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con analisi critica e indagini storiche a cura di Salvatorangelo Pisanu e Marcello Furio Pili Compact Disc Ballo Sardo di Luigi Silesu esecuzioni musicali di Fabrizio Marchionni al pianoforte Bruno Camedda alla fisarmonica ristampa anastatica per Pianoforte a 2 mani Luigi Silesu Ballo Sardo

Ballo Sardo - launeddas · preso visione, inaspettatamente, di uno spartito di mu-sica sarda, un ballo, risalente alla fine dell’Ottocento, autore Luigi Silesu; mi precisò che

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con analisi critica e indagini storiche a cura di Salvatorangelo Pisanu e Marcello Furio Pili

Compact DiscBallo Sardo di Luigi Silesu

esecuzioni musicali di Fabrizio Marchionni al pianoforteBruno Camedda alla fisarmonica

ristampa anastaticaper Pianoforte a 2 mani

Luigi SilesuBallo Sardo

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Ringrazio Marcello Cofini, musicista e ricercatore, esperto di musica per danza, che alcuni anni fa mi mise a conoscenza dell’esistenza di questa partitura e mi permise di visionarla in occasione di un mio viaggio a Roma.

Salvatorangelo Pisanu

RingraziamoFrancesco Pittau, musicista e direttore della Banda Musicale “Stanislao Silesu” di Samassi, per aver donato una copia fotostatica della partitura, non possedendo di essa un’edizione a stampa originale;

Alessandra Melis, archeologa ed abile ricercatrice, collaboratrice di Iscandula, per aver trovato un’edizione a stampa originale della partitura nella Biblioteca Universitaria di Cagliari;

la Biblioteca Universitaria di Cagliari, per aver concesso di realizzare e pubblicare una copia del documento;

Fabrizio Marchionni e Bruno Camedda, i musicisti che hanno eseguito il Ballo Sardo, rispettivamente al pianoforte e alla fisarmonica, per aver accettato la sfida di interpretare questa lunga e impegnativa partitura in tempi assai brevi e aver, nonostante l’oggettiva difficoltà, soddisfatto le attese.

Esprimiamo un ringraziamento particolare a Fabrizio Marchionni, per aver eseguito e registrato il brano a titolo gratuito, offrendo la sua opera quale regalo alla Sardegna per il Natale 2013.

Salvatorangelo PisanuMarcello Furio Pili

Dante Olianas

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Luigi SilesuBallo Sardo

per Pianoforte a 2 mani

ristampa anastatica

con analisi critica e indagini storichea cura di Salvatorangelo Pisanu e Marcello Furio Pili

Compact DiscBallo Sardo di Luigi Silesu

nelle esecuzioni musicali di Fabrizio Marchionni, pianoforte Bruno Camedda, fisarmonica

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Proprietà letteraria riservata © 2013 Associazione Iscandula

Luigi SilesuBallo Sardo. Ristampa anastatica con analisi critica e indagini storiche

Prima edizione Dicembre 2013ISBN 9788888998077

Edizione a cura di Marcello Furio Pili

Musica e partitura di Luigi Silesu

Analisi e riscrittura critica di Salvatorangelo PisanuSezione biografica e documentaria di Marcello Furio PiliCommento storico di Fabrizio Marchionni

Testi di Dante Olianas, Salvatorangelo Pisanu, Fabrizio Marchionni, Marcello Furio Pili

Figure di Andreas Fridolin Weis Bentzon, Salvatorangelo PisanuDidascalie e bibliografia di Salvatorangelo Pisanu, Marcello Furio Pili

Esecuzioni musicali di Fabrizio Marchionni, pianoforte, e Bruno Camedda, fisarmonica

Masterizzazione CdAlberto Tremendo

Progetto graficoHangar Factory

ISCANDULAVia Perda Bona 6, Quartu Sant’Elena (Ca), Sardegna (Italy)[email protected]

Impianti e stampaGrafiche Ghiani s.r.l., Monastir (Ca)

Pubblicato con i contributi di

Il presente volume contiene la pubblicazione scientifica diMisc.111 / 3 Silesu, Luigi – Ballo Sardo, Biblioteca Universitaria di Cagliari.Su concessione di: Ministero per i Beni e le Attività Culturali / Biblioteca Universitaria di Cagliari.Autorizzazione 1602/28.13.10/2.2 – Alleg.1, 29 LUG. 2013.

Vietata la riproduzione o la duplicazione con qualsiasi mezzo

Associazione Iscandula

Regione Autonoma della Sardegna

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Indice

9 Nota dell’editore

11 Ballo Sardo per Pianoforte a 2 mani

47 Il Ballo Sardo di Luigi Silesu

49 Introduzione

51 Notizie storiche

53 Analisi

58 Il parere dei musicisti

59 Note sulla riscrittura del ballo di Silesu

59 Conclusioni

61 Una riscrittura critica del Ballo Sardo di Luigi Silesu

75 Figure

80 Bibliografia

81 Il Ballo Sardo di Luigi Silesu nella letteratura pianistica europea

85 Appendice: Luigi Silesu, Gaetano Murenu e il Ballo Sardo a Londra

94 Il contenuto del Cd

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Nota sulla grafia del SardoI termini in lingua sarda figurano in corsivo nella prima menzione. L’accento è posto ove si è ritenuto necessario agevolare la lettura. Le espressioni pass’ ‘e duus e pass’ ‘e tres figurano pass’ ’e dusu e pass’ ’e tresi per desiderio dell’editore.

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Qualche anno fa Angelo Pisanu mi informò di aver preso visione, inaspettatamente, di uno spartito di mu-sica sarda, un ballo, risalente alla fine dell’Ottocento, autore Luigi Silesu; mi precisò che l’opera era piuttosto lunga, 32 pagine, e che sembrava tratta direttamente dal repertorio delle launeddas.

Conoscendo Angelo quale serio etnomusicologo e buon musicista – oltre che ex allievo della Scuola di launeddas di Iscandula –, non avevo motivi per non farmi contagiare dal suo entusiasmo in relazione al fe-lice ritrovamento.

Ma c’era un problema: lo spartito non era in suo possesso, lo aveva consultato presso un collezionista senza poterne acquisire una copia.

Subito mi misi in contatto con il Maestro Francesco Pittau, direttore della Banda Musicale intitolata al più noto Lao Silesu (Stanislao, figlio di Luigi), che nel giro di qualche giorno mi procurò una fotocopia dello spar-tito. In sovrappiù, la dottoressa Alessandra Melis, co-ordinatrice delle attività di Iscandula, riuscì a scovare una copia originale in una miscellanea giacente presso la Biblioteca Universitaria di Cagliari.

L’idea di pubblicare e divulgare uno spartito dell’Ot-tocento scritto per pianoforte poteva, apparentemente, esulare dal compito istituzionale di Iscandula – quello di studiare, curare e promuovere la pubblicazione dei documenti di Andreas Fridolin Weis Bentzon –, ma diversi fattori mi fecero riflettere, convincendomi della positività dell’iniziativa editoriale, che avrebbe soprat-tutto confermato – a partire da un ballo sardo ben arti-colato secondo i principi compositivi della musica delle launeddas – le previsioni del Bentzon sulla nascita del professionismo tra i suonatori del triplice clarinetto.

Bentzon, infatti, pur non avendo ovviamente a di-sposizione né questo spartito né i Contratti di Tzerac-chía (i contratti annuali che i suonatori stipulavano con i giovani scapoli dei paesi, specialmente quelli ricchi del Campidano)1, sulla base dei documenti acquisiti e delle indicazioni riferitegli dai suoi informatori, si era spinto a ipotizzare l’inizio della consuetudine dei balli domenicali, e quindi del professionismo dei launeddi-sti, intorno alla fine del XVIII secolo.

Angelo (che è anche membro del Comitato scien-tifico del Centro Studi Bentzon), applicando egregia-mente il metodo di analisi dell’etnomusicologo danese,

a sua volta è riuscito a offrirci i riferimenti musicali e storici tra il ballo di Silesu e gli stili attualmente presen-ti nella Sardegna Meridionale.

Un ulteriore motivo mi ha convinto a dare alle stam-pe questo documento: il fatto che l’opera certosina di Luigi Silesu mostra un avvicinamento degli ambien-ti colti della Sardegna del 1800 alla musica autoctona. Una saldatura culturale che il Bentzon stesso tentò (inu-tilmente) di mettere in atto quando, nel 1957, cercò di convincere il Maestro Ennio Porrino ad avviare classi di launeddas presso il Conservatorio Pier Luigi da Pa-lestrina di Cagliari, di cui il Porrino era in quegli anni direttore.

Dobbiamo ai meriti di Angelo Pisanu e agli incorag-giamenti e consigli di persone a me vicine – in partico-lar modo dei Maestri Giuseppe Orrù e Andrea Cossu e dell’amico Eligio Fronteddu – se oggi abbiamo a dispo-sizione e possiamo diffondere lo spartito del Silesu, che è la più importante testimonianza del XIX secolo sulla complessità della musica delle launeddas2.

Per agevolare la comprensione dell’opera in oggetto a coloro che non sono in grado di decifrare un penta-gramma, il Maestro Fabrizio Marchionni si è assunto il compito di eseguire al pianoforte la partitura del Silesu e offrirne l’esecuzione, che potrete trovare nel Cd alle-gato al volume, comprensivo anche dell’interpretazio-ne del Maestro Bruno Camedda, che ha invece eseguito lo spartito alla fisarmonica in una sua personale lettura delle nodas.

L’opera iniziale è stata arricchita dalle preziose in-formazioni raccolte dal curatore, il dottor Marcello Fu-rio Pili, relativamente alla figura di Luigi Silesu, all’ese-cuzione del ballo – stando ai giornali sardi dell’epoca – al Teatro Prince of Wales di Londra nel 1899 e alle possibili correlazioni tra il compositore e la dirigenza delle società minerarie inglesi che all’epoca sfruttavano i giacimenti del Sulcis.

Il mio pensiero si rivolge infine ai giovani musicisti sardi, in particolare agli interpreti della musica origina-ria, nella speranza che si adoperino – con spirito di ri-cerca innovativa – per adattare questa partitura ai loro strumenti, rendendo omaggio alla nostra cultura e al Maestro Luigi Silesu.

Dante OlianasCagliari, Dicembre 2013

Nota dell’editore

1 I Contratti di Tzeracchia dell’Ottocento sono cominciati a spuntare come funghi nell’Archivio di Stato di Cagliari all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso grazie alle ricerche del direttore della Sala di Lettura dell’Archivio, il dottor Carlo Pillai, il quale nel 1995 espose i risultati delle sue indagini in una conferenza dedicata da Iscandula all’argomento (buona parte di quella relazione fu più tardi pubblicata in Quaderni Bolotanesi, vedi Pillai Carlo, Le feste de sa zerachia nella Sardegna Sabauda, in QB, n. 23, anno 1997, pp. 399-409). Recentemente, grazie alle ricerche del dottor Roberto Milleddu (sempre nell’Archivio), si è appalesato un Contratto di Tzeracchia risalente addirittura al 1705, vedi Milleddu Roberto, Origini e fonti storiche, in Lutzu et alii 2012, XII, p. 14 (cfr. oltre nota 21 p. 53 e vedi Bibliografia p. 80).

2 Naturalmente esistono balli sardi precedenti a quello del Silesu, ma sono brevi, di poche battute e non articolati e sviluppati come quello presentato in questo volume, ballo che nel suo schema compositivo ha molta attinenza con la iscala delle launeddas.

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All’On. Municipio di Cagliari Ballo Sardo

per Pianoforte a 2 manidi Luigi Silesu

Organista della Cattedrale d’Iglesias

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All’On. Municipio di Cagliari Ballo Sardo

per Pianoforte a 2 manidi Luigi Silesu

Organista della Cattedrale d’Iglesias

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Il Ballo Sardodi

Luigi Silesudi Salvatorangelo Pisanu

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Introduzione«È questo il tradizionale, famoso duru-duru, o bal-

lo tondo de’ Sardi, del quale avremo ad occuparci in proposito, in altro lavoro, trattando degli strumenti, delle usanze musicali, e del carattere e dello spirito della musica che noi studiamo. In tanto, come pura notizia storico-musicale, ricordiamo che, dei vari mo-tivi caratteristici, onde si suole accompagnare questa originalissima danza, esistono alcune trascrizioni e ri-duzioni che, fatte più o meno coscienziosamente, sono appena sufficienti a dare una pallida idea di ciò che sia questa stranissima, meravigliosa musica, che da secoli si tramanda in quest’isola fra i pastori e i villani.

Una riduzione per tanto è del sonatore di tromba Antioco Porcedda di Guspini; ed una seconda, edi-ta dallo stabilimento di Francesco Blanchi in Torino, del cav. Paolo Foltz (n. a Salerno nel 1820), distinto flautista e già capomusica della banda della Guardia Nazionale. Egli s’informò all’originale dell’avv. Anto-nio Mameli di Lanusei, il quale l’aveva, a sua volta, appreso dal sonatore di launeddas Battista Monte-lixi di Tortolì. Altre due riduzioni, per piano l’una e l’altra per banda, sono di Giuseppe Maria Lai che fu prima minore conventuale in S. Francesco a Cagliari, poi si sfratò, alla morte del genitore, per attendere alle cose domestiche, e morì, giovine ancora, ad Oristano, organista beneficiato di quella Cattedrale. Raccolti i motivi da tre zampognatori di Pula, Villamarras e S. Pantaleo, egli lasciava il manoscritto all’egregio auto-re del Ricordi storici, il cav. prof. Pietro Meloni-Satta; e questi ne consegnò la partitura alle bande della Cit-tà, le quali spesso, nelle caratteristiche feste del pae-se, lo eseguiscono, tra la soddisfazione inesprimibile de’ buoni Campidanesi ed, in genere, di tutti i Sardi dell’antico stampo.

Una recentissima trascrizione, in fine, pubblicata dallo stabilimento Lapini in Firenze, è del Sig. Luigi Silesu (n. in Ales nel 1837), già allievo nel suo paese nativo di un tal frate Angelotti continentale, ed oggi

residente, fin dal’89, in Iglesias, ove è organista della Cattedrale. La sua trascrizione, ch’è certo la più ricca di motivi e forse anche la più fedele, fu composta in Sa-massi nel 1894, ed è dedicata al Municipio di Cagliari.»1

Con questa ampia nota Guido Giacomelli ci con-segna le prime, e allora recenti, notizie su quelle che furono alcune delle “riduzioni” e “trascrizioni” di bal-lo sardo nel secolo XIX, dandoci così uno spaccato di quella che era stata, all’epoca, l’attenzione che l’am-biente della musica colta aveva nei confronti di quella tradizionale. Preziose indicazioni per valutare la par-titura che andiamo presentando, una partitura che si inserisce certamente appieno in quella che era una del-le istanze culturali e politiche dell’epoca, e non solo in Sardegna – la riproposizione, solitamente superficiale, delle espressioni artistiche popolari, allo scopo di edi-ficare il sentimento ‘nazionale’ italiano –, ma che allo stesso tempo se ne discosta per l’intensità della ricer-ca estetica e la competenza che il suo autore dimostra.

Ci segnala Milleddu, a proposito delle trascrizioni di musiche da ballo sarde di questo periodo, che:

«[…] su tali elaborati, per quanto interessanti dal punto di vista documentario, pesa la stilizzazione, la semplificazione estrema delle strutture musicali, la perdita di informazioni nel passaggio tra musici-sta tradizionale e trascrittore. Ma quello che – par-lando da etnomusicologi – è più evidente, è il livel-lamento a un modello unitario di un mondo come quello del ballo tradizionale, che sappiamo essere estremamente complesso e ricchissimo di varianti locali. Insomma, quella che ci rimane è un’imma-gine assai sgualcita di una suonata a ballo avvenuta chissà dove e chissà quando, suonata da chissà chi, e raccolta da qualcuno che conosceva la musica oc-cidentale e, in larga misura, ben poco sapeva di ciò che era importante per chi faceva quella musica.»2

1 Giacomelli 1896, pp. 109-10. Si tratta della nota che l’autore scrisse a proposito della famosissima scena di ballo descritta dal padre Bresciani. Spiace che non abbia dato seguito, a quanto ne sappiamo, al proposito qui dichiarato di affrontare in altro specifico lavoro gli strumenti, le usanze musicali, il carattere e lo spirito della musica in Sardegna. Questo libro, in effetti, tratta della vita musicale cittadina e comunque di estrazione colta più che di quella tradizionale.

2 Milleddu 2012, pp. 58-9.

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Stando alle altre poche partiture di ballo sardo del 18003, ma anche ad altre successive4, non si può che convenire con questa affermazione. E va detto che per-sino quel poco di trascrizioni che avrebbe fatto diversi anni dopo Giulio Fara5, seppur dalla posizione di stu-dioso di etnofonia, dunque non di musicista ma di et-nomusicologo (come diremmo oggi), che per mestiere avrebbe potuto tradurre più fedelmente in segni grafici la musica, è assai povero in tal senso.

All’interno di questo quadro, l’opera che sto presen-tando assume certamente il carattere di sorprendente eccezionalità. Eccezionalità che è data non tanto, o sol-tanto, dalla lunghezza (si veda l’esorbitante numero di “motivi”) quanto invece e soprattutto dalla qualità del materiale, dalla ricchezza di particolari, dal gusto per le varianti anche minime, da quella straordinaria so-miglianza, pur nelle differenze, col linguaggio musicale del repertorio a ballo e in particolare quello delle lau-neddas. Dal fatto che si tratta, in altre parole, dell’ope-ra di un serio e profondo conoscitore della musica che volle esemplare.

Non potremo mai dire con certezza fino a che pun-to questa opera possa essere trattata quale documento etnografico di quella che era la musica sarda del tempo, fino a che punto, cioè, possa essere considerata ‘fedele’. La musica tradizionale, infatti, non è mai uguale a sé stessa ed è la stessa ‘trasmissione orale’, d’altronde, a essere ragione, se anche altre non ve ne fossero, della sua continua evoluzione, della non fissità delle forme. Tra l’altro, l’etnomusicologia ha bene imparato, oggi, come l’oggetto del suo interesse non solo viva nel conti-nuo mutamento, ma possa anche passare per momenti storici di forte e repentino rinnovamento, acquisizione di nuovi strumenti e repertori, abbandono di altri.

Ciò non significa, si badi, rovesciare completamente l’antico postulato di una certa stabilità delle forme nella musica di tradizione orale. Ma, se è vero che gli ottanta anni circa che ci separano dalle prime registrazioni di launeddas dimostrano che le caratteristiche strutturali del loro linguaggio musicale sono sostanzialmente im-mutate – confermando che, nonostante tutto, l’antico postulato di una certa stabilità delle forme nella musica di tradizione orale conserva una relativa validità – non possiamo avere certezze sulla fase precedente. Dunque

come fare a sapere se si tratta di ‘trascrizione fedele’ e in che misura?

Le stesse indicazioni che ci da Giacomelli a questo proposito sono interessanti ma non risolutive. Dopo aver parlato di ‘trascrizioni e riduzioni’, definisce quel-la di Silesu ‘trascrizione’. Prendiamoci allora la briga di ricordare brevemente la differenza che hanno le due parole nel linguaggio accademico, anche perché il ter-mine ‘trascrizione’ ha, in ambito musicologico colto, un diverso significato di quello che ha per gli etnomu-sicologi:

«mentre questa [la trascrizione] presuppone un intervento creativo volto ad adeguare la sostanza musicale della composizione al nuovo mezzo tecnico attraverso modificazioni e adattamenti anche vistosi della struttura originaria, la riduzione risponde gene-ralmente a fini affatto pratici e tende, nei limiti del possibile, a evitare ogni intervento che non sia di na-tura strettamente funzionale.»6

In base a questo criterio il ballo di Silesu, essendo definito ‘trascrizione’ da Giacomelli, si configurerebbe come il risultato di rilevanti interventi creativi. D’altro canto, però, è lo stesso Giacomelli ad asserire che si tratta della “più ricca di motivi e forse anche la più fe-dele”, attribuendogli dunque, specialmente col secondo aggettivo, una diversa accezione del termine trascrizio-ne, ossia quella che si usa in ambito etnomusicologico, con la quale s’intende una traduzione presumibilmente fedele in segni grafici di un certo evento musicale.

Quali mezzi ci rimangono allora per valutarne l’at-tendibilità documentaria? Possiamo farlo dal momen-to che non abbiamo esempi diretti dell’epoca, ma solo molto successivi? E che anche qualora ne avessimo, non potremmo mai escludere la presenza di altre e di-verse tradizioni? Qualsiasi tentativo di arrivare a una risposta certa sarebbe illusorio.

Fatta questa premessa, non di meno credo che non vi sia niente di più stimolante e utile, per valutare la portata stilistica di questo Ballo Sardo, che analizzarlo proprio a partire da quello che è il linguaggio delle lau-neddas a noi noto – ovverosia quello attestato a partire per lo meno dalle prime registrazioni sonore, dunque

3 Cfr., ad esempio, Anonimo, Ballo Sardo Nazionale per Piano Forte, citazione e figura in Milleddu 2012, p. 58. Ringrazio Roberto Milleddu per avermi consentito di visionare l’intera partitura di questo (la copia, avuta grazie a Mario Tedde, proviene dal Fondo Galleri). La partitura, secondo Milleddu, risale verosimilmente agli anni 1880/90. Comunica invece Milleddu di aver visionato la partitura di Paolo Foltz, presumibilmente la stessa di cui parla Giacomelli (cfr. nota 1).

4 Cfr., ad esempio, Canepa 1925.5 Cfr. Giulio Fara, Musica popolare sarda in Rivista Musicale Italiana XVI 1909, pp. 713-749, riedito in Fara 1997, le trascrizioni in questione

alle pp. 79-81.6 Voce “riduzione” in AA.VV. 1996, p. 747.

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dal 19307. E naturalmente per fare questo ci serviremo della analisi e delle ampie trascrizioni etnomusicologi-che del Bentzon effettuate su registrazioni a cavallo tra fine anni ’50 e primi anni ’608. Ognuno, poi, si farà la propria idea sulla sua attendibilità. Prima, però, vedia-mo di raccogliere tutte le informazioni che possediamo sull’autore e sull’edizione di questo ‘ballo sardo’, infor-mazioni che possono avere una loro pertinenza anche con la nostra problematica.

Notizie storicheOggi si ricorda Luigi Silesu grazie al fatto che era stato il padre di Stanislao (noto Lao), pianista e compositore che ebbe grande fama nella prima metà del Novecento, in patria e all’estero. Ma nella sua epoca egli godette di una certa notorietà, anche, come sembra, grazie al suo Ballo Sardo. Oltre a Giacomelli, diverse altre testimo-nianze, riportate in appendice, lo legano a tale opera9.

Dal confronto fra le testimonianze non sembra es-servi unanimità su alcuni dati della sua vita: nato a Samassi o ad Ales? Trasferitosi a Iglesias immediata-mente dopo la nascita del figlio Lao, dunque nel 1883, oppure nel 1889? Incerta è anche la data della compo-sizione: 1894, come dice Giacomelli, o prima del 1889, come afferma Atzeni? Quest’ultimo, infine, è l’unico a riportare la data della sua morte, il 1916. A prescindere da comprensibili e non grandi discordanze, comun-que, abbiamo un organista nato e vissuto nell’agro e certamente in continuo contatto con i suonatori di lau-neddas, se è vero, come è vero, che in quei paesi questi strumenti entravano comunemente nelle chiese e nel sagrato – o nelle immediate vicinanze – si svolgevano abitualmente i balli. Niente di più propizio, dunque, perché un ben dotato musicista potesse imparare i mo-tivi del ballo sardo e acquisirne profondamente il lin-guaggio compositivo.

Sappiamo anche che la sua opera fu edita da Lapini a Firenze e fu talmente apprezzata da essere stata inviata per una esecuzione al teatro Principe di Galles di Lon-dra. Ormai rarissima, ne conserva una copia la Biblio-teca Universitaria di Cagliari10. Per quanto riguarda la data, ritengo che una prima stesura potrebbe essere di molto antecedente a quelle ipotizzabili (1894 o prima del 1889). Potrebbe essere infatti in relazione con la sottoscrizione per “un ballo sardo scritto in musica per pianoforte dell’estensione di 32 pagine”, di cui però non conosciamo l’esito, che era stata lanciata nel 1858 dal giornale cagliaritano La Gazzetta Popolare11. La nostra, infatti, è per l’appunto una partitura di 32 pagine12.

Non ci è stato invece possibile reperire esemplari del disco su cui, come ci ha informato Cardia13, sarebbe stato ‘eternato’ questo ballo, né alcuna altra informa-zione in merito. Per quanto riguarda la notizia della esecuzione londinese, invece, abbiamo qualche indica-zione in più, sulla cui strada ci ha messo Atzeni con questo passo:

«La composizione fu pubblicata dallo Stabilimen-to Lapini di Firenze e fu eseguita, tra l’altro, al Teatro “Principe di Galles” di Londra ove fu “scelta e giudi-cata migliore dai maestri di Londra”, come riferisce il quotidiano “Sardegna Cattolica” del 9.1.1899 senza fornire altri particolari sulla manifestazione.»14

Le informazioni contenute in questo articolo non potevano restare senza un tentativo di approfondimen-to, di cui si è fatto carico Marcello Furio Pili15.

Come leggiamo nella sua Appendice “Luigi Silesu, Gaetano Murenu e il Ballo Sardo a Londra”, alla quale rimandiamo il lettore, il contesto in cui fu suonato il ballo di Silesu non è ancora chiarissimo. Infatti, è vero che l’Unione Sarda del 30.01.1899 fa riferimento ad un “grandioso spettacolo di danze di tutti i paesi” – e lo fa

7 Per una nuova riedizione e le informazioni sulle registrazioni di Efisio Melis degli anni ’30 vedi Lutzu Marco in Melis 2010.8 Weis Bentzon 1969 e 2002. Sulle launeddas vedi anche Lallai et alii 1997 e Lutzu et alii 2012. 9 Cfr. l’Appendice. Due di queste, di A. Cardia e P. Marica, tratte da Il Convegno anno X n. 1 1957, sebbene lo scritto di Cardia fosse edito già

nel 1956 (vedi nota a Sezione II.5 dell’Appendice), sono state recentemente riportate anche in Piana 2006, pp. 112 e 117.10 Non essendo reperibile attraverso il motore OPAC, Alessandra Melis l’ha reperita tramite la Biblioteca Digitale Italiana nella Miscellanea

111/3 della Biblioteca Universitaria di Cagliari. «Il Registro Cronologico d’Entrata (RCE) rivela che l’opuscolo è stato acquistato (al prezzo di Lire 2,00 dell’epoca) dalla Regia Biblioteca di

Cagliari nel 1909, insieme ad altre quattro unità bibliografiche diverse per natura e argomento con anni di stampa distanti tra loro (una è del 1859), da un non meglio identificato “R. Lai”, quasi certamente un privato», comunicazione personale indirizzata all’editore Iscandula da Mauro Costa, Bibliotecario, Coordinatore Servizio DIGIT.

11 Milleddu 2012, pp. 58-9.12 Si arriva infatti a 33 ma con numerazione che inizia dalla copertina.13 Vedi l’Applendice.14 Cfr. Atzeni 2008, p. 93.15 Marcello Furio Pili, curatore della presente opera, è anche ricercatore e autore, tra l’altro, di L’aulòs nella Grecia arcaica e classica, MGA

Cagliari 2003, testo introduttivo al confronto tra gli aulòi e le launeddas.

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probabilmente grazie alla testimonianza diretta di un maestro di ballo, Gaetano Murenu (o Moreno, a se-conda degli articoli), già rientrato da Londra dove era andato proprio per insegnare il ballo sardo al corpo di ballo del Teatro Principe di Galles -, ma è anche vero che le ricerche in quel teatro non hanno ad oggi prodot-to alcun risultato al riguardo, mentre, come leggiamo ancora nell’Appendice, Pili ha trovato riferimento nella stampa londinese ad una opera comica, The Coquette, che parrebbe ambientata in Sardegna. L’opera sarebbe andata in scena in quel teatro dopo che Murenu era tornato in Sardegna, ma l’ipotesi che la sua presenza fosse legata ad essa non è affatto immotivata.

A prescindere da questo dubbio, che ci auguriamo risolvere in futuro, abbiamo comunque preziose infor-mazioni sulla storia della nostra partitura, sul suo uso e sulla notorietà che ebbe nel suo tempo. Informazioni che inducono ad alcune riflessioni. La partitura di Si-lesu, come sappiamo già pubblicata all’epoca, era sta-ta scelta – e forse era stata considerata l’unico mezzo possibile (in assenza di registrazioni ed evidentemente della mancanza di un ingaggio o della possibilità di in-viare un musicista) – per accompagnare l’insegnamen-to e l’esecuzione del ballo sardo. D’altronde, anche a giudicare da una lettura odierna, da ciò che vedremo in fase di analisi comparativa e dall’ascolto delle esecuzio-ni, esso poteva senza alcuna difficoltà essere utilizzato per tale scopo. Si può anzi supporre che a suo tempo fosse stato commissionato e scritto proprio perché fun-zionasse da accompagnamento al ballo. Quella scelta, dunque, non doveva essere un semplice ripiego ma, assai probabilmente, un strumento validissimo e ma-gari già collaudato. Già collaudato, forse, dallo stesso Murenu, il “noto maestro di ballo”, come lo presenta la stampa dell’epoca e come testimoniato dall’annun-cio che lui stesso pubblicò su L’unione Sarda del 2 feb-braio del 189916; oppure dallo stesso capitano Monari e dagli ambienti borghesi di Cagliari e di altri centri di una certa importanza del ‘capo di sotto’. Interessanti a questo proposito le parole di Fabio Mollica, storico della danza:

«Nelle città, grandi e piccole, vi erano maestri di ballo a qualsiasi livello sociale. Insegnavano le danze di società alla moda (le danze borghesi o aristocrati-che a seconda del loro livello sociale) e le danze co-siddette locali, diverse per ogni provincia o città. Alla

fine dell’800 si diffuse in Europa, ma in Italia in ma-niera particolarmente forte, il gusto per il revival delle danze antiche o cosiddette popolari. Era un processo culturale molto complesso, ma connesso con la forte spinta nazionalista di quegli anni»17.

Oltre a questo, il fatto che l’operazione “Teatro Principe di Galles” fosse stata seguita per la Sardegna da un capitano dei Regi Carabinieri porta il pensiero al rapporto tra danza ed esercito, impensabile forse al giorno d’oggi ma presente in passato. Anche su questo vediamo cosa ci dice Mollica:

«Il rapporto tra Ufficiali e danza risale almeno alle Corti italiane ed europee del XV secolo e più specifi-camente all’Educazione Cavalleresca che aveva nell’e-sercizio delle Armi, dell’Equitazione e della Danza i tre punti fondamentali. Quando tra Settecento e Ot-tocento si costituiscono le Scuole Militari (o Acca-demie Militari) che possiamo definire moderne, nei diversi Stati Italiani (compreso il Regno di Sardegna) la danza è materia di studio. In Francia ciò avviene dalla fine del ’600»18.

In questo quadro, lo stesso fatto che esistessero ma-estri di ballo sardo, o generici maestri di ballo (docu-mento di assoluto interesse, da questo punto di vista, l’annuncio sul giornale delle lezioni di ballo pubblicato dal Murenu/Moreno) che si dedicassero ad insegnare anche il ballo sardo, potrebbe essere da sola in grado di suscitare l’apertura di interessanti ipotesi di ricerca sul-la storia della danza in Sardegna. E forse, senza peraltro pensare ad alcuna eventualità di un ribaltamento della storia culturale, potrebbe dirci qualcosa di inconsueto sul rapporto tra tradizione orale e insegnamento, tra fasce popolari e borghesia, laddove si tende a conside-rare le ‘tradizioni popolari’ come un fenomeno com-pletamente distaccato dalle dinamiche della cultura borghese cittadina.

D’altronde non c’è dubbio sul fatto che queste noti-zie, da questo punto di vista, gettino nuova luce sulla fi-nalità di quella sottoscrizione de La Gazzetta Popolare, cui abbiamo fatto cenno19, e che in ogni caso rafforzino il significato storico-culturale della pubblicazione di Silesu. In attesa di nuove ricerche, ci fermiamo qua ed andiamo ad occuparci del contenuto musicale di que-sto ballo.

16 Vedi l’Appendice.17 Comunicazione personale di Fabio Mollica, 17.07.2013. Sull’attenzione, comunque scarsa, che ebbero i maestri di danza nei manuali

dell’epoca, vedi Mollica 1995, pp. 53-6. 18 Ibidem. Sul rapporto tra danza ed esercito in Francia vedi anche Guilcher 2006 [1998], pp. 235 e ss.19 Cfr. supra e nota 11.

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AnalisiPrima di passare all’analisi vera e propria, va fatta una piccola parentesi. Niente, ritengo, ci autorizza a esclu-dere che Silesu abbia tratto il materiale o parte di esso da altri strumenti che non dalle o dalle sole launeddas. Anche altri strumenti infatti, come sappiamo – e mi si consenta di evitare di citare l’ampia e ben nota letteratu-ra e le relative fonti – erano utilizzati nell’Ottocento per il ballo. A cominciare dai piccoli flauti di canna, passan-do per la chitarra, per arrivare all’organetto diatonico e probabilmente alla fisarmonica (nuovi all’epoca, ma al-meno il primo già ben affermato20), e senza dimenticare la voce dell’uomo. Le launeddas, tuttavia, sono sempre presentate, nel ‘capo di sotto’, come quelli principali, più importanti, più notevoli. E oggi le ‘suonate’ esegui-te dagli altri strumenti sono unanimemente considerate come tributarie di quelle originali delle launeddas. Che questo sia vero o meno – credo di si, ma sarebbe troppo oneroso documentarlo in questa sede –, questi strumen-ti offrono a noi il termine di comparazione più ampio per la varietà e vastità del repertorio conosciuto. Ad esempio, esistono diverse suonate per diversi cuntzertus (varietà di launeddas, vedi oltre e la figura 1 a p. 77) e il linguaggio più articolato per la complessità del sistema musicale (basti il fatto che hanno due canne melodiche indipendenti). Inoltre è per le launeddas che si parla di ‘professionismo’ musicale già da epoche remote21. A prescindere da tutto ciò, e cosa di non poco conto per noi, in esse troviamo il termine di confronto più agevole per la nostra comparazione, data l’esistenza di studi assai approfonditi e ricchi di trascrizioni cui fare riferimento, tra i quali quello già citato del Bentzon e altri a questo successivi (i quali mai hanno contraddetto gli assunti del musicologo danese). Passiamo dunque all’analisi.

Il bordone. Anzitutto vi è una questione organolo-gica che ci porta sul piano delle differenze: il pianoforte non può produrre un vero e proprio suono continuo22, dunque si è costretti a opzioni alternative per l’accom-pagnamento armonico o a una soluzione di ripiego per la sua surroga. Silesu sceglie il modo forse più efficace per imitarne l’effetto, attraverso un continuo terzinare su primo, quinto e ottavo grado. In questo modo ga-rantisce non solo il primo grado (nota del bordone),

ma anche il quinto, che normalmente nelle launeddas è prodotto dall’arrefinu (nota che risuona quando i fori sono chiusi) di almeno una delle due canne melodiche. Non è scontata questa soluzione. In particolare non è scontato che da parte di un musicista colto dell’epoca si potesse dare tanta importanza a un accompagnamen-to mono-tono. Altri autori, a cominciare dall’anonimo recentemente fattoci conoscere da Milleddu23, ma an-che altri del secolo successivo, impegnavano la mano sinistra in una sequenza accordale che interpreta in senso tonale la melodia, rinforzando le cadenze V-I, come avviene d’altronde molto spesso, oggi, nell’orga-netto diatonico e nella fisarmonica. Una scelta, dun-que, all’insegna del rigore.

Polifonia/monofonia. Una conseguenza di ciò è che la mano destra deve da sola eseguire la melodia, cosa che va ovviamente a detrimento della polifonia che caratterizza le launeddas, grazie all’indipendenza delle due canne, mancosa (o mancosa manna) e man-cosedda. In particolare, è impossibile, con una sola mano impegnata nella melodia, restituire in modo soddisfacente le tessiture contrappuntistiche talvolta complesse, mentre è agevole, e Silesu lo fa spesso, ag-giungere alla melodia principale delle note (solitamen-te ad intervallo di terza) che hanno un senso armonico ma non contrappuntistico. Da questo punto di vista si spinge fino all’utilizzo di più note armoniche aggiunte, andando dunque oltre le possibilità offerte dalle lau-neddas e anche creando delle dissonanze (si vedano ad esempio gli accordi di tre note in 58:1,2,4 e 80:2 etc.24). In alcuni casi, tuttavia, riesce comunque a creare degli interessanti effetti contrappuntistici sviluppando le fra-si, con singole note o cellule melodiche in alternanza, su due piani melodici ben distinti (es.: 5, 79 e ss.)

La struttura generale. Essendo questa analisi in-centrata sulla parte del ‘ballo’ vero e proprio ed essendo l’introduzione e la coda relativamente brevi (come di consueto, d’altronde, anche nelle launeddas), ho evita-to di riscrivere queste due parti. Va comunque detto che esse sono piuttosto coerenti col linguaggio delle launeddas, sia per la ritmica (suddivisione binaria delle pulsazioni) sia per il carattere generale.

20 Per le informazioni e le ipotesi sull’arrivo di questi strumenti in Sardegna vedi Calzia 2012.21 Il più antico documento ad oggi conosciuto di vero e proprio contratto per un suonatore di launeddas è del 1705. Cfr. Milleddu Roberto,

Origini e fonti storiche, in Lutzu et alii 2012, XII, p. 13. 22 Le launeddas sono composte di tre canne: il tumbu, che produce un suono continuo sul primo grado della scala di riferimento (ottenuto

con la tecnica della respirazione circolare), mancosa e mancosedda, che contengono due diverse porzioni della scala maggiore con cui si producono melodie sovrapposte, spesso in contrappunto.

23 Cfr. supra.24 Gli esempi, riferiti alla mia riscrittura della partitura di Silesu, sono indicati col numero arabo della noda (frase musicale), eventualmente

seguito, dopo i due punti, dal numero della misura. Più frasi o più misure sono separate dalla virgola.

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Il ballo, dunque, contiene impliciti ed espliciti rife-rimenti ai diversi cuntzertus25 di launeddas, cosa ov-viamente impossibile nell’esecuzione degli strumenti originari coi quali sarebbe necessario cambiare stru-mento e iniziare un brano da capo. È diviso in due parti: nella prima non vi è indicazione dello specifi-co cuntzertu da cui sarebbe tratta (e come vedremo si possono trovare riferimenti eterogenei), mentre nella seconda è dichiarata la provenienza: ‘motivi di media-na’, anche se in realtà l’ambitus melodico della media-na è tenuto solo fino a un certo punto. Ma torneremo su questo aspetto.

La struttura complessiva del brano è quella classica, che prevede normalmente una introduzione piutto-sto importante e una coda invece più breve, entrambe composte su un ritmo a suddivisione binaria e inglo-bate in misure di 2/4. Nelle launeddas è spesso diffici-le tale inquadramento, ma comunque la metrica, per quanto più libera, è di tipo binario (2+2), come anche la suddivisione delle pulsazioni.

Il ritmo. Il ballo vero e proprio è invece un 6/8, che spesso, per effetto della particolare distribuzio-ne di note e pause, si trasforma di fatto in un 3/4 (emiola). Lo vediamo, ad esempio, nelle frasi/nodas26 4:1,2,3,4, in 17:1,3,5, in 18:5, in 20:1 e in tante altre. Va detto che in alcuni casi abbiamo una certa am-biguità tra i due ritmi, dato che l’effetto emiola può essere prodotto anche senza una particolare distribu-zione di note e pause all’interno dei 6/8 ma soltanto in virtù del disegno melodico. Si guardi ad esempio la differenza tra le frasi 71 e 73: nella prima abbia-mo sempre un effetto emiola, effetto che scompare nelle misure 2 e 4 della seconda. In alcuni casi l’ef-fetto è meno evidente, ma potrebbero essere consi-derate emiole anche molte misure di congiunzione tra due frasi musicali, come possiamo vedere nell’ul-tima misura della frase 1b, oppure le frasi 8 e 9. Si tratta di una caratteristica tipica dei balli professio-nali, per il Bentzon27, ma la troviamo in realtà in tut-

ta la tipologia identificata quale ‘ballo campidanese’ appartenente all’area meridionale della Sardegna28.

Interessanti dal punto di vista ritmico, e ancora una volta caratteristici del linguaggio del ballo campidane-se in generale, sono anche i semplici spostamenti d’ac-cento, che producono un effetto sincope, sulla seconda croma delle terzine, come nelle misure 11:1,2, o sulla terza, come nelle misure 14:1,4, se non addirittura il completo isolamento melodico di singole note sul leva-re, come ad esempio in 5:1, 2, 3, 4 o in 79.

Da segnalare anche lo spostamento dell’accento principale dalla prima terzina alla seconda, per effetto del disegno melodico, come in 44a e ss., anche con il posizionamento di note isolate e tra l’altro rinforzate dalle acciaccature, come nella misura 60-6. Molto inte-ressante dal punto di vista ritmico è la frase 92, dove si susseguono diversi stratagemmi di variazione ritmica.

Per quanto riguarda le articolazioni in semicrome, Silesu non va oltre la suddivisione della prima croma delle terzine, destinando probabilmente a una indica-zione di tremolo (tr) le suddivisioni successive della prima e seconda (es.: misure 9:3,4).

Abbellimenti. Silesu mette una grande cura nelle acciaccature. Normalmente singole, ma a volte doppie (es.: 42a:6 e 44:2) e, seppur raramente, persino triple (es.: 30:7 e 31:7). Sono poste quasi esclusivamente sul-la prima nota delle terzine a eccezione di alcuni casi (es.: 92:7 e 98:6). La tipologia varia molto per intervallo melodico con la nota cui sono legate, uno o due gradi per quelle singole e fino a sei per quelle doppie e triple; varia anche per la posizione, ascendente/discendente. Va anche segnalato che a volte sono talmente isolate, dal punto di vista intervallare, da avere l’effetto di note a se stanti, come ad esempio i Do e i Si nelle misure 5:1,2,3,4, e dare così l’impressione, all’ascolto, di una sorta di contrappunto (melodico e ritmico).

La notevole attenzione alle acciaccature è certamen-te da vedere all’interno di quello che è l’aspetto variati-vo e microvariativo delle melodie.

25 Tipi di launeddas; sono distinti a seconda della combinazione delle porzioni di scala contenute nelle due canne melodiche, mancosa e mancosedda. Vedi la finestra sulle launeddas (fig. 1 a p. 77).

26 Frasi conchiuse, vedi più avanti il concetto di noda. D’ora in avanti parleremo indifferentemente di frase o noda.27 «La ritmica dei balli professionali mostra uno sfruttamento esaustivo delle possibilità del tempo di 6/8-3/4, andando da frasi di calma

maestosa a schemi concitati e sincopati. Schemi puri e semplici in tempo di 6/8 sono di gran lunga i più comuni, tuttavia sono abbastanza spesso ravvivati da un 3/4 latente», Weis Bentzon 2002, I, p. 49.

28 «La differenza più importante tra i balli di zone diverse della Sardegna si manifesta nella preferenza per l’uno o l’altro modo di suddividere le singole pulsazioni. Nei balli più primitivi, come il pass’ ‘e dusu di Càbras, e in quelli dei cori a tenòres della Barbàgia, le pulsazioni possono essere bi- e tripartite e spesso non sono divise per niente, e un elemento in tali balli sarà scritto come una battuta di 3/2. Nei balli della Sardegna settentrionale eseguiti sull’organetto le pulsazioni sono generalmente bipartite, e un elemento di sei pulsazioni sarà presentato come tre battute di 4/8, corrispondendo ogni pulsazione a 2/8. Nella Sardegna meridionale i tempi dei balli sono quasi invariabilmente tripartiti e di conseguenza saranno scritti in 6/8»,Weis Bentzon 2002, I, p. 33. Su questo argomento cfr. anche Giannattasio/Lortat-Jacob 1982 e Pisanu 2000.

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Nodas/gruppi/variazioni. Per affrontare l’analisi della logica di ripetizione/variazione delle frasi credo sia utile fare riferimento ad alcune caratteristiche dei balli più sofisticati delle launeddas, ovverosia di quelli che Bentzon definì professional dances (“balli professio-nali”), in cui troviamo, come caratteristiche fondanti, tra le altre, il principio della iscala e quello della con-tinuità tematica. Da subito dobbiamo chiarire che per nodas (o picchiadas), sulla cui forma specifica tornere-mo in seguito, s’intendono le frasi a senso compiuto di cui si compone il ballo. Tutti i balli sardi si strutturano attraverso la successione di frasi, che sono modulari in quanto funzionalmente autonome29. Ora, mentre negli altri balli sardi la frase, l’entità funzionale autonoma, coincide con l’unità metrica di normalmente 4 o 6 pul-sazioni, nei balli campidanesi abbiamo quasi sempre la congiunzione di 3 frasi, che assumono pertanto l’iden-tità e la funzionalità di ‘semifrasi’. Congiunzione che da luogo, appunto, a quel periodo autonomo detto noda. La struttura della noda dipende dal tipo di semifrasi e dai rapporti di uguaglianza e diversità tra di esse30. Vi è dunque un principio logico più complesso che negli altri balli. In molti casi anche la singola semifrase, spe-cialmente se di 6 pulsazioni, quasi mai di 4, può avere vita autonoma.

Inoltre, a seconda delle tipologie e stili, tra le nodas si instaurano rapporti di diverso tipo. Quello dei ‘balli professionali’, retti dal principio della iscala, è del tutto peculiare. E qui lasciamo la parola a Bentzon:

«Iniziamo la descrizione dei balli dei suonatori professionisti, i balli professionali, come li chiamere-mo per amore di brevità, fornendo un concetto ge-nerale dei principi fondamentali della loro struttura globale: il concetto di iscàla. Un ballo professionale consiste di una serie di gruppi di nodas, ciascuno dei quali contiene un tema principale, o noda principale, sviluppato in un numero più o meno grande di va-rianti. In una suonata raffinata i gruppi di nodas sono composti secondo un interessante principio estetico, che chiameremo principio di continuità tematica. Questo consiste nel requisito minimo che debba es-serci coerenza musicale tra le nodas che si susseguo-no. Per un buon suonatore di launeddas, comunque, la pura e semplice coerenza non è sufficiente, ogni va-riante deve anche generarsi dalla precedente e prefi-gurare la successiva in una continua linea di progres-sione. Arresti improvvisi nella successione di motivi debbono ricorrere solo come effetti speciali. L’ideale,

infatti, è che le differenze tra nodas suonate in se-quenza siano minime. I gruppi di nodas sono perciò consapevolmente organizzati entro complessi estetici che possono essere costruiti in modo molto intricato [...]. Per ogni cuntzertu esiste una sequenza fissa di gruppi di nodas chiamata iscala del cuntzertu.»31

Aggiungiamo a quanto riportato che, nei balli più elaborati, una volta esposto ed esaurito un gruppo di frasi, potranno ritornare singole cellule melodiche ma non intere frasi appartenenti a quel gruppo, se non ra-ramente. La composizione, dunque, è progressiva, non si torna indietro.

A partire da questi criteri, dall’osservazione della suddivisione in gruppi effettuata da Bentzon32 e dall’a-nalisi delle dinamiche di variazione e ripetizione del ballo di Silesu, ho tentato una suddivisione in gruppi di nodas all’interno della nostra partitura. La numerazio-ne delle nodas è posta in alto a sinistra sopra le nodas stesse, in numeri arabi, quella dei gruppi in numeri ro-mani, sempre in alto a sinistra, in corrispondenza del-la prima noda del gruppo. La suddivisione in gruppi è fatta in base alla quantità e qualità di elementi comuni. Alcuni gruppi sono naturalmente più omogenei di al-tri. Nel primo gruppo, ad esempio, abbiamo le frasi 1, 2, 3 e 8 molto simili melodicamente, mentre le frasi 4, 5, 6 e 7 si discostano, ma seguono lo stesso schema di progressione melodica almeno nelle misure pari. Que-sto, insieme al fatto che a breve distanza ritorna una frase quasi uguale alle prime, la numero 8, mi ha in-dotto a racchiudere tutto in un medesimo gruppo. In altri casi, diversità dello stesso tenore hanno prodotto gruppi diversi. Decisamente omogenei, rispetto al pri-mo, sono il secondo e il terzo gruppo, mentre ancor più disomogeneo del primo appare il quarto, dove elemen-ti sempre diversi mettono in relazione le varie nodas.

Non c’è dunque, e sarebbe difficile applicarlo con la massima coerenza, un criterio univoco nel raggruppa-mento delle frasi, per quanto nella loro successione sia evidente, comunque e a prescindere dalle soluzioni da me proposte, una certa logica di raggruppamenti.

Proseguendo nella lettura si potranno trovare nodas e gruppi di nodas in cui ritornano alcune singole cellu-le già comparse prima, ma inserite in linee melodiche non assimilabili alle prime. Ad esempio la prima misu-ra della noda 13, vi troviamo una cellula della misura 1:5 e una della misura 1:1, mentre la noda appartiene a un altro gruppo. Casi di questo tipo sono numero-si. Discorso a parte va poi fatto per il gruppo XXIII,

29 Su questo concetto vedi anche Giannattasio/Lortat-Jacob 1982, p. 9.30 Cfr. Weis Bentzon 1969, I, pp. 52-3. Per una illustrazione grafica delle tipologie di nodas (e degli altri tratti della struttura tipica dei balli) vedi

anche Lutzu Marco, Ascoltare le launeddas, in Lutzu 2012 et alii, XI, pp. 148-53.31 Weis Bentzon 2002, I, p. 47.32 Cfr. in particolare i brani intitolati Professional dance in Weis Bentzon 1969, II.

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che contiene quelle nodas atipiche dette is furias. Tra le varie furias, quattro in questo caso, mentre il numero canonico è tre, vi sono delle nodas molto eterogenee tra loro, che tuttavia ho inserito nello stesso gruppo. Sulle furias torneremo in seguito.

In altre parole, si instaurano tra le nodas e tra i grup-pi complesse relazioni che sarebbe troppo oneroso se-guire una a una, ma che il lettore interessato potrà facil-mente constatare, individuando continuità o scarti di senso anche a seconda della propria sensibilità.

Ora, a differenza dei balli professionali, nel nostro caso abbiamo dei gruppi di nodas, ma anche delle sin-gole nodas (che comunque ho contraddistinto col vec-chio gruppo di appartenenza), che ritornano anche dopo essere stati abbandonati. Ad esempio il gruppo V dopo il XVII (prendendo rispettivamente l’identità di Va e Vb), il XIV dopo il Vb. Nel gruppo XXIIc va no-tato che le nodas 72a e 72b sono molto simili alle nodas 3 e 8 (gruppo Ia), ma, oltre alla posizione, hanno molto in comune con le altre del loro gruppo, a loro volta assai diverse dal gruppo Ia.

Queste e altre ripetizioni, seppure tutt’altro che ecce-zionali, sono comunque minoritarie rispetto al grosso del materiale melodico (ben 107 frasi e XXXVI grup-pi distinti). Le ripetizioni, tra l’altro poste in modo non regolare, non riescono ad assumere la funzione di tema. Nemmeno, per il fatto di essere riproposta in modo asso-lutamente privo di una logica schematica o variativa, la assai particolare noda 79, che compare, più volte ripetuta, nella seconda parte, vale a dire tra i ‘motivi di mediana’. Pertanto possiamo dire che, in linea generale, la composi-zione segue un percorso molto simile a quello della iscala dei balli professionali, ovverosia presenta del materiale sempre nuovo, senza ‘riprese’, in altre parole è una com-posizione progressiva. Una composizione che, per non avere una struttura con ripetizioni fisse o parti giustap-poste secondo una logica schematica o di interdipenden-za, può essere considerata a struttura ‘aperta’. Potremmo togliere tranquillamente delle nodas senza che il discorso melodico venga inficiato nella sua logica di fondo.

Vanno fatte due osservazioni per quanto riguarda la segmentazione del materiale e dunque l’individuazione delle nodas. Dal momento che nella partitura originaria non è indicato l’inizio e la fine, l’individuazione delle stesse è un’operazione di tipo analitico fatta da me, sul-la scorta della conoscenza della struttura dei balli tradi-zionali e in base a disegni melodici, ripetizioni e pause che si presentano nella partitura di Silesu. Ora, se nella stragrande maggioranza dei casi, specialmente grazie alla coincidenza tra cadenze melodiche e pause, la seg-mentazione del materiale melodico è facile e le nodas si individuano agevolmente (vedi più avanti la forma

delle nodas), in altri casi non è così. Ad esempio nel gruppo Va, dove tra l’altro vi è una ipermetria dovuta a una misura in eccedenza, che ho sistemato nella frase 20b; nel gruppo XIVa le nodas 42a e 43 risultano da un raggruppamento di misure debolmente motivato. In al-cuni casi non vi è alcun appiglio e ho preferito lasciare da soli i singoli ‘elementi’ di due o tre misure, vedi le frasi del gruppo Va e le frasi 78 e 42b. Il materiale me-lodico del gruppo XXX, infine, suggerisce solo raggrup-pamenti di 2 elementi di 2 misure, non previsti nella tradizione nemmeno quale eccezione (vedi, più avanti, le tipologie di nodas). Nella stragrande maggioranza dei casi, tuttavia, la strutturazione e dunque la delimi-tazione delle nodas è piuttosto chiara ed evidente.

Nei casi segnalati e forse in altri, per quanto riguarda sia le nodas sia i gruppi, credo che il lettore possa giun-gere a valutazioni e soluzioni diverse, ma credo comun-que che i risultati non contraddirebbero, nella sostanza, il risultato della mia analisi. Ovverosia il fatto che il ma-teriale melodico è costituito da frasi che si strutturano in nodas, nodas che si raccolgono in gruppi, gruppi e nodas che si susseguono in maniera progressiva, grosso modo come nelle suonate dei balli professionali delle launeddas, seppure con dei distinguo interessanti.

Forma delle nodas. Soffermiamoci dunque sulla for-ma delle nodas. Silesu anche da questo punto di vista è in linea con la tradizione, pur facendo, all’interno delle possibilità offerte, una scelta particolare. Queste infatti, prima ancora di differenziarsi a seconda dei rapporti tra le semifrasi, che Bentzon chiama ‘elementi’, possono es-sere di due tipi principali: un primo formato da elemen-ti di 4 pulsazioni (2 misure di 6/8 nella partitura) e un secondo formato da elementi di 6 pulsazioni (3 misu-re). Rispettivamente, nella tradizione e in Bentzon, esse vengono definite con i termini di pass’ ’e dusu (lett. = passo di due) e pass’ ’e tresi (lett. = passo di tre), le quali possono anche avere un corrispettivo coreutico33. Ora, le nodas sono normalmente formate dall’agganciamen-to di 3 elementi, per un totale, rispettivamente, di 12 e 18 pulsazioni. Questo accade in modo sistematico nelle nodas con elementi di 4 pulsazioni, mentre in quelle di 6 pulsazioni, ma solo in queste, possono esservi delle eccezioni. La particolarità del ballo di Silesu consiste nel fatto che le frasi con elementi di 6 pulsazioni non ripe-tuti per 3 sono più che un’eccezione, anzi un numero preponderante vede una struttura di 2 soli elementi.

Infine abbiamo quattro frasi di 18 pulsazioni, che però sono difficilmente riducibili a una logica univo-ca di pass’ ’e dusu o pass’ ’e tresi (la prima delle quali contiene un’ipermetria per un totale di 20 pulsazioni). Si tratta evidentemente, come possiamo vedere dalla

33 Cfr. Pisanu 2012. Vedi Nota sulla grafia del Sardo a p. 8.

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figura 2 a p. 78, di una sorta di contrazione di quelle nodas assai particolari dette is furias (e che non dob-biamo confondere con l’indicazione ‘con furia’ che Sile-su inserisce alla noda 42b, indicazione dinamica la cui definizione potrebbe indurci a pensare a qualche frain-tendimento da parte dell’autore del termine furias). Come vediamo dalla nostra comparazione con tre casi trascritti da Bentzon, se nella frase di Silesu lasciamo 3 misure vuote (due misure intere più due mezze mi-sure), da saltare nella lettura, le melodie coincidono in molti punti, troppi per non essere considerate varianti. Per agevolare l’individuazione delle concordanze tra queste frasi mettiamo l’attenzione su alcune caratteri-stiche. Anzitutto c’è in questione il rapporto tra lun-ghezza e struttura interna: la frase di Silesu è di 9 misu-re, 18 pulsazioni, coincidenti dunque con uno dei due tipi di nodas, quelle dette a pass’ ’e tresi. Tuttavia nelle normali frasi di questo tipo abbiamo una strutturazio-ne interna di 3 elementi di 3 misure, mentre questa fra-se sfugge evidentemente a tale schema, prestandosi al limite ad una suddivisione in gruppi di 2 misure, più quella finale di cadenza. Ancora più complessa risulta la struttura delle furias tratte dai suonatori di launeddas tradizionali, ma la atipicità strutturale le unisce tutte. In secondo luogo è molto particolare il percorso melodi-co-armonico di questi periodi musicali: tutti iniziano con delle note ruotanti attorno all’accordo di dominan-te (Fa o La) sul tempo forte delle prime due misure al-ternate a note dell’accordo di tonica sul tempo debole (a parte l’eccezione della prima misura del fiorassiu di Me-lis), per poi arrivare, con uno slancio melodico incon-sueto, al Do (La nella mediana di Burranca), lasciato in evidenza e sul quale si insiste nella misura successiva. È certamente il punto culminante della frase, quello di maggior tensione, amplificato negli esempi tratti dalle launeddas, ma evidente anche in Silesu. In seguito ab-biamo ancora una certa insistenza sulle note dell’area di dominante sul tempo forte delle misure, per poi arriva-re, invertendo l’oscillazione tra tonica e dominante nei tempi forti e deboli, alla cadenza finale sul I grado (Sol).

Cuntzertus (vedi fig. 1 a p. 77) e iscala.Passiamo a un’altra questione estremamente interessan-te che riguarda l’attinenza di questo brano alla logica dei cuntzertus. Come ci dice ancora Bentzon:

«I suonatori di launeddas mettono in evidenza che una iscala deve essere specifica del cuntzertu sul quale è eseguita e il trasferimento di gruppi di nodas da un cuntzertu a un altro è fortemente disapprovato.»34

In molti casi, tuttavia, la possibilità vi è e si realizza, come leggiamo in un altro passo35. A questo va anche aggiunto il fatto che le iscalas possono cambiare persi-no all’interno dello stesso cuntzertu. In effetti la norma-tività della iscala è forse, in qualche misura, più presun-ta e affermata idealmente dai musicisti che realmente praticata. Lo stesso Bentzon si pose degli interrogativi al riguardo:

«Non si è nemmeno certi se le sequenze delle isca-las siano così ben definite come le considerano i suo-natori di launeddas. Nella maggior parte dei confronti che ho fatto tra le registrazioni, con diversi suonato-ri, della stessa sezione della iscala di un determinato cuntzertu, si notano divergenze: certi gruppi sono sal-tati, si sono prese direzioni completamente differenti, ecc. La corrispondenza migliore è sempre nei primi gruppi di un cuntzertu. Devo ammettere con fran-chezza che non sono riuscito a capire se i suonatori volessero trarmi in inganno, facendomi credere che le “iscalas fisse” esistono come sistemi di riferimento che nella pratica non vengono mai pedissequamente ese-guiti, ovvero se tali sistemi non esistono se non come schemi inventivi.»36

I rapporti tra cuntzertus e relative iscalas, insom-ma, sono tutt’altro che pienamente sviscerati e forse sarebbe impossibile farlo, data la vastità del repertorio, le necessarie personalizzazioni dei musicisti e il fatto stesso che questa musica non si sia sviluppata attraver-so una codificazione scritta e trasmessa accademica-mente. A ciò va aggiunto che le iscalas non possono essere altrimenti che storicamente e geograficamente determinate. Qualsiasi ragionamento su quale sia sta-ta la fonte d’ispirazione o di apprendimento per Silesu o eventualmente quale sia stato il singolo e specifico oggetto della trascrizione, non può prescindere da tale considerazione. È anche lecito supporre che le nodas e la iscala del suo ballo rimandino a tradizioni altre, scomparse nel lasso di tempo che da lui arriva sino a noi o all’epoca delle prime registrazioni sonore. Non può esserci d’altronde difficile immaginarne l’esistenza in un’epoca in cui, stando ai documenti, le launeddas avevano una diffusione capillare in tutta la macroarea campidanese.

Tuttavia, a prescindere da questo, possiamo dire con certezza che questo ballo nel suo insieme è tratto da di-versi cuntzertus e di conseguenza, ma solo per questo, da diverse iscalas. Infatti vediamo che la seconda parte del ballo è presentata dallo stesso autore come ‘motivi

34 Weis Bentzon 2002, I, p. 47.35 Weis Bentzon 1969, I, pp. 65-7.36 Weis Bentzon 2002, I, pp. 68-9.

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di mediana’ (frasi 78 e ss.). E in effetti egli rispetterà la gamma dello strumento chiamato mediana per lo meno fino alla al momento in cui si avvia alla conclu-sione del brano, vale a dire dalla noda 42b. Da qui co-mincerà una piccola fase finale, nella quale la melodia recupera prima il IV grado della scala, con delle frasi che avevamo trovato nella parte precedente, per poi raggiungere il V e muoversi dunque su una gamma che corrisponde al punt’ ‘e organu. Una tecnica dettata for-se dall’intenzione di aumentare l’efficacia del climax di intensità ritmico-melodica, come esplicitato dall’indi-cazione ‘con furia’ in cui comincia questa fase.

Per quanto riguarda la prima parte, che si conclude con la noda 77, salvo pochissime eccezioni la gamma corrisponde invece a quella del fiorassiu. Le poche ec-cezioni sono nelle misure 9:3,4, 32:3 e in tutte le misure delle nodas 65 e 66, in cui viene toccato il V grado, e che potrebbero essere prese dal punt’ ‘e organu; le mi-sure 63:3,6,9 in cui vengono utilizzati il III e IV grado dell’ottava bassa che, con le altre note della noda, ci portano ancora nell’ambitus della mediana.

A questo punto è estremamente interessante notare la eccezionale somiglianza della prima noda del ballo di Si-lesu con due casi di prima noda del fiorassiu tradiziona-le, come possiamo vedere nella figura 3 a p. 79, entrambe tratte da quelle che Bentzon definì “scuole” di suonatori, ovverosia quella del Sarrabus (di cui faceva parte Efisio Melis) e quella della Trexenta (Dionigi Burranca).

Un fenomeno assai importante da mettere in rilie-vo è la presenza del terzo grado minore in alcune frasi, una nota non compresa tra quelle che caratterizzano gli strumenti, come possiamo vedere nella figura 1 a p. 77. Questa nota, nelle launeddas, è ottenuta tramite una parziale apertura del foro corrispondente al terzo grado. La tecnica, nella tradizione, è tipica del cuntzer-tu denominato mediana a pipia, ma può essere usata anche in altri. Il suo impiego è comunque molto li-mitato, una o due frasi o poco più all’interno di una lunga suonata. Anche Silesu ne fa un uso limitato, seb-bene in entrambe le parti del suo ballo (misure 29:7 e 92:1,3,4,6,7).

Infine, per quanto non sia al centro del nostro in-teresse, un accenno alla introduzione ed alla coda, che possiamo leggere nella partitura originale. L’ambitus corrisponde al fiorassiu, compreso quel Si basso ricor-rente ogni tanto, che corrisponde all’arrefinu della man-cosa di questo cuntzertu. Altrettanto dicasi per la coda. Per quanto riguarda questa parte va notato come essa, e dunque l’intero brano, si chiuda melodicamente sul

terzo grado, il Si, del registro della mancosedda. Era già successo nella chiusura del ballo, ma qui, a prescindere dal fatto che non si trattava di una chiusura definitiva del brano, non pare strano trovarsi davanti ad una sen-sazione di sospensione cadenzale, e d’altronde accade anche nelle launeddas tradizionali. Al contrario la chiu-sura definitiva è, nella tradizione, sempre sulla tonica.

Tirando le somme, possiamo dire che Silesu, anche per quanto riguarda la iscala, si prende le sue libertà. Tuttavia, a prescindere dalla presenza di due parti net-tamente e dichiaratamente disomogenee, lo fa tutto sommato in modo molto limitato rispetto, ad esempio, a quello che accade comunemente oggi con gli altri strumenti, nello stesso contesto della tradizione orale. Anzi, il fatto stesso che egli, almeno nella seconda par-te, avvisi il lettore della specifica provenienza dei moti-vi dimostra un’attenzione e un’intenzione filologica as-sai interessante, specialmente se calata nel suo tempo.

Il parere dei musicistiNella comparazione tra il ballo di Silesu e le trascrizioni di Bentzon potranno essere sfuggite altre specifiche ed interessanti corrispondenze melodiche, oltre a quelle segnalate. Ma, a prescindere da questo, dobbiamo te-ner presente che lo stesso Bentzon non ha trascritto che una parte, per quanto straordinariamente ampia, dei balli registrati e che questi ultimi sono tantissimi, ma non possono ricoprire che una parte, certamente signi-ficativa ma lontana dall’essere esaustiva, del reperto-rio possibile. Ricoprono certamente tutti gli strumen-ti (tutti i cuntzertus) ma non tutte le nodas, non tutte le possibilità esecutive, non tutti gli stili possibili, non tutti i musicisti, anche limitatamente alla sua epoca. Se anche facessimo un confronto sistematico tra tutto il repertorio trascritto da Bentzon e il nostro ballo, sa-remmo ovviamente lontani dal poter reperire tutte le concordanze melodiche possibili tra quest’ultimo ed il repertorio complessivo delle launeddas. A questo sco-po, ma anche per avere un parere generale sul brano, ho ritenuto utile sentire il parere di alcuni esperti e ri-conosciuti sonadores37. Anche in questo caso la ricer-ca non ha potuto essere approfondita e certamente la pubblicazione di quest’opera, completa delle esecuzio-ni musicali38, potrà essere utile in tal senso.

In generale, e riassumendo un po’ i pareri, viene so-stanzialmente confermato il fatto che sembra trattarsi della composizione di qualcuno che conosceva bene la musica delle launeddas, che era stato capace di compor-

37 Alessandro Podda, di Loceri, suonatore di fisarmonica e launeddas; Salvatore Trebini, di Villaputzu, suonatore di launeddas; Andrea Pisu, di Villaputzu, oggi uno dei launeddisti più stimati.

38 In fase di studio ho fatto un esperimento preliminare utilizzando la registrazione dell’esecuzione del programma Finale, con cui ho trascritto il brano.

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re/assemblare materiali di varia provenienza in modo forse diverso da ciò che è stato effettivamente traman-dato ma con criteri coerenti con ciò che si conosce. Sia-mo in presenza di una iscala del tutto particolare ma comunque composta con una certa logica, non un’ac-cozzaglia di frasi. E ciò anche se buona parte del mate-riale melodico è rimasto privo di specifico riscontro. Le stesse frasi 9 e seguenti sono state riconosciute come appartenenti al punt’ ‘e organu in virtù dell’estensione al V grado e non della linea melodica, mentre la mag-gior parte delle nodas della prima parte (non solo le prime per le quali ho individuato delle corrisponden-ze molto evidenti) è per tutti ascrivibile al fiorassiu. Di nuovo, rispetto a quanto già riscontrato per parte mia, abbiamo il riconoscimento delle nodas 45 e 44d, che sembrerebbero derivare dal cuntzertu detto simponia (o zampogna). Tutti hanno riconosciuto le nodas 62 e varianti, quelle definite is furias, notandone la atipicità specialmente riguardo alla lunghezza (l’hat segada in curtzu, cioè “l’ha tagliata corta”, sono le parole di Pod-da). Mai sentite e piuttosto strane, invece, specialmen-te per Pisu, le nodas che Silesu presenta all’inizio della seconda parte e ripropone in seguito quasi come ritor-nelli, vale a dire la numero 79 e sue ripetizioni. Pisu ha segnalato anche che da un punto di vista stilistico in molti tratti sembra trattarsi di materiale del ‘basso campidano’, sebbene in vari momenti lui stesso abbia riconosciuto frasi già sentite dal famoso Efisio Melis (suonatore del Sarrabus).

È da credere che se questi musicisti avessero ascolta-to l’opera pensando alla tradizione, ossia con lo stesso atteggiamento con cui ascoltano i musicisti tradiziona-li, avrebbero messo l’accento un po’ più sulle stranez-ze, sul non rispetto di certi canoni e, forse, l’avrebbero aspramente criticata. Invece, essendo stata presentata per quello che è – ovverosia l’opera di un pianista ‘clas-sico’ –, ha suscitato un indubbio e per me addirittura inaspettato apprezzamento anche per l’attinenza alla tradizione e per la conoscenza e competenza che l’au-tore dimostra.

Note sulla riscrittura del ballo di SilesuPer facilitare l’analisi del brano ho riscritto il brano con i seguenti criteri: anzitutto riporto soltanto la parte del ballo vera e propria, su cui è concentrata l’analisi (per l’introduzione e la coda, ad ogni modo, anche a causa della brevità, non vi è bisogno); ho trascritto soltanto la parte della mano destra, omettendo la parte della sini-stra perché ritenuta superflua; per non caricare di trop-pi segni e ritenendolo ancora una volta superfluo, dato che si tratta di una costante, ho evitato di riportare le legature tra le acciaccature e le relative note.

Le nodas sono scritte una sotto l’altra, con perfetta proporzionalità metrica, per permettere una facile vi-

sualizzazione delle stesse e il confronto tra le forme me-triche. È anche possibile, in questo modo, individuare facilmente gli ipermetrismi. Ho comunque voluto mantenere la continuità di scrittura, senza smembrare alcuna misura e per questo, in realtà, le nodas inizia-no quasi sempre nell’ultima misura del rigo superiore. In effetti sono incolonnate non tanto le nodas quanto i segmenti metrici di riferimento. L’ultima misura, in effetti, è il luogo in cui si congiungono le nodas succes-sive; è difficile smembrarla senza perdere la compostez-za grafica, mentre d’altronde, lasciandola intatta, non viene compromessa l’agevolezza dell’analisi.

Nella partitura di Silesu, in realtà, non vi è alcuna indicazione di quali siano i periodi musicali conchiusi. Questi sono resi evidenti dai disegni melodici, ma va detto che in alcuni casi vi sono dei periodi in cui gli elementi di 2 o 3 misure si susseguono senza una logica chiara e la suddivisione in nodas da me operata è in certa misura arbitraria, come ho già segnalato.

Per quanto riguarda la numerazione delle nodas, ho aggiunto una lettera, tenendo lo stesso numero, nel caso in cui si tratti di ripetizione identica o quasi, ov-verosia nel caso vi siano una o due note o abbellimenti di scarto e nel caso in cui più evidenti differenze siano soltanto nell’ultima misura, vale a dire nello spazio di collegamento di due nodas differenti.

Per evidenziare gli elementi o semifrasi ho adottato la stessa tecnica di Bentzon, una stanghetta più spessa delle altre. In questo modo è facile notare la differenza tra nodas di 3 elementi di 2 misure e nodas di 2 misure di 3 elementi, anche qualora abbiano la stessa lunghez-za complessiva.

Infine, per quanto riguarda le frasi da ripetere con diverso finale, ho preferito riscriverle da capo, per non inficiare il colpo d’occhio nella individuazione delle strutture metriche.

ConclusioniIl Ballo Sardo di Silesu – eccezion fatta per le differenze direttamente dovute a questioni tecnico-organologi-che e per il fatto che il materiale melodico sia riferito a diversi cuntzertus – appare tutto sommato piuttosto conforme a quello che è il linguaggio dei balli tradi-zionali sardi a launeddas della tipologia campidanese. Appare conforme per quelle che sono caratteristiche formali specifiche: nodas, gruppi, gamme scalari, logi-ca di variazione e ripetizione, attenzione e importanza di piccoli elementi microvariativi, presenza e posizio-namento di frasi particolari quali is furias; per il carat-tere generale della struttura: modulare, progressiva e aperta; per la lunghezza, ovverosia la quantità di frasi che contiene. In fondo, è come trovarsi davanti a una nuova – o meglio ‘antica’ – ‘suonata’, diversa da quel-le conosciute, un po’ come può esserlo la suonata del

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fiorassiu rispetto a quella del punt’ ‘e organu o di un musicista rispetto a un altro, che sono diverse ma ap-partenenti al medesimo sistema musicale: una nuova e particolare espressione del medesimo linguaggio, una manifestazione (potremmo dire la parole della lingui-stica desaussuriana) del medesimo sistema semantico (langue), il che presuppone, naturalmente, l’acquisi-zione di questa langue da parte del compositore.

Come dobbiamo considerare allora, per tornare al quesito di partenza, questo ballo? È frutto della ‘creati-vità’ dell’autore o di elementi consolidati nella tradizio-ne orale ma successivamente decaduti?

Per le ragioni che abbiamo visto nell’introduzio-ne, non è possibile dare una risposta certa, ma non c’è dubbio che, anche qualora o nella misura in cui vi sia l’intervento dell’autore, questo è esercitato all’interno di un sistema musicale ben determinato, di una langue piuttosto omogenea a quella a noi nota. Anzi, in questo caso, ne sarebbe testimonianza più compiuta, dato che siamo all’interno di una cultura musicale in cui sappia-mo che la creatività, a patto di una previa conoscenza e adesione alle regole, è ampiamente prevista, per certi versi incoraggiata e talvolta si esprime infrangendo le regole stesse.

Il Ballo Sardo di Silesu assume dunque la qualità di composizione o trascrizione o interpretazione origina-le, distanziandosi nettamente da qualsivoglia esotismo o romanticismo con cui i settori della musica colta han-no rappresentato quella popolare e di tradizione orale, ma anche da quella folklorizzazione a volte praticata all’interno dello stesso ambiente tradizionale.

A prescindere da tutto, si tratta di nuovo materiale che si riaffaccia dopo più di un secolo alla conoscenza e alla fruizione dei contemporanei, incrementando il già vasto patrimonio musicale sardo. Un ritrovato del tutto inaspettato, forse impensabile, viste le sue qualità e vista l’epoca in cui fu prodotto. Si pensi al fatto che per avere una testimonianza altrettanto ricca la storia dovrà attendere fino alle prime registrazioni sonore, ovverosia agli anni ’30 del secolo successivo. E poi, per quanto riguarda le trascrizioni su carta, alla pubblica-zione del grande lavoro di Bentzon, questa volta fatte in ottica scientifica ben differente da quella che certa-mente poteva avere Silesu. Una partitura che rivede la luce dopo troppo oblio e una meritata ripubblicazione e che potrà essere di esempio e nutrimento a musicisti e compositori.

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Una riscrittura critica del Ballo Sardo di Luigi Silesu

di Salvatorangelo Pisanu

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Didascalie

di Salvatorangelo Pisanu

di Salvatorangelo Pisanu e Marcello Furio Pili

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Figura 1.Cuntzertus di launeddas, da Weis Bentzon 2002, I, p. 20, ove la didascalia è “Cuntzertus. Le note tra parentesi sono gli arrefinus” (riguardo alle denominazioni cfr. anche Weis Bentzon 1969, I, p. 20).

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1. Ballo Sardo, Luigi Silesu

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Figura 3.Comparazione della prima frase del ballo di Luigi Silesu con le prime frasi di due balli a fiorassiu di Efisio Melis e Dionigi Burranca. Nella figura sono riportate, nell’ordine, le seguenti nodas, trasposte alla stessa tonalità, Sol, al fine di facilitare il confronto (si è qui evitato di inserire le legature, i punti di valore ed altri segni aggiuntivi presenti nelle trascrizioni originali, particolari non pertinenti alla nostra comparazione). 1. Noda 1a del Ballo Sardo di Luigi Silesu (le nodas 1b, 1c, 1d sono quasi identiche). Cfr. qui Ballo Sardo p. 4 (numerazione originale), la trascrizione relativa in Una riscrittura critica e il sonoro nel Cd, 01 e 02;

2. Noda 1 di 17. Professional dance. Fiorassiu. Efisio Melis, Weis Bentzon 1969, II, p. 29 (v. anche ib. I, p. 133). Cfr. il sonoro in Weis Bentzon 2002, Cd I, 17;

3. Noda 1 di 18. Professional dance. Fiorassiu. Dionigi Burranca, Weis Bentzon 1969, II, p. 37 (v. anche ib. I, pp. 133-134). Cfr. il sonoro in Weis Bentzon 2002, Cd I, 18.

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Weis Bentzon Andreas Fridolin, Launeddas, Voll. I-II e Cd I-III, a cura di Dante Olianas, Aristide Murru, Giuseppe Orrù e Barnaby Brown, Iscandula, Cagliari 2002, traduzione italiana con supplementi sonori di Weis Bentzon 1969.

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Il Ballo Sardo di Luigi Silesu nella letteratura pianistica europea

di Fabrizio Marchionni Conservatorio di Cagliari

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Dal punto di vista estetico, nel panorama pianistico eu-ropeo tardo ottocentesco, il Ballo Sardo per pianoforte di Luigi Silesu (1837 - 1916) è da considerarsi esperien-za musicale nient’affatto particolare ed isolata. A partire dalla prima metà del sec. XIX, infatti, era prassi consoli-data che i grandi pianisti-compositori trasferissero sulla tastiera del pianoforte strutture musicali appartenenti alla cultura musicale popolare, con modi e scopi diffe-renti, tanto da costituire un vero e proprio microcosmo pseudo-popolare all’interno del vasto e complesso reper-torio della letteratura pianistica d’autore. Ferenc Liszt (1811 - 1886) con le sue Rapsodie Ungheresi, Fryderyk Chopin (1810 - 1849) con le sue Polacche e Mazurche, ma anche il tedesco Johannes Brahms (1833 - 1897), lo spagnolo Enrique Granados (1867 - 1916) e l’unghere-se Béla Bartók (1881 - 1945), solo per citare alcuni fra i casi più rappresentativi, nei loro capolavori pianistici hanno sfruttato molto il canto popolare, empiricamente o scientificamente. Musicisti che – riducendo, trascri-vendo, elaborando e ri-componendo ritmi, melodie e armonie desunte da questo repertorio – hanno inteso esprimere se stessi in quanto artisti, valorizzando la cul-tura di origine del repertorio di riferimento e, al tempo stesso, catturando l’interesse ed il gusto del pubblico in cui, in misura sempre maggiore, aumentava il piacere per l’esotico, espresso e rappresentato da queste nuove esperienze musicali.

Se da questo punto di vista estetico il lavoro di Luigi Silesu si colloca in maniera del tutto usuale, non è af-fatto consueta, invece, la sua realizzazione stilistica, che richiede una riflessione più specifica ed approfondita. In primo luogo colpisce la durata del brano, di circa venti minuti, che contrasta con il carattere brillante, rapsodico e quindi relativamente breve che hanno i brani appartenenti a questo genere musicale. A oppor-si a questo carattere tradizionale segnaliamo anche la volontà dell’autore di privare l’accompagnamento (af-fidato alla mano sinistra del pianista) di qualsiasi inter-vento creativo, quasi a voler mettere l’ascoltatore nella condizione di potersi concentrare esclusivamente sulle micro-varianti delle nodas affidate alla mano destra, senza possibili distrazioni causate da intromissioni su-perflue.

In questo lavoro Luigi Silesu rivela la sua predilezio-ne verso la trascrizione documentaria idiomatica, in cui il momento della riduzione dei materiali coincide con

quello del loro adattamento alle specifiche possibilità dello strumento scelto – qui il pianoforte – piuttosto che verso la trascrizione con fini creativi e compositivi; può sembrare strano, da questo punto di vista, che egli abbia deciso di firmare il brano come proprio, senza rivelarci, purtroppo, l’origine di questo ballo così ben articolato, vario ed interessante. La cosa tuttavia non deve stupire: in pieno Ottocento era prassi consolidata, infatti, firmare come proprie composizioni realizzate, anche in grande misura, con materiali non originali, ri-presi da altri autori o ricavati dal repertorio popolare, come in questo caso. Per una valutazione critica di que-sto lavoro è dunque necessario tenere presente, prima di tutto, il valore oggettivo del documento, che rappre-senta la volontà di un organista e compositore sardo di area “colta” di avvicinarsi alla musica sarda di tradizio-ne orale, codificarla per mezzo dei simboli universali della musica scritta, per trasmettere e comunicare un messaggio che, altrove, senza la presenza diretta di suo-natori popolari, sarebbe stato di impossibile fruizione.

Noi aggiungiamo che questo messaggio, senza il competente intervento di Silesu, sarebbe andato inevi-tabilmente perduto. Da questo punto di vista la scrit-tura musicale, ancora una volta, si dimostra un mezzo idoneo ed efficace, anche per una cultura come quella della Sardegna, che, per tradizione, ha sempre tracciato la sua storia al di là di questo codice statico. Il giudi-zio pianistico e compositivo su questo brano, quindi, deve tener conto di tutto ciò: le scelte fatte in nome di una funzionalità rispettosa della tradizione danno luo-go a un’esperienza musicale, seppur comune sul piano formale ed estetico, assolutamente peculiare e specifi-ca dal punto di vista stilistico, che si inserisce a pieno titolo nell’ambito della letteratura pianistica europea, rappresentando un unicum indissolubilmente legato alla cultura musicale della Sardegna. Questo esempio avrebbe potuto e dovuto costituire, a suo tempo, un interessante modello, purtroppo non immediatamen-te emulato e, anzi, trascurato per decenni dalla cultura musicale ufficiale della nostra isola.

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Appendice: Luigi Silesu, Gaetano Murenu

e il Ballo Sardo a Londra

di Marcello Furio Pili

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Espongo qui i risultati di una lunga e impegnativa ri-cerca iniziata con una semplice e allora conclusiva veri-fica di un articolo apparso su La Sardegna Cattolica. Le tracce indirizzavano altrove e l’indagine, poi condotta in biblioteche istituzionali, collezioni e archivi pubblici e privati, cartacei e informatici, d’Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America, non poteva essere abbandonata.

Nella prima sezione riporto, eccezion fatta per il pri-mo e l’ultimo brano, gli articoli di fogli quotidiani coevi all’invio a Londra nel 1898 del Ballo Sardo di Luigi Sile-su, disposti in ordine cronologico per rispettare la reale successione degli eventi; nella seconda sezione vi sono invece, sempre in ordine di tempo, gli scritti su Stanislao Silesu, figlio di Luigi, tratti da una collezione privata, il primo dei quali è successivo di soli vent’anni all’ultimo articolo relativo alla vicenda londinese del XIX secolo. In merito a questi ultimi, ho volutamente e attentamen-te selezionato i testi, riportando le parti attinenti, a mio avviso, all’attività, alla vita e alla personalità del padre.

La Sezione II termina con un resoconto di queste mie indagini su Luigi Silesu, sul maestro di ballo Gae-tano Murenu e sul teatro – e le manifestazioni teatrali – nella Londra di fine Ottocento. Grazie a una attenta analisi, anche il lettore potrà trarre conclusioni su Luigi Silesu e la sua opera. Emergono il carattere, la cultura, i rapporti sociali e le conoscenze in ambito regionale, nazionale ed estero, i contatti con la comunità, l’attivi-tà, la famiglia, l’educazione dei figli, l’arte e la sensibi-lità musicale, trasmessa al figlio e discepolo Stanislao, del compositore Luigi Silesu, maestro di pianoforte e organista della Cattedrale di Santa Chiara a Iglesias, uomo arguto e autore di una musica per ballo sardo

composta nell’isola di Sardegna, pubblicata a Firenze ed eseguita più di un secolo fa oltre i confini geografici del continente europeo.

Sezione I(i testi dei quotidiani sono riportati senza modifiche alla grafia e alla stesura originali)

1896 Della musica in Sardegna. Ricerche storiche, Guido Gia-comelli[…]Una recentissima trascrizione, in fine, pubblicata dallo stabilimento Lapini in Firenze, è del Sig. Luigi Silesu (n. in Ales nel 1837), già allievo nel suo paese nativo di un tal frate Angelotti continentale, ed oggi residente, fin dal’89, in Iglesias, ove è organista della Cattedrale. La sua trascrizione, ch’è certo la più ricca di motivi e forse anche la più fedele, fu composta in Samassi nel 1894, ed è dedicata al Municipio di Cagliari.

Giacomelli 1896, pp. 109 e sg., come dall’Introduzio-ne di Salvatorangelo Pisanu (per i dettagli dell’edizione vedi supra nella sezione Bibliografia)1.

19.12.1898Il Ballo Sardo a Londra, L’Unione SardaIl Direttore del Teatro Principe di Galles in Londra, ha diretto a una distinta persona della nostra città un telegramma pregandolo di cercare un maestro o una coppia capace di insegnare la musica e le movenze del nostro tradizionale Ballo sardo, nello stesso teatro.

1 Mi sia concesso qui notare che il Giacomelli, nel suo elenco contenente il nome del Cavaliere P. Foltz, capomusica della banda della Guardia Nazionale, e titoli di riduzioni per piano e banda (v. il paragrafo di S. Pisanu Introduzione), non riporta l’opera di Raffaele Ascolese (1855-1923) “Omaggio a Cagliari. Scherzo in forma di Marcia per Pianoforte sopra motivi del Ballo Sardo”, di 4 pagine, stampato dalla Tip. Lit. Commerciale Cagliari, editore Alberto Prisco di Napoli. Come informa una nota nella partitura, l’autore compose anche una versione per banda, reperibile, allora, presso lo stesso editore. Noi conosciamo la versione per banda di 19 pagine, “Omaggio a Cagliari. Scherzo in forma di Marcia sopra motivi del Ballo Sardo”, edita a Milano da G. Ricordi & C. con deposito legale nel 1894, lo stesso anno di composizione, se-condo il Giacomelli, del Ballo Sardo di Luigi Silesu. Dal confronto delle due opere ascolesiane è chiaro che esse propongono lo stesso Scherzo. Benché non sia possibile dire quale sia stata la prima, non si può certamente escludere che la versione bandistica possa essere uno sviluppo di un precedente componimento per pianoforte solo. Raffaele Ascolese – ufficiale siciliano di Catania a capo della celebre banda musicale del IV Reggimento della Regia Fanteria, Cavaliere della Corona d’Italia, “pei suoi speciali meriti artistici” – fu autore di diverse opere, tra cui altre due dedicate alla Sardegna, ossia una marcetta, Sa tracca, e una mazurca dal titolo L’Unione Sarda, composta nel 1890 per celebrare la fondazione del quotidiano cagliaritano. Non sappiamo se il musicista compositore Raffaele Ascolese e il musicista compositore Luigi Silesu conoscessero uno l’opera dell’altro e se questa eventuale conoscenza abbia influito per ciascuno sulla nascita della propria composizione attinente al ballo. Per Ascolese cfr. anche Archivio biografico italiano, a cura di Tommaso Nappo, K. G. Saur München 1897-1996, e Quell’uf-ficiale che cent’anni fa compose la mazurka “L’Unione Sarda”, di Mario Manunza, in L’Unione Sarda – Cagliari, Venerdì 5 Gennaio 1990.

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Il desiderio di quel direttore fu appagato, sicchè an-che la nostra caratteristica danza verrà riprodotta sulla scena del teatro londinese.

Il Ballo Sardo a Londra in L’Unione Sarda – Cagliari, Lunedì 19 Dicembre 1898, Anno X N. 348, p. 3 Crona-ca di città.

21.12.1898Il ballo sardo a Londra, La Nuova Sardegna Il direttore del teatro Principe di Galles in Londra, ha diretto (scrive l’Unione) a una distinta persona della nostra città un telegramma pregandolo di cercare un maestro o una coppia capace di insegnare la musica e le movenze del nostro tradizionale ballo sardo, nello stesso teatro. Il desiderio di quel direttore fu appagato, sicchè anche la nostra caratteristica danza verrà ripro-dotta sulla scena del teatro londinese.

Il ballo sardo a Londra in La Nuova Sardegna Gior-nale quotidiano – Sassari, 21 dicembre 1898 (mercole-dì), Anno VIII N. 342, p. 2 Arte ed Artisti.

22.12.1898Il ballo sardo, L’unione SardaE, giacchè siamo tra cose sarde, restiamoci. Questo foglio giorni or sono ha dato la notizia che al teatro Principe di Galles a Londra verrà riprodotto da apposita coppia il ballo sardo. Aggiungo io ora che una delle principali ri-viste londinesi descriveva, ultimamente, la nostra carat-teristica danza, citando quanto ne disse il Vuillier nelle sue note pagine sulla Sardegna. Qualche anno fa, in un giornale cittadino, osai affacciare una mia pensata simile, e parve a molti che avessi detto un’eresia. L’idea di un in-termezzo sardo di quel genere sulla scena fece un’impres-sione curiosa. Ma gli studiosi stranieri intendono meglio, oh, molto meglio di noi l’essenza riposta di quelle note neniose, il simbolo delli atteggiamenti e il linguaggio delle ondulazioni melodiche nelle quali è tutto il sapo-re dei mirteti e dei ginepri, e l’olezzo acre delle passioni indomite, e il murmure dei boschi impervii popolati di cignali, e l’eco delle vallate profonde, e dei venti recanti le lamentazioni dei trucidati e i salmi delle pievi. E perciò il teatro londinese non disdegna ora di vedere, fra altre ca-ratteristiche danze, quella quasi orientale di una coppia sarda, nell’originale costume, sotto un meriggio di luce elettrica, e con un pubblico di miss e di ladies.

Il ballo sardo, L. Pompeiano in L’Unione Sarda – Cagliari, Giovedì 22 Dicembre 1898, Anno X N. 351, p. 2 Rubrica Minima.

31.12.1898 Il ballo sardo a Londra, L’Unione SardaCome i lettori ricorderanno, dal direttore del teatro Principe di Galles di Londra, il capitano dei R. carabi-nieri sig. Monari della Rocca era stato invitato ad indi-care un maestro capace di insegnare il tradizionale no-stro ballo sardo a un corpo di ballo dello stesso teatro.

Il capitano Monari indicò il noto maestro di ballo

Murenu Gaetano il quale stamane col treno delle 7 par-tiva alla volta di Golfo Aranci per poi proseguire per Londra.

La musica del ballo sardo è stata inviata al direttore del teatro londinese già da parecchi giorni e a quanto sappiamo pare abbia incontrato il favore dei maestri di quel teatro che ne hanno ammirato l’originalità carat-teristica.

Il ballo sardo a Londra in L’Unione Sarda – Cagliari, Sabato 31 Dicembre 1898, Anno X N. 359, p. 2 Cronaca di città.

09.01.1899Per il ballo sardo, La Sardegna CattolicaTutti i giornali dell’isola hanno avuto parole di com-piacenza per il favore ottenuto dal nostro tradiziona-le ballo sardo al teatro Principe di Galles in Londra, come anche per la partenza del sig. Murenu alla volta di quella città per insegnarlo, hanno però sempre ta-ciuto il nome del maestro dal quale il sovradetto ballo è stato musicato. Perchè ciò?.... non indaghiamo la causa di tanto silenzio, teniamo solo a dichiarare che autore della musica del ballo sardo, scelta appunto e giudicata migliore dai maestri di Londra, è l’organista di questa nostra cattedrale, sig. Luigi Silesu. C.ngratulazioni.

Per il ballo sardo, Ersilia in La Sardegna Cattolica – Cagliari, Lunedì 9 Gennaio 1899, Anno IV N. 6, p. 2 Corriere d’Iglesias.

30.01.1899 Il ballo sardo a Londra, L’Unione SardaIl maestro di ballo signor Gaetano Moreno è ritornato da Londra, ove, com’è noto, s’era recato per la riprodu-zione sulle scene di quel teatro Principe di Galles della danza sarda, in un ballo grandioso in cui son comprese le danze di tutti i paesi.

Il sig. Moreno fu fatto segno a infinite cortesie; gli furono offerti eleganti e ricchi doni e gli fu rilasciato un certificato di pieno gradimento.

Il ballo sardo a Londra in L’Unione Sarda – Cagliari, Lunedì 30 Gennaio 1899, Anno XI N. 30, p. 2 Cronaca di città.

01.02.1899Il ballo sardo a Londra, La Nuova SardegnaLeggiamo nell’Unione:Il maestro di ballo signor Gaetano Moreno è ritornato da Londra, ove, com’è noto, s’era recato per la riprodu-zione sulle scene di quel teatro Principe di Galles della danza sarda, in un ballo grandioso in cui son comprese le danze di tutti i paesi.

Il sig. Moreno fu fatto segno a infinite cortesie; gli furono offerti eleganti e ricchi doni e gli fu rilasciato un certificato di pieno gradimento.

Il ballo sardo a Londra in La Nuova Sardegna Gior-nale quotidiano – Sassari, 1 febbraio 1899 (mercoledì), Anno IX N. 31, p. 3 Arte ed Artisti.

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02.02.1899Scuola di Ballo, L’Unione SardaIl sottoscritto rende noto: che a datare dal giorno 30 corrente mese rincomincia le sue lezioni.

Per le Signore recasi a domicilio.Per schiarimenti: Via San Lucifero, Palazzo Cappai. GAETANO MORENOScuola di Ballo, Gaetano Moreno in L’Unione Sarda

– Cagliari, Giovedì 2 Febbraio 1899, Anno XI N. 33 - SERA, p. 3.

2008Le Bande in Sardegna, Dante Atzeni[…]Altri compositori hanno preso spunto (e forse anche qualcosa di più) dalle melodie della musica popolare sarda. In particolare, ci sono pervenute le partiture di diversi arrangiamenti del “Duru-duru”, una nenia po-polare nella forma ritmica di “Ballo Sardo” […]. Quello più pregevole è senza dubbio l’arrangiamento di Luigi Silesu (1837 – 1916), padre di Lao Silesu, che lo com-pose sicuramente a Samassi prima del 1889, anno in cui si trasferì a Iglesias per ricoprire l’incarico di organista della Cattedrale. La composizione fu pubblicata dallo Stabilimento Lapini di Firenze e fu eseguita, tra l’altro, al Teatro “Principe di Galles” di Londra ove fu “scelta e giudicata migliore dai maestri di Londra”, come ri-ferisce il quotidiano “Sardegna Cattolica” del 9.1.1899 senza fornire altri particolari sulla manifestazione.

Atzeni 2008, p. 93 (per i dettagli dell’edizione vedi supra nella sezione Bibliografia).

Sezione II(i testi sono riportati dalle edizioni a stampa senza modifiche alla grafia e alla stesura originali)

1.Lao Silesu, nato a Samassi 35 anni fa, è figlio dell’orga-nista della cattedrale d’Iglesias.

Fin da bambino si manifestò un piccolo fenomeno, un vero enfant prodige del pianoforte.

A sette anni, infatti, esordiva in pubblico concerto in qualità di pianista concertatore e, con sorpresa degli intenditori, si manifestava, sin d’allora, un fecondo im-provvisatore. Aveva ereditata l’agilità portentosa sulla tastiera del pianoforte, dal suo buon padre Luigi, un bel vecchietto piccolo e arzillo, che lo istruì nella musica fino all’età di 12 anni. Dopo fu affidato alle cure affet-tuose del maestro piemontese Luigi Allione […].

Ledda Pantaleo, ARTE ED ARTISTI. Lao Silesu, in Rivista sarda, Anno I N. 8, Dicembre 1919, p. 255.

2.[…]- Sì, dalla mia Sardegna son venuto da molti anni, troppi; meglio non dire quanti… Sono nato in un paese chiama-to Samassi. Mio padre, Luigi Silesu, era l’organista della cattedrale di Iglesias, cittadina sarda dal nome spagnolo. Fu lui il mio primo maestro. […] ma fui anche a Lon-dra dove studiai […]. Fu proprio da Londra che l’edito-re Chappell ha lanciato la mia celebre melodia «Un peu d’amour» (A little love) e l’altra non meno celebre «Mon coeur pour toi» edita da Ascherberg pure di Londra. -

Bernard J., Col M.° Silesu, a Parigi (intervista a Lao Silesu, n.d.c.) [ante 14.01.1940].

3.[…]Di quel lontano pomeriggio di una afosa giornata esti-va ci è restato, amaro nella memoria, il ricordo dello sconsolato pianto della sorella (di Lao, n.d.c.), Marietta Silesu […].

[…]Il Dizionario degli artisti, che contiene i nomi delle

celebrità, riporta la fotografia del Silesu e dice : […]« Naquit à Samassi en Sardaigne (Italie) le 5 Jullet 1883

d’un père pianista et organiste, lequel dès l’age de cinq ans commença à inculquer à son fils la beautè de son art […]».

Marongiu Giuseppe, Per non dimenticare Lao Sile-su, in S’Ischiglia, luglio-agosto 1956.

4.[…]Lao Silesu, figlio di Luigi, organista e compositore, au-tore fra l’altro di un «Ballo sardo» di notevole efficacia, nacque a Samassi il 5 luglio 1883 e si trasferi’ imme-diatamente ad Iglesias, dove apprese dal padre i primi rudimenti della musica […] ascoltando l’intermezzo «Paysage sarde» dedicato a Gabriele D’Annunzio Edo-ardo VII gli gridò: «Vraiment vous etè le roi de la me-lodie!»2 […].

Il Quotidiano Sardo, Nel 3° anniversario della morte – Un Festival di musiche sarde dedicato al Maestro Lao Silesu, Il Quotidiano Sardo, 11.08.1956.

5.[…]Lao Silesu era quindi sardo. Era nato a Samassi il 5 luglio 1883 e portato ancora in fasce a Iglesias dove il padre,

2 Intendi «Vraiment vous êtes le roi de la mélodie!» (“Veramente voi siete il re della melodia!”). Edoardo VII (1841-1910), Re del Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda e Imperatore delle Indie, era Principe di Galles quando in suo onore fu intitolato il teatro il cui direttore ri-cevette nel 1898 la partitura del “Ballo Sardo” di Luigi Silesu. Il Principe nel 1859 era stato nominato Cavaliere dell’Ordine supremo della Santissima Annunziata da Vittorio Emanuele II Re di Sardegna.

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Luigi, prestava la sua opera di organista, come tutti i suoi antenati. Stanislao era il terzo rampollo di casa Silesu. Lo avevano preceduto nel nascere Efisio e Marianna. Dopo Stanislao arrivarono in casa Silesu altre tre femminucce. Il padre di Lao, come si è detto, era un valente organista, ma si esercitò con grande profitto al pianoforte, dimo-strandosi pure eccellente didatta. Alla sua scuola non mancò all’appuntamento il piccolo Lao che già a cinque anni conosceva tutti o quasi tutti i segreti della tastiera.

Sentiva improvvisare il padre, che è stato fra l’altro l’autore di un «Ballo sardo» che ebbe ai suoi tempi lar-ghissima popolarità tanto da essere eternato in dischi che molti dei nostri vecchi conservano, ed ecco Lao ri-petere, immediatamente le stesse note.

Era il segno indubbio di una ricca anima musica-le che aveva bisogno pressante di qualcosa di più degli insegnamenti paterni. Ed ecco sostituirsi al padre di Lao il prof. Luigi Allione. […] A tredici anni vediamo Lao autore di serenate e di canzoni che vennero poi acquistate e stampate da un editore fiorentino. […] In Cattedrale Lao quindicenne si sostituisce al padre ed all’organo improvvisa musica sacra, fra le quali una bellissima «Ave Maria» […].

Cardia Antonio, Ricordo di Lao Silesu - Un compo-sitore sardo celebre solo a Parigi, in L’Unione Sarda, 2 Settembre 1956, p. 3, Cagliari 1956 (l’articolo apparve qualche mese dopo anche in Il Convegno rivista mensile illustrata, Amici del Libro, Cagliari, anno 10 - n.1 gen-naio 1957, n.d.c.).

6.[…]Nato a Samassi, un paesetto in provincia di Cagliari, il 5 luglio 1883, ancora infante venne condotto ad Igle-sias dove suo padre, Luigi, faceva l’organista nella Cat-tedrale di Santa Chiara. Ancora fanciullo, […] aveva forse sei anni, Stanislao si era pazzamente innamorato della musica ed incominciò a balbettare le meraviglie della «scala».

Il vecchio genitore osservò l’inclinazione del figliolo e capì che era necessario avviarlo verso la sua strada, quella che un giorno doveva portarlo all’apice della ce-lebrità […].

E. M., Lao Silesu - Iglesias, 17 ottobre - in Il Tempo, Musicisti sardi, 18 ottobre 1956.

7.[…] orientamento del Silesu (Lao, n.d.c.) nei riguardi della elaborazione della etnofonia sarda. […] Mi sem-

bra che Lao Silesu abbia scelto la via giusta dimostran-do così di essere un musicista nel vero senso della paro-la, e un artista dotato di fine gusto e sensibilità.

Porrino Ennio in Il Convegno rivista mensile illu-strata, Amici del Libro, Cagliari, anno 10 - n.1 gennaio 1957, p. 11.

8.[…]Notizie abbastanza precise sulla nuova stirpe dei Silesu si hanno con la nascita a Samassi di Luigi, che, ubbiden-do alla tradizione familiare, fu anche lui così abile piani-sta e agile compositore che il Vescovo di Iglesias lo volle organista della cattedrale. Mio padre, che ai suoi tempi era a Sanluri, lo ricordava, come tutti i suoi coetanei, con ammirazione sconfinata. Era fra l’altro autore del «Ballo Sardo» per pianoforte a due mani, dedicato al Municipio di Cagliari, ed edito da Adolfo Lapini di Firenze. Questo «Ballo Sardo», che a sette anni io stesso sentii eseguire da Lao Silesu a Sanluri, era diventato così popolare che var-cò le frontiere dell’isola e fu eseguito persino a Londra.

Si racconta che Luigi Silesu l’eseguisse alla cieca; ri-copriva cioè la tastiera con un panno e, con un virtuo-sismo raro, batteva sui tasti senza sbagliare una nota… Da questo singolare artista, nacque, terzo di sei figli, Stanislao […] e a soli cinque anni già strimpellava sulla tastiera paterna […].

[…] maestro Allione, succeduto a Luigi Silesu nell’insegnamento della musica a Iglesias.

[…] intimidì Lao che stordito si rifugiò fra le braccia della madre Anna Lai Silesu […].

[…] già a tredici anni (Lao, n.d.c.) cominciò a com-porre. […] «La bella Cagliari» e altre che furono edite dal Lapini di Firenze […].

Marica Pasquale, Breve storia dei Silesu, in Il Conve-gno rivista mensile illustrata, Amici del Libro, Cagliari, anno 10 - n.1 gennaio 1957, pp. 18 e sgg3.

9.[…] Egli nacque a Samassi il 5 luglio 1883 ma fu porta-to, quando aveva un anno e tre mesi, ad Iglesias, dove il padre, Luigi, era organista della Cattedrale di «S. Chia-ra»: una famiglia che aveva, di padre in figlio, sempre professato la nobile arte della musica.

Lao, diminutivo di Stanislao, a cinque anni conosce-va la tecnica del pianoforte. Il signor Luigi comprese che al figlio necessitava una nuova guida […].

Massa Giorgio, Silesu a Iglesias, in Il Convegno rivi-sta mensile illustrata, Amici del Libro, Cagliari, anno

3 Dalla stessa testimonianza di Marica sappiamo anche che il cognome Silesu fu “una invenzione di un tonto burocrate piemontese che scambiò per cognome il nomignolo dato a un certo Vargiu che essendo capitato in un paese del Campidano, fu detto, per non confonderlo con gli altri Vargiu locali, Isilesu”. Il prof. Pasquale Marica, studioso, ricercatore, scrittore e Presidente dell’Associazione dei Sardi in Roma Il Gremio, con sede sociale nella Capitale in via Nomentana 96 – via Guattani 2ª, si avvalse negli anni 1950-1960 della collaborazione di un allora giovane nipote di Luigi Silesu, Faust, residente a Verona e Sanluri, deceduto qualche anno fa; si tratta del Franz autore, con lo stesso Marica, di La settimana santa a Sanluri, contenuto negli Atti del VII Congresso nazionale delle tradizioni popolari, Chieti 4-8 settembre 1957, pp. 238-249.

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10 - n.1 gennaio 1957, p. 25 (trattasi in realtà di uno scritto del giornalista di Iglesias Mossa Giorgio, in ana-grafe Antonio, n.d.c.).

10.[…] i nostri discorsi (di Lao Silesu e Giuseppe Maron-giu, n.d.c.) portarono sull’isola lontana, sulle sue mi-serie e sui ricordi di una ormai svanita infanzia. Essi affioravano nella nostra mente rievocando […] i rapidi momenti felici delle assolate feste patronali dei nostri polverosi villaggi.

Marongiu Giuseppe, Come visse, morì, in Il Conve-gno rivista mensile illustrata, Amici del Libro, Cagliari, anno 10 - n.1 gennaio 1957, p. 27.

11.[…]Lao Silesu nacque a Samassi il 5 luglio 1883 e venne condotto a Iglesias qualche mese più tardi. Il padre era organista nella Cattedrale di S. Chiara ove era stimato come musicista e compositore. Ancora si ricorda un suo «ballo sardo».

Nella città delle miniere, ricca di tradizioni e di sto-ria, di misticismo e di leggenda, il piccolo Silesu iniziò ad esercitarsi al pianoforte, sotto la guida del padre.

A cinque anni conosceva i segreti della tastiera, ese-guiva mentalmente dei brani che prima il signor Luigi aveva a sua volta suonato, senza errare una nota.

Stupito dall’ingegno del figlio, decise di affidarlo alle cure del prof. Allione.

[…]Eppure la nostalgia della sua dolce Sardegna non

abbandona mai il «re della melodia», come lo defini’ Edoardo d’Inghilterra, di quella Sardegna che fu la sua grande ispiratrice […].

Mossa Giorgio, Ricordato Lao Silesu. Iglesias, 2 (l’autore è il giornalista di Iglesias Mossa Giorgio, in anagrafe Antonio, n.d.c.). [in quotidiano regionale sar-do post gennaio 1957].

12.[…] Lao Silesu è uno di questi.Egli nacque a Samassi il 5 luglio del 1883 ove il padre dimorava con numerosa figliolanza. Quando aveva solo alcuni mesi fu condotto a Iglesias: il signor Luigi Silesu, padre di Lao, era organista nella Cattedrale di Santa Chiara.

Nella città delle chiese e delle miniere si formava l’a-nimo musicale del piccolo Silesu, ricco di sensibilità e di genio. Il padre aveva impartito al figliolo le prime le-zioni musicali, sbalordito dall’ingegno di Lao che assi-milava mentalmente: a cinque anni conosceva i segreti della tastiera.

Il signor Luigi aveva compreso che al figlio necessi-tava una guida più formata che potesse seguire meglio il bambino. Il prof. Luigi Allione insegnò al Silesu mol-te cose. Infatti a soli dieci anni egli esegue il suo primo

concerto in pubblico. In seguito scriveva canzoni, sere-nate, scherzi musicali, ecc. Un editore fiorentino acqui-stò e stampò i suoi primi lavori.

Oramai il piccolo Silesu entusiasma il pubblico sar-do con le sue creazioni. Le sue tournèe a Cagliari, Sassa-ri, Oristano ed Alghero rendono il Silesu celebre. Nella Cattedrale sostituisce il padre all’organo, improvvisan-do una bellissima Ave Maria. […]

A Parigi, intorno al 1900, Silesu (Lao, n.d.c.) visse anni di gloria […].

Mossa Giorgio, Per Lao Silesu musicista sardo, in Kursaal mensile internazionale di varia cultura, Anno VI - N. 31 (Nuova Serie), Editoriale Kursaal, Firenze, Marzo 1957 (l’autore è il giornalista di Iglesias Mossa Giorgio, in anagrafe Antonio, n.d.c.).

13.[…]Mi trovo col pensiero in una mattina dei primi mesi del 1898 […] accanto alle mie giovani zie, che […] si davano un gran da fare per il ballo della sera.

[…] Iglesias era allora una cittadina assai viva e dove fioriva una certa vita mondana […].

Un circolo fiorentissimo dava in carnevale dei trat-tenimenti molto apprezzati, perchè i suoi dirigenti si preoccupavano di mantenere il tono garbato che gli avevano dato i suoi fondatori, un gruppo d’Inglesi, che erano venuti e si erano fermati in quella simpatica cittadina, che verso la metà del secolo scorso si trova-va in piena attività mineraria ed era diventata centro di attrazione per gli stranieri e per i continentali. Tra l’elemento straniero primeggiava la colonia inglese ca-peggiata da un Taylor con la sua consorte, che riceve-vano con grande signorilità nella loro casa ospitale e mantenevano contatti anche con il mondo cagliaritano accolti come erano al nostro Filarmonico. Poco dopo il loro arrivo […] si erano preoccupati di aprire il loro club […] le sue sale erano aperte alle migliori famiglie locali, da cui del resto provenivano parecchi funzionari delle aziende controllate dalla Società inglese.

[…] i Taylor in particolare, che si erano ritirati a Fi-renze, mantennero per lungo tempo rapporti epistolari cordiali e direi affettuosi con le loro vecchie amicizie locali.

[…] Iglesias si dava anche un certo tono nel campo musicale: aveva costituito una buona banda, che faceva servizio in Piazza e ci teneva ad avere nella sua bella Cattedrale un ottimo organista, che era il Silesu padre, che naturalmente era l’insegnante di pianoforte di tutte le signorine più o meno romantiche della cittadina.

E fin d’allora si parlava delle qualità artistiche e della precocità del suo Lao che fu il miglior allievo […].

[…] ci rimane in famiglia quello che ritengo sia la sua (di Lao, n.d.c.) prima composizione a stampa; una mazurca intitolata «La bella Cagliari» […].

Leo Pietro, Ricordo di Silesu in L’Unione Sarda, 13.02.1957, Anno LXIX N. 38.

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14.[…] forse la sua «Ave Maria» risuonerà in quella stessa piazza Municipio che egli, ancora fanciullo, attraver-sava tutti i giorni per recarsi nella Cattedrale, dove il padre era organista e dove egli stesso fece i primi passi sulla tastiera bianca e nera […].

E. M., Il musicista Lao Silesu commemorato ad Igle-sias – Iglesias, 7 agosto [Il Tempo 08 agosto 1957 ?].

Luigi Silesu e il teatro di LondraLuigi Silesu, di famiglia originaria di Isili con cognome Vargiu, nasce ad Ales o Samassi nel 1837. Discendente di musicisti organisti, è allievo di un frate provenien-te dalla Penisola, Angelotti, fino a diventare nel corso della sua vita un ottimo, valente organista, un abile pia-nista, un artista virtuoso della tastiera, improvvisatore, compositore stimatissimo e popolare, esecutore eccel-lente e, in alcune occasioni, esibizionista.

Vive a Samassi. Sposa Anna Lai e ha sei figli: Efisio, il primo, poi Marianna, Stanislao, nel luglio del 1883, e altre tre femmine, tra le quali Marietta.

Nel 1884, forse prima, è chiamato dal Vescovo di Iglesias a essere organista della grandiosa Cattedrale di Santa Chiara e mantiene l’incarico almeno fino al luglio del 1898. Nello stesso anno della convocazione, secon-do alcuni invece nel 1889, si trasferisce nella cittadina mineraria rigogliosa e “multietnica”, dove esercita in modo eccellente anche l’attività di insegnante di musi-ca e pianoforte cui si rivolgono le giovani figlie delle fa-miglie ricche e benestanti. Qui frequenta l’alta società, che si ritrova in un club fondato anni prima dai signori Taylor d’Inghilterra, coniugi brillanti in ottimi rapporti anche con la classe egemone di Cagliari trasferitisi poi a Firenze, dove conservano stabili e duraturi contatti con le persone conosciute nella cittadina sulcitana.

Il maestro Luigi Silesu, sostituito poi nell’insegna-mento a Iglesias dal maestro piemontese Luigi Allione, ha già composto a Samassi prima del 1889, secondo al-tri nel 1894, un ballo sardo per pianoforte a due mani. La partitura è edita dallo Stabilimento Musicale di Adolfo Lapini nella Via del Giglio a Firenze e l’opera è dedicata al Municipio di Cagliari. Anche le prime ope-re del terzo figlio Stanislao, che egli istruisce dal 1888 al 1895 nell’arte della musica e del pianoforte, compren-dendone il genio, trasmettendogli gusto e conducen-dolo alla sua strada, sono inviate a Firenze, all’editore Lapini. Una di esse, inoltre, è dedicata a Cagliari. Forse un contatto o la conoscenza dei signori inglesi residenti in Toscana ha aperto qualche porta.

Il ballo composto dal singolare artista, bel vecchiet-to, piccolo e arzillo, è di grande efficacia, è diverso dagli altri adattamenti, è ricco di motivi, pregevole, fedele alla musica sarda da ballo. Esso raggiunge larga popo-larità nell’isola ed è inciso su disco.

Uno spartito di questo Ballo Sardo nel 1898 è spedi-to a Londra, la capitale inglese, al direttore del Teatro

Principe di Galles: questi desidera che i suoi ballerini imparino anche la danza della Sardegna.

Così nel 1916, all’età di settantanove anni, prima di spegnersi, Luigi Silesu forse ricorda ancora di esse-re entrato, sul finire del XIX secolo, con la sua musica, nella metropoli d’oltremanica e di aver lasciato lì un bel ricordo di sé, ammiratissimo dai maestri musicisti del Teatro intitolato all’erede della corona reale.

Anche il figlio Stanislao, al quale egli ha trasmesso la sua sensibilità e il suo portento e che giovanissimo conosce e suona il Ballo Sardo del padre maestro, di lì a pochi anni sarebbe andato a Londra. Lì egli avrebbe studiato e poi esteso la propria fama. Nel suo peregrina-re, sempre memore della vera musica e dell’anima del-la sua terra natia, egli sarebbe stato proclamato unico, persino da quel noto Principe del Galles ormai re.

Ma questa, come sappiamo e probabilmente seppe pure lui, maestro Luigi Silesu, ormai anziano musicista dal glorioso passato, è un’altra storia.

La documentazione degli stabili londinesi adibiti a luogo di rappresentazioni drammatiche e musicali ci presenta per gli ultimi anni del 1800 due teatri Prin-cipe di Galles, sebbene talvolta vi sia tra essi una diffe-renza nella morfologia onomastica: il Prince Of Wales Theatre (o Prince Of Wales’s Theatre o Prince Of Wales’ Theatre) in Coventry Street nel West End, nella City of Westminster (fondato e inaugurato nel Gennaio del 1884 col nome di Prince’s Theatre, ricostruito nel 1937, ristrutturato nel 2004 e tuttora in attività) e il Prince of Wales’s Royal Theatre, noto anche come Prince of Wa-les’s Theatre o più semplicemente Prince of Wales Thea-tre, tra Charlotte Street e Tottenham Street, inaugurato nel 1772 come The New Rooms in Tottenham Street e conosciuto dal 1865 al 1903, anno della sua demolizio-ne, appunto con i nomi afferenti al Principe del Galles. Quest’ultimo, che negli ultimi anni si trova indicato nella stampa e negli scritti privati con The old Prince of Wales’s (Royal) Theatre, fu sostituito dal Scala Theatre, attivo dal 1904, anno della sua edificazione, al 1969.

Pare che l’intensa attività del Prince of Wales’s (Royal) Theatre di Charlotte Street si interruppe improvvisa-mente nel Luglio del 1882 in seguito a una condanna da parte dell’organismo governativo londinese Metro-politan Board of Works, cui seguì l’abbandono del suo direttore e locatario Edgar Bruce, e che dal 1886 al 1903 i suoi edifici furono utilizzati come Albergo dell’Eser-cito della Salvezza, istituzione fondata nel East End di Londra nel 1865. Ciò renderebbe lecita la supposizione che la musica e le movenze del ballo sardo siano state apprezzate dai maestri del Prince Of Wales Theatre del West End, in Coventry Street, l’unico teatro Principe di Galles attivo in quegli anni (l’uguaglianza dei nomi dei due teatri è probabilmente dovuta al fatto che quest’ul-timo fu edificato, su un terreno acquistato coi proventi dell’attività svolta al vecchio teatro di Charlotte Street, dallo stesso Edgar Bruce, unico proprietario del nuo-

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vo teatro di Coventry Street al tempo dell’esecuzione a Londra della musica oggetto di questo studio).

Eccezion fatta per le asserzioni riportate sui quoti-diani sardi, non si ha al momento la prova – ma è assai viva la speranza di trovarla – che il grandioso spetta-colo di danze fu messo in scena proprio sul palco del Prince of Wales’s Theatre; osta infatti con questa noti-zia il fatto che dal 13 Dicembre del 1898 al 4 Febbraio del 1899 vi fu ininterrottamente rappresentata l’opera comica La Poupée e che a partire dal 11 Febbraio andò in scena un’altra opera comica, The Coquette, e noi sap-piamo che il “noto” maestro di ballo di Cagliari Gaeta-no Murenu/Moreno – inviato a Londra, su indicazione del capitano dei Reali Carabinieri Monari della Rocca, a insegnare il tradizionale ballo della Sardegna a un cor-po di danza del Teatro Principe di Galles – soggiornò nella metropoli inglese nel mese di Gennaio 1899.

Potremmo prendere in considerazione la possibili-tà che il ballo sardo sia stato eseguito in occasione di una rappresentazione drammatica nel teatro Princi-pe di Galles. Dalla lettura della struttura del copione “londinese” di The Coquette, pubblicata da The Times il giorno precedente quello della sua prima, e da un confronto di questa struttura con una recensione della rappresentazione medesima, uscita su The Stage a di-stanza di sei giorni, pare che l’ambientazione dell’opera sia la Sardegna (tra i personaggi figurerebbero – ben-ché The Times e The Stage non concordino su tutti i

nomi – il Governatore di Sassari, il mugnaio di Fonni e il Sindaco di questo villaggio) e che vi sia un ballo (la seconda scena del secondo atto si svolge nella sala da ballo nell’abitazione del Governatore). Se si ammette che il ballo sardo fu eseguito, insieme ad altri, all’in-terno de The Coquette, si deve anche ammettere che il nostro maestro di ballo abbia lasciato Londra prima di vederlo in scena. D’altro canto, se si accoglie l’ipotesi che il ballo sardo fu eseguito all’interno de La Poupée, si deve accettare che questo accadde dopo almeno tre settimane dalla sua prima rappresentazione e cioè con una modifica delle scene nel corso delle repliche. Se si scarta anche questa tesi, rimangono altre possibilità: che il ballo sardo sia stato rappresentato altrove; che la sua esecuzione sia avvenuta sul palco dello stesso tea-tro in orari differenti rispetto all’opera comica in car-tellone. Quest’ultima ipotesi dovrebbe essere accettata ammettendo che la rappresentazione di un “ballo gran-dioso in cui son comprese le danze di tutti i paesi” sia stata messa in scena senza alcuna pubblicità nello spa-zio quotidianamente dedicato da The Times alla pro-grammazione del Prince of Wales’s Theatre.

Nell’attesa di trovare un documento ufficiale sulla data e il luogo della rappresentazione in terra inglese nel 1899 del nostro ballo sardo, persistiamo nella ri-cerca di indizi e di tracce, sperando di poter un giorno ricomporre tutte le tessere di questo affascinante e mi-sterioso mosaico.

Fonti e bibliografia

(per i dettagli bibliografici degli articoli e dei brani si rimanda al riferimento in calce a ciascun testo; la parzialità dei dettagli bibliografici di alcuni articoli e brani della Sezione II, provenienti da una collezione privata, è dovuta all’im-possibilità di una verifica puntuale di tutti i dati editoriali)

Collezione privata.http://www.arthurlloyd.co.ukIl Convegno, rivista mensile illustrata, Cagliari.Il Quotidiano Sardo, giornale d’informazione (del mattino), Oristano, Cagliari.Il Tempo, quotidiano indipendente, Roma.Kursaal, mensile internazionale di varia cultura, Firenze.L’Unione Sarda, Cagliari.La Nuova Sardegna, Giornale quotidiano, Sassari.La Sardegna Cattolica, Cagliari.Rivista sarda politica-economica-letteraria-artistica, Roma.S’Ischiglia, Cagliari.The Stage, London, January 1882 - December 1900.The Times, London, January 1881 - December 1904.

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Contenuto del Cd

Il disco contiene due versioni del Ballo Sardo di Luigi Silesu.

La prima è un’interpretazione pianistica di Fabrizio Marchionni, aderente al testo musicale originale. Marchionni è organista, pianista, clavicembalista e compositore. Studioso dei linguaggi musicali, ha scritto per svariati organici vocali e strumentali e tenuto concerti in tutta Italia ed Europa. Nelle sue composizioni e trascrizioni propone il rinnovamento del linguaggio attraverso lo sviluppo degli elementi latenti nelle strutture musicali della tradizione. Insegna teoria, ritmica e percezione musicale presso il Conservatorio “G. P. da Palestrina” di Cagliari.

La seconda è un adattamento per fisarmonica di Bruno Camedda che, dividendo la composizione nelle sue due parti, offre un’interpretazione dell’opera secondo la propria sensibilità e alla luce della sua esperienza di accompagnatore del ballo sardo. Camedda, musicista tra i più estrosi ed eclettici che operano nell’ambito della musica per ballo della tradizione isolana, si è diplomato al Conservatorio Nazionale di Lione in Violoncello e Musica da Camera, ricevendo nelle due discipline la medaglia d’oro, il più alto riconoscimento previsto dai conservatori di musica francesi. Membro stabile di “Furias”, attualmente uno dei più noti gruppi di musica sarda, ha inciso diversi dischi sia con questo organico sia come solista.

1. Luigi Silesu, Ballo Sardo, Pianoforte: Fabrizio Marchionni2. Luigi Silesu, Ballo Sardo (prima parte), Fisarmonica: Bruno Camedda3. Luigi Silesu, Ballo Sardo (seconda parte), Fisarmonica: Bruno Camedda

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