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storie di business 8853 SpA / Check Point-Crif speciale Corporate Banking n. 12 / ottobre 2012 arte Il catalogo fa la differenza editoriale Quel sereno variabile sull'Eurozona

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Banca & Mercati - Il magazine on line su banche e dintorni

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storie di business8853 SpA / Check Point-Crif

specialeCorporate Banking

n. 12 / ottobre 2012

arteIl catalogo fa la differenza

editorialeQuel sereno variabile sull'Eurozona

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Direttore responsabile: Andrea Bigi

Testi a cura di: Andrea Bigi e Elena Giordano Bellini

www.bancaemercati.com

Top News

Previsioni Abi: le banche e lo scenario economico del prossimo biennio

L’Italia risente ancora delle incertezze congiunturali, perciò la crescita economica del Paese nel 2010 dovrebbe attestarsi attorno

all’1%, nel 2011 allo 0,9% e nel 2012 all’1,3 per cento. E’ il quadro tracciato dal Rapporto di Previsione Afo-Financial Outlook

2010-2012 dell’Abi. Negativi invece i dati per il 2011 del mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione all’8,5%, che potrebbe

scendere all’8% nel 2012. Quanto al tasso d’inflazione, dovrebbe stabilizzarsi all’1,5% nel biennio 2010-2011, con un lieve

incremento nel 2012. In questo scenario difficile, sottolinea Abi, le banche restano solide continuando a fornire credito a famiglie e

imprese. Gli impieghi al settore non finanziario dovrebbero crescere nel 2010 a un tasso del 2,2%, simile a quello del 2009, per poi

crescere poco meno del 5% nel biennio 2011-2012. In particolare, presenta variazioni positive e in accelerazione il flusso di prestiti

alle imprese: da una riduzione annua del 2,3% nel 2009 a tassi di espansione del 4,9% nel 2012. In ogni caso, il ciclo economico

attuale determinerà un ulteriore incremento del 10% delle sofferenze bancarie per il 2011 (dopo la crescita di oltre il 20% nel 2010)

per poi attenuarsi nel 2012 stabilizzandosi al -1.7 per cento. Dopo una riduzione del 29% nel 2009, l’utile netto delle banche potrà

segnare una lieve ripresa pari a 5,5 miliardi di euro nel 2011-2012, mentre il Roe raggiungerà nel 2012 un livello del 3,3%, valore

comunque ancora inferiore ai livelli pre-crisi.

Solvency II, quanto mi costi

Il traguardo del 2012 per Solvency II, che impone alle compagnie di assicurazione di tutta Europa di adottare un insieme comune di

norme in materia di solvibilità, verrà certamente raggiunto, quanto a tempistica, dalle compagnie europee. Ma a un prezzo inatteso e

superiore, rispetto alle previsioni, per più della metà delle assicurazioni. Lo indica un’indagine Accenture su 29 compagnie europee

(appartenenti soprattutto ai rami vita e danni), che segnala anche che un terzo delle società intervistate si aspetta di spendere più di

25 milioni di euro per adeguarsi alla direttiva. Tra queste, il 7 % prevede di spendere più di 100 milioni di euro. Si pensi che solo tre

anni fa, in un sondaggio analogo di Accenture, solo il 4% delle compagnie prevedeva di superare i 26 milioni di spesa.

Gli Atm italiani sono sempre più “evoluti”

Presso gli Atm non si preleva solo più il contante: i dispositivi sono diventati “evoluti” e offrono

al cliente numerosi servizi, che comprendono, oltre al saldo e ai movimenti di conto corrente,

anche la disponibilità residua di prelievo su conto corrente, la verifica della situazione assegni e la

consultazione della posizione mutui e finanziamenti. Secondo l’Abi, che ha fotografato la

situazione dei 46mila Atm italiani, gli sportelli automatici sono di supporto anche per le

operazioni routinarie, come il pagamento di bollette e multe, le ricariche telefoniche o le

donazioni. Nel corso del 2009 sono state usate agli sportelli automatici 37 milioni di carte, per un

totale di un miliardo di operazioni e un ammontare delle transazioni pari a 131 miliardi di euro (di

questi, 121,8 miliardi di prelievi). Va precisato che ormai la metà degli Atm a disposizione presso

gli istituti bancari è web based, dunque in grado di garantire alti livella di efficienza e aggiornamento dati.

Flash News

Domanda di mutui: +1% nel 2010

La newsletter di Banca&Mercati / n.13

interviste

Marco Boni, Zurich Italia

Federica Alletto, Genertel

storie di business

Oberthur / Sia-Ssb / Ipc

editorialeForziere Italia

n. 3 / dicembre - gennaio 2011

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Speciale: Corporate Banking

• Il giocattolo si è rotto, ora che si fa? / Università Bocconi: Stefano Caselli 38

Focus corner

• Pronti per il boom del 2013? / Chris Iggo di Axa Investment Managers 16

• Super-Mario o supra-Mario? / Adrian Ash di BullionVault 18

• Al tavolo da gioco dell’high yield europeo / James Tomlins di M&G European High Yield Bond 20

• La Bce può traghettarci fuori dalla tempesta / Pierre Lagrange di GLG (Man Group) 22

• I miti dei mercati emergenti / Mike Riddell di M&G 24

• Vince chi perde? / Didier Le Menestrel di Financière de l’Echiquaier 25

• RWA Optimisation: un approccio alternativo / Carlo Gabardo di Basel Team Experian 26

• Il cambiamento climatico in politica monetaria / Richard Woolnough di M&G Optimal Income 28

News&Eventi

• La prima App per il trading professionale 30

• Il boom delle reti d’impresa 31

• Le imprese di famiglia restano solide 32

• La lunga marcia verso la “transfer union” 34

• I benefici dello switching 35

• C-Global del Gruppo Cedacri è ISO 9001 36

Flash News 08

Editoriale 07

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• In trincea per uscire dalla crisi / Confidi Lombardia: Giovanni Grazioli 39

• Ci parliamo ma non ci capiamo? / Confindustria Lombardia: Ambra Redaelli 40

• Intesa Sanpaolo: cambiare per lavorare meglio con le imprese / Intesa Sanpaolo: Bruno Bossina 42

• Più vicini alle imprese e al territorio / Iccrea BancaImpresa: Giovanni Boccuzzi 44

• E poi arriva il terremoto / Cariparma Crédit Agricole: Carlo Piana 45

• Le banche devono conoscere meglio le imprese / Confesercenti: Gianni Guido Triolo 46

Carriere 60

Banca&Mercati è un periodico on lineRegistrazione presso il Tribunale di Milano, n. 291 del 26/05/2010Banca&Mercati è una testatadi Business Gallery di Andrea Bigi, P.Iva IT07041300968C.F. BGINDR69H16E897M

Anno III numero 12ottobre 2012

Banca&MercatiBlend Tower, Piazza IV Novembre 720124 Milano

Tel. +39 02 87 34 30 19Fax +39 02 87 34 44 44www.bancaemercati.com

BG Business Gallerydi Andrea BigiP.Iva IT07041300968C.F. BGINDR69H16E897M

Viale Montello 5, 46100 Mantova

Direttore responsabileAndrea Bigi

Testi a cura di Andrea Bigi e Elena Giordano Bellini

Grafica e webCarlo Ghelfi

per informazioni e [email protected]

per informazioni commercialiValeria Rossana Volpe [email protected]

hanno collaborato Adrian Ash, Carlo Gabardo, Chris Iggo, Pierre Lagrange, Didier Le Menestrel, Mike Riddell, James Tomlins, Richard Woolnough

Storie di business

• Il bene rifugio per eccellenza 62

• I vantaggi della virtualizzazione 64

n.12 ottobre 2012

Performance 48

Arte • Il catalogo fa la differenza 66

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Uomini e Tecnologie

A serviziodel clienteLavoriamo insieme

con passione e determinazionecondividendo valori e obiettivi

www.bassilichi.itFirenze • Siena • Bologna • Cagliari • Milano • Padova • Pisa • Palermo • Roma • Sassari • Torino

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Editoriale

Andrea Bigi, direttoredi Banca & Mercati

Quel sereno variabile sull’Eurozona

Molti osservatori attendevano lo scorso mese di agosto come il momento della verità per l’Eurozona. Quello in cui le troppe contraddizioni che hanno accompagnato la moneta unica dalla sua nascita avrebbero raggiunto il punto di non ritorno, flagellate dall’inevitabile escalation della speculazione finanziaria. I più diretti interessati, ossia i governi della zona Euro, erano naturalmente i primi a essere consci di questo rischio, e come loro tutti i principali operatori di Borsa. E in effetti, al termine di queste vacanze a metà, il momento della verità si è in qualche modo materializzato sui mercati, ma non nel senso negativo paventato da più parti. Invece si è finalmente verificato quello scatto in avanti da parte delle istituzioni europee che per la prima volta dall’inizio della crisi non sembra la classica mascherina d’ossigeno per far rifiatare i mercati nel panico, ma una base sensata cui fare riferimento per proseguire nella costruzione dell’Europa. Lo scatto in avanti è stato appannaggio della Banca Centrale Europea, ma è stato ovviamente possibile con il consenso di tutti i partner, inclusa la recalcitrante Germania della Bundesbank. Il popolo tedesco, basta leggere i principali giornali del Paese per rendersene conto, è certamente contrario al piano dell’italiano Draghi, ma per fortuna a Berlino non ci sono soltanto falchi. C’è anche chi capisce che senza un solido meccanismo comunitario in grado di mettere un bavaglio credibile alla ridda speculativa sugli spread, l’Europa dell’Euro cesserebbe di esistere ben prima dell’eventuale fallimento della Grecia o della Spagna. Con conseguenze nefaste anche per la Germania. Tutto questo lo sa bene anche Angela Merkel, che senza essere un falco (ma neppure una colomba) sta comunque dimostrando apprezzabili doti di equilibrismo in vista delle elezioni politiche del 2013.

E’ altrettanto chiaro però che il piano anti-spread, così come in parte lo stesso fondo salva-Stati europeo che ha finalmente ricevuto il placet tedesco, rappresentano appunto quello che sono e nulla più: un bavaglio per gli speculatori che impedisce il contagio del panico finanziario, non la cura che estirpa il virus da cui ha origine l’infezione. Non inganni la calma apparente che regna sui mercati da qualche giorno a questa parte, perché lo scenario resta incerto. Basti pensare alla situazione della Grecia sempre sull’orlo del baratro, o alla Spagna dai conti ancora dissestati e con i capitali in fuga dalle proprie banche, o alla stessa Italia, dai conti pubblici formalmente in ordine ma alle prese con una recessione più forte rispetto al resto d’Europa. E allora la cura qual è? L’unica possibile. E’ l’unione fiscale europea, l’unione bancaria europea, la banca centrale unica europea, forse anche la borsa unica europea: insomma la vera unione economica europea. Perché nell’Europa delle differenze anche abissali di performance, norme e decisori politici fra paesi membri, ci sarà sempre grande spazio di manovra per tutti gli speculatori del mondo.

Andrea Bigi

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Flash news

Société Générale ha lanciato sul SeDeX due certificati sull’indice azionario italiano Ftse Mib Tr caratterizzati da una leva fissa giornaliera di +5, ovvero di -5. Si tratta dei primi certificati quotati a Milano caratterizzati da una leva fissa giornaliera, particolarmente appetibili per trader esperti con un approccio di breve termine e un’elevata propensione al rischio. I due strumenti, denominati “Sg Ftse Mib +5x Daily Leverage Certificate” e “Sg Ftse Mib -5x Daily Short Certificate”, replicano al lordo dei costi due specifici indici di strategia calcolati dall’index provider Ftse. A loro volta tali indici di strategia, su base giornaliera, replicano indicativamente la performance moltiplicata per +5 (ovvero per -5) dell’indice Ftse Mib Tr. “In Francia, afferma Marcello Chelli, responsabile prodotti quotati

di Société Générale in Italia, i certificati di Sg a leva fissa ed elevata sul Cac 40 Index hanno scambiato 1,2 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2012. Ora vorremmo replicare tale successo anche in Italia con degli strumenti analoghi sul Ftse Mib Index”. La propensione

dei trader italiani per gli strumenti a leva, fa notare una nota di Sg, è confermata anche dai due Etf a leva ±2 sul Ftse Mib, che da anni sono i più negoziati di Borsa Italiana con un controvalore di quasi 16 miliardi di euro nel 2011 e di oltre 7 miliardi di euro nei primi sei mesi del 2012.

Da Sg i primi certificati a leva fissa quotati in ItaliaSi tratta di prodotti speculativi adatti a trader con un’elevata propensione al rischio

Consente al cliente di combinare in modo flessibile i diversi servizi in funzione delle proprie esigenze e delle abitudini di utilizzo dei servizi bancari. E’ quanto offre Qubì, la nuova offerta modulare di conto corrente targata Ubi Banca. E’ possibile scegliere tra tre diversi moduli (denominati Semplicità, Libertà e Comodità), e il cliente può variare in ogni momento la composizione dell’offerta in funzione del mutare dei suoi bisogni. “Semplicità” è il modulo che offre i principali servizi di conto corrente dove accreditare lo stipendio o la pensione e addebitare automaticamente le utenze a 3,50 euro al mese. Inoltre, tutte le operazioni effettuate sono esenti dalle spese di registrazione e gestione conto. Inclusi nel canone anche i libretti per assegni non trasferibili e l’accesso alla piattaforma multicanale Qui UBI, così come la carta bancomat internazionale Libramat. Il modulo “Libertà” consente di azzerare anche le commissioni per le operazioni

effettuate: con solo 1 euro al mese per disporre tutti i bonifici, le ricariche e i pagamenti via Internet con Qui UBI e agli sportelli automatici evoluti, oppure fino a 3,50 euro/mese nel caso si voglia prevedere anche operazioni in filiale o al telefono con il servizio clienti. Infine, per chi necessita anche di una carta di credito o di strumenti di pagamento differenziati anche per il resto della famiglia, Qubì mette a disposizione il modulo “Comodità”. A partire da 1 euro al mese e fino a un massimo di 5 euro è possibile richiedere da una seconda carta Libramat a più di una carta di credito Libra MasterCard. “Grazie alla sua struttura modulare, commenta Rossella Leidi, direttore commerciale di Ubi Banca, Qubì coniuga la risposta al crescente bisogno di personalizzazione con la possibilità di dialogare con la banca in tempo reale, anche in mobilità, e di controllare i costi e il numero delle operazioni di tutta la famiglia”. Per chi sottoscrive, oltre al modulo “Semplicità”, un’opzione per entrambi gli altri due moduli è previsto uno sconto del 25% sul costo complessivo del conto corrente.

Il conto modulare di Ubi BancaLa nuova offerta Qubì consente al cliente di scegliere tra tre diversi moduli in funzione delle proprie esigenze

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Flash news

A Stefanelli il timone di CedacriGià direttore Operations Architettura e Applicazioni del Gruppo, sostituisce Fabio De Ferrari, che lascia Cedacri per ricoprire un nuovo prestigioso incarico a livello internazionale. Contestualmente Andrea Pettinelli è stato nominato amministratore delegato di C-Card

Novità al vertice del Gruppo Cedacri. Salvatore Stefanelli, già direttore Operations Architettura e Applicazioni del Gruppo, è il nuovo direttore generale. Stefanelli sostituisce Fabio De Ferrari, che lascia il Gruppo per ricoprire un nuovo prestigioso incarico a livello internazionale. Contestualmente Andrea Pettinelli, già responsabile Direzione Gestione Clienti e Sviluppo Commerciale del Gruppo Cedacri e amministratore delegato di SiGrade, azienda del Gruppo Cedacri, assume anche il ruolo di nuovo amministratore delegato di C-Card, azienda del Gruppo Cedacri. “Il Gruppo Cedacri può contare su una valida squadra di

top manager, afferma Sergio Capatti, presidente di Cedacri; è stata dunque una scelta naturale guardare al nostro interno per individuare chi avrà il compito di continuare il percorso intrapreso con successo da Fabio De Ferrari, a cui va il nostro ringraziamento più caloroso. Siamo certi che nei loro nuovi ruoli Salvatore Stefanelli e Andrea Pettinelli sapranno imprimere ulteriore slancio alla crescita che il Gruppo Cedacri ha vissuto negli ultimi anni, portando sempre maggiore valore ai nostri clienti”. Salvatore Stefanelli, leccese, classe 1962, entra in Cedacri nel 2009 come direttore Operations Architettura e Applicazioni del Gruppo. In precedenza, ha maturato una significativa esperienza nel settore assicurativo, lavorando per il Gruppo Allianz e precedentemente in Ras e in Fondiaria Assicurazioni. Il percorso professionale di Stefanelli comincia nel settore della consulenza, operando per diversi anni in Andersen Consulting (ora Accenture). Andrea Pettinelli, classe 1970, di Ancona, entra in Cedacri nel 2009 come responsabile della Direzione Gestione Clienti e Sviluppo Commerciale. Con l’acquisizione di SiGrade da parte di Cedacri nel dicembre 2011, assume inoltre il ruolo di amministratore selegato della società. Pettinelli è giunto in Cedacri dopo quattro anni in Allianz, cui era approdato dopo una significativa esperienza nel settore della consulenza aziendale, maturata in McKinsey & Company Italy, Cap Gemini Italia e Deloitte Consulting Italia.

Salvatore Stefanelli, direttore generale di Cedacri

Andrea Pettinelli, amministratore delegato di C-Card

Il nuovo fondo Algebris che investe nel credito finanziarioAlgebris Financial Credit Ucits fund è rivolto a investitori istituzionali

E’ specializzato in titoli di debito e strumenti finanziari emessi da grandi banche a livello globale. La boutique di asset management specializzata in investimenti alternativi Algebris Investments ha lanciato Algebris Financial Credit Ucits fund, fondo rivolto a investitori istituzionali che investirà principalmente in obbligazioni ibride subordinate Tier 1 e Tier 2, CoCo bonds, azioni privilegiate e obbligazioni senior, con un mercato globale di riferimento di circa 600 miliardi di dollari di capitale bancario subordinato e diverse migliaia di miliardi in obbligazioni bancarie senior. Si tratta del primo fondo “long only” gestito da Algebris. Il fondo, che ha un rendimento atteso tra il 6 e il 10% e si focalizzerà principalmente sulle obbligazioni delle cosiddette GSIFI, ovvero le istituzioni finanziarie di importanza strategica globale, sarà diversificato globalmente: circa 1/3 nell’area Euro e circa 2/3 al di fuori dell’area Euro. “Nei prossimi dieci anni, ha commentato Davide Serra, partner fondatore di Algebris Investments, il capitale bancario esistente sarà sostituito da nuovi strumenti attinenti alle nuove regole dettate da Basilea 3, ovvero strumenti capaci di assorbire le perdite evitando un ulteriore default dell’istituto emittente e garantendo una maggiore protezione contro possibili perdite. Tra queste tipologie di strumenti, i CoCo bonds possono essere convertiti in azioni a seconda delle circostanze, le obbligazioni subordinate invece possono sospendere i coupon e assorbire le perdite temporaneamente o in maniera permanente. Inoltre, l’attuale situazione di mercato e le recenti performance del settore dei financials ha dato a questa asset class un profilo di rischio rendimento molto favorevole. Siamo convinti che questo sia il momento giusto per ottenere rendimenti interessanti in questo settore”.

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Flash news

Attilio Serrone è stato nominato direttore generale di Bassilichi SpA. Avrà come obiettivi l’evoluzione del modello organizzativo e il consolidamento del Gruppo in nuovi mercati (Pa, Gdo, assicurazioni), nonché il supporto alla sua espansione a livello internazionale. Serrone è entrato in Bassilichi nel 2006 con la carica di vicedirettore generale, curando la supervisione dell’area commerciale e coordinando le attività delle business unit (Monetica, Back Office e Sicurezza) sul fronte produzione, marketing e sviluppo prodotti. Classe 1968, napoletano, Serrone ha iniziato la carriera in Eni, nell’area amministrativa e finanziaria; successivamente è entrato in Imi con la qualifica di responsabile delle attività amministrative e di sviluppo del fondo per la ricerca scientifica applicata. Dopo tre anni è passato in Sector Sport Watches coordinando le varie strutture amministrative del Gruppo. In seguito, ha fatto il suo ingresso nel gruppo multinazionale Saint Gobain con la carica di Cfo. Nel 2001 è entrato in Diners (gruppo Citibank) con l’incarico di direttore centrale per la supervisione delle attività amministrativo/finanziarie e, successivamente, ha assunto anche la responsabilità dell’area Credito, Operations e Sviluppo a livello europeo.

A Serrone la direzione generale di BassilichiIl manager dovrà gestire l’evoluzione del modello organizzativo e il consolidamento del Gruppo in nuovi mercati

Attilio Serrone, direttore generale di Bassilichi

La domanda di mutui ipotecari delle famiglie italiane nei primo otto mesi del 2012 ha fatto registrare un -44% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-39% nel solo mese di agosto). Lo sottolinea il Barometro Crif basato sull’analisi del patrimonio informativo di Eurisc, il Sistema di Informazioni Creditizie di Crif che raccoglie i dati relativi ad oltre 78 milioni di posizioni creditizie. In sostanza, si conferma la debolezza del quadro congiunturale, soprattutto sul fronte occupazionale e dei consumi: l’andamento della domanda evidenzia come solo il 2012 abbia fatto registrare un calo così rilevante (-10% per il 2011 e -3% per il 2010, mentre nel 2009 il trend era stato addirittura positivo, in aumento del 4 per cento). “Nell’ultimo anno la dinamica della

domanda di mutui residenziali da parte delle famiglie ha evidenziato un consistente rallentamento, commenta Simone Capecchi, direttore Sales & Marketing di Crif, riflettendo il peggioramento sia del clima di fiducia sia delle prospettive sul mercato degli immobili residenziali. A scoraggiare la richiesta di finanziamenti per la casa potrebbero aver concorso anche l’aumento dei tassi di interesse applicati ai nuovi contratti, l’introduzione dell’Imu oltre all’irrigidimento dei criteri di concessione derivanti dalle difficoltà di provvista da parte degli istituti di credito”. Analizzando le richieste di mutui per fascia di durata, la distribuzione rimane sostanzialmente stabile anche se con andamenti differenti: le classi inferiori ai 20 anni risultano tutte in aumento mentre quelle oltre i 20 anni sono in calo. È però la classe compresa tra i 25 e i 30 anni a risultare ancora una volta quella maggiormente richiesta dalle famiglie italiane, con una quota superiore al 30 per cento. Relativamente alla distribuzione delle richieste di mutuo in funzione dell’importo rimane molto marcato lo spostamento verso gli importi più bassi rispetto al corrispondente periodo del 2011: nello specifico, le uniche fasce di domanda che aumentano sono quelle fino ai 100mila euro a scapito delle altre. A conferma della cautela adottata dalle famiglie italiane in questa delicata fase, conclude Capecchi, sono proprio la quota di domande di mutuo con piani di rimborso più lunghi e la progressiva diminuzione dell’importo medio richiesto, che ad agosto fa registrare un ulteriore calo, attestandosi al di sotto dei 130mila euro”.

Si conferma la crisi per il mercato dei mutuiLa domanda di mutui, segnala il Barometro Crif, ha fatto registrare un -44% nei primo otto mesi del 2012

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Flash news

Come cambiano le modalità di contatto tra banca e cliente: alla tradizionale telefonata si affiancano e-mail e chat. Lo evidenzia l’Osservatorio sui contact center bancari condotto da Abi Lab e dall’Ufficio analisi gestionali dell’Abi: nel 2011 sono state oltre 51 milioni le telefonate gestite fra quelle in entrata e in uscita, mentre i contatti e-mail e chat hanno raggiunto 1,6 milioni di scambi banca-cliente. “Le chat in particolare, spiega l’Osservatorio, stanno vedendo molti progetti aperti dalle banche e riscuotono un buon successo presso la clientela (considerando le banche già attive nel 2010, emerge una crescita dei contatti chat pari al 50,4%). A queste si stanno affiancando i nuovi contatti tramite social network”. Secondo la rilevazione, riguardo alla diffusione delle principali tecnologie di interazione con il cliente utilizzate nelle banche e che coinvolgono le figure del contact center, la chat area clienti è lo strumento su cui le banche puntano di più: 78% tra strutture che l’hanno già attivata nel 2011 e quelle che hanno in piano di partire entro il 2012. Il confronto fra la situazione presente nel 2011 e quella dell’anno precedente mostra, in linea generale, che la percentuale di diffusione delle nuove tecnologie tra le banche è in aumento soprattutto per la chat pubblica, lo strumento che ha prodotto la variazione più consistente passando dal 39% del 2010 al 56% del 2011, la video chat, i forum e le community on line, passati dal 22% al 33 per cento. “L’evoluzione del canale in ottica di punto di riferimento per la clientela nei propri processi di interazione con la banca trova conferma anche nella natura prevalentemente informativa dei contatti telefonici: l’88% delle telefonate in ingresso (gestite da operatore nei due terzi dei casi) è motivata da esigenze informative e di assistenza, un dato che testimonia come il canale sia naturalmente associato al bisogno di assistenza e di relazione”.

Al via i corsi per l’autunno 2012 della Green Business Executive School, la scuola di formazione executive specializzata nelle tematiche della Green Economy. Nel programma spicca la seconda edizione del corso di alta formazione executive Green Banking (dal 5 ottobre), svolto in partnership con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Green Globe Banking. “Il riscontro positivo che abbiamo ottenuto con questo corso, spiega Francesco Timpano, coordinatore scientifico del corso nonché docente di Politica Economica e direttore del Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Piacenza), dipende dal fatto che esso affronta le tematiche e le evoluzioni di un business con significative potenzialità per il comparto bancario, soprattutto in un periodo così difficile come quello attuale”. Da segnalare inoltre il primo corso per energy manager ed esperti di gestione energetica appositamente progettato per il settore bancario (dal 29 ottobre), con la partecipazione di Abi Energia e il patrocinio di Asa - Alta Scuola per l’ambiente dell’Università Cattolica. Il corso è coordinato da Alessandro Segale, professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano (nonché Past President del Comitato Ambiente e Sicurezza DetNorske Veritas, direttore didattico della Scuola Emas ed Ecolabel Brescia e membro del direttivo dell’Associazione Analisti Ambientali Italiani) e da Roberto Gerbo, Energy manager del Gruppo Intesa Sanpaolo, come referente scientifico per le banche. Per ulteriori info: www.gbes.it.

I corsi d’autunno della Green Business Executive SchoolIl programma include il primo corso per energy manager appositamente progettato per il settore bancario

I social network come canale di contattoPer interagire con la clientela, evidenzia l’Osservatorio sui contact center bancari a cura dell’Abi, le banche puntano molto sulle chat

Dinamiche di diffusione delle tecnologie d’interazione in uso o pianificate nei contact center (analisi a campione costante 18 rispondenti)

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Flash news

I soci di Arca Sgr hanno definito il nuovo assetto azionario. L’obiettivo della nuova governance è garantire maggiormente l’indipendenza della società consentendo alle banche popolari di offrire prodotti e servizi nel risparmio gestito in linea con la best practice europea. L’adozione del nuovo statuto, che riduce al 20% il limite massimo della partecipazione azionaria di un singolo socio, ha comportato in particolare il recesso di Ubi Banca, che deteneva il 26,71%, l’aggiustamento della quota del Banco Popolare (dal 28,28% al 19,9%) e Bper (dal 20,18 al 19,9%), l’incremento di Veneto Banca (dal 2% al 19,9%) e Banca Popolare di Vicenza (dal 10,9% al 19,9% quando si perfezionerà la cessione dei rami d’azienda di BPVi Sgr ad Arca Sgr) e infine l’aumento di Banca Popolare di Sondrio dal 5,87% al 12,9 per cento. Tra i soci minori da segnalare la crescita della Banca Popolare di Marostica (dall’1,2% al 2%), della Banca Popolare di Ragusa (dallo 0,1% allo 0,25%), nonché l’ingresso quale nuovo socio, con una quota dello 0,2%, di Banca di Piacenza. “Il completamento del riassetto, commenta Ugo Loser, amministratore delegato di Arca Sgr, conferma la volontà delle banche popolari per il rilancio e l’indipendenza di Arca Sgr quale piattaforma aggregante del sistema del risparmio gestito di settore, permettendo altresì di rafforzare la leadership nella previdenza complementare”.

Il nuovo assetto di Arca SgrIl nuovo statuto riduce al 20% il limite massimo della partecipazione azionaria di un singolo socio

Punta a supportare le tesorerie e i back office degli istituti bancari nelle strategie di investimento e nelle operazioni di finanziamento. E’ partito X-Com, nuovo servizio di triparty collateral management gestito da Monte Titoli (London Stock Exchange Group). In pratica il servizio, nel cui ambito Monte Titoli opererà come agente terzo per la gestione unitaria e ottimizzata dei titoli utilizzati in garanzia per operazioni di finanziamento sul mercato interbancario, ha l’obiettivo di massimizzare l’efficienza del processo minimizzando l’investimento di risorse di back office e It da parte dei clienti. Attraverso tool personalizzabili, gli utilizzatori di X-Com potranno controllare il profilo di rischio che intenderanno assumersi nelle operazioni di investimento, monitorare costantemente il loro portafoglio titoli e al contempo liberarsi di tutti gli oneri di natura amministrativa

legati alla gestione delle garanzie. In particolare, nel corso della prima fase di implementazione del nuovo servizio, X-Com consentirà di selezionare e trasferire collateral nel sistema di pooling di Banca d’Italia per le operazioni di credito dell’Eurosistema. In una seconda fase il servizio si amplierà arrivando a fornire una gestione unitaria, efficiente e centralizzata del collaterale a supporto delle diverse esigenze di business quali le attività di finanziamento, prestito titoli e gestione dei margini per operazioni garantite da controparti centrali. “Il progetto X-Com, dichiara Paolo Cittadini, amministratore delegato di Monte Titoli, risponde al crescente bisogno di diversificazione delle forme di finanziamento ed efficienza sui mercati, offrendo un servizio di gestione del collaterale essenziale per ogni partecipante al mercato. Si tratta di un servizio di valenza sistemica, non solo per l’entità e la quantità dei soggetti con i quali interagisce ma anche perché, supportando la rivitalizzazione del mercato interbancario, accrescerà la competitività del Paese”.

Al via X-Com di Monte TitoliE’ un nuovo servizio di triparty collateral management a supporto di tesorerie e back office bancari

Assogestioni comunica che l’industria del risparmio gestito ha chiuso il secondo trimestre dell’anno con un patrimonio di 957 miliardi di euro, equamente ripartito tra gestioni collettive (478 miliardi) e gestioni di portafoglio (479 miliardi). La raccolta, nei mesi di aprile, maggio e giugno, è stata negativa e pari a 4,5 miliardi di euro. Ciò nonostante, hanno fatto registrare un risultato

positivo i prodotti obbligazionari che, dall’inizio dell’anno, hanno incassato 8,7 miliardi di euro (3,2 miliardi nel periodo di riferimento). Raccolta positiva anche per le gestioni di patrimoni previdenziali e i fondi di diritto estero. Le gestioni collettive hanno chiuso il trimestre con un risultato negativo, ma vicino alla parità (0,24 miliardi di euro). A delimitare il carico dei riscatti sono intervenuti i 4,4

miliardi raccolti dai fondi di diritto estero. Al 30 giugno il patrimonio investito in fondi aperti è di 434 miliardi di euro, di questi il 67% impiegato in prodotti di diritto estero. Le gestioni di portafoglio hanno chiuso il secondo trimestre con una raccolta in rosso di 4,3 miliardi di euro. In positivo e con versamenti per oltre mezzo miliardo le gestioni di patrimoni previdenziali.

Risparmio gestito: raccolta in difficoltàNel secondo trimestre raccolta in negativo per 4,5 miliardi di euro

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L’obiettivo è lavorare insieme a tutela dei clienti in nome della trasparenza. Aiba (Associazione Italiana Brokers di Assicurazioni e Riassicurazioni) e Sna (Sindacato Nazionale Agenti di Assicurazione) hanno firmato un protocollo d’intesa per regolare i rapporti di collaborazione tra intermediari che coinvolge direttamente oltre 8mila agenti iscritti al sindacato e 1.100 società di brokeraggio associate. In effetti, sempre più spesso i broker, operando per conto del cliente, utilizzano le agenzie come “sportelli” delle compagnie di assicurazione sul territorio: lo dimostra il fatto che già oggi la quota di premi raccolti dai broker e appoggiati sulle agenzie, e non

direttamente sulle compagnie, raggiunge il 22,6 per cento. Il modello di “lettera di collaborazione standard” messa a punto da Aiba e Sna permette inoltre di superare alcune delle rigidità formali e delle complicazioni normative che dall’entrata in vigore del Registro Unico degli Intermediari (1 febbraio 2007) hanno frenato l’evoluzione della collaborazione fra broker e agenti. “Il protocollo, dichiara Claudio Demozzi, presidente nazionale dello Sna, costituisce una tappa importante di trasparenza e correttezza nei riguardi dei nostri clienti. Si tratta di un’azione che porterà le due categorie ad avere verso il mercato un approccio adeguato ai tempi. Oggi, la nostra professione sta mutando, sia gli agenti monomandatari, sia quelli plurimandatari si trovano a competere con regole del gioco in continuo divenire. Ci auguriamo che anche le compagnie di assicurazioni accolgano con uguale favore il protocollo che come Sna abbiamo siglato con Aiba, nell’ottica di offrire ai clienti una sempre maggiore trasparenza di ruoli e chiarezza di intervento”. “Siamo alla vigilia di uno snodo delicato come l’arrivo della nuova direttiva europea in materia di intermediazione assicurativa che dovrebbe vedere la luce nel 2013, spiega Francesco G. Paparella,

presidente di Aiba, che richiede di essere maggiormente permeabili e pragmatici rispetto al passato. Alla luce delle prossime novità normative certe rigide divisioni settoriali di un tempo non hanno più motivo di esistere se vogliamo essere parte attiva del cambiamento e non subire passivamente le regole imposte dall’alto come già avvenuto in passato. L’unità di intenti concede forza, credibilità e legittimazione davanti alle istituzioni sia agli agenti che ai broker”.

Assicurazioni, storica intesa tra broker e agentiAiba e Sna varano un accordo di collaborazione che coinvolge oltre 8mila agenti iscritti al sindacato e 1.100 società di brokeraggio associate

Claudio Demozzi, presidente nazionale dello Sna

Francesco G. Paparella, presidente di Aiba

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L’Osservatorio Carte di Credito a cura di Crif, Assofin e Gfk Eurisko sottolinea come oggi il settore dei pagamenti elettronici in Italia sia trainato soprattutto dalle carte di debito e dalle carte prepagate. Nel 2011 risulta in effetti in forte calo il numero di carte di credito in circolazione (-12%), mentre cresce quello delle carte di debito (+4,6%) e delle prepagate (+14,9%), così come cresce il numero delle operazioni effettuate con strumenti di pagamento alternativi al contante (+4% sul 2010). Stabili infine i volumi transati con carte rateali/opzione (+0,5 per cento). Più in dettaglio, la contrazione delle carte di credito (-12,0% rispetto al 2010) è ben più consistente di quella registrato nel 2010 (-3,3% sul 2009). Il numero delle transazioni

effettuate nel 2011, dopo aver sfiorato i 590 milioni nel 2010, ha fatto registrare una leggera flessione (-0,3%), mantenendosi comunque su livelli superiori rispetto al 2009. In flessione anche l’importo delle transazioni effettuate (-2,1% sul 2010), interrompendo così il trend di crescita registrato dal 2007. Il valore medio di ogni singola transazione si è attestato intorno a 95 euro (contro 97 euro del 2010 e 104 del 2007). “Questo dato, spiega il report, unitamente alla diminuzione dell’importo medio delle transazioni su Pos con carte di debito, conferma la tendenza verso un uso sempre più frequente delle carte di pagamento da parte dei titolari, collegato alla quotidianità degli acquisti”. Al contrario, il numero di carte di debito in

circolazione continua a crescere (+4,6%), seppur con percentuali inferiori rispetto a quelle registrate nel 2010 e aumenta anche il numero delle operazioni effettuate (+7,3% sul 2010), per un importo totale di 67 miliardi di euro (+6,0% rispetto al 2010). Anche in questo caso, si rafforza il trend di riduzione dell’importo medio (68 euro nel 2011), evidenziando una diminuzione media annua del 5,9 per cento. Continua a crescere anche la diffusione delle carte prepagate, ma a ritmi meno sostenuti rispetto agli anni passati (+14,9% nel 2011 contro +16,3% del 2010 e +29,5% del 2009). Tale diffusione è accompagnata anche da una crescita nell’utilizzo, confermata da un aumento del numero (+28,4% rispetto al 2010) e del valore delle operazioni (+30,9% sempre rispetto al 2010). Infine, nel comparto delle carte rateali/opzione in circolazione prosegue il trend di riduzione delle nuove emissioni (-16,5 per cento). I volumi transati mostrano al contrario una relativa tenuta sia nel 2011 sia nel primo semestre 2012 (+0,5%); in particolare, si conferma il ruolo trainante delle carte opzione. Le carte rateali, invece, registrano nel 1° semestre 2012 un trend di contrazione sia per il valore finanziato (-7,7%) sia per il numero di transazioni effettuate (-9,7%), a conferma dell’atteggiamento cauto dei titolari verso il ricorso al credito.

Carte di debito e prepagate trainano i pagamenti elettroniciL’Osservatorio Carte di Credito di Crif, Assofin e Gfk Eurisko evidenzia inoltre la crescita delle operazioni effettuate con strumenti di pagamento alternativi al contante

Numero di transazioni effettuate con carte di credito: andamento 2007-2011 - Fonte: Osservatorio Assofin – CRIF Decision Solutions – GfK Eurisko sulle Carte di Credito, vol. 10

Ing Direct ha lanciato l’iniziativa “Prendi Parte al Cambiamento”, che ha l’obiettivo di finanziare con 100mila euro il miglior progetto italiano di start-up che punti a innovazione e cambiamento. I progetti dovranno essere legati all’utilizzo delle tecnologie digitali, con particolare attenzione a quelli che combinano il web, il mobile e i nuovi media, con gli elementi distintivi delle eccellenze creative italiane. Sono cinque le categorie in cui dovranno rientrare i progetti proposti: Arte & Cultura, Moda & Design, Cucina & Alimentazione, Ambiente & Sociale, Formazione & Informazione. Il concorso, che si concluderà il prossimo gennaio, è organizzato in collaborazione con H-Farm, venture incubator che opera a livello internazionale a supporto delle start-up. “Con questa iniziativa ha commentato Sergio Rossi, direttore Marketing e Comunicazione di Ing Direct Italia, vogliamo invitare gli italiani a porsi delle domande, a mettere in discussione lo status quo e a prendere consapevolezza che sono i cambiamenti individuali la chiave di un’importante evoluzione collettiva. Abbiamo scelto di agire concretamente in questo senso, finanziando un business in grado di apportare un miglioramento reale nella vita di tutti noi”.

Ing Direct finanzia la start-up più innovativaCon l’iniziativa “Prendi Parte al Cambiamento”

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Pronti per il boom del 2013?Oggi sui mercati sono presenti tutte le condizioni per una ripresa dell’attività economica globale, sostiene Chris Iggo di Axa IM, anche in ragione delle politiche reflazionistiche seguite dalle banche centrali. Ma le prospettive per l’Europa restano incerte

La mia idea è che siano presenti tutte le condizioni necessarie per una significativa ripresa dell’attività economica globale e un movimento corrispondente dei mercati azionari verso nuovi picchi nel 2013. Non è perché prevedo la risoluzione di tutte le problematiche del debito in Europa, o perché ritengo si aprirà una nuova era di crescita del credito o ancora che le famiglie beneficeranno di un rinnovato aumento dei prezzi immobiliari. Penso sia semplicemente perché le politiche reflazionistiche ad alto numero di ottani seguite dalle banche centrali hanno il potenziale per sostenere la crescita del Pil nominale. La repressione finanziaria sta spingendo verso tassi d’interesse reali negativi sia dal punto di vista del credito che naturalmente della pure duration, facendo salire il costo-opportunità per le imprese di lasciare una parte consistente dei bilanci sotto forma di liquidità. I venti contrari sono forti e li conosciamo perfettamente - irrigidimento fiscale, riduzione della leva, cambio delle normative - ma non dureranno in eterno. La chiave di volta è la fiducia: non appena ci sarà un po’ più di fiducia da parte delle imprese e dei consumatori, le cose riprenderanno a muoversi.

Il mio QE è più grande del tuo

Ben Bernanke ha superato Mario Draghi con l’annuncio di un terzo allentamento quantitativo. Non sorprende, poiché la Fed può essere, ed è sempre più probabile che sia più colomba quando lo ritiene necessario. La Bce sta affrontando una crisi del credito fiscale, mentre la Fed fa i conti con un incompleto raggiungimento degli obiettivi del suo mandato. Sta quindi per ampliare ancora il proprio bilancio. Il credito di riserva delle banche (il denaro che la Fed crea per acquistare i titoli) ammonta a quasi 3 trilioni di dollari, cioè il 20% del Pil Usa. La cifra è destinata a salire con l’annuncio dell’acquisto di 40 miliardi di dollari di titoli Mbs (Mortgage Backed Securities, ndr) al mese e il reinvestimento di cedole e rimborsi sul mercato. La Fed ha affermato che avrebbe usato altri strumenti - l’acquisto di un numero maggiore di treasury - se necessario. Un’enorme potenza di fuoco per il sistema di credito statunitense ma, fattore più importante, l’acquisto di titoli manterrà bassi per molto tempo i costi del credito di lungo termine. I rendimenti a dieci anni dei titoli di Stato Usa sono già inferiori al tasso d’inflazione attuale (per il quale è probabile un aumento) e anche i costi del credito reale sulle obbligazioni corporate e quelle Mbs sono in calo. La diminuzione dei tassi risk-free e dei costi di finanziamento bancario dovrebbero consentire un calo dei tassi sui prestiti, anche se le banche fanno di tutto per mantenere

i margini. Ci sarà quindi un impatto positivo sull’offerta del credito. In caso di ripresa della domanda del credito, le cose miglioreranno ulteriormente.

Alla ricerca di rendimento e di effetto ricchezza

Gli investitori posseggono molto denaro. Sui mercati obbligazionari corporate europei si è riversata una quantità enorme di emissioni nel mese di settembre e la maggior parte ha ricevuto un’ottima accoglienza, con le richieste generalmente multiple rispetto alle dimensioni dell’emissione. Ciò si osserva anche nel debito dei mercati emergenti, in cui ad esempio un’emissione sovrana dello Zambia ha attirato interesse per 11 miliardi di dollari ed è salita di 3,5 punti il giorno stesso dell’emissione. Gli investitori non acquistano titoli di Stato dei paesi core perché il rendimento è molto basso e anche le banche che sono state tra i maggiori acquirenti per motivi di liquidità sembrano meno inclini a detenere posizioni ragguardevoli nei titoli di Stato. Dall’annuncio della Bce, l’acquisto euforico del debito periferico in Europa lascia intuire che ci sia stato un netto cambiamento nella percezione del rischio e che il movimento sia correlato all’esigenza di acquistare attivi con rendimenti reali positivi. I mercati azionari dovrebbero trarre vantaggio dal calo dei potenziali rendimenti sugli attivi a reddito fisso e dalla valutazione degli ipotetici benefici della politica reflazionistica. Quanto si sta verificando e la diminuzione dei tail risk - una rottura dell’euro e un episodio deflazionistico - renderanno più allettanti i mercati azionari anche se il contesto macro e il ciclo degli utili potrebbero continuare a dimostrarsi deludenti.

Il settore corporate è determinante

La ripresa economica non nasce dall’espansione del bilancio della Fed o dai programmi di finanziamento al credito della Banca d’Inghilterra o ancora dal finanziamento dei deficit spagnoli da parte della Bce in Europa. La ripresa avverrà quando le imprese assisteranno finalmente a un aumento della domanda di beni e servizi e quando decideranno che è necessario essere in una posizione forte per beneficiare di eventuali aumenti della domanda acquistando quote di mercato o incrementando il loro potenziale output. In altre parole, la ripresa economica accelererà quando le imprese incrementeranno le spese in conto capitale e le assunzioni, poiché ciò genererà una crescita di occupazione, redditi e spese. E’ già da diverso tempo che il settore corporate

Chris Iggo, chief investment officer Global Fixed Income di Axa Investment Managers

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aggregato registra un surplus finanziario, incamerando enormi quantità di denaro. Si è trattato infatti di una delle ragioni principali per cui sono stato così ottimista sul credito corporate, nonostante il difficile contesto macro-politico. Quindi, che cosa spingerà le imprese a spostarsi verso strategie maggiormente orientate alla crescita? Forse, l’aumento dei prezzi dei titoli poiché la dirigenza aziendale dovrà iniziare a giustificare le aspettative degli investitori. Anche un contesto macro più stabile sarebbe d’aiuto.

Attenzione allo “sparring partner” sui mercati valutari

Il dollaro si è indebolito in risposta alla Fed. Molti orsi euro saranno stati colti impreparati dal capovolgimento delle ultime settimane. Se il dollaro scende, i prezzi in dollari per le commodity salgono. Anche sui mercati emergenti sale la pressione. E’ quindi probabile che assisteremo a politiche interventiste in tutto il mondo nei prossimi mesi, per evitare eccessivi rialzi valutari nelle economie che vogliono beneficiare di un’eventuale ripresa del ciclo commerciale mondiale. Gli interventi provocano un’espansione monetaria, incrementando il potenziale di accelerazione di crescita e inflazione. Secondo dati rilasciati dall’Fmi, le riserve delle banche centrali stanno crescendo a un ritmo di circa il 10% y/y nell’ultimo anno. Tuttavia, durante la prima fase di allentamento quantitativo negli Usa, la crescita delle riserve ha accelerato a un ritmo del 20% e i prezzi delle commodity sono saliti a livello globale. Prevedo che il fenomeno si ripeterà. Agli Usa non importa, ma nessun altro vuole un dollaro debole. Bene, non è proprio così. Coloro che investono nei mercati emergenti vogliono che le valute di questi mercati salgano, e se si ritiene che il dollaro stia attraversando un trend debole, allora dovremmo assistere a un aumento degli afflussi nei mercati emergenti (in effetti sta già accadendo). Questo pone ulteriore pressione rialzista sulle valute e sulle autorità.

Reflazione significa inflazione

La Fed e la Banca d’Inghilterra, oltre alla Bce, sanno che ottenere una crescita del Pil reale è difficile, a meno che non si verifichi un aumento dell’occupazione e delle spese in conto capitale, oltre che della produttività. Pertanto l’obiettivo intermedio deve essere una maggiore crescita del Pil nominale – una crescita sufficientemente più alta rispetto agli attuali costi del credito da contribuire insieme alla “sistemazione” dei bilanci e a incoraggiare le spese. Se i consumatori cominciassero a prevedere i prezzi

più elevati in futuro, potrebbero iniziare a spendere oggi. Se le imprese vedessero una maggiore capacità di determinazione dei prezzi, potrebbero accumulare maggiori capacità per vendere di più. E’ probabile che gli investitori acquistino attivi a più alto rendimento quando, e se, l’inflazione sarà in rialzo. In realtà, non c’è nemmeno bisogno che l’inflazione salga, e ci sono forti ragioni economiche sul perché non dovrebbe, ma un cambiamento delle attese d’inflazione potrebbe essere sufficiente. Come investitore, so che il denaro che finisce sul mercato oggi può ottenere un rendimento reale solo se è in qualche modo protetto dall’inflazione (obbligazioni inflation linked e high yield anziché titoli di Stato nominali o high grade corporate) o riguarda un attivo “reale”, come ad esempio le azioni corporate, le commodity e l’immobiliare.

Non combattere la Fed

E’ una frase che ho sentito a fasi alterne per anni. E’ sempre stato il consiglio giusto? Non ne sono certo. Ma questa volta è diverso. La Fed fa sul serio e sta sostituendo gli attivi a basso rendimento con ingenti quantità di liquidità. A meno che gli investitori vogliano continuare a restare seduti sulla liquidità, quest’ultima sarà utilizzata per spingere al rialzo i mercati e al ribasso gli spread e ci sarà un impatto positivo sull’economia reale. Quindi, per il futuro, prevedo ancora tempi duri in Europa. In molti sono preoccupati dalla mancata ripresa del mercato immobiliare e dall’aumento della disoccupazione strutturale. Ritengo che l’irrigidimento fiscale si protrarrà per altri due-tre anni, ma penso anche ci siano aspetti più positivi da considerare. Forse il quinto anniversario dall’inizio della crisi finanziaria ne segnerà anche la fine. Avanti 2013!

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Per la seconda volta in quattro mesi i giornali tedeschi mettono in copertina il quadro l’Urlo di Munch. Questa volta però a essere raffigurata non è Angela Merkel, perché il quadro esprime piuttosto l’angoscia dell’intera nazione tedesca. La ragione è però ovviamente la stessa. “Niente terrorizza i tedeschi quanto la crisi dell’Euro” si legge sull’Handelsblatt. La nazione più assicurata del mondo, la Germania, sembra temere la crisi anche più di quanto facesse 12 mesi fa, secondo una ricerca svolta da una compagnia di assicurazioni.

Il dissenso tedesco

Sembra che il timore per la crisi dell’Euro batta ormai anche quello per l’inflazione, il che quando si tratta della Germania è tutto dire. Le recenti dichiarazioni di Draghi sembrano inoltre aver peggiorato la situazione. Allo stesso modo, il voto sul piano anti-spread della Banca Centrale Europea (che è passato senza l’approvazione della Bundesbank, ndr) sta causando notti insonni dal Reno all’Elba. Rimane inteso che nessuna altra nazione moderna

si preoccupa delle attività della banca centrale quanto la Germania; se così fosse sia la Federal Reserve che la Banca d’Inghilterra sarebbero sotto assedio da un pezzo. In Germania invece il popolo ha una sola opinione, e molto forte, quando si tratta di politica monetaria. “La maggior parte dei tedeschi non si fida dell’italiano Draghi” scrive lo Stern, citando un loro sondaggio. In effetti almeno la metà dei sondaggi citati nella stampa tedesca rilevava come i tedeschi avrebbero preferito che la Corte Costituzionale decidesse che i bailout dell’Eurozona fossero illegali. “I mercati finanziari festeggiano la morte della Bundesbank” scrive il Die Welt, spiegando che “Draghi trasgredisce i principi della politica monetaria tedesca, dando inizio all’incubo per la Germania”. La voce di dissenso della Germania è unanime ed è stata già espressa proprio nel cuore della Bce. Prima di tutto con il voto negativo (l’unico) di Jens Weidmann, poi durante la conferenza stampa del presidente Draghi. “Sono tedesco” ha esordito uno dei giornalisti rivolgendosi a Draghi. “Credo che il suo approccio sia ottimo, ma sa come funzionano i mercati. Tra quattro settimane saremo di nuovo qui per un’altra

Il piano anti-spread annunciato dalla Banca Centrale Europea, con i suoi vincoli di condizionalità e sterilizzazione, non convince la Germania. E a giudicare dal prezzo dell’oro in termini di euro (oggi appena al di sotto dei massimi storici), anche molti grandi investitori privati non sono così fiduciosi

Super-Mario o supra-Mario?

Adrian Ash, head of research di BullionVault

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conferenza stampa. Spero che questa condizionalità rimarrà forte e che lei non ceda terreno per quanto riguarda la condizionalità”. Condizionalità. Una parola burocratica, oggi carica di significato. Utilizzata dieci volte da Draghi durante la conferenza stampa, cinque volte dal giornalista tedesco in pochi minuti. Torneremo alla questione della condizionalità tra un momento. Ci sono altri due punti di importanza fondamentale che scaturiscono dalla decisione della Bce. • I bund tedeschi subiranno l’effetto Draghi, così come il debito italiano, spagnolo, ecc. Solo che la direzione dei bund sarà opposta. Il “meccanismo di trasmissione della politica monetaria” con cui la banca centrale controlla i tassi di interesse, sì è rotto, o meglio “è danneggiato”. E “se i mercati dei bond sono distorti nell’area Euro, sono distorti in tutte le direzioni” ha aggiunto Draghi, rispondendo a una domanda sull’attuale interesse negativo del debito tedesco. Quindi per ripristinare l’unità dell’unione monetaria (l’obiettivo dichiarato delle misure messe in atto) i bund tedeschi devono salire, mentre i rendimenti del debito italiano e spagnolo devono scendere. • La sterilizzazione aggiusta tutto. Per scongiurare i timori legati alla stampa di nuovo denaro, la Bce non inietterà nuova liquidità nell’economia. Diversamente da quanto fatto dalla Federal Reserve, dalla Banca d’Inghilterra e da quella del Giappone, gli acquisti del debito delle nazioni deboli nell’Eurozona saranno “completamente sterilizzati”, il che significa che esattamente lo stesso importo che verrà speso per comprare bond verrà recuperato vendendone altri, di nazioni “non deboli”. Indovinate quali? Lo scopo, ha ripetuto Draghi, è di ricreare unità. Vendere Bund è lo ying, comprare Bonos lo yang. È la sterilizzazione che lo richiede. “Gli interventi di acquisto non possono compromettere la capacità della politica monetaria di salvaguardare la stabilità dei prezzi nell’area Euro” ha dichiarato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, con la chiara intenzione di confermare che la voce di dissenso nel board della Bce era proprio la sua. Durante il meeting della Bce, ha aggiunto Weidmann, “ho reiterato il mio dissenso verso l’acquisto di bond governativi da parte dell’Eurosistema. Tali acquisti equivalgono al finanziamento dei governi nazionali tramite la stampa di nuovo denaro. La politica monetaria rischia di essere sottomessa alla politica fiscale”. Come si saranno sentiti Ben Bernanke e Mervyn King? Però, se i banchieri centrali indipendenti e senza macchia “à la Weidmann” devono chiamarsi fuori dalla politica, non significa che sono loro stessi a prendere il comando? Sì, secondo Weidmann. E Draghi non può che essere d’accordo. “Se il programma

di acquisto di bond nazionali ha come conseguenza che gli stati membri pospongano le riforme necessarie, questo indebolirà ulteriormente la fiducia verso i leader politici in merito alla loro capacità di risolvere la crisi” conclude Weidmann. Questo ci riporta alla condizionalità, ovvero le condizioni stabilite dal governo di Bruxelles, che la Bce pretende che siano stabilite affinché la Bce acquisti il debito e successivamente rispettate pena la vendita dei bond stessi.

Il governo di supra-Mario

Il governo non eletto di super-Mario Draghi diventa quindi supra-Mario. Vede tutto, sa tutto, può tutto: in nome dell’unità europea supervisiona eventuali imperfezioni dei budget nazionali, con l’arma ultima della vendita dei bond e del conseguente aumento del costo del debito per chi non si comporta bene. Nel settore degli investimenti privati questo ruolo veniva svolto dai cosiddetti “bond vigilantes”, fondi di investimento che avevano la capacità finanziaria di protestare contro i governi spreconi vendendone i bond. Una mossa che aumenta il costo del debito, frenando le spese e quindi in ultima analisi limitando il debito stesso. È vero che i vigilantes latitano per quanto riguarda i mercati dei bond di Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Germania. Ma è il ruolo che gli investitori del settore privato hanno assunto punendo Grecia, Irlanda, Portogallo & company. In ogni caso, il vigilantismo non è un sistema di giustizia perfetto. Il disagio sociale in Grecia e Spagna lo dimostra, onde per cui si fanno avanti le soluzioni ragionate della Bce. Weidmann si chiede se supra-Mario punirà gli stati deboli dell’Eurozona se falliranno nel mantenere le promesse relative al debito e al deficit. A giudicare dal prezzo dell’oro in termini di euro (in questo momento appena al di sotto dei massimi storici), sembra che molti grandi investitori privati non ci credano poi tanto. E a giudicare dalla loro reazione, sembra che anche la Germania creda che aiuti non sterilizzati prima o poi si affacceranno all’orizzonte, per forza di necessità.

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Alla fine dello scorso anno abbiamo parlato dell’attrattiva del mercato high yield, nel momento in cui i differenziali di credito avevano superato i 1.000 punti base. Storicamente tali livelli hanno rappresentato un forte segnale per posizionarsi sull’asset class, ed è stato così anche questa volta. Ricorrendo a un’analogia con il gioco del poker, è stato come ritrovarsi con un full: le probabilità di vincere la mano erano tali che, pur senza certezze, valeva la pena tentare la sorte. In una corsa piuttosto accidentata, il mercato high yield europeo ha offerto un rendimento totale del 20,1% da inizio anno, contro un rialzo del 15,8% dell’S&P 500, del 10,4% dell’Euro Stoxx 50 e del 4,8% del Ftse 100 (rendimento totale dell’indice Merrill Lynch Euro High Yield dal 31 dicembre 2011 al 21 settembre 2012, performance del mercato azionario da inizio anno al 21 settembre 2012 - fonte: Bloomberg, Bank of America Merrill Lynch). In tutta franchezza, si tratta di un risultato migliore delle aspettative, spinto dagli interventi della Bce (gran parte dei guadagni di quest’anno sono stati infatti conseguiti nel primo trimestre grazie al programma di Ltro), dall’impegno di Draghi a “fare quanto necessario” e dalle iniezioni di liquidità di altre banche centrali nel corso di un anno di scarsa crescita economica.

Vendere o comprare?

Ora dunque la domanda è: quale sarà il destino per l’high yield? Avremo rendimenti ancora così elevati nei prossimi mesi?

Per tentare di rispondere a questa domanda, partiamo dalle valutazioni. In termini di rendimenti complessivi,

non siamo molto lontani dai livelli più bassi degli ultimi anni. Il mercato high yield europeo rende oggi il 7,3% circa a scadenza (indice Merrill Lynch Euro High Yield al 21 settembre 2012 - fonte: Bloomberg, Bank of America Merrill Lynch) rispetto a un minimo decennale del 5,3% nel febbraio 2005. Un dato che potrebbe diminuire ancora, ma l’entità della flessione non sarà comunque sufficiente a generare le stesse plusvalenze di capitale degli ultimi mesi. Ciò significa che chi acquista titoli high yield in questa fase del ciclo con l’intento di realizzare grandi guadagni rimarrà probabilmente deluso. Per generare un ulteriore reddito da capitale del 16% circa, ad esempio, i rendimenti dovrebbero scendere attorno a una media del 2 per cento. Questo dunque significa che si debbano vendere immediatamente le posizioni high yield? Non proprio. Si considera opportuno vendere un titolo high yield se si teme un forte rialzo dei rendimenti delle obbligazioni governative sottostanti, un significativo re-pricing degli spread o entrambe le cose. La prima ipotesi appare valida, ma il rialzo sarebbe, a mio avviso, contenuto. Non credo infatti che vedremo presto i rendimenti decennali di Treasury, Bund e Gilt salire oltre il 5% dal momento che governi e autorità hanno chiarito che continueranno a intervenire sui mercati per mantenere bassi i tassi a lungo termine ancora per molto. Crescita nominale e mercato del lavoro hanno infatti la priorità, mentre il rischio inflazionistico resta in secondo piano. Ne consegue che un eventuale aumento dei rendimenti sovrani è poco probabile e quindi le perdite di capitale sulle emissioni high yield sarebbero relativamente contenute. Attualmente la duration modificata del mercato high yield europeo è di 3,1 anni, quindi se i rendimenti dei titoli di Stato registrassero un incremento generale dell’1%, si avrebbe una perdita di capitale intorno al 3%, a parità degli altri parametri. Se si aggiunge un differenziale del 6,7%, ipotizzando di non essere travolti da un’ondata di default (la grande incognita di sempre), la performance in high yield sarebbe ancora positiva.

Meglio un posizionamento meno aggressivo

La variazione degli spread e i livelli dei tassi di insolvenza saranno gli elementi chiave che genereranno performance. Diversamente dai rendimenti complessivi illustrati nel primo grafico, i differenziali di credito nel grafico seguente sono ancora lontani dai minimi. A fine agosto il rendimento incrementale rispetto ai titoli di Stato si attestava al 7,4%, rispetto al 1,9% segnato a maggio 2007.

James Tomlins, gestore del fondo M&G European High Yield Bond

Anche se oggi il mercato high yield europeo non sembra più in grado di garantire forti guadagni nel prossimo futuro, è comunque consigliabile mantenere le proprie posizioni, puntando su un approccio difensivo

Al tavolo da gioco dell’high yield europeo

Merrill Lynch European High Yield Index Yield to Worst (%) - Source M&G Investments, Bloomberg

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Sembra esserci dunque ancora spazio perché gli spread scendano, generando quindi plusvalenze di capitale. Ne consegue allora che si debbano aprire immediatamente

posizioni high yield? La risposta è ancora no. Guardiamo ai differenziali di credito nel contesto economico delle società europee. In gran parte dell’Europa la crescita è lenta o inesistente e il credito rimane scarso. Il prezzo del rischio di credito nei titoli corporate (lo spread) dovrebbe rispecchiare tale situazione. Alla fine, gli investitori dovrebbero pretendere un differenziale che li ricompensi adeguatamente per l’illiquidità intrinseca dell’asset class e un modesto incremento dei tassi di default. Detto ciò, è estremamente improbabile che gli spread si avvicinino

ai livelli del 2007 (1,9%) a breve. Inoltre, aleggia sempre lo spettro di una variazione della curva per effetto di eventi macroeconomici o politici, con una conseguente repentina diminuzione della propensione al rischio e quindi un ampliamento degli spread. Tuttavia, alla luce dei fondamentali e delle valutazioni a medio termine, ritengo che il segmento high yield sia ora più vicino a un corretto valore di mercato. Questo ci porta a una conclusione poco soddisfacente: anche se il mercato high yield non sembra offrire più grandi guadagni, è bene mantenere le posizioni. Vorrei aggiungere anche che nel contesto attuale è preferibile un approccio difensivo. In termini di profilo rischio/rendimento, l’ago della bilancia pende ora verso un posizionamento meno aggressivo. Ciò significa ridurre il “beta” in attesa di tempi migliori. Ritornando all’analogia con il poker, investire adesso in high yield sarebbe come giocare una mano con una doppia coppia: vale la pena “vedere” perché si può guadagnare qualcosa, ma non è il momento di giocarsi la casa.

Merrill Lynch European High Yield Index Option Adjusted Spread (bps) – Source M&G Investments, Bloomberg

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La crisi sovrana in corso e gli sforzi fatti per ricapitalizzare le banche mi ricordano il 2009. All’epoca, per un breve periodo divenni ottimista sui titoli azionari bancari dopo un incontro con i funzionari della Bundesbank che mi convinsero che la Spagna disponeva di risorse sufficienti per garantire la propria solvibilità a lungo termine. Ma Stephen Holliday, il mio esperto del settore finanziario, e Steve Roth, che si occupa della nostra attività di credito, raffreddarono subito il mio ottimismo, sottolineando che il vero problema non era tanto il capitale delle banche, quanto piuttosto il finanziamento del restante 95% del loro stato patrimoniale; è quindi possibile che una banca sia sufficientemente capitalizzata, eppure diventi insolvente e possa affondare! Esaminando i diversi sforzi delle banche per ricapitalizzare, ho ancora difficoltà a capire in che modo questi interventi possano alleviare i timori di investitori e risparmiatori. Gli investitori internazionali torneranno a investire nei titoli sovrani europei dopo la ricapitalizzazione delle banche? Non ci scommetterei, come invece pare facciano i nostri politici. E se le prospettive di un aumento del debito sovrano e l’eventualità che le misure di austerity facciano salire i tassi di insolvenza del settore privato ci facessero ricadere nel circolo vizioso? Mi ricordo inoltre che dubitammo dell’efficacia di questi piani di aiuto nel controllare la direzione delle attività sottostanti. Presto dovremo riattivare il piano Smp (Securities Markets Programme), e io semplicemente non credo che questi strumenti possano prevenire il sell off del debito sovrano dell’Eurozona all’estero.

Come affrontare la crisi dei titoli sovrani

Come va dicendo sin dall’inizio della crisi Jamil Baz, il nostro chief investment strategist, i dati sul deficit in questo momento non sono utilizzabili, poiché si fondano su presupposti errati in merito al rapporto tra austerity e deficit. Certo, potremmo dire che Italia, Spagna e Portogallo non saranno insolventi nel medio termine se cambiamo gli obiettivi correnti. L’errore potrebbe essere il fatto che stiamo costringendo questi paesi a intraprendere misure di austerity troppo rigorose con eccessiva rapidità.

Come possiamo aspettarci di cancellare decenni di condotta sbagliata con un solo colpo di spugna?Dopo tutto, chi siamo noi per scagliare la prima pietra? Francia e Germania hanno violato da tempo il Trattato di Maastricht oltrepassando la soglia del 60% nel rapporto tra debito e prodotto interno lordo, seguite a ruota da altri paesi oggi in difficoltà. La situazione era accettata da tutti finché non è scoppiata la crisi in Grecia nel 2010. Credo inoltre che le proposte attuali della politica richiederanno tempi di attuazione troppo lunghi. Dal 2008 la credibilità delle autorità dell’Ue è stata messa talmente in dubbio che i mercati faranno come San Francesco e si rifiuteranno di concedere il beneficio del dubbio. Dobbiamo smetterla di sperare che i mercati accettino la promessa delle riforme senza prove concrete.

La Bce a garanzia del debito, in cambio di una commissione

Comunque la Bce potrebbe garantire il debito esistente e futuro dei paesi sovrani dell’Eurozona, senza rischio morale. Questa garanzia DEVE sottostare alla condizione che il paese in questione raggiunga gli obiettivi di debito e deficit di bilancio entro un periodo (diciamo) di cinque anni. In effetti, si potrebbe decidere un periodo diverso per ogni paese relativamente alla sua capacità di raggiungere l’obiettivo, una sorta di ristrutturazione del debito in base alla capacità realistica del debitore di rimborsarlo. Il pagamento dei danni di guerra e Weimar insegna: bisogna fissare obiettivi abbastanza rigidi da contenere il rischio morale ma sufficientemente realistici da poter essere raggiunti. Inoltre, la Bce potrebbe decidere di garantire le nuove obbligazioni a breve termine emesse dagli stati sovrani senza condizioni, mentre il debito esistente dovrà continuare a sottostare al rispetto dei criteri sul deficit. Agli stati sovrani potrebbe esser chiesto di pagare in cambio di questa garanzia, per esempio una commissione annua di 50 punti base. Ciò darebbe vita a un’operazione conforme al principio di libera concorrenza, e sarebbe molto più ragionevole rispetto agli importi che gli stati sovrani continuerebbero a pagare se si proseguisse su questa strada. Quest’idea si ispira alle banche italiane,

La Bce può traghettarci fuori dalla tempestaLa Bce potrebbe garantire il debito esistente e futuro dei paesi sovrani dell’Eurozona, senza rischio morale, a condizione che il paese in questione raggiunga gli obiettivi di debito e deficit di bilancio entro un periodo prestabilito. Agli stati sovrani potrebbe esser chiesto di pagare in cambio di questa garanzia, per esempio una commissione annua di 50 punti base

Pierre Lagrange, fondatore e senior portfolio manager di GLG (Man Group)

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che hanno pagato 80 punti base per ottenere la garanzia dello Stato all’inizio dell’anno. La mia proposta è pertanto un’applicazione diretta delle riflessioni di Martin Wolf sul FT, una combinazione di due idee: un’unione “assicurativa” che sostiene temporaneamente i paesi colpiti da un forte shock, e un’unione di “adeguamento” che garantisce il riallineamento simmetrico in caso di variazioni permanenti delle circostanze. Dovrebbe essere applicata ai paesi che hanno buone prospettive di tornare a essere solventi,

specificando le tempistiche. La situazione in Grecia probabilmente è già sfuggita di mano e difficilmente il paese potrebbe rientrare in questo processo, quindi propongo un altro spunto; anziché offrire un futile aiuto per mantenere la Grecia nell’Euro, dovremmo conservare questi fondi per aiutarla a restarne fuori, con una rotta che consenta eventualmente di farla rientrare nell’unione tra cinque anni. Un piano Marshall (Merkel) per la Grecia? Qualcosa su cui meditare.

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In finanza non esistono asset class buone o cattive, bensì buone o cattive valutazioni. Ad esempio il debito dei mercati emergenti, tuttora molto popolare fra gli investitori, si caratterizza per un rischio crescente in prospettiva che tuttavia non trova riscontro nelle valutazioni correnti

I miti dei mercati emergenti

Mike Riddell, team fixed income M&G

Il debito dei mercati emergenti assomiglia a un paio di scarpe Converse: sembra che tutte le persone con cui parlo ne possiedano. In molti avranno familiarità con la “grande narrazione” sui mercati emergenti (assunti quali: i mercati emergenti eccederanno sicuramente le performance dati i bassi livelli di debito, la forte crescita e gli alti valori demografici, eccetera). Ebbene, con questa nota vorrei mettere in discussione questa letteratura. Intendo esplorare quelli che realmente sono stati i driver fondamentali delle performance dei tre principali elementi del debito dei mercati emergenti (titoli di stato in valuta locale, titoli di stato esterni, emissione corporate esterna). Il discorso coinvolge anche i temi del rischio generato sul debito dei mercati emergenti dall’instabilità dell’Eurozona e il rischio connesso creato da un capovolgimento dei consistenti flussi di portafoglio di un’intera decade che hanno sostenuto questa asset class, ma il focus principale è il rischio aggiuntivo generato sul debito dei Paesi emergenti dall’inevitabile ribilanciamento economico della seconda maggiore economia mondiale, la Cina.

Le difficoltà dei Bric

Il debito dei mercati emergenti è ancora molto attraente nel mondo dell’investimento. Tuttavia, oggi viene definito curiosamente come un buon investimento “nel lungo periodo”, un sottile cambiamento indotto dalle scarse

performance di alcuni Paesi emergenti negli ultimi anni. Si fa riferimento in particolare alle economie dell’area Bric (a questo proposito, Albert Edwards di Société Générale ha descritto i Bric in modo divertente ma corretto “un concetto d’investimento assolutamente ridicolo”), dove nei mesi recenti il real brasiliano e il rublo russo hanno toccato il punto più basso degli ultimi tre anni nei confronti del dollaro, la rupia indiana ha segnato un livello record di svalutazione nei confronti del dollaro, e quest’anno lo yuan cinese ha visto la più forte caduta dalla grande svalutazione del 1994 sempre rispetto al dollaro americano. Non sto dicendo che il debito dei mercati emergenti non offrirà mai un buon valore: è importante sottolineare che non esiste una buona o una cattiva asset class, bensì una buona o una cattiva valutazione. Ritengo sia fondamentale capire le caratteristiche delle performance del debito dei Paesi emergenti. Il fatto è che il rischio che si prospetta sembra crescere e mentre alcuni tassi di cambio hanno iniziato a muoversi, questa asset class non sembra valutare correttamente il rischio. Le mode raramente sono durature: il debito dei Paesi emergenti è stato molto “trendy” anche in precedenza, tuttavia tendenze demografiche favorevoli e tassi di crescita precedentemente forti non hanno salvato i mercati emergenti nel 1981-83, 1997-98 e 2001-02. E ugualmente anche le Converse non sono sempre state così “cool”: l’azienda ha dovuto chiedere aiuti per evitare la bancarotta nel 2001 ed è stata in seguito acquisita dalla Nike.

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Ci sono acronimi che evocano curiosamente l’onomatopea dei fumetti, e invece denominano le serissime strategie di tasso di interesse poste in atto dalle banche centrali negli ultimi anni. Lo “Zirp” (Zero Interest Rate Policy), la politica del “tasso zero”, risale a due o tre anni fa, mentre il “Nirp” (Negative Interest Rate Policy) rappresenta invece la rara capacità che da qualche tempo caratterizza alcuni stati dell’Eurozona quando richiedono denaro ai propri creditori…Per la prima volta nella sua storia (fonte Bloomberg), lo scorso 9 luglio 2012 la Francia ha emesso debito a tassi di interesse negativi: -0,005% a 3 mesi e -0,006% a 6 mesi! Il nostro paese segue in questo movimento il grande vicino tedesco, che già da molti mesi si finanzia a tassi negativi, con addirittura alcuni investitori che presi dal panico accettano di farlo su una durata di due anni. Inevitabile non cogliere l’ironia della situazione: appena quattro mesi fa i mercati si preoccupavano della capacità della Francia a guida nuovamente socialista di finanziarsi a buone condizioni. Pochi di noi avrebbero scommesso all’epoca che il Paese si sarebbe ritrovato nella circostanza attuale!

Le difficoltà degli investitori

Al di là della situazione tecnica inedita sui mercati dei tassi a breve, questo stato di cose spinge a una riflessione di ordine più generale. L’economista americano John Kenneth Galbraith amava ripetere che “prima o poi gli imbecilli saranno separati dal loro denaro”. Con il “Nirp”, le somme in gioco rischiano di dargli ragione su ampia scala. In effetti, una situazione di “Nirp” pone qualsiasi investitore di buon senso di fronte a serie difficoltà quanto al collocamento dei risparmi: chi infatti accetterebbe in anticipo di perdere una parte dell’investimento? Il nuovo governo francese, poco avvezzo agli affari finanziari, approfitta stranamente di questo periodo per aumentare il plafond del Livret A - il collocamento senza rischi preferito dai francesi che, per una volta, fa guadagnare davvero molto di più di qualsiasi altro investimento - fustigando “la rendita” e i rentiers. Un modo sorprendente di incitare il risparmio ad assumere rischi.E allora, se ci si vuole preparare serenamente alla pensione, dove collocare il capitale?Uno sguardo obiettivo alla situazione economica invita a riflettere su alcune soluzioni vincenti e promettenti. Una prima soluzione è naturalmente quella di accettare di assumersi un minimo di rischio. Per questo incoraggiamo

sempre i nostri clienti a collocare i risparmi in società che riteniamo solventi nel lungo termine e che prestano a tassi allettanti per l’investitore. In questo periodo di estrema avversione al rischio, un’alternativa più paradossale consiste nell’investire nelle azioni dei grandissimi gruppi, leader mondiali del proprio settore. Percepiti molto positivamente dal mercato, riescono a finanziarsi a tassi estremamente bassi: 1,6% per Siemens a sette anni e solo 2,4% per Volkswagen a dieci anni! Questi grandi gruppi industriali si ritrovano nell’inedita e comoda situazione di poter finanziare progetti a forte crescita a tassi che non sono mai stati così favorevoli. Questo fenomeno nuovo e appassionante (chiamato “strategic carry trade”) rappresenta un vantaggio competitivo di tutto rispetto, un vantaggio decisivo che deve portarci ad affidare più capitali alle aziende che ne dispongono. Ora dimentichiamo gli acronimi e ricordiamoci semplicemente che in questo universo di bassi tassi, scomodo per il risparmiatore, si moltiplicano invece le opportunità per le aziende. Non ci resta pertanto che sfruttare bene queste possibilità: prestare alle aziende che fanno “ingiustamente” fatica a finanziarsi, e acquistare azioni da quelle agevolate a farlo.

Nell’attuale universo finanziario caratterizzato da bassi tassi d’interesse, decisamente scomodo per il risparmiatore, si moltiplicano invece le opportunità per le aziende. Non resta quindi che sfruttare bene queste possibilità, prestando alle aziende che fanno “ingiustamente” fatica a finanziarsi e acquistando azioni da quelle agevolate a farlo

Vince chi perde?

Didier Le Menestrel, presidente di Financière de l’Echiquaier

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RWA Optimisation: un approccio alternativoPer le banche retail esiste un approccio innovativo all’ottimizzazione del RWA. L’adozione di strategie creditizie capital-efficient può portare infatti alla riduzione di alcuni punti percentuali del capitale assorbito, a parità di redditività o addirittura aumentando la redditività del portafoglio

Carlo Gabardo, senior business consultant – global head of Basel Team Experian

Sono già stati pubblicati molti studi sull’impatto dei requisiti di Basilea 3 sul capitale e sulle metriche di redditività. Tutti concordano sull’entità elevata degli impatti, in particolare in Europa, ove il processo di adeguamento è stato accelerato dai requisiti temporanei di capitale richiesti dall’Eba. La reazione delle banche si è concretizzata soprattutto in interventi di tipo strategico-organizzativo e di capital management.

A queste iniziative si sommano quelle volte a modificare la composizione del portafoglio crediti e a estendere/affinare l’infrastruttura Basilea 2: la cosiddetta RWA Optimisation.Secondo noi di Experian per le banche retail esiste un approccio innovativo all’ottimizzazione del RWA, rappresentato dall’adozione di strategie creditizie capital-efficient. Queste ultime possono portare infatti alla riduzione di alcuni punti percentuali del capitale assorbito, a parità di redditività o addirittura aumentando la redditività del portafoglio.

Come mitigare gli impatti di Basilea 3: il quadro di riferimento…

Le iniziative per mitigare gli impatti di Basilea 3 hanno abbracciato almeno quattro aree di riferimento: • pianificazione strategica e organizzazione, per esempio con la revisione del modello di business, spostandolo verso comparti meno impattati (es. un Gruppo a prevalenza

retail, relativamente meno impattata, può cedere una attività di corporate banking per ridurre gli assorbimenti; oppure rimodulare la struttura organizzativa riducendo le partecipazioni in entità con attività che originano deduzioni patrimoniali);• bilancio, tesoreria e capital management, con interventi di Balance Sheet Optimisation, esprimibili con una gestione della provvista volta a privilegiare sia il funding a medio-lungo termine che la liquidità (es. incremento della quota rappresentata dai depositi), e con interventi di Capital Management in senso stretto;• gestione portafogli e politiche commerciali, con la modifica del mix dei portafogli e dei prodotti creditizi e con l’aggiustamento delle politiche di prezzo (anche per considerare il rischio);• risk management, con l’estensione del perimetro e l’affinamento delle metriche per una più accurata misurazione e gestione del rischio. Per le banche europee, si sono poi venute ad aggiungere le indicazioni dell’Eba, riassumibili soprattutto nella necessità di procedere ad aumenti di capitale da fonti private, limitare la distribuzione di dividendi e bonus, contenere i costi; cui si uniscono le raccomandazioni di non attuare condotte con impatto immediato sull’economia reale (deleveraging e vendita di asset) e il divieto di adottare i metodi avanzati se finalizzati unicamente a ridurre i requisiti patrimoniali.

… e la sua attuazione pratica

Sull’onda di queste spinte regolamentari e anche alla luce della fase di crisi economica del Vecchio Continente, è interessante osservare cosa è poi avvenuto nel breve periodo:• ricorso al mercato e a redditi generati internamente. Il ricorso a emissioni azionarie è stato limitato anche se in Italia ci sono importanti eccezioni. In compenso, si sono spesso ridotte le quote distribuite dei dividendi anche grazie alla loro trasformazione in azioni ordinarie (script dividend). Sono poi state attuate azioni significative di contenimento dei costi;• operazioni su strumenti ibridi: in varia misura si è provveduto alla conversione di strumenti di patrimonializzazione non più ammessi nel capitale CT1 e ad azioni di buyback;• cessione di asset: è avvenuta, ovviamente con prevalenza

Applicazione delle strategie capital-efficient ad un portafoglio di prestiti

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per le attività non-core e ad elevato assorbimento;• approcci IRB e RWA Optimisation: si è proceduto con l’ottimizzazione di sistemi e metriche di misurazione del rischio;

Il vantaggio di una strategia ottimizzata

Le azioni messe in atto dalle banche per fronteggiare gli impatti di Basilea III sono quindi in larga maggioranza interventi strategici di tipo “top-down” che non prendono in considerazione le decisioni creditizie prese a livello di singolo cliente e/o transazione. Queste ultime infatti sono normalmente prese sulla base di schemi e logiche che, pur finalizzate alla coerenza con gli obiettivi di rischio-rendimento, non sono ottimizzate ai fini della massimizzazione della redditività corretta per il rischio.

In questo contesto “tradizionale”, il processo di allocazione del capitale avviene quindi a livello di portafoglio, il prezzo e l’importo del fido sono elementi “esogeni” rispetto alle regole decisionali. In alternativa a questo approccio “tradizionale”, le banche retail potrebbero utilizzare strategie creditizie “capital- efficient”, ossia finalizzate a massimizzare la redditività corretta per il rischio a livello di singola decisione creditizia tenendo conto del contributo marginale che essa fornisce alla redditività e al rischio complessivo del portafoglio. In questo contesto

prezzo, importo e altre condizioni sono endogeni (e cioè rientrano nello schema decisionale così come l’accettazione ed il rifiuto). Experian ha sperimentato sul campo l’efficacia di questo approccio e la sua capacità di aumentare la redditività nel rispetto dei vincoli di capitale e degli altri vincoli ed obiettivi di business. Nel caso rappresentato nella figura seguente si può vedere il risultato dell’applicazione delle strategie capital-efficient a un portafoglio di prestiti. Nell’esempio riportato, è stato possibile incrementare sensibilmente la reddittività corretta per il rischio senza aumentare il capitale assorbito (anzi riducendolo di circa due punti percentuali). Nella figura seguente, è invece tracciata una “frontiera” dei livelli di EVA che si possono realizzare fissando la soglia di accettazione a livelli diversi di classi di score. In questo caso si può notare l’effetto sulla creazione di valore che si ottiene passando dalla strategia tradizionale a quella capital-efficient.Un approccio “bottom-up” basato sulla costruzione di strategie creditizie capital-efficient può dunque essere un valido complemento agli approcci di tipo strategico e top-down all’ottimizzazione del RWA. Esso consente di:• conseguire obiettivi di redditività rispettando il vincolo del capitale e gli altri vincoli operativi e di business;• assicurare la coerenza tra strategie creditizie e obiettivi strategici;• ottimizzare l’allocazione del capitale a livello di singola operazione;• valutare in modo più accurato rischio e creazione effettiva di valore tra i diversi portafogli;• evitare le “distorsioni” tipiche dell’approccio di portafoglio che porta a valutare nello stesso modo tutte le controparti/operazioni che vi ricadono.

Effetto sulla creazione di valore che si ottiene passando dalla strategia tradizionale a quella capital-efficient

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Il cambiamento climatico in politica monetariaLa persistenza della crisi in molti dei paesi maggiormente sviluppati, tuttora in una in una fase di stagnazione con forte disoccupazione, rende ipotizzabile un’eventualità fino a qualche tempo fa impensabile, e cioè che la politica monetaria dei G7 possa entrare nel mondo dei tassi ufficialmente negativi

Come investitori siamo abituati a vivere all’interno di confini ben definiti: ad esempio, è comunemente riconosciuto che i tassi d’interesse non possano scendere sotto lo zero. C’è stato lo storico e strano scherzo dei tassi negativi in Svizzera negli anni ’70, ma si è trattato di un episodio che ha creato più divertimento che un effetto reale sugli investimenti in generale. Tuttavia, sembra che ora ci sia la possibilità che si verifichi un importante cambiamento di clima. Già molti mercati obbligazionari vivono oggi nell’era glaciale dei tassi sotto zero, come Svizzera, Danimarca, Germania, Finlandia e Paesi Bassi. In questi casi, l’esistenza di tassi negativi

può essere attribuita all’intenzione di esprimere view valutarie o di ridenominazione, e può quindi essere vista come una conseguenza di fattori esterni e non di una politica monetaria nazionale. Tuttavia, ora è ipotizzabile che la politica monetaria dei G7 possa entrare - cosa in precedenza impensabile - nel mondo dei tassi ufficialmente negativi. Molte economie del gruppo G7 hanno adottato tassi molto bassi e misure di quantitative easing per molti anni, eppure sembrano ancora essere in una fase di stagnazione con una forte disoccupazione, bassa crescita e poco spazio per misure fiscali. Può essere arrivato il tempo di un cambiamento significativo nei manuali di investimento, nel momento in cui le banche centrali sperimentano tassi inferiori a zero.

Lo spazio per misure non convenzionali

In teoria, un tasso d’interesse negativo può sembrare una cosa semplice: depositando 100 sterline in banca, se il tasso è -1% l’anno successivo si avranno indietro 99 sterline. Un investitore razionale avrebbe naturalmente l’alternativa di tenere banalmente i propri soldi sotto il materasso e non subire un tasso negativo, anche se l’incentivo ad agire razionalmente sarebbe comunque frenato dagli oneri amministrativi e dal rischio di tenere contanti in casa. La banca centrale potrebbe limitare questa attività semplicemente non stampando moneta a sufficienza, per cui la maggior parte del denaro dovrebbe essere tenuto in formato elettronico e potrebbe dunque subire un forzato tasso negativo. L’implementazione di tassi inferiori allo zero è così possibile. Dal punto di vista di una banca centrale, questa può essere considerata una misura di stimolo, poiché scoraggerebbe il risparmio e favorirebbe il consumo tanto quanto un taglio tradizionale dei tassi d’interesse. Come misura estrema si potrebbero creare tassi di prestito eccezionalmente bassi, pari a zero o addirittura negativi. La sfida che le banche centrali e i governi si trovano ad affrontare sono ancora presenti nonostante misure tradizionali e non convenzionali. Forse sarà presto il momento di utilizzare lo strumento non convenzionale di tagliare i tassi d’interesse in modo non convenzionale, rendendoli negativi. Il prossimo passo che le istituzioni dovranno compiere può significare che le economie dovranno muoversi in un clima di interessi inferiori allo zero (politica monetaria BZIRC - Below Zero Interest Rate Climate).

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News

La prima applicazione per iPad dedicata al mondo del trading professionale. L’ha realizzata per Webank, la banca on line del Gruppo Bipiemme, Sol-Tec, system integrator del Gruppo Par-Tec che propone consulenza applicativa e realizzazione di soluzioni software personalizzate (può contare su un organico di 80 professionisti e nel 2011 ha sviluppato un fatturato di 6 milioni di euro). Con questa ulteriore evoluzione Webank e Sol-Tec consolidano la propria relazione di partnership, nata più di un decennio fa, agli albori del trading on line in Italia. Dopo aver sviluppato per Webank il client T3 in Java, Sol-Tec ha raccolto questa nuova sfida che si pone l’obiettivo di offrire ai clienti l’operatività della piattaforma web anche sul nuovo device di casa Apple, ma soprattutto punta a costruire un livello di customer experience elevata in linea con il posizionamento della banca.

Le caratteristiche dell’applicazione

L’App T3, che è già disponibile su iTunes all’indirizzo http://itunes.apple.com/it/app/t3-webank-per-ipad/id499579486?mt=8, si propone come intuitiva e funzionale. L’utente può navigare attraverso una toolbar e accedere ai vari sottomenù: dalla lista dei vari indici, ai singoli componenti azionarie, dalle obbligazioni alla gestione, sempre in tempo reale, del portafoglio. “L’App T3 per iPad, afferma Claudio Buffo, responsabile Operation di Sol-Tec, è stata pensata e ingegnerizzata nativamente

su iOS, proprio per sfruttare al massimo le caratteristiche del device della Apple e del suo sistema operativo. In particolare si è puntato molto sulle ‘gesture’ che rendono l’utilizzo dell’interfaccia ergonomico e fruibile specialmente nelle fasi più cruciali dell’operatività del trading. Il nostro piano di investimenti, aggiunge Buffo, prevede oltre alla versione nativa per iOS quella per Android e una versione Web-App adatta a qualsiasi tipologia di tablet”. Inoltre la T3 per iPad mette a disposizione sia la parte informativa che quella dispositiva. Per quanto riguarda l’informativa, è possibile consultare le quotazioni, leggere le notizie e organizzare watch list. Quanto alla parte dispositiva, l’operatività è analoga a quella su personal computer con ordini semplici e condizionati. Si possono negoziare tutti gli strumenti disponibili come azioni, futures e obbligazioni. “Il successo riscosso dall’applicazione e il gradimento espresso dagli utenti e da WeBank stessa, dichiara Aronne Vettor, co-founder ed EVP Sales&Marketing di Sol-Tec, ci riempiono di orgoglio e confermano la strategicità degli investimenti fatti sulla linea tablet, una tipologia di device, che a differenza degli smartphone, si adatta bene anche a un trading on line professionale. Avendo maturato un’esperienza ormai più che decennale nello sviluppo di soluzioni di trading e potendo contare su Lightstreamer, una delle migliori push-tecnology riconosciute a livello mondiale, siamo in grado di offrire al mercato del trading e più in generale della finanza on line la possibilità di sfruttare al massimo questo nuovo filone di tecnologie”.

La prima App per il trading professionaleSol-Tec ha realizzato per Webank, la banca on line del Gruppo Bipiemme, T3, la prima applicazione per iPad dedicata al trading professionale. L’App T3 per iPad è già disponibile su iTunes

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NewsNews

Il secondo Osservatorio Intesa Sanpaolo-Mediocredito Italiano sulle reti d’impresa evidenzia come dalla seconda metà del 2011 si sia assistito a una forte accelerazione dei contratti di rete. Sinergie, efficienza produttiva, promozione, distribuzione e innovazione sono i principali obiettivi delle reti, di cui sembrano avvantaggiarsi in particolar modo le imprese manifatturiere

Il boom delle reti d’impresa

La Lombardia è la regione italiana con più imprese in rete (507). Tre imprese su quattro dichiarano di poter raggiungere gli obiettivi di rete e gli effetti sulla redditività sono positivi in un caso su due, mentre la presenza nella rete di un’impresa capofila (un terzo dei casi circa) ne rafforza l’efficacia. In ogni caso, le imprese manifatturiere in rete risultano più competitive rispetto a quelle che non aderiscono a contratti di rete. Sono i principali risultati del secondo Osservatorio Intesa Sanpaolo-Mediocredito Italiano sulle reti d’impresa. Lo studio, realizzato dal Servizio Studi e Ricerca di Intesa con la collaborazione di Mediocredito Italiano e della Direzione Marketing Imprese del Gruppo Intesa Sanpaolo, analizza la realtà delle reti al 30 giugno 2012.

Bene le imprese manifatturiere

A partire dalla seconda metà del 2011, sottolinea lo studio di Intesa Sanpaolo, si è verificata una forte accelerazione dei contratti di rete. “In pochi mesi le reti registrate sono passate da 79 del giugno del 2011 a 441 a fine giugno 2012, per un totale di 2.323 aziende in rete. Nella metà circa dei casi si tratta di micro-imprese con fatturato inferiore a due milioni di euro. Il resto è composto da piccole imprese (il 30% circa con fatturato compreso tra 2 e 10 milioni di euro) e da imprese di medie dimensioni (il 15% del totale con fatturato tra 10 e 50 milioni di euro)”. Come detto, la Lombardia è la regione italiana con più imprese (507) coinvolte in contratti di rete, seguita dalla Toscana (405), e poi dall’Emilia Romagna e dal Veneto (circa 230). “Le imprese maggiormente rappresentate sono quelle dei servizi (44,5%) e dell’industria in senso stretto (35%), ma è significativa anche la presenza di aziende delle costruzioni (11,1%) e dell’agribusiness (9,3 per cento). La differenziazione produttiva all’interno delle reti d’impresa è elevata: una rete su quattro, per esempio, comprende un’impresa dell’industria e una dei servizi”. Nel complesso,

le imprese manifatturiere in rete mostrano un migliore posizionamento competitivo rispetto a quelle che non aderiscono a contratti di rete. “Sono infatti più presenti all’estero con attività di export (45% dei casi vs. 25,2% dei competitor non coinvolti) e attraverso partecipazioni estere (9,7% vs. 3,9%), brevettano di più (14,8% dei casi vs. 5,3%), sono maggiormente sensibili all’attività di certificazione della qualità (26,9% dei casi vs. 14,7%) e dell’ambiente (7,6% vs. 2,8 per cento)”.

Effetti su posizionamento e performance

L’Osservatorio presenta inoltre i risultati di un’indagine effettuata da Intesa Sanpaolo tra metà aprile e giugno 2012 presso aziende clienti, che ha approfondito in maniera specifica gli effetti dei contratti di rete sul posizionamento competitivo e le performance delle imprese. Sinergie, efficienza produttiva, promozione, distribuzione e innovazione sono i principali obiettivi delle reti, indicati dal 50% circa delle imprese intervistate. Seguono la creazione e l’utilizzo di un marchio comune (34,2%), la realizzazione di progetti legati alla sostenibilità ambientale (22,8%) intesi come investimenti in energie rinnovabili, produzione di beni per servizi ambientali e riduzione delle emissioni. Sono invece poche le aziende che partecipano a una rete per ampliare la base produttiva all’estero (3,2%) o in Italia (1,8 per cento). Per conseguire gli obiettivi indicati le imprese in rete stanno realizzando investimenti in innovazione (44,5% dei casi), promozione e marketing (39,9%), potenziamento della struttura commerciale (36,3%). Tre imprese su quattro dichiarano di poter raggiungere gli obiettivi indicati e pensano di poter migliorare le loro performance reddituali e di crescita grazie alla rete. Un quarto circa delle aziende intervistate sembra invece credere poco nell’iniziativa che ha intrapreso. Le attese di rafforzamento della redditività dipendono dagli obiettivi che si è data la rete: in tre casi su quattro vi sono maggiori aspettative nelle reti che puntano contemporaneamente su innovazione e su sviluppo commerciale. La presenza nella rete di un’impresa capofila (un terzo dei casi circa) rafforza e rende più efficace il contratto di rete, vista la maggiore probabilità di migliorare la redditività e di aumentare il fatturato. E’ infine maggiore la probabilità di migliorare le performance reddituali per le imprese più innovative (62% vs. 44,2%), più export oriented (55,7% vs. 43,5%) e certificate (52,8% vs. 45,9%).

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Il 60% delle imprese di famiglia ha registrato un aumento dei ricavi di almeno il 5% nel 2011. Lo afferma lo studio “‘Family Businesses: sustaining performance” pubblicato da Credit Suisse Research Institute ed Ernst & Young. In pratica la ricerca, che si basa su un sondaggio

condotto su imprese di 33 paesi appartenenti al Family Business Network International, conferma la solidità di questo modello imprenditoriale, basato su uno stile di gestione diverso rispetto alle società ad azionariato diffuso e incentrato sugli investimenti a lungo termine, nonostante il rallentamento economico e la crisi dell’Eurozona. “Questo è il momento ideale per interessarsi alle imprese di famiglia viste le performance che hanno messo a segno di recente, affermano Michael O’Sullivan, responsabile Portfolio Strategy & Thematic Research, Credit Suisse Private Banking, e Richard Kersley, responsabile Global Research Product, Credit Suisse Investment Banking. Questo modello imprenditoriale, caratterizzato da prospettive a lungo termine, coesione, attenzione alla sostenibilità e alla qualità del prodotto, si sta rivelando non solo la forza trainante dell’economia, ma anche l’antidoto contro alcune carenze strutturali messe in evidenza dalla crisi finanziaria. A ulteriore dimostrazione di questa tesi, il Credit Suisse Family Business Index negli ultimi cinque anni ha una sovraperformance dell’8% rispetto al mercato”.

I fattori si successo

Lo studio si concentra in particolare sui principali fattori di successo di un’impresa di famiglia. Il primo punto fa riferimento a performance e solidità. “Le imprese di famiglia si sono destreggiate abbastanza bene nell’attuale

contesto economico. Infatti nel 2011 quasi il 60% ha registrato una crescita dei ricavi di almeno il 5 per cento. Questo modello imprenditoriale ha consentito di superare il difficile momento congiunturale e allo stesso tempo si è sempre rivelato vincente sia per la famiglia sia per gli

investitori esterni. Il Cash Flow Return on Investment delle imprese di famiglia quotate è stato sistematicamente più elevato di quello evidenziato in generale dal settore, e ha determinato a sua volta la sovraperformance dei listini azionari”. Il sondaggio indica inoltre che la crisi del debito sovrano dell’Eurozona non rientra tra le principali preoccupazioni delle imprese di famiglia. “Solo il 15% di queste lo indicano come la preoccupazione principale. I mercati esterni non sono preclusi alle imprese di famiglia, e oltre la metà degli intervistati afferma che l’accesso al credito non è cambiato”. La solidità di questo tipo di imprese sembra essere legata alla loro ottica di lungo termine e all’approccio “la qualità in primis”, specie per quelle che operano da più generazioni. “Per almeno i tre quarti degli intervistati un orizzonte di lungo è chiave per il successo. La maggior parte delle imprese di famiglia ha un approccio di lungo termine per il ritorno degli investimenti e per la crescita preferisce un modello di finanziamento interno piuttosto che esterno. Il 40% accetta di aspettare anche un decennio per un ritorno degli investimenti. Il modello è quello di ‘capitale Paziente’ che comunque ripaga”. Un altro aspetto importante è quello della coesione famigliare. “Quando si parla di ricambio generazionale, le famiglie si uniscono. C’è un forte desiderio di tramandare l’attività e le imprese insistono sull’esigenza di programmare per tempo la successione pur consci delle difficoltà che molte imprese fanno fatica ad andare oltre

Uno studio a cura di Credit Suisse Research Institute ed Ernst & Young conferma la solidità delle imprese di famiglia come modello imprenditoriale nonostante il rallentamento economico e la crisi dell’Eurozona

Le imprese di famiglia restano solide

Performance in the last financial year in comparison to the previous year - Source: Credit Suisse. Note: figures exclude blank responses

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la prima generazione. Inoltre, per la maggior parte degli intervistati l’azienda rappresenta una parte consistente del patrimonio familiare. I problemi di governance e la necessità di attrarre e trattenere talenti sono rischi insiti in un modello aziendale fondato sulla capacità di

assicurare la successione e mantenere la proprietà”. Infine, la sostenibilità - finanziaria e sociale - è uno dei pilastri di un’impresa di famiglia. Stando al sondaggio, il 72% delle aziende arrivate alla seconda generazione, o anche

oltre, sostiene di perseguire una strategia ispirata a “criteri ambientali, sociali e gestionali”. “In effetti, se la gestione lascia talvolta a desiderare, il giudizio di sostenibilità assegnato alle imprese di famiglia quotate in borsa di solito è positivo. Naturalmente l’interesse per il passaggio

generazionale e l’accento posto su questo elemento dovrebbero essere integrati nel concetto di sostenibilità, ma è un aspetto che sta a cuore a qualsiasi investitore”.

Preferred financing options (by company size) - Source: Credit Suisse. Note: figures exclude blank responses

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“Alla fine, le massicce pressioni sui mercati dei capitali e i timori di un eventuale collasso porteranno a una transfer union”. E’ l’opinione di Robert Senz, chief investment officer per il reddito fisso della società di gestione austriaca Raiffeisen Capital Management. “Questo perché i costanti sforzi necessari alla stabilizzazione del sistema e al mantenimento dello status quo non sono sostenibili nel lungo termine.” Senz individua due scenari in grado di alleviare la pressione sull’Eurozona: una riduzione degli sforzi dei vari attori in campo, con il risultato del collasso del sistema mantenuto finora, oppure una mobilitazione di questi attori, con l’aiuto dei quali il sistema può essere rafforzato e completato. “A causa della complessità degli sforzi che devono essere compiuti, commenta Senz, la situazione attuale certamente porta con sé un’elevata probabilità di incidenti. Anche le più piccole deviazioni dai requisiti predefiniti possono mettere in pericolo l’intero sistema”. Come conseguenza, è necessario creare delle “condizioni quadro” che consentano di generare dall’interno i presupposti per gli sviluppi futuri. “Non c’è modo di evitare una riforma radicale della zona euro: i mercati dei capitali forzeranno la creazione di un’unione bancaria e fiscale, dopodiché tutto punterà verso una transfer union”. Anche se questo va contro gli interessi primari della Germania. Se si vuole risolvere l’intero problema, è altrettanto inevitabile una “mutualizzazione” del debito all’interno dell’Eurozona. “In un tale scenario, la Banca Centrale Europea giocherebbe un importante ruolo come ‘prestatore di ultima istanza’, analogamente a quanto avviene per la Fed negli Usa. L’importanza del singolo Stato all’interno della zona euro è destinata a declinare per essere sostituita da un ‘super Stato’, che avrà a disposizione alcuni diritti sovrani. Allo stesso tempo, però, una creazione politica di questo tipo necessita di una legittimazione democratica, e questo farà considerevolmente aumentare il rischio di incidenti. La sfida per i leader politici, aggiunge Senz, sarà quella di convincere gli elettori a supportare questo passo essenziale”.

Lo crisi del debito sovrano

Dato che i leader politici europei potrebbero non riuscire a convincere i propri elettori, le prospettive per un mercato europeo dei titoli di stato sono limitate. “La difficile situazione del sistema bancario spagnolo e delle provincie iberiche sull’orlo della bancarotta, continua Senz, stanno pesando sul mercato, così come le interminabili discussioni sulla Grecia. Ciò a sua volta sta peggiorando la situazione di Italia e Spagna nei mercati obbligazionari”. L’affermazione di Mario Draghi, governatore della Bce, secondo cui la Banca Centrale Europea farà tutto il necessario per supportare l’Euro ha calmierato i mercati temporaneamente, sebbene il confronto con le altre banche

centrali e ulteriori discussioni appaiano inevitabili. “Il mercato si attende per settembre che la Spagna chieda formalmente assistenza all’Ue. Una questione chiave sarà quella di vedere poi come le agenzie di rating valuteranno questa mossa. Un downgrade della Spagna a livello di sub-investment grade rappresenterebbe certamente un’ulteriore fonte di problemi per il mercato dei titoli di stato”. Ciononostante, Raiffeisen Capital Management considera i titoli di stato di breve durata (ad esempio a tre anni) di alcuni paesi periferici come un buon investimento, con rendimenti del 3,65% per l’Italia e del 4,40% per la Spagna, a patto che l’investitore disponga di una buona propensione al rischio. D’altro canto, Raiffeisen Capital Management considera i titoli di stato tedeschi come poco attraenti, così come i titoli del debito Usa.

Obbligazioni: come proteggersi dall’inflazione

I rendimenti delle obbligazioni societarie investment grade si trovano anch’essi su livelli bassi. “Tuttavia, aggiunge Senz, i rendimenti su questi strumenti appaiono tuttora attraenti se confrontati con quelli dei titoli di stato tedeschi, se prendiamo in considerazione il profilo di rischio/rendimento”. Le obbligazioni societarie permettono una maggiore diversificazione rispetto ai titoli di stato della zona euro, e gli attuali “yield premium” offrono una buona protezione contro il rischio. Ciò nonostante, le obbligazioni societarie non rappresentano un porto sicuro in tutti gli scenari economici concepibili, e un’attenta selezione dei titoli individuali diventa sempre più importante. Per investitori avversi al rischio che temono un aumento dell’inflazione in un tale contesto economico e si pongono l’obiettivo di preservare il valore reale del proprio capitale, i titoli obbligazionari inflation-linked rappresentano un’ottima opportunità d’investimento. “Per queste obbligazioni, spiega Senz, le cedole e il rimborso non sono fissati in termini nominali al momento della creazione, ma fluttuano con il variare del tasso d’inflazione e quindi forniscono una protezione contro la perdita di capitale nel caso d’inflazione in aumento”.

La lunga marcia verso la “transfer union”I mercati dei capitali, sostiene Robert Senz di Raiffeisen Capital Management, stanno premendo sulla zona Euro per forzare il passaggio a una “transfer union”, ma non bisogna dimenticare che una creazione politica di questo tipo necessita di una legittimazione democratica tutt’altro che scontata

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Incrementare l’allocazione in bond investment grade dei mercati emergenti a scapito delle alternative offerte da quelli dei mercati sviluppati. E’ quanto suggerisce una ricerca condotta da Ubp Asset Management, società di gestione della banca svizzera Union Bancaire Privée (76 miliardi di CHF di asset gestiti). Il principale motivo per cui gli investitori dovrebbero prendere in considerazione l’ipotesi dello switching di parte del proprio portafoglio che oggi è allocato sui mercati sviluppati, sostengono gli esperti di Ubp, è che in questo modo possono migliorare il proprio profilo di rischio-rendimento. La ricerca, basata sul confronto approfondito tra i corporate bond dei mercati emergenti e altre classi di investimento, mette in luce in particolare i benefici offerti dalle obbligazioni societarie dei paesi emergenti come strumenti di diversificazione. L’analisi dei coefficienti di correlazione relativi negli ultimi dieci anni mostra infatti bassi livelli di correlazione dei rendimenti rispetto a quelli di altre asset class.

Differenziale di rendimento e rating di credito

Dalla ricerca emerge inoltre che il credito investment grade dei mercati emergenti offre un significativo yield pick up (differenziale di rendimento, ndr) rispetto al credito investment grade dei mercati sviluppati. “Questo dato, spiega il report di Ubp, può essere il risultato della combinazione tra rischio sovrano percepito e un più basso livello di liquidità associata alle obbligazioni dei paesi emergenti”. Peraltro la percezione di un maggiore rischio legato al credito dei mercati emergenti rispetto a quello dei mercati sviluppati è di fatto infondata. “L’analisi dei tassi di default del credito investment grade a partire dal 2005 mostra che i tassi di default per i mercati emergenti sono stati bassi e a livello di quelli di Stati Uniti

ed Europa”. Infine, lo studio sottolinea come i rating del credito relativi ai corporate bond dei mercati emergenti si dimostrino non soltanto stabili quanto i corrispettivi nei paesi sviluppati, ma, di fatto, si caratterizzino per una maggiore tendenza a migliorare il proprio rating di credito rispetto ai corporate bond dei mercati sviluppati. “Una delle conseguenze più significative della crisi finanziaria globale, commenta Zsolt Papp, Emerging Markets Fixed Income Product specialist di Ubp, è che gli investitori sono stati obbligati a riconsiderare la propria visione delle singole asset class. I tradizionali ‘porti sicuri’ sono ora in discussione come mai prima d’ora, in particolare alla luce delle sfide che affrontano i mercati del debito sovrano, e ciò si è tradotto nella ricerca di nuove fonti di stabili rendimenti da parte degli investitori. Come si evince dal nostro studio, aggiunge Papp, questo contesto crea un ruolo significativo per i corporate bond investment grade dei mercati emergenti all’interno della allocazione patrimoniale; essi non solo rappresentano una fonte di reddito affidabile, ma l’ampio spettro di regioni e settori coperti dalle classi di investimento segnala i bond dei paesi emergenti anche come un efficace strumento di diversificazione, capace di offrire un significativo contributo al miglioramento del profilo di rischio-rendimento di un portafoglio”.

I benefici dello switchingUna ricerca a cura di Ubp Asset Management evidenzia l’opportunità di aumentare l’allocazione in bond investment grade dei mercati emergenti

Investment-grade emerging market credit: diversified across sector, rating, maturity and region - Source: Bank of America Merrill Lynch, UBP, 25 June 2012

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C-Global, la società del Gruppo Cedacri specializzata nei servizi Business Process Outsourcing, ha ottenuto la certificazione di qualità Uni En ISO 9001:2008 per la progettazione e l’erogazione di processi di business: back office avanzati e specialistici, contact center, monetica e document management. La certificazione è stata assegnata a C-Global da Dnv Business Assurance, uno dei principali enti di certificazione a livello mondiale. ISO 9001, lo standard più conosciuto e utilizzato nel mondo per i sistemi di gestione della qualità, definisce i parametri per la verifica della qualità dei processi e impone periodici controlli volti ad appurare che le aziende mettano in atto il continuo miglioramento e il perfezionamento dei loro processi. Obiettivo ultimo: garantire una sempre maggiore soddisfazione del cliente. “Ottenere la certificazione di qualità per il nostro lavoro di progettazione ed erogazione dei processi di business, commenta Giorgio Guerreschi, direttore generale di C-Global,rappresenta per noi motivo di grande orgoglio e ci stimola a continuare con lo stesso impegno ad affiancare e supportare i nostri clienti, alimentando un circuito virtuoso di qualità a vantaggio anche degli utenti finali”.

Approccio strutturato e consulenziale

Con un approccio strutturato e consulenziale, C-Global lavora in stretto coordinamento con la struttura

organizzativa interna dei clienti per consentire loro di esternalizzare la gestione di processi non chiave per il business in una logica di flessibilità ed efficienza. Con i

suoi 250 dipendenti attivi presso le sedi di Collecchio (PR) e Castellazzo Bormida (AL), C-Global correda le proprie soluzioni di Bpo con strumenti evoluti che consentono di mantenere il governo e il controllo dei processi e dei livelli di servizio. “In questo modo i clienti possono mantenere visibilità sui processi e l’alta qualità dei servizi offerti alla clientela, ottimizzando però l’organizzazione del lavoro e delle risorse e riducendo i costi operativi”. Il portafoglio di servizi che C-Global offre a banche e aziende è particolarmente articolato: spazia infatti dalla gestione dei back office amministrativi e bancari a quella di Atm e Pos, dalla gestione documentale ai servizi di call center informativo e dispositivo per la clientela, fino all’help desk alle filiali e alle reti di vendita. Guardando in particolare alla gestione documentale, C-Global propone servizi di dematerializzazione, che consentono di eliminare la carta dai processi di business aumentandone l’efficienza, servizi di archiviazione fisica, che permettono di conservare i documenti cartacei secondo i più elevati standard architettonici e di catalogazione, servizi di web document & workflow management, per la gestione degli archivi documentali digitali, servizi di conservazione sostitutiva, per l’archiviazione dei documenti su supporto digitale con garanzia di validità legale e opponibilità a terzi nel tempo, e servizi di certification authority, posta elettronica certificata (Pec) e firma digitale.

C-Global del Gruppo Cedacri è ISO 9001La certificazione è stata assegnata a C-Global da Dnv Business Assurance per la progettazione e l’erogazione di processi di business: back office avanzati e specialistici, contact center, monetica e document management

Giorgio Guerreschi Direttore Generale di C-Global

Ottenere la certificazione di qualità per il nostro lavoro di progettazione ed erogazione dei processi di business rappresenta per noi motivo di grande orgoglio e ci stimola a continuare con lo stesso impegno ad affiancare e supportare i nostri clienti

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Speciale Corporate Banking Nelle prossime pagine le testimonianze di:

• Stefano Caselli, professore ordinario presso il Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi

• Giovanni Grazioli, presidente di Confidi Lombardia

• Ambra Redaelli, presidente del Comitato regionale Piccola Industria di Confindustria Lombardia e vicepresidente di Confindustria Lombardia con delega al credito

• Bruno Bossina, responsabile Marketing Small Business di Intesa Sanpaolo

• Giovanni Boccuzzi, vicedirettore generale di Iccrea BancaImpresa

• Carlo Piana, direttore centrale Imprese Corporate di Cariparma Crédit Agricole

• Gianni Guido Triolo, responsabile del settore credito Confesercenti

Speciale

Per capire il ruolo del corporate banking in questo momento storico, nel nostro Paese, occorre fare un passo indietro, e osservare in quali contesti hanno operato le strutture bancarie nei decenni passati. Stefano Caselli, professore ordinario presso il Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi, ci racconta una sorta di fiaba, nella quale però non ci sono né buoni né cattivi, e il cui happy end non è, per il momento, scontato. La sua narrazione parte dal passato, unico modo per capire il presente: “Se guardiamo al contesto generale, possiamo vedere che il corporate banking, nel nostro Paese, e solo nel nostro, si è sempre basato sull’uso di un solo prodotto, quello creditizio. In altri Paesi, invece, al credito si sono per esempio affiancati i servizi di finanza. Questo è accaduto nel contesto italiano perché le aziende sono state e sono per la maggioranza di piccola dimensione, e non avevano bisogni particolarmente complessi. Alle banche è spettato il compito di elargire, anche in modo generoso, il credito, e niente altro”. Questo l’antefatto. Che genera una conseguenza: il corporate banking concentrato sugli strumenti creditizi non ha permesso alle banche di sviluppare competenze su altri prodotti, per esempio i servizi per l’internazionalizzazione delle aziende, la crescita del capitale di rischio, il corporate finance. “Il patto tra azienda e banca è sempre stato chiaro, spiega Caselli: l’azienda - piccola, legata da vincoli familistici - aveva bisogno di denaro per crescere. La banca erogava. Il problema è che il meccanismo oggi si è rotto, da tutte e due le parti. Se guardiamo alla banca, oggi gli

istituti non possono più erogare finanziamenti in modo illimitato; per funzionare hanno un costo molto elevato, inoltre i requisiti di capitale sono stringenti. Nasce da qui un problema di selezione del credito da erogare”. Lato imprese, invece, la crisi richiede che esse si attivino per completare acquisizioni, per crescere, per andare all’estero. Se questi sono i presupposti, si prefigurano, per il corporate banking, scenari differenti (che comportano l’impegno in settori che sono sempre stati – come abbiamo visto – poco considerati): attivare servizi a supporto dell’internazionalizzazione (al momento in carico solo a UniCredit); sostenere la capitalizzazione delle imprese; attivare servizi specifici di advisory.

Il ruolo della rete e della filiale

“Per giocare questa partita - precisa Caselli - le banche devono fare rete in modo robusto, collaborando per esempio con realtà come Sace e Simest, ma anche con i Confidi, che consentono alle piccole aziende di accedere al mercato creditizio. Attualmente solo le realtà bancarie molto grandi si stanno strutturando in questo senso; molte possiedono già al loro interno competenze di finanza straordinaria, il problema è ‘schiacciare’ queste competenze anche sulle Pmi”. Per essere più vicine ai bisogni delle imprese, le banche dovranno ripensare anche a un’altra componente fondamentale della loro struttura, la filiale, che deve ritornare a essere centro di presidio del territorio, lo strumento per conoscere

Le banche hanno risposto alle esigenze delle aziende - negli anni - erogando credito. Ora però lo scenario è cambiato, e bisogna ridisegnare il ruolo del corporate banking, mentre le imprese hanno bisogno di nuovi strumenti per essere supportate. Nell’attesa dei segnali europei

Il giocattolo si è rotto, ora che si fa?

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Corporate Banking

il mercato. “Le banche stanno proprio in questo periodo ritornando indietro rispetto ai progetti degli anni passati, per recuperare il legame che avevano deciso di abbandonare”. Quando da più parti si sente dire che le banche non sono impegnate nel salvataggio delle imprese, occorre andare cauti. “Il mood sociale vuole che oggi le banche siano sotto accusa. La verità è un’altra. Le banche hanno certamente delle colpe, ma va anche detto che le operazioni di salvataggio sono tante. Il problema è che ci sono troppe aziende che devono essere salvate”.

Gli scenari futuri? Guardare all’Europa

Per cercare di capire quello che succederà al corporate banking e alle imprese italiane non serve guardare nella struttura bancaria. Bisogna elevare lo sguardo all’Europa. “Se i primi ministri dell’Unione Europea imposteranno una vera unione economica, che poi diventi anche politica, in modo da riuscire a far diminuire l’attacco ai titoli di Stato, si potrà assistere a uno scenario abbastanza positivo. In caso contrario, le banche non riusciranno a sostenere i costi così elevati del denaro”. Fatta questa premessa, ed entrando nello specifico del ruolo del corporate banking, Caselli prefigura tre direzioni: il ritorno, come detto, al territorio e al ruolo della filiale; uno sviluppo forte dei servizi a supporto dell’internazionalizzazione (altrimenti il sistema industriale è destinato a spegnersi); la creazione di servizi a supporto della capitalizzazione delle imprese. “Un’ulteriore alternativa, che potrebbe rappresentare la nostra salvezza, potrebbe vedere le banche oggetto di shopping da parte di realtà straniere”. Ma questa è un’altra storia ancora.

Stefano Caselli, professore ordinario presso il Dipartimento di Finanza dell’Università Bocconi

In trincea per uscire dalla crisiVincoli patrimoniali da seguire, aziende da sostenere, banche con cui collaborare. Il delicato ruolo di Confidi Lombardia in un mercato che soffre per l’incertezza europea

Nove Confidi lombardi (più Fidindustria Biella) rappresentano oggi l’ossatura di Confidi Lombardia, ente che comprende 15mila soci. Intermediario finanziario vigilato da Banca d’Italia ex art.107 del Testo Unico bancario, Confidi Lombardia è oggi in trincea. Il delicato momento economico rende particolarmente critica la sua attività (il rilascio di garanzie a fronte di affidamenti e finanziamenti concessi dagli istituti di credito alle aziende socie), ma altrettanto essenziale per il funzionamento dell’economia. “Attualmente, spiega il presidente Giovanni Grazioli, ravvisiamo un sensibile decremento del credito a disposizione delle imprese, per il semplice fatto che mancano risorse. Da una parte la situazione economica continua a essere difficile, con il perdurare della crisi. Dall’altra sono in aumento le sofferenze del sistema bancario, e questo conduce a una conseguente maggiore attenzione all’erogazione del credito”. Per le imprese, secondo Grazioli, ci si trova di fronte a un cambiamento epocale. Se, infatti, nei primi anni 2000, l’accesso al credito avveniva in maniera quasi automatica, ora la paura porta a bloccare iniziative che sarebbero legittime, e necessarie, per lo sviluppo delle imprese. Confidi Lombardia osserva la situazione che si è venuta a creare da due punti di vista. “Notiamo

innanzitutto una diminuzione delle richieste di garanzie, sia da parte delle banche che delle aziende. I numeri lo dimostrano. Nel 2009 Confidi Lombardia ha concesso garanzie per 200 milioni di euro, nel 2010 per 170 e nel 2011 per 120 milioni. Le previsioni, per il 2012, ci indicano una conferma dell’importo per 120 milioni di euro - che significa 350 milioni di affidamenti - ma già siamo in ritardo nel raggiungerlo appieno”.

Le aziende devono essere propositive

C’è poi un secondo aspetto, che riguarda l’aumento delle insolvenze, che sta caratterizzando l’operatività di Confidi Lombardia. “La rischiosità del momento genera ai Confidi un problema di carenza patrimoniale. È necessario che il sistema comprenda che i Confidi sono un ‘ammortizzatore finanziario’ per le imprese e le banche, per cui è necessario un sostegno pubblico per poter continuare nella sua mission”. La difficoltà del momento colpisce diversi settori merceologici: quello immobiliare e dell’edilizia è tra i più penalizzati e quindi quello in maggiore sofferenza. Al di là del settore di appartenenza, ciò che è importante è la capacità progettuale e di iniziative realizzabili che l’azienda sa presentare nel momento in cui si reca in banca

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Speciale

a chiedere un supporto. “Ad avere maggior possibilità di accesso al credito, spiega Grazioli, oggi sono le aziende che ragionano in termini di internazionalizzazione, esportazione, innovazione, perché forniscono agli istituti una tranquillità di massima. Da parte loro, le banche sono in questo momento molto attente. Questa attenzione

deriva dal fatto che il livello di rischio è forte anche per loro”. Cosa succederà, secondo Grazioli, da qui ai prossimi mesi? Al momento la domanda interna è ferma, mentre regge quella estera, soprattutto in alcune aree del mondo. “L’anello-fulcro di tutto è, però, l’Europa, il vero mercato per molte aziende. Certo che se i segnali che provengono dall’Europa sono contrastanti, le prospettive non sono rosee. Per quanto riguarda l’accesso al credito, qualche segnale di disponibilità si sta avendo, in questo secondo quadrimestre del 2012. Ma a muoversi deve essere l’intero sistema. Occorrono fiducia, progettualità, capacità di investimento. A causa dell’incertezza, molti imprenditori non investono con necessario coraggio. D’altra parte, per avere coraggio ci vuole un segnale a livello politico, e il sostegno del mondo bancario. In sostanza, credo che da questa crisi non si esca con l’impegno di un solo attore, perché tutti quelli in gioco sono tra loro sistemici”.

Il ruolo di Confidi Lombardia

Confidi Lombardia, così come tutti gli altri confidi del territorio italiano, è in prima linea e fa la sua parte. “La volontà c’è, il vincolo è la carenza patrimoniale creatasi con la crisi. Di certo non possiamo permetterci di aumentare le commissioni e i costi per le aziende. Per questo è necessario un impegno anche politico, coordinato e condiviso con tutti gli attori del sistema, per supportare il lavoro dei Confidi a favore delle imprese. Un esempio e una provocazione: se si danno 20 milioni di euro ‘a pioggia’, non si fa né il bene delle aziende - aiutate con 1000 euro ciascuna - né del sistema. Dato in mano ai Confidi, questo capitale consentirebbe di garantire circa 670 milioni di nuovi finanziamenti alle imprese. Il modo per risolvere i problemi c’è, occorre però la volontà di tutti”.

Giovanni Grazioli, presidente di Confidi Lombardia

“Le banche devono dar conto dei limiti dell’accesso al credito che impongono. Non si può dire che questo sia del tutto crollato, ma certo c’è un problema sia di liquidità che di selezione”. Ambra Redaelli, presidente del Comitato regionale Piccola Industria di Confindustria Lombardia e vicepresidente di Confindustria Lombardia con delega al credito, sa che bene che i tempi non sono semplici, e che il dialogo e il confronto sono alla base della ripresa. Ma occorre che ciascuno faccia la sua parte per uscire dalla crisi. “Le banche, nel nostro Paese così come in Europa, non sono state ‘salvate’ dall’intervento pubblico, e questo è un bene, ma non si può negare che le nostre imprese soffrano per il credit crunch, che ha raggiunto la sua punta massima a dicembre dello scorso anno, e per l’aumento dei costi. Le banche fanno pagare il costo in più dello spread in modo perentorio, e in certi casi poco

trasparente. E questo non è un bene. Perché non è possibile ragionare, per esempio, in ottica di negoziazione, invece che decidere di lasciare le imprese al loro destino?”

La liquidità che non arriva alle imprese

Redaelli rileva che negli ultimi tempi è aumentata la selezione delle pratiche da parte delle banche: i criteri sono più rigidi. “Eppure, sono state compiute due operazioni importanti di iniezioni di liquidità alle banche da parte della Bce, una a dicembre 2011 e una a febbraio 2012. Della prima tranche, purtroppo, le imprese non hanno avuto segno. Consideriamo che la liquidità introdotta fosse per la tenuta del sistema, come il governo ha sostenuto. La seconda iniezione sta lasciando una traccia più evidente, per esempio nella moratoria di fine febbraio, che

Dialogo aperto tra le imprese e le banche. Gli obiettivi sono gli stessi, ma a volte le strade si allontanano, e i problemi restano irrisolti, a partire dalla crisi di liquidità per arrivare al deterioramento del credito

Ci parliamo ma non ci capiamo?

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Corporate Banking

assicura alle imprese un costo del denaro ragionevole”. Un altro modo per far sì che il denaro della Banca Centrale Europea riesca ad arrivare alle imprese è quello di firmare plafond a tassi calmierati con le banche. “Il problema, spiega Redaelli, è che l’ottenimento dei plafond arriva solo a 36 mesi. Questo blocca l’economia, perché non consente

alle imprese di finanziare gli investimenti di lungo termine, assolutamente necessari per la ripresa”. I problemi non provengono tutti dalle banche; anche le imprese, specie quelle piccole, hanno le loro questioni da risolvere. A partire, per esempio dalla patrimonializzazione, per finire con la necessità di disintermediare lo stretto rapporto che vige nel nostro Paese tra banca e impresa. “Allo scopo sono stati progettati nuovi strumenti. Si pensi al Fondo Italiano Investimenti, ai ‘mini bond’, ai supporti regionali, ai prestiti obbligazionari nei quali la banca funge solo da intermediario, alle iniziative che vedono coinvolti i Confidi”.

La tecnologia aiuta, ma…

Al di là della crisi, negli ultimi anni il rapporto impresa-banca si è modificato, grazie all’informatizzazione. “Tutto ciò che conduce alla modernità deve essere guardato con favore, ma a cambiare nel segno del miglioramento deve anche essere la gestione di questo rapporto. Ciò che un tempo veniva eseguito dalla banca, oggi è a carico delle imprese. Se questo genera evidenti risparmi di costi e di tempo per la banca, perché non far ricadere questi benefici anche sulle imprese? E perché non pensare anche a introdurre nuovi servizi per l’azienda, utili alla vita quotidiana del business?”

Che poteri ha il corporate banker?

Fondamentale è anche il ruolo del corporate banker. “Oggi a noi imprese preme soprattutto capire cosa si attendono le direzioni da queste figure professionali. Quale libertà hanno? Quali deleghe? Il loro portafoglio consente di seguire adeguatamente tutti i clienti? Se il corporate banker è il referente delle operazioni, ma non ha la responsabilità, quale autorevolezza può possedere? Non parliamo poi del fastidioso turnover, che si è accentuato ancor di più in questo momento di crisi. Capisco che il periodo sia complesso, e questo lavoro stressante, ma le imprese che devono imparare a conoscere un nuovo

corporate banker ogni 3-6 mesi, come possono credere di preservare le competenze che le riguardano?”

Il deterioramento del credito

C’è infine un ulteriore problema che sta emergendo, e che al momento viene sottovalutato perché non coinvolge grandi imprese, ma una pletora di piccole realtà: il deterioramento del credito. “Poste di fronte a questo elemento di pericolosità, sottolinea Redaelli, perché le banche non si attivano per fare in modo di tenere vive le pratiche ‘border line’ prima che queste degenerino? Perché non pensare a piani di sviluppo e salvataggio che abbiano una vista complessiva delle realtà territoriali?” Confindustria Lombardia si impegna a supportare le associate su più fronti, supportando il lavoro dei Confidi e sostenendo un cambiamento culturale aziendale che preveda per esempio, anche per le piccole imprese, la certificazione di bilancio. “Se la crisi coinvolge tutti, Confindustria Lombardia intende mantenere un dialogo aperto con ogni attore coinvolto nel mercato”.

Ambra Redaelli, presidente del Comitato regionale Piccola Industria di Confindustria Lombardia e vicepresidente di Confindustria Lombardia con delega al credito

Tutto ciò che conduce alla modernità deve essere guardato con favore, ma a cambiare nel segno del miglioramento deve anche essere la gestione di questo rapporto. Ciò che un tempo veniva eseguito dalla banca, oggi è a carico delle imprese. Se questo genera evidenti risparmi di costi e di tempo per la banca, perché non far ricadere questi benefici anche sulle imprese?

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Intesa Sanpaolo e Rete Imprese Italia hanno siglato il rinnovo dell’accordo che garantisce continuità alla collaborazione avviata nel 2011 e conferma il pieno sostegno alle piccole e medie imprese associate. Il plafond di finanziamenti messi in campo da Intesa Sanpaolo è di 5 miliardi di euro. L’accordo punta a rispondere anche alla preoccupazione delle imprese relativamente all’accesso al credito e al livello dei tassi di interesse. Si parte da questo punto per entrare nell’articolato mondo “small business” di Intesa Sanpaolo. “La crisi, spiega Bruno Bossina, responsabile Marketing Small Business di Intesa Sanpaolo, ha esasperato una serie di problemi strutturali del mondo imprenditoriale e evidenziato come, per supportare le piccole imprese, sia necessario ‘fare rete’ con le associazioni di categoria, i commercialisti, i consulenti del lavoro: le banche non possono fare tutto da sole, perché non hanno tutte le informazioni per valutare correttamente le imprese”. In questo contesto, Intesa Sanpaolo ha organizzato un ciclo di incontri sui territori, partito il 22 giugno da Napoli. Alle conferenze intervengono, oltre alla banca, i massimi esponenti degli ordini provinciali dei commercialisti, consulenti del lavoro, giornalisti economici, esperti analisti delle categorie di business tipiche della realtà locale. “Questo è il segnale di un sistema che si muove. Anche il titolo degli incontri, Credito Oggi, è quanto mai appropriato. I bilanci delle banche sono fatti di credito. I volumi stanno salendo (anche se in modo quasi impercettibile), il problema semmai è la ricomposizione dei flussi: quelli relativi al ‘credito buono’, per gli investimenti, che danno sviluppo all’azienda, stanno scendendo; ci stiamo invece riposizionando sempre più sul credito circolante, sui pagamenti, sul fatto che i nostri clienti non incassano. Il vero problema, oggi, è che tra le piccole imprese è ancora diffusa la mancanza di fiducia. Le Pmi hanno difficoltà a capire dove stanno andando. La nostra sfida è far comprendere loro che siamo al loro fianco, ripartendo da un rapporto diverso rispetto alle grandi imprese: più personale, diretto, con l’imprenditore, che dedica anche dieci ore al giorno alla sua azienda. La proattività sarà la nostra parola chiave, anche nei prossimi mesi”.

Il tema del rating: modelli efficaci per valorizzare l’azienda

Intesa Sanpaolo dispone oggi di una serie di modelli interni di rating, alcuni dei quali già validati dalla Banca

d’Italia o per i quali è prossima la richiesta di validazione, che nella valutazione del cliente cercano di coniugare la vista congiunturale con quella strutturale, in modo da “sterilizzare” in qualche modo l’effetto della crisi. “Nel percorso di valutazione, spiega Bossina, la banca utilizza un mix di fonti informative di diversa natura, che si aggiungono alle informazioni ottenute attraverso i contatti con la controparte. La valutazione dell’azienda non può fondarsi solo su mere valutazioni contabili, ma deve essere in grado di valorizzare le singole peculiarità e le potenzialità che non sono incasellabili nei modelli bancari. Il modello di rating, coerentemente alle logiche normative e alle prassi di mercato, è composto da due moduli principali, quantitativo e qualitativo”. Importante l’innovazione introdotta da Intesa Sanpaolo nei modelli dedicati al segmento Small Business: si tratta di un sub-modulo patrimoniale che ha aumentato le performance dei modelli e ha permesso una valorizzazione (nella valutazione del merito di credito delle ditte individuali e società di persone) anche della solidità dei soggetti economici strettamente correlati all’azienda. Il patrimonio personale, costruito dall’imprenditore nel corso degli anni per sé e per la propria famiglia, entra quindi nel calcolo del rating senza essere messo a garanzia. “Anche la componente andamentale è stata fortemente aumentata. Il modello di rating valuta i comportamenti del cliente con la banca e-o con il sistema creditizio in generale. In sostanza, teniamo conto della storia familiare dell’imprenditore e misuriamo l’andamento dei movimenti sul suo conto corrente. Questo tipo di analisi permette di apprezzare le aziende con comportamenti virtuosi. Risulta molto efficace in presenza di nuovi clienti, per i quali la banca non dispone di una sufficiente profondità storica di informazioni riservate, e laddove l’analisi economico finanziaria è di minore profilo. L’introduzione nella valutazione di variabili dinamiche e continuamente aggiornate accresce poi sensibilmente la predittività dei modelli di rating”. Il nuovo modello di rating è già stato applicato sulla totalità dei clienti Small Business di Intesa Sanpaolo. Il 50% ha ottenuto un miglioramento del rating. Per il 35% il merito di credito è peggiorato. Per il rimanente 15% il giudizio è rimasto invariato. “La polarizzazione della clientela sui due estremi ha ovviamente un impatto sulle politiche creditizie e commerciali della banca. Sui clienti ad alto potenziale, l’obiettivo è di sostenere la crescita e lo sviluppo dei progetti imprenditoriali, anche proponendo in modo proattivo il credito. Con i clienti le cui prospettive possono aver risentito della crisi, emerge invece

Dai finanziamenti con Rete Imprese Italia agli innovativi modelli di rating e gli strumenti di valutazione delle aziende. In un contesto che cambia, dice Bruno Bossina di Intesa Sanpaolo, la prima a cambiare deve essere la banca. Ma anche l’impresa deve dare il suo contributo

Intesa Sanpaolo: cambiare per lavorare meglio con le imprese

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Corporate Banking

la necessità di valorizzare gli strumenti di mitigazione del rischio, collaborando con professionisti e associazioni di categoria. In ogni caso l’approccio è proattivo e volto a costruire una relazione continuativa”.

A ciascuno un obiettivo da perseguire

“Siamo consapevoli, sottolinea Bossina, di essere al centro di una crisi ‘strutturale’ dalla quale tutti, banche e imprese, usciremo profondamente cambiati. È fondamentale rendere concreti concetti come trasparenza e chiarezza in ogni fase della relazione con la clientela. Ma lo sforzo dev’essere di entrambe le parti”. Stante la necessità di ottenere credito (quindi “fiducia”) da parte delle banche, gli imprenditori devono essere consapevoli di una serie di ulteriori fattori che possono risultare determinanti nella valutazione del merito creditizio e devono guardare con maggiore attenzione alla struttura finanziaria della propria azienda. Rimanere troppo piccoli, inoltre, diventerà sempre più un fattore di debolezza che di forza. “Come banca consapevole delle proprie responsabilità sociali e verso il Paese, riteniamo indispensabile, proprio in questa fase, ripensare criticamente ogni fase del processo della nostra attività, per renderlo sempre più aderente alle nuove e mutate esigenze dei nostri clienti”. Le iniziative intraprese da Intesa Sanpaolo, in questo scenario, si riconducono a tre filoni di attività: creazione di sinergie con i consorzi fidi e le associazioni di categoria, valorizzazione di garanzie e controgaranzie, progetti volti ad aumentare il dialogo impresa-banca e a sostenere la nuova imprenditoria”. La chiave non solo per portare le imprese a ottenere maggior credito dal sistema creditizio, ma anche per far diminuire il pricing dei finanziamenti, può essere proprio il ricorso alle garanzie consortili e pubbliche: queste determinano infatti la mitigazione del rischio, quindi un minor accantonamento di capitale da parte della banca e conseguenti agevolazioni di prezzo complessivo per le aziende che necessitano di credito.

Nuovi strumenti per valutare gli imprenditori

Il lavoro svolto fino a oggi sui processi (credito automatico, nuovo modello di rating, affinamento del pricing) e sull’approccio al cliente (più dialogo, trasparenza della valutazione) ha consentito a Intesa Sanpaolo di rivedere la politica del credito: più autonomia alle

filiali, concessione automatizzata, semplificazione dei processi, riduzione dei tempi di risposta. Oggi ad esempio il 20% delle pratiche viene deliberato in un giorno lavorativo. “Siamo ripartiti da qui: mettendo a punto un nuovo strumento per valutare l’imprenditore, la sua storia, la serietà dimostrata con le banche. E mettendo al centro l’imprenditore, facendo squadra con gli altri attori del sistema, per rendere meno complicato accedere al credito. I clienti hanno riconosciuto il nostro impegno e ci stanno dando ragione: chi ha avuto modo di provare il nuovo processo di concessione del credito apprezza in particolare la velocità delle nostre risposte ed è soddisfatto. Anzi il 60% di loro, conclude Bossina, raccomanderebbe la nostra proposta ad altri imprenditori”.

Bruno Bossina, responsabile Marketing Small Business di Intesa Sanpaolo

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Speciale

Una crisi profonda, quella degli ultimi anni, che si è riverberata sul tessuto economico, con problemi di tenuta dell’economia reale, e che ha coinvolto soprattutto le piccole e medie imprese. In un contesto del genere, anche le banche hanno dovuto rifocalizzare la loro attenzione. Cambiare prospettiva. Anche il gruppo bancario Iccrea, con le società che forniscono in esclusiva prodotti e servizi alle oltre 400 banche di credito cooperativo e casse rurali presenti in Italia, ha vissuto il cambiamento, nell’ottica della proattività e della vicinanza al territorio. “In effetti molte aziende, vessate da una debolezza strutturale (con alto indebitamento e scarsa patrimonializzazione) si sono indebolite, conferma Giovanni Boccuzzi, vicedirettore generale di Iccrea BancaImpresa. Il sistema bancario ha cercato di fare la sua parte, impegnandosi a sostenere e capire le dinamiche delle aziende in sofferenza e i contesti di mercato nei quali si muovono. Però non ci siamo limitati a questo. Abbiamo intrapreso, come banca corporate, una riorganizzazione importante. Iccrea BancaImpresa può essere considerata una banca di secondo livello, che assiste con un’offerta variegata le imprese attraverso le banche di credito cooperativo. Nata con una specializzazione nel leasing, oggi ha un’offerta ampia che comprende i finanziamenti, la finanza straordinaria, i derivati di copertura, l’estero ma anche il factoring. Il nostro impegno è sempre volto a comprendere le dinamiche delle imprese”.

Cambiare per servire meglio le Pmi

Il piano di riorganizzazione ha cambiato radicalmente il volto della banca. Mentre prima la banca era dedita prevalentemente allo sviluppo, e meno alla gestione, oggi si adopera per capire profondamente le aziende e le loro difficoltà. Cosa non facile, peraltro, perché per arrivare a una definizione della conoscenza occorre comprendere appieno anche il settore e il tessuto territoriale nel quale l’azienda è collocata. Iccrea BancaImpresa è agevolata, da questo punto di vista, dalle sue 15 succursali e dalle oltre 400 Bcc. “E siamo certi, puntualizza Boccuzzi, che occuparsi del futuro delle aziende significhi occuparsi dello sviluppo del territorio. Per questo operiamo per mettere in moto meccanismi virtuosi che risollevino le sorti delle aziende. Come? Le soluzioni sono diverse. Per esempio aggregando le aziende, proponendo loro nuove soluzioni e nuovi assetti d’impresa”. Impostando così il business, Iccrea BancaImpresa ha abbandonato il posizionamento da banca monoprodotto, e ha investito nella formazione del personale, incidendo sulle competenze. È stata creata una struttura più standardizzata che segue le imprese sotto i 20 milioni di valore della produzione, e in parallelo una struttura corporate che, sempre in collaborazione con le Bcc, segue le aziende oltre i 20 milioni e si reca direttamente dagli imprenditori per conoscerle meglio

e ragionare con loro sulle più adatte operazioni da porre in essere. I gestori sul territorio, figura di relazione con la clientela, hanno dunque un ruolo proattivo. Al suo interno, la banca esegue studi attraverso analisi settoriali, per individuare le aziende che abbiano reali prospettive di sviluppo e distinguerle da quelle ormai in estrema difficoltà. Questa organizzazione ha dato buoni risultati, ed è stata ulteriormente affinata con la ridefinizione dei compiti, nel 2012, in funzione della dimensione delle imprese e della flessibilità organizzativa che il momento richiede. Le due aree operano in stretta correlazione tra di loro e con forte condivisione con le Banche di Credito Cooperativo. “Oltre a ciò - precisa Boccuzzi - abbiamo fatto un ulteriore passo avanti. Prima, in banca, a occuparsi della crisi d’impresa erano gli uffici direzionali. Aumentando però il numero di imprese interessate da questa problematica, abbiamo demandato il compito alla struttura commerciale. Operando sul territorio, i professionisti possono valutare lo stato reale di salute dell’azienda, e nel caso proporre soluzioni ad hoc”. Arrivano, in supporto, anche gli strumenti del nuovo diritto fallimentare.

Da Iccrea BancaImpresa le proposte di sostegno del mondo del credito cooperativo all’impresa e un impegno: partire dal territorio per sostenere lo sviluppo delle aziende

Più vicini alle imprese e al territorio

Giovanni Boccuzzi, vicedirettore generale di Iccrea BancaImpresa

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Più energia ai progetti delle imprese

Per sostenere concretamente le aziende, il gruppo ha aderito alla moratoria Abi cui partecipano le associazioni di categoria; sostiene poi la continuità operativa delle piccole e medie imprese clienti delle Bcc essendo stato il primo ad attivarsi presso Cassa Depositi e Prestiti per usufruire del plafond riservato ai finanziamenti di medio-lungo termine per le Pmi, consentendo alle Bcc di erogare prestiti per un valore complessivo di 1,4 miliardi.“Il nostro sostegno alle imprese passa anche attraverso il leasing pubblico; sosteniamo anche operazioni di finanza straordinaria per assistere operazioni di acquisizioni. Certo siamo consci del fatto che il quadro congiunturale è critico. Un dato, su tutti: a maggio 2012 i dati di chiusura del mercato leasing (fonte Assilea) indicano un -33% dei volumi delle operazioni di leasing, sintomo chiaro del fatto che le aziende non stanno investendo”. Il sostegno di

Iccrea BancaImpresa mira a supportare i settori trainanti dell’economia, agroalimentare, abbigliamento, arredo, automazione, farmaceutico, macchine utensili, e tutte quelle realtà che hanno iniziato a internazionalizzarsi. “Da questa situazione non si esce se non collaborando. E lo Stato ha un ruolo determinante. Da questo punto di vista, spero che gli investimenti del Decreto Sviluppo possano davvero attuarsi. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che molto di quanto il sistema bancario ha finanziato deve essere considerato ormai perso. Le banche per questo sono chiamate a rifocalizzarsi. Ma anche le imprese devono cambiare. Occorre ridefinire le filiere, accrescere il ruolo delle associazioni: con la pura finanza non si risolvono i problemi. Mi sento di dire che le banche non intendono ‘mollare’, conclude Boccuzzi. Noi saremo sempre più vicini alle imprese e al territorio, elemento che, peraltro, è parte dello spirito di tutte le banche del credito cooperativo”.

Corporate Banking

Raccontare gli impegni profusi dalle banche, per quanto compete loro, nel supportare le aziende in tempo di crisi è relativamente semplice. Diverso è però vedere cosa accade se un cataclisma di eccezionale portata modifica per sempre l’esistente, obbligando a ridisegnare gli ambiti del corporate banking. Lo sciame sismico di fine maggio ha cambiato l’assetto dei territori colpiti in Emilia e Lombardia. I danni sono stati ingenti, e hanno riguardato industrie di ogni settore merceologico. Anche le banche “del territorio” sono state colpite, e si sono ritrovate da una parte a dover riprendere l’operatività, dall’altra a muoversi con rapidità per sostenere le imprese colpite dal sisma. Ecco dunque che il corporate banking del Gruppo Cariparma Crédit Agricole ha assunto una nuova forma. A partire dalle iniziative speciali che riguardano le imprese (e i privati) colpiti dal terremoto.

Sostenere, aiutare, far ripartire

“Innanzitutto, spiega Carlo Piana, direttore centrale Imprese Corporate di Cariparma Crédit Agricole, il Gruppo ha attivato dal 23 maggio scorso un conto corrente destinato alla raccolta di fondi impegnandosi a raddoppiare il ricavato (il conto corrente Cariparma Emergenza Terremoto, ndr). A fronte di ogni euro versato a favore della popolazione dai cittadini, la banca raddoppia la cifra; a oggi sono stati raccolti 600mila euro. È stato messo a disposizione un plafond di 100 milioni di euro per la ricostruzione delle strutture dei privati e delle aziende. Le aziende possono poi richiedere finanziamenti flessibili, con possibilità di sospendere la quota capitale o ridurre la rata. Sempre le aziende colpite vedono sospesa per 12 mesi la quota capitale per i finanziamenti in essere (chirografari e ipotecari). Alle aziende del comparto agricolo sono stati

destinati finanziamenti in modo che possano riacquistare la capacità produttiva e ripristinare i danni. Alle domande di finanziamento la banca si impegna a rispondere entro cinque giorni. Sono state infine azzerate le commissioni di prelievo bancomat e le commissioni su versamenti e donazioni”. L’impegno del Gruppo Cariparma Crédit Agricole successivo al sisma, per quanto riguarda il sostegno alle aziende, si è concentrato sulle Pmi, che rappresentano l’ossatura principale del territorio emiliano. “Siamo convinti che le aziende solide prima del sisma possano ritornare ugualmente solide. Ecco perché secondo noi, e secondo le associazioni e i Confidi, è importante sostenere queste imprese, attualmente molto indecise sul da farsi: chiudere, ripartire, delocalizzare all’estero… con l’aiuto di più attori, in un’ottica di sistema, è possibile far ripartire da subito il motore produttivo del territorio e supportare le aziende in una rapido ritorno alla normalità”.

Un corporate banking serio

Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole ha mantenuto una costante, pre e post-terremoto: la vicinanza con le aziende del suo territorio, che si tratti del settore medicale, agroalimentare, o della meccanica di precisione. “E’ vero che certe banche, in altri contesti regionali, hanno avuto forti problemi e non possono raccogliere capitale sul mercato, con la conseguenza dei tempi di pagamento allungati e un aumento del circolante. È però altrettanto vero che il nostro gruppo si è sempre mantenuto prudente e attento alle esigenze della clientela corporate. Anche noi selezioniamo l’impegno in funzione del settore merceologico delle aziende. Siamo propositivi in alcuni casi, e attenti in altri. Ciò che posso garantire è

Cosa succede a una banca che subisce, sul suo territorio, gli effetti di un cataclisma di enorme portata? Come si ridisegna il rapporto con le aziende, come si sostiene la ripresa, come si opera quotidianamente? La nuova frontiera emiliana del Gruppo Cariparma Crédit Agricole

E poi arriva il terremoto

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Speciale

che non abbiamo mai fatto mancare il credito per motivi endogeni alla banca. Il Gruppo ha una prudente riserva di liquidità. Le colpe che spesso vengono imputate al sistema bancario nel suo complesso, andrebbero in questo caso distinte banca per banca. Il nostro gruppo, a fine 2011, ha visto aumentare del 5% gli impieghi e la raccolta”.

I segni del terremoto

Il sisma, come accennato, ha colpito anche il Gruppo Cariparma Crédit Agricole in 28 filiali, con vari livelli di gravità. Per ripristinare l’operatività sono stati aperti degli sportelli su postazioni mobili, e anche delle tende di ascolto per il territorio. Cosa sta succedendo alle imprese della zona colpita dal terremoto? Piana è rimasto particolarmente impressionato dalla reattività e dall’entusiasmo che proviene dagli imprenditori e dai loro collaboratori. “Persone che, anche accampate sotto a una tenda, fanno piani per riprendere a lavorare. Paradossalmente, a fronte di investimenti bloccati in tutta Italia, con le vendite di macchinari, beni durevoli e capannoni ridotte al lumicino, il terremoto ha portato con sé - nella tragedia - una iniezione di vitalità. E si è ripreso a investire. Proprio mentre in altre regioni il dubbio e l’incertezza minano le scelte degli imprenditori”. Nei prossimi mesi, secondo Piana, le aziende del Nord Italia si collocheranno lungo tre direttrici. Quelli che lavorano con un respiro internazionale sopravviveranno bene. Quelle che operano sul mercato domestico faticheranno. Quelle che sul mercato domestico lavorano per il pubblico moriranno di credito non pagato. “Attendo e auspico, da luglio in poi, un quadro geopolitico meno incerto. Di sicuro, conclude Piana, il prossimo non sarà un semestre glorioso”.

Carlo Piana, direttore centrale Imprese Corporate di Cariparma Crédit Agricole

Gianni Guido Triolo ha, negli anni, ricoperto ruoli che gli forniscono oggi una visione molto concreta e lucida del rapporto banca-imprese. Attualmente è responsabile del settore credito Confesercenti e amministratore delegato di un Confidi, del quale ha diretto personalmente il passaggio a intermediario finanziario vigilato. Già responsabile del credito pro tempore di Rete Imprese Italia, ha maturato anche una lunga esperienza come dirigente bancario in una della maggiori realtà italiane, occupandosi sempre di finanziamenti bancari all’imprenditoria minore. Per capire oggi il legame tra banche e aziende italiane, spiega Triolo, occorre partire dai fondamentali. “Tipicamente, nel nostro Paese, il ricorso al credito bancario costituisce spesso - per le imprese minori – l’unica fonte di finanziamento esterno legale disponibile (prima dell’usura, molto diffusa fra le microimprese commerciali)”. Una

situazione del genere richiederebbe un’attenta gestione dinamica del rapporto banca-piccola impresa, specie nelle fasi sfavorevoli del ciclo economico, che presuppone l’utilizzo di risorse umane specializzate, capaci di comprendere a fondo le necessità delle piccole imprese assistite, evitando il ricorso ad approcci burocratici, che anziché sostenere il complesso ingranaggio, ne frenano i movimenti, fino al completo ‘grippaggio’, liquidato con una riclassificazione della posizione a incaglio o, nei casi più difficili, a sofferenza. “Nelle situazioni di crisi come l’attuale - prosegue Triolo - è l’impresa più piccola a pagare il prezzo più elevato, ricevendo una percentuale di credito bancario ben al di sotto del contributo al valore aggiunto del Paese. Infatti, le microimprese - imprese con meno di 10 addetti – che in Italia danno lavoro a circa il 50% degli occupati e contribuiscono con oltre il 30% del

Gianni Guido Triolo, già responsabile del credito pro tempore di Rete Imprese Italia, chiede alle banche più attenzione per le piccole realtà imprenditoriali: dal supporto nei momenti di difficoltà al sostegno per la crescita, fatti salvi gli obblighi normativi. Le difficoltà di un dialogo a più voci

Le banche devono conoscere meglio le imprese

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Corporate Banking

valore aggiunto complessivo - beneficiano di una quota di credito bancario inferiore al 15%, nonostante questa costituisca spesso l’unica fonte di finanziamento esterno legale. Non a caso, queste imprese risultano caratterizzate da un peso dei debiti finanziari più elevato rispetto alle imprese di maggiore dimensione, mettendole in pessima luce ai nuovi ‘radar bancari’, cioè i sistemi interni di rating, sviluppati su campioni d’impresa di taglio medio-grande. Difficile immaginare quale sarebbe oggi la situazione se, dall’inizio dell’attuale crisi, fosse venuta a mancare la grande azione di sostegno dei Confidi”.

Basilea 3 e l’impegno di Rete Imprese Italia

E poi ci sono le regole di Basilea 3, a volte considerate “alibi” per porre rigidi paletti al credito alle imprese. Rete Imprese Italia, la nuova realtà associativa nella quale sono confluite le associazioni nazionali del commercio e dell’artigianato, ha avuto modo d’esprimersi in materia attraverso la proposta dell’introduzione di un correttivo alle regole di Basilea 3 sui requisiti patrimoniali delle banche (il cosiddetto “balancing factor”), tendente a neutralizzare gli effetti negativi sui finanziamenti bancari a favore delle imprese minori. “La proposta - commenta Triolo - tuttora allo studio in sede europea, è stata anche oggetto di una recente audizione parlamentare da parte di Marco Venturi, presidente di Confesercenti, nel corso del semestre di presidenza della nuova associazione. I paletti al credito non sono pertanto una ‘scusa’, bensì una cruda realtà che Rete Imprese Italia ha inteso neutralizzare a beneficio delle imprese minori”.

La difficoltà delle Pmi

Quotidianamente le imprese lamentano poca attenzione e considerazione da parte delle banche, che da soggetti facilitatori si trasformano in soggetti “complicatori” e poco inclini ad aiutarle in tempo di crisi. “Se riferita alle piccole imprese, per quanto già detto in precedenza, questa lamentela rispecchia fedelmente la situazione in tempo di crisi, amplificata dalla prociclicità indotta dai sistemi interni di rating sollecitati da Basilea 2. Per queste imprese sarebbe opportuno valorizzare la valutazione del patrimonio informativo di matrice associativa, agli effetti di una più esauriente definizione del merito di credito”. Anche l’autorità di Vigilanza, in più occasioni, ha sottolineato l’obiettivo di migliorare la valutazione della componente qualitativa dei rating, alla quale bisognerebbe attribuire un maggior peso rispetto al passato nella fase finale di integrazione con la componente quantitativa di misurazione del merito creditizio. “In tale prospettiva - spiega Triolo - si ricorda che le novità delineate dalle regole di vigilanza prudenziale di Basilea 3, pur non modificando le regole per l’accantonamento patrimoniale per il rischio di credito, riportano in auge il tema della conoscenza del cliente; chiedono con forza che il rapporto banca-impresa evolva in modo da accompagnare le seconde lungo un percorso di crescita e di riequilibrio della struttura finanziaria”. E il credit crunch? È davvero il “male assoluto”? “Forse il credit crunch non sarà il male assoluto per le imprese medio grandi, assicura Triolo, ma per quelle minori costituisce un fardello spesso eccessivo. In considerazione del valore macroeconomico del contributo della microimpresa, sarebbe opportuno escogitare uno speciale ‘ombrello protettivo’ di garanzia pubblica, in modo tale da renderle immuni dagli effetti negativi del ricorrente downturn del ciclo economico”.

Le richieste delle imprese

Triolo elenca infine le istanze che Rete Imprese Italia porta all’attenzione delle banche: “Una migliore conoscenza analitica delle piccole realtà imprenditoriali; la valorizzazione della rete dei Confidi, come organismi titolari della conoscenza dell’imprenditoria associata; la costruzione di una partnership con le associazioni, per equilibrare gli elementi qualitativi del rating con quelli quantitativi”. E si sofferma su un punto critico: “Le banche non sanno gestire le fasi di difficoltà delle piccole imprese. Procedono in maniera automatica, invece è necessario attivare una negoziazione, fornendo una consulenza che aiuti le imprese a uscire dal momento di crisi, per provare a rilanciare il loro destino, prima di abbandonarle. Un piano di risanamento, insomma, simile a quello che viene già proposto alle grandi imprese”.

Gianni Guido Triolo, responsabile del settore credito Confesercenti

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Performance

“Risultati positivi in un contesto di

mercato difficile”. E’ il commento ufficiale

di Intesa Sanpaolo sulla semestrale 2012,

chiusa effettivamente con un utile netto

in calo del 9% circa (mentre la flessione

su base trimestrale è stata del 41%)

anche se con risultati migliori rispetto

alle previsioni degli analisti. E’ evidente

che sulla redditività della banca, e in

particolare sugli utili, pesano i maggiori

accantonamenti decisi da Ca’ de Sass per

rafforzare la propria solidità patrimoniale

nel solco della cosiddetta “redditività

sostenibile”, che da anni rappresenta

l’obiettivo prioritario di Intesa Sanpaolo.

“Guardando ai risultati del primo semestre,

ha commentato Enrico Cucchiani, Ceo

di Intesa Sanpaolo, stiamo conseguendo

quanto promesso, continuando a ridurre

il rischio e rafforzare il bilancio. Già oggi

siamo in linea con i requisiti di Basilea

3”. In effetti, al 30 giugno 2012 sono stati

ulteriormente rafforzati i coefficienti

patrimoniali (peraltro già su livelli

superiori ai requisiti normativi), con il

Core Tier 1 ratio al 10,7% dal 10,1% di

fine 2011 e il coefficiente Eba pro-forma

al 10,1% rispetto al 9,2% dell’analisi

Eba sui dati di settembre 2011 e al

requisito minimo del 9%, “livello top tra

le maggiori banche europee”. Gli altri

coefficienti patrimoniali vedono il Tier 1

ratio all’11,7% (dall’11,5% a fine 2011) e

il Total Capital ratio al 14,2% (14,3% a

fine 2011). Sul fronte della liquidità e del

funding, va detto che già già oggi risultano

rispettati i requisiti di liquidità Liquidity

Coverage Ratio e Net Stable Funding

Ratio di Basilea 3, in largo anticipo sulle

date previste per l’entrata in vigore

(rispettivamente 2015 e 2018). Rientra

nella medesima strategia di prudenziale

rafforzamento delle posizioni la politica

degli accantonamenti, con stanziamenti

a fronte dei rischi creditizi per circa

2,1 miliardi di euro nel semestre (+37%

rispetto al 2011), a fronte di un aumento

del flusso di nuovi crediti in sofferenza e in

incaglio del 20%, un livello di copertura

dei crediti deteriorati cresciuto al

45,2% (dal 44,6% del 2011), e una riserva

sui crediti in bonis pari a 2.647 milioni

di euro, corrispondente a 80 centesimi

di punto di buffer prudenziale rispetto ai

70 del primo semestre 2011. Il tasso di

recupero delle posizioni in sofferenza

chiuse è stato pari mediamente al 146%

del loro valore netto di carico nel periodo

2009 - primo semestre 2012.

Venendo invece al dettaglio dei risultati

del conto economico consolidato del

primo semestre 2012, i proventi operativi

netti sono pari a 8.944 milioni di euro

(+2,6% rispetto al primo semestre 2011).

In quest’ambito, gli interessi netti

ammontano a 4.932 milioni (+3,6%

rispetto al 2011), mentre le commissioni

nette sono pari a 2.639 milioni (-5,9%

a/a). In particolare, le commissioni da

attività bancaria commerciale aumentano

dello 0,7% e diminuiscono del 10,7%

le commissioni da attività di gestione,

intermediazione e consulenza, nel cui

ambito la componente relativa ai prodotti

assicurativi cala del 18,6%, quella relativa

al risparmio gestito scende dell’11,3%

e quella relativa a intermediazione e

collocamento di titoli sale del 2,7 per cento.

Il risultato dell’attività di negoziazione

è pari a 877 milioni di euro (che includono

368 milioni di plusvalenze derivanti dal

buy back di propri titoli subordinati Tier

1 e dalla cessione dell’interessenza in

London Stock Exchange), rispetto agli

821 milioni del primo semestre 2011

(comprendenti 426 milioni di plusvalenze

derivanti dalle cessioni delle quote in

Prada e Findomestic). La componente

relativa alla clientela si attesta a 179

milioni rispetto a 189 milioni, quella di

capital markets e attività finanziarie Afs

diminuisce a 191 milioni da 463 milioni,

quella dell’attività di proprietary trading

e tesoreria aumenta a 483 milioni da 132

milioni e quella dei prodotti strutturati di

credito scende a 25 milioni da 37 milioni.

Il risultato dell’attività assicurativa

è pari a 453 milioni di euro rispetto ai

285 milioni del 2011. Gli oneri operativi

ammontano a 4.450 milioni (-1,9% a/a),

a seguito di una diminuzione dell’1,4%

per le spese del personale e del 3,9%

per le spese amministrative e di un

aumento del 3,3% per gli ammortamenti.

Conseguentemente, il risultato della

gestione operativa ammonta a 4.494

milioni di euro (+7,4% a/a), con un cost/

income ratio nel primo semestre 2012 in

miglioramento al 49,8% rispetto al 52%

del primo semestre 2011. Il complesso

degli accantonamenti e delle rettifiche di

valore nette (accantonamenti per rischi

e oneri, rettifiche su crediti e rettifiche

su altre attività) è pari a 2.224 milioni di

euro, rispetto ai 1.673 milioni del primo

semestre 2011. L’utile netto consolidato

Intesa Sanpaolo: gli accantonamenti penalizzano gli utili

Il miglior risultato della gestione operativa degli ultimi otto semestri

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Performance

è pari a 1.274 milioni di euro, rispetto ai

1.402 milioni del primo semestre 2011

(-9,1%), mentre escludendo le principali

componenti non ricorrenti l’utile netto

normalizzato nel primo semestre

2012 è pari a 1.039 milioni rispetto ai

1.234 del 2011. Per quanto riguarda lo

stato patrimoniale consolidato, al 30

giugno 2012 i crediti verso la clientela

raggiungono i 375 miliardi di euro (-0,5%

rispetto al 31 dicembre 2011 e invariati

rispetto al 30 giugno 2011), mentre

il complesso dei crediti deteriorati

ammonta - al netto delle rettifiche di

valore - a 26.102 milioni di euro (+15%

rispetto al 31 dicembre 2011). Le attività

finanziarie della clientela risultano pari

a 775 miliardi di euro (+1,2% rispetto

al 31 dicembre 2011 e -5,5% rispetto al

30 giugno 2011). In questo ambito, la

raccolta diretta bancaria ammonta a 369

miliardi (+2,5% rispetto al 31 dicembre

2011 ma -6% rispetto al 30 giugno 2011

a causa principalmente della clientela

istituzionale), mentre il complesso di

raccolta diretta assicurativa e riserve

tecniche è pari a 77 miliardi (+5,1%

rispetto al 31 dicembre 2011 e -0,5%

rispetto al 30 giugno 2011). La raccolta

indiretta raggiunge i 406 miliardi, (+0,1%

rispetto a fine 2011 e -5% rispetto a fine

giugno 2011). L’ammontare di risparmio

gestito è pari a 222 miliardi (+0,3%

rispetto al 31 dicembre 2011 e -4,4%

rispetto al 30 giugno 2011); la nuova

produzione vita nel primo semestre 2012

ammonta a 6,1 miliardi di euro (-20,3%

rispetto al primo semestre 2011). Infine

la raccolta amministrata raggiunge i

184 miliardi, in diminuzione dello 0,2%

rispetto al 31 dicembre 2011 e del 5,7%

rispetto al 30 giugno 2011.

Il Consiglio di Amministrazione di

UniCredit ha approvato i risultati del

secondo trimestre 2012. Piazza Cordusio

ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con

un utile netto di 1,1 miliardi di euro

(-18% a/a e -54,2% se si escludono i

477 milioni da riacquisto di obbligazioni

Tier I e Upper Tier II nel primo trimestre).

Peraltro nel secondo trimestre il calo

degli utili è stato ancora più netto (169

milioni di euro, -66,9% a/a), e la causa,

come nel caso della recente semestrale di

Intesa Sanpaolo, è la politica prudenziale

di gestione del rischio decisa dall’istituto

nel difficile contesto macroeconomico

che ha portato al forte incremento

degli accantonamenti su crediti (3,3

miliardi, +23,6% su base annua, di

cui 1,9 miliardi nel secondo trimestre,

+62,9 per cento). “Nonostante il rapido

peggioramento del contesto economico

mondiale, ha commentato Federico

Ghizzoni, amministratore delegato di

UniC,redit, nel secondo trimestre 2012

il margine operativo lordo di Unicredit

mostra una buona tenuta, sostenuto

dal dinamismo che caratterizza

l’attuazione del programma di riduzione

dei costi previsto dal Piano strategico.

Il margine d’interesse tiene bene,

nonostante il rallentamento dei volumi

commerciali, mentre UniCredit raccoglie

i frutti prodotti dal modello aziendale

diversificato; ulteriore miglioramento

anche del rapporto crediti su depositi.

Il calo dell’utile netto è da imputare

in particolare agli accantonamenti su

crediti, con un rapporto di copertura in

complessiva crescita in Italia nel trimestre.

Il miglioramento della redditività operativa

nel primo semestre attesta i continui

progressi del turnaround in Italia”. Il

margine operativo lordo ha totalizzato

5,8 miliardi di euro nel semestre (+3,1%

a/a, ma -9,4% al netto del riacquisto

di obbligazioni), e 2,5 miliardi di euro

nel secondo trimestre ((-1,0% a/a e

-2,6% trim/trim escluso il riacquisto

di obbligazioni nel primo trimestre).

“Buona la tenuta del margine operativo

lordo, dice una nota ufficiale di UniCredit,

nonostante il calo nella domanda di

finanziamenti commerciali registrato in

Italia e la pressione esercitata dal calo dei

tassi d’interesse sui ricavi”. Il margine di

intermediazione si è attestato a quota

13,4 miliardi di euro nel semestre (-0,2%

a/a), di cui 697 milioni da riacquisto di

obbligazioni Tier I e UpperTier II, e a

quota 6,2 miliardi di euro nel secondo

trimestre (-3,2% a/a), mentre il margine

di interesse è risultato pari a 7,5 miliardi

di euro nel semestre (-3,9% a/a) e le

commissioni nette hanno totalizzato

3,9 miliardi di euro (-5,2% a/a). “Sul

risultato hanno pesato le scarse attività

dei servizi di investimento, in parte

controbilanciate da un buon trend dei

servizi transazionalie dei servizi di

finanziamento”. Un contributo importante

alla tenuta dei risultati operativi è stato

fornito dalle misure di riduzione dei costi,

che hanno portato i costi operativi a 7,6

miliardi (-2,6% a/a), di cui 3,7 miliardi

nel secondo trimestre (-4,6% a/a, -2,5%

trim/trim). Il rapporto costi/ricavi si

posiziona pertanto al 56,8% (-1,4% a/a).

UniCredit sottolinea infine la propria

solida posizione di liquidità, con gli

attivi disponibili che coprono oltre il 100%

del finanziamento wholesale in scadenza

entro 12 mesi, nonché la disponibilità di

coefficienti patrimoniali perfettamente in

linea con i requisiti europei. “Al 30 giugno

2012 il Core Tier I del Gruppo secondo

Basilea 2.5 è pari a un solido 10,4%,

più 8pb rispetto al 31 marzo 2012, in

particolare grazie alla gestione degli Rwa.

Il Common Equity Tier 1, anticipando

tutti gli effetti di Basilea 3, ha superato

l’obiettivo fissato per il 2012 ed è ben al

di sopra dei requisiti previsti dall’Eba”.

Sempre a giugno 2012, il Tier I ratio era

pari al 10,9% mentre il Total Capital ratio

ha raggiunto il 13,5 per cento.

UniCredit: conti in ordine grazie al taglio dei costi

Page 50: B&M_12

50

Performance

Il CdA di Banca Monte dei Paschi di Siena ha approvato i risultati del primo semestre 2012, chiuso con una perdita di 1,617 miliardi

di euro rispetto ai 261 milioni di utile dello stesso periodo dell’anno scorso. E’ vero che sul risultato negativo pesa fortemente

la svalutazione su avviamento e attivi finanziari per 1,574 miliardi, ma va comunque precisato che anche senza considerare

le componenti straordinarie di bilancio (Ppa e impairment) si registra comunque una perdita di 15,2 milioni (contro i 311 milioni

di utile su dati omogenei al 30/06/2011). Dunque si comprende facilmente perché, come sottolinea una nota ufficiale di Rocca

Salimbeni, di fronte a questi risultati “il Gruppo ha accelerato il setup delle azioni previste nel Piano Industriale 2012-2015 al fine di

rilanciare tempestivamente lo sviluppo del business”. Al 30 giugno 2012 il margine della gestione finanziaria e assicurativa si è

attestato a circa 2.807 milioni, in lieve flessione rispetto al 2011 (-1,1%), a seguito della contrazione dei ricavi primari (-3,1% a/a),

solo parzialmente compensata dal maggior contributo dei risultati netti da negoziazione/valutazione attività finanziarie (+22,8 per

cento). Il margine di interesse si è attestato a quota 1.654 milioni, sostanzialmente in linea all’anno precedente, con un contributo

del secondo trimestre di circa 780 milioni (-10,8% trim/trim), mentre le commissioni nette sono pari a 837 milioni (-8,2% a/a), da

mettere principalmente in relazione agli oneri connessi alla raccolta istituzionale (in particolare commissioni garanzia Monti Bond)

a fronte di una sostanziale stabilità

dei proventi connessi con l’attività

commerciale. Il risultato netto da

negoziazione/valutazione attività

finanziarie si è attestato al 30/06/2012

a circa 272 milioni (contro 221 milioni

del 2011), con un contributo del secondo

trimestre positivo per 111,1 milioni

(-30,9% trim/trim). Le rettifiche nette

di valore per deterioramento di crediti

totalizzano 839 milioni (+48,7% a/a),

con un’incidenza del secondo trimestre

pari a 409 milioni, in lieve decelerazione

(-5%) sul trimestre precedente. “Tale

valore è riconducibile principalmente

a un aumento dei crediti deteriorati

(+980 milioni), in particolare sofferenze

ed esposizioni scadute”. Le rettifiche

di valore nette per deterioramento

di attività finanziarie sono negative per 115,6 milioni (-24,5 milioni al 30/06/2011; -110,1 milioni nel secondo trimestre).

Conseguentemente, il risultato della gestione finanziaria e assicurativa si attesta a 1.852 milioni (-17,7% a/a), con un contributo

del secondo trimestre di 815 milioni (-21,4% trim/trim). Gli oneri operativi totalizzano 1.669 milioni ( +0,7% a/a e +1,6% trim/

trim) e in questo ambito i costi del personale sono pari a 1.060 milioni (+2,1% a/a; +4,1% trim/trim), mentre le altre spese

amministrative sono pari a 519 milioni, (-4,2% a/a) e le rettifiche di valore nette su attività materiali e immateriali sono 91

milioni (+14,7% a/a). Il risultato operativo netto si colloca a 183 milioni (-69,1% rispetto al 30 giugno 2011), mentre l’indice di

cost-income è al 59,5%, in netto miglioramento rispetto al 63,8% di fine 2011.

Per quanto riguarda gli aggregati patrimoniali, al 30 giugno 2012 i volumi di raccolta complessiva del Gruppo si sono attestati a

261 miliardi, in calo del 4,1% sul saldo di fine marzo 2012. Più in dettaglio, la raccolta diretta, pari a 132 miliardi, registra un calo

dell’1,7% rispetto al 31/03/2012 con una quota di mercato del Gruppo che si è mantenuta poco sopra il 7 per cento, mentre la

raccolta indiretta, pari a 129 miliardi, ha registrato una flessione del 6,4% sul 31/03/2012 (-7,8% sul 30/06/2011), influenzata

sia dal calo del risparmio gestito che del risparmio amministrato. I crediti verso la clientela del Gruppo si sono attestati a 144,5

miliardi, sostanzialmente sui livelli del primo trimestre e in calo di 9,5 miliardi sull’anno precedente (-6,2 per cento). “La dinamica

dell’aggregato è da mettere in relazione sia alla ridotta domanda di credito connessa al rallentamento del ciclo congiunturale, che

ha penalizzato soprattutto le forme tecniche in conto corrente e a breve termine, sia alla particolare selettività usata dal Gruppo

nell’erogazione dei finanziamenti. La quota di mercato del Gruppo sui prestiti complessivi si è confermata attorno al 7,3 per cento”.

Infine, per quanto riguarda i coefficienti patrimoniali (con dati che comunque includono 1,9 miliardi di Tremonti Bond), il Core Tier

1 migliora sensibilmente portandosi al 10,8% (dal 10,3% di fine 2011), il Tier I ratio si colloca all’11,7% (dall’11,1% di fine 2011) e il

Total Capital ratio è al 16,6% (dal 15,7 per cento).

Mps: semestrale in rosso

1H12 Highlights (2/2) – Mps

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51

Performance

il Consiglio di Amministrazione del Banco

Popolare ha approvato la semestrale del

Gruppo al 30 giugno 2012, chiusa con un

utile netto di 29 milioni di euro contro i

189,6 milioni del corrispondente periodo

dello scorso esercizio. Va però precisato

che sul risultato pesa fortemente la

variazione del proprio merito creditizio

sulle passività finanziarie designate al fair

value pari a -142,3 milioni, laddove nel

2011 aveva invece garantito un apporto

positivo per circa 23 milioni. Escludendo

questo dato dai bilanci 2011 e 2012,

emerge che l’utile netto semestrale 2012

è pari a 171,3 milioni, con una crescita

del 2,7% rispetto al primo semestre

2011. In ogni caso, è sulla solidità e la

patrimonializzazione che il Banco ottiene

i risultati migliori. Innanzitutto il Gruppo

mantiene un profilo di liquidità eccellente,

dato che il Liquidity Coverage Ratio e il

Net Stable Funding Ratio sono entrambi

superiori al 100 per cento. Ma soprattutto

sono stati superati i livelli patrimoniali

obiettivo suggeriti dall’Eba: il Core Tier 1

ratio nel semestre è salito infatti dal 7,1%al

10,2%, e anche considerando il buffer

straordinario di capitale richiesto dall’Eba

per fronteggiare il rischio sovrano il Core

Tier 1 si colloca comunque al 9,6 per cento.

Risultano inoltre in netta crescita anche gli

altri indicatori patrimoniali: il Tier 1 capital

ratio sale dall’8,3% all’11,3%, mentre il

Total Capital ratio passa dall’11,7% al

14,1 per cento. Tornando ai dati del conto

economico, il margine di interesse si

attesta a 916,7 milioni (+2,9% a/a) anche

se la contribuzione del secondo trimestre

si è rivelata più contenuta (445,3 milioni)

rispetto al primo trimestre. “La concreta

azione di repricing portata avanti già dal

quarto trimestre dello scorso esercizio,

spiega una nota dell’istituto, ha permesso

di compensare l’impatto negativo sul

margine conseguente al calo del volume

degli impieghi e all’incremento del costo

della raccolta, quest’ultimo motivato in

parte anche dalla scelta gestionale di

consolidamento dei buffer di liquidità”.

Il risultato delle società partecipate,

valutate con il metodo del patrimonio

netto, ammonta a -59,1 milioni rispetto

ai 22,9 milioni rilevati nel corrispondente

periodo dell’esercizio precedente. Il

contributo negativo al risultato del primo

semestre 2012 deriva principalmente

dalla quota partecipativa detenuta in

Agos Ducato per -77,6 milioni, solo

parzialmente compensato dai contributi

positivi derivanti da Popolare Vita (+15,5

milioni) e Avipop Assicurazioni (+5,5

milioni). Per effetto dell’andamento

negativo del risultato delle partecipate

valutate a patrimonio netto, il margine

finanziario risulta conseguentemente

pari a 857,6 milioni (-6,2% a/a). Le

commissioni nette ammontano a 678,2

milioni (+3,5% a/a e +1,5% trim/trim).

Sul dato hanno contribuito principalmente

i servizi di gestione, intermediazione e

consulenza (+29,5 milioni, pari al +9,5%)

e in particolare l’attività di distribuzione

di prodotti di risparmio (+14,6%); in

crescita anche il contributo dell’attività

di intermediazione creditizia (+4,3%

l’incremento delle commissioni correlate

ai crediti concessi e alla tenuta dei conti

correnti e depositi) e dei servizi di incasso

e pagamento (+8,1 per cento). Il risultato

netto finanziario è pari a 122,4 milioni

rispetto ai 287,3 milioni del 2011 e ai

33,9 milioni negativi del primo trimestre

2012. Tuttavia, se si esclude dai risultati

il già citato impatto della Fvo (“fair value

option”), il risultato netto finanziario

del semestre risulta positivo per 335,1

milioni e in crescita del 34,7% rispetto ai

248,7 milioni del 2011. Allo stesso modo,

per quanto riguarda i proventi operativi

totali, che ammontano a 1.680,7 milioni

rispetto ai 1.888,4 milioni del primo

semestre 2011 e ai 790,3 milioni del primo

trimestre 2012, escludendo la Fvo si

evidenzia una crescita del 2,4% rispetto

al corrispondente periodo del 2011.

Nell’ambito invece degli oneri operativi, le

spese per il personale sono pari a 732,7

milioni (-3,4% a/a), mentre le altre spese

amministrative ammontano a 370,8

milioni (-2,8% a/a). Gli oneri operativi

risultano quindi pari a 1.169,6 milioni

(-3,3% a/a). Il risultato della gestione

operativa ammonta a 511,0 milioni rispetto

ai 678,7 milioni del primo semestre 2011 e

ai 201,3 milioni del primo trimestre 2012,

ma escludendo da entrambi i periodi

l’impatto della Fvo, il risultato è pari a

723,7 milioni (+13,1% a/a). Per quanto

riguarda lo stato patrimoniale, la raccolta

diretta al 30 giugno 2012 ammonta a 95,2

miliardi (-5,0% rispetto al 31 dicembre

2011, -1,4% nel secondo trimestre e

-11,6% a/a). “La flessione è riconducibile

all’andamento della componente

rappresentata da clientela istituzionale,

enti e Cassa di Compensazione e

Garanzia ed è dovuta principalmente alla

sostituzione di forme di raccolta a breve

termine più onerosa (i.e. operazioni di

pronti contro termine) con la raccolta

interbancaria messa a disposizione dalla

Bce a tre anni. La riduzione trova, inoltre,

giustificazione nel progressivo rimborso

dei titoli obbligazionari emessi da parte

di Banca Italease e nell’operazione

di buy back dei propri strumenti di

capitale perfezionata nel corso del primo

trimestre”. In effetti, la componente della

“raccolta in senso stretto” evidenzia una

crescita del 3,7% (+5,2% la variazione

registrata nel secondo trimestre e +7,7%

la variazione rispetto al 30 giugno 2011).

La raccolta indiretta ammonta invece a

65,7 miliardi (+2,0% rispetto a inizio anno,

ma -10,6% rispetto al 30 giugno 2011).

Gli impieghi lordi ammontano a 95,4

miliardi, segnando un -2,2% rispetto a

inizio anno (-2,6% la variazione registrata

nel secondo trimestre e -5,2% rispetto al

30 giugno 2011). Al netto degli impieghi di

Banca Italease, pari a 8,7 miliardi (-5,1%

rispetto a inizio anno e -12,2% su base

annua), l’aggregato registra un calo del

2,0% rispetto a inizio anno e del 4,5% su

base annua. Infine Le esposizioni lorde

deteriorate (sofferenze, incagli, crediti

ristrutturati ed esposizioni scadute)

ammontano al 30 giugno 2012 a 15,1

miliardi ed evidenziano una crescita del

9,4% rispetto a inizio anno.

Banco Popolare: il fair value penalizza gli utili

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52

Performance

Il Consiglio di Amministrazione della

Banca Popolare di Vicenza ha approvato

la relazione finanziaria semestrale

consolidata al 30 giugno 2012. L’utile

netto consolidato si è attestato a 69,2

milioni di euro (+15% a/a), laddove il

risultato della capogruppo è stato di 63,4

milioni (+8% sul 30 giugno 2011). Al 30

giugno 2012 il margine di interesse si

attesta a 251 milioni (-2,9% a/a), per

effetto della contrazione dei tassi di

mercato e di un maggior costo del funding,

mentre le commissioni nette sono

pari a 164,1 milioni (-7,6%) e risentono

dell’effetto derivante dall’acquisizione

della garanzia dello Stato italiano sulle

emissioni obbligazionarie. Al netto di

tale componente l’aggregato registra

una sostanziale stabilità (-1,3 per cento).

Il margine di intermediazione si

attesta a 514,6 milioni (+10,7%) grazie

al contributo del margine dell’attività

finanziaria (99,6 milioni di euro a fronte di

28,5 milioni del 30 giugno 2011). In forte

crescita le rettifiche di valore nette

per deterioramento di crediti e altre

operazioni finanziarie, che ammontano

a 97,6 milioni (+78%), mentre il costo del

credito (rapporto tra le rettifiche di valore

nette su crediti verso clientela e crediti

lordi) è pari allo 0,61% su base annua,

rispetto allo 0,52% del 31 dicembre

2011. Il risultato netto della gestione

finanziaria e assicurativa si attesta a

403,1 milioni di euro, sostanzialmente

in linea (-0,9%) con il 30 giugno 2011.

I costi operativi ammontano a 329,6

milioni e risultano invariati (+0,1%),

mentre migliora il cost/income, che si

attesta al 62,7% a fronte del 68,7% del

30 giugno 2011. Il risultato netto della

gestione operativa risulta pari a 73,5

milioni (-5,1%), anche per effetto delle

politiche di accantonamento a fronte dei

rischi su crediti. “Il risultato ottenuto nel

primo semestre 2012, ha commentato il

presidente Gianni Zonin, è da ritenersi

ottimo, perché evidenzia una buona

redditività aziendale con una rilevante

solidità patrimoniale. La crescita continua

della nostra clientela, 41mila nuovi clienti

dall’inizio del 2012 e 51mila in tutto il

2011, dimostra che il nostro Gruppo

prosegue con coerenza e determinazione

la sua attività commerciale al servizio

delle piccole e medie aziende e delle

famiglie, anche e soprattutto nei

momenti di difficoltà economica e

incertezza dei mercati come quelli attuali.

È un importante segnale di fiducia nella

Banca Popolare di Vicenza, rafforzato

anche dall’aumento di oltre 4.200 nuovi

soci negli ultimi dodici mesi, che porta

a 68.462 i soci del nostro Istituto e che

continua a dimostrare la validità del

nostro modello di banca cooperativa al

servizio dei territori”. Per quanto riguarda

gli aggregati patrimoniali, i crediti verso

clientela raggiungono i 30,3 miliardi di

euro (+2,7%), laddove invece gli ultimi

dati stimati dall’Abi evidenziano una

sostanziale stabilità degli impieghi a

livello di sistema (-0,2% nei dodici mesi).

Le sofferenze nette verso clientela

ammontano a 1.102,6 milioni, con un

aumento in termini percentuali sul totale

crediti netti di 0,44 punti, passando

dal 3,20% di fine 2011 al 3,64% del 30

giugno 2012. La relativa percentuale

di copertura è pari al 50,1 per cento.

La raccolta diretta raggiunge i 29,6

miliardi (+3% rispetto a giugno 2011),

mentre la raccolta indiretta si attesta a

16,8 miliardi (-3,1% sul 30 giugno 2011),

riflettendo l’andamento rilevato a livello

del sistema bancario. Infine, per quanto

attiene i ratios patrimoniali consolidati

al 30 giugno 2012, il Core Tier 1 ratio si

attesta all’8,21%, mentre il Total Capital

ratio è pari all’11,34 per cento.

Banca Popolare di Vicenza: bene impieghi e raccolta diretta

Il Consiglio di Gestione di Ubi Banca ha

approvato i risultati consolidati del primo

semestre 2012, chiuso con un utile netto

in calo del 36,6% (159,5 milioni di euro

rispetto ai 251,7 del 2011). La flessione

dell’utile netto è la conseguenza della

riduzione delle poste straordinarie

nel conto economico, che nel primo

semestre 2012 sono scese a 39 milioni

rispetto ai 181,7 del 2011. In effetti, l’utile

netto normalizzato (ossia al netto delle

voci non ricorrenti di bilancio) risulta

in crescita del 72,1% a 120,5 milioni

dai 70 milioni del 2011. La crescita della

redditività trova conferma nel risultato

della gestione operativa, salito a 653,8

milioni di euro (+33,3% a/a) grazie al

progresso dei proventi operativi (+5,2%

a 1.794,6 milioni) e al contenimento degli

oneri operativi, (-6,2% a 1.140,8 milioni).

Nell’ambito dei proventi operativi, il

margine d’interesse (inclusivo di Ppa),

si attesta 1.025,6 milioni di euro (-1,5%

a/a), risentendo della netta riduzione

degli impieghi alla clientela a 95,3

miliardi (-7,2% a/a), essenzialmente a

seguito delle azioni di de-risking poste in

essere dal Gruppo, ovvero “la riduzione

dell’esposizione verso il segmento

Large Corporates e l’uscita dai settori

a maggior rischio”. Le commissioni

nette sono rimaste stabili a 586,1

milioni di euro, nonostante l’inclusione

di 19,3 milioni di commissioni pagate a

fronte dell’emissione di obbligazioni con

garanzia dello Stato, non presenti nel

2011. Escludendo quest’ultima voce, le

commissioni nette si attesterebbero a

605,4 milioni di euro (+3,2 per cento).

Decisamente favorevole il risultato netto

dell’attività finanziaria, attestatosi a

105,4 milioni di euro rispetto ai 7,2 milioni

del primo semestre 2011, per effetto

principalmente della cessione /riacquisto

di attività finanziarie (1,2 miliardi di titoli

di stato) e dell’attività di negoziazione

del comparto obbligazionario effettuati

nel primo trimestre dell’anno in relazione

Ubi Banca: redditività in crescita

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53

all’andamento dei mercati. Il risultato

comprende inoltre l’utile conseguito

(20,7 milioni) a seguito del parziale

riacquisto, nei mesi di febbraio-marzo

2012, di strumenti innovativi di capitale

in circolazione. Per quanto riguarda gli

oneri operativi, invece, le spese per il

personale risultano pari a 692,8 milioni di

euro (-6,1% a/a), grazie alla progressiva

riduzione dell’organico medio (-300 unità

in termini di forza lavoro media), mentre le

altre spese amministrative si attestano

a 352,2 milioni (-1,1% a/a) e le rettifiche

di valore nette su attività materiali e

immateriali (inclusive di Ppa) sono pari a

95,8 milioni (-25,7 milioni anno su anno).

Risultano in crescita, evidentemente a

causa del difficile contesto economico,

anche le rettifiche di valore nette su

crediti (334,4 milioni contro i 263,5

milioni del primo semestre 2011), con

un costo del credito annualizzato che si

colloca allo 0,70% del totale impieghi

(anche a seguito della riduzione degli

stessi), rispetto allo 0,51% del primo

semestre 2011 e allo 0,61% registrato

nell’intero 2011.

Nell’ambito degli aggregati patrimoniali,

detto della riduzione degli impieghi,

la raccolta diretta totale ammonta

a 102,2 miliardi di euro (-3,7% a/a) e

“riflette la crescita della raccolta diretta

da clientela ordinaria cui si contrappone il

decremento della raccolta istituzionale”.

In effetti, la raccolta diretta da clientela

ordinaria risulta in crescita a 80,4

miliardi (+2,2% a/a e +1% rispetto a

dicembre 2011), mentre la raccolta

istituzionale ammonta a 14,7 miliardi

(era 18,7 miliardi nel dicembre 2011 e

20 miliardi nel giugno 2011). La raccolta

indiretta da clientela ordinaria ammonta

invece a 69 miliardi (-4,2% rispetto

a dicembre 2011), essenzialmente a

seguito della riduzione della raccolta

amministrata (-2,6 miliardi). Infine, per

quanto concerne la solidità patrimoniale,

il Gruppo comunica di aver superato

gli obiettivi di patrimonializzazione

raccomandati dall’Eba; il Core Tier

1 calcolato in base all’esercizio Eba

(includendo la valutazione al fair value

del rischio sovrano al 30 settembre

2011) si attesta infatti al 9,24% rispetto

a un requisito minimo del 9 per cento. Al

30 giugno 2012, il Core Tier 1 si attesta

al 10,24%, il Tier 1 al 10,75% e il Total

Capital Ratio al 15,01 per cento. “Il

calcolo degli indici patrimoniali include a

partire dal 30 giugno 2012 l’applicazione

dei modelli avanzati sul rischio di

credito Corporate e sui rischi operativi,

autorizzata dall’autorità di vigilanza nel

maggio di quest’anno. Ulteriori benefici

in termini di minori attività ponderate

per il rischio sono attesi dalla validazione

dei modelli avanzati per i rischi di credito

retail (privati e small business) che verrà

richiesta entro il primo semestre del

2013”.

Performance

Victor Massiah, consigliere delegato di Ubi Banca

Il CdA di Azimut Holding ha approvato la

relazione semestrale al 30 giugno 2012. I

ricavi consolidati sono stati pari a 214,2

milioni di euro (rispetto ai 174 milioni di

euro nel primo semestre 2011), con un

utile netto consolidato di 79,1 milioni,

in forte crescita rispetto ai 44,8 milioni

del 2011. Il totale delle masse gestite a

fine giugno 2012 da Azimut ha raggiunto

quota 16,5 miliardi di euro; il dato

comprensivo del risparmio amministrato

e gestito da case terze direttamente

collocato arriva a 18,6 miliardi di euro. La

posizione finanziaria netta consolidata

risulta positiva per circa 146,9 milioni

(era di 98,8 milioni a fine dicembre 2011

e di 74,3 milioni a fine giugno 2011).

Nel semestre la cassa generata dalle

attività operative è stata di 77,5 milioni

di euro; sono stati pagati dividendi per

circa 34 milioni di euro e sono state

acquistate azioni proprie per circa 2

milioni di euro. Positivo infine anche il

saldo per il reclutamento di promotori

finanziari nel primo semestre 2012:

Azimut Consulenza, AZ Investimenti

ed Apogeo hanno registrato 53 nuovi

ingressi, portando il totale delle reti del

Gruppo a 1.401 unità. “In un contesto

che permane difficile, caratterizzato da

forti tensioni sui mercati obbligazionari

che si ripercuotono sui listini globali,

commenta Pietro Giuliani, presidente e

Ceo di Azimut, la performance ottenuta

a oggi dai nostri clienti è di circa il 5%

(performance media ponderata delle

masse in gestione). Il Gruppo chiude il

semestre con un utile netto in crescita

del 76% rispetto allo stesso periodo

del 2011, segno tangibile della validità

del nostro modello di business. Grazie

al continuo lavoro di sviluppo prodotti,

che ci permette di proporre al mercato

soluzioni sempre innovative come nel

caso dei fondi Renminbi Opportunities,

Bond Target e il più recente Global

Currencies & Rates, e alla capacità

delle reti di assistere i clienti, abbiamo

registrato nei primi sei mesi dell’anno

una raccolta netta di risparmio gestito

di oltre 830 milioni di euro. ll dinamismo

della gestione, l’affidabilità e competenza

delle reti distributive sono, insieme ai

progetti di sviluppo estero, alla base della

strategia di crescita del Gruppo”.

Azimut: pieno di utili nel primo semestre

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54

Performance

Il CdA della Banca Popolare dell’Emilia

Romagna ha approvato i risultati del primo

semestre 2012, chiuso con un utile netto

consolidato di 77,2 milioni (-19,6% a/a) e

un utile netto della capogruppo pari a 82,8

milioni (+3,3% a/a). Considerando però i

dati pro-forma, calcolati considerando

il credito d’imposta non contabilizzato

nel semestre (stimabile in 30,4 milioni di

euro), l’utile netto migliora sensibilmente,

attestandosi rispettivamente a 107,6

milioni (+12%) e 108,7 milioni (+35,8

per cento). Il margine di interesse

ammonta a 657,2 milioni di euro (+1%

a/a, -4,7% trim/trim), sostenuto anche

dall’incremento del portafoglio di attività

finanziarie, mentre le commissioni

nette, pari a 353,5 milioni (+3,7% a/a,

+5,8% trim/trim) mostrano un risultato

positivo, attribuibile principalmente

al contributo dell’attività bancaria

tradizionale. Il risultato netto delle

attività di negoziazione (compresi i

dividendi) si è attestato a 73,4 milioni di

euro, in significativo incremento rispetto

al primo semestre dell’anno precedente.

Hanno concorso a tale risultato il

contributo positivo delle plusvalenze

riferite a titoli di debito per 45,1 milioni

e il contributo negativo della ”Fair Value

Option” sulle passività finanziarie per 18,4

milioni. Nel secondo trimestre il risultato

netto della finanza registra invece una

contrazione a causa, in particolare,

dell’andamento negativo del mercato dei

titoli di Stato Italiani che ha prodotto un

ridimensionamento delle plusvalenze

su titoli di debito (-28,9 milioni). Il

margine di intermediazione risulta pari

a 1084,1 milioni nel periodo, registrando

un +4,2% anno su anno, mentre nel

secondo trimestre il margine registra una

contrazione dell’8,7%, principalmente

a causa del minore apporto dell’attività

di negoziazione. Sono in forte aumento

le rettifiche nette su crediti e su altre

attività finanziarie (295 milioni, +63,1%

a/a), riferibili prevalentemente a rettifiche

operate al comparto del credito (289,6

milioni, +64,8% a/a), in conseguenza

dell’ulteriore deterioramento delle

condizioni congiunturali e degli effetti

provocati dal sisma in Emilia Romagna

del maggio scorso. “L’incremento delle

rettifiche su crediti operate in particolare

nel secondo trimestre (190,9 milioni),

spiega una nota dell’istituto, è dovuto sia

agli effetti del sisma che a un approccio

valutativo del credito particolarmente

conservativo, giustificato dalla

straordinarietà dell’attuale fase del ciclo

economico italiano”. In ogni caso, il costo

del credito complessivo al 30 giugno 2012

è risultato pari a 60 bps (119 bps su base

annua) in peggioramento rispetto ai 37

bps dello stesso periodo del 2011 (71 bps

alla fine dello scorso esercizio). Il risultato

netto della gestione finanziaria è pari

a 789 milioni nel semestre (-8,2% a/a

e -31% trim/trim). I costi operativi,

al netto degli altri oneri e proventi di

gestione, risultano pari a 629,8 milioni

di euro (-2,4% a/a). In questo ambito,

le spese per il personale risultano pari

a 403,3 milioni (-0,85% a/a) e le altre

spese amministrative ammontano a

250,6 milioni (+1% a/a). La crescita è

totalmente riferibile alla componente

imposte e tasse, il cui recupero, pressoché

integrale, è allocato alla voce “Altri oneri e

proventi di gestione”; al netto delle stesse,

le altre spese amministrative risultano in

calo del 4,4% anno su anno. Passando allo

stato patrimoniale, la raccolta diretta

da clientela si attesta a 46,1 miliardi (

-5% rispetto a fine 2011), “a causa del

graduale rientro da alcune tipologie di

operazioni finanziarie con controparti

istituzionali ritenute particolarmente

onerose e del trasferimento della liquidità

degli enti locali sul conto della Tesoreria

dello Stato presso Banca d’Italia previsto

dal decreto Salva Italia (0,9 miliardi)”,

mentre la raccolta indiretta da clientela

è pari a 25,6 miliardi, sostanzialmente

stabile da inizio anno. I crediti verso

la clientela, al netto delle rettifiche di

valore, sono pari a 48,5 miliardi (+0,7%

da inizio anno), mentre l’ammontare

dei crediti deteriorati netti è di 5,3

miliardi (+22,8% da inizio anno), con

una componente di sofferenze di 1,8

miliardi (+14,2%); tali importi risultano

rispettivamente pari all’11% e al 3,7% del

totale dei crediti verso clientela. Infine,

per quanto riguarda i ratios patrimoniali,

determinati sulla base della metodologia

standard di Basilea 2, il Core Tier 1 si

posiziona all’8,07% (dal 7,83% di fine

2011), il Tier 1 all’8,10% (dal 7,86%)

e il Total Capital ratio all’11,38% (era

11,54% a fine 2011). “I risultati del primo

semestre 2012, ottenuti in un contesto

economico particolarmente difficile - ha

dichiarato l’amministratore delegato

Luigi Odorici - confermano la solidità

ed efficienza del Gruppo Bper, che è

fortemente impegnato nell’attuazione

del piano industriale 2012-2014 per

realizzare le sinergie di costi e ricavi

necessarie a mantenere un’adeguata

redditività. Sottolineo, in particolare, la

riduzione dei costi operativi, l’ulteriore

rafforzamento patrimoniale e la crescita

degli impieghi, che attestano una scelta

convinta al servizio del territorio, tanto

più necessaria oggi in una fase di forte

recessione, aggravata dal recente sisma

che ha colpito le aree di insediamento

storico della banca”.

Luigi Odorici, amministratore delegato della Banca Popolare dell’Emilia Romagna

Bper: costi in calo, si rafforza il patrimonio

Page 55: B&M_12

Performance

Il CdA di Veneto Banca ha approvato il

bilancio consolidato del primo semestre

2012, chiuso con un utile netto di 70

milioni di euro (-46,8% a/a) e un Roe

annualizzato pari al 5,6 per cento. Va

detto però che il dato dell’utile 2011 era

influenzato pesatamente dai benefici

economici “straordinari” connessi

all’affrancamento degli avviamenti emersi

in seguito a precedenti aggregazioni

aziendali; la comparazione risulta

pertanto significativa se si prende in

considerazione l’utile lordo ante imposte,

che si attesta a 107,3 milioni di euro

(+84,4% sull’analogo dato del semestre

2011). “Al netto della componente

fiscale, fa notare una nota ufficiale di

Veneto Banca, il Gruppo ha conseguito

un significativo miglioramento di tutti i

principali aggregati reddituali: la robusta

crescita dei proventi operativi, unitamente

all’efficace azione di contenimento dei

costi, ha infatti consentito di chiudere il

semestre con un risultato della gestione

ordinaria in crescita di ben 75,2 milioni

di euro (214,6 milioni rispetto ai 139,4

realizzati nel primo semestre 2011), pari

a una variazione tendenziale superiore ai

50 punti percentuali”. In effetti, da giugno

2011 a giugno 2012 il margine di interesse

è passato da 286,3 a 313,6 milioni di euro

(+9,54%), mentre nello stesso periodo

il margine di intermediazione è salito

da 490,8 a 562 milioni di euro, segnando

un +14,5 per cento. I costi operativi

si sono attestati a 340,4 milioni di euro

(-1,3%), laddove all’interno del comparto

il costo del personale ha registrato la

flessione più rilevante, attestandosi a

198,1 milioni (-1,8%), mentre le altre

spese amministrative hanno evidenziato

una dinamica su base annua pressoché

stabile, confermandosi a 117,4 milioni

(+0,2 per cento). In netto miglioramento,

di conseguenza, anche il cost/income

ratio, che si posiziona al 61,3% dal 71,2%

rilevato a giugno 2011. “A più di quattro

anni dallo scoppio della crisi, sottolinea

l’amministratore delegato Vincenzo

Consoli, il quadro continua a essere incerto,

con grande sofferenza delle imprese e,

più in generale, dell’economia, e questo

ci spinge a grande cautela e prudenza.

Siamo soddisfatti dei risultati conseguiti

in questo primo stralcio del 2012, perché

ci fanno ipotizzare un ulteriore esercizio

positivo. I primi dati ci dicono inoltre che il

piano di razionalizzazione e contenimento

dei costi sta procedendo con efficacia,

contribuendo a farci procedere in

tranquillità nel mare in tempesta. Il cost/

income è infatti migliorato, passando

dal 71,2% al 61,3 per cento. Un’azienda

sana e attenta all’efficienza è sempre e

comunque un valore; in un momento come

questo, diventa un valore inestimabile,

da preservare nell’interesse di tutti i

portatori d’interesse, dei dipendenti in

modo particolare”. Infine, per quanto

riguarda gli aggregati patrimoniali, la

raccolta diretta ha raggiunto quota 31,9

miliardi di euro (+23%); sull’attività di

funding ha peraltro concorso in misura

corposa la raccolta istituzionale; al netto

di tale componente, nel semestre la

variazione è stata del +1,1 per cento. La

raccolta indiretta è salita invece a 23,9

miliardi di euro (+1,5%) e gli impieghi

si sono attestati a 27,4 miliardi di euro

(+1,3 per cento). “La variazione positiva

è particolarmente significativa, fa notare

una nota dell’sitituto, se si considera il

fatto che nel primo semestre dell’anno

gli impieghi a livello di sistema italiano

hanno registrato una lieve flessione. Una

conferma della volontà del Gruppo di

continuare a sostenere, anche in momenti

di grave difficoltà, le economie locali”.

Veneto Banca: bene la redditività

Vincenzo Consoli, amministratore delegato di Veneto Banca

Banca&Mercati Vuoi comunicarci gli eventi in programma nelle prossime [email protected]

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56

Performance

Il CdA di Banca Carige ha approvato i risultati del primo semestre dell’esercizio 2012, chiuso con un utile netto consolidato di

90,2 milioni (+20,1% sul primo semestre 2011). Bene in particolare il risultato della capogruppo, con un utile netto a 94,7 milioni

(+13,1 per cento). Sul risultato economico di Carige ha inciso la dinamica positiva del margine d’interesse (+13,4% a 422,1 milioni),

delle commissioni nette (+7,6% a

158,2 milioni) e del risultato delle poste

finanziarie (+33% a 30,6 milioni). Il

margine di intermediazione risulta pari

a 612,8 milioni (+13,1%); tenuto conto

delle rettifiche di valore nette per il

deterioramento di crediti e di altre poste

finanziarie (93,5 milioni; +50,9%) e del

risultato della gestione assicurativa, il

risultato netto della gestione finanziaria

e assicurativa si attesta a 519,3 milioni

(+8,3 per cento). I costi operativi

risultano invece sostanzialmente stabili a

339,9 milioni (+0,5%), con le spese per

il personale comunque in calo dell’1,1% a

208,9 milioni. Di conseguenza migliora nettamente l’efficienza operativa, con un cost/income ratio del 55,5% in diminuzione di sette

punti percentuali rispetto al primo semestre 2011. Sul versante patrimoniale, la raccolta totale da clientela si attesta a 50.499 milioni

(-4% a/a e -2,9% trim/trim). In questo ambito, la raccolta diretta è pari a 27.630,3 milioni (-2,4% nell’anno e -2,8% nel semestre).

“La raccolta diretta retail (pari a 20,2 miliardi), evidenzia una nota dell’istituto, risulta comunque stabile rispetto a giugno e dicembre

2011, considerando che nel mese di marzo 2012 è stato integralmente convertito in azioni il prestito obbligazionario convertibile per

circa 390 milioni e che nel semestre sono state trasferiti da parte degli enti pubblici i conti correnti di tesoreria presso la tesoreria

Carige: sugli scudi il cost/income

Utile consolidato

Banca Etruria: ok cost/income e margine d’intermediazioneApprovata la relazione semestrale al 30

giugno 2012 di Banca Etruria. L’istituto

aretino (popolare da 184 sportelli e oltre

65mila soci) ha conseguito un utile

netto di 5,6 milioni di euro (+2,6% a/a).

Il margine di interesse fa registrare

una sostanziale tenuta a 111,88 milioni

(-0,8% a/a) con il margine da clientela

influenzato dalle dinamiche di repricing

collegate al contesto congiunturale,

e beneficia dell’incremento degli

investimenti in attività finanziarie della

capogruppo, avviato nella seconda parte

del semestre. Le commissioni nette,

pari a 47,4 milioni di euro (-10% rispetto

al giugno 2011), scontano gli effetti della

crisi sull’operatività dell’attività bancaria

tradizionale, mentre nel semestre

un’ulteriore componente è rappresentata

dalle commissioni passive (2,5 milioni)

pagate per l’emissione di obbligazioni

garantite dallo Stato. Cresce il margine

di intermediazione, che si attesta a

194,4 milioni (+5,9% a/a), con il margine

dell’attività di negoziazione, copertura

e fair value positivo per 34,2 milioni

(16,6 milioni nel giugno 2011). Sono

comunque in crescita, in conseguenza

del peggioramento nel sistema della

qualità del credito, anche le rettifiche

di valore nette, che si attestano a 67,5

milioni di euro (+17,3 milioni). I costi

operativi scendono a 104 milioni di

euro (-8,1% a/a), grazie soprattutto

alla riduzione dei costi del personale

(-8,0%), “in parte ascrivibile alle politiche

di incentivazione all’esodo realizzate nel

precedente esercizio”, mentre le altre

spese amministrative sono pari a 44,6

milioni, in diminuzione di 1,9 milioni

anno su anno. Nel complesso, gli effetti

positivi dell’incremento della redditività

e della riduzione dei costi operativi hanno

determinato un netto miglioramento

del cost/income, che scende al 53,4%

dal 61,3% di giugno 2011. Per quanto

riguarda i risultati patrimoniali, gli

impieghi alla clientela si attestano a 7,5

miliardi di euro (-3,8%), soffrendo per

la debolezza dello scenario economico

che determina una minore domanda

di credito, mentre la raccolta diretta

raggiunge quota 10,4 miliardi (+32,7%

sul 2011). Va precisato però che il dato

comprende anche il funding realizzato

dalla capogruppo relativo all’operatività

sui mercati collateralizzati, al netto del

quale la raccolta diretta si attesta a 7,57

miliardi di euro (+1,1%). La raccolta

indiretta a sua volta cresce a 3,7 miliardi

(+3,1%); aumentano in particolare la

componente gestita (+7,0%) e quella

assicurativa (+5,8%). Infine, in relazione

ai requisiti patrimoniali, i dati gestionali

evidenziano un Tier 1 pari all’8,0% e

un Total Capital ratio all’11,4% che si

attestano rispettivamente al 6,5% e al

9,3% tenendo conto dei requisiti specifici

di vigilanza.

Page 57: B&M_12

57

Performance

Creval: il cost saving contiene il calo di redditivitàIl CdA del Credito Valtellinese ha approvato i risultati consolidati al 30 giugno 2012, che presentano un utile netto di 28,2 milioni di euro

(-12,5% a/a). “Sui risultati della gestione operativa del primo semestre 2012, spiega una nota dell’istituto, incidono significativamente

le avverse condizioni di mercato, soprattutto nel corso del secondo trimestre, cui sono state contrapposte importanti azioni di

repricing, i cui effetti sono tuttavia attesi in misura più significativa nei prossimi trimestri, nonché un rigoroso e stringente controllo

della dinamica dei costi operativi”. Al 30

giugno 2012 il margine di interesse si

attesta a 236,8 milioni di euro (-6% su

base annua), risentendo della marcata

contrazione dei tassi di mercato e di un

maggior costo del funding, mentre le

commissioni nette assommano a 129,5

milioni di euro (-10,6% a/a); in particolare,

sono in flessione le commissioni da

intermediazione finanziaria (-21%

a/a), quelle su operazioni di credito e

altre (-14,4% a/a, diminuzione che si

attesterebbe intorno all’1% al netto della

commissione passiva per la garanzia

statale) e in misura contenuta (-1,5%)

le commissioni per la gestione dei conti

correnti, mentre aumentano del 2,7% a/a

le commissioni per operazioni di incasso e pagamento. I proventi operativi assommano a 396,8 milioni di euro (-6,6% a/a). Gli

oneri operativi sono invece pari a 271,5 milioni di euro (-3,9% su base annua), grazie soprattutto alla riduzione delle spese per

il personale, (161,5 milioni, -6,3% a/a), mentre le altre spese amministrative (90,4 milioni) sono sostanzialmente stabili rispetto

al primo semestre 2011. Peggiora di conseguenza il cost/income ratio, al 68,4% rispetto al 63,7% del dicembre 2011. Il risultato

netto della gestione operativa raggiunge 125,3 milioni di euro (-11,9% a/a).

Le rettifiche su crediti sono pari a 84,9 milioni di euro rispetto ai 72,6 milioni del medesimo periodo dello scorso anno, con un

costo del credito, espresso in percentuale rispetto al totale dei crediti verso clientela, di 73 basis point, in miglioramento rispetto

a 75 bp alla chiusura dell’esercizio 2011. Per quanto riguarda gli aggregati patrimoniali, al giugno 2012 i crediti verso la clientela

si attestano a 22.397 milioni di euro, in leggero miglioramento rispetto a dicembre 2011. “L’andamento riflette la debolezza della

domanda conseguente alle incertezze sulle prospettive di crescita economica, nonostante un’assidua attenzione delle banche del

gruppo al sostegno delle Pmi e delle famiglie delle aree di insediamento, pur in un quadro di rigoroso controllo del rischio di credito”.

I crediti deteriorati, al netto delle rettifiche di valore, complessivamente assommano a 1.926 milioni di euro rispetto a 1.671 milioni

di euro a dicembre 2011. In tale ambito, i crediti in sofferenza, al netto delle rettifiche di valore, si attestano a 637 milioni di euro a

fronte di 573 milioni a dicembre 2011 (+11,3%), con un’incidenza sul portafoglio crediti pari del 2,8%, rispetto a 2,6% a fine anno, e

un livello di copertura del 54 per cento. La raccolta diretta da clientela, pari a 21.737 milioni di euro (-1,6% rispetto a dicembre 2011),

è tuttavia in leggero miglioramento rispetto al primo trimestre 2012, mentre la raccolta indiretta assomma a 11.377 milioni di euro,

in calo rispetto agli 11.566 milioni a fine 2011. La raccolta globale raggiunge quota 33.114 milioni di euro ( -1,6% rispetto a dicembre

2011). Da segnalare infine il miglioramento dei ratios patrimoniali, con il Core Capital ratio al 7,9%, dal 7,3% di dicembre 2011 e il

Total Capital ratio all’11% contro il 10,6% a fine 2011.

Dati patrimoniali consolidati

statale, in applicazione della nuova

normativa che li riguarda”. La raccolta

indiretta è pari a 22.868,7 milioni (-5,8%

nell’anno e -3% nel semestre); all’interno,

il risparmio gestito, pari a 9.660 milioni,

diminuisce del 5,2% nell’anno, ma cresce

dell’1,4% nel semestre, registrando una

ripresa nelle gestioni patrimoniali (+7,9%)

e nei prodotti bancario-assicurativi (+2,4

per cento). Il risparmio amministrato, pari

a 13.208,7 milioni, risulta in contrazione

sia rispetto a giugno 2011 (-6,3%), sia

sul dato di fine anno (-6%). I crediti

verso clientela (al lordo delle presunte

perdite) raggiungono i 27.450,3 milioni

(+3,3% nell’anno e -0,3% nel semestre).

Il rapporto netto sofferenze/impieghi

si attesta al 3,1%, allineato al livello

di sistema, mentre l’incremento delle

sofferenze nel secondo trimestre si è

ridotto al 4,9% a fronte del 5,5% del

primo trimestre dell’esercizio. Infine, i

ratios di vigilanza consolidati vedono il

Core Tier 1 ratio al 6,7% e il Tier 1 ratio

al 7,4% (entrambi invariati rispetto a fine

anno) e il Total Capital ratio al 9,9% (dal

10,1% del 31/12/2011).

Page 58: B&M_12

58

Performance

Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole

ha comunicato i risultati semestrali a

giugno 2012, che evidenziano un utile

netto di 166 milioni (+39,7% rispetto

ai 118 milioni del giugno 2011). Va detto

però che sul risultato incide fortemente

la plusvalenza di 72,5 milioni di euro

relativa alla vendita della partecipazione

in Crédit Agricole Vita a Crédit Agricole

Assurance perfezionata lo scorso marzo.

Analizzando più in dettaglio i dati

del conto economico, emerge che la

redditività del Gruppo è comunque in

crescita, con un Roe al 6,5%, superiore

di quasi un punto percentuale rispetto

a fine anno grazie al buon andamento

dei proventi. I proventi operativi netti

si attestano infatti a 850 milioni di euro

(+4,2% a/a), grazie alla performance

positiva del margine di interesse e delle

commissioni che ha compensato il calo

del risultato dell’attività finanziaria, per

minori proventi sul portafoglio Alm. Gli

interessi, pari a 522 milioni (+1,3% a/a),

sono cresciuti grazie sia allo sviluppo delle

masse clientela sia all’andamento dei

tassi, in contenuto rialzo rispetto all’anno

precedente, mentre le commissioni,

pari a 291 milioni di euro (+7,5% a/a),

sono state trainate sia dall’incremento

dell’attività di gestione, intermediazione

e consulenza sia dalla variazione positiva

dei ricavi. Gli oneri operativi sono pari a

576 milioni, in netta crescita rispetto al

2011 (+15,1%), ma a questo proposito

va precisato che il dato è condizionato

dal differente perimetro di riferimento,

includendo infatti anche gli oneri relativi

alle 96 filiali acquisite da Intesa Sanpaolo,

ai quali vanno aggiunti i costi legati al

piano di esodo incentivato pari a 54

milioni. Al netto degli oneri riconducibili

al Fondo di Solidarietà, la variazione

risulterebbe pari a 21 milioni (+4,2 per

cento). In ogni caso, nell’ambito degli

oneri operativi, le spese per il personale

ammontano a 372 milioni di euro

(+22,7% a/a, fortemente condizionate

dal nuovo perimetro), mentre le altre

spese amministrative totalizzano 158

milioni (+0,6% a/a). In questo quadro

il cost/income, al netto degli effetti

non ricorrenti, si posiziona a 60,9% in

leggero aumento rispetto al giugno 2011

(+2,5 per cento). Da segnalare infine la

netta crescita delle rettifiche di valore

sui crediti, attestate a 154 milioni di euro

(+41,9% a/a), a causa, oltre che della

congiuntura negativa, “di accantonamenti

integrativi sul alcune posizioni importanti,

comunica una nota ufficiale dell’istituto,

nonché dell’adeguamento alla nuova

normativa di Banca d’Italia che prevede

l’abbassamento della soglia past due da

180 a 90 giorni”. “Anche in un contesto

difficile, commenta il Ceo Giampiero

Maioli, il Gruppo Cariparma Crédit

Agricole ha saputo mantenere margini e

costi sotto controllo. Abbiamo sviluppato

la raccolta ottenendo una significativa

eccedenza di liquidità senza usufruire

dei capitali messi a disposizione dalla

Bce. La liquidità eccedente è stata

subito reinvestita sia a sostegno delle

attività italiane del Gruppo sia a sostegno

dell’economia reale, famiglie e imprese.

E’ stato inoltre avviato un progetto di

razionalizzazione della spesa trasversale

alle fabbriche prodotto in Italia per

ottimizzare le sinergie di Gruppo.

Nonostante l’aumento del costo del

credito, conseguente al deterioramento

dei fondamentali economici, abbiamo

saputo mantenere un elevato livello di

coperture”.

In effetti, a proposito della liquidità, il

Gruppo ha realizzato un eccesso di

liquidità clientela pari a 1,2 miliardi di

euro, investita a supporto delle attività

del Gruppo in Italia e a sostegno delle

famiglie. La raccolta diretta si assesta

a 34,9 miliardi di euro (+6,1% a/a),

“risultato che ha beneficiato del piano

di collocamento obbligazionario rivolto

ai privati (+740 milioni da inizio anno)

e delle numerose sottoscrizioni del

conto deposito Crescideposito Più con

le quali, da gennaio, sono stati ottenuti

oltre 500 milioni di raccolta”. La massa

amministrata totale del Gruppo al

30 giugno si attesta a 81,6 miliardi

(comprensivi di 46,7 miliardi di raccolta

indiretta). Sul fronte degli impieghi, pari a

33,7 miliardi di euro (+1% a/a, al netto dei

finanziamenti a società del Gruppo Crédit

Agricole), da inizio anno si è verificata una

crescita più sostenuta rispetto al sistema

(+0,4% del Gruppo vs -1% del sistema),

supportata soprattutto dal comparto

famiglie. Infine, sul fronte della solidità

patrimoniale i ratio del Gruppo risultano

ulteriormente rafforzati, con il Core Tier 1

all’8,8% (+0,5% vs dicembre 2011), il Tier

1 al 9,2% (+0,5% vs dicembre 2011) e il

Tier Total al 12,2% (+0,8% vs dicembre

2011). “Possiamo dirci soddisfatti, spiega

Ariberto Fassati, presidente del Gruppo

Cariparma Crédit Agricole, perché anche

in un contesto macroeconomico così

difficile come quello attuale nell’Eurozona

e in Italia, il Gruppo Cariparma Crédit

Agricole ha confermato di essere una ‘casa

solida’. Gli interventi avviati già dal 2011 e

volti al consolidamento del patrimonio in

previsione delle nuove regole di Basilea 3

sono stati efficaci ed hanno accresciuto i

coefficienti di solidità patrimoniale”.

Giampiero Maioli, Ceo di Cariparma Crédit Agricole

Cariparma Crédit Agricole: proventi in crescita, bene la raccolta

Page 59: B&M_12

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Page 60: B&M_12

60

Maurizio Montagnese e Francesco

Micheli sono stati nominati,

rispettivamente, presidente e

amministratore delegato-direttore

generale di Intesa Sanpaolo Group

Services (ISGS). ISGS è la società

consortile del Gruppo a cui fanno capo

i sistemi informativi, i servizi operativi,

l’organizzazione e la sicurezza, la gestione

immobiliare, gli acquisti e la Contact

Unit clienti. E’ inoltre previsto che in

ISGS confluiranno l’amministrazione

e la formazione del personale, i servizi

generali, il legale e contenzioso e il

recupero crediti. Montagnese, torinese,

classe 1956, è attualmente presidente di

Sagat, la società di gestione dell’Aeroporto

di Torino, e consigliere di amministrazione

di Saipem (Gruppo Eni). In passato ha

ricoperto ruoli di rilievo nei Gruppi Fiat,

Olivetti, UniCredit e Sanpaolo Imi. Micheli

è invece il chief operating officer di

Intesa Sanpaolo. Lo staff del consigliere

delegato e Ceo di Intesa Sanpaolo, Enrico

Cucchiani, si arricchisce di tre nuove

figure professionali caratterizzate da

importanti esperienze internazionali. Il

team è composto da Silvana Chilelli,

Mba alla Columbia University e undici

anni trascorsi nelle sedi di New York

di primarie investment bank quali JP

Morgan e Merrill Lynch; Ilaria Romagnoli

già responsabile del merger & acquistion

financial istitutions Europe di Rothschild

e, a partire da ottobre, Tomas Spurny,

Mba alla Columbia University e trascorsi

alla Manufacturers Hanover, già

Ceo di aziende bancarie nell’Europa

centrorientale.

Carriere

Intesa Sanpaolo

Il CdA di Cariparma, su proposta di

Giampiero Maioli, Ceo del Gruppo

Cariparma Crédit Agricole e senior

country officer di Crédit Agricole per

l’Italia, ha nominato Hughes Brasseur

condirettore generale della banca.

Brasseur succede nell’incarico a Philippe

Voisin, chiamato dalla capogruppo

a Bruxelles per ricoprire il ruolo di

amministratore esecutivo e vicedirettore

generale del Crédit Agricole de Belgique.

Brasseur, nato il 9 giugno 1965 nella

regione Nord-Pas de Calais, con una

formazione di carattere finanziario, può

vantare una conoscenza approfondita in

tutte le attività di banca, dall’ispettorato/

audit al back office, dal marketing al

commerciale, con particolare attenzione

al mercato retail. Nel Gruppo Crédit

Agricole dal 2000, dapprima alla Caisse

Régionale Val de France come direttore

Sviluppo e Servizi Bancari, quindi a

Crédit Agricole S.A. come direttore

marketing retail del Polo Caisses

Régionales, ricopriva attualmente il ruolo

di vicedirettore generale della Caisse

Régionale de l’Anjou et du Maine. A

Brasseur va la responsabilità del settore

commerciale (Marketing e Reti) per tutti i

canali (privati, imprese-corporate, private

banking, agroalimentare) e dei Crediti del

Gruppo Cariparma Crédit Agricole.

Cariparma

Hughes Brasseur, condirettore generale di Cariparma

Ig Markets rafforza il proprio team di

analisti con l’ingresso di Filippo Diodovich

in qualità di Market strategist. Diodovich è

esperto di analisi fondamentale e tecnica,

applicata ai mercati finanziari (azionari,

valutari, obbligazionari, delle commodities

e dei derivati). Inizia il proprio percorso

professionale nel 2002 a San Diego

presso l’ufficio studi di Merril Lynch,

per poi passare nel 2003 a lavorare per

FTAOnline, azienda italiana specializzata

nell’utilizzo delle metodologie dell’analisi

tecnica per valutare l’andamento delle

piazze finanziarie. “L’ingresso di Filippo

Diodovich nel team di Ig, afferma

Alessandro Capuano, managing director

di Ig Markets Italia, rafforza l’offerta di

analisi tecniche e di mercato. La strategia

Ig è di offrire ai propri clienti il maggior

numero di informazioni possibili per un

trading consapevole e informato, due

condizioni essenziali per consentire loro

di operare sui mercati con successo”.

Filippo Diodovich, Market strategist di Ig Markets

Ig Markets

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Carriere

Jan Peterhans ha assunto la

responsabilità globale per la gestione

del portafoglio azionario di Swisscanto.

Peterhans, classe 1971, ha lavorato per

oltre dieci anni nell’ambito della gestione

di portafoglio presso Ubs, dapprima in

veste di manager di vari fondi azionari e dal

2007 in qualità di global head SRI Equities

(Socially Responsible Investments).

Nel suo nuovo ruolo, Peterhans sarà

responsabile della strategia core-satellite

dei fondi azionari di Swisscanto. Inoltre,

in qualità di specialista SRI, porterà

avanti anche l’attività pionieristica

di Swisscanto in questo ambito,

contribuendo all’applicazione dei principi

di investimento responsabile delle

Nazioni Unite (United Nations Principles

for Responsible Investment - UN PRI) da

parte di Swisscanto.

Swisscanto

Jan Peterhans, responsabile globale per la gestione del portafoglio azionario di Swisscanto

M&G Investments ha rafforzato con due

nuove nomine il team basato a Milano.

Andrea Orsi è entrato in M&G l’11 maggio

scorso come associate director per

occuparsi dello sviluppo dei rapporti con

le banche globali, e di alcuni distributori

retail e istituzionali. Orsi, che sostituisce

Cécile Cacaly, promossa associate

director Global Banks con base negli

uffici di M&G a Londra, ha trascorso gli

ultimi nove anni in Pioneer, ricoprendo

vari ruoli tra cui quello di gestione

portafogli e, più recentemente, di Key

Account director, mentre in precedenza

aveva lavorato in Citigroup e Credito

Artigiano. Altro ingresso per M&G Italia

è Raffaela Aprea, che lavorerà come

Senior Sales Support, sostenendo il team

con un ruolo organizzativo vitale per

l’espansione delle attività. Aprea proviene

da UniCredit Banca e precedentemente

da Pioneer Investments. Oltre ai due

nuovi ingressi, Manuel Pozzi, entrato

in M&G Italia nel gennaio del 2011 come

Retail Business Development Manager,

è stato promosso a Sales manager.

Infine un’altra novità interna al team,

che oggi conta otto persone nell’ufficio

di Milano, è la promozione di Lorna Neri

a Investment Consultant. Nel suo nuovo

ruolo, svilupperà i rapporti con i principali

distributori, i promotori finanziari e i

private banker, fornendo loro una più

profonda conoscenza dei comparti M&G.

M&G Investments

Andrea Orsi, associate director M&G Italia

Carmignac Gestion annuncia l’ingresso

di due nuove risorse nel team elvetico

della società: dal mese di settembre

Katja Wiechers e Alexander Bischoff

ricoprono il ruolo di Client Development

managers per la Svizzera. Sotto la

guida di Marco Fiorini, responsabile

della clientela professionale della

confederazione, Wiechers (ex Bnp Paribas

Asset Management e in precedenza

Fortis Investments) e Bischoff (che nel

suo curriculum vanta esperienze presso

Fisch Asset Management e Falcon

Private Bank) avranno il compito di

rafforzare i rapporti con la clientela locale

distribuendo i prodotti di Carmignac

Gestion attraverso una rete di consulenti

finanziari indipendenti, family office,

banche, compagnie di assicurazione e

terze parti.

Carmignac Gestion

Katja Wiechers e Alexander Bischoff, Client Development managers per la Svizzera di Carmignac Gestion

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Storie di business

L’oro? Un investimento destinato a crescere nel tempo. Ma per chi desidera acquistare oro fisico, sottolinea Giorgio Villa, amministratore delegato di 8853 SpA, è preferibile affidarsi ai banchi di metalli preziosi autorizzati dalla Banca d‘Italia al commercio in via professionale dell‘oro, perché garantiscono sempre la qualità dell’oro che vendono e applicano un prezzo in linea con il mercato

Il bene rifugio per eccellenza

Come ogni materia prima, anche l’oro è soggetto a oscillazioni, a volte anche notevoli, dal punto di vista del suo valore economico sul mercato. In ogni caso, guardando in prospettiva, il suo valore è destinato senza dubbio a crescere. Acquistare oro oggi significa possedere un bene destinato ad aumentare il suo valore nel tempo. E’ l’opinione di Giorgio Villa, amministratore delegato di 8853 SpA, azienda milanese fra i leader in Italia nella commercializzazione di metalli preziosi puri o in forma di lingotti di varie pezzature, nella produzione di leghe dentali e semilavorati a uso orafo e di leghe speciali per l’industria. “Il mercato dell’oro, sottolinea Villa, è tuttora in crescita sia dal punto di vista dei volumi trattati che dal punto di vista del prezzo. Del resto in questo periodo di grave crisi finanziaria l’oro fisico ha recuperato il suo reale ‘valore’ storico: quello del bene rifugio per eccellenza, con una quotazione globalmente riconosciuta e facilmente monetizzabile. Si pensi che nei paesi asiatici l’oro viene addirittura utilizzato per il baratto”.

L’oro in lingotti

Dunque cosa significa acquistare oro sotto forma di lingotti? “Significa mettere al sicuro una parte dei propri investimenti, ribadisce Villa. In effetti, gli stessi consulenti finanziari consigliano in gran parte di mantenere un 10%

del proprio patrimonio investito in oro fisico. Nel tempo, il valore di questo investimento è destinato a crescere. Basti pensare che negli ultimi dieci anni il prezzo dell’oro è addirittura triplicato. Qualcuno può pensare che si tratti di un fenomeno contingente, legato all’andamento dei mercati borsistici negli ultimi anni. In realtà, bisogna sempre considerare che, anche se è vero che altri giacimenti auriferi saranno scoperti e nuove tecnologie faciliteranno l’estrazione, l’oro resta una risorsa scarsa, una fonte non rinnovabile. Pertanto la sua rarità ne accrescerà sempre di più il valore”. Per chi intende investire sull’oro fisico, è però altrettanto importante affidarsi sempre a persone competenti e autorizzate. “Affidarsi ai banchi di metalli preziosi autorizzati dalla Banca d‘Italia al commercio in via professionale dell‘oro, sostiene Villa, è importante perché si può sempre avere una consulenza precisa, un consiglio utile su come muoversi e poi, ma forse soprattutto, perché un Banco garantisce sempre la qualità dell’oro che vende e applica un prezzo in linea con il mercato”. Un ulteriore punto importante riguarda la liquidabilità pressoché immediata che garantisce l’oro. “L’oro, conferma Villa, è facilmente vendibile e la differenza tra prezzo d’acquisto e di vendita è minima. Del resto la serietà di una ditta si dimostra anche dal fatto che è disponibile a riacquistare il metallo in qualsiasi momento e ai prezzi di mercato, attenendosi alle disposizioni di legge. Alcune

Giorgio Villa, amministratore delegato di 8853 SpA

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Storie di business

aziende, come la nostra, consentono di effettuare questa operazione anche on line”.

La procedura da seguire

Ma qual è la procedura da seguire per chi intende vendere oro usato, magari i lingottini ereditati dal nonno, anelli ormai fuori moda oppure gettoni d’oro vinti nei concorsi a premio di trasmissioni televisive?Tecnicamente la legge impone agli operatori autorizzati di identificare i privati che vogliono vendere chiedendo loro un documento d’identità e il codice fiscale, annotando l’operazione su un apposito registro vidimato dalla P.S. (“Registro del commercio di beni usati, antichità e preziosi”). Si procede quindi al controllo degli oggetti preziosi ceduti e viene compilata una pratica, la cui copia avrà valore di ricevuta per il privato. Se è possibile stabilire il titolo degli oggetti contenenti il prezioso (come i gettoni delle vincite o lingotti marchiati) allora verrà anche fissato il prezzo d’acquisto, in base alla quotazione che avrà il metallo puro in quel momento, altrimenti bisognerà procedere a un’analisi per poter quantificare il contenuto. Una volta adempiuto a questa pratica il cliente verrà chiamato per fissare l’ammontare esatto dell’operazione. Il pagamento avviene tramite bonifico bancario. La valuta viene fissata a 10gg dal ricevimento della merce.

Questo perché la legge (art. 128) impone di tenere fermo, quanto acquistato da privati, per dieci giorni allo scopo di permettere gli eventuali controlli da parte della questura.“La 8853, spiega Villa, per la vendita di lingotti opera anche attraverso Internet senza che il cliente debba essere presente fisicamente nei nostri uffici e tutta l’operazione può essere effettuata tramite lo scambio dei documenti tramite fax o e-mail”. Si deve porre sempre attenzione su due semplici marchi che, per legge, devono essere presenti su ogni oggetto. Uno è il “marchio d’identificazione” che dice chi è il fabbricante: si tratta di un poligono al cui interno troviamo una stella a cinque punte con un numero e una sigla di provincia. Il marchio di 8853 SpA, ad esempio, è “1748 MI”. L’altro è il “titolo” che dice di che metallo si tratta e in che proporzione è contenuto (i cosiddetti millesimi). Per una più facile identificazione la forma è diversa a seconda del metallo, una losanga per l’oro e un ovale per l’argento, e conterrà l’indicazione del titolo del metallo (ad es.: Au 750°/°°). Importante, infine, ricordare che grazie alla legge 7/2000 l’acquisto di lingotti d’oro non è soggetto a Iva.

Giorgio Villa, amministratore delegato di 8853 SpA

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Storie di business

I vantaggi della virtualizzazione

E’ un rapporto di collaborazione di lunga data, quello fra Crif e Check Point. Il gruppo bolognese, realtà leader in Italia nei sistemi di informazioni creditizie, business information e supporto decisionale, si affida alle soluzioni di sicurezza targate Check Point dal 2004, data della prima implementazione di firewall in azienda. Nel corso del tempo, parallelamente alla crescita di Crif, che attualmente conta su circa 1.200 server, sono aumentate anche le necessità di sicurezza e si è fatta più marcata la presenza delle soluzioni Check Point. “Le informazioni che trattiamo, spiega Carlo Romagnoli, responsabile Distributed It Operations di Crif, sono per loro natura sensibili, e non possiamo permetterci il benché minimo problema di sicurezza. Sotto questo aspetto, la nostra soddisfazione verso le soluzioni Check Point è stata costantemente alta nel tempo, ulteriormente rafforzata da un’offerta davvero completa e dalla competenza del personale che ci ha supportato”.

La scelta della virtualizzazione

Nel 2010, Crif ha avviato un ampio progetto di rinnovamento e ridefinizione della propria infrastruttura It, che prevede un esteso utilizzo della virtualizzazione. Una scelta che è stata estesa anche alla rete e alle funzioni di sicurezza, ora standardizzate su piattaforma Check Point.“Questo progetto, commenta Romagnoli, è nato con l’obiettivo specifico di consolidare e semplificare

l’infrastruttura di sicurezza, ottenendo così vantaggi significativi in termini di costi e di gestione. Sono state acquisite quattro appliance Check Point Vsx, su cui sono state installate 25 istanze firewall virtuali. Il passaggio alla virtualizzazione è stato graduale, completato nell’arco di qualche mese tra il 2011 e il 2012. Il progetto è stato seguito internamente all’azienda, con il supporto dei Professional Services Check Point e di altri partner. Attualmente, sono ancora presenti in azienda cinque cluster di firewall fisici, su cui sono state installate alcune software blade dedicate, quali AntiVirus e Url Filtering, ma la riduzione nel numero delle macchine presenti ha portato a una semplificazione importante nella gestione complessiva dell’infrastruttura”.

Ruolo fondamentale

Dunque oggi le appliance Check Point giocano un ruolo fondamentale nella sicurezza della rete di Crif. Dai loro gateway virtuali transitano una serie di informazioni riservate, critiche sia per il core business dell’azienda che per quello dei suoi clienti. Tra le funzioni implementate sulle appliance Vsx vi sono Ips e Url Filtering, mentre un livello ulteriore di efficacia nella gestione è stato aggiunto con l’implementazione di Eventia Log Analyzer, che permette di tenere traccia del transito di dati e informazioni sulla rete aziendale. “Possiamo dire che la sicurezza di Crif, per quanto riguarda Lan, server, sistemi hardware e software, aggiunge Romagnoli, dipende dalle soluzioni

Grazie alla scelta di virtualizzare la sicurezza di rete attraverso le soluzioni Check Point, Crif ha conseguito benefici significativi semplificando la gestione e riducendo i costi

Carlo Romagnoli, responsabile Distributed It Operations di Crif

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Storie di business

Check Point, e queste finora non hanno mai tradito le nostre aspettative”. Inoltre Crif ha potuto godere dei vantaggi tipici della virtualizzazione, sotto forma di riduzione dei costi legati alle licenze, di semplificazione della gestione e flessibilità nel management. “Alcuni benefici in termini di costi sono più facilmente quantificabili, spiega Romagnoli. Altri, come la possibilità di gestire un’infrastruttura omogenea e moderna con tutta la flessibilità che solo la virtualizzazione permette, sono difficili da misurare ma non meno importanti, senza contare la notevole usabilità della piattaforma”. Se la gestione si è fatta più semplice e immediata, altrettanto importanti sono le opportunità di sviluppo che si sono aperte per il team It di Crif. “Grazie alla virtualizzazione è stato possibile implementare un progetto di Business Continuity che permette di raggiungere un livello di affidabilità ancora più alto, grazie alla possibilità di mantenere l’operatività anche nel caso di problemi gravi a livello di data center”.

Banca&Mercati newsogni settimana tutte le notizie principali dal mondo finanziario e assicurativo

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Arte

Il dodicesimo Art Market Report a cura dell’Area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena sottolinea la ripresa del mercato dell’arte, trainato dai segmenti a maggior capitalizzazione, anche se restano lontani i picchi del 2008. Rispetto ad allora è il catalogo a fare la differenza, perché oggi la clientela appare molto più attenta ed esigente

Il catalogo fa la differenza

Sul mercato dell’arte sembra essere tornato finalmente un clima di fiducia dopo la fase di assestamento degli ultimi tre anni. E’ la principale conclusione del dodicesimo Art Market Report a cura dell’Area Research di Banca Monte dei Paschi di Siena. Il rapporto si sofferma in particolare sui risultati consuntivi del primo semestre 2012, evidenziando il netto progresso del Mps Global Painting Index (+23,8 % a/a), l’indice elaborato da Mps che sintetizza l’andamento del mercato sulla base dei risultati delle maggiori transazioni di case d’asta di carattere ricorrente. Anche se si resta ancora lontani dal picco del 2008, la ripresa sembra oggi sostenuta e solida nei segmenti a maggior capitalizzazione, come il Mps Art Pre war Index (+17,8%a/a) e il Mps Art Post war Index (+75,7% a/a) in rialzo sulla scia dei nuovi record mondiali di questo semestre. “Oggi è il catalogo a fare la differenza: la clientela è molto più attenta ed esigente rispetto alla fase euforica del 2008, il tasso di unsold medio staziona nella regione del 23% per lotto, testimoniando un livello di aspettative molto alto. La volatilità del segmento post War, ad esempio, risente della capacità delle case d’asta di proporre in catalogo capolavori universalmente riconosciuti, mentre sembra terminata la fase della sperimentazione e degli artisti più speculativi. Non stupisce dunque che il progresso registrato dall’indice globale sia fortemente condizionato dagli eccezionali battuti dei capolavori presentati in sala (Edvard Munch “L’Urlo” del 1895, Mark Rothko “Orange, Red, Yellow” del 1961 e Roy Lichtenstein “Sleeping Girl” del 1964 )”.

La fascia alta traina l’arte contemporanea

Nell’analisi per comparti, il Mps Art Old Masters e 19° sec. Index risulta in flessione nel primo semestre (-16,7% a/a), ma è comunque atteso in crescita nel secondo semestre seguendo la normale stagionalità del comparto. Da segnalare inoltre come il tasso di unsold complessivo del comparto si attesti sul 32,2%, sensibilmente superiore alla media del mercato del 22,8%, “segno di un mercato sempre più selettivo e teso a premiare le opere di elevate qualità a scapito dei lotti meno pregiati”. Come detto, il comparto Pre War è in ripresa rispetto al 2011 (+17,7% ca.), sulla scia dei brillanti risultati ottenuti nelle aste newyorchesi di maggio, tra i quali si segnala ovviamente il nuovo record mondiale (“L’Urlo” di Munch, l’unica delle quattro versioni esistenti ancora in mani private, mentre le altre tre sono attualmente esposte in musei norvegesi, ndr) aggiudicato per circa 120 milioni di dollari. Il Mps Art Post War Index rappresenta il comparto maggiormente interessato dalla ripresa (+75,7% a/a), galvanizzato dai nuovi record prices stabiliti dagli artisti più storicizzati e da un’offerta ricca di opere di assoluta qualità. Il tasso di unsold per il comparto si è attestato al 18,2%, nettamente al di sotto della media del settore. “Dall’analisi per classi di valori emerge come in risposta alla crisi finanziaria l’offerta sia divenuta sempre più selezionata. Nei cataloghi di arte contemporanea, infatti, è sempre più predominante la presenza di opere appartenenti a una fascia alta (circa il 37% dei lotti battuti), mentre è in

Art Market ReportLuglio 2012Numero 12

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Arte

forte contrazione la fascia media. Ciò è dovuto alla più difficile collocazione dei lotti di valore inferiore ai 30mila dollari (la cosiddetta fascia media), poiché i compratori di tale segmento (musei, istituzioni pubbliche e retailer) sono quelli che hanno risentito maggiormente della crisi

finanziaria. La spiccata domanda di opere di qualità spingerà ulteriormente le case d’asta a produrre cataloghi sempre più curati e ricchi di opere rare, dove la curatela rappresenta sempre più un elemento cardine”.

Sempre più protagonisti i maestri italiani del XX secolo

Per quanto riguarda l’analisi territoriale, appare netto il divario tra i lotti venduti di fascia alta in Usa e Uk (rispettivamente 40,1% e 35,8%) rispetto all’Europa (20,5%); in ogni caso, nell’ultimo anno la “fascia alta” (ossia i lotti da oltre 100mila dollari) è in crescita in tutte le piazze internazionali; importante anche il progresso

dell’area asiatica, fortemente sbilanciata su un’offerta di qualità ed elevato appeal. “Tra i nuovi mercati emergenti, oltre a Dubai, si segnala anche il Brasile che (al pari del Messico), con una sempre più vasta platea di compratori danarosi e competenti già molto attivi nelle aste di New

York e nelle più importanti fiere internazionali, si candida come futura potenziale sede d’asta internazionale”. In questo quadro, si conferma la diminuita importanza della piazza italiana sul mercato, ma l’arte italiana vede comunque aumentare il suo appeal nella scena internazionale. “Le settimane di aste milanesi dello scorso maggio hanno confermato gli eccezionali risultati delle Italian Sales dell’ottobre scorso: i grandi maestri italiani del XX secolo stanno sempre più incontrando i favori della raffinata clientela del collezionismo internazionale e vengono comprati sia per fini collezionistici sia per fini speculativi di lungo periodo, in quanto oggi reputati dal mercato veri e propri beni rifugio”.

Unsold medio stabile ma in Asia si vende meglio

Il MPS Global Painting Art Index- evoluzione degli ultimi sei anni

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