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PUBBLIZETA mensile bergamasco Giugno 2009 Anno 1 - numero 0 - www.bergamoup.it Poste italiane spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1, DCB Brescia 0 € 1,00

BergamoUp N° 0 giugno 2009

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Mensile di economia, costume e società

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BERGAMO2009giugno

«E’ meglio essere ottimistied avere torto

che essere pessimistied avere ragione»

A. Einstein

www.bergamoup.it

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2n°0BERGAMO UP, PER CONOSCERE E PER VALORIZZARE I MILLE TESORI

DELLA TERRA E DELLA GENTE BERGAMASCA

Ci siamo! Il momento tanto atteso è arrivato. Bergamo UP, il nuovo mensile, si presenta con grande entusia-smo e con una particolare voglia di conoscere e di farsi conoscere. Parte una nuova, coinvolgente avventura che ha un obiettivo tanto preciso quanto importante, un punto di riferimento che guiderà giorno dopo giorno gli sforzi di tutti coloro che hanno deciso di portare avanti questo progetto e che può essere sintetizzato nell’in-tento di scoprire e valorizzare i mille tesori della terra e della gente bergamasca, le innumerevoli iniziative di una provincia che da sempre è tra le principali protagoniste della vita in Italia e che, proprio per questo, merita di essere posta sotto un’attenta lente di ingrandimento per sentirsi attribuire non solo tutti i meriti che le competono, ma anche e soprattutto per poter avere un valido alleato sul quale contare per rendere sempre più spedito ed illustre il proprio passo. E’ un disegno che prende spunto da una semplice, ma entusiastica os-servazione di tutto quello che Bergamo rappresenta ed ha rappresentato, una realtà che da sempre non ama troppo le parole, ma preferisce di gran lunga la concreta realizzazione di fatti che meriterebbero il massimo spazio. Bergamo e la sua gente sono infatti un sinonimo di laboriosità e di capacità che devono essere posti, come è giusto, in prima fila. In quest’ottica, pur senza avere particolari mezzi a nostra disposizione, ma es-sendo animati soprattutto da grande voglia di fare e da una precisa convinzione in tutto quello che potremmo individuare come il sistema bergamasco, il nostro mensile è pronto ad accompagnare questo avvincente cam-mino e a fungere da cassa di risonanza di tutto quello che accade e che merita di essere conosciuto e valo-rizzato. In questo momento la nostra squadra è pronta ad iniziare questa strada che chiediamo innanzitutto al maggiore numero possibile di persone di condividere con noi. In effetti proprio il sostegno e la collaborazione dei bergamaschi e di tutti coloro che hanno a cuore questa splendida terra rappresentano la linfa indispensa-bile senza la quale la nostra testata non può certo portare avanti lo scopo che l’ha vista nascere. Noi, da parte nostra, siamo pronti e decisi a mettere a disposizione tutta la professionalità e l’attenzione della nostra reda-zione, ma, grazie all’intraprendenza ed alla volontà del gruppo Pubblizeta, che ha dato il via a questa nuova iniziativa editoriale, possiamo affiancare tra le risorse che accompagnano questa nostra partenza così carica di speranze e di obiettivi da raggiungere, l’esperienza similare che viene vissuta ormai da due anni a questa parte da Brescia Up, il mensile che nella vicina provincia della Leonessa si prefigge di seguire e di valorizzare i fatti che accadono e che caratterizzano la vita della gente. Un discorso che, pur tenendo ben presenti e ben distinte le peculiarità che accompagnano la terra bergamasca e la sua gente, può essere utile anche nel momento di iniziare questo nuovo viaggio alla curiosa scoperta delle qualità e dei grandi valori della provincia orobica. Dalla precedente esperienza di Brescia Up potremo ricevere i consigli e le dritte per rendere subito spedito e diretto il nostro cammino, ma dalla gente e dalle mille, preziose realtà di Bergamo attendiamo il fon-damentale sostegno per rendere credibile e profonda questa nostra testata, per dare al nostro sguardo quella curiosità e quell’indipendenza che lo possono trasformare in uno strumento utile e positivo al servizio di tutta la comunità bergamasca, proprio come è nelle speranze di tutti noi nel momento di iniziare questo viaggio, che speriamo possa essere lungo e coinvolgente, di Bergamo UP, il nuovo mensile dei bergamaschi e delle vicende di questa terra che vi invitiamo a riscoprire e a valorizzare passo dopo passo insieme a noi!

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06 / 2009 CONTENTS

copertina design by:Stefano MarcoliniPh:Matteo Deiuri

PREVIEW

Cover Story

Monwatch

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Man Up

Azienda Up

Medicina Up

Speciale motori

IL mito Up

Imprenditoria Up

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50 Ristorazione Up

Giorgio Bassan

DeART

Mille Miglia

Harley Davidson

Ottica Foppa

Innovazione Up

Punto Giallo

Autosalone Epis

Da Dorillio

Bergamo UP magazine

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4 5

Ristorazione Up

Gioielli Up

Gioielli Up

Ristorazione Up

Lavori di una Volta

Bergamo Up

Design Up

Benessere Up

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Pane e Vino

Caffè del Largo

Tranquilli, gioielleria

Via Montenapoleone

Bottega di nonna Betta

Bergamo città alta

Moda d’Interni - moda mobil

Grupò, parrucchieri

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6

Psico UpLa prostituzione relazionale

Talent UpCocò

Benessere Up

Rock UpLaura Pausini

Event UpAutosalone Epis

Event UpLa Notte Bianca dello Sport

Event UpFacchinetti, Dj Francesco

Jerv Up

Bel Paese

Arte Up

Event UpDavidoff

OroscopoCancro

Arte Up

Focus economico

Storia Up

Event UpFace 2 Face

Event UpNikita

Event UpSmalto

Dottore UpZirilli

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76

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Thai spa

La Bussola di Ermete

Castelli Calepio

Vito Signorile

Guido Visentini

La ristrutturazione del debito

La mummificazione

Pensieri e paroleScuola & Famiglia

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Scuola UpCastoldi

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112

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6 7

Testi e immaginidella presente pubblicazione

non possono essere riprodottisenza autorizazzione firmata

,

da Pubblizeta Production.

TEAM

EditorePUBBLIZETA

di Emanuele Zarcone

25125 | Brescia | ITAvia Bruno Buozzi, 5/A

[email protected]

General ManagerMichele Oggioni

Direttore ResponsabileLuca Marinoni

[email protected]

CaporedattoreBianchi Lidia

RedazioneLaura Generali

AmministrazioneManuela Prestini

[email protected]

ArtPubblizeta [email protected]

ImpaginazioneStefano Marcolini

Federica [email protected]

Pubbliche RelazioniMassimiliano de Stefano

Progetto GraficoStefano Marcolini

[email protected]

SegreteriaChiara Pellegrini

[email protected]

Webwww.bergamoup.it

StampaCastelli Bolis – Poligrafiche Spa

PhotographerMatteo MottariMatteo Deiuri

Rolando Giambelli

Pubblicità e Abbonamenti: T 030 35 82 603 F 030 35 82 738Nuova sede: Bergamo, via Casalino 5h

n°0Bergamo up Magazine

BergamoUpPeriodico Mensiledi informazione localeIscrizione pressoil Tribunale di Bergamon° 16/2009 del 18 Maggio 2009

RedazioneT: +39 030 35 82 603T: +39 030 35 83 046F: +39 030 35 82 738

Hanno collaborato:Vip international srl, Luca Marinoni, Fotomodels,Luca Carrara, Francesco Traini,Mino Mottari, Nadia Scotti, Barbara Epis, Antonio Russo,Emanuele Lumini, Andrea Cirelli.

Bergamo UP magazine 06 / 2009

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Monwatch, orologi unici per passione

Quando da una passione nasce un’idea. È questo il caso della MonWatch di Marco Mauri, amante del settore degli orologi che, dalla fine degli anni

Ottanta, entra nel mondo dell’orologeria con l’instancabile desiderio di trovare soluzioni sempre più ricercate e innovative. Ma anche con un

progetto: creare un prodotto unico e particolare nel suo genere. Questo percorso iniziato circa vent’anni fa lo porta oggi ad

aver raggiunto il suo obiettivo: la produzione di un marchio di orologi esclusivi: la MonWatch. Ma come è arrivato a questo punto? All’inizio degli anni Novanta Marco Mauri dà vita ad una collezione di orologi irripetibile. La sua avventura nasce

infatti con Ol Leroi de Berghem, orologio che per la pri-ma volta inserisce nel quadrante parole in dialetto

bergamasco al posto dei numeri. Da qui nasce la collezione Dialetti d’Italia, vero e proprio re-perto della diversità e ricchezza linguistica del nostro Paese. “All’inizio ho voluto creare de-

gli orologi per la città di Bergamo – ci racconta Mauri, titolare della MonWatch – Da qui è nata

quella che è un po’ la mia passione, cioè la ricerca dei modi espressivi dialettali di tutte le città d’Italia,

una ricerca che mi portava poi a inserire queste pa-role negli orologi. Al posto dei numeri in cifra veni-vano scritte nel quadrante le parole corrispondenti: dalla una alle undici. Scoprii che in tutti i dialetti italiani c’è una particolarità che li accomuna: non esiste l’uno, per indicare l’orario, ma la una, sempre

al femminile. Così come non esiste il dodici: si usa mezzogiorno o mezzanotte per tutti i dialetti d’Italia.

Mi misi in contatto con Umberto Zanetti, poeta dialettale ber-gamasco, che mi diede i riferimenti di tutti i poeti e scrittori

dialettali d’Italia. A Roma contattai Giorgio Carpaneto, docente e massimo referente italiano in ambito dialettale. Infatti Carpa-neto, oltre a essere scrittore di libri in romanesco, era anche segretario nazionale di un’associazione di poeti dialettali e mi mise in contatto con tutti gli iscritti all’associazione a livello na-zionale. Da qui la mia ricerca si estese a tutti i dialetti regionali e territoriali del nostro Paese”. Non solo dialetti regionali, quin-di, quelli ricercati da Mauri, ma anche territoriali “perché i modi espressivi di Palermo sono diversi da quelli di Messina, seb-

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bene entrambe le città si trovino in Sicilia”. Da quell’idea nacque una collezione composta da circa 100 modelli, davvero unica. Marco Mau-ri inizia quindi ad esporre le sue produzioni e sceglie come vetrina principale piazza Duomo a Milano. “Iniziai ad esporre gli orologi della col-lezione Dialetti d’Italia alla Rinascente in piazza Duomo. Lì avevo un espositore che consisteva in una valigetta in legno anticata, con all’inter-no una pergamena sulla quale avevo scritto Collezione orologi d’Italia, unici ed esclusivi. Su quella pergamena indicavo anche tutte le città in cui gli orologi erano disponibili. Il messaggio era chiaro: parliamo una lingua sola – l’italiano – ma non dobbiamo dimenticare le nostre ori-gini, da dove veniamo, con tutte le ricchezze e le particolarità che queste nostre provenienze comportano. Questa collezione ebbe un grande successo: ogni mese uscivano dalla Rinascente 50-60 orologi. Nelle altre città, poi, avevo una rete di 6 o 7 venditori che riuscivano a coprire quasi tutto il territorio nazionale, raggiungendo negozi sparsi ovunque. Questo prodotto mi die-de una certa soddisfazione – continua Mauri – anche dal punto di vista commerciale. Nei due o tre anni in cui la collezione fu in auge ne vendetti circa 30mila pezzi: si trattava di un prodotto eco-nomico, venduto al pubblico a 90mila delle vec-chie lire. Un aneddoto legato a questo orologio: un giorno mi chiamò il responsabile del settore orologeria della Rinascente e mi disse entu-siasta: “Non può sapere chi è stato qui!? Chi? Chiesi io. Renzo Arbore! Ha comprato due suoi orologi – un Foggia e un Napoli – e mi ha detto di farle i complimenti per la sua collezione”. Ma i contatti con i personaggi famosi colpiti dalla particolarità della collezione di Mauri non finì con Arbore. “Attraverso questa vetrina venni in con-tatto con personaggi vari come Laura Pausini a cui feci un orologio per il lancio di un disco usci-to negli anni Novanta. Allora la Pausini era già una cantante affermata, anche se non a livello internazionale. Mi misi in contatto con il padre che aveva una società chiamata ‘Panna mon-tata’, che curava tutto il merchandising di Laura e mi chiese di fare un orologio con un cinturino personalizzato con il logo “Laura Pausini”.La passione per le lingue di Marco Mauri nasce dall’interesse verso il mondo della comunicazio-ne. E dalla passione per le lingue deriva anche il nome del marchio MonWatch, insieme di due

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parole di lingue diverse: ‘Mon’, mio, dal francese e ‘watch’, orologio in inglese. Il mio orologio. Mio perché questo pro-dotto ha una peculiarità: la caratterizzazione estrema. Mon-Watch nasce con l’intento di fare qualcosa di caratteristico

e particolare, qualcosa che non si trova ovunque. Già dal ’99 prende vita l’idea delle serie limitate. Mau-

ri ha moltissimi progetti e disegni in mente, che tiene pazientemente in un cassetto aspet-

tando il momento giusto per uscire sul mercato. Quel momento sembra

arrivare dalla fine dello scor-so anno, quando il titolare della MonWatch decide di aprire il suo cassetto e avviare una produzio-

ne. Segue un periodo di studio, caratterizzato

dalla ricerca di casse, quadranti e soluzioni va-

rie nel settore dell’orolo-geria, sperimentando la

stampa per i cinturi-ni. Oggi il prodotto

è maturo e pron-to per essere lanciato sul mercato.

Ma qual è la cara t te r i s t i -

ca principale di questo orologio?

“La particolarità del prodotto nasce dall’idea di creare serie limitate, tant’è vero che tutti i prodotti sono numerati. MonWatch è un pezzo da boutique dove i prodotti sono unici, mai in serie. Nei nostri negozi è pos-sibile trovare due, tre pezzi al massimo dello stesso prodotto, dello stesso mo-dello. Se un modello viene tirato a 150 pezzi, ci saranno negozi che ne avranno a disposizione uno solo, altri non ne avran-no nemmeno uno”. Peculiarità del marchio è l’estrema caratterizzazione: movimenti ricercati, quadranti unici e cinturini con stampe esclusive. Tutto ciò conferisce ad ogni modello MonWatch una propria singolarità nel segno della distinzione e dell’unicità. Alcune idee sono già state realizzate, altre sono an-cora lì nel cassetto pronte a venir fuori. Oggi, prossima al lancio sul mercato, la MonWatch si avvale di un la-

COVE

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boratorio per la creazione e produzione, a Milano. Attualmente MonWatch è dispo-nibile solo in pochi punti vendita, ma tutti collocati in posizioni strategiche, come l’oreficeria Lazzarini in Bergamo alta.

Ma il progetto è quello di arriva-re a una rete naziona-

le, con un negozio monomarca proprio a Bergamo. “Parti-remo entro la fine dell’anno con un progetto che andrà

a creare un negozio pilota del franchising

a Bergamo, vetrina monomarca di Mon-Watch. Sono già una cinquantina i modelli della MonWatch esi-stenti, più le loro varianti, divisi in tre serie già pronte per il mercato: Glace one, un orologio al quarzo,

dalla cassa quadrata, in policarbona-to trasparente e acciaio, molto legge-

ro. Un prodotto di primo prezzo da 85 euro al pubblico. Anch’esso comun-que prodotto in serie limitata per soli 500 pezzi a modello.Da collezioni più preziose è Classic

Club, che si ispira al modello delle auto storiche. Si tratta di orologi con movimento meccanico automati-co con complicazioni, che variano dai 350 ai 500 euro circa; i Classic Club sono prodotti in tiratura limita-

ta di soli 150 pezzi. Ne è un esem-pio l’orologio in copertina che riporta

la numerazione di serie proprio sul quadrante dell’orologio.

Infine la serie Trendy, orologi ore/data e cronografi, che montano movimenti al quarzo della Citizen, e che

si collocano in una fascia intermedia. Rispetto al Classic Club, la collezione Trendy è caratterizzata da una rivisi-

tazione dei modelli classici, con il concetto innovativo del cinturino disegnato. Questi modelli si collocano in una fa-

scia media di prezzo, dalle 100 alle 200 euro.L’idea di Mauri è però quella di creare un nuovo modello alla

settimana, non appena sarà attiva la rete di distribuzione dei

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negozi in tutta Italia. E per il futuro MonWatch pensa anche ad eventi le-gati al mondo del collezionismo. “Mi piacerebbe fare delle aste di benefi-cienza, per mettere all’asta dei pezzi particolari. Per esempio il numero 1 di ogni nuova collezione. Il ricavato verrà devoluto in beneficienza a due associazioni: l’Istituto Mario Negri e la Lega del Filo d’oro a cui la Mon-Watch è legato quest’anno per por-tare a termine il progetto ‘Come te’, ossia la realizzazione di un centro a Modena per l’assistenza a persone con una doppia disabilità: sordità e cecità. Due problematiche che spes-

so rendono essenziale il lavoro di un centro specializzato come que-sta associazione”. E il testimonial della Lega del Filo d’oro è Renzo Arbore. Tutto torna.

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Rivenditori MONWATCH

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Giorgio Bassan è il socio fondatore del club Calle de la industria 520, il club dei sigari; é appassionato e divulgatore della cultura del fumo e del sigaro Avana. Giorgio Bassan ci apre un mondo. Il suo nome è Cuba... Questo mondo ha origini lontane e misteriose. Si presenta agli occhi dei conquistadores con usi e costumi decisamente inaspettatati. Era l’undici Ottobre del 1492, Colombo aveva promesso di tornate in Europa con l’oro ma quando se lo trovò di fronte non fu in grado di vederlo perché quell’oro aveva la forma del fumo. Gli abo-rigeni locali passavano il tempo con il rollo acceso e aspirando dalle narici la polvere magica. A detta dei padri della chiesa che accompagnavano la spedizione “i selvaggi indigeni erano posseduti dal demonio…”, “uomini nudi, di sesso maschile, con un tizzone e certe erbe secche messe in foglia, tipo un moschetto (….) lo accendevano da una parte e dall’altra succhiavano, ed ispiravano quel fumo col quale si calmavano, quasi ubriacandosi, in modo da non sentire, a loro dire la stanchezza. Quei moschetti li chiamavano tabacos”. Per gli aborigeni è la fine del paradiso, per Colombo è il nuovo mondo. Ma la storia continua. Davanti ai Re cattolici il bottino si mostra esiguo. La Corte si aspettava l’oro ma quello che gli si presenta sono quattro indigeni spaventati e qualche foglia secca chiamata “tabaco”. Al momento quella ricchezza fu igno-rata, ma in futuro avrebbe dato i suoi frutti. Il tabacco profumato avrebbe fatto sognare il mondo… La chiesa parlava di “invenzione del diavolo” e dai pulpiti lanciava scomuniche. L’Europa tutta intuiva il meraviglioso portato, il “regalo dal cielo” prese piede, il resto è storia di evoluzioni commerciali e investimenti. Dalle sigaraie di Siviglia le foglie diventano sigari, arrotondati e con due punte: i famosi Salomòn. La storia continua tra sopraffazioni e concessioni. I cubani non potevano più sopportare che fosse loro vietato confezionare sigari per il consumo e l’esportazione, era la fine del Settecento; la situazione era lì per

esplodere, ma i Re di Spagna per evitare il disastro fir-marono un decreto. L’Avana avrà la sua prima industria manifatturiera. Proprio li, alla “Casa di Beneficenza”, di fatto un orfanotrofio nasce il mitico nome che farà il giro del mondo: “l’Habano de Cuba”. La pasion Habanos si diffonde tra misteri, intrighi e lotte. Lancia attorno a se segnali di fumo e corrobora il fascino, il gusto e la pas-sione. Nasce un mito. A distanza di spazio e di tempo, in una fredda e piovosa serata milanese due distinti gen-tiluomini si trovano a disquisire tra fumate e riflessioni. Il tema è el delirio Habanero, le circostanze sono surreali. Il primo dice al secondo “il sigaro è come l’amore deve essere continuamente rinnovato”. “Mi viene in mente un sigaro pregiatissimo lasciato in una vetrina col sole a

Calle De La Industria 520c i g a r c l u b

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picco che filtra attraverso il vetro, il negoziante lo sta-rà condannando a morte certa…”L’altro ribatte “Si, lo conosco, è un sigaro che sta in Calle Mercaderes, ci sono collezionisti che sarebbe-ro pronti a uccidere” (…)“A me viene in mente un altro paragone: quando si afferma che un sigaro sa di nocciola o di cioccolato, si sta cercando un codice per condividere un’espe-rienza. Ma l’unico modo di farti percepire il sigaro, è fumarlo”.“nella natura del sigaro è la capacità di permettere di riflettere, di pensare, (….) più hai tempo di pensare

più diventi tollerante e comprendi la caducità di tutte le cose che ti vengono imposte…”I due gentiluomini in questione erano Paul de Sury e Andrea G. Pinketts. Ma avrebbe-ro potuto essere due uomini qualunque alle prese con il piacere della conversazione mi-sta al piacere del fumo. A Cuba, in Inghilterra o in Italia. Durante un ricevimento ufficiale o più comodamente sprofondati nelle morbi-de poltrone all’interno del loro club. Queste sono alcune delle suggestioni che il mondo del sigaro porta con se. Il club dei sigari è un mondo a parte fatto di uomini e della loro

passione per il fumo. Che parte dal gusto del sigaro e si sviluppa in passione per l’aneddoto, per l’approfondimen-to, per l’incontro a tema. Il club dei sigari è uno spaccato di vita. Per la conservazione dei sigari, prodotte in segui-to ad un attento studio inge-gneristico. Siamo gli unici in grado di offrire questo ge-nere di servizio studiato ad hoc”. La Cigars time collabora con la Calle de la Industria 520, club per gli amanti del

sigaro, per la realizzazio-ne di volumi destinati a promuovere una cultura del sigaro come il “Glossario dei termini del sigaro” o il “Prontuario dell’aficionado”, che vengono distribuiti a tabaccai e privati al momento dell’acquisto di una sca-tola o vetrina per sigari.

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Gli ‘aficionados’ del sigaro lo sanno bene: per gustarsi un buon cubano non basta aver fatto l’acquisto giusto, serve anche un impe-gno costante nel mantenimento dei sigari acquistati. Le condizioni adatte vengono definite in base al clima e all’umidità, ma non sono standard: variano secondo il gusto del fumatore. In generale, però, sarebbe buona norma mantenere i sigari a una temperatura che va dai 20 ai 22 gradi centigradi e che abbia il 65-68 percento di umidità. A Calvenzano, in via Vivaldi 12, un’azienda ha capito l’importanza di

questa conservazione, si tratta della DeART srl dei F.lli de Munari che, gra-zie alla divisione Cigars time – la terza dell’azienda, insieme a Grand Inte-riors e Design of Time – è leader in Italia per la produzione di vetrine, walk-in humidors, scatole oltre che sistemi per la conservazione dei sigari.“La DeART nasce nel ’62 come produttrice di orologi d’interni, ci racconta Alberto de Munari, poi negli anni, l’azienda si è evoluta inserendo tra i suoi prodotti anche vetrine e mobili. Circa 15 anni fa nasce il brand Cigars time che prende vita da un rapporto di amicizia con la famiglia Savinelli, produtto-ri delle omonime pipe conosciute a livello internazionale. Erano gli anni in cui negli Stati Uniti scoppiava il boom del sigaro e con esso anche una richiesta di scatole e cofanetti umidificati “ci dice Alberto de Munari”. L’amicizia con Savinelli ci ha portato a riflettere su una particolare esigenza del mercato: i consumatori e venditori di sigari avevano bisogno di particolari scatole per mantenere inalterato il proprio prodotto”. La Cigars time ha iniziato così una proficua collaborazione – attiva tutt’oggi – che ha portato, nel primo anno di attività, alla produzione di circa 5-6mila scatole. Ma il fascino del sigaro non si è fermato agli Stati Uniti e ben presto è arri-vato in Italia, dove esisteva una fetta di mercato completamente da coprire e soddisfare. Alcune tabaccherie iniziavano infatti a vendere sigari ai loro clienti, ma non esistevano strutture ad hoc per la conservazione del prodotto e non esisteva nemmeno un importatore diretto di sigari cubani, tutto doveva passare dal Monopolio di Stato.La Cigars time ha intuito le potenzialità di un mercato da scoprire e ha iniziato ad affian-carsi ad aziende produttrici di beni per i tabaccai, avviando la fabbricazione di vetrine di

DeArt Cigars timesigari per passione

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piccole e medie dimensioni. Ma il mercato continuava a crescere e a richiedere oggetti sempre più importanti; così, la Cigars time si è organizzata per le nuove richieste: Avendo a disposizione una falegnameria e del personale altamente specializzato, l’azienda bergamasca ha offerto subito le proprie competenze e conoscen-ze per un servizio su misura: “Anziché proporre oggetti standard – sottolinea Alberto de Munari – abbiamo pensato di fornire pezzi su misura: le tabaccherie, salvo rare eccezioni, sono generalmen-te molto piccole e colme dei prodotti più disparati; la nostra idea è stata quella di intervenire su degli spazi già esistenti: smantellare parte dell’arredo (magari inutilizzato o poco sfruttato) per, tra-sformarlo in un angolo dedicato al sigaro, con una vetrina climatizzata e umidificata a seconda delle esi-genze”. Idea vincente che ha reso la Cigars time l’azienda leader in Italia.Il business ha iniziato quindi a svilupparsi lungo tutto lo stivale. L’azienda si sta gradualmente affer-mando anche sul mercato estero, sebbene l’impegno e l’attenzione per il mercato italiano siano predomi-nanti. Partiti infatti da una situazione completamente inesplorata, perché non esistevano nel nostro Paese arredi adatti ai sigari, la condizione attuale conta circa 300-400 punti vendita ben attrezzati con vetrine climatizzate e umidificate, adatte a questo prodotto. Ciò che ha distinto la Cigars time negli anni è stata la sua notevole competenza nella creazione di prodotti studiati appositamente per il sigaro: “Non utilizziamo un umidificatore qualsiasi o un generico climatizzatore – sottolinea de Munari – ma macchine appositamente studiate per la conservazione dei sigari, prodotte in seguito ad un attento studio ingegneristico. Siamo gli unici in grado di offrire questo genere di servizio”. La Cigars time collabora anche con il Calle de la Indu-stria 520, club per gli amanti del sigaro, nella realiz-zazione di volumi destinati a promuovere una cultura del sigaro come il “Glossario dei termini del sigaro” o il “Prontuario dell’aficionado”, che vengono distribuiti a tabaccai e privati.

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La Mille Miglia storica, la rievocazione della corsa più famosa del mondo. Una grande festa di assoluto prestigio a livello internazionale. Un’occasione tanto importante e coinvolgen-te che pure la nostra testata non poteva non omaggiare, presentando agli appassionati ed ai semplici curiosi questo numero speciale de-stinato ad accompagnare quello che nel corso del tempo è diventato l’evento per eccellenza e anno dopo anno riesce sia a confermare il fascino assolutamente unico che lo contraddi-stingue che a far crescere il prestigio e l’am-mirazione che lo circonda.

Cercheremo, attraverso le immagini, di far re-spirare l’atmosfera che caratterizza le giornate di gara, evidenziando le suggestioni sempre molto forti che fanno ormai parte integrante della Mille Miglia.

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Era il lontano 1901 quando due giovani di Milwaukee, una cittadina del Wisconsin, dell’età di 20 e 21 anni – William Harley e Arthur Davidson – iniziarono a trafficare nel box di casa di Davidson con un sogno per la testa: costruire una moto speciale. Il loro sogno americano, dapprima solo su carta, prese vita in quel garage, dove i due giovani costruirono un primo prototipo di bicicletta motorizzata. Tutti i pezzi vennero fabbricati a mano, ricavati da materiale di recupero grazie a una buona dose di ingegnosità. La leggenda vuole che il carburatore, per esempio, fosse stato realizzato a partire da una lattina di conserva di pomodoro. Come spesso accade nelle storie americane – basti pensare a Steve Jobs della Apple o Bill Gates della Microsoft – il garage dove tutto ebbe inizio era poco più che una baracca. Sulla porticina d’ingresso si notava una scritta fatta a mano con pennello e vernice. Diceva: “Harley-Davidson Motor Co.”, un nome che sarebbe diventato negli anni sinonimo di un mito. In quello sgabuzzino prese forma la prima HD della storia, una moto che assomigliava ancora ad una biciclet-ta, ma che per i ragazzi di Milwaukee rappresentava l’inizio di una grande avventura. Il motore progettato inizialmente da Harley è un monocilindrico di 116cc, montato su una bicicletta appunto, incapace di superare le dolci pendenze della cittadina americana. La cilindrata venne portata quindi a 450cc e per adattare la bici al peso maggiore venne progettato un telaio a culla più robusto. Si trattava della prima vera HD, un pezzo da collezione pagato recentemente 310.000 euro (per una versione del 1907). Se ne costruiranno otto in quel piccolo garage, prima del trasferimento in una sede più adeguata.

Durante i primi anni Harley e Davidson produssero tre modelli di questo esemplare di motocicletta, tutti venduti

prima di essere terminati. Il 28 agosto 1903 i giovani fondarono la casa Harley-Davidson, portando una

serie di cambiamenti al primo prototipo. Nonostante gli sforzi, la produzione rimase ferma a tre mo-

delli venduti per quell’anno. Fu solo qualche anno più tardi, nel 1906, che venne costruito uno stabilimento per la casa motociclistica, in Juneau Avenue, dove si trova ancora oggi il quartiere generale della ditta. Con i nuovi impianti iniziò ad aumentare anche la produzione delle Harley-Davidson e l’anno successivo all’apertura del primo stabilimento, furono create 150 motociclette. Il 17 settembre 1907 venne uffi-cialmente fondata la Harley-Davidson Motor

Harley-Davidson Il mito

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Company. Anno importante, il 1907, anche per l’avvio della vendita di Harley alla polizia, vendita che continua anche oggi. Le Harley piacciono, sono innovative, e i due giovani (a cui si sono aggiunti nel frattempo i fratelli William e Walter Davidson) ci mettono dell’ingegno anche a sfruttare i risvolti commerciali che ne derivano. I giovani produttori capiscono l’importanza dell’immagine: puntano la loro attenzione su slogan vincenti e iniziano a investire anche sulle corse, certi di ottenere un valido ritorno d’immagine. La data che segnò una svolta importante nella storia delle Harley è il 1909: se fino a qual momento il motore era monocilindrico da quell’anno la casa di Milwaukee passò al bicilindrico. Venne introdotto il V-Twin: motore bicilindrico a V di 45° con valvole late-rali – destinato a diventare l’emblema di questo marchio –, una cilindrata di 810 cc e una potenza doppia rispetto a quella fornita dai precedenti propul-sori. Queste moto potevano raggiun-gere una velocità massima di 97 km/h, ottimo risultato per quell’epoca. Perfezionato più volte nel corso del tempo, viene utilizzato ancora oggi su quasi tutti i modelli di Milwaukee. Fu il boom: le HD sfondarono ovun-que, incantarono, erano indistruttibili e conquistarono il primo posto tra i produttori Usa. La produzione di questo prototipo iniziò a crescere in modo esponenziale, fino ad arrivare a 12.904 esemplari nel 1913. Il succes-so non si fermò nemmeno di fronte alle guerre e alle crisi economiche e quando gli americani entrarono nella Prima Guerra Mondiale (1917) i mili-tari richiesero delle Harley-Davidson da poter utilizzare nelle operazioni. L’azienda produsse circa 45.000 esemplari, consolidando la sua posi-zione di fornitore delle forze di polizia.Negli anni Venti la casa motociclisti-ca di Milwaukee era divenuta il più grande costruttore di motociclette al mondo. Molte piccole case scom-parvero con il conflitto, mentre la Harley-Davidson riuscì a sviluppare la sua rete di vendita molto forte ed era ad entrare in 67 paesi producendo 28.189 motociclette. Erano anni im-

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portanti, anni da record: basti pensa-re che il 28 aprile 1921 la Harley fu la prima moto a raggiungere i 160 km/h. Più tardi, con il crollo della borsa di Wall Street nel 1929, ci fu una grave crisi nel settore motociclistico. Anche l’Harley-Davidson visse il suo periodo nero ma riuscì ben presto ad uscir-ne – unica casa non fallita insieme alla Indian – proprio grazie alla sua rete di distribuzione ben organizzata, ai contratti sviluppati con l’esercito e una forte presenza sul mercato dell’esportazione.Con l’entrata degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale la Harley-Davidson ritornò a produrre, in grandi numeri, motociclette per le forze armate. Durante il secondo conflitto mondiale la Harley produsse 88.000 moto, molte delle quali andarono ad alimentare il mercato post-bellico

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europeo. Con la fine del conflitto la ditta ritornò alla produzione civile con la messa in commercio di un grande numero di bicilindriche di grande cilindra-ta che conobbero il successo sia commerciale che sportivo.Negli anni ‘70 la casa di Milwaukee attraversò tempi duri, che rischiarono di far scomparire il mito. In questo periodo la competizione divenne molto forte, soprattutto con il Giappone, che produceva moto perfette, affidabili, veloci e potenti, ma senza anima. L’HD riuscirà ad uscirne (grazie anche ai dazi del 49% sulle importazioni di maxi moto giapponesi, introdotte all’epoca dal governo di Ronald Reagan) puntando ancora una volta sul marketing. Sa-ranno infatti i suoi “difetti”, le sue contraddizioni, l’arma vincente. Le Harley non sono perfette, ma basta guardarle per innamorarsene: belle e luccicanti fanno breccia tra i giovani rampanti degli anni ‘80, diventando uno status symbol e rilanciando l’azienda.Lentamente la ditta incrementò le vendite e gradualmente riuscì a catturare un nuovo flusso di fedeli acquirenti di moto Harley-Davidson. Fu però solo con l’introduzione del mo-dello Softail Custom nel 1984, che l’Harley tornò ad esser leader nel mercato delle moto di grande cilindrata (sopra i 750 cc). Il Fat Boy in seguito nel 1990 confermò la grande ascesa della casa di Milwaukee. La strategia commerciale che aveva contribuito a creare il mito dell’Harley decise di puntare su uno stile retrò: anziché imitare i concorrenti e cercare continue forme moderne e innovative, la moto di Milwaukee puntò a costruire dei mezzi che avessero lo stesso look, com-

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prese le personalizzazioni, delle motociclette di inizio secolo e riproponesse-ro le stesse sensazioni a chi le guidava.Le Harley piacciono anche ai giovani del terzo millennio. Moto grandi, cro-mate e confortevoli, simboli di un mondo avventuroso, queste moto continua-no a essere proposte con forme e modelli legati indissolubilmente al secolo scorso, caratterizzate dall’inconfondibile boato che accompagna il loro motore. Un rumore tanto conosciuto che la Harley tentò anche di brevettarlo, ma nel 2000, dopo anni di controversie con gli altri costruttori che afferma-vano che ogni motore bicilindrico con le stesse caratteristiche tecniche del motore Harley produceva quello stesso rumore, la casa di Milwaukee ritirò la sua richiesta.Il primo museo dedicato al mito.

Dopo oltre un secolo di vita e una storia che è diven-tata leggenda, la moto più conosciuta al mondo ha

ottenuto il suo museo. Il 12 luglio dello scorso anno ha inaugurato una mega struttura da 11mila metri quadrati che sorge su di un’area di 8 ettari e che in soli due anni di lavori ha portato alla realizzazio-ne di un monumento celebrativo per quello che è l’asso portante nella storia delle de ruote. Il museo

è colossale: costruito in vetro e cemento, permette di esporre all’interno 450 motociclette della collezio-ne Harley, oltre a modelli, ricostruzioni delle officine

d’epoca, mostre fotografiche e pezzi rarissimi come le moto appartenute alle star cinemato-

grafiche e della musica. I visitatori potranno consultare liberamente gran parte degli

immensi archivi che svelano segreti e retroscena della casa di Milwaukee.

La struttura, che si distingue oltre che per imponenza anche per lo sforzo economico richiesto, è stata fortemente voluta dai vertici dell’Azienda, che ha celebrato nel 2008 i 105 anni di vita. All’ingresso del Museo è stata posta una sta-tua in bronzo, realizzata per

l’occasione: rappresenta un corridore di hillclimbing (una

competizione che consisteva nello scalare pendii ripidissimi) a

grandezza naturale, ed è un rega-lo privato della famiglia Davidson al

Museo e ai suoi visitatori. I muri ester-ni sono invece ricoperti da migliaia di

mattonelle che, poste in opera a mano, recano il marchio Harley-Davidson: 4.700 piastrelle posizionate

una a una da alcuni dipendenti dell’azienda.

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Uno scorcio dell’Ottica Foppa. All’interno del negozio potete trovare una vasta gamma di occhiali da sole e da vista e una varietà di modelli tra cui sbizzarrirvi

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Ottica Foppa“Il mio amore per gli occhiali nasce non per caso, ma mi è stato trasmesso da mio pa-dre che univa la passione per la fotografia alla vendita dei primi occhiali premontati. Si può proprio dire che io sia cresciuto a pane e lenti!Passo dopo passo, occhiale dopo occhiale ce l’abbiamo fatta: l’Ottica Foppa è oggi una realtà importante sul mercato ed è diventata un punto di riferimento non solo per la provincia bergamasca. Un gra-zie particolare al mio splendido staff!”

Gigi Foppa

Lo staff: da sinistra Gigi, Luca, Fabio, Sara, Matteo e Andrea

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La moda detta le tendenze e gli ac-cessori le interpretano. In nome di una magia seduttiva capace di far capitolare anche la donna più minimal, gli occhiali del momento sfidano le regole a colpi di creatività. Ed ecco le proposte a tema di Ottica Foppa. Nuovi modelli esclusivi della collezione primavera/estate 2009 ispirati al mondo sportivo, della moda e del design, in grado di combinarne abilmente le influenze e i richiami per dar vita a prodotti unici ed esclusivi. Le nuove proposte in fatto di occhiali da sole vogliono montature colorate, realizzate con nuovi materiali come le leghe o l’hi-tech. Ampio spazio, quindi, a tutti i colori accesi, che fanno degli oc-chiali veri e propri accessori di tendenza adatti a rispondere ai gusti più esigenti in fatto di moda. Le linee sono impr-

eziosite dalle aste gioiello, arricchite da pietre, decorazioni e dettagli chic. Montature scultura grandi e originalissime. Le lenti si fanno maxi e tornano le intramontabili gocce, sempre montate con un pizzico d’oro. Azione e dinamismo sono il loro must quotidiano, controllabili durante la giornata lavorativa, ma irrefrenabili nei momenti di svago. Da un ruolo secondario, di mera “utilità”, gli occhiali hanno assunto nel tempo il ruolo di vero e proprio accessorio moda a cui non si può rinunciare!Di ogni foggia e tinta, il look personale va sempre assecon-dato con un paio di occhiali ad hoc ed è quindi bene sceg-liere un modello che faccia al caso nostro, così da riuscire a valorizzare meglio il nostro viso.

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L’Ottica Foppa si è aggiudicata il primo premio del concorso europeo “Stark Eyes”. Qui accanto il momento della pre-miazione: Alain Mikli consegna il riconoscimento ai fratelli Luca e Andrea Foppa

All’Ottica Foppa il cliente è seguito accuratamente: dal controllo della vista alle fasi finali di montaggio e finitura dell’occhiale prescelto. Il negozio dispone infatti di due gabinetti di rifrazione e di uno staff di ot-tici optometristi altamente qualificati che vi seguiranno passo dopo passo e vi accoglieranno sempre con un sorriso sulle labbra.

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Punto giallo, tutela dell’ambiente Ecologia ed economia. Queste le parole d’ordine del Punto Giallo di Si-monetta Orlandi e del marito Ivo Errico che hanno fatto dei due concetti – quanto mai essenziali ed attuali – la loro filosofia di vita. Un Punto, quel-lo al 219/C di via Borgo Palazzo a Bergamo, dove è possibile noleggiare, acquistare e ricevere assistenza nel pieno rispetto dell’ambiente. L’idea di Simonetta è quanto mai innovativa: puntare non solo sulla vendita, ma anche e soprattutto sul noleggio di veicoli elettrici, dalle biciclette agli sco-oter, dall’auto al furgoncino a sei posti. Visioni nuove che fanno del Punto

Giallo il negozio leader in Italia per il noleggio di biciclette a pedalata assistita. E poi: assistenza per gli elettrodomestici, detersivi alla spina biodegradabili e sostegno a progetti a difesa dell’ecologia. “La gente inizia finalmente ad entrare nell’ottica del risparmio energetico per tutelare l’ambiente e con esso la nostra salute – commenta Simonetta Orlandi, titolare del Punto Giallo insieme al marito –. Finalmente questi concetti stanno

assumendo sempre più importanza e vengono condivisi dai cittadini. Noi cerchiamo, con il nostro lavoro, di far sì che si radichino nella mentalità delle persone”.

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Aperto da circa un anno, il Punto Giallo nasce da un’idea avuta durante una vacanza all’estero. “Ci trovavamo nell’ex Jugoslavia – continua Simonet-ta – e sulla spiaggia abbiamo notato moltissimi chioschi che noleggiavano veicoli elettrici. Mio marito ha subito pensato a Bergamo. Io all’inizio credevo che l’idea fosse un po’ audace, ma poi ho capito che il business poteva funzionare”. E infatti funziona. Tanto che il Punto Giallo ha in questo pri-mo anno di attività ampliato sempre più la gamma dei veicoli elettrici da vendere e noleggiare e, ad essi, ha affiancato una serie di servizi che puntano esclusivamente su economia ed ecologia.

SE LA PEDALATA E’ ASSISTITA

Punto Giallo è un’azienda che mira a un cambia-mento nella mentalità dei cittadini. E per farlo ha scelto l’elettricità. Pezzo forte del negozio è la bicicletta elettrica o a pedalata assistita; un mezzo che permette di circolare per chilometri e chilo-metri senza inquinare e senza affaticarsi troppo. Le bici del Punto Giallo vanno bene per tutti i tipi di strada: in piano, in salita, sul ciottolato. Sono bi-ammortizzate per affrontare tutti i percorsi, dotate di marce e di una batteria che ha un’ottima spinta. Perfette insomma per chi vuole avventurar-si in città o in campagna, godendosi il paesaggio e respirando un po’ d’aria, ma senza far fatica. Anziché prendere la macchina per fare solo pochi

chilometri, magari la distanza che ci separa da casa al supermercato o all’ufficio o alla scuola dei figli, si prende la bicicletta e ci si mette in pista. Senza sudare, e senza arrivare al lavoro dunque già stanchi e con i vestiti sgualciti.I modelli sono svariati: si va dal mezzo sportivo per il trentenne che ha voglia di divertirsi, a un esemplare più classico per il settantenne che

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vuole tranquil-lamente peda-lare (o lasciare che la biciclet-ta pedali per lui) in città.

Questi mezzi, infatti, possie-dono una bat-teria in grado funzionare per circa 50 chilo-metri prima di esaurire la sua carica, ad una velocità massi-ma di 25 km/h.

Nel momento in cui la batteria è scarica basta semplicemente ricaricarla alla presa elettrica di casa. Il sistema funziona infatti come un normale telefono cellulare: la batteria viene sfilata e inserita nel caricatore. Costo dell’intera ricarica: 16 centesimi. E la carica migliora la sua durata con l’utilizzo. Un bel risparmio ecologico, poiché si sfrutta l’elettricità anziché il petrolio, ma anche economico se si pensa a tutti i soldi spesi per un’automobile. Il costo del mezzo va da 600 a 2000 euro circa, a seconda del modello. Ma per chi non volesse acquistare, al Punto Giallo è possibile noleggiare a 4 euro l’ora oppure 20 euro per l’intera giornata. Sono previste poi tariffe ridotte per chi vuole prolungare il servizio: il mensile conta solo 4 giorni a settimana per tre settimane, quindi 80 euro a settimana per un totale di 240 euro al mese.

NON SOLO BICISe la bicicletta non dovesse essere il mezzo che fa per voi, il Punto Giallo mette a disposizione anche ciclomotori della Dado Motors, rigorosamente elettrici. Per chi invece volesse viaggiare in compagnia, ma sempre nel rispetto dell’ambiente (e delle tasche) il Punto Giallo offre anche un furgon-cino elettrico a sei posti, perfetto per piccole comitive in arrivo all’aeroporto o alla stazione o per un gruppo di amici in partenza per una gita, magari in Città alta: questo mezzo, essendo elettrico non è soggetto al blocco del traffico e può quindi circolare liberamente anche quando l’ingresso alla città è vietato agli automezzi. Stesso discorso anche per la Open Street, l’auto-vettura elettrica a due posti della Start Lab, piccola e confortevole, in arrivo al Punto Giallo. La due posti consente, con una ricarica completa del costo di 70 centesimi di avere un’autonomia di circa 50 chilometri e può raggiun-

gere i 40 km orari. Le batterie hanno una durata garantita di 500 cicli e non necessitano di manutenzione. Per guidarla non è necessario avere la patente, quindi può essere guidata già a 14 anni. La microcar in sosti-tuzione del motorino, quindi. Con buona pace delle mamme in apprensione per i figli adole-scenti fuori fino a tardi sui loro ciclomotori.

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RISPARMIO ED ECOINCENTIVI I veicoli elettrici non rappresentano un risparmio solo in termini energetici. Oltre infatti ai vantaggi che l’utilizzo di un mezzo non inquinante può por-tare all’ambiente che ci circonda, il mezzo a elettri-cità fa bene anche alle nostre tasche. Una ricarica per la bicicletta a pedalata assistita costa infatti 16 centesimi e permette un’autonomia di 50 chilometri. Costo molto inferiore rispetto alla stessa distanza se si decidesse di percorrerla in auto. Senza contare poi il costo di: bollo, assicurazione auto, deteriora-mento, il prezzo del parcheggio e il tempo passato in colonna. “Con la bicicletta arrivi di fronte alla porta dell’ufficio – sottolinea Simonetta – senza fare code e la parcheggi dove vuoi. La bici può essere assicurata per i danni, mentre per preve-nire il furto l’abbiamo dotata di lucchetto sonoro

che entra in azione nel momento in cui qualcuno cerca di rubarla. Un allarme molto forte in grado da

far desistere qualunque malintenzionato”. Ma se tutto ciò non dovesse bastare, entra in gioco

anche lo Stato che premia gli amanti dell’ecologia con gli ecoincentivi. Trenta per cento di sconto da ap-plicare al prezzo della bicicletta al momento dell’ac-quisto. Quindi per un costo medio attorno ai mille euro si può acquistare il mezzo a settecento euro. Il limite massimo per l’ecoincentivo è di settecento euro.

TURISTI IN BICICLETTANon solo per i cittadini, ma anche per chi viene da fuori. La bicicletta elettrica può essere un’ottima compagna di vacanza per tutti quei turisti che arri-vano in città e hanno voglia di visitare il capoluogo orobico senza dover per forza salire e scendere dai mezzi pubblici. Con una bici a pedalata assistita gli stranieri in visita possono godere del panorama bergamasco senza fare troppi sforzi. Anche questa è stata un’intuizione di Simonetta e del marito che in collaborazione con Turismo Bergamo e con l’Ostello di Monterosso stanno provvedendo a soddisfare le

esigenze dei visitatori: all’ostello sono già state consegnate in esposizione tre biciclette che potranno essere noleggiate dagli ospiti della struttura.

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anni e non sentirli

La fotografia nello studio dell’Autosalone Epis racconta in un’immagine la storia di tante vite. Sono le vite di Paolo e Teresa che cinquant’an-ni fa hanno avviato lo storico Autosalone in via Roma 43 a Scanzorosciate. Ma sono anche le vite dei loro quattro figli – Gianni, Claudio, Lore-no e Antonella, in ordine di età, e della moglie di Gianni – che si sono uniti ai genitori in questa storica attività. “Il papà è l’unico che manca oggi – ci racconta Loreno Epis – ma noi ci siamo tutti. Papà Paolo ha iniziato la sua attività proprio in questa sede storica nel 1954. Allora era partito con la riparazione e la vendita di biciclette e di moto. Qualche anno più tardi, nel ’59, ha preso il via anche la vendita di automobili. Vendita che

continua tuttora e che quest’anno ci permette di celebrare i cinquant’anni di attività”.Un autosalone che dalle biciclette di allora alle moderne auto ne ha fatta di strada e che oggi offre un servizio di assistenza e commercio dell’usato, curan-do lauto dalla preparazione al post-vendita con la massima attenzione.“Quando i miei genitori hanno aperto questo Autosalone sono partiti da zero. Erano gli anni del dopoguerra e del boom economico, la concorrenza era scar-sa e la voglia di lavorare tanta. Ingredienti che, uniti a una forte abilità e a un grande fiuto per il proprio lavoro, hanno portato la nostra azienda a ottenere risultati e traguardi davvero importanti. Questa impresa è un caso raro – sottolinea Loreno Epis – perché continua a vivere da cinquant’anni e non ha intenzione di fermarsi. E sicuramente non è facile. Nel settore della vendita delle auto gli autosaloni non sono certo i favo-riti. Le agevolazioni riguardano soprattutto il concessionario che ha il mandato per una marca ben precisa di automobili e che gode quindi di una serie di ga-ranzie e di tutele da parte della casa madre. Se i concessionari vanno avanti coadiuvati dal sostegno dei grandi produttori, per l’autosalone è diverso perché rappresenta il fai da te. Si tratta solitamente di aziende famigliari che, con la passione per il proprio lavoro, portano avanti la loro attività. Aziende che però non hanno agevolazioni speciali, ma sono tutelate soltanto dalla loro perizia, dalla loro voglia di lavorare e dal loro portafoglio clien-ti. Ecco perché molti autosaloni nascono e muoiono in fretta. Il nostro, cerca invece di portare avanti un’imma-gine completamente diversa perché, coniuga, oltre alla sicurezza nell’acquisto di un’autovettura, l’importanza della tradizione e una storia lunga mezzo secolo, che è proprio un caso raro”.

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Mezzo secolo e tre generazioni: la fami-glia Epis è infatti presente nell’attività con la terza discendenza. Avviata dai genitori, l’azienda è attualmente in mano ai quattro figli e vi ha fatto il suo ingresso anche un nipote, figlio di Claudio. Gli Epis arrivano quindi al terzo passaggio generazionale: “Secondo uno studio dell’Università Bocco-ni di Milano – continua Loreno Epis – il pas-saggio generazionale è causa di interruzio-ne dell’attività nel 70 percento dei casi. È difficile da gestire, ma il nostro Autosalone resiste bene anche a questo. E si tratta di un altro traguardo”. Non tutto si limiterà alla famiglia, però: “con il tempo cercheremo di inserire anche nuova forza lavoro”.

Ma qual è la forza dell’Autosalone Epis?Abbiamo auto di tutte le marche, dalle ita-liane, alle tedesche, alle giapponesi e di piccola, media e grossa cilindrata. Offriamo un ampio ventaglio di scelta. Ma la nostra forza non è solo questa. L’Autosalone cura la preparazione della vettura dalla A alla Z. Vendiamo auto usate che sono preparate qui da noi, presentate al cliente, vendute e seguite nel post vendita e quindi assistite nel seguito. E per offrire al cliente una maggiore assistenza, Loreno Epis ha fondato dieci anni fa Assoauto, di cui è presidente. Assoauto è un’associazione di autosalonisti bergamaschi che si sono uniti per raggruppa-re le loro forze in un settore – quello degli autosaloni, appunto – diverso dalle concessionarie. L’associazione si occupa di portare avanti iniziative comu-ni agli autosaloni che ne fanno parte: fiere, campagne pubblicitarie, contratti per la categoria. In comune hanno anche un commercialista e un avvocato, nonché un pool di finanziari, l’unione fa la forza. E infatti Assoauto ha creato un programma ad hoc che segue il cliente in tutte le scadenze ed evenienze legate alla sua vettura. “In questo modo il cliente non è mandato allo sbara-glio, ma seguito passo a passo. Le case madri lo fanno con le auto nuove, noi lo facciamo con l’usato. Il che è facile da dire, ma difficile da mettere in pratica. Soprattutto quando si tratta dell’auto di seconda mano, poiché va cre-ata una fidelizzazione dell’acquirente”. Serietà e professionalità, insegnamenti trasmessi da papà Paolo, vengono seguiti e con Assoauto si aggiungono ulte-

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riori elementi per stare al passo con i tempi, nel complesso mercato di chi sceglie l’auto usata.

E come fa un autosalone a resistere tanto a lungo?“La nostra forza è stata e continua ad essere quella di met-terci sempre in gioco e stare al passo con i tempi. Il mondo sta cambiando, la tecnologia sta cambiando: quando è par-tito mio papà, riparava bici e moto con il cacciavite. Oggi si è arrivati ad una specializzazione informatica molto forte, perché ogni diagnosi è fatta a computer”.

E poi c’è la valorizzazione del compratore: “Il cliente dell’usato non è di serie B. Il risparmio economico per chi acquista una vettura di seconda mano è abissale e questo non è da poco, se si tiene in considerazione il difficile periodo finanziario. I prezzi del nuovo sono alle stelle e il consumatore che non vuole sforare un cer-to budget ma che comunque vuole un’auto di un certo livello può puntare sull’usato. Con una spesa limitata si può comprare una vettura molto valida, e si trovano soluzioni per tutte le tasche perché si parte da cifre mol-to basse. In più, queste auto sono dotate, preparate, monitorate in tutto”.

L’Autosalone prosegue comunque nella sua attività di sempre nonostante non si tratti di un settore che riceve particola-ri aiuti economici dallo Stato. Anzi. “La nuova campagna di rottamazione in fa-vore del nuovo è una truffa – commenta Epis –. Lo Stato ha fatto passare quella che di fatto è una rottamazione statale per una rottamazione ecologica. Se una persona con una vettura euro 0 ne ac-quista una euro 4 ottiene 1500 euro. Nel nostro Autosalone abbiamo moltissime euro 4 che non possono però beneficia-re di questi incentivi. Perché? Lo Stato italiano, immatricolando un’auto nuova percepisce il 20 percento di Iva, mentre

vendendo un usato no perché quella percentuale è già stata pagata a suo tempo. Quindi, per esempio, su un imponibile di 10mila euro, lo Stato ne prende 2mila con l’Iva e ne restituisce 1500 al cliente. Ma se l’auto è usata lo Stato non ottiene nulla e non restituisce nul-la. Non si tratta di un incentivo ecologico, ma di una truffa legaliz-zata. Nella vicina Germania viene garantito un incentivo statale se si passa da un’auto euro 0 a una euro 4 fino a un anno di età della vettura. Questo incentivo sul nuovo ci ha penalizzato nella vendita del nostro settore. Il Governo ha favorito le case costruttrici pena-lizzando il cliente medio, colui che ha un badget di spesa limitato e quindi ritiene importante un sconto di 1500 euro.Il compratore che, invece, ha una grossa cifra a disposizione, per esempio 50-60mila

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euro, non ha nessun interesse per l’ecoincenti-vo. Quindi la classe media è penalizzata, classe che sceglierebbe certamente la vettura che dà il maggior risparmio, risparmio sull’usato e – se fosse possibile – risparmio per l’ecoincentivo”.Nonostante ciò l’Autosalone Epis va avanti. “L’idea è quella di aumentare sia la superficie di vendita sia le potenzialità. In 50 anni di cose ne abbiamo fatte tante, ma vogliamo farne altre”.

Cambiano i tempi, cambia anche la vendita. Se cinquant’anni fa erano solo i lombardi ad arrivare a Scanzorosciate per acquistare un’auto dagli Epis, oggi i compratori arrivano da tutta Italia e anche dall’estero. “Grazie ad Internet non ci rivolgiamo più soltanto a una platea provinciale e regionale, come all’inizio della nostra attività, ma ad una nazionale e internazionale. Il nostro Autosalone ha un sito – www.autosaloneepis.it – ed è collegato a una decina di siti primari che sono ottimi canali, molto cono-sciuti e cliccati per chi cerca l’usato. Lì pubblicizziamo ciò che abbiamo e se l’auto ricercata è in nostro possesso, il cliente viene indirizzato nei nostri canali di vendita”. Il sito della famiglia Epis è aggiornato costantemente con gli ultimi arrivi e le vendite tramite web rappresen-tano il 30 percento del consolidato venduto. “L’utente di In-ternet è molto attento e noi aggiorniamo quotidianamente il nostro parco auto per garantire una vasta scelta”. Verificata la disponibilità dell’auto via telefono il cliente potrà visionarla direttamente presso i nostri saloni e sarà l’abilità del venditore a concludere la trattativa. È importante infondere trasparenza, sicu-rezza e professionalità in un contatto che si risolve in poco tempo, massimo un paio di visite all’autosalone per concludere la vendita”. Resiste comunque anche la clientela affezionata, quella di sempre, lo zoccolo duro, insomma. “C’è chi ancora acquista ancora per telefono, come facevano con mio papà. Ma sono rimasti in pochi”, dice Loreno Epis sorridendo. “Ciò che conta è l’ag-giornamento costante per riuscire a stare al passo con i tempi. Questa è la battaglia da perseguire. E poi contano anche i traguardi. Quando racconto ai miei clienti che la nostra attività va avanti da cinquant’anni mi guardano stupiti. Quando poi ag-giungo che è stata in mano a una famiglia sola non riescono a credere alle loro orecchie”.

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Ristorazione oggi significa accoglienza, preparazio-ne in sala e qualità della cucina. I vini, la scelta dei

prodotti e il legame col territorio sono fattori deter-minanti per l’affermazione di un ristorante. Ma per

avere davvero successo e magari trasformarsi in caso esemplare occorre dell’altro. Siamo al ristorante …da

Dorilio. Siamo un passo avanti dalla semplice ristorazio-ne. Siamo nell’orbita del cuoco comunicatore. Colui che

sa intervenire con la comunicazione oltre lo spazio della cucina. Da Dorilio parte un iniziativa dal nome “ fatti i conti tuoi”. Il concetto è molto semplice. Il ristorante offre il menù degustazione e da al suo clien-te la facoltà di decidere il prezzo giusto delle pietanze e dei cibi. Il menù degustazione classico comprende ampia scelta di cibi a partire dal pesce e come dice il titolare da “tutto ciò che è bagnato dal mare”. Con dedizio-ne speciale per piatti a base di tonno, il tonno rosso del mediterraneo che viene cucinato in 20 modi diversi. Primi piatti, carne, contorni e dessert. Tutti prodotti e sistemi di cottura della migliore tradizione italiana. Ma per tornare alla proposta di Dorilio pare interessante sottolineare come a volte il rappor-to qualità prezzo lasci il cliente poco soddisfatto. Di solito le due variabili non coincidono. Qualità ad un prezzo eccessivo o, ancora peggio prezzo conte-nuto e bassa qualità. Bene. A prescindere dal discorso crisi e in linea con le tendenze d’impresa. Ad Ezio è venuta l’idea di andare al cuore del problema e di porsi in prima linea, dare ai suoi clienti la possibilità di star bene che significa mangiare bene e spendere il giusto. La scommessa come dice Do-

Ok il prezzo è giusto!

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Ok il prezzo è giusto!

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rilio è anche vedere se esiste il cliente responsabile e in caso positivo stabilire un rapporto che si basa davvero sulla qualità e sulla fiducia. Fatti i dovuti calcoli, il risultato appare incoraggiante. La media del prezzo stabilito per un pasto completo si aggira attorno ai 22 euro, a persona. Antipasto, primo o secondo, dolce e caffè. Questa iniziativa funzio-na perché evidentemente siamo di fronte ad una clientela responsabile. Come si dice “il bergamasco non è un cliente che fa il furbo, è uno che conosce il valore del denaro, che si alza la mattina e va a lavorare…” L’iniziativa fatti i conti tuoi i ha preso piede, e dalla serata del giovedì ora è attiva tutti i giorni della settimana. Ha funzionato e funziona come un volano di pubblicità la clientela occasiona-

le diviene clientela abituale ed entra a far parte del giro. Una cerchia che si consolida in cucina. Si perché con Dorilio è possibile partecipare ai corsi di cucina e raffinare le pro-prie capacità culinarie. Alla fine del corso il partecipante può cucinare per i suoi ospiti durante una serata speciale all’interno del locale. Inol-tre. Forte della sua preparazione nell’ambito della cucina tradizionale, egli ha allargato il cerchio, è andato avanti. Ha aggiunto un altro servizio. Si è specializzato nella cucina sen-za glutine. Senza applicare maggio-razioni e sottolineando che il cliente no glutine è un cliente come gli altri. No menù a parte, no lunghe attese, no sguardi increduli. L’iniziativa fatti i conti tuoi è applicata anche al menù no glutine, è valida tutte le sere del-la settimana senza esclusioni. Già

stimatori della sua cucina e certi della genuinità delle sue iniziative, invitiamo altri a seguire il suo esempio. Ragionare sulle possibilità, valutare i limiti, passare all’azione. In cucina ma non solo.

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Pane e vinoSiamo a Provaglio d’Iseo. Cuore della Franciacorta. Siamo circondati dai migliori produttori vinicoli della zona, in questa campagna dolce baciata dal sole si trova l’osteria-trattoria Panevino. Uno spazio ampio, aperto e ben illuminato. Il sapore è quello della trattoria, un luogo semplice dove le cose sono fatte con cura. Dove la vegetazione e il paesaggio sembrano entrare dalle vetrate e appoggiarsi ai tavoli. Sulle sedie, ad-

dosso al forno per la pizza. L’ambiente è certo suggestivo ma il cuore

vero di Panevino è la cucina. La cucina è un’arte e non si inventa niente. Un buon piatto è sem-pre il risultato di anni di lavoro. Di sacrifici, di tentativi e soluzio-ni. Lo chef Raffaele infatti ha girato il

mondo e le sue esperienze si chiamano New York, Londra, Ibiza e Rio. Raffaele ci introduce alla sco-perta delle meraviglie della sua cucina e all’arte del mangiar bene. Una della specialità del Pane-vino è certamente la carne. Parliamo di carne di

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struzzo e di bisonte, carne di cavallo e an-gus argentino. Parliamo di particolari tagli di carne che necessitano, per essere cucinati, di una accurata conoscenza dell’arte culina-ria. La qualità e i modi cottura della carne sono di fondamentale importanza. E così pure gli accostamenti e la presentazione dei piatti. Da Panevino si possono trovare l’angus con Brie e cipolle, il bisonte con porcini e scamorza, il manzo con porcini e formaggio Bagoss. Tra le specialità della casa c’è il manzo all’olio e lo stracotto con polenta. Soprattutto la Fiorentina su pietra ollare. La carne è servita su una speciale pietra che permette al cibo di mantenersi caldo. La carne rossa, in particolare quella al sangue deve rimanere ben calda per essere gustata a pieno. Oltre alla voglia di far bene, c’è anche la voglia di sperimenta-re. Ogni mese si introduce un piatto nuovo perché crediamo sia giusto dare al cliente novità e ampia possibilità di scelta. Arrivia-mo ai vini. Non bisogna dimenticare che Panevino è nel cuore della Franciacorta. Il vino qui è di fondamentale importanza. Roberto Ballerini è il responsabile di sala, l’esperto dei vini, il re della cantina. Canti-na che dice: ottimi rossi italiani, e bianchi importanti. Gradoni, Dossi delle querce,

Cortefranca, Pian della Villa. Cuveè e Cà del Bosco prestige. Rossi Italiani Importanti e molti rosè dalla Francia. Vini da dessert e passiti.

I piatti nascono dalla

ricerca di ricette della tra-

dizione romana cucinati

con passione e diverti-

mento, per fare in modo

che il cibo non sia solo

nutrimento ma sazi anche

lo spirito.

www.oster ianumeroset te. it

Osteria numerosette

cucina romana

Osterianumerosette via Pignolo 50 - Bergamo Tel. 035 212510

aperto tutti i giorni a pranzoLa sera dal Mercoledì al Sabato

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Ai lavoratori stanchi e in cerca di pausa che li distragga dalle fati-che quotidiane viene in soccorso il Caffè del Largo : un piccolo angolo partenopeo proprio nel centro di Bergamo. In Largo Belotti 32 i tre gestori della caffetteria – Massimo Palmese, Claudio Locatelli e Valeria Esposito – creano, grazie alla loro simpatia, un connubio Bergamo-

Caffè del LargoCaffetteria

Caffè del Largo - Largo Belotti, 32 - Bergamo - Tel 035/249222

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Napoli. Unione che si riscontra nella gastronomia del locale, che propone specialità tipiche napoletane, nel gusto del caffé, per i tanti consumatori abituati al rito mattutino della colazione o della tradizionale tazzina di espresso, ma soprattutto nella cordialità e simpatia dei titolari. E per le giornate estive, calde e afose, il Caffè del Largo propone cibi freschi e na-turali come le preparazioni allo yogurt naturale guarnite da frutta fresca o frutti di bosco, macedonie di frutta, frozen e granite di vario genere o frutta fresca nel bicchiere. Lo yogurt, in particolare, è un cibo dalle mille virtù, ottimo alleato delle diete, per il calcio contenuto. Dal punto di vista nutri-

zionale è un alimento completo e bilanciato, con proteine di alto valore biologico e zucchero facilmente assimilabili. Per chi non tollera il latte, lo yogurt risulta più digeribile. Fresco e leggero, uno yogurt ai frutti di bosco, per esempio, è quindi uno spuntino perfetto per le torride giornate estive.E per chi lavora in centro città ed è costretto a restare bloccato in ufficio, senza poter prendere una pausa per il pranzo, il Caffè del Largo consegna direttamente le ordinazioni. Il servizio offerto dalla caffetteria è infatti fortemente ri-chiesto nei dintorni di Largo Belot-ti, dove esercitano la loro profes-sione dagli impiegati ai manager, dagli avvocati ai magistrati. Il caffè del Largo vi aspetta a Bergamo in Largo Belotti 32 per la vostra pausa partenopea.

La pausa partenopea

nel centro bergamasco

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Come nasce un marchio di gioielleria? Da una lunga storia familiare, fatta di passione per un lavoro nato da un incontro. Sto parlando di mio nonno e di mia nonna. Mio nonno era un orologiaio specializzato, era l’orologiaio di Isola Borghese. Era partito da ragazzino con la bicicletta, faceva tutti i paesi della Val Sabbia. Arrivava fino a Bardolino. Poi si é sposato con mia nonna che portava avanti l’oreficeria mentre lui faceva l’orologiaio. L’attività è nata qui ed è sempre stata qui. Si é ampliata con marchi sempre più importanti, mio padre ha portato avanti l’attività dagli anni Ottanta a oggi, poi siamo arrivati noi, la terza generazio-ne, io e mio fratello. Oltre ai negozi di Desenzano, Salò, Limone e Maderno, da 15 anni abbiamo un nostro laboratorio in Piemonte dove produciamo, ri-prendendo l’attività originaria della famiglia. Oggi siamo diventati importatori di diamanti. Tutta la nostra gioielleria con diamanti viene prodotta da noi. Come nasce un gioiello? Mi occupo personalmente delle pietre, sono un esperto di gemme; questa é una cosa che mio padre mi ha tramandato. Sensibilità o tecnica per la selezione dei diamanti. Una volta al mese andiamo ad Anversa che é il mer-cato mondiale per i diamanti. Il nostro punto di forza sono i grandi marchi di orologeria. Abbiamo marchi di fascia alta: Cartier, IWC, Chopard, Franck Muller. Siamo conosciuti per la nostra storia, per la gioielleria d’alta gamma e per i nostri marchi. Il punto di forza é la qualità che mettiamo in quello che facciamo. Dall’anello al bracciale che creiamo le caratteristiche tecniche sono altissime. Tutto é realizzato ai massimi standard. Tutto è lavorato a mano a partire dalle caratteristiche delle pietre. Per i diamanti abbiamo l’op-portunità di scegliere il tagliato e comprare direttamente dai produttori, il che significa qualità di taglio eccezionale e prezzi ottimi per noi, e dunque per la nostra clientela. Stiamo parlando di pezzi unici, naturalmente. Il futuro della gioielleria? La gioielleria non ha mai avuto grosse crisi perché c’é un valore intrinseco molto alto; Meno gioielli per le serate di gala, più gioiello per tutti i giorni. Discreto e importante. Oggi il giorno e la sera vanno di pari passo. Un ritrovato degli anni 40, ora riproposto é l’anello giorno e notte solitario che all’occorrenza viene completato da uno scafo che lo rende gioiello da occasione più ricco. Uno spunto dalla storia. L’Italia é la patria per la gioiel-leria. Il progetto per il futuro resta quello di mantenere alto il livello. Lavorare sempre di più sulla qualità, in ogni fascia di prezzo.

Tranquilli gioiellieri dal 1891

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Perché Via Montenapoleone? Questa via è in assoluto la più importante tra quelle che formano il cosiddetto “quadrilatero della moda”. “Il nostro sogno era di creare qualcosa di esclusivo e all’altezza di questo nome. Il nostro sogno si è concretizzato. Mi recai a Murano, spinta dall’entusiasmo di creare qualcosa di esclusivo – racconta Miriam Cuminetti –. Incontrai un artista che con il vetro ci sapeva proprio fare e da lì ebbe inizio la nostra storia”. Un connubio artistico iniziato nel Ferragosto 2005 e sempre creativo.È un porto tranquillo per donne in cerca di gusto ed estetica, quello ideato da Miriam Cuminetti e Claudia Acerboni, madre e figlia. Via Montenapoleo-ne è il negozio adatto per chi è alla ricerca di originali componenti per creare collane. La scelta è vasta: dalle pietre colorate, alle perle, alle resine e gli argenti ed i vetri di Murano. Via Montenapoleone è il regno della fantasia, dove ci si può sbizzarrire e creare i propri gioielli: il risultato è un pezzo

unico. Un’arte che viene stimolata grazie all’ambiente creato da Claudia e Miriam: at-mosfera accogliente ed estrosa. “Provengo da una famiglia di sarti – racconta Miriam – sin da ragazza mi distinguevo per originalità di stile e gusto, una creatività innata che ho trasmesso a mia figlia. Ho sempre cercato il modo per sfogare il mio estro e con Via Montenapoleone questo sogno si è concre-tizzato. Mi sento realizzata e fortunata”. Nel negozio di Claudia realizzare un gioiello è come confezionare un abito su misura. Mentre Miriam progetta perle uniche a Ber-gamo e a Murano, Claudia si occupa delle creazioni con l’arte e la tecnica del nodo del gioielliere. Claudia, inoltre, organizza corsi per inse-gnare alle clienti come realizzare i propri gioielli. Aggiunge simpaticamente: una alla volta per carità ! Perché non deve essere solo apprendimen-to ma anche relax e piacere di un incontro esclusivo. “Le nostre creazioni non sono per sempre – commenta Miriam – quando una collana o un bracciale stancano, li si smonta per ricrearli con nuove pietre. Spesso le clienti arrivano con i gioielli chiedendoci di ricrear-ne di nuovi. Così alterniamo a pietre, perle di Murano, per rimodellare il vecchio bijou. Grazie ai vetri di Murano abbiamo ormai

Via Montenapoleonea Bergamo

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creato un nostro stile particolare e la nostra mano è riconoscibile. Miriam appassionatamente prosegue: “nono-stante gli impegni di lavoro non ho mai perso l’abitudine e il piacere di fare una passeggiata in via Monte Napoleone a Milano, dove proprio lì le nostre perle hanno sedotto uno dei più grandi nomi dell’alta moda italiana tanto che proprio quest’anno hanno sfilato sull’importan-te passerella milanese. Chi conosce le nostre perle non faticherà a riconoscerle sulle collane di questo nome di spicco”.“Voglio ringraziare di cuore tutti coloro che ci sono stati vicini in questa avventura con il loro importante aiuto e in particolare la perso-na che incontrai a Ferragosto, il primo artista che fece innamorare me e le mie clienti con le sue bellissime e raffinate perle di vetro. Un affettuoso ringraziamento anche all’artista e grande amica “Neve” che sa “drogarci” con le sue perle. Chi ha avuto modo di vedere le nostre perle è d’accordo sul termine “droga”, perché quando le guardi non puoi fare a meno di acquistarle, trasmettono emozioni che non si possono spiegare: chi si innamora delle perle di vetro di Murano ne diventa dipendente. Spesso le clienti dicono: “Non posso più tornare, qui mi rovino !”. Ma poi tornano prima del previsto per-ché chi le ama le vorrebbe acquistare tutte. E poi c’è Pina, la nostra cagnolina, che ci fa’ tanta compagnia e da sempre è la prima ad accoglie-re i nostri clienti”.

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Bottega di nonna Betta un piccolo mondo artigianale

Piccolo mondo artigianale alla Bot-tega di nonna Betta

I bambini passano correndo per il borgo storico di Città alta e si fermano per dare una sbirciatina; qualcuno scende il gradino d’in-gresso e si siede sulla piccola sedia in legno all’interno del negozio: la Bottega della nonna Betta, in via Colleoni 3 sembra fatta apposita-mente per loro. Ma non sono solo

i piccoli ad essere attratti dalla Bottega: l’atmosfera positiva e i colori sgargianti invitano a trattenersi un po’ di tempo in quello che sembra un piccolo mondo antico fatto di filati pregiati, rifiniture manuali e una cura che si sofferma su ogni sin-golo dettaglio. La ricerca del ma-nufatto artigianale si percepisce al solo sguardo: una tenda dalle tinte accese, lavorata a mano, chiude il camerino, le bocce di vetro appoggiate sulle mensole contengono piccoli pezzi di stoffe diverse e alle pareti sono appesi cappelli e coperte per bambini. La Bottega di nonna Betta è un laboratorio artigianale dove nulla viene lasciato al caso: ogni capo di maglieria per donna, uomo o bambino di qualsiasi età e taglia viene lavorato artigianalmente con tessuti pregiati, principalmen-te cachemire e seta, rifinito con materiali naturali come legno e madreperla per i bottoni e ulti-mato a mano per curare anche il

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minimo particolare.I modelli sono unici e originali, frutto di una scelta ben precisa: “Nel nostro laboratorio non usiamo macchine automatiche – ci spiega Sabrina Tosini, titolare del nego-zio – I capi perderebbero di significato, mancherebbe quel tocco che contraddistingue un pezzo artigianale da uno prodotto in serie”. E per curare anche l’unicità del prodotto, la Bottega di nonna Betta ha scelto di non produrre grandi quantità, ma solo pochi capi per modello, a volte anche uno solo, personalizzato magari dal cliente stesso. E’ il gusto del toccare con mano rocche e matasse, sceglie-re tra la gamma di colori quello che più si gradisce e confezionare in modo strettamente personale il capo che più si desidera: ma-glie, gonne, giacche, pantaloni, cappotti, sciarpe. Borse colorate create spesso in coppia – una grande e la gemella più picco-la – o addirittura in un campione unico. Ma anche coperte, berrette e cappelli e accessori vari come le spille realizzate dalla Bottega: vere e proprie creazioni uniche, arricchi-te da una base in uncinetto su cui vengono sapientemente applicati inserti originali e particolari che im-preziosiscono il pezzo come perline colorate, gemme e fiori in resina, per un risultato estremamente originale e ricercato.

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Un rivista come la nostra, che si prefigge di arrivare al cuore di Bergamo e dei bergamaschi, non poteva iniziare il suo viaggio che dalla “città alta”, il vero e proprio centro di questa terra ed il prezioso motivo d’orgoglio che l’ha resa famosa in tutto il mondo. La città alta, infatti, rappresenta qualcosa di speciale per Bergamo e per tutti i suoi abitanti, un fiore all’occhiello ed una prerogativa della quale andare fieri. Quando si parla del cuore di questa splendida terra e della sua gente, se si vuole comprendere la sua “radice” più profonda bisogna assolutamente salire nella città alta, salire nelle sue vie caratteristiche e respirare quel profumo che, meglio di mille parole, descrivo-no questo autentico gioiello unico al mondo. Questa vera e propria “corona”

I MILLE TESORI DELLA GENTE BERGAMASCA

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Pche sovrasta tutta Bergamo è infatti un dosato crogiuolo di storia, cultura, architettura, tradizione, passione, natura e tante altre forti sensazioni ancora che ne fanno, appunto, l’illustre biglietto da visita di tutta la città. Ovviamente nel piccolo spazio a nostra disposizione non possiamo neppure lontanamen-te riassumere tutto quello che la città alta è e rappresenta. In questo senso la cosa migliore da fare è quella di consigliare a tutti coloro che hanno del tempo a disposizione di dedicare alcune ore a questa visita che si rivelerà quanto mai istruttiva e sorprendente. Saranno queste immagini a parlare agli occhi ed al cuore dei visitatori molto più direttamente di quanto non possano fare queste nostre parole forzatamente inadatte e stringate. Come dimostrano le foto che campeggiano in queste pagine, la città alta è tutto un susseguirsi di incontri affascinanti e stupefacenti. In questo senso gli esempi si sprecano, ma edifici come il Palazzo della Ragione, l’ex monastero di S. Agostino, la Biblioteca Civica, solo per citare alcuni “casi sparsi”, rappresen-tano bellissime testimonianze di quell’autentico tesoro che rende Bergamo una città senza eguali in tutto il mondo. Un cimelio che si apre agli occhi del visitatore con il Palazzo settecentesco che ospita la stazione superiore e che

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Pprosegue poi il suo itinerario incantato (improvvisamente sembra di uscire dal tempo) verso altre direzioni ugualmente suggestive, come le strade che conducono alla Porta S. Giacomo o alla Rocca, senza dimenticare altre testimonianze assolutamente da gustare come il Museo Storico o il Parco delle Rimembranze. In tutto questo splendore non vanno dimenticate tante altre “prerogative” di Bergamo Alta, dalle suggestive strade acciottolate, alle piazze che escono dal tempo sino al Duomo, il tutto racchiuso in un’atmo-sfera che rappresenta un’esperienza assolutamente da assaporare. E’ per questo che tutti i bergamaschi sono orgogliosi della città alta e dedicano a questa parte del loro territorio le attenzioni e la considerazione che una parte così importante ampiamente merita. Per difendere e valorizzare un tesoro così affascinante non si fa mai abbastanza ed è proprio questa la consape-volezza, ma al tempo stesso il messaggio che deve accompagnare tutti noi verso il futuro, verso un domani che renda la città alta il gioiello sempre più brillante e prezioso di Bergamo e di tutti i bergamaschi.

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MODA D’INTERNI

Ricerca ed innovazione per seguire l’evoluzione delle tendenze ed essere preparati a soddisfare i gusti e le esigenze dei propri clienti. Questi sono gli strumen-ti base della Moda d’Interni design in via Roma, 33 a

Nembro che da generazioni si occupa di trovare soluzioni d’arredamento e progetti unici al passo con i tempi. E pro-prio la voglia di essere attenti, preparati ed attuali per pro-porre in anteprima soluzioni d’avanguardia ha fatto nascere 3 anni fa l’atelier Luxury Chic, un’area dedicata completamente al lusso dove l’atmosfera del classico trova la sua espressione.

Moda d’Interni è uno showroom totalmente dedicato al design dove si pos-sono trovare dal mobile moderno, pulito, essenziale e minimalista nelle sue forme e proporzioni come le realizzazioni di Cappellini, MisuraEmme, Lago,

Effeti, Presotto ed altri brand di altissimo livello di ar-redamento, all’uso del lusso espresso in modo molto elegante e raffinato di Fendi, Ego, Giusti, Portos, Cre-azioni, Cornelio, Cappallini, Halley, Rugiano... che

con il loro ed il nostro accento sui particolari e sul-le rifiniture preziose grazie all’uso di foglia

argento Swarovski, perlage... creano il mobile gioiello.Il design del minimalismo e del luxury va di pari

passo con la tecnologia e si lega indissolubilmente alla domotica; l’evoluzione tecnologica cambia il no-stro modo di vivere la casa:

sicurezza, comfort, per-sonalizzazione, energia, ecologia e multimediali-tà sono solo alcuni degli aspetti che rientrano nel nuovo concetto di arreda-re.

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La realizzazione di un ambiente domotico compor-ta una progettazione e una costruzione sempre più

attenta, con un criterio multidisciplinare innovativo: non ci si basa più sull’approccio tradizionale per una costruzione a “strati” separati e sovrapposti, ma la tecnologia deve essere al servizio di chi abita la casa, rispettando il suo stile di vita, le sue necessità. La casa domotica mette al cen-tro l’individuo, organizzando per lui la tecnologia domestica per offrire una soluzione abitativa di grande comfort.

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La Moda d’Interni Design celebra questo connubiotra impianti hi-tech di elevato livello e design raffinatoper offrire una casa intelligente ma allo stesso tempolussuosa e appagante, dove gli ambienti sono studiatiappositamente per soddisfare le esigenze del cliente.I concetti portati avanti dalla Moda d’InterniDesign vanno di pari passo con la Modamobildi Torre de Roveri. Uno show room di 4.000metri quadrati con proposte d’arredamento

eseguite ad hoc, grazie anche alla falegnameriadi famiglia in grado di rispondere alle richiestepiù diverse dei clienti, offrendo soluzioni sumisura.Modamobil realizza arreda gli spazi più esigenticome alberghi e residence, con proposteperfette per gli ambienti più complessi e ricercati.Un arredamento curato nei minimi dettaglie rifinito anche da tendaggi, copriletti, lampade;un design ideato da professionisti chesfruttano soluzioni d’avanguardia e tecnologiemoderne e avanzate.

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Capelli lunghissimi con gli extension

Una moda avviata da top model e dive di Hollywood e che ora conquista tutte: avere una lunga e folta chioma di capelli è il sogno di molte donne, soprattutto di quelle che ha fatica riescono al massimo ad arrivare a un caschetto altezza spalle. Naomi Campbell, per esem-pio, ha sempre utilizzato extension per ricreare l’effetto di una chioma lunga e liscia, dato che i suoi ca-pelli sarebbero naturalmente corti e crespi, stile afro. Oggi, grazie agli extension questo sogno è alla portata di tutte. Se infatti l’allungamento artificiale dei capelli fino a qualche anno fa si aggirava attorno a cifre da capogiro, che in poche potevano permettersi, adesso grazie alle nuove tecniche, si parla di qualche centinaia di euro per decine di centimetri in più di capelli. Una integrazione artificiale che viene fatta con capelli veri. L’effetto è quello di rinfoltire o di allungare i capelli gia presenti. Per quanto riguarda l’applicazione le tecniche sono davvero diverse: dalla cheratina alle colle fissanti, fino alla tecnica ‘brasiliana’ che consiste nell’annodare le ciocche di extension a quelle di capelli veri, o alla tecnica africana, che consiste nel creare delle treccine parallele ai propri capelli, a cui vengono lette-ralmente cucite le ciocche

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di extension.Le tecniche di fissaggio degli extension sono tante – ci racconta Federica Gruber, titolare del negozio Grupò parrucchieri in via Divisione Tridentina a Ber-gamo –. Nel nostro centro preferiamo però creare ex-tension tramite la tessitura. Si forma una treccia con i capelli della cliente e vi si inseriscono poi le ciocche di allungamento”. Questo metodo, adatto soprattutto a chi ha una lunghezza media, è veloce – richie-de solo 40 minuti – e non danneggia il capello. Ma la

novità proposta da Grupò parrucchieri è la tecnica tramite colla chirurgica: “Si tratta di un nuovo meto-

do, all’avanguardia che utilizza una colla speciale, usata anche dai dentisti e in sala chirurgica. Il processo di allungamento è un po’ più lungo rispetto ai 40 minuti della tessitu-ra, ma questa tecnica è particolarmente adatta a chi ha un capello corto e il risultato è davvero sorprendente”. L’allungamento dei ca-pelli tramite extension può durare dai due ai tre mesi, ma è fonda-mentale saperli curare: no quindi a normali

shampoo che possono rovinare l’exten-sion. L’ideale è richiedere prodotti specifici per la cura dell’allungamento, consigliati dai parrucchieri.

via Divisione Tridentina 2/B2 4 1 0 0 B E R G A M OTe l - Fa x 0 3 5 . 2 7 0 6 2 6

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Un angolo di Thailandia nel cuore di Bergamo

Lasciatevi alle spalle stress e preoccupazioni della routine quotidiana per entrare in un piccolo paradiso thailandese proprio nel cuore di Berga-mo. La ThaiSPA in via Guglielmo d’Alzano, offre a chi vuole staccare anche solo per qualche ora e godersi un rilassante massaggio, in un ambiente particolare, confortevole e decisamente esotico. La ThaiSPA vi accompagna nel vostro percorso alla scoperta delle atmosfere thailandesi grazie al suo particolare arredamento in legno, originale del luogo, che compone le camere per due persone

e una suite completa di bagno turco e idromassaggio, e al suo personale rigorosamente thailandese e formato nella migliore scuola di massaggi del Paese. Posto ideale se volete regalare una coccola a voi stessi o agli altri per un’occasione particolare: compleanno, matrimonio, anniversario o San Valentino. L’idea nasce dopo un viaggio di Monica Biasio, titolare della ThaiSPA proprio in Thailandia, dove il massaggio ha radici profonde, ancorate alla cultura di un Paese che mira più al raccoglimento spirituale e al benessere interiore piuttosto che alla cura estetica. I massaggi che la ThaiSPA propone

sono infatti un giusto mix di energia, equilibrio e benes-sere. Come il Thai tradizionale: un massaggio piuttosto energico che viene praticato in digitopressione, senza l’utilizzo di olio. Il cliente indossa un kimono e riceve una pressione efficace soprattutto per riequilibrare l’intero organismo, sbloccare le articolazioni e dare un grande senso di benessere, andando a toccare, at-traverso la digitopressione, tutti i SEN, ovvero i centri energetici del corpo. Il Thai Spa alterna invece una fase più vigorosa a una fase rilassante; viene eseguito con olio per un risultato estremamente energizzante dato proprio dall’alternarsi delle due fasi. Chi sceglie di concedersi un massaggio rilassante può contare sui benefici dell’aromaterapia: la ThaiSPA utilizza infatti un olio personalizzato in base alle preferenze del cliente stesso. Molto conosciuto è il Foot massage, o massaggio plantare tipico della

riflessologia. Così come conosciuti sono i suoi effetti benefici: il trattamen-to, localizzato nella zona dei piedi, va a toccare tutti i centri collegati ai vari organi del corpo e va quindi a ristabilire il buon funzionamento degli organi

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toccati. Richiestissimi il trattamento testa-collo che – in versione ridotta (20 minuti) o prolungata (50 minuti) – va a riequilibrare e portare giovamento a tutte le problematiche relative alla muscolatura di questa zona critica del nostro corpo, e il nuovo Art Reum, localizzato sulla zona della schiena e della cervicale. Da segnalare anche i massaggi con tamponi caldi alle erbe

aromatiche, scaldati a vapore, perfetti per la circolazione e per le articolazioni grazie alla loro proprietà disinfiammante.

Molti dei trattamenti praticati nella ThaiSPA non han-no solo il vantaggio di portare nuovo equilibrio e be-nessere a livello interiore, ma sconfinano nell’este-tica grazie agli oli utilizzati dalle ricche proprietà come l’olio di cocco caldo, idratante e nutriente, o il trattamento Carezza di rosa, aroma terapico agli oli essenziali di rosa, delicati ed idratanti. Da segnalare poi lo Stone massage, ovvero mas-saggio con le pietre. Questo particolare trattamento utilizza pietre calde e fredde che vengono posi-

zionate in varie parti del corpo, sui punti chackra, aprendoli e riequilibrandoli. Il massaggio, sia manuale

sia praticato attraverso le pietre, produce una serie di effetti benefici sul sistema circolatorio, cardiovascolare,

gastroenterico e muscolare. Lo Stone massage ha anche risultati dal punto di vista emozionale: rappresenta infatti

un valido aiuto per le persone ansiose o soggette a crisi di panico.

Tra i vari trattamenti merita un approfondimento anche il Mas-saggio zar e zarina, praticato con le pietre d’ambra del Mar Bal-tico: questo trattamento è estremamente rilassante, anti-stress del sistema nervoso ed estetico allo stesso tempo, perché utiliz-

za l’olio d’ambra del Mar Baltico che contiene acido succinico, molto utilizzato nei prodotti estetici e farmaceutici.

Tutti i trattamenti e massaggi vengono poi combinati tra loro dalla ThaiSPA in modo armonioso per dar vita a una serie di pacchetti e percorsi in suite come il Sawasdee che comprende bagno turco con aromaterapia e un massaggio (1 ora e mezza), oppure il percorso Reale composto da bagno

turco con aromaterapia, idromassaggio con oli e massaggio corpo, viso e testa (2 ora e mezza) o ancora il pacchetto The magic

spa con idromassaggio con oli, scrub corpo, massaggio a quattro mani e massaggio viso (2 ore e 20).

E per venire incontro alle esigenze di chi vuole dedicare sempre più attenzioni a questo mondo fatto di equilibrio, energia

e benessere interiore e avvicinarsi anche alle tecniche di meditazione la ThaiSPA offre corsi di Litoterapia che aiuta a ritrovare benessere e serenità grazie all’uso dei cristalli, di Feng Shui, ovvero come creare un ambiente positivo in casa e di meditazione.

La ThaiSPA si trova a Bergamo, in via Guglielmo d’Alzano 2/D e Brescia, in via dei Mille 22. Potete trovare ulteriori informazioni sul sito www.thaispa.it

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L’astrattismo di Vito Signorile

L’astrattismo di Vito Signorile si caratterizza di un proprio linguaggio plastico, dove predomina l’elemento astratto informale e il colore accostato sulla tela vibra di una luce propria. Le sue opere si distinguono proprio in virtù di questo vigore cromatico e per una pennellata che si libera da qualsiasi schema precostituito. La versatilità creativa e l’ inventiva di Signorile met-tono lo spettatore al centro di un vortice di emozio-ni intense.

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the color first of all

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LIBERTA’ DEL COLORE CHE AVANZA

ANCHE L’OGGETTO PIU’ SEMPLICE

PUO’ COPRIRSI DISIGNIFICATI PROFONDI

E DIVENTAREOGGETTO D’ARTE

Nel greco antico l’etimologia della parola ARTE era TECHNE’, con un signi-ficato di connubio tra pensiero e manualità.Più tardi Platone stesso non faceva differenza tra ARTE e ARTIGIANATO, binomio perso nell’ultimo secolo a favore della sola concettualità intesa come sola ideazione dell’opera d’arte demandando ad altri la sua realizza-zione concreta.Oggi l’ARTE come ieri, come in ogni epoca parla con le parole che ha.Plastica, plastica moderna insostituibile materia di sintesi, sinonimo di riproducibilità, forma del nostro tempo, aspetto visibile dell’invisibile scorrere delle cose.L’arte visiva è in grado di segnalare quella rivoluzione nel modo di stare al mondo che, positiva o negativa, è innegabile e senza alcun precedente.Tutto ciò che abbiamo imparato potrebbe presto risultare obsoleto.Ecco che l’affacciarsi di Guido Visentini artista “moderno” che oscilla tra il desiderio di ciò che vuole, di ciò che scarta e di ciò che ancora non può evi-

a cura di Guido Visentinie Silvana Bracchi

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www.animal-art.itTel. 035 400 590

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LIBERTA’ DEL COLORE CHE AVANZA

tare, con le sue opere in plastica, apre nuovi scenari, nuove possibilità percettive che si traducono in espressioni completamente originali.Ecco che, in particolare il suo cavallo, seppur prodotto industrialmente dalla pla-stica riciclata, nasce da “ un pensiero” concretizzato in un’opera unica modellata dalle mani dell’artista che sanno rendere questo “pensiero” in forme, espressioni, volumi e armonie in grado, tutte insieme, di suscitare una forte emozione.Il linguaggio dell’artista è la plastica riciclata perché tale materia è estremamente duttile e si presta, con la sua malleabilità, a creare una natura con una pelle nuo-va , seppur finta, come contenitore di forme animali.Ecco allora il cavallo, da sempre presente nella vita dell’uomo e che ha cammi-nato insieme e generosamente accanto a lui, vestirsi di un’epidermide dai colori decisi di forte e scioccante impatto visivo, prendere posto nell’immaginario dell’ar-tista.Egli lo usa come mezzo per provocare pensieri di riflessione e costringere a prendere coscienza dei disastri che la nostra Madre Terra è costretta a subire dall’uomo.Il cavallo dell’artista è ora un forte richiamo per chi lo guarda, un grido che viene da lontano e che ci dice di fermarci a riflettere.A ragione qualcuno dice che forse chi gioca a volte si assume più responsabilità di chi pretende di fare sul serio e finisce per indossare la serietà come una ma-schera della propria falsa coscienza.

E allora……….tu che leggi pensa ad un castello di carta sul quale sono raccontate delle fia-be…………stropicciati gli occhi…………..vedi come appaiono delle immagini e un mondo dove è possi-bile riavvicinare gli uomini agli animali e alla natura.Ecco allora che l’ano-malo stupore suscitato da queste opere, conte-stualizzate nelle locations più ortodosse del nostro vivere quotidiano, diventa una nuova emozione vita-le, senza la quale nessuno sguardo posato sul mondo riuscirà più a darci né inquietudine né piacere, negando così la nostra modernità.

LE EMOZIONI DELL’ ANIMAL-ART

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LA VITE, IL VINOa Castelli Calepio

Castelli Calepio è situato pochi chilometri a sud del Lago d’Iseo, sulla sponda bergamasca del Fiume Oglio, in Valcalepio. Il comune è composto da quattro frazioni: Tagliuno, sede del Municipio, nella parte nord-ovest, Calepio a nord-est, Cividino a sud-est e Quintano a sud- ovest. Il municipio è sito in Via L. Marini 17-19.Castelli Calepio conta 9860 abitanti e ha una superficie di 9,9 chilometri qua-drati. Il territorio del comune risulta compreso tra i 156 e i 541 metri sul livello del mare. E’ possibile raggiungere Castelli Calepio oltre che con le strade provinciali, anche percorrendo l’Autostrada A4 Milano-Venezia, uscita Ponte Oglio.

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Scorcio del Castello dei Conti Calepio

(Foto Reporter)

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Il bellissimo Chiostro del Convento dei Frati Minori a Cividino di Castelli

Calepio (Foto Reporter)

Castelli Calepio. Il nome, a sentirlo la prima volta, ha senz’altro un suono strano…difficile da associare. Castelli…più facile: ci sarà sicuramente almeno un castello in zona, e già questo fa nascere curiosità, ma… Calepio…che sarà?…Ed ecco il primo immediato motivo per avvicinare questo territorio: colmare una lacuna, conoscere. Scatta il desiderio di una breve ricerca, un breve viaggio nel web….“….Castelli Calepio, terra di Fra’ Ambrogio detto Il Calepino che, nel 1502 ideò, compilò e diede per la prima volta alla stampa il primo dizionario al mondo di latino, stampato poi in tutta Europa….” Clicco Calepino….e si apre un mondo insospettato….oltre 65.000 siti contengono questo nome, il nome di questo frate, che fece una cosa importantissima, fondamentale per la lingua italiana. Fra’ Ambrogio era figlio naturale del Conte Trussardo da Calepio.

Ed ecco che comincia a farsi chiara l’associazione di idee che aggiunge un secondo concreto motivo a conoscere questa terra.

Il viaggio nel web continua….”Castelli Calepio….qui nacque Ignazio Marini, il più importante basso bergamasco dell’800, amico di Donizetti e di Verdi, che arrivò a scrivere un’opera per lui. La residenza di Marini è oggi la sede municipale….Ecco il terzo motivo.

Un Borgo Medievale ed un Castello, numerosi e interessanti siti storici da visitare, arte, musica e splendidi scorci paesaggistici, oltre ad un importante realtà vitivinicola che affonda radici in tempi antichi. Ecco un’altra storia in-

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teressante. Ecco un ulteriore, affascinante motivo che fa scattare il desiderio di approfondimento: Castelli Calepio è terra vocata alla coltura della vite, una pianta meravigliosa che accompagna il viaggio dell’uomo fin dalle sue origi-ni. Tradizione fatta di fatica, terra, sole, vendemmie, danze. E non c’è terra legata alla viticoltura che non sia capace di donare forti emozioni e quindi di forte richiamo.

La vite, pianta legata al divino, dagli effetti magici, inebrianti; legata a danze sfrenate, allegre, licenziose… durante le quali le Baccanti, sacerdotesse del dio Dioniso (dio del vino), danzavano di notte al lume di torce ardenti:“… Libero offriva il vino, ognuno portava la propria corona mentre un ruscello faceva scorrere le linfe da mescere con parca misura. Alcune Naiadi si avvi-cinavano con le chiome scomposte e sciolte, altre pettinate con le mani e con arte; una offriva i cibi tenendo la tunica rialzata fino al di sopra del polpac-cio, un’altra a petto nudo mostrando il seno; una con le spalle nude, mentre un’altra invece getta la veste sull’erba; nessun legaccio impediva i teneri piedi “. (Ovidio: Fasti, I, vr. 392-410). E così si va avanti nel tempo, dalle lettere alle pitture e sculture i grandi artisti ci parlano di questa bevanda, della sua capacità di unire l’uomo, nella fatica del lavoro, nella bellezza dell’affondare le mani nella terra, i piedi nei grappoli d’uva e i canti. Infine… il dolce nettare! L’estasi!

L’origine della coltivazione della Vite è antichissima.Durante l’Impero Romano la viticoltura si perfezionò, così come la tecnica di conservazione del vino ed è a quest’epoca che risale la tradizione vitivinicola della Valcalepio. Dopo lunghi periodi oscuri la produzione della vite riprende

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Il Borgo Medievale di Calepio (Castelli Calepio) (Foto Reporter)

ed i vigneti prosperano. Oggi, varie scienze collaborano affinché la produzione vinicola sia di sempre migliore qualità e così è per i pregiati vini di Valcalepio.Oggi Castelli Calepio è Città del vino, una realtà enologica di alto livello capace di inserirsi con forza e personalità nel panorama vitivinicolo nazionale e internazionale. Castelli Calepio è fra i primi quattro Comuni bergamaschi con più superficie vitata: circa 40 ettari distribuiti in 3 zone, pedecollinare, lungo il fiume Oglio ed in Collina.Fra i vitigni più diffusi e coltivati il Merlot, seguito da Cabernet sauvignon, Chardonnay, Pinot Bianco, Pinot Grigio, in minima parte anche Barbera, Moscato Giallo e Manzoni Bianco.I viticoltori presenti con regolare aggiornamento delle superfici vitate sono circa 40, di cui sette imbottigliatori di vini IGT e DOC Valcalepio. Molti i soci conferitori di uve presso la Cantina sociale Bergamasca di San Paolo d’Argon, altri privati con vigneto storico ad utilizzo familiare.Ormai quasi tutti gli impianti a vigneto sono passati dalle classiche ed antiche pergole alle forme a spalliera con potature Guyot o Cordone Speronato in grado di fornire alta qualità.Il Comune di Castelli Calepio inoltre rientra come associato nelle Città del Vino d’Italia, ente di promozione e sviluppo enoturistico nazionale con sede a Siena.Castelli Calepio può offrire quindi ottime produ-zioni di Valcalepio Bianco e Rosso Doc, Rossi e bianchi IGT della Bergamasca, Spumanti metodo classico e vini Passiti.

A Castelli Calepio opera il Gruppo guide Kalos Epias, (fondato dall’Amministrazione Comunale nel 2002 in occasione delle Celebrazioni per il V Centenario del Calepino) che, nel corso dell’anno effettua visite guidate ai luoghi storici del territorio, al Castello dei Conti Calepio ed al Borgo medievale di Calepio, autentico piccolo gioiello d’Italia.

Ileana Wladimira Damiani

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Sul territorio di Castelli Calepio si svolgono numerosi eventi, organizzati dal Comune con la collaborazione delle numerose e qualificate associazioni del luogo.

Tra questi, Arteincastello, manifestazione di punta del panorama culturale della Valcalepio. Arteincastello è un incontro con la scultura, appuntamento fisso di apertura dell’estate che solitamente si svolge nella prima parte di giugno. Arteincastello si svolge in un contesto storico ricco di suggestioni che ne rafforza il fascino: le sale del Castello dei Conti Calepio. L’edizione di quest’anno (dal 30 maggio al 7 giugno) si è appena conclusa con ampi consensi e numerosi visitatori appassionati e curiosi d’arte.

Per dare il benvenuto all’autunno, A…Calepiando l’Autunno, sapori, profumi e vigneti – Arte, storia e tradizioni della Valcalepio. E’una manifestazione che consente di approfondire la conoscenza del territorio attraverso l’as-saggio dei suoi prodotti e dei suoi vini, di effettuare visite guidate attraverso i numerosi siti storici di questa terra generosa, collinare, attraversata dal fiume Oglio.Gli ingressi sono liberi. Quest’anno la manifestazione, ricchissi-ma di eventi, è in programma per il 25, 26 e 27 settembre.

Quest’anno inoltre, il 22 e 23 maggio, l’Istituto Comprensivo di Castelli Ca-lepio con il patrocinio del Comune ha presentato Il Quattrocento nel Borgo una kermesse storica accolta con entusiasmo dalle famiglie di Castelli Calepio e dai visitatori esterni. Feste, banchetti, giochi e duelli ai tempi di fra Ambrogio da Calepio: un autentico tuffo nel passato sin dall’ingresso, ambientato al Castello ed al Borgo medievale di Calepio. I visitatori hanno potuto assistere alle rappresentazioni teatrali, apprezzare i prodotti dei vari laboratori, gustare i piatti tipici della cucina locale sia presso gli stand lungo le vie del Borgo, sia prenotando la cena medievale nelle sale del Castello.

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Il fiume Oglioe Castelli Calepio,

un inscindibile rapporto nei secoli

Terra particolare quella di Castelli Calepio, comune costituito dall’unione di quattro paesi diversi (Tagliuno, Calepio, Cividino e Quintano), contraddistinto da anime fortemente diverse fra loro, da quella industriale a quel-la rurale, da quella storica a quella moderna, diviso da campanilismi più o meno accentuati a sottolineare pro-prio queste differenze, ma unito da quel denominatore comune che è il fiume Oglio.

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Veduta del Fiume Oglio (Foto di Yleana Damiani)

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Il fiume bagna il Comune da nord a sud, rappre-sentando il confine naturale con i Comuni Bresciani di Palazzolo e Capriolo, nonché delle province di Bergamo e Brescia, scorrendo in una profonda vallata all’interno del Parco Regionale Oglio Nord, e nei secoli è stato testimone di avvenimenti destinati a segnare profondamente la storia di queste zone.Lungo le sue rive sono passati e scontrati gli eserciti più eterogenei: dalle legioni romane dirette nelle pro-vince d’oltralpe; i Goti, gli Unni, i Vandali e gli Alani che dal V secolo hanno invaso e devastato le nostre contrade; Bresciani e Bergamaschi che nel XII e XIII secolo si sono frequentemente affrontati in un gioco al rimpiattino di conquiste e riconquiste; i Visconti di Milano che nel XV secolo hanno combattuto contro la Repubblica di Venezia; le Aquile Napoleoniche che alla fine del XVIII secolo hanno saccheggiato e depredato la zona; fino all’ultima Guerra Mondiale, con i frequenti bombardamenti del ponte ferroviario tra Cividino e Palazzolo s/O, arteria di comunicazio-ne di primaria importanza.Ai nostri giorni, al contrario, il fiume si trova immerso in uno scenario e in un’atmosfera di incredibile tran-quillità, di cui si può godere percorrendolo, a piedi od in bici, su entrambe le sponde grazie alle piste ciclopedonali, alla ricerca della natura e di antichi edifici religiosi, civili ed industriali.Risalendo il lento e costante scorrere delle acque, la sponda bergamasca svela ad un osservatore come primo fra i suoi talenti il Santuario della Beata Vergine Maria di Cividino. Sul luogo dove ora sorge il santuario vi era precedentemente eretta una cappella campestre dedicata alla Beata Vergine, con un affresco raffigurante Maria con Gesù Bambino, ancora oggi esistente e venerato sull’altare dedicato alla Madonna. Fu pregando davanti a quell’affresco che, il 30 settembre 1597, un pastore sordomuto ricevette il dono dell’udito e della parola. Subito

dopo la miracolosa guarigione, la popolazione di Cividino si attivò per la realizzazione del Santuario che, grazie alla donazione del terreno da parte di Bernardino Marenzi ed all’autorizzazione del Ve-scovo di Bergamo del 1599, poté avere inizio per concludersi da li a pochi anni.La Chiesa è a navata unica, con la copertura a volta affrescata negli anni 50, raffigurante la

Madonna con il Bambino Assunta in cielo con schie-re di Angeli sullo sfondo. Il Presbiterio, recentemente restaurato, contiene un prezioso altare ligneo dorato

e policromo del XVI secolo. La Cappella dell’organo (o Cappella del Crocifisso) sulla destra, accoglie un organo Ligneo a canne. La Cappella della Beata Vergine, a sinistra, è decorata con stucchi raffi-guranti elementi floreali ed angeli e con affreschi sulle vele della volta a padiglione. L’altare, in marmi policromi, racchiude l’affresco quattrocentesco della Madonna con il Bambino.Tramite la breve salita acciottolata (via Santuario) si arriva al Convento Francescano, edificato a partire dal 1620, che ospitò i frati Francescani che ressero il Santuario fino al 1637, anno in cui costruirono una loro Chiesa all’interno del Convento e la dedicarono a San Francesco.Il Convento fu sede del Collegio Serafico, lo Studio Teologico, il Ginnasio ed il Liceo della Provincia dei Frati Minori della Lombardia.Particolarmente degni di nota sono il chiostro a due ordini e nella Chiesa la presenza di un coro ligneo del’700, una tela del Ceresa (1609 - 1679) ed una di Anton Van Dyck (1509 - 1541). Meritevole di men-zione è inoltre la biblioteca che custodisce numerosi preziosi libri antichi.Dal Convento si gode di una stupenda vista sul fiu-me e sul Santuario, oltre che sulle colline circostanti.In prossimità del Convento e del Santuario correva la via Consolare Romana Aquileja - Milano, oggi ancora in parte visibile, diramazione della via Emilia. Il tratto insistente sul territorio comunale proviene da Telgate (Tellegatae romano) passando per Quinta-no sull’attuale via Beccarie, prosegue per via San Giovanni, passando davanti alla chiesa romanica di San Giovanni delle Formiche e continua sull’attuale via Romana che scende al fiume.La via consolare romana, attraversando l’Oglio con un ponte, proseguiva in territorio bresciano. A testi-monianza dell’antica strada sono state rinvenute due

“A…Calepiando l’Autun-no” – Inaugurazione in notturna a Villa Clorinda, Sede Municipale (Foto Reporter)

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pietre miliari datate 335 d.c. e 360 d.c.Altra testimonianza della presenza romana nel ter-ritorio, sono le frazioni di Cividino e Quintano; oltre che per i nomi di origine latina (“Quintana” in parti-colare era la parte del campo militare romano dove sostavano i vivandieri e le botteghe degli artigiani che accompagnavano l’esercito), per il ritrovamento di alcuni capitelli risalenti a quell’epoca nel territorio di Cividino.Ritornando al Santuario e guardando al di là del fiume si intravede il vecchio mulino Pilù; da qui si prosegue verso nord lungo la pista ciclabile, costrui-ta sull’argine che separa l’Oglio da un canale costru-ito negli anni cinquanta che alimenta una centrale elettrica ubicata a Palazzolo s/O, fino ad arrivare alla diga. Il laghetto che si è formato è un luogo ideale per gli amanti della pesca sportiva.Poco prima della diga è ancora visibile un vecchio ponticello pedonale sospe-so, che serviva a quanti, prima e subito dopo la seconda guerra mondiale, dovevano attraversare il fiume per re-carsi al lavoro presso la vecchia filanda (comunemente detta “stoffa”), ubicata sull’altra sponda.Continuando sulla pista ciclabile si arri-va in località “Molini” e, poco più avanti, ad una vecchia centrale idroelettrica ed alla cartiera ottocentesca.Da questo momento in avanti il sentiero, discostandosi un poco dal fiume, corre in mezzo a magnifici vigneti di merlot, cabernet sauvignon, pinot bianco e gri-gio, per la produzione dell’ottimo D.O.C. Valcalepio rosso e bianco. Si continua, solo per poche centinaia di metri, sulla S. P. 83 da cui si gode uno stupendo panorama del fiume, che scorre silen-zioso leggermente più in basso, con il castello dei Conti Calepio che, dal suo poggio, controlla la valle.Al termine della strada, ritornati in riva al fiume in località “porto di Calepio”, si incontrano un canale artificiale e la filanda ottocentesca, altra prova dell’im-portanza della filatura per la zona nel XVIII e XIX secolo. In precedenza esi-steva anche un antico mulino per grano documentato nel Catasto Lombardo Veneto del 1853.Il nome della zona

sta ad indicare che il fiume in passato era navigabile e che, in tale località, esisteva un porto per l’anco-raggio delle barche provenienti dal lago d’Iseo e dalle località più a sud, trasportanti pesce, prodotti agricoli e mercanzie varie.Da qui, con poca fatica, si può salire lungo un’antica scaletta per giungere al borgo medievale di Calepio. Al termine della salita ci si trova davanti alle possenti mura del Castello dei Conti Calepio, risalente al XV secolo; entrando, sul lato destro prima del cortile, si trova la chiesetta che conserva le reliquie di San Celestino. Nel cortile si può ammirare la statua del conte Trussardo I da Calepio, committente del ca-stello e, all’interno, sale del XVI e XVII secolo.Dal giardino all’italiana posto in posizione panorami-ca, si gode un’entusiasmante vista a 180° del fiume

Veduta del Fiume Oglio (Foto di Yleana Damiani)

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e della vallata in cui scorre.Meritevole di una visita (nel periodo estivo vengono organizzate visite guidate), oltre al castello è anche il bellissimo borgo, in cui spiccano cui la Chiesa di San Lorenzo del XV secolo, in stile gotico con soffitti a cassettoni, travi a formelle finemente decorate ed un pregevole altare ligneo del 1600.Attenzione merita anche il palazzetto altomedieva-le (X secolo) e la casa arcipresbiteriale (X ÷ XVIII secolo).Calepio, di probabile origine greca, sede di un pagus romano, fu capoluogo della Valle Calepio che prese il nome dalla famiglia Calepio, ramo secon-dario della famiglia Martinengo già documentato nel XII secolo, da cui discendono figli illustri, primo tra gli altri Frà Ambrogio da Calepio (1440 - 1510), detto

il “calepino”, autore del primo dizionario.Proseguendo ulteriormente verso nord dalla località “porto”, tra fiume e collina, si giunge Credaro, dove possono essere ammirate la Chiesa romanica di San Fermo e la Chiesa di San Giorgio, affrescata da Lorenzo Lotto (1480 – 1556).L’Oglio e Castelli Calepio, poco meno di sette chilo-metri che permettono di immergersi nella storia, nel-la natura e nella tranquillità della vita di una comuni-tà che non può prescindere, per essere conosciuta, dalla presenza del fiume.

Luca Belotti

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Jervée (1961), artista visivo e studioso di simbologia, lavora prevalentemente su committenza, sia per collezionisti privati che per il settore Hotellerie, per il quale studia installazioni permanenti d’arte dedicate.email: [email protected]: www.iconicon.it

La Bussola di ErmetePercorsi imprevisti nel mondo dell’arte

Rubrica a cura di JervéeSegnalare un percorso imprevisto a jervee@ iconicon.it

Continua la collaborazione tra la nostra rivista e Jervée, artista visivo, archi-tetto e designer, che nell’appuntamento fisso su queste pagine parla di aspetti insoliti dell’arte, sia antica che contemporanea, dovuti a percorsi creativi i cui esiti siano sfuggiti, nel bene e nel male, alle previsioni degli stessi artisti. Ascoltiamo dalle sue parole quale sia il tema della rubrica di questo mese.

“Ah, gli artisti non sono normali, sono tutti matti, chi più, chi meno! Alzi la mano chi non ha mai sentito un luogo comune come questo, davvero comu-ne e usurato, eppure incrollabile: prima o poi, in varie forme e situazioni, per

scherzo o seriamente, finiscono col dirlo quasi tutti, eccetto forse qualche gallerista.Il tema della diversità rispetto alla gente è forse quello che più esprime il tema di questa rubrica, poiché il percorso personale, umano ed espressivo dell’artista è nel suo complesso davvero imprevisto rispetto a quello più re-golare, dentro ai binari, che compie il resto della popolazione.Il fatto stesso di non usare la logica razionale durante le fasi decisive del processo creativo, ma l’intuizione, nella sua accezione più ampia, porta come conseguenza immediata la possibilità di rovesciamenti di fronte totali in corso d’opera, assolutamente imprevedibili, ma legittimi perché funzionali al buon risultato finale.Ma questa diversità è patologica? C’è qualcosa di malsano in essa, oppure va bene così?Anche perché qui si entra nel territorio scivoloso dove prospera un altro tòpos che ricorre nelle biografie degli artisti: la celebre accoppiata Genio & Sregolatezza.Che nell’immaginario comune significa: quanto più talento hai, tanto più uso fai di sesso, droga e rock’n roll.Ebbene, vediamo di dipanare almeno una piccola parte della matassa, in-tricatissima, che descrive questa diversità dell’artista, e cominciamo con un esempio illustre: Diego Armando Maradona.Preciso che io non mi interesso di calcio, eppure non ho il benché minimo dubbio che non solo ciò che ha compiuto questo campione appartiene di diritto alla sfera dell’arte, ma che lui stesso sia da considerarsi uno dei più grandi maestri di ogni tempo nell’ambito della Performance Art.Per intenderci, una grande ed articolata installazione audiovideo su di lui come autore potrebbe tranquillamente risolvere il padiglione italiano alla biennale veneziana, magari con happening gemellati al padiglione argen-tino.

Diego A. Maradonavita e “miracoli”

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D’altronde non è un caso se a Napoli il genio di Maradona è stato venerato con gli stessi modi riservati a San Gennaro o alla Madonna di Pompei, che trascendono addirittura il tifo per sconfinare nel culto.Anche se la sua sregolatezza toccava livelli epici, al tempo perdonati e coperti per non turbare l’immagine del campione, in seguito, verso fine carriera, emersi con drammatica e fisica evidenza.Ora, in un caso come il suo possiamo separare il genio dalla sregolatezza? Possiamo davvero immaginare un Maradona astemio, casto e salutista, che non si lamenta mai con i gior-nalisti e che non sfodera mai il suo folklore latino? Impossi-bile.Soprattutto poiché la cultura da cui viene presenta un intrec-cio di luci ed ombre, una rete di contraddizioni così storica-mente stratificata che un suo rappresentante non può che rispecchiarne le caratteristiche.In lui il genio e la sregolatezza sono legate da un patto di sangue, e la sua arte ne è espressione, così mista sia di puri miracoli balistici nelle leggendarie punizioni che di geniali col-pi di testa fatti con la mano.In campioni provenienti da altre culture l’intreccio può essere del tutto diverso.Prendiamo il caso di Dick Fosbury, colui che ha inventato lo stile di salto in alto che ormai usano tutti.Proviamo a immaginare il momento in cui sulla pedana di gara avvenne qualcosa che nessuno si aspettava, qualcosa di completamente inusitato: un uomo che anziché dirigersi dritto verso l’asticella fece una strana corsa a semicerchio in modo da trovarsi a saltare di spalle, e producendo un movi-mento tanto efficiente quanto plastico ed esteticamente scul-toreo, con la dignità iconica della scultura greca antica.Ecco, quello è genio puro, che è in primo luogo prodotto dal corpo dell’atleta, e solo dopo, molto dopo, spiegato dalle menti degli analisti.Eppure in Fosbury la sregolatezza di vita non è legata a filo doppio con il genio.Dipende dall’humus da cui proviene l’artista. Oops, il cam-pione.Ma c’è davvero questa coincidenza tra gesto sportivo e arte?Il calcio in fondo è un gioco, l’atletica pure.Appunto. Lo è anche l’arte, e sotto questo profilo tutte le at-tività che, attraverso la via del gioco, mettono in discussione regole e limiti umani superandoli con forza e creatività, anzi-ché evitarli come si fa di solito, sono attività artistiche a tutti gli effetti.E quando possiamo dire che ciò accade? Beh, ce lo dice il nostro corpo, basta ascoltarlo: avete presente quando duran-te una grande manifestazione come ad esempio le Olimpiadi, in una gara ad un certo punto succede qualcosa che, come

Sopra: Mirone, “Discobolo”Sotto: Dick Fosbury e la sua opera

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con Fosbury, va oltre tutto ciò che abbiamo visto fino a quel momento, ci emoziona al punto da farci provare brividi e ci fa ammirare per un attimo, ma incondizionatamente, l’autore dell’impresa sportiva?Ebbene, in quel momento le nostre onde cerebrali sono le stesse di quando partecipiamo ad un rito religioso, tanto che proviamo una certa sensazione di sacralità, anche se non sappiamo spiegarne il motivo, e le manifestazioni degli spettatori, siano essi giornalisti o tifosi, assumo-no in seguito i connotati dell’entusiastica ed improvvisa venerazione.Ecco ciò che condividono l’arte e lo sport, la sacralità del momento in cui il limite condiviso fino a quel momento viene superato e l’artista, come il campione sportivo, porta tutta la comunità umana ad uno stato di coscienza successivo.Fino al 20 giugno 1968 tutti gli uomini della terra avevano la coscien-za che l’uomo (come specie, e quindi per estensione anche ogni suo individuo, in linea teorica) potesse correre i 100 metri piani in dieci secondi.Quel giorno, a Sacramento, lo statunitense Jim Hines li corse in 9,9 secondi e la coscienza dell’intera specie cambiò.Mezzo secolo prima, nel 1917 Marcel Duchamp aveva esposto il suo orinatoio intitolandolo “Fontana” e la coscienza di cosa poteva essere considerato arte era cambiata. Per sempre.Siamo qui nel nocciolo concettuale della diversità dell’artista dalla gen-te: essa riguarda, sul piano della biologia, essenzialmente la sua fun-zione sociale all’interno della specie. Nel senso che se immaginiamo la specie umana come un corpus unitario, in esso gruppi di individui

diversi svolgeranno funzioni diverse, come accade per gli organi interni: Il cuore pompa sangue, i reni filtrano i liquidi, i polmoni estraggono ossigeno dall’aria, ecc.Bene, il gruppo degli artisti ha la funzione biologica di captare per via intuiti-va immagini che servono all’evoluzione della coscienza dell’intera comunità, come quello degli scienziati capta immagini utili all’evoluzione degli strumenti fisici di trasformazione del mondo: la tecnologia.I salti che la coscienza collettiva compie grazie a loro sono esemplificati ma-gistralmente nelle sequenze iniziali del film 2001 Odissea nello Spazio, di

Stanley Kubrick“2001 Odissea nello Spazio” alcune sequenze dal film.

Marcel Duchamp - “Fontana”Sotto: l’autore con la sua opera

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Stanley Kubrick.Quindi la diversità sta tutta qui. Gli artisti servono a captare, come gli intestini in quanto organi interni servono a digerire.Nessuna stranezza, patologia o altro, anche in casi di sregolatezze estreme, come il già citato Maradona o la pletora di musicisti, poeti, attori, pittori “ma-ledetti”.Il vero problema nasce quando le antenne che servono a captare si guasta-no.Esemplare a questo proposito è il caso di un pittore sessantacinquenne, Jo-nathan I., che in seguito ad un trauma da incidente stradale acquista una acutezza visiva straordinaria ma diviene completamente cieco al colore.Non semplicemente daltonico, ma acromatoptico, ossia insensibile a tutto lo spettro cromatico, pur avendo i coni retinici (i recettori del colore) funzionanti: il mondo diviene per lui come uno spettacolo su un tv in bianconero. Sem-pre.Questa patologia acquisita, che sembra dapprima non poi così invalidante, porta con sè invece molti mutamenti a catena: Depressione e deperimento organico, sensazione di angoscia costante, disadattamento alle attività prati-che anche elementari. Jonathan vede tutto il mondo attorno come qualcosa di falso e disgustoso, ha percezioni interiori in bianconero come quelle rilevate dai suoi occhi. Dopo un certo tempo si abitua a mangiare alimenti o bianchi o pressoché neri, (riso, yoghurt, olive nere, caffè) poiché gli altri gli paiono fasulli.Infine dipinge tutto il suo studio in toni di grigio, ivi compreso ogni og-getto, di modo che anche gli altri possano capire direttamente i mec-canismi della sua visione: è come in un mondo modellato nel piombo.Percepisce persino la musica in modo diverso, la gamma timbrica gli pare tragicamente impoverita, per non parlare dei sogni, che sono contrastati, grigi e scostanti.Tutto, assolutamente tutto cambia per un artista quando viene meno lo strumento più sofisticato con cui lavora: il suo corpo.Tutto cambiò per Beethoven quan-do divenne sordo, come tutto diven-ne diverso quando Frida Khalo ebbe quell’incidente che divise il suo cor-po in due.Ecco qual’è la vera, patologica di-versità per gli artisti, quella da se stessi.

Au revoir, e segnalatemi dei percorsi d’arte imprevisti a [email protected]”.

Jonathan I. “immagine dalla “Stanza Grigia”

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L’ arte di preservare i corpi dalla loro decomposizione. Una miscellanea di nozioni chimiche, anatomiche, fisiche, utilizzata per garantire la soprav-vivenza dell’ anima dopo la morte e che gli Egizi riuscirono a sviluppare magistralmente raggiungendo squisiti livelli di qualità.Un nome, “Mummia” che incute quasi timore, che ci rimanda a immagini da film, ma che nasconde una sofisticata procedura che ancor oggi suscita ammirazione.Andiamo per gradi, partendo dalla definizione di mummia come è giusto e doveroso che sia, cercando di capir da dove mai arrivi questo nome.Con il termine “Mummia”, come tutti sappiamo, con questo termine si in-tende genericamente un corpo, non necessariamente umano, che attra-verso l’utilizzo di procedimenti chimici, sia stato preservato dalla sua de-composizione.Termine di oscura origine, ma sicuramente non di derivazione egizia. Fu-rono i Bizantini che utilizzarono il nome “Mumià” per definire un medica-mento utilizzato per imbalsamare i propri morti.Questo composto veniva chiamato “Bitume di Giudea” ed aveva un incon-fondibile colore nerastro.Quindi il termine “Mumià” si riferiva inizialmente solo ad un elemento chi-mico riscontrato nei corpi di molte mummie. Mumia e Bitume potevano pertanto essere considerati sinonimi. Solo successivamente il nome venne esteso al corpo imbalsamato.Il rito della mummificazione trae le sue origini dalle credenze religiose egi-zie che sostenevano che il corpo nel suo peregrinare nell’ al di là dovesse rimanere intatto per consentire al defunto una serena vita ultraterrena.Il succedersi del giorno alla notte e quindi del trionfo della luce sulle tene-bre, le inondazioni del Nilo e quindi il ritorno della terra fertile, il racconto sacro della morte e rinascita di Osiride il dio dell’ oltretomba, rappresen-tavano tutti concetti che testimoniavano la ciclicità della vita che doveva pertanto estrapolarsi anche nell’ essere umano con la obbligatoria soprav-vivenza dell’ anima dopo la morte, anima che per raggiungere il suo scopo,

La mummificazione

a cura di Edward Battisti

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La mummificazione aveva però bisogno di un corpo che non si decomponesse.I primi reperti di corpi mummificati ri-salgono al Neolitico. Gli Egizi soleva-no seppellire i loro morti direttamente nella sabbia in posizione fetale. Il cli-ma secco, permetteva una disidrata-zione delle componenti deteriorabili, lasciando intatti i capelli, il rivesti-mento cutaneo, i muscoli e le un-ghie, dando origine ad una mummi-ficazione spontanea, probabilmente ancora non collegata alla credenza religiosa.Solo successivamente vennero co-struiti i primi monumenti funerari le cosiddette “mastabe” o panche, co-struiti in mattoni a forma rettangolare, con il corpo che veniva collocato all’ interno di un sarcofago di legno, il che richiese naturalmente una evoluzione nelle tecniche di conservazione. E’ probabilmente in questo periodo (Antico Regno), che incominciò a dif-fondersi il concetto che il corpo non dovesse decomporsi.All’ inizio la vera vita ultraterrena era considerata un privilegio del faraone ed i sudditi si auguravano che la sopravvivenza dell’ anima potesse in qualche modo essere trasferita anche a loro. Solo più tardi questo diven-tò un diritto di tutti, con la creazione di una fiorente attività funeraria con diverse classi di imbalsamazione a seconda delle disponibilità finanziarie, con un prezziario piuttosto preciso.Il metodo più costoso veniva eseguito per la rispettabile somma di un ta-lento d’ argento circa 250 sterline, il secondo per circa sessanta sterline, mentre il terzo era davvero molto economico, oseremmo dire alla portata di tutti.Gli imbalsamatori erano tutto sommato una classe sociale ben rispettata, per le loro conoscenze alto locate e per la possibilità di accedere alle fun-zioni religiose concernenti il funerale. La professione veniva tramandata per via ereditaria ed ogni imbalsamatore aveva un suo tariffario che veni-va mostrato ai parenti prima di procedere alla mummificazione.E’ facile immaginare che la parte meno nobile del trattamento fosse affida-ta a persone di basso rango sociale, malfattori o prigionieri.Esisteva un imbalsamatore capo che decideva la lunghezza e la sede del taglio da praticare sull’ addome, mentre la parte tecnica vera propria veni-va eseguita da un incisore scelto.Va detto che in ogni caso il rispetto per il corpo da parte degli Egizi era sommo e veniva davvero considerato un atto abominevole degno della dannazione eterna, il commettere un atto di violenza su un corpo defunto.Analizziamo le varie tecniche.I corpi dei meno abbienti, venivano preservati con metodi piuttosto sem-plici.Uno consisteva nel riempire il corpo con soda naturale (Natron) e bitume caldo, un altro solo con la soda naturale .Il Natron era un componente che si poteva trovare in grandi quantità in un

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lago prosciugato del Delta Occiden-tale, l’ odierno Wadi el - Natrun. E’ composto essenzialmente da Cloru-ro di Sodio (il normale sale da cuci-na), Solfati e da un’alta percentuale (17%) di Bicarbonato di Sodio. Questo sale aveva una grande ca-pacità di assorbire i liquidi, diven-tando pertanto uno degli elementi fondamentali nel processo di mum-mificazione.L’ utilizzo del bitume, rendeva fa-cilmente riconoscibile il metodo di imbalsamazione, in quanto il colore delle ossa appariva impregnato di una inconfondibile tinta nerastra e si

fissava talmente profondamente da rendere scarsamente distinguibili le componenti anatomiche dal bitume vero e proprio, con ossa che risultava-no estremamente fragili se percosse. L’utilizzo del Natron naturale, dava invece alla pelle una consistenza papi-racea e piuttosto resistente con le ossa che apparivano bianche e brillanti. L’ avvolgimento avveniva inizialmente in stuoie di iuta.Sono noti anche casi di imbalsamazione con miele. Lo stesso Alessandro il Grande pare sia stato imbalsamato con questa tecnica.La seconda classe di imbalsamazione non prevedeva anch’essa l’ estra-zione dei visceri che venivano pertanto riempiti con olio di cedro asiatico introdotto per via rettale e successivamente immergendo il corpo per 40 giorni in un bagno di natron. Questo periodo permetteva di far perdere circa il 70% del suo peso. Tra-scorso questo tempo, attraverso una compressione sull’ addome, veniva fatto uscire tutto il materiale liquefatto, un’operazione immaginiamo non alla portata di tutti... Si procedeva quindi alla lavatura ed alla profuma-zione prima di consegnare il corpo ai parenti. La prima classe era quella più costosa e riservata alle classi più abbienti ed è quella che ancora oggi suscita curiosità e ammirazione.Il cervello veniva estratto dal cranio con particolari uncini di metallo intro-dotti attraverso il naso, una tecnica sopraffina e di notevole abilità dato che la calotta cranica veniva lasciata completamente vuota senza residui meningei e non si praticava alcuna frattura nasale. Il cervello veniva poi buttato via, per gli Egizi infatti questi non aveva alcun significato.I visceri venivano estratti attraverso una incisione addominale sul fianco si-nistro, con una affilata lama di ossidiana e depositati in appositi contenitori chiamati vasi canopici, neologismo dato dai primi egittologi, che facevano riferimento a Canopus, timoniere di Menelao, che fu sepolto in Egitto in un sarcofago dalle forme particolarmente sgraziate che ricordavano un otre.Ogni vaso era dedicato ad uno dei quattro figli di Horus, almeno nel pe-riodo dei Ramessidi e rappresentavano originariamente i quattro punti cardinali.Mestà o Amset dalla testa umana, conteneva lo stomaco ed il grande in-testino, Hapi con la testa di cane conteneva il piccolo intestino, Tuatmutef

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con la testa di sciacallo i polmoni ed il cuore, Qebhsenuf con la testa di falco il fegato e la vescica.Tutti questi organi prima di essere deposti nei loro contenitori, venivano trattati col bitume e avvolti in bendaggi di lino. Nel secondo Periodo Intermedio per qualche tempo i visceri trattati venne-ro rimessi nel corpo, ma poi si ritornò al metodo tradizionale.Le scritte visibili all’ esterno dei vasi, oltre che fare riferimento al dio pro-tettore, potevano essere di lunghezza variabile da poche righe fino a testi piuttosto complessi.L’ utilizzo dei vai canopici parte dall’ XI - XII Dinastia e raggiunge il massimo splendore nella XVIII con stupende lavorazioni in alabastro e in calcite.L’ intero processo di imbalsamazione durava circa 70 giorni, con partico-lare riferimento alla ciclicità della costellazione Sirio che scompariva dalla calotta celeste proprio per una settantina di giorni. L’ ultima fase era naturalmente quella del bendaggio che richiedeva un accurato confezionamento che poteva durare anche parecchi giorni, ac-compagnato da rituali magici e dall’ inserimento di numerosi amuleti e da scritte sui bendaggi in geroglifico e ieratico, talvolta talmente minute da rendere impossibile la loro decifrazioneGli arti superiori venivano bendati insieme al corpo, solo successivamente vennero bendati separatamente.La lunghezza e lo spessore delle bende variava a seconda della zona da confezionare essendo ovviamente più sottile per le dita della mani e dei piedi. Lo stesso lino utilizzato era di tre, quatto qualità differenti.Al termine di tutta la fase di mummificazione, il corpo veniva inserito in un sarcofago di legno ed era pronto per il cerimoniale funebre con la cassa sovrastata da un baldacchino che rappresentava il cielo e le stelle.All’ entrata della tomba avveniva la cerimonia della “Apertura della bocca” con cassa che veniva sollevata verticalmente in modo che il sacerdote po-tesse toccare con un’ ascia da falegname i punti corrispondenti alle orec-chie, al naso, alle labbra, alle mani ed i piedi per poter permetter ai sensi di funzionare secondo un formulario estratto dal Libro dei Morti.La tradizione dell’ imbalsa-mazione ebbe termine con la diffusione del Cristiane-simo nel IV secolo d.c. pro-babilmente connessa con il concetto della risurrezione del corpo. Le prime mummie cristiane recavano il simbolo della vita “ankh” che poi venne sostituito dalla croce, ma le ultime imbalsamazioni ave-vano ormai perso la squisi-ta raffinatezza raggiunta nel Nuovo Regno ed i corpi si decomponevano facilmen-te.

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Appare evidente come in situazioni di crisi d’impresa, un’eventuale operazione di ristrutturazione, di qualunque natura sia, finanziaria, strutturale, di business, pa-trimoniale, etc., produca effetti e coinvolga a vario titolo gli stakeholders: azionisti, fornitori, istituti di credito e dipendenti, ognuno con profili di conoscenza della crisi e obiettivi diversi.

Gli attori che intervengono nella ristrutturazioneL’azionista Con riferimento alla figura dell’azionista, è utile fare alcune distinzioni: l’azionista - imprenditore ha una conoscenza approfondita del business e quindi dispone del massimo livello informativo per poter identificare la situazione di crisi antici-patamente rispetto agli altri. Per contro, è spesso talmente coinvolto, anche psi-cologicamente, nella gestione dell’attività d’impresa che difficilmente ammetterà , nelle fasi iniziali in cui la crisi inzia a manifestarsi, la necessita di intraprendere un processo di turnaround. In mancanza di una precisa volontà da parte dell’azio-nista-imprendiotre , il piano di ristrutturazione è con ogni probabilità destinato al fallimento.I fornitoriIl fornitore ha un interesse particolare nella continuazione dell’attività del proprio cliente, sia legato alle possibilità di recupero di eventuali crediti non incassati sia al mantenimento ed incremento dei rapporti di fornitura. Generalmente il fornitore ha a disposizione, come segnali premonitori della crisi, il progressivo peggioramento delle condizioni di incasso e la richiesta di dilazione nel pagamento delle forniture stesse. Dato che i piani di ristrutturazione comportano , nella maggioranza dei casi, sacrifici sia in termini temporali che quantitativi, il fornitore viene coinvolto nell’approvazione del piano di ristrutturazione solo se ha un ruolo chiave nel pro-cesso produttivo e comunque solo se ha un interesse a subire un sacrificio pur di proseguire a for-nire la società una volta che la stessa è stata risanata.Le bancheLe banche rico-prono evidente-mente un ruolo fondamentale nell’ambito di un processo di ri-strutturazione in quanto la loro adesione al piano stesso

Gestione della crisi d’impresaLa ristrutturazione del debito

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a cura di Emanuele Lumini*

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è sempre una condizione necessaria per poter aspirare alla realizzazione del programma di ristrutturazione.I ruoli che le banche normalmente ricoprono nell’ambito di processi di risanamento aziendale possono essere di seguito sintetizzati:• Approvazione del programma: le banche, dato an-che il loro peso specifico all’interno della massa dei creditori, assumono un ruolo fondamentale nell’ap-provazione del programma di ristrutturazione; • Supporto finanziario al piano: come descritto suc-cessivamente tipicamente i piani di risanamento pre-vedono l’erogazione di nuova finanza [spesso a breve] e una moratoria/stralcio del debito pregresso;• Monitoraggio e verifica: questa fase evidentemente segue l’approvazione del piano di risanamento e, se necessario, ap-portare in tempo gli eventuali correttivi. Tale attività viene svolta dalle banche sia attraverso la presenza di propri rappresentanti negli organi societari [consiglio di amministrazione o collegio sindacale], sia con verifiche periodiche da parte dell’advisor , spesso previste già all’interno della convenzione bancaria sottoscritta tra le parti, sull’andamento del piano e/o su alcuni aspetti specifici sui quali esso si basa [es vendita di immobili].

Il Ruolo dell’advisor Tutti i processi di ristrutturazione, di natura sia stragiudiziale che giudiziale, come previsto dalla legge fallimentare riformata, comportano la predisposizione di un piano di ristrutturazione o di risanamento. Questo piano nella maggior parte dei casi vieni predisposto dall’azienda in difficoltà con il supporto di un consulente [advisor] dotato di caratteristiche e competenze particolari “che tenga le redini delle trattative e sia il propulsore dell’operazione di risanamento”. Generalmente il ruolo di advisor è ricoperto sia da società di consulenza che da singoli pro-fessionisti [commercialisti o avvocati]. Il singolo professionista, oltre ad avere un importante rapporto fiduciario con l’imprenditore, ha rapporti professionali molto più radicati sul territorio e quindi risulta essere di fondamentale importanza, tra le altre, anche nella gestione di situazioni di criticità finanziaria con una forte com-ponente locale.I compiti dell’advisor possono essere ricondotti a:• consolidare la posizione, in tale fase è fondamentale il fattore tempo e la rapidità con la quale devono essere svolte le analisi preliminari;• analisi: è la fase che prevede lo studio, l’analisi e l’identificazione delle possibili strategie e soluzioni, a fronte delle quali è necessario ottenere informazioni accu-rate e tempestive da parte dell’azienda in difficoltà;• predisposizione del programma: nel programma dovranno essere descritte le dinamiche di mercato sottostanti il business in cui opera l’azienda in difficoltà, i fattori scatenanti la situazione di crisi nella quale si trova e le azioni straordinarie che il management intende intraprendere per riportare in equilibrio l’azienda;• negoziazione: affinché la strategia identificata come la migliore possa avere successo dev’essere condivisa da tutti i soggetti interessati. In questo ambito l’advisor , passa da una fase di analisi numerica ed inizia la fase di negoziazione, che rappresenta , sotto molti punti di vista, la fase più complessa. In questa fase l’advisor funge ma mediatore, per tale ragione, deve operare con fermezza e indi-pendenza. Si chiede all’advisor di partecipare alle negoziazioni e, al tempo tempo

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stesso, di adattare il piano economico patrimoniale e finanziario, per tenere in considerazione le modificherò;• Uscita: si ha il successo di un piano con l’uscita definitiva dell’impresa dalla crisi.

Le caratteristiche finanziarie della ristrutturazione del debitoA fronte delle diverse cause scatenanti lo stato di crisi [economico-reddituali, fi-nanziarie, patrimoniali o congiunturali], vi possono essere soluzioni diverse sia di natura economico-strutturale, che di natura patrimoniale e/o finanziaria. Tuttavia, qualunque siano i motivi scatenanti le crisi, queste si tramutano sempre in patologie di manifestazioni finanziarie e in quanto tali devono essere affrontate dall’advisor, comportando la necessità di reperire i mezzi per riportare l’azienda in una situazione di equilibrio finanziario.Nelle situazioni di squilibrio finanziario il business, rappresentato dal flusso di cassa generato dalla attività corrente al servizio del capitale proprio e del capitale di terzi, non è in grado di remunerare sufficientemente il capitale di rischio, anzi il piu’ delle volte il flusso di cassa risulta essere fortemente negativo.In questo caso ci troviamo di fronte ad una situazione patologica di natura eco-nomica che inevitabilmente produce effetti negativi sulla sfera finanziaria, e che dovrà essere affrontata nell’ambito del risanamento attraverso l’individuazione e l’implementazione azioni straordinarie di natura economico strutturale. Il piano di ristrutturazione finanziaria dovrà quindi tenere in considerazione il sup-porto finanziario di cui l’azienda necessiterà per: - poter mettere in atto le azioni individuate e consentire loro di produrre i loro effetti ripristinando l’equilibrio economico [breve periodo].-riportare in equilibrio mezzi propri e mezzi di terzi, e che l’indebitamento netto sia sostenuto e coerente con i flussi di cassa generati dall’attività tipica.

Con riferimento ai mezzi propri, molti piani di ristrutturazione prevedono un au-mento di capitale da parte degli attuali azionisti o di nuovi investitori, che unito alle nuove risorse finanziarie introdotte in azienda, consente la riduzione dell’esposi-zione finanziaria netta oltre a rappresentare un segnale importante dal punto di vista degli stakeolders, dimostrando loro che gli azionisti siano i primi a credere nel piano di risanamento. La semplice conversione del debito in capitale non ap-

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*Partner: www.studiolumini.it

porterebbe nuova finanza e non avrebbe quindi nessun impatto da un punto di vista finanziario. La ristrutturazione finanziaria si può basare su:- erogazione di nuova finanzaConsentire all’impresa di attingere dal mercato la finanza - ponte necessaria per proseguire l’attività, soprattutto nella fase iniziale di turnaround, durante la quale vengono sviluppate le analisi che portano alla definizione del piano di ristruttura-zione. Questa nuova finanza può essere costituita dalla riattivazione del credito auto liquidante da parte delle banche, ovvero da nuova finanza, e il piano di risa-namento può prevedere la concessione di garanzie specifiche, per l’erogazione di nuova finanza, non solo di carattere reale, ma anche legate alla continuazione dell’attività, come per esempio la canalizzazione degli incassi.- nuova struttura finanziariaI piani di risanamento in genere prevedono il consolidamento del debito o un nuovo scadenziario delle posizioni debitorie iniziali, e/o la richiesta di nuove linee di finanziamento di medio o lungo periodo. Con il consolidamento si sostituisce un credito di firma ( come lo scoperto di conto corrente) con un credito di lungo termine privilegiato, possibilmente supportato da garanzia reali su attività “non core”, con previsioni di restituzione mediante piani di preammortamento ovvero restituzione in unica soluzione a scadenza futura. Il finanziamento di breve periodo consente invece la gestione delle fasi iniziali, che trova la naturale evoluzione nelle linee di credito auto liquidanti, a fronte dei quali possono essere previsti meccanismi di parziale o lento rientro al manife-starsi di eventi quali il ritorno alla normalità delle condizioni di incasso e paga-mento. L’equilibrio della nuova struttura finanziaria tra linee a breve, loro natura, indebitamento a medio o lungo, costo del debito, ecc…è dettato oltre che dalle negoziazioni, anche dalla necessità media prospettica emergente dal piano di risanamento; - ratio e covenantAl fine di tenere monitorato l’andamento delle variabili principali e prevedere un meccanismo di default, a tutela degli istituti di credito, i piani di ristrutturazione prevedono il rispetto di alcuni indici economico finanziari, rappresentativi del livel-lo di indebitamento e della performance complessiva, quali il rapporto posizione finanziaria netta su EBITDA e posizione finanziaria netta su patrimonio netto. Tali indici sono considerati: - sia come possibili obbiettivi che se raggiunti consentono la variazione di alcuni parametri, quali una riduzione dello spread tasso di interesse applicato in funzio-ne degli scaglioni di rapporti posizione finanziaria netta su EBITDA;- sia come elementi di default, oltrepassati i quali i creditori hanno diritto di chie-dere la restituzione delle somme prestate, o l’attivazione di una procedura di pre-allarme;- sia infine , come parametro per il monitoraggio dell’andamento del piano, da comunicare agli istituti a scadenze pre concordate, e oggetto di review da parte di un soggetto terzo indipendente.

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La cultura d’impresa come Asset aziendale: valori, società e comunicazione di fronte al cambiamento”: il primo incontro con gli imprenditori nella cornice della biblioteca civica del museo di Brescia.La cornice è d’aria finissima, professionalità palpabile in un contesto armonioso con la sala di San Lorenzo che bene si lega a questa importante atmosfera. Qui si sono confrontate le relazioni e workshop con gli ospiti attesi per l’evento.L’incontro è stato un momento importante e di riflessione, un appuntamento per il mondo della comunicazione, che vorrei condividere e confrontare con voi.Il tema dell’incontro è importante, impegnativo e coraggioso: da un lato si è par-lato di etica e di valori nell’ambito dei media, con particolare riferimento alla re-sponsabilità professionale dei pubblicitari, dall’altro della pressione delle aziende investitrici e del rischio di mercificazione delle idee.Lo sviluppo tecnologico ha notevolmente mutato i sistemi relazionali: i mezzi di comunicazione di massa e ora dei new-media, si traducono in una sorta di distac-co comunicativo tra gli attori della comunicazione. La comunicazione è, pertanto,

un prodotto che non necessita di una presenza faccia a faccia, nello stesso luogo e nello stesso momento, dei diversi attori.

Ne segue, ad esempio tramite la TV, che mentre sono pochi quelli che producono informazione sono molti quelli che la utilizzano/ricevono.Ciò ha, almeno due conseguenze: la prima permette alle persone di

avere una rappresentazione dell’ambiente prescindendo da una relazione diretta con esso e la seconda, molto importante, comporta un rapporto indi-

viduale con l’ambiente, cioè una certa solitudine nella costruzione della propria identità culturale la quale utilizza le informazioni mediate dai

mezzi di comunicazione.Che cosa cercano di fare i mezzi di comunicazione? Il loro primo obiettivo è quello di persuaderci.Uno degli aspetti della comunicazione è la volontà di persuadere. Gli individui sono continuamente bersagliati da messaggi che han-no il fine di indurli ad assumere qualche atteggiamento e a mettere in pratica specifici comportamenti.Ora si tratta di votare, ora di acquistare un prodotto, ora di sceglie-re un certo film con cui passare la serata, piuttosto che uscire con

una certa persona.La ricerca della persuasione è così intimamente insita in tutte le relazioni

umane che non può essere davvero messa in discussione. Le aziende comunicano con il loro pubblico per persuaderlo che il prodotto/ser-

vizio di cui si occupano risponde perfettamente ai bisogni dei propri interlocutori.La comunicazione persuasiva dà impulso alle attività dell’azienda. L’azienda che si sviluppa da più lavoro.

Desidero incuriosirvi con delle provocazioni, ma è etico questo svi-luppo se si appoggia alla possibile ambiguità della comunicazione?E’ etico nel breve o nel lungo termine?Questa idea vale sia nel sistema di comunicazione privato che pub-blico. La nostra attenzione si deve ora spostare sui mezzi di comu-

Etica & Comunicazione

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a curadi Antonio Russo

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nicazione.Ma vorrei ora con voi analizzare i processi d’evoluzione dell’identità del singolo e dell’azienda può dare adito a dei dilemmi etici riguardanti la costruzione dell’iden-tità aziendale, i suoi mutamenti e il suo ruolo sociale. Nello specifico: - può un essere umano allineare i suoi valori a quelli di un’azienda e mantenere allo stesso tempo l’autonomia della sua identità?- La sopravvivenza e la crescita di un’azienda possono legittimare la sostituzione dell’identità individuale e il diritto di un manager di rinforzarla?- Fino a che punto gli interessi personali istituzionali servono alla società e alla crescita umana, e quale responsabilità etica ha il manager nel produrre un’identi-tà dei valori aziendali tra i cittadini?Riguardo al primo dilemma in numerose aziende esiste un senso del noi, un vissu-to d’appartenenza, che porta ad ipotizzare l’esistenza di un’identità collettiva che riflette l’interiorizzazione di norme e valori, rispetto alla quale l’identità individuale è in sintonia. Poiché l’identificarsi “con” non coincide con l’avere interiorizzato, per effettuare questo secondo passaggio sono necessari uno spirito ed un’iden-tità condivisa che si esplicano anche in attività concrete, specifiche, e vissute in modo consapevole. In questo senso il valore simbolico del proprio esserci e del proprio fare, che si riflette anche nelle interazioni e nelle relazioni interne tra gli appartenenti all’azienda, nelle responsabilità condivise, in elementi quali il logo, i prodotti, i servizi, le strutture, si estende anche verso l’esterno. In tale processo gli elementi razionali si intrecciano ampiamente con quelli emotivi.Di fronte al senso del noi aziendale, il senso dell’io può essere messo in discus-sione: da una parte il ruolo del singolo nell’azienda e le mansioni preposte, dall’al-tra gli specifici vincoli a cui si è soggetti, possono limitare l’espressività dell’Io. Un compromesso parziale a quest’aporia/diatriba può essere dall’adesione volonta-ria e responsabile ai principi di un’azienda, del resto, l’identità aziendale consta anche di un elemento sociale rispetto alla quale è necessario trovare il giusto equilibrio. In questaottica l’azienda offre un’opportunità al singolo per il proprio percorso di ricerca di senso e qualcosa con cui identificarsi: questa è la prospet-tiva più accreditata professata dalla società post-moderna. E’ possibile creare un tutto nel rispetto delle differenze, bilanciando gli estremi. Il di-lemma dell’identità personale e aziendale si risolve nella di-cotomia umanità versus utilità: la prima consiste nel processo introspettivo d’identificazione con un soggetto trascenden-te, che fa sì che l’identità sia qualcosa d’interiorizzato con il sé trascendente. L’utilità è la ragione d’essere dell’azienda e il potere che legittima una sorta di collettivizzazione dell’iden-tità personale. E’ un processo estrospettivo che porta verso l’esterno l’identità. Si tratta di due processi opposti, entrambi

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necessari che vanno costantemente bilanciati e riconciliati. L’identità aziendale in particolari momenti evolutivi va ridefinita, anche per stare al passo con i mutamenti sociali, tecnologici, produttivi che si susseguono di conti-nuo. I cambiamenti hanno, quindi, una valenza adattiva. La percezione dell’evoluzione dell’azienda è differente a seconda del ruolo rico-perto dalle persone in essa: pare che i manager vivano questi passaggi ad un livello strategico, in nome di un’identità corporativa che viene concepita come gestibile e mutabile, mentre per gli altri impiegati appare come un cambiamento di cultura e di valori e come tale comporta una quota di minaccia che può indurre paura, ansia, insicurezza. Per questi ultimi diventa così più difficile vivere il cam-biamento. Come accade per ogni passaggio di stato, per poter essere realizzato è necessario superare una forza d’inerzia che ad esso si oppone. Quanto più la struttura è consolidata, tanto più le resistenze evolutive sono intense. Un’identità forte, quindi, se da una parte limita, contiene, protegge, dall’altra rende altrettanto difficile l’evoluzione. Ogni processo di cambiamento dovrebbe essere guidato dall’apertura, dalla par-tecipazione a tutti i livelli, dalla diffusione d’informazioni chiare e libere, dalla pos-sibilità di scelta, dall’impegno, dall’onestà, dalla verifica. A livello sociale sono stati eseguiti vari tentativi di conciliare gli interessi aziendali con quelli sociali. La prospettiva neoclassica non vedeva contrapposizioni tra il massimizzare i profitti e l’etica, poiché le aziende contribuivano al bene sociale. In realtà affermazioni del tipo gli affari sono affari portano alla alienazione del soggetto dalle sue azioni e dai suoi prodotti, il senso di responsabilità si riduce ampiamente, e per contrasto, invece, si attribuisce grande potere decisionale ai manager. L’interpretazione moderna accentua l’importanza del senso di respon-sabilità, considera prioritario per un’azienda non solo né tanto ridurre i danni, quanto contribuire attivamente all’innalzamento della qualità della vita. Di recente a quest’interpretazione è stata aggiunta una componente spiritua-

le: l’uomo è un essere intrinsecamente spirituale, scopo dell’etica è la creazione delle condizioni ottimali per lo svi-luppo della sua natura divina. Anche in un contesto professionale questo dovrebbe poter essere realizzato, in particolare il lavoro dovrebbe rappre-sentare il piacere di esprimere la propria natura e di cresce-re interiormente. In questa prospettiva la spiritualità può en-trare a pieno titolo nel contesto aziendale: la sua prosperità dipende dalle azioni umane e se queste sono responsabili, autentiche, espressione della sua essenza trascendente, l’azienda ne potrà beneficiare. La spiritualità trova impie-go, quindi, non tanto per aumentare i profitti, quanto per la crescita dell’individuo che a sua volta può fare proliferare l’azienda. Il legame, quindi, è indiretto e consente il passaggio da una logica economica neoclassica ad una neoumanistica se-condo la quale “ciò che è bene per sè, è bene anche per l’azienda”. Il manager per fare questo deve contempora-neamente costruire e cambiare l’identità secondo i bisogni dell’azienda e rimodellare le attività e i servizi in modo tale che non mettano in ombra la vera identità dell’individuo.

Per saperne di più scrivi a: [email protected]

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La prostituzionerelazionaledelle stelline spente

Una provocazione, se vogliamo. Un ragionamento un po’ per assurdo. Il titolo e il concetto che andiamo ad esporre cari lettori sono stati scelti per catturare la vostra attenzione e far sì che possiate poi leggere ciò che noi studiamo. Parliamo di disagi umani di ordine comportamentale. La Psicologia Analogica insegna che i problemi dell’uomo originano fon-damentalmente per la mancata consapevolezza, elaborazione e supe-ramento di quattro cosiddetti “sigilli” ovvero condizionamenti, paure che non ci permettono di essere come vorremmo essere o di avere ciò che vorremmo avere. In altri termini ci sono quattro meccanismi mentali che ci impediscono di concederci e vivere appieno le opportunità della vita nei rapporti umani e professionali. Nei precedenti numeri abbiamo accennato a due di questi quattro e precisamente la paura della disistima e il timore

del giudizio negativo. Questa volta parliamo del peso che ha la paura di vivere il senso dell’abbandono affettivo. Vogliamo descrivere gli effetti di questo “sigillo” nei rapporti odierni di coppia. Tema scottante quello della coppia, tema complesso, tema relativamente al quale sono un po’ vere e un po’ false teorie psicologiche, sociologiche, filosofiche. La nostra è una proposta di analisi che si basa sulla valutazione dei problemi più ricorrenti riportati nella nostra ventennale attività di psicoterapia, counseling e formazione. Una situazione tipica è quella del paziente-utente che denuncia un problema di coppia e riporta di essere costretto a subire una serie di costrizioni da parte del partner. La prima cosa che si insegna è quella di non esprimersi mai dicendo: “L’altro mi costringe a fare questi com-portamenti o a non fare questi altri” ma con la frase: “Io consento all’altro di con-dizionarmi a fare o a non fare x” in quanto siamo sempre responsabili delle realtà relazionali che ci costruiamo. A questo punto il fattore che in modo molto spesso inconscio porta la persona ad accettare condizionamenti è quel timore di ritrovar-si sola, abbandonata. È evidente che non è una cosa che subiscono tutti in quanto se abbiamo una buona autostima e siamo coinvolti da altre attività o situazioni nel-la vita che vanno parallele al rapporto di coppia siamo già lontani da poter vivere in modo patologico questo tipo di disagio. Nello stesso tempo autostima o no, alcuni di noi hanno un nervo scoperto avendo su-bito in età infantile/adolescenziale proprio un tipo di situazione abbandonica che ci ha reso sensibili e che ci porta a far di tutto

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a cura di Andrea Cirellicon la collaborazione diClaudia Gregori

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per non rivivere quel tipo di sofferenza. Ecco la forza perversa di un “sigillo”: mi trovo a non aver coraggio di dire un no al mio partner perché temo una reazione da parte sua che possa portarmi a vivere la fatidica situazione di abbandono. Questo sovente crea un attaccamento morboso da parte di una persona all’altra che non è assolutamente una buona strategia per mantenere vivo e sereno il rapporto di coppia. Infatti è evidente come questo possa portare a gelosia, possessività e dall’altra parte sacrificio del proprio benessere e armonia interiore nonché di altre opportunità della vita dove poter brillare di luce nostra a prescinde-re dal marito/moglie, fidanzato/fidanzata. L’immagine potrebbe essere proprio questa, quella di una persona che vive questo condizionamento interno come fosse una stellina spenta che brilla solo per la luce dell’altro. L’obiettivo è quello invece di rappresentarsi con l’immagine mentale della fiamma di una candela sia noi che il nostro partner; queste due fiamme se unite creano una luce doppia, se disgiunte continuano comunque a brillare di luce propria. Ecco invece persone che in modo controproduttivo evitano di coltivare le proprie pas-sioni, i propri hobbies, la propria creatività, i propri svaghi nel timore ancora una volta che questo ponga in atto una reazio-ne emotivamente pericolosa da parte dell’altro. È proprio un paradosso, perché l’altro e gli altri, in genere, sono coinvolti da noi non certo quando ci presentiamo come una stellina spenta ma quando sono illuminati, riscaldati dall’energia che come una stella che brilla di luce propria noi irradiamo. Cosa vuol dire allora “prostituzione relazionale”? La donna o l’uomo che si trovano a fare qualcosa che non verrebbe loro istintualmente, non sarebbe un reale desiderio, stanno utilizzando il proprio corpo, i propri comportamenti per avere un qualcos’altro. Questo meccanismo può centrare, fra i vari fattori, anche con la sessualità stessa ovvero do sesso con il fine di poter avere un briciolo di possesso dell’altro e una riduzione della potenziale condi-zione di solitudine. Oppure all’opposto evito di concedermi sessualmente per il rischio che questa intimità con l’altro possa coinvolgermi a dismisura e di seguito mettermi di fronte al mio circuito: attaccamento-dipendenza amorosa. Tutto que-sto discorso un po’ forte in realtà lo facciamo pensando ad una cosiddetta “logica quantitativa”. La maggior parte delle correnti di psicologia e quella analogica in particolare riportano il seguente assioma: “il problema emotivo e comportamenta-le dell’uomo è sempre legato ad un aspetto quantitativo” ovvero possiamo essere tutti un po’ timorosi della solitudine, dell’abbandono come di altre cose, bisogna vedere però quanto è forte e condizionante questa emozione e forse dopo queste righe possiamo capirlo riflettendo su quanto sacrifichiamo di noi stessi per non incorrere in questa sofferenza. PS. Uéh…non preoccupiamoci eh…come per gli altri timori e condizionamenti descritti negli altri articoli c’è una soluzione, anzi più soluzioni, si può lavorare su noi stessi con le tecniche che noi e altre scuole propongono attraverso terapie, consulenze, corsi di formazione. L’importante è sapere che ci sono i modi per conoscerci meglio, per crescere e per fortificarci. Ciao stelline.

Per poter partecipare come ospiti ad una lezione dei Corsi legati al

POTENZIAMENTO PERSONALE e al CAPIRE E COINVOLGERE GLI ALTRI :

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Oltre 15mila studenti iscritti, più di due migliaia di laureati ogni anno, sei fa-coltà e una serie di sedi che oggi superano i 50mila metri quadrati. L’Ateneo di Bergamo si conferma una struttura in crescita: per numero di studenti, per superficie dedicata a laboratori, aule, uffici, biblioteche ed aree studio e per offerta formativa. Oltre ad essere la sede storica di Lingue stranie-re, nata nel 1968, l’università orobica si è arricchita nei passati decenni di

altre facoltà, quali Economia (’74) e Ingegneria (’91) per aggiungere poi, nel 2001, Scienze della Formazione, Giurisprudenza nel 2004 e Scienze Umanistiche due anni dopo, nel 2006. Queste ultime tre facoltà – che rappre-sentano un grande richiamo per studenti orobici e non solo – sono nate sotto la guida di Alberto Castoldi, rettore dell’Ateneo dal 1999, giunto al terzo e ultimo mandato per un totale di dieci anni alla guida dell’Università di Berga-mo.

Professore, l’università che ha guidato nel decennio 1999-2009 deve essere cambiata molto.

“Quando divenni Rettore dell’Ateneo bergamasco – ci racconta Castoldi – l’università era una realtà molto pic-

cola che contava appena tre facoltà, ossia la condizione minima perché un Ateneo potesse sopravvivere. La sfida dei miei primi anni, quindi, fu quella di consolidare questa realtà ed evitare la minaccia della soppressione. Di fatto, poi, questa modesta unversità iniziò a crescere sotto molti punti di vista, dal numero di facoltà, alla superficie dedicata e soprattutto al numero di studenti iscritti che è costantemente aumentato in questi anni. Dalla priorità di sopravvivenza si passò quindi a gestire qualco-sa di molto più grande per importanza e dimensioni”.

Oltre a un aumento continuo qual è stata la sfida di questi anni?

“Conciliare il numero sempre crescente di studenti con gli spazi a loro dedicati. Questa è stata la vera difficoltà di questi anni: a fronte di un numero intenso di iscritti, l’ateneo ha dovuto trovare spazi adatti in un territorio – parlo, in particolare, di Bergamo alta – dove la specifica conformazione del territorio non sempre agevolava la creazione di nuovi spazi. Quello che abbiamo fatto in questi anni, però, è incredibile perché abbiamo saputo venire incontro alle esigenze dell’Ateneo pur nella complessa situazio-ne territoriale”.

Le elezioni per il nuovo Rettore dell’Ateneo sono previste per il

Castoldi, bilancio di fine mandato

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prossimo settembre. Ad oggi sono tre i candidati in lizza per guidare l’università nei prossimi anni: Maria Ida Bertocchi, Maurizio Gotti e Stefano Paleari. Maria Ida Bertocchi è pro-fessoressa di Elementi di matematica finanziaria e Metodi matematici alla facoltà di Economia, Gotti è professore or-dinario di Lingua e traduzione inglese alla facoltà di Lingue e Paleari insegna Economia e organizzazione aziendale a Ingegneria. Che cosa dovrà fare il suo successore?

“Il futuro Rettore non avrà l’affanno di far crescere questa università in quantità, come avvenne nei primi anni del mio mandato. La priorità dovrà essere invece un consolidamen-to delle realtà già presenti in Ateneo per agevolare l’intera-zione con il territorio, valutando cosa sarà più opportuno rafforzare. Io ho cercato di interagire molto con il territorio puntando, per esempio, sul tessile. Credo però che questa sinergia sia stata poco capita”.

È riuscito a fare tutto quello che si era prefissato per l’Uni-versità di Bergamo?

“Abbiamo fatto tanto, molto di più di quello che ci aspetta-vamo. E nel dire ‘abbiamo’ mi riferisco anche a tutti i miei collaboratori e le persone che hanno lavorato con me in questi anni. Sono soddisfatto, direi che il bilancio di fine mandato è molto positivo”.

E cosa serve all’Università di Bergamo per andare avanti?

“Più fondi per la ricerca e per i docenti in modo da conti-nuare a migliorare l’offerta formativa”.

I fondi non arriveranno di certo dal Ministero.

“Il Ministero dovrebbe smetterla di chiedere dei soldi a un settore – quello dell’istruzione – da cui potrà ricavare molto poco rispetto ai buchi economici del Paese. Con i tagli imposti dalla riforma, inoltre, verranno penalizzati enorme-mente i giovani, perché quando viene imposta una ridu-zione non è possibile andare a toccare i docenti ormai di ruolo. Si va quindi a danneggiare i precari, ossia i giovani: sono loro che ne faranno le spese”.

Cosa farà in futuro, professore?

“Di certo rimarrò nel campo accademico, dedicandomi all’ambito umanistico, la mia vocazione. Poi valuterò le possibilità di collaborazione che arriveranno dal territorio, laddove la mia esperienza e le mie conoscenze potranno essere utili”.

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La tecnologia applicata all’implantologia ci consente di inserire con assoluta precisione impianti endossei senza tagli chirurgici, quindi senza dolore o gonfiore. Ma com’è possibile tutto ciò? Fino a pochi anni fa la procedura comunemente utilizzata prevedeva il taglio della gengiva con conseguente messa a nudo dell’osso mascellare, pre-parazione con frese ed inserimento dell’impianto nell’osso preparato. Trascorsi alcuni mesi solitamente con un provvisorio rimovibile, era possibile procedere con la protesizzazione fissa. Al giorno d’og-

La tecnolgiaapplicata

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a cura didott. Zirilli Amedeo

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La tecnolgiaapplicata

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gi, con un semplice esame radiologico è possibile ottenere una ricostruzione tridi-mensionale dell’osso mascellare, simulare al computer il posizio-namento ottimale per estetica e funzione ed ottenere dall’officina di

produzione una precisa guida chirur-gica. Quindi diventa possibile esegui-re l’intervento a “cielo chiuso”, cioè senza tagli chirurgici posizionando gli impianti come nella simulazione computerizzata. Nello stesso tempo vengono consegnati nella quasi tota-lità dei casi i provvisori fissi, avvitati agli impianti.

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Quindi basta tagli, dolore e gonfiore. Ma, per i più paurosi? Per quelli che hanno sempre e comunque paura del dentista? C’è la sedazione cosciente! Un esperto anestesista provvederà a sedarvi, annul-lando paure e tensioni, pur mantenendovi completamente svegli. Al giorno d’oggi non c’è più motivo per restare senza denti, mangiare e digerire malamente, sorridere con la mano davanti alla bocca, essere a disagio tra la gente o accontentarsi di una protesi rimovibile. Anche nei casi più difficili è possibile ottenere buoni risultati con le moderne tecniche implantari.

E il massimo risultato estetico? Per chi necessita di elementi identici a quelli natu-rali? Faccette in ceramica, elementi in zir-conia (senza metallo), intarsi in composito sbiancamenti professionali con lampade a led possono restituire un eccellente e radioso sorriso.

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Il gruppo “Cocò Samo” nasce dallo scambio sinergico di idee tra i suoi cinque compo-nenti appartenenti ognuno a sfere artistiche diverse.Ottavio Rossini è un pittore di arte digitale, oltre che un insegnante dell’accademia di belle arti di Brera e titolare di una galleria sul lago di Garda.

Luisa Borsi nasce come ritrattista e scultrice di paste modellabili spe-cializzandosi, in questi ultimi anni, nei gioielli pezzi unici.Cinzia Bolpagni, modellista e stilista già affermata da anni nel settore crea con Elisa Bregoli, giovane fashion designer, una linea di moda che unisce a materiali di tappezzeria illustrazioni ispirate all’arte contemporanea.Sasha Tarasevich, invece proviene dal mondo del tatuaggio ed utilizza la sua mano ferma e sicura per dipingere i corpi attraverso l’uso eccelso dell’aerografo e creando suggestive performance di body art.Tutti i componenti di questo grup-po provengono da settori diversi ed operano con materiali e tec-niche diverse, ma con la stessa filosofia di fondo:” Il nostro è un nuovo modo di comunicare e fare moda che non si basa sul rapporto prodotto - denaro bensì sul rappor-to prodotto - cultura con lo scopo

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di riportare ad un alto livello qualitativo il made-in-Italy.” L’unicità è quindi il filo con-duttore del collettivo “Cocò Samo” che si pone come obiettivo quello di recupera-re il valore dell’identità per contrastare l’omologazione e la piattezza del gusto che, purtroppo, dilagano nella nostra società.“-Il nostro prodotto consi-

ste in una piccola ma ben curata collezione di abiti e accessori presentati attraverso una performance che aggiunge al format tradizionale della sfilata un’azione artistica estemporanea capace di trasformare un “fashion evento” in un singolare spettacolo.” Moda, arte e design si rincorrono, si fondono e si confondono nel gioco di linguaggi che questi ragazzi mettono in scena di volta in volta nei loro eventi in varie città italiane.“La partecipazione all’evento “Symply Exclusive” in collaborazione con Avangarde ci ha permesso di esprimere al massimo la nostra filosofia attraverso un happening sviluppato in due momenti diver-si”.-“Durante l’aperitivo abbiamo costruito un percorso unendo, alle tele di Ottavio, delle modelle vestite con i pezzi della nostra collezione fashion e jewellery in posizioni statiche diventando un tutt’uno con l’opera.”-Nel salone, durante la cena, invece, Cinzia ha drappeggiato, sul corpo delle ragazze, due scenografici abiti da sera che poi Sasha, Luisa ed Elisa hanno dipinto attraverso decorazioni che dal corpo sono sconfinate sull’abito ottenendo così delle sculture viventi in movimento.Il tutto valorizzato da un’ interessante video-installazione sullo sfondo.

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È una delle “Stelle d’estate” e arriverà a Bergamo il prossimo 9 luglio. Laura Pausini sarà ospite dell’Arena estiva della Fiera di via Lunga con un concer-to che darà un segno profondo all’estate in musica dei bergamaschi e che si preannuncia sold out.

Dopo aver fatto tappa nei palazzetti delle principali città della penisola e dopo aver collezionato il ‘tutto esaurito’ ovunque in 13 concerti tra Francia, Spagna, Finlandia, Svizzera, Svezia e Belgio, il nuovo spettacolo di Laura Pausini si sposta dai palazzetti agli stadi e alle arene più prestigiosi del no-stro paese. Un world tour che conta in totale oltre 40 città e che porterà la Pausini e la sua band a percorrere più di 14mila chilometri in tre mesi circa. Una tournée da record che arriva dopo 4 anni dagli ultimi appuntamenti dal vivo con la cantante.L’appuntamento estivo dell’Arena sarà concentra-to principalmente sui nuovi brani di “Primavera in anticipo”, album uscito lo scorso novembre che ha già ottenuto sei dischi di platino ed è stato fin dal giorno di uscita in vetta alle classifiche italiane. Ma non mancheranno richiami ai classici del repertorio della cantante, presente da oltre 16 anni sui palchi italiani e internazionali.I biglietti sono in vendita presso: lo Sportello SPM in Viale Papa Giovanni XXIII n.124 a Bergamo, al Box Office in Viale Giulio Cesare n.14 a Bergamo, al Disco Star di Bergamo, al Jammin’ di Treviglio e sui circuiti internet nazionali: www.ticketone.it – www.ticket.it – www.vivaticket.it Info line: 035.358827

Laura e le sue “Amiche per l’Abruzzo”

“Amiche per l’Abruzzo” è un grande concerto di solidarietà che nasce da un’idea di Laura Pausini. L’appuntamento è per il 21 giugno allo stadio San Siro di Milano, dove oltre 90 artiste italiane – gui-date appunto dalla Pausini – hanno deciso di unirsi per dare un aiuto concreto all’Abruzzo. La prima giornata d’estate sarà un evento all’inse-

Laura Pausini “Primavera in anticipo” a Bergamo

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foto Kenneth Willardt

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gna della grande musica e della solidarietà, senza barriere e senza divisioni. Il concerto benefico rappresenta un momento unico nella storia della musica italiana che vuole dare un aiuto concreto a chi è in difficoltà. L’obiettivo è infatti una raccolta fondi per favorire la rico-struzione della Edmondo De Amicis, scuola simbolo del terremoto abruzzese. Una parte del ricavato sarà inoltre devoluta all’acquisto di case in legno e a progetti per il sostegno della popolazione così duramente colpita.

Il concerto è stato fortemente voluto da Laura Pausini che ha coronato il suo grande sogno di riunire per la prima volta le donne della canzone italiana. E lo ha fatto grazie alla di-sponibilità, all’entusiasmo e alla generosità di

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tutte le colleghe, in primis Elisa, Gianna Nannini, Fiorella Mannoia, che insieme saranno le madrine di questa grande manifestazione. Un evento spo-sato dal Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini che si è fatta garante dell’attuazione di un progetto concreto a sostegno dell’Abruzzo. Insieme a loro ha aderito un grandissimo numero di artiste. L’evento di San Siro vedrà infatti la par-tecipazione di AmbraMarie, Arisa, Malika Ayane, Leda Battisti, Marcella Bella, Simona Bencini, Lo-redana Bertè, Orietta Berti, Raffaella Carrà, Ros-sana Casale, Caterina Caselli, Cliò, Barbara Cola, Carmen Consoli, Luisa Corna, Cristina D’Avena, Wilma De Angelis, Teresa De Sio, Dolcenera, Giusy Ferreri, Fiordaliso, Irene Fornaciari, Rita Forte, Giorgia, Gilda Giuliani, Irene Grandi, L’Aura, La Pina, Amanda Lear, Mietta, Milva, Annalisa Mi-netti, Noemi, Silvia Olari, Stefania Orlando, Anna Oxa, Paola e Chiara, Rita Pavone, Daniela Pedali, Pia, Nilla Pizzi, Patty Pravo, Marina Rei, Donatella Rettore, Syria, Anna Tatangelo, Tosca, Paola Tur-ci, Viola Valentino, Ornella Vanoni, Manuela Villa, Iva Zanicchi e molte altre.

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Saranno connessi con San Siro 13 tra i maggiori network radiofonici, che permetteranno di raggiungere potenzialmente un pubblico di oltre 30 milioni di ascoltatori. Il costo del biglietto è di 25 euro per prato, primo anello late-rale, secondo e terzo anello e di 150 euro per il primo anello tribuna rossa. Non saranno applicati diritti di prevendita. Per rendere veramente efficace questo obiettivo, tutte le artiste e le strutture coinvolte nella realizzazio-ne dell’evento si sono impegnate a prestare la loro professionalità a titolo assolutamente gratuito. Anche la Siae, per la prima volta in questo tipo di manifestazioni, parteciperà con un proprio diretto intervento economico. La partecipazione così massiccia di tutte le cantanti è un segno importante anche per l’immagine del nostro paese e della nostra musica che, in diverse forme, si è mobilitata per dare un aiuto concreto e trasparente alle popola-zioni colpite da questa enorme calamità.

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Serata per amatori del sigaro venerdì 29 maggio al Ristorante Trattoria “Visconti” di Ambivere, dove inten-ditori e commercianti di questo prodotto si sono regalati un momento in compagnia dei Davidoff, provenienti dalla Repubblica Dominicana. Gli appassionati hanno potuto gustare un Davidoff Petit Corona e un Davidoff Puro Do-minicano Robusto, accostandoli a un’ottima cena termi-nata con una degustazione di Brandy.

Sigari & Brandy alla Trattoria Visconti

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Sigari & Brandy alla Trattoria Visconti

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Grande successo a Bergamo per la seconda edizio-ne della Notte Bianca dello Spor t, la manifestazione spor tiva che ha tenuto sveglia la cit tà orobica per due serate: venerdì 29 maggio con “Aspettando la Notte Bianca” e sabato 30 maggio con la manifestazione vera e propria. Oltre 65mila le persone che si sono date appuntamento sul Sentierone per una maratona ricca di eventi spor tivi organizzati da 27 associazioni diverse. L’evento è stato organizzata da Teamitalia, Bergamo Infrastrutture e Comune di Bergamo.

La Notte Bianca dello Sport

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Facchinetti Dj Francesco

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Facchinetti Dj Francesco

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F ace2F ace“I facebookers di Bergamo si incontrano faccia a faccia ogni mercoledì sera al Face2Face Party, e da mercoledì 3 giugno partirà l’estivo presso la corte interna della GA-MeC di via S.Tommaso, 53. Poche regole, molto chiare: il party è a ingresso gratuito e richiede un’iscrizione a Facebook con l’adesione, sempre attraverso questo so-cial network, all’appuntamento settimanale. L’idea della Tassino Eventi & Serate Internazionali è nata al fine di utilizzare questo social network per creare una realtà di giovani bergamaschi che potevano essere interessati a conoscersi non solo virtualmente, ma anche faccia a faccia; ma non solo, anche la stessa festa implica dei nuovi legami: ci si conosce nel locale e poi ci si cerca su Facebook, anche attraverso le tante foto che ven-gono scattate il mercoledì sera e così si estendono i legami e si amplia la rete di conoscenze.”

info mercoledì 3 giugno inaugurazione dell’ESTIVO “Face2-Face Party” @ GAMeC estivo via S. Tommaso, 53- orario di apertura: dalle 20 h. alla mezza- m@ail: [email protected]

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Nikita Disco Restaurant

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SmaltoL’estate orobica è ufficialmente partita e la notte dance del Capogiro si sposta per la serata del venerdì allo Smalto, l’Holiday Club del locale più in della bergama-sca. Inaugurato il 29 maggio, lo Smalto vi aspetta con tutto lo staff per una notte unica e speciale a Curno, in zona Decathlon.

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Cancro22 giugno - 22 luglio

Segno: CardinaleGiorno della settimana: LunedìPietre portafortuna: Perla, Smeraldo, OpaleColori: Grigio, Argento, BiancoFiori: Giglio, Gelsomino, GardeniaMetalli: ArgentoEssenze: Menta, LillàAnimali: Cigno, Gatto, Lepre

CARATTERISTICHE GENERALI:Segno d’acqua dominato dalla Luna. E’ proprio quest’ultima a determinare il carattere “lunatico” del Cancro: un continuo alternarsi di malinconia ed allegria. I nativi del cancro sono dolci, conservatori, capricciosi, enigmatici e molto fantasiosi. Sono amanti del lusso, dei viaggi, della casa, molte volte abbellita con oggetti antichi e curiosi, della tradizione e del passato. Temono l’incertezza delle novità e del futuro ed odiano la violenza in tutte le sue forme. Estremamente timidi, possessivi e romantici tendono a legarsi molto alle per-sone che amano. Le professioni più indicate ai cancerini sono: l’arredatore, l’antiquario, l’avvocato, il cuoco e... il maggiordomo!

COME SEDURRE L’UOMO CANCRO:L’uomo Cancro sa essere sensibile, romantico e protettivo ma anche musone e capric-cioso. Per conquistarlo bisogna assumere un’aria dolce ed infantile. Adora i concerti e le cenette a due.

UN CONSIGLIO: Non contradditelo mai: è molto permaloso.

COME SEDURRE LA DONNA CANCRO:La donna Cancro è una delle più raffinate, sensuali e sognatrici. Alla vita mondana pre-ferisce l’impegno sociale. Odia le volgarità ed ama i bambini. Estremamente volubile, è alquanto difficile da conquistare. Adora essere coperta di regali fiori e attenzioni.

UN CONSIGLIO: Coccolatela e vi farà le fusa!!!

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