa dell’alpinistain sintonia con i dettati istituzionalied in particolare:

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    2. di svincolarsi dalle logiche di mer-cato che portano ad ampliamentidelle strutture e delle offerte di benie servizi a scapito della qualità am-bientale e culturale dei rifugi, entran-do in contraddizione con lo stile cheha contraddistinto l’azione satina;

    3. di impegnarsi a non aumentare ul-teriormente la ricettiva complessivadei rifugi, intesa come posti letto eposti a sedere;

    4. di adottare nei rifugi, attraverso uncambiamento di stili e comporta-menti, un programma di riduzionenella produzione di reflui e rifiuti;di fondare la gestione dei rifiuti sul-le componenti: “evitare, separare,riciclare”;

    5. di mettere in atto ogni risorsa tecni-ca e scientifica per minimizzare l’usodei combustibili fossili e di adottaretecnologie adeguate, tese a minimiz-zare l’impatto sull’ambiente per tut-ti i sistemi di approvvigionamento edi smaltimento;

    6. di proseguire ed incentivare la col-locazione dei pannelli informativi ededucativi, curati dalla Commissione

    scientifica, in tutti i rifugi;7. di intervenire in modo tempestivo,

    efficace e forte sulla giunta provin-ciale affinché modifichi quelle nor-me che impongono adeguamenti edinterventi che sono in contrasto conl’ambiente in cui si vanno a colloca-re e che pongono le premesse peraumenti della frequentazione e delcarico degli inquinanti”.

    L’agire- Un caso concreto: il Rifugio Altissi-

    mo “D. Chiesa”Un concreto caso di applicazione dellamozione avviene in questi anni al Rifu-gio Altissimo, dove la commissioneTAM, la commissione Rifugi, la Sezio-ne di Mori e soprattutto il gestore, Dan-ny Zampiccoli hanno avviato una pro-ficua collaborazione per rendere mini-mo l’impatto che la struttura determi-na con il suo funzionamento. Ci si èconcentrati sui quattro punti nodali,acqua, energia, rifiuti, e offerta culina-ria. Rendere il rifugio rispettoso signi-fica intervenire da un lato sulla struttu-ra, dotandola di efficienti sistemi di pro-duzione di energia, di elettrodomesticia risparmio, di sistemi di smaltimentodelle acque grigie e nere in grado di noninquinare le falde; dall’altro lavorare sulpiano dell’offerta culinaria, dei serviziannessi, in modo da rendere minimi iconsumi di acqua ed energia e la pro-duzione di rifiuti senza però penalizza-re qualità e gusto dei cibi. Importante èl’opera di sensibilizzazione dei frequen-tatori, che devono diventare anch’essiresponsabili della corretta gestione del

    Il Rifugio Altissimo “D. Chiesa”

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    rifugio. Avere consapevolezza dei pro-blemi e delle soluzioni da adottare è unrisultato determinante per risultati con-creti; l’informazione, sia diretta del ge-store, che trasmessa in modo scritto sutovagliette e opuscoli è un momento de-cisivo. Il cerchio si chiude con il gesto-re che previene la produzione di rifiutiselezionando a valle contenitori ed im-ballaggi, operando una sistematica edaccurata separazione dei rifiuti, usandoprodotti legati al territorio.

    - La formazione in quota: la bibliote-ca di rifugio - i pannelli tematiciÈ avviato il progetto biblioteca di rifu-gio, attraverso il quale nel giro di alcunianni tutti i rifugio della SAT sarannocaratterizzati per la presenza di una pic-cola biblioteca con testi generali, ovvia-mente legati alla montagna, ed una bi-bliografia e cartografia specifica delgruppo nel quale è collocato il rifugio.

    - Pannelli tematici nei rifugiÈ attivato il programma di distribuzio-ne di “pannelli tematici” nei rifugi. Taleprogetto riveste un’importanza fonda-mentale nella caratterizzazione del ri-fugio come strumento ed occasione didiffusione di una “cultura della monta-gna” che troppo spesso viene trascura-ta dal turista che solo occasionalmentefrequenta la montagna.

    - Rifugio a temaCollegato a questo progetto, l’avvio delprogetto che potremmo denominare“Rifugio a tema” attraverso il quale al-cuni rifugi della SAT verranno caratte-rizzati per una particolare vocazione edi conseguenza attrezzati. I primi rifu-gi individuati sono i seguenti:

    Rifugio Rosetta - “G. Pedrotti”: data lasua particolare collocazione, potrebbeessere “dedicato” all’astrofilia, attraver-so la messa a disposizione del rifugiodi una minima attrezzatura in grado diesaltare questa vocazione del rifugio.Rifugio Stavèl - “F. Denza”: la vocazio-ne alla meteorologia del rifugio derivadallo scienziato che dà il nome al rifu-gio stesso. Anche in questo caso si trat-ta di collocare presso il rifugio una sta-zione meteorologica, anche attraversol’inserimento del rifugio nella rete diMeteo Trentino.Rifugio Altissimo - “D. Chiesa”: si trattadi un rifugio naturalmente vocato allabotanica e tale caratteristica può esserevalorizzata attraverso la collocazionepresso il rifugio di un microscopio edaltra attrezzatura necessario ad una pri-ma semplice osservazione scientificaanche per non addetti ai lavori.

    Note1. Claudio Bassetti e Tarcisio Deflorian (a cura di),

    “Il contributo della SAT allo sviluppo turisticodel Trentino”. Relazione presentata alla facoltàdi economia di Trento il 15 dicembre 1994

    2. Tratto dalla relazione della Commissione Scien-tifica della SAT al 100° Congresso della SATsvoltosi a Trento il 2 ottobre 1994 sul tema“La SAT alle soglie del 2000’’

    3. Franco de Battaglia, “Regole antiche e nuoveper riscoprire la montagna”. In: Bollettino SAT,n. 3 (1992)

    4. Roberto Bombarda, “Presentazione”. In: Bol-lettino SAT, n. 4 (1994)

    5. De Battaglia, Franco. “I rifugi della SAT nelGruppo di Brenta. Ieri, oggi… domani: rela-zione del 97° Congresso della SAT”. In: Bollet-tino SAT, n. 3 (1991)

    6. Documento programmatico della SAT per l’at-tività di protezione della natura, art. 14

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    Nel 982 dopo Cristo una nave diesploratori vichinghi provenientedall’Islanda e guidata da Erik il Rosso giun-se per la prima volta in Groenlandia. No-nostante la grande distanza percorsa, que-sti fieri marinai norvegesi dovettero sentiraria di casa, alla vista della costa! Questainfatti ricorda molto da vicino la confor-mazione della costa atlantica della Scandi-navia e presenta una caratteristica incon-fondibile: i fiordi. Da sempre queste pro-fonde insenature costituiscono dei sicuri

    ripari dalle furie dei mari artici ed invitanoi naviganti ad una loro esplorazione. Sonolunghi e profondi, con pareti scoscese, esono tipici delle regioni costiere monta-gnose: la Groenlandia ne è completamen-te circondata, ma i più lunghi e i meglioconosciuti si trovano in Norvegia.

    Si tratta di valli scavate dagli antichighiacciai che giungevano fino al mare pro-venienti dalle grandi calotte, dette inland-sis, che fino a diecimila anni fa ricoprivanola Scandinavia ed ancor’oggi la Groenlan-

    Il taccuino di Ulisse: i fiordidi Michele Azzali e Mirco Elena

    Una lingua del ghiacciaio Svartisen quasi tocca le acque del Glomfjord, poco a nord del Circolo Polare Artico (Napapijri):giugno 2003 (Foto Michele Azzali)

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    dia. Anche nella parte sud del Cile e lungole coste occidentali del Canada e del-l’Alaska, oltre che in Nuova Zelanda e inScozia, vi sono begli esempi.

    Possono avere anche molte ramificazio-ni ed incidere la costa per molti chilome-tri. Se da un lato questo ha favorito in pas-sato le comunicazioni marittime, oggi co-stituisce un impedimento al traffico stra-dale. Basta spostarsi lungo un tratto dellacosta norvegese per rendersi conto che ichilometri percorsi in traghetto sono al-trettanto numerosi di quelli percorsi inauto. Ponti sono presenti non appena ilfiordo si restringe abbastanza da consen-tirne la costruzione.

    Verso l’interno queste lunghe insena-ture si prolungano in valli glaciali con altigradini e in fiordi laterali, pure col fondo agradini.

    Il Sognefjord, che sbocca nel mare pocoa nord di Bergen, con oltre 200 chilometriè il più lungo del mondo. È anche uno deipiù studiati e meglio conosciuti; è fiancheg-giato da pareti rocciose ripidissime, che si

    elevano fino a 1200 metri sul livello delmare, mentre al di sotto raggiungono laprofondità massima di 1308 metri.

    Il tratto più profondo dei fiordi è mol-to spesso quello mediano, essendo erosisecondo un meccanismo noto come sovra-escavazione. Ne è responsabile il peso delghiaccio: nel caso del Sognefjord si calco-la che questo avesse uno spessore di circaun chilometro e mezzo e provenisse daglialtopiani posti ad est.

    Il ghiacciaio avanzò verso e dentro ilmare, potendo esercitare una efficace ero-sione: intagliò una valle finché l’acqua fuprofonda abbastanza (il 90% circa dellospessore del ghiacciaio) da farlo galleggia-re. Infatti verso il largo e verso le propag-gini estreme della costa i fiordi si allarga-no, si uniscono spesso fra loro e perdonodi profondità, dando luogo ad una molti-tudine di isole e isolotti montagnosi.

    A partire da circa 8300 anni fa iniziòun miglioramento climatico che portò alloscioglimento progressivo delle calotte gla-ciali. Come conseguenza si ebbe un innal-

    Profilo longitudinale del Sognefjord (la scala verticale è molto ampliata). Si noti la grande profondità di questo fiordo,maggiore nella parte mediana (1308 m); questa diminuisce notevolmente avvicinandosi al mare aperto (sulla sinistra). Èanche indicato il profilo dei rilievi a nord del fiordo (Da “Geomorfologia” di G.B. Castiglioni - UTET, 1979)

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    zamento del livello marino su scala plane-taria di circa 100 metri. Questo portò allasommersione di ampie regioni, ma in mi-sura molto minore nelle zone che fino adallora erano state sottoposte all’enormepeso del ghiaccio.

    Queste infatti cominciarono a sollevar-si, e il fenomeno non è ancora concluso.Venne in tal modo compensato, e in talu-ni casi superato, l’aumento del livello delmare. Oggi le pareti verticali dei fiordi sonospesso solcate da alte cascate, che costitu-iscono attrazioni turistiche. Tuttavia la ci-clica azione del gelo e disgelo talora causail distacco di ammassi rocciosi che, quan-do precipitano in mare nello spazio angu-

    sto dei fiordi, possono causare gigantescheondate, come nel fiordo di Innvik, doveun piroscafo fu sollevato e catapultato sullaterraferma per quasi mezzo chilometro.Quasi un “Vajont artico”.

    A volte tuttavia queste forme di ero-sione aiutano l’uomo. Nel Geirangerfjord,ad esempio, fino ad un centinaio di anni faesistevano delle fattorie sui terrazzi mo-dellati dal ghiacciaio nelle pareti rocciose,grandi abbastanza da potervi lasciare pa-scolare il bestiame in prati recintati e ri-manere contemporaneamente quasi inac-cessibili. Oggi sono preservate come at-trattive per i visitatori, a testimonianza dellatenacia e del duro lavoro dell’uomo.

    Panorama del tratto iniziale del Geirangerfjiord, meta di crociere (Foto Michele Azzali)

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    Nell’articolo apparso sul primo numerodel Bollettino di quest’anno avevamotrattato cosa portare al seguito, come kit dipronto soccorso, durante un’escursione dicirca sei giorni ad una altitudine variabile dai1500 fino ai 2500 metri. Questa volta invecetratteremo cosa portare con se in escursioniad una altitudine superiore. I principali pro-blemi cui l’alpinista potrebbe andare incontrosono l’edema polmonare e, l’edema cerebra-le: parleremo pertanto di prevenzione ovverocome evitare questi due fenomeni che potreb-bero portare conseguenze decisamente nefa-ste all’organismo.

    Con il progredire della quota si ha una ri-duzione della pressione barometrica e dellapressione di ossigeno (ipossia), riduzionedella temperatura, riduzione dell’umidità rela-tiva, riduzione della densità dell’aria. Per l’es-sere umano l’adattamento è possibile fino a5000 m., a quote superiori si parlerà solo di so-pravvivenza, poiché l’organismo non riescead adattarsi. L’organismo pertanto metterà inatto dei meccanismi di compenso e di adatta-mento definiti “acclimatazione”. La rispostadell’organismo sarà proporzionale all’altitudi-ne raggiunta ed alla durata della permanenzain quota, cioè alla durata dello stimolo “ipos-sico”, ovvero a questa carenza di ossigeno.

    Il male acuto di montagna è costituito dauna forma lieve denominata AMS (acutemountain sickness) e da una forma grave ca-ratterizzata edema cerebrale denominataHACE (high altitude cerebral edema). Esistepoi un’altra patologia denominata HAPE(high altitude pulmonary edema) che corri-

    sponde ad una forma di edema polmonare.L’AMS si manifesta con cefalea, insonnia,anoressia ed astenia. Talvolta nausea che rara-mente conduce a vomito. Nell’HACE, cherappresenta lo stadio successivo dell’AMS,compaiono disturbi neurologici specifici qualiatassia, disturbi del giudizio, vomito ed even-tualmente coma. L’HAPE presenta incapaci-tà nel sopportare la fatica, difficoltà ad espan-dere la cassa toracica, dispnea, tosse secca nonproduttiva che diventa in seguito tosse conespettorato rosa schiumoso. Il segno caratte-ristico dell’edema polmonare è una esageratavasocostrizione polmonare.

    La prevenzione di questi stati patologici sieffettua innanzitutto con una graduale ascen-sione e conseguente corretto acclimatamento(ad esempio 300 m. al giorno). Il farmaco in-dicato come migliore profilassi per l’edemacerebrale è l’Acetazolamide (Diamox cpr. 250mg.) una compressa due volte al dì. Per il trat-tamento di questa patologia si usa il Desameta-zone (Decadron cpr. 0,75 mg.) 5 cpr. ogni 6 ore.

    Mentre per la profilassi ed anche il tratta-mento contro l’edema polmonare si usa laNifedipina (Nifedicor gtt. 30 ml. 2% oppure cpr.10 mg.) 20 mg. ogni 6-8 ore, 2 cpr. da 10 mgoppure 20 gocce sotto la lingua due volte al dì.È chiaro che questi farmaci dovranno neces-sariamente essere somministrati sotto con-trollo medico, e pertanto ciascun alpinistaprima di organizzare un’escursione in altaquota sarebbe necessario che parlasse con ilproprio medico curante per avere la tranquil-lità nell’assunzione sia a livello preventivo checurativo dei farmaci in questione.

    Piccola farmacia dell’alpinistadi Giorgio Martini (Sezione SAT Cembra)

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    La Cima d’Asta, poderoso e solitario massicciogranitico, si erge tra il Tesino a sud e la Val Ciaa nord, presentando aspetti molto vari e contrastan-ti: ampi pendii e gradoni sul lato meridionale, dovesorge lo storico rifugio Brentari che si specchia nelgrande lago, selvaggi valloni e circhi glaciali asettentrione che emergono da fitte foreste.Nonostante l’asprezza, anche questi ultimi versan-ti sono percorsi in parte da sentieri ex-militari, ilpiù noto dei quali è quello definito “del Col delVento”. Attratti da queste caratteristiche, ci siamoavvicinati gradualmente alla montagna, scoprendoman mano che ne percorrevamo gli itinerari, nuo-ve insperate possibilità per lo sci-alpinista, benconsci che altri prima di noi si erano appassionatialla scoperta di una Cima d’Asta nella stagione in-vernale-primaverile poco nota ed impegnativa.Così abbiamo percorso, sci ai piedi, tutti gli itine-rari descritti scegliendo accuratamente momentinivologici e meteorologici favorevoli, trattandosidi salite e discese spesso lunghe, complesse e conesposizioni variabili: questa caratteristica fa sì chesi possano combinare i vari itinerari in traversate,con vantaggi ai fini della sicurezza e della sciabilità.Alcune tracce, come nella zona del Passetto, sonodisegnate sulla cartina molto vicine, in quanto ris-pecchiano fedelmente i nostri percorsi e dannol’idea delle possibili varianti.Le difficoltà scialpinistiche sono in media di gradoOSA per gli itinerari del versante nord (1, A, 2, 8,9) e BSA per gli altri (3, 4, 5, B, 6, 7).Come già accennato, la scelta del momento favo-revole deve essere particolarmente oculata: le enor-mi valanghe viste nella zona di Cima Corma, chescendono dal vallone di Forcella Seolé e arrivanofin sul sentiero che porta all’ex Malga Socede alta,oppure dal versante est in Val Regana, non con-sentono di sbagliare giornata o ora. Ricordiamoquanto sia importante il concetto di “momento operiodo valangoso” in combinazione con le carat-teristiche, pendenza ed esposizione di un pendio.Non riportiamo i dislivelli, facilmente desumibilidalla cartina e dalle descrizioni: in media 1400-1600

    da sud, 1800-2000 da nord.Riteniamo che coloro che, ben preparati e motiva-ti, vorranno percorrere questi itinerari (la cui de-scrizione potrà apparire non molto “tecnica”), tro-veranno sicura soddisfazione e magnifiche gite inun ambiente affascinante e solitario.

    NotaPer una corretta toponomastica è indispensabile il riferi-mento al Libro Cima d’Asta – SAT Tesino (in particola-re alle ricerche di Franzi Vitlacil): anche in questa relazio-ne compaiono alcune modifiche rispetto alle cartine topogra-fiche della zona. Ad esempio, le “Buse belle” del primoitinerario sono un valloncello piano subito sotto e a sud delPrà Bastian, che sulla cartina appare come “Bus Nero”:questo può essere invece localizzato più a sud est (è il cana-lone percorso dall’itinerario A per il Col del Vento). Sullacartina invece le “Buse belle” sono segnate in una zona chepiù correttamente è identificabile con Aiette, Laste, Giarondel Coronon.Altra zona di confusione è quella della Banca, toponimoche è riportato non correttamente nella zona del Passetto.

    Itinerario 1 - Buse Belle e Lago del BusItinerario impegnativo, di vera ricerca scialpinistica e di as-soluta soddisfazione. Si caratterizza per un ampio e ripidocanale ben sciabile che raggiunge il selvaggio lago del Bus.Condizioni di assoluta sicurezza sono necessarie in moltitratti (nel canale, nei traversi prima e dopo il lago, sottoforcella Diaoli).Dalla chiesetta del Pront (1050 m) si prende la fo-restale per la Val Regana, dopo i tornanti la si se-gue verso destra fino al Bivacco Pront (in assenzadi neve questo è più direttamente raggiungibile perripido sentiero da Refavaie). Da qui seguendo letracce di una mulattiera si sale nel bosco fino allalocalità Prà Bastian (1850 m), dove ci si affaccia sulversante nord del Col del Vento. Un sentiero tra-verserebbe più in alto (possibile probabilmente soloin certe condizioni), si scende invece per 150 mcirca fin sul fondo delle Buse Belle a 1700 m, perportarsi allo sbocco del canale che scende a fianco(ovest) dello “Spigolo del Coronon”: dopo i pas-

    Itinerari scialpinistici in Cima d’AstaFoto e testi di Paolo Acler, Andrea Caser e Franco Dorigatti

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    saggi iniziali (alla sinistra orografica) il canale di-viene largo e di pendenza continua e sostenuta percirca 600 m, fino ad un ripiano a 2350 m sopra ilLago del Bus (grande ometto) da cui si vede il“Cimon”. Si traversa in discesa fino in corrispon-denza del lago, lo si aggira mirando poi alla Forcel-la dei Diaoli, ultimo tratto ripido. Breve discesaper raccordarsi all’ultima parte comune di salita allacima. Al ritorno è possibile un traverso ripido edesposto sopra il lago del Bus per evitare in parte larisalita dal lago, si scende poi per il canale fino altranquillo pianoro delle Buse Belle con il piaceredi 600 m di sciata ripida e continua, poi si risale allasoglia del Prà Bastian (21 marzo 1998).NB: Il valloncello delle Buse belle può essere rag-giunto anche proseguendo dal B. Pront per la fo-restale, lunga e in falsopiano, a contornare il dos-sone di Prà Bastian: dove la strada termina, nellazona impervia del Rio Bus Socede, si può con qual-che difficoltà risalire per ripido bosco. L’itinerarioprima descritto, pur richiedendo discesa e risalita,è più sciistico.

    Altri itinerari da nordAbbiamo percorso altri due itinerari sul lato nord, pococonsigliabili con gli sci a causa di alcuni tratti particolar-mente ripidi ed impervi: uno sulla destra orografica del RioBus Socede (da noi chiamato “via dei camosci” perché sia-mo riusciti a salire grazie ai loro sentieri, percorso nel giu-gno 2001, con neve solo oltre i 2000 m.), l’altro che passadal “Forcelin dei Diavoli” o “Aia del morto” (1865 m)(29 marzo 2003), discesa di 80 m e poi traverso sottoCima Corma. Questa forcella è stata da noi raggiunta pas-sando dalla forra del Rio Bus Socede, deviando sulla sini-stra orografica-lato nord in corrispondenza di una cascata

    che lo sbarra a 1500 m (forse si può restare più vicini al rioattraverso un ripidissimo canale). La stessa forcella puòprobabilmente essere raggiunta più direttamente dalla ValCia (v. cartina).

    Itinerario A - Col del VentoDalle Buse belle per il Bus Nero (ad est dello “Spi-golo del Coronon”), ripido, stretto e continuo ca-nale fino a uscire a quota 2250 m, nella zona del“Laghetto”, portarsi per i pendii a destra fino allaforcella ovest “Bocchetta stretta”, cresta finale di2° grado. È possibile evitare la discesa e risalitadelle Buse belle utilizzando l’itinerario successivo,si perde però la parte più suggestiva del canale (1marzo 1997).

    Itinerario 2 - Lago NeroItinerario complesso e alpinistico, di grande interesse am-bientale. L’esposizione a est e la ripidità dei traversi dellaparte superiore, da percorrere per breve tratto senza sci,rendono difficile la scelta del “momento magico”: un giornofreddo dopo tante giornate calde, non troppa neve…Parte iniziale uguale all’itinerario 1 (non convienecome abbiamo fatto stare più a est nel vallone),arrivati alla sella di Prà Bastian senza scendere si vaa sinistra verso un dossone roccioso con mughisulle tracce di un sentiero (visibili segni su rocce ealberi) per superare un ripido salto, poi su terrenoampio e non ripido fino alla Forcella del Lago Nero(2320 m) da cui passa il sentiero del Col del Vento.Discesa di 100 m fin poco sopra il lago, poi risalitasu terreno ripido fino ad una spalla prima del pro-fondo vallone che scende a sud del Col (al culmineVersante Nord

    Pendii da risalire a piedi dopo il vallone sud del Col del Vento

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    di questa conca sulla destra c’è lo stretto intagliodella Forcella del Col del Vento da cui ci si affacciasullo splendido ripido vallone sopra il Lago delBus). Traversata di un canale e breve discesa, risa-lita di 150 m per canali e roccette (a piedi), poiampi pendii portano in vista del tratto finale estcomune (23 marzo 2002).

    Itinerario 3 - Regana + Itinerario 8 - CorononProposta di traversata, grandiosa, vivamente consigliabile.Necessarie condizioni di assoluta sicurezza sia per la zonadegli “orti della Regana” che per la parte alta del canale delCoronon: a seconda del periodo può essere però consigliabilepercorrerlo in salita per conoscerne le condizioni (possibilicolate di ghiaccio e roccia affioranti nella strettoia mediana).La salita è l’itinerario classico dalla Val Regana. Ladiscesa molto bella per il canalone del Coronon,continua di 1000 m fino alla zona di Malga Soce-de, si prende o scendendo dalla vetta per la crestaovest fino a Bocchetta Canalon oppure traversan-do dalla forcella dei Diaoli alti subito sotto la cimasul lato nord fino ad imboccare il canalone, strettoin alcuni punti (20 marzo 1993).

    Itinerario 4 - BancaValida e poco frequentata alternativa da sud: percorso logi-co, pendenze ideali per lo sciatore, escluso il breve canale peruscire da Val Tolva’ (pericoloso con neve instabile o in orecalde).Dal Camping Val Malene - Maso Sordo (1180 m)si risale la Val Tolvà fino a circa 1800 m abbando-nando la valle dopo due tornanti in corrisponden-za del “Bual dela Forzela”. Si sale per canale molto

    ripido per 100 m poi su terreno più aperto e sem-pre ripido mirando allo sbocco del valloncello chescende dalla Forcella del Passetto. Ci si accosta versodestra alla cresta rocciosa che separa questo vallo-ne da quello più a nord (V. delle Prese, percorsodal sentiero Negrelli) fino a giungere in vista dellaForcella, che non occorre raggiungere, si continuaa salire su terreno ormai aperto e facile fino sullaCima della Banca (2729 m), da cui si può facilmen-te proseguire alla vetta (tornare un po’ e traversareoppure scendere da ripido breve canale ovest, por-tandosi alla vicina “Forzeleta”) (23 febbraio 2003).

    Itinerario 4 bisÈ possibile raggiungere la zona della Banca anchedal vallone percorso dal sentiero Negrelli, che par-te subito prima di Forcella Regana (oltrepassandola quale si può salire in cima attraverso gli “orti”,itinerario 3). L’abbiamo percorso d’inverno senzasci per la scarsità di neve, è possibile la salita congli sci, tranne il breve tratto molto ripido all’uscitain cresta (29 dicembre 2001).

    Itinerario 5 - PassettoDa Val Tolvà fino al pianoro a circa 1700 m abban-donando la valle in corrispondenza del rio che scen-de dal Bual del Passetto. Si risale per un po’ questavalletta accostando poi sulla destra un dosso che si

    Sguardo all’indietro sul vallone sud del Col del Vento

    Canali di Nord Ovest (Forcella Brich e Coronon)

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    assottiglia a cresta e permette di vedere meglio l’iti-nerario che segue, mediamente ripido che porta suaperti pendii in direzione del valloncello che scen-de dalla Forcella del Passetto (si potrebbe salireanche dal Bual e traversare alti sotto il Passetto, se-condo il sentiero, però alla fine su terreno moltopiù ripido). Dalla Forcella, dopo breve salita, faciletraverso al Rifugio Brentari. Poi… quella volta ab-biamo rinunciato alla salita alla Cima per forte “li-beccio” in arrivo con strato di nebbia. Al ritornodalla forcella traversando alti siamo arrivati alla basedel pendio sud della Cima del Passetto principale2589 m: interessante salita alpinistica nella nebbiaper ripidi canali e roccette (17 febbraio 2001).

    Itinerario B - Passetto - Cima W “Sasso Largo”Sempre dal Bual del Passetto, salire direttamenteallo spartiacque con Val Sorgazza, risalire la crestasud fino in vetta con gli sci. Sulla cartina “La Ban-ca” 2534 m. Sul libro Cima d’Asta SAT Tesino“Sasso Largo” 2551 m (16 febbraio 2003).

    Itinerario 6 - Sorgazza e NormaleÈ la classica via “normale”, ma non per questocerto banale, anche se attualmente molto frequen-tata. Dal Rifugio Brentari si può scegliere se salireverso est passando dalla “Forzeleta” oppure, piùimpegnativo, dal Canalon sud, Bocchetta Canalone Cresta Ovest.

    Itinerario 7 - Socede, canale e cresta WL’esposizione favorevole e la sciabilità lo rendono spessopreferito in discesa da chi è salito dalla normale.Ampi pendii ovest raggiungibili sia dalla Val Ciache dalla Val Sorgazza traversando Forcella Magna(da questa si scende fino al piano quota 1800 circaoppure si traversa alti se le condizioni lo permet-tono). Il passaggio sul versante sud è al Passo So-cede 2516 m da cui si sale in vetta per canale sud ecresta ovest. Dal passo Socede traversando sul ver-sante ovest ci si può affacciare alla Forcella Coro-non 2530 m (crestone nord-ovest) da cui si puòscendere nel canalone del Coronon (14 aprile 2001).

    Itinerario 9 - Forcella del BrichRipido, esposto ad ovest, da non fare certo in discesa neltardo pomeriggio…Più a nord e parallelo al canale del Coronon c’è un

    altro ripido vallone “Bual storto”, che si apre inalto sotto le pareti sud di Cima Corma e porta sulversante Lago del Bus attraverso Forcella del Bri-ch (2448 m). La vicina Forcella de Meso, che met-te in comunicazione versante Nord e canaloneCoronon (è separata dalla precedente dal Col delCoronon), è più alta 2533 m, di facile accesso anord, più ripida e difficile sul versante Coronon(24 marzo 2001).

    Da Ovest: Brich, Coronon, Socede

    Coronon, mille metri di canale

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    I tracciati degli itinerari di scialpinismo disegnati su carta escursionistica Euroedit su tipi Kompass, nr. 626, “Catena deiLagorai - Cima d’Asta”

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    Il Cho Oyu per Diego Giovannini, ilNanga Parbat per Giampaolo Corona,Shisha Pangma per Sergio MartiniSolo dieci giorni fra l’arrivo al campo base e la sa-lita alla vetta, una performance che ha lasciato sor-preso lo stesso protagonista. Diego Giovannini ilfotografo alpinista di Lavis lo scorso 27 settembreha salito la vetta del Cho Oyu, 8210 m, in solitariae senza l’aiuto di alcun portatore, in perfetto stilealpino.Ecco il racconto della sua spedizione: “L’8 settem-bre sono partito dall’Italia e sono arrivato il gior-no successivo a Kathmandu. È stata una piacevolesorpresa fare il volo in compagnia di Sergio Marti-ni che andava allo Shisha Pangma e dal quale hoavuto grande incoraggiamento, un aiuto anche psi-cologico certamente non da poco. Sono partitocon due italiani e un neozelandese per il Tibet, finoa Nyalam, dove abbiamo fatto un po’ di acclimata-mento, e poi dopo alcuni giorni a Tingri, da dovesi parte per raggiungere il campo base a 5000 mdove siamo arrivati il 16 settembre. La c’erano giàuna ventina di spedizioni per lo più commercialiun po’ da tutto il mondo, americani, coreani, in-diani. Ancora il 17 sono andato al campo 1 a quota6400 e dato che mi sentivo bene il giorno successi-vo sono ritornato con un carico per attrezzarmi ilcampo e lo stesso ho fatto il giorno successivo.Quel giorno ho anche dormito in quota e il giornosuccessivo, il 20 settembre sono andato al campo2 a 7100 m. Volevo aspettare qualche giorno e pro-vare subito la cima dato che mi sentivo davverobene. Però è venuto il brutto tempo e ho dovutoattendere un miglioramento. Qualcuno mi ha datodel matto quando mi ha visto partire per i campialti dopo solo un giorno, ma io proprio di starefermo non me la sentivo. Gli svizzeri avevano unaprevisione molto attendibile che dava bello il 26 e27 settembre. Sono ripartito il 25 per il campo 1, il26 ero al campo 2 e il 27 ho raggiunto la cima.C’erano 300 persone al campo base e in cima nesono arrivate circa 40 di cui 35 con l’ossigeno, chehanno iniziato ad usare a 7000 m. Non so quanto

    senso abbia fare una cima così, ma devo anche direche questo alpinismo è un mondo a sé, soprattut-to molto chiuso: al campo base questi gruppi era-no assolutamente impermeabili, isolati, in un mon-do a parte. Si respirava davvero un altro clima alcampo base una volta ripartite queste spedizioni,con alpinisti che hanno un’idea precisa di come siaffronta una montagna, ed hanno anche un sensodi rispetto e che non sono lì solo per poter dire“sono stato in cima” o soddisfare un’ambizione aqualunque modo”.Sul Nanga Parbat 50 anni e due giorni dopo la pri-ma salita, solitaria, di Hermann Buhl. L’impresasul difficile “ottomila” è riuscita a Giampaolo Co-rona, guida alpina del Primiero insieme all’altoate-sino di San Giorgio di Brunico Kurt Brugger, giàolimpionico di slittino e oggi anche lui guida alpi-na. La spedizione era formata da Renzo, Giampa-olo e Giacomo Corona, guide alpine del Primiero,Gerlinde Kalterbrunner i due amici altoatesini,Kurt Brugger e Robert Gasser. Al campo base peril cinquantenario della