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1 ANTICHE CIVILTA' ED ALIENI LA CAVERNA SOTTO IL POTALA 8-62 A grande profondità sotto il Potala c'erano dei passaggi sacri, che conducevano a un'immensa caverna contenente quello che sembrava un mare interno. Mi avevano detto che era ciò che rimaneva dall'epoca remotissima in cui il Tibet era un paese ameno vicino al mare. In quell'immensa caverna vidi strane vestigia, scheletri di creature fantastiche in cui a molti anni di distanza ravvisai mastodonti, dinosauri e altra fauna esotica. Poi in molti punti si scoprivano grandi lastre di cristallo naturale, nel quale era possibile vedere la macrocistide, diversi tipi di alghe e, di tanto in tanto, pesci perfettamente conservati e interamente sigillati nel cristallo trasparente. In realtà quegli oggetti venivano considerati sacri, come messaggi provenienti dal passato. 1-115 Prima di lasciare il Potala (la sede del Dalai Lama) scendemmo in una delle gallerie sotterranee. … Queste gallerie, mi venne spiegato, erano state aperte da un'eruzione vulcanica innumerevoli secoli prima. Alle pareti si scorgevano strani diagrammi e dipinti di scene del tutto ignote. Mi interessava assai più vedere il lago che, come mi era stato detto, si stendeva per chilometri e chilometri al termine di uno dei budelli. Finalmente entrammo in una galleria che divenne sempre e sempre più ampia finché, a un tratto, la volta scomparve, portandosi a un'altezza alla quale la luce delle torce non poteva giungere. Ancora un centinaio di metri e ci trovammo sull'orlo di un'acqua quale non avevo mai veduto. Era nera e immobile, oscura in modo da sembrare quasi invisibile, più simile a un pozzo senza fondo che a un lago. Non un'increspatura ne turbava la superficie, non un suono violava il silenzio. Anche la roccia sulla quale ci trovavamo era nera; riluceva alla luce delle torce, ma, un po' di lato, scorsi un luccicare anche sulla parete. Mi avvicinai e vidi che nella roccia si trovava un'ampia vena d'oro lunga forse quattro metri e mezzo o cinque metri; nel senso dell'altezza, mi arrivava dal collo alle ginocchia. In tempi remoti, l'enorme calore aveva fuso l'oro nella roccia, ed esso si era poi raffreddato formando grumi simili al grasso di candele dorate. Il lama Mingyar Dondup ruppe il silenzio: “Questo lago porta al fiume Tsang-po a sessantacinque chilometri di distanza. Molti anni fa, alcuni monaci avventurosi costruirono una zattera di legno e remi con i quali spingerla sull'acqua. Caricarono la zattera di torce e si allontanarono dalla riva. Per chilometri e chilometri remarono, esplorando il lago, poi vennero a trovarsi in uno spazio ancor più vasto dove non riuscivano a scorgere né le pareti, né la volta. Andarono alla deriva, mentre remavano adagio, non sapendo in quale direzione spingersi. … Improvvisamente la zattera sussultò, una folata di vento spense le torce, lasciandoli immersi nelle tenebre, ed essi si resero conto che la loro fragile imbarcazione era in preda ai demoni dell'acqua. La zattera piroettava su se stessa, dando loro il capogiro e stordendoli. … A un certo momento, furono scaraventati in acqua e affondarono. Alcuni di loro ebbero appena il tempo di riempirsi d'aria i polmoni. Gli altri non furono così fortunati. Poi una luce verdognola e incerta apparve e si fece più intensa. Furono sballottati e proiettati qua e là, e infine emersero nella vivida luce del sole. Due di loro riuscirono a raggiungere la riva, quasi annegati, coperti di lividi e sanguinanti. Degli altri tre non esisteva più traccia. Per ore e ore giacquero tra la vita e la morte. Infine, uno dei due ritrovò quel tanto di energia sufficiente a consentirgli di guardarsi intorno. E quel che vide per poco non lo fece nuovamente svenire. In lontananza si scorgeva il Potala. Tutto intorno erano verdi pascoli con Yak che brucavano l'erba. … Da quel giorno sono stati fatti ben pochi tentativi di esplorare il lago, ma si sa che esistono isolette, poco più in là della portata delle nostre torce. Una di esse è stata esplorata e tu vedrai in seguito ciò che

B1 ANTICHE CIVILTA' ED ALIENI 2/UFO E ALIENI/Antiche Civilta Ed... · 2020. 6. 27. · 1 ANTICHE CIVILTA' ED ALIENI LA CAVERNA SOTTO IL POTALA 8-62 A grande profondità sotto il Potala

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    ANTICHE CIVILTA' ED ALIENI

    LA CAVERNA SOTTO IL POTALA 8-62 A grande profondità sotto il Potala c'erano dei passaggi sacri, che conducevano a un'immensa

    caverna contenente quello che sembrava un mare interno. Mi avevano detto che era ciò che rimaneva dall'epoca remotissima in cui il Tibet era un paese ameno vicino al mare. In quell'immensa caverna vidi strane vestigia, scheletri di creature fantastiche in cui a molti anni di distanza ravvisai mastodonti, dinosauri e altra fauna esotica. Poi in molti punti si scoprivano grandi lastre di cristallo naturale, nel quale era possibile vedere la macrocistide, diversi tipi di alghe e, di tanto in tanto, pesci perfettamente conservati e interamente sigillati nel cristallo trasparente. In realtà quegli oggetti venivano considerati sacri, come messaggi provenienti dal passato.

    1-115 Prima di lasciare il Potala (la sede del Dalai Lama) scendemmo in una delle gallerie sotterranee. … Queste gallerie, mi venne spiegato, erano state aperte da un'eruzione vulcanica innumerevoli secoli prima. Alle pareti si scorgevano strani diagrammi e dipinti di scene del tutto ignote. Mi interessava assai più vedere il lago che, come mi era stato detto, si stendeva per chilometri e chilometri al termine di uno dei budelli. Finalmente entrammo in una galleria che divenne sempre e sempre più ampia finché, a un tratto, la volta scomparve, portandosi a un'altezza alla quale la luce delle torce non poteva giungere. Ancora un centinaio di metri e ci trovammo sull'orlo di un'acqua quale non avevo mai veduto. Era nera e immobile, oscura in modo da sembrare quasi invisibile, più simile a un pozzo senza fondo che a un lago. Non un'increspatura ne turbava la superficie, non un suono violava il silenzio. Anche la roccia sulla quale ci trovavamo era nera; riluceva alla luce delle torce, ma, un po' di lato, scorsi un luccicare anche sulla parete. Mi avvicinai e vidi che nella roccia si trovava un'ampia vena d'oro lunga forse quattro metri e mezzo o cinque metri; nel senso dell'altezza, mi arrivava dal collo alle ginocchia. In tempi remoti, l'enorme calore aveva fuso l'oro nella roccia, ed esso si era poi raffreddato formando grumi simili al grasso di candele dorate. Il lama Mingyar Dondup ruppe il silenzio: “Questo lago porta al fiume Tsang-po a sessantacinque chilometri di distanza. Molti anni fa, alcuni monaci avventurosi costruirono una zattera di legno e remi con i quali spingerla sull'acqua. Caricarono la zattera di torce e si allontanarono dalla riva. Per chilometri e chilometri remarono, esplorando il lago, poi vennero a trovarsi in uno spazio ancor più vasto dove non riuscivano a scorgere né le pareti, né la volta. Andarono alla deriva, mentre remavano adagio, non sapendo in quale direzione spingersi. … Improvvisamente la zattera sussultò, una folata di vento spense le torce, lasciandoli immersi nelle tenebre, ed essi si resero conto che la loro fragile imbarcazione era in preda ai demoni dell'acqua. La zattera piroettava su se stessa, dando loro il capogiro e stordendoli. … A un certo momento, furono scaraventati in acqua e affondarono. Alcuni di loro ebbero appena il tempo di riempirsi d'aria i polmoni. Gli altri non furono così fortunati. Poi una luce verdognola e incerta apparve e si fece più intensa. Furono sballottati e proiettati qua e là, e infine emersero nella vivida luce del sole. Due di loro riuscirono a raggiungere la riva, quasi annegati, coperti di lividi e sanguinanti. Degli altri tre non esisteva più traccia. Per ore e ore giacquero tra la vita e la morte. Infine, uno dei due ritrovò quel tanto di energia sufficiente a consentirgli di guardarsi intorno. E quel che vide per poco non lo fece nuovamente svenire. In lontananza si scorgeva il Potala. Tutto intorno erano verdi pascoli con Yak che brucavano l'erba. … Da quel giorno sono stati fatti ben pochi tentativi di esplorare il lago, ma si sa che esistono isolette, poco più in là della portata delle nostre torce. Una di esse è stata esplorata e tu vedrai in seguito ciò che

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    vi si è scoperto, al momento dell'iniziazione.” Risalimmo faticosamente le oblique gallerie, sostando di tanto in tanto per riprendere fiato e osservare alcuni dei disegni alle pareti. Non riuscivo a capirli, sembravano essere stati tracciati da giganti e raffiguravano apparati così strani da superare completamente le mie capacità di comprensione.

    2-8 … vi sono documenti pittorici di cose che fluttuano nell'aria e di cose che vanno sotto terra. 1-244 Al centro della caverna si levava una lucente, nera casa... una casa che sembrava fatta

    d'ebano levigato. Strani simboli ne avvolgevano i lati, e diagrammi simili a quelli che avevo veduto sulle pareti della galleria del lago. Ci avvicinammo a questa casa e varcammo la soglia della larga, alta porta. All'interno si trovavano tre nere bare di pietra, scolpite e incise in modo curioso. Le bare non avevano coperchio. Sbirciai dentro e, scorgendone il contenuto, trattenni il fiato, sentendomi venir meno. “Figlio mio” esclamò l'abate che ci guidava “contemplale. Furono Dei nella nostra terra, ai tempi che precedettero le montagne. Si aggirarono per il nostro Paese quando i mari ne bagnavano le coste e quando nel firmamento si trovavano stelle diverse. Guardali, perché nessuno, tranne gli iniziati, li ha mai veduti.” … Tre figure d'oro giacevano dinanzi a noi, completamente nude. Due uomini e una donna. Ogni linea, ogni minimo segno di quei corpi erano fedelmente riprodotti dall'oro. Ma quali dimensioni! La donna aveva una statura di almeno tre metri, e la statura del più alto dei due uomini non era inferiore ai quattro metri e mezzo. Avevano la testa grande e alquanto conica alla sommità. Le mascelle erano strette, con una bocca piccola, dalle labbra sottili. Il naso era lungo e stretto, mentre gli occhi, non obliqui, erano profondamente infossati. Non li si sarebbe detti corpi imbalsamati... ma addormentati. … Vidi, da un lato, il coperchio di una bara: su di esso era incisa una carta dei cieli... ma che aspetto strano vi avevano le stelle! Gli studi astrologici mi avevano reso assai familiari i cieli notturni; la carta li raffigurava, però, in modo molto, molto diverso. L'abate più anziano si voltò verso di me e disse: “Stai per diventare un iniziato, stai per vedere il passato e conoscere il futuro. Lo sforzo sarà molto grande. Molti ne muoiono, e molti falliscono, ma nessuno esce vivo di qui, a meno che non superi la prova. Sei preparato e disposto ad affrontarla?” Risposi affermativamente. Mi condussero accanto a un lastrone di pietra che si trovava tra due bare. Eseguendo le loro istruzioni, vi sedetti nell'atteggiamento del loto, con le gambe incrociate, con la colonna vertebrale eretta, e il palmo delle mani rivolto verso l'alto. Quattro bastoncelli d'incenso furono accesi, uno per ciascuna bara e uno per la lastra di pietra sulla quale mi trovavo. Tutti gli abati presero una lampada e uscirono. Una volta chiusa la nera e massiccia porta, rimasi solo con i cadaveri che risalivano a remotissimi tempi. Il tempo passò, mentre meditavo. La lampada che avevo portato con me crepitò e si spense. Per alcuni attimi il lucignolo brillò incandescente, sentii l'odore della stoffa bruciata, poi anche questa sensazione si attenuò e scomparve. Mi distesi supino sul lastrone di pietra ed eseguii quegli speciali esercizi di respirazione che mi erano stati insegnati per anni. Il silenzio e l'oscurità erano ossessivi. Si trattava davvero del silenzio della tomba. Di colpo, il mio corpo divenne rigido, catalettico. Avevo le membra intorpidite e gelide come ghiaccio. Provai la sensazione di morire, di morire in quell'antica tomba a più di centoventi metri di profondità sotto la luce del sole. Ecco un violento e vibrante sussulto interiore, e l'impressione, ma senza alcun suono, di strani fruscii e crepitii, come di vecchio cuoio che venisse srotolato. A poco a poco nella tomba dilagò una pallida luce azzurrognola, simile al chiaro di luna su un alto passo di montagna. Sentii un dondolamento, un sollevarsi e un ricadere. Per un attimo potei immaginare di trovarmi una volta di più su un aquilone sobbalzante e sussultante all'estremità del cavo. Poi si insinuò in me la consapevolezza del fatto che stavo galleggiando al di sopra del mio corpo fisico. E con tale consapevolezza venne il movimento. Simile a uno sbuffo di fumo scivolai via, quasi fossi trasportato da un vento che non sentivo. Sopra di me scorsi un che di luminoso, come una coppa d'oro. Dal mio ventre pendeva una corda dal colore azzurro-argenteo. Pulsava di vita e splendeva di vitalità. Contemplai il mio corpo supino che ora riposava come un cadavere tra altri cadaveri. Piccole differenze tra il mio corpo e quelli delle figure gigantesche apparvero chiare lentamente. Mi

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    concentrai in tale osservazione. Pensai alla meschina superbia dell'attuale genere umano e mi domandai in qual modo i materialisti avrebbero potuto spiegare la presenza di quelle figure immense. Pensai... ma poi mi accorsi che qualcosa stava turbando i miei pensieri. Sembrava che non fossi più solo. Mi giungevano brandelli di conversazioni, frammenti di pensieri inespressi. Immagini frammentarie incominciarono a balenare nella mia visione mentale. In lontananza, qualcuno sembrava far suonare una grande campana dai rintocchi profondi. Rapidamente il suono si fece vicino, e ancor più vicino, finché parve esplodermi nel cranio, e io vidi goccioline di luce colorata e lampi di colori ignoti. Il mio corpo astrale veniva sbalestrato e sospinto come una foglia da un vento di tempesta. Strali veloci di dolore incandescente saettavano attraverso la mia coscienza. Mi sentivo solo, abbandonato, un reietto in un universo barcollante. Nere nebbie calarono su di me, e con esse una calma che non apparteneva a questo mondo. Lentamente, le tenebre assolute che mi avvolgevano sì allontanarono. Da qualche punto mi giunse il rombo del mare e il suono raschiante, frusciante dei ciottoli smossi dalle ondate. Sentivo l'odore dell'aria satura di salsedine e il forte aroma delle alghe marine. Era, quella, una scena familiare: pigramente mi voltai sul dorso nella sabbia riscaldata dal sole, e contemplai i palmizi. Ma una parte di me disse: non ho mai veduto il mare, non ho mai sentito parlare di palmizi! Da un vicino boschetto giunsero suoni di voci ridenti, voci che divennero più forti mentre un allegro gruppo di persone abbronzate dal sole appariva. Giganti! Tutti giganti. Abbassai gli occhi e vidi che io pure ero un "gigante". Alle percezioni astrali pervennero le impressioni: innumerevoli secoli prima la terra girava più vicina al Sole, nel senso opposto. I giorni erano più brevi e più caldi. Sorsero grandi civiltà e gli uomini ebbero conoscenze maggiori di quelle attuali. Poi, dagli spazi esterni si avvicinò un pianeta vagante, e colpì di striscio la Terra. La Terra venne proiettata piroettante fuori della sua orbita e nella direzione opposta. Venti formidabili si alzarono e percossero le acque che, sotto la spinta di forze gravitazionali diverse, si avventarono sulla terraferma, e vi furono diluvi, diluvi universali. Terremoti squassarono il mondo. Le terre affondarono sotto il livello dei mari, e altre ne emersero. Quel paese caldo e piacevole ch'era il Tibet cessò di essere una località di soggiorno marina e si innalzò di circa quattromila metri sul livello del mare. Dovunque apparvero montagne possenti che eruttavano lava fumante. Lontano, nella regione delle alte montagne, precipizi lacerarono la superficie e la flora e la fauna di un'epoca tramontata continuarono a esistere. Ma sono troppi gli eventi perché un libro possa contenerli, e una parte della mia "iniziazione astrale" è di gran lunga troppo sacra e privata per poter essere riferita. Qualche tempo dopo, sentii le visioni svanire e oscurarsi. A poco a poco la coscienza, astrale e fisica, mi abbandonò. In seguito, divenni sgradevolmente consapevole del fatto ch'ero gelido, gelido a furia di giacere su un lastrone di pietra, nelle fredde tenebre di un sepolcro. Filamenti di pensieri mi si agitavano nel cervello: “Sì, è tornato a noi. Veniamo!”. Minuti trascorsero, e un fioco bagliore si avvicinò. Lampade alimentate con burro di yak. I tre anziani abati. “Ti sei comportato bene, figlio mio. Per tre giorni sei rimasto disteso qui dentro. Ora hai veduto. Sei morto. E hai vissuto.”

    2-126 Finalmente arrivammo a un'ultima stanza. …Aveva l'apparenza di un ripostiglio. … Era qui che il Dalai Lama conservava i numerosi doni che riceveva, quelli di cui Egli non si serviva immediatamente. … Il lama mi guardò e sorrise con benevolenza: "Lobsang, Lobsang, credi che perderei la mia strada?". Sorrise e si allontanò da me, dirigendosi verso un muro lontano. Si guardò attorno per un attimo e poi si mise a fare qualcosa. A quanto potevo vedere stava trafficando con una struttura sul muro, una sporgenza di stucco costruita da un operaio morto da molto tempo. Alla fine si udì un rimbombo di pietre che cadevano e mi girai allarmato, credendo che il soffitto stesse crollando o che il pavimento stesse sprofondando. La mia Guida rise: "Oh, no, Lobsang, siamo completamente al sicuro, completamente al sicuro. Ecco da dove continuiamo il nostro viaggio. E' da qui che entriamo in un altro mondo. Un mondo che pochi hanno veduto. Seguimi. … La sezione di muro era scivolata di lato rivelando un'apertura buia. Riuscivo a scorgere un sentiero polveroso, che dalla stanza si inoltrava nel

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    foro e scompariva in quelle tenebre infernali. … "Questo è un ingresso costruito da secoli. Il suo segreto è stato ben mantenuto. A meno di conoscerla, questa porta non si può aprire, e per quanto si cerchi dappertutto non c'è traccia di connessione o di incrinatura. Ma vieni, Lobsang, non mettiamoci a discutere sui metodi di costruzione. Stiamo perdendo tempo. Vedrai spesso questo posto. Detto questo si girò e fece strada nell'apertura, dentro il misterioso tunnel che proseguiva a perdita d'occhio. Lo seguii con molta apprensione. Mi fece passare avanti, poi si voltò e manipolò di nuovo qualche cosa. Di nuovo si udì il sinistro rimbombo, il cigolio e lo stridere di ingranaggi, poi un intero pannello di roccia viva scivolò davanti ai miei occhi sbigottiti e chiuse il foro. … Sembrò che avessimo percorso più di un miglio … Poi notai che il corridoio si stava facendo più ampio e più alto. Sembrava che stessimo camminando lungo l'estremità stretta di un imbuto, avvicinandoci a quella più larga. Voltammo per un corridoio e gridai dallo stupore. Vidi davanti a me una vasta caverna. Dal soffitto e dalle pareti provenivano innumerevoli punti luminosi che emanavano una luce dorata, riflessa dalle nostre lampade al burro. La caverna appariva immensa. La fioca illuminazione delle nostre lampade serviva soltanto ad accentuarne l'immensità e l'oscurità. La mia Guida si avvicinò a una fenditura a sinistra del sentiero e ne estrasse, facendo un rumore stridulo, una specie di grosso cilindro metallico. Sembrava arrivare a metà altezza di un uomo, ma nella parte più grossa era certamente largo quanto un uomo. Era rotondo e in cima aveva un congegno che non conoscevo. Sembrava una reticella bianca. Il Lama Mingyar Dondup maneggiò la cosa e poi ne toccò la parte superiore con la sua lampada al burro. Immediatamente si sviluppò una fiamma splendente color giallo chiaro, che mi permise di vedere con chiarezza. La luce emetteva un debole sibilo, come se venisse espulsa sotto pressione. Allora la mia Guida spense le nostre piccole lampade. "Con questa, Lobsang, avremo luce in abbondanza e la porteremo con noi. Voglio che tu impari un po' di storia a partire dagli eoni di molto tempo fa". Si incamminò in avanti, spingendo quella grande luce radiosa, quel barattolo di metallo fiammeggiante, su una cosa simile a uno slittino. Si spostava con facilità. Camminammo scendendo ancora una volta per il sentiero, sempre più verso il basso, tanto che pensai che dovevamo essere arrivati nelle viscere della terra. Finalmente si fermò. Davanti a me c'era un muro nero, ricoperto da un grande pannello d'oro, sul quale erano incisi centinaia, migliaia di disegni. Li guardai, poi guardai dall'altra parte e potei vedere il nero scintillio dell'acqua, come se davanti a me vi fosse un grande lago. "Lobsang, ascoltami con attenzione. Più tardi conoscerai tutto di questo. Voglio parlarti un po' dell'origine del Tibet, un'origine che tu nei prossimi anni sarai in grado di verificare da te quando parteciperai a una spedizione che sto progettando fin da ora", disse. ... Abbiamo dei documenti diligentemente nascosti e conservati che risalgono a epoche remotissime ... . Mi fece vedere le iscrizioni, indicando le varie figure e i vari simboli. Vidi disegni che raffiguravano persone, animali - animali che ora non conosciamo - e poi mi indicò una mappa del cielo, una mappa, però, che perfino io sapevo che non si riferiva alla nostra epoca, in quanto le stelle che riportava erano differenti e fuori posto. Il lama fece una pausa e si voltò verso di me: "Io lo comprendo, Lobsang, questo linguaggio mi è stato insegnato. Adesso lo leggerò per te, ti leggerò questa storia antichissima e poi nei prossimi giorni io e altri ti insegneremo questa lingua segreta, affinché tu possa venire qui a prendere i tuoi appunti, a documentarti e a trarre le tue conclusioni. Questo significherà studiare, studiare e studiare. Dovrai venire a esplorare queste caverne, perché ce ne sono molte e si estendono per miglia sotto di noi". Per un momento stette a osservare le iscrizioni. Poi mi lesse una parte del passato. La maggior parte di quanto egli disse allora, e la massima parte di quanto studiai più tardi, non può essere riferita semplicemente in un libro come questo. Il lettore medio non ci crederebbe, e anche se ci credesse e conoscesse alcuni segreti, allora farebbe probabilmente come altri hanno fatto in passato; potrebbe servirsi a proprio vantaggio dei meccanismi che io ho veduto, per ottenere il predominio sugli altri, per distruggere gli altri come le nazioni stanno ora minacciando di distruggersi reciprocamente con la bomba atomica. La bomba

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    atomica non è una scoperta nuova. Fu scoperta migliaia di anni fa e portò allora alla rovina la Terra, come succederà adesso, se l'uomo non viene fermato nella sua follia. In ogni religione del mondo, in ogni storia di ciascuna tribù e nazione, ricorre la storia del Diluvio Universale, di una catastrofe durante la quale interi popoli annegarono, durante la quale vi furono terre che sprofondarono e terre che emersero e il mondo fu in subbuglio. Questo ricorre nella storia degli Incas, degli Egiziani, dei Cristiani, di tutti. … Appena mi fui sistemato incominciò a parlare, ed ecco quanto mi disse. "Molto, molto tempo fa la Terra era un luogo molto diverso. Essa ruotava molto più vicino al sole e nella direzione opposta, mentre accanto a essa vi era un altro pianeta, un suo gemello. I giorni erano più brevi, sicché sembrava che l'uomo avesse una vita più lunga. Sembrava che l'uomo vivesse per centinaia d'anni. Il clima era più caldo, la flora tropicale e più rigogliosa. La fauna cresceva fino a dimensioni enormi e sotto molte e svariate forme. La forza di gravità era molto inferiore a quella attuale, a causa del diverso ritmo di rotazione della Terra, e l'uomo era forse due volte più grande di quanto sia ora, ma anche in questo caso era un pigmeo in confronto a un'altra razza che viveva con lui. Infatti sulla Terra vivevano gli appartenenti a un altro sistema, i quali erano degli esseri ultracerebrali. Essi vigilavano sulla Terra e insegnavano molte cose agli uomini. L'umanità era allora come una colonia, come una classe che viene istruita da un insegnante benevolo. Questi enormi giganti insegnarono molte cose all'uomo. Spesso salivano su uno strano velivolo di metallo luccicante e attraversavano il cielo da una parte all'altra. L'uomo, il povero uomo ignorante, ancora agli albori della ragione, non riusciva assolutamente a capire, in quanto il suo intelletto era appena superiore a quello delle scimmie. Per innumerevoli epoche l'esistenza sulla terra seguì un andamento tranquillo. La pace e l'armonia regnavano fra tutte le creature. Gli uomini potevano conversare tra di loro senza parlare, per telepatia. Ricorrevano alla parola soltanto per le conversazioni di carattere locale. Poi gli ultracerebrali, i quali erano molto più grandi dell'uomo litigarono. Emersero tra di loro forze dissidenti. Essi non riuscivano a mettersi d'accordo su determinate questioni, proprio come succede oggi tra le razze. Un gruppo se ne andò in un'altra parte del mondo e cercò di dettare legge. Ci fu la guerra. Alcuni superuomini si uccisero tra di loro e intrapresero guerre spietate, sterminandosi a vicenda in larga misura. L'uomo, pronto a imparare, apprese le arti della guerra; l'uomo imparò a uccidere. Sicché la Terra, che in precedenza era stata un luogo pacifico, divenne un centro di discordia. Per un certo periodo di tempo, per alcuni anni, i superuomini lavorarono in segreto, una metà di essi contro l'altra metà. Un giorno vi fu una terrificante esplosione e tutta la terra sembrò scuotersi e cambiare la direzione del suo corso. Fiamme rosseggianti attraversarono il cielo e la terra fu avviluppata dal fumo. Alla fine il frastuono si spense, ma dopo molti mesi comparvero nel cielo degli strani segni, che riempirono di terrore il popolo della Terra. Si stava avvicinando un pianeta che diventava rapidamente sempre più grande. Era evidente che sarebbe entrato in collisione con la Terra. Salirono grandi maree, che provocarono i venti, mentre i giorni e le notti si riempirono dell'urlo di una tempesta furiosa. Comparve un pianeta che occupò tutto il cielo e alla fine sembrò che dovesse precipitarsi a capofitto sulla Terra. Man mano che il pianeta si avvicinava sempre più, si sollevarono immense ondate di marea, che sommersero interi tratti di terraferma. I terremoti fecero tremare la superficie del globo e i continenti furono inghiottiti in un batter d'occhio. La razza dei superuomini dimenticò i suoi litigi; si affrettarono a salire sulle loro macchine luccicanti e si alzarono nel cielo, allontanandosi velocemente dalle difficoltà che tormentavano la Terra. Ma su quest'ultima i terremoti continuavano; le montagne si sollevarono, e insieme a loro si sollevò il fondo marino. Le terre sprofondavano e venivano sommerse dall'acqua; la gente di quell'epoca fuggiva terrorizzata, impazzita per la paura di quella che riteneva la fine del mondo, e per tutto il tempo i venti divennero più violenti, il frastuono e lo strepito più difficili da sopportare, frastuono e strepito che sembravano spezzare i nervi e portare gli uomini alla pazzia. Il pianeta invasore si avvicinò e ingrandì sempre più, finché alla fine si accostò nei limiti di una certa distanza e vi fu uno schianto spaventoso, da cui guizzò un'immensa scintilla

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    elettrica. I cieli ardevano di scariche continue, mentre si formarono delle nubi nere come la fuliggine che trasformarono i giorni in una notte ininterrotta di immenso terrore. Sembrava che anche il sole stesse immobile per l'orrore di fronte al flagello, poiché, stando ai documenti, per moltissimi giorni la rossa sfera solare rimase ferma, rossa come il sangue, emettendo grandi lingue di fuoco. Poi alla fine le nere nubi si chiusero e tutto fu avvolto dall'oscurità. I venti divennero freddi, poi caldi; migliaia di persone morirono per il cambiamento di temperatura, che mutava continuamente. Il Cibo degli Dei, che qualcuno ha chiamato manna, cadde dal cielo. Senza di esso gli abitanti e gli animali della Terra sarebbero morti di fame, a causa della distruzione dei raccolti, a causa della perdita di tutti gli altri viveri. Uomini e donne vagabondavano da un punto all'altro in cerca di riparo, in cerca di qualche luogo dove potessero far riposare i loro corpi stanchi e tormentati dall'uragano, torturati dalla fatica, pregando per avere tranquillità, sperando di salvarsi. Ma la Terra tremava e rabbrividiva, le piogge la inondavano e per tutto il tempo dallo spazio esterno vennero ondate d'acqua e scariche di elettricità. Con il passare del tempo, man mano che le pesanti nubi nere si allontanavano, si vide che il sole diventava sempre più piccolo. Sembrava che indietreggiasse e gli abitanti della Terra si lamentavano a gran voce per la paura. Credevano che il Dio Sole, Colui che dà la Vita, fuggisse da loro. Ma, cosa ancora più strana, adesso il sole si spostava attraverso il cielo da est a ovest, anziché da ovest verso est come avveniva prima. L'uomo aveva perduto ogni nozione del tempo. Con l'oscurarsi del sole non esisteva nessun metodo in base al quale se ne potesse misurare il passaggio; neanche gli uomini più saggi sapevano quanto tempo prima questi fatti avessero avuto luogo. Nel cielo fu scorta un'altra strana cosa; un mondo, un mondo piuttosto grande, giallo, biconvesso, che sembrava anch'esso sul punto di precipitare sulla Terra. Quello che, come ora sappiamo, era la Luna, sembrò a quell'epoca un avanzo proveniente dalla collisione dei due pianeti. Più tardi le razze dovevano scoprire una grande depressione sulla terra, in Siberia, dove può darsi che la superficie terrestre sia stata danneggiata dalla eccessiva vicinanza di un altro mondo, oppure che si tratti anche di un punto dal quale si era distaccata la Luna. Prima della collisione vi erano state città e alti edifici che contenevano la maggior parte della conoscenza della Razza Superiore. Erano stati abbattuti durante il trambusto ed erano ridotti a cumuli di macerie che celavano tutta quella conoscenza segreta. Gli stregoni delle tribù sapevano che dentro quei cumuli vi erano scatole contenenti esemplari e libri incisi su metallo. Sapevano che tutta la conoscenza del mondo giaceva dentro quei mucchi di rifiuti, sicché si misero al lavoro per scavare e scavare, per vedere ciò che si poteva salvare nei documenti, affinché potessero accrescere il loro potere servendosi della conoscenza della Razza Superiore. Attraverso gli anni successivi, i giorni si fecero sempre più lunghi finché non durarono quasi il doppio rispetto a quelli che precedettero il flagello, e poi la Terra si assestò nella sua nuova orbita, accompagnata dalla sua luna, la Luna che era il risultato di una collisione. Tutta la terra tremava e brontolava, le montagne si ergevano ed eruttavano fiamme, rocce e distruzione. Grandi fiumi di lava si precipitavano di sorpresa dai fianchi delle montagne e distruggendo tutto ciò che si trovava sul loro cammino, ma spesso inghiottendo monumenti e fonti di conoscenza, tanto che il duro metallo su cui molti documenti erano stati scritti non venne fuso dalla lava, bensì protetto da essa, conservato in una custodia di pietra, di pietra porosa che nel corso del tempo si erose , in maniera che i documenti che vi erano racchiusi vennero alla luce e caddero nelle mani di coloro che se ne sarebbero serviti. Ma questo non durò tuttavia per molto tempo. A poco a poco, man mano che la Terra si assestava meglio nella sua nuova orbita, il freddo penetrò in tutto il mondo, mentre gli animali morivano o si spostavano verso zone più calde. Il mammut e il brontosauro si estinsero poiché non riuscirono ad adattarsi alle nuove forme di vita. Il ghiaccio cadde dal cielo e i venti si fecero rigidi. C'erano ormai molte nuvole, mentre prima non ce n'era stata quasi nessuna. Il mondo era un luogo molto cambiato; i mari avevano le maree, mentre prima erano stati laghi tranquilli increspati al massimo da un venticello di passaggio. Adesso ondate enormi si alzavano fino al cielo e per molti anni le

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    maree furono immense e minacciarono di inghiottire la terraferma e di sommergere gli esseri umani. Anche il firmamento appariva diverso. Di notte si videro strane stelle al posto di quelle note e la Luna era molto vicina. Germogliarono nuove religioni poiché i sacerdoti di quell'epoca cercarono di mantenere il loro potere e di dare una spiegazione degli avvenimenti. Essi dimenticarono molte cose riguardo alla Razza Superiore, si preoccuparono soltanto del loro potere, della loro importanza. Tuttavia non potevano dire come ciò fosse capitato o accaduto. Essi lo attribuirono alla collera di Dio e insegnarono che ogni uomo era nato nel peccato. Con il trascorrere del tempo, mentre la Terra si sistemava nella sua nuova orbita e mentre le condizioni atmosferiche si facevano più serene, l'umanità diventava più piccola e più bassa. Passarono i secoli e le terre divennero più stabili. Comparvero molte razze quasi in via sperimentale, le quali lottarono, si indebolirono e scomparvero, per essere sostituite da altre. Alla fine si sviluppò un tipo più forte e la civiltà ricominciò, la civiltà che fin dal suo primo nascere portò un ricordo razziale di un terribile flagello, e alcuni tra i più illuminati fecero ricerche per scoprire ciò che era realmente accaduto. Ormai il vento e la pioggia avevano compiuto la loro opera. Dai frammenti di lava incominciarono ad affiorare gli antichi documenti e gli esseri umani di intelligenza superiore che adesso erano sulla terra furono capaci di raccoglierli e di sottoporli all'esame dei loro stregoni, i quali alla fine, dopo molti sforzi, riuscirono a decifrare alcuni degli scritti. Appena una minima parte dei documenti divenne leggibile e gli scienziati dell'epoca incominciarono a capirli, essi incominciarono a cercarne affannosamente altri, per mezzo dei quali ricomporre il quadro completo degli insegnamenti e colmare le lacune. Furono intraprese grandi opere di scavo e vennero alla luce molte cose interessanti. Allora la nuova civiltà effettivamente germogliò. Si costruirono città e centri abitati e la scienza incominciò la sua corsa precipitosa verso la distruzione. Si mette sempre in risalto la distruzione, purché le minoranze raggiungano il potere. Non si tenne assolutamente conto che l'uomo potesse vivere in pace e che la mancanza di pace aveva provocato le precedenti sventure. Per molti secoli la scienza esercitò il suo dominio. I sacerdoti si fecero passare per scienziati e misero fuori legge tutti quegli scienziati che non erano nello stesso tempo sacerdoti. Accrebbero il loro potere; adoravano la scienza, facevano tutto quello che potevano per tenere il potere nelle loro mani per schiacciare l'uomo comune e per impedirgli di pensare. Pretesero di essere essi stessi degli dei; nessuna opera poteva essere compiuta senza il benestare dei sacerdoti. I sacerdoti prendevano ciò che volevano: senza impedimenti, senza opposizione, mentre per tutto il tempo aumentarono il loro potere, finché sulla Terra essi non furono onnipotenti in senso assoluto, dimenticando che il potere assoluto corrompe gli esseri umani. Grandi velivoli senza ali attraversavano l'aria, l'attraversavano senza emettere alcun suono, oppure rimanevano sospesi immobili come neanche gli uccelli riuscivano a fare. Gli scienziati avevano scoperto il segreto di controllare la gravità e la forza antigravitazionale, nonché di sfruttarle a favore del loro potere. Immensi blocchi di pietra venivano manovrati e collocati dove si voleva da un solo uomo e per mezzo di un piccolissimo congegno, che si poteva tenere nel palmo della mano. Nessun lavoro era troppo gravoso, in quanto l'uomo si limitava ad azionare le sue macchine senza fare alcuno sforzo. Immense macchine sferragliavano su tutta la superficie della Terra, ma nulla si muoveva sulla superficie del mare tranne che per diporto, poiché viaggiare per mare era troppo lento tranne che per coloro che desiderassero godersi il vento e le onde. Ogni cosa viaggiava attraverso l'aria, oppure via terra per tragitti più brevi. La gente si trasferiva su diversi territori e fondava colonie. Ma ormai aveva perduto il suo potere telepatico, in seguito al flagello della collisione. Ormai non parlava più un linguaggio comune; i dialetti si fecero sempre più penetranti, finché alla fine non furono lingue completamente diverse e incomprensibili tra loro. La mancanza di comunicazione e l'insuccesso nel comprendersi reciprocamente, nel comprendere i rispettivi punti di vista, fecero sì che tra le razze sorgessero divergenze e incominciassero le guerre. Furono inventate armi terribili. Le lotte infuriarono ovunque. Uomini e donne rimanevano menomati, e i terribili raggi che venivano prodotti stavano

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    provocando molte mutazioni nella razza umana. Passarono gli anni, la lotta si fece più accanita e la carneficina più orrenda. Ovunque gli inventori, spronati dai loro sovrani, si sforzavano di creare armi più mortali. Gli scienziati lavoravano per escogitare dispositivi di offesa ancora più spaventosi. Furono allevati germi trasmettitori di malattie e lanciati tra i nemici da aeroplani che volavano ad alta quota. Le bombe abbattevano i sistemi di fognatura, sicché malattie e pestilenze infuriarono su tutta la Terra distruggendo esseri umani, animali e piante. Il mondo veniva spinto alla distruzione. In un remoto distretto, molto distante dal conflitto, un gruppo di sacerdoti lungimiranti, i quali non erano stati contaminati dalla sete di potere, presero delle sottili lastre d'oro e vi incisero la storia della loro epoca, vi incisero le mappe del firmamento e dei territori. Affidarono a esse i più riposti segreti della loro scienza e misero solennemente in guardia contro i pericoli che sarebbero capitati a coloro i quali avessero abusato di questa conoscenza. Trascorsero anni, durante i quali vennero preparate queste lastre, che poi, insieme a esemplari autentici delle armi, degli utensili, dei libri e di tutte le cose utili, furono occultate nella pietra e nascoste in diversi posti, affinché i loro successori conoscessero il passato e, come era auspicabile, se ne giovassero. Infatti quei sacerdoti erano a conoscenza dell'andamento dell'umanità; sapevano ciò che doveva accadere e quanto previsto si avverò. Una nuova arma fu fabbricata e sperimentata. Una nuvola fantastica salì vorticosamente nella stratosfera, mentre la Terra tremò, vacillò di nuovo e sembrò oscillare sul suo asse. Immensi muri d'acqua si sollevarono sulla terraferma e spazzarono via molte razze dell'uomo. Ancora una volta le montagne sprofondarono sotto i mari e altre ne emersero al loro posto. Alcuni uomini, donne e animali, i quali erano stati avvertiti da quei sacerdoti, si salvarono salendo a bordo di navi e mettendosi al riparo dai gas velenosi e dai germi che devastavano la Terra. Altri uomini e donne furono portati in alto nell'aria man mano che i territori sui quali abitavano si sollevavano; altri, non altrettanto fortunati, furono portati giù, forse al disotto dell'acqua o forse sprofondarono, man mano che le montagne si chiudevano sulle loro teste. Il Diluvio Universale, le fiamme e i raggi mortali uccisero milioni di individui, di persone; al mondo restavano ormai soltanto pochissimi individui, isolati gli uni dagli altri dal capriccio della catastrofe. Erano mezzo impazziti per via del disastro, usciti di senno per via del frastuono terrificante e della confusione. Per molti anni si nascosero nelle caverne e nelle fitte foreste. Dimenticarono tutti la cultura e tornarono allo stato selvaggio, come agli albori dell'umanità, coprendosi di pelli e dipingendosi con il succo delle bacche, portando in mano bastoni ornati di pietre silicee. Alla fine si formarono nuove tribù, che vagarono sulla nuova superficie del mondo. Alcune si insediarono in quello che ora è l'Egitto, altre in Cina, ma quelle che occupavano piacevoli località poco elevate sul mare, cosa che era stata molto favorita dalla razza superiore, si trovarono a molte migliaia di piedi di altezza, circondate dalle interminabili montagne e su un territorio che si raffreddava rapidamente. Nell'aria rigida e rarefatta morirono a migliaia. I sopravvissuti divennero i capostipiti del moderno e coraggioso tibetano, appartenente alla regione che oggi è il Tibet. Questo era stato il luogo in cui il gruppo di sacerdoti lungimiranti si era servito delle sue sottili lastre d'oro e vi aveva inciso tutti i suoi segreti. Queste lastre, insieme a tutti gli esemplari delle loro arti e mestieri, erano state nascoste in una profonda caverna nel cuore di una montagna, per diventare accessibili a una razza sacerdotale più recente. Altre vennero nascoste in una grande città che si trova adesso sull'Altopiano del Tibet. Tuttavia ogni cultura non si estinse del tutto, anche se il genere umano era tornato allo stato selvaggio, alle Epoche della Desolazione. Ma su tutta la superficie terrestre vi erano punti isolati in cui piccoli gruppi di uomini e donne lottavano per tenere viva la conoscenza, per mantenere accesa la fiamma vacillante dell'intelletto umano, un piccolo gruppo che continuava a battersi alla cieca nell'oscurità infernale dell'inciviltà. Per tutti i secoli che seguirono vi furono molte forme di religione, molti tentativi di scoprire la verità su quanto era accaduto, mentre dall'inizio alla fine la conoscenza rimase nascosta nelle profonde caverne del Tibet, incisa su lastre d'oro indistruttibili, stabili, incontaminate, che attendevano coloro che le avrebbero scoperte e

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    decifrate. A poco a poco l'uomo progredì nuovamente. Il buio dell'ignoranza cominciò a dissiparsi. La brutalità si tramutò in una forma di semiciviltà. Ci fu in effetti una specie di progresso. Si eressero di nuovo città e le macchine volarono nel cielo. Ancora una volta le montagne non furono un ostacolo, l'uomo percorreva tutto il mondo attraverso i mari e sulla terra. Come era già avvenuto, l'uomo, accrescendo la sua conoscenza e il suo potere, divenne arrogante e oppresse i popoli più deboli. Ci fu agitazione, odio, persecuzione e tradimento. Il popolo più forte opprimeva quello più debole. I popoli più deboli elaborarono macchine e vi furono guerre, ancora guerre che duravano anni. Mai si produssero tante armi nuove e più terribili. Ciascuna parte cercava di scoprire le armi più tremende di tutte, mentre in tutto quel tempo la conoscenza rimaneva nelle caverne del Tibet. Contemporaneamente sull'Altopiano del Tibet si trova una grande città desolata, incustodita, che contiene la conoscenza più preziosa del mondo, che attende coloro che vorranno entrare a vedere, che giace in attesa.

    LA CITTA' TRA I GHIACCI 1-209 Continuammo ad arrancare nella nebbia gelida, umida e vischiosa, dirigendoci faticosamente,

    infelici, non sapevamo dove. Stringendoci addosso le vesti in cerca d'una illusione di calore. Con il fiato corto e il corpo percorso da brividi per il freddo intenso. Sempre e sempre più avanti. E poi ci fermammo di colpo, pietrificati dallo stupore e dallo spavento. La nebbia stava diventando calda, il suolo stava diventando ardente. Coloro che si trovavano dietro di noi non si erano ancora spinti così avanti; non vedevano nulla e vennero a urtarci contro. Riprendendoci alquanto dallo stupore nell'udire le risa del lama Mingyar Dondup, riprendemmo il cammino alla cieca, tastando con la mano colui che ci precedeva, mentre l'uomo in prima fila tastava il terreno dinanzi a sé, senza veder nulla, con il bastone. Sotto i nostri piedi, pietre minacciarono di farci inciampare e cadere, sassi rotolarono. Pietre? Sassi? Dove si trovava allora il ghiacciaio, dove si trovavano i ghiacci? Del tutto improvvisamente, la nebbia si diradò e ci trovammo al di là di essa. A uno a uno ci facemmo avanti barcollando e... be', mentre mi guardavo intorno, credetti di essere morto di freddo e di trovarmi nei Campi Celesti. Mi stropicciai gli occhi con le mani calde; mi pizzicai e sfregai le nocche contro una roccia per constatare se fossi carne o puro spirito. Ma poi tornai a guardarmi intorno; i miei otto compagni si trovavano intorno a me. Era mai possibile che fossimo stati trasportati tutti, e in modo così improvviso, nei Campi Celesti? E se così era, dove si trovava il decimo componente del gruppo, quello ch'era andato a sfracellarsi contro la parete rocciosa? Ed eravamo, poi, proprio tutti degni del paradiso che vedevo dinanzi a noi? Soltanto trenta battiti del cuore ci separavano dal momento in cui avevamo rabbrividito di freddo, dall'altro lato della cortina di nebbia. Ora ci trovavamo quasi al margine del collasso per la gran calura! L'aria tremolava, il terreno fumava. Una sorgente ribolliva fuori della terra, proprio ai nostri piedi, sospinta da getti di vapore. Intorno a noi si stendevano verdi prati, più verdi di quanti ne avessi mai veduti. Piante dalle larghe foglie crescevano alte, arrivando più in su delle nostre ginocchia. Lo stupore e la paura ci attanagliavano. … Ci guardammo intorno, troppo spaventati, quasi, per muoverci, e la mia guida parlò ancora: “Superiamo con un balzo questo ruscello, superiamolo con un balzo perché l'acqua è bollente. Pochi chilometri ancora e ci troveremo in un luogo davvero meraviglioso dove potremo riposarci”. Aveva ragione, come sempre. Cinque chilometri più avanti, circa, ci allungammo sul terreno rivestito di muschio completamente nudi, in quanto avevamo l'impressione di bollire. Lì crescevano alberi come non ne avevo mai veduti, e come probabilmente non ne vedrò mai più. Fiori dalle tinte assai vivide tappezzavano ogni cosa. Rampicanti allacciavano i tronchi d'albero e pendevano dai rami. A destra della piacevole radura nella quale stavamo riposando, vedevamo un laghetto e

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    le increspature e i cerchi sulla sua superficie denotavano la presenza di vita in quelle acque. Continuavamo a sentirci stregati, ed eravamo certi di essere stati uccisi dal calore, passando su un altro piano dell'esistenza. Oppure ci aveva uccisi il gelo? Non lo sapevamo! La vegetazione era lussureggiante; ora che ho viaggiato per il mondo, direi che si poteva considerarla tropicale. Vedevamo uccelli di una specie che ancor oggi non conosco. Il terreno era di natura vulcanica. Sorgenti calde sgorgavano dal suolo e si sentivano odori sulfurei. La mia guida ci disse che, a quanto egli sapeva, esistevano soltanto due luoghi come quelli nella regione delle alte montagne. Disse che il calore sotterraneo e le sorgenti calde scioglievano il ghiaccio e che le alte pareti rocciose della valle intrappolavano l'aria calda. La densa nebbia bianca attraverso la quale eravamo passati, segnava il punto d'incontro tra correnti calde e correnti fredde. Ci disse inoltre di aver veduto scheletri di animali giganteschi, scheletri che, in altri tempi, dovevano aver sostenuto il peso di esseri alti anche sei o nove metri. In seguito vidi io stesso queste ossa. In questo luogo, scorsi per la prima volta uno yeti. Mi trovavo chino, intento a raccogliere erbe medicinali, quando un non so che mi indusse ad alzare gli occhi. Ed ecco, a meno di dieci metri da me, la creatura della quale avevo sentito tanto parlare. I genitori nel Tibet minacciano spesso i bambini cattivi dicendo: “Comportati bene, altrimenti uno yeti ti porterà via!”. E ora pensai che uno yeti stava per portar via me. E la prospettiva non mi rese affatto felice. Ci fissammo a vicenda, paralizzati entrambi dallo spavento, per un periodo di tempo che parve un'eternità. Lo yeti mi stava additando con una mano, ed emetteva un curioso suono miagolante simile a quello di un gattino. Il cranio sembrava non avere lobi frontali, ma era inclinato all'indietro partendo quasi dalle foltissime sopracciglia. Il mento era molto sfuggente e i denti erano larghi e sporgenti. Ciononostante, la capacità cranica sembrava simile a quella dell'uomo moderno, a eccezione della fronte mancante. Mani e piedi erano grandi e i piedi erano volti in fuori. Le gambe erano arcuate e le braccia molto più lunghe del normale. Notai che la creatura si appoggiava, camminando, sul lato esterno dei piedi, come gli esseri umani. (Le scimmie e gli antropoidi non camminano appoggiandosi alla superfici e esterna dei piedi). Mentre guardavo e forse trasalivo di paura, o per qualche altra ragione, lo yetí strillò, si voltò e balzò via. Sembrava, spiccare balzi "su una sola gamba" e il risultato faceva pensare a passi giganteschi. Anche il mio impulso fu quello di fuggire, nella direzione opposta! … Qualche giorno dopo, vedemmo alcuni yeti in lontananza. Si affrettarono a nascondersi e noi ci guardammo bene dal provocarli. Il lama Mingyar Dondup ci disse che questi yeti erano esponenti primitivi della razza umana; avevano seguito un corso diverso dell'evoluzione e potevano sopravvivere solo nelle località più isolate. Molto spesso accadeva di sentir parlare di yeti che avevano abbandonato la regione delle alte montagne ed erano stati veduti correre a balzi in vicinanza delle regioni abitate. … Posso solo dire di aver veduto yeti adulti e yeti bambini. Ho veduto anche scheletri di yeti. Alcune persone hanno espresso dubbi sulla mie affermazioni concernenti gli yeti. A quanto pare sono stati scritti su di essi volumi basati su supposizioni, ma nessuno di questi autori ha veduto un solo yeti, come ammettono. Io li ho veduti. Alcuni anni fa Marconi venne deriso allorché affermò che avrebbe trasmesso un messaggio via radio attraverso l'Atlantico. I medici dell'Occidente asserirono solennemente che l'uomo non avrebbe potuto superare la velocità di ottanta chilometri all'ora, altrimenti la pressione dell'aria lo avrebbe ucciso. Vi sono state leggende su un pesce che veniva descritto come un "fossile vivente". Ora gli scienziati hanno veduto questi pesci, li hanno catturati, dissezionati. E se gli occidentali potessero fare a modo loro, i nostri poveri, antichi yeti verrebbero catturati, dissezionati e conservati nell'alcol. Noi riteniamo che gli yeti siano stati costretti a rifugiarsi sulle alte montagne, e che altrove, tranne rarissimi vagabondi, siano estinti.

    1-214 Crescevano in questi luoghi erbe estremamente rare, e soltanto per esse avevamo compiuto il viaggio. Vi abbondavano anche frutti, frutti come non ne avevamo mai veduti. Li assaggiammo, li apprezzammo e ce ne saziammo... ma la penitenza fu dura. Durante la notte e per tutta la giornata successiva dovemmo darci un gran da fare a raccogliere erbe medicinali. I

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    nostri stomachi non erano abituati a quel cibo. Dopo di allora, non toccammo più i frutti! Ci caricammo fino al massimo limite di erbe e di piante e tornammo sui nostri passi attraverso la nebbia. Il freddo, dall'altro lato, era terribile. Probabilmente, provammo tutti l'impulso di tornare indietro e di stabilirci nella tiepida lussureggiante valle.

    2-7 Partecipai inoltre a una memorabile spedizione nella zona più inaccessibile del Tibet, nel punto più elevato dell'Altopiano del Tibet. Qui noi della spedizione scoprimmo una valle profondamente isolata fra crepacci rocciosi, scaldata dal fuoco eterno della Terra, che faceva traboccare le acque bollenti e le riversava nel fiume. Scoprimmo anche una città maestosa, metà della quale era esposta all'aria calda della valle segreta e l'altra metà era immersa nella luminosità di un ghiacciaio. Il ghiaccio era talmente trasparente che l'altra parte della città era visibile come attraverso il più limpido specchio d'acqua. Il settore della città che si era disgelato era quasi intatto. Infatti il trascorrere degli anni non aveva danneggiato gli edifici. L'aria immobile, l'assenza del vento li avevano preservati dal guasto derivante dall'attrito. Camminammo lungo le strade, essendo le prime persone a percorrerle da migliaia e migliaia di anni. Vagammo senza meta tra le case che sembravano in attesa dei loro proprietari, finché guardando meglio non vedemmo strani scheletri pietrificati e ci rendemmo conto che si trattava di una città morta. Vi erano molti congegni fantastici che denotavano che un tempo questa valle nascosta era stata sede di una civiltà molto più grande di qualunque altra apparsa sulla faccia della Terra. Questo ci provò in maniera definitiva che in confronto alla gente di quell'epoca eravamo tuttora dei selvaggi.

    2-150 La mia Guida, il Lama Mingyar Dondup, alcuni compagni e io, eravamo partiti dal Potala dai tetti d'oro, a Lhasa, alla ricerca di erbe rare. Per diverse settimane avevamo viaggiato salendo, sempre salendo, addentrandoci nel gelido Settentrione, nell'Altopiano del Tibet o Shamballah, come qualcuno lo chiama. ... Qui, a quasi 25.000 piedi (circa 7500m) sul livello del mare, il cielo era di color porpora vivace, in confronto al quale le rare chiazze di nuvole che lo attraversavano veloci erano incredibilmente bianche. … Seguitammo ad arrampicarci, mentre il terreno diventava sempre più impervio a ogni passo. I polmoni ci raschiavano in gola. … Alla fine arrivammo di nuovo a quella misteriosa fascia nebbiosa e la attraversammo, mentre il terreno sotto i nostri piedi diventava sempre più caldo e l'aria intorno a noi si faceva sempre più mite e confortante. A poco a poco emergemmo dalla nebbia nel paradiso lussureggiante di quell'incantevole santuario. Di fronte a noi stava di nuovo quella terra appartenente a un'epoca da tempo trascorsa. Quella notte ci riposammo nel tepore accogliente della Terra Segreta. Era meraviglioso dormire su un soffice letto di muschio e respirare il dolce profumo dei fiori. Qui in questa regione c'erano frutti che non avevamo mai assaggiato, frutti che gustammo e provammo ancora. Era splendido, inoltre, poter fare il bagno nell'acqua calda e stendersi comodamente su una sponda dorata. Il giorno seguente andammo avanti, salendo sempre più in alto, ma ormai non eravamo più preoccupati. Avanzammo attraverso gruppi di rododendri, passammo accanto ad alberi di noce e ad altri di cui ignoravamo il nome. ... Il giorno dopo riprendemmo la nostra marcia, ma avevamo percorso soltanto due o tre miglia quando all'improvviso, inaspettatamente, sbucammo in una radura aperta, un punto in cui gli alberi terminavano e davanti a noi .... Guardammo. La radura di fronte a noi era vasta. Di fronte a noi c'era una pianura che si estendeva da un lato all'altro per più di cinque miglia. Nella sua parte estrema c'era un'immensa lastra di ghiaccio che si protendeva verso l'alto, come un cristallo che toccava il cielo, come se in effetti fosse una finestra sul cielo, o una finestra sul passato. Infatti, al di là di questa lastra di ghiaccio, potevamo vedere, come attraverso un limpidissimo specchio d'acqua, una città, intatta, una strana città, di cui non avevamo mai visto l'uguale neanche nei libri illustrati che avevamo al Potala. Degli edifici sporgevano dal ghiacciaio. La maggior parte di essi era in buono stato di conservazione, in quanto il ghiaccio si era sciolto pian piano sotto l'azione dell'aria calda della valle segreta, in modo talmente lieve e graduale che neanche una pietra o una parte della struttura aveva subito danni. Infatti alcuni di essi erano perfettamente intatti, conservati per un numero imprecisato

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    di secoli dalla meravigliosa aria pura e asciutta del Tibet. In realtà alcuni di quegli edifici apparivano così nuovi da far supporre che fossero stati costruiti forse una settimana prima. La mia Guida, il Lama Mingyar Dondup, ruppe il nostro silenzio reverenziale, dicendo: "Fratelli, mezzo milione d'anni fa questa era la dimora degli Dei. Mezzo milione di anni fa questo era un piacevole luogo di soggiorno sul mare, dove vivevano scienziati appartenenti a una razza e a una specie diversa. Essi provenivano da un posto del tutto diverso, e un giorno vi racconterò la loro storia, ma con i loro esperimenti portarono il disastro sulla Terra e abbandonarono la scena del loro fallimento, lasciandosi dietro le spalle la gente comune del mondo. Provocarono la sventura con i loro esperimenti: il mare si sollevò e gelò, e qui davanti a noi vediamo una città conservata nel ghiaccio eterno fin da quell'epoca, una città che fu inondata, inondata e ghiacciata mentre la terra si sollevava e l'acqua si sollevava con essa". … Mossi da un comune impulso, ci alzammo in piedi e ci avviammo per esplorare gli edifici più vicini. Più ci avvicinavamo, più rimanevamo muti per la sorpresa. Era tutto molto, molto strano. Per un attimo non riuscimmo a capire la sensazione che provavamo. Immaginammo di essere diventati improvvisamente dei nani. Poi trovammo la soluzione. Gli edifici erano immensi, come se fossero stati costruiti da una razza alta il doppio di noi. Sì, era così. Quella gente, quei superuomini, erano alti due volte la gente comune del mondo. Entrammo in qualche edificio e ci guardammo in giro. In particolare uno sembrava una specie di laboratorio, poiché vi erano molti congegni strani, parecchi dei quali, inoltre, funzionavano ancora.

    LA CAVERNA DEGLI ANTICHI

    (Il Lama Mingyar Dondup parla di un’esperienza vissuta da giovane, sotto la guida del suo Maestro, e descrive una caverna, situata ad alta quota in una zona remota e difficilmente raggiungibile, il cui angusto ingresso era stato scoperto da una frana) 4-64 “Il Supremo (il Dalai Lama) mi ha dato il permesso di raccontarti della Caverna degli

    Antichi”, disse, aggiungendo subito dopo, “o piuttosto, il Supremo mi ha suggerito di parlartene”. … “Manderemo là una spedizione tra qualche giorno”. … “Ora siediti tranquillamente e ti parlerò della scoperta della Caverna degli Antichi”. …

    4-66 “Feci un passo indietro per vedere se il mio Maestro fosse salito più in alto, .. ma non vidi niente. Pieno di paura guardai nella crepa. Era buia come una tomba. Centimetro dopo centimetro, penosamente piegato, vi penetrai. Dopo cinque metri mi trovai davanti a un angolo brusco, poi un altro e un altro ancora. Se non fossi stato paralizzato dalla paura avrei gridato per la sorpresa; qui c’era una luce, una dolce luce argentea, più forte della più chiara luce lunare. Una luce che non avevo mai visto prima. La caverna in cui mi trovavo ora era spaziosa, con un tetto che non riuscivo a scorgere nel buio sopra la mia testa. …La caverna assomigliava a un’ampia sala che si stendeva a perdita d’occhio come se la montagna fosse stata vuota internamente. La luce era dappertutto, veniva giù dall’alto da un certo numero di globi che sembravano sospesi nel buio della volta. Il posto era pieno zeppo di apparecchi strani, apparecchi che non avremmo potuto immaginare. Persino dall’alta volta pendevano apparecchi e meccanismi. Alcuni, notai con molto stupore, erano coperti da quello che sembrava vetro trasparentissimo. … A questo punto avevamo dimenticato il mio Maestro; quando apparve improvvisamente trasalimmo tutti per la paura! Sogghignò vedendo il nostro sguardo fisso e l’espressione sbigottita delle nostre facce. Adesso, notammo, non era più in preda a quella strana forza che lo aveva dominato. Insieme a lui girammo per la sala, osservando quelle strane macchine. Non riuscivamo a capire a cosa servissero. Per noi, erano soltanto un ammasso di metallo e di stoffa con forme strane ed esotiche. Il mio Maestro si

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    avvicinò a un pannello nero abbastanza grande inserito in una delle pareti della caverna. Mentre stava per toccarne la superficie, il pannello si aprì. Ormai eravamo quasi sul punto di credere che tutto il posto fosse incantato, oppure che fossimo caduti sotto una forza allucinante. Il mio Maestro, allarmato, balzò indietro. Il pannello nero si richiuse. Con grande coraggio, uno dei miei compagni allungò la mano e il pannello si aprì di nuovo. Una forza alla quale non potevamo opporre resistenza ci spinse in avanti. Lottando invano a ogni passo, fummo, in qualche modo, obbligati a passare attraverso la porta che si era aperta. Dentro tutto era nero, nero come il buio di una cella d’eremita. Ancora sotto la spinta irresistibile, vi penetrammo per qualche metro e poi ci sedemmo per terra. Per alcuni minuti rimanemmo seduti, tremando per la paura. Visto che non succedeva niente ritrovammo un po’ di calma, e poi sentimmo una serie di suoni secchi come se si battesse e fregasse metallo contro metallo. … Lentamente, quasi impercettibilmente, un bagliore vago si formò nell’oscurità davanti a noi. Dapprima era solo una traccia di luce azzurro-rosa, quasi come se uno spettro si stesse materializzando davanti ai nostri occhi. Quella luce vaga si estese, si fece più forte e ci permise di vedere i contorni delle macchine incredibili che riempivano quella grande sala e tutto il resto tranne il centro del pavimento sul quale eravamo seduti. La luce si raccolse su se stessa, vorticando, perdendo d’intensità, diventando più forte, e poi prese e mantenne una forma sferica. Ebbi la strana e inspiegabile sensazione che le macchine antichissime scricchiolassero ed entrassero in azione dopo un’eternità di riposo. Ci stringemmo insieme tutti e cinque, là sul pavimento, letteralmente incantati. Avvertii delle sollecitazioni nella mia mente, come se dei lama telepatici dementi stessero giocando, poi l’impressione mutò e si fece chiara come la parola. … Dentro quella sfera di luce scorgemmo delle immagini, … dapprima confuse ma subito dopo si fecero più chiare e ben presto non erano più immagini ma fatti che noi potevamo vedere. … Questo è quello che sentimmo e vedemmo e tu lo sentirai e vedrai tra poco. Migliaia e migliaia di anni fa esisteva una civiltà molto elevata in questo mondo. Gli uomini potevano volare nel cielo su apparecchi che sfidavano la forza di gravità; gli uomini sapevano costruire apparecchi per imprimere dei pensieri nella mente di altre persone - pensieri che si presentavano sotto forma di immagini. Avevano la bomba atomica e alla fine ne fecero scoppiare una che distrusse quasi tutto il mondo, dei continenti sprofondarono sotto le acque degli oceani e altri emersero. Il mondo fu decimato, e così, ora, tutte le religioni del mondo ci parlano del Diluvio Universale”. … “Che strano”, dissi, “che tra tutti i paesi del mondo queste macchine si trovino proprio nel nostro!”. “Oh! Ma ti sbagli!”, spiegò la mia Guida. “Esiste una camera simile in un certo posto in Egitto. Ve n’è un’altra con macchine identiche in un luogo che si chiama America Meridionale. Le ho viste, so dove sono. Queste camere segrete furono nascoste dalle antiche popolazioni affinché il loro contenuto fosse scoperto da una generazione più tarda, quando il momento fosse maturo. Questa frana improvvisa ha accidentalmente rivelato l’ingresso della camera nel Tibet, e una volta dentro, venimmo a conoscenza delle altre camere. … Presto sette di noi - e tu sei incluso - partiremo e ci recheremo ancora una volta a visitare la Caverna degli Antichi”.

    4-69 Circa due settimane dopo la mia conversazione con il Lama Mingyar Dondup, fummo pronti per partire, pronti per la lunga, lunga scalata sulle montagne, attraverso le gole e i sentieri scoscesi poco noti. I Comunisti sono nel Tibet ora: per questa ragione la posizione della Caverna degli Antichi è deliberatamente tenuta nascosta, perché la Caverna esiste veramente, e il possesso degli oggetti che vi si trovano darebbe ai Comunisti la possibilità di conquistare il mondo. Tutto questo, tutto quello che sto scrivendo è vero, tranne il percorso preciso per raggiungere la Caverna. In un luogo segreto esiste un foglio sul quale è stata segnata la località precisa, con riferimenti e disegni in modo che - quando giungerà il momento - le forze della libertà possano ritrovarla. …

    4-71 Così io, il più piccolo e il meno importante del gruppo, fui il primo a entrare nella Caverna degli Antichi. Vi penetrai, e strisciai attorno agli angoli. Dietro di me sentivo lo stropiccio e il

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    grattare degli uomini più robusti che cercavano di entrare. Improvvisamente fui inondato dalla luce, e per un momento fui quasi paralizzato dalla paura. Rimasi immobile accanto alla parete rocciosa, osservando la scena fantastica all’interno. La Caverna sembrava avere circa il doppio delle dimensioni della Grande Cattedrale di Lhasa. Contrariamente alla Cattedrale, avvolta sempre da un’oscurità che le lampade al burro tentavano invano di disperdere, qui vi era un chiarore più intenso di quello emanato dalla luna piena in una notte senza nuvole. No, era ancora più chiaro; la qualità della luce deve avermi dato l’impressione di luce lunare. Guardai in su verso i globi da cui proveniva l’illuminazione. I lama vennero tutti vicino a me e, come me, guardarono prima di tutto verso la sorgente di luce. La mia Guida disse: “I vecchi documenti indicano che la luce qui dentro era molto più intensa in origine; queste lampade si sono indebolite col passare di centinaia di secoli. Per lungo tempo rimanemmo in silenzio, come se avessimo avuto paura di svegliare coloro che avevano dormito per anni senza fine. Poi, spinti da un impulso comune, attraversammo il massiccio pavimento di pietra e andammo verso la prima macchina che stava, inattiva, davanti a noi. Ci riunimmo attorno a essa, temendo quasi di toccarla, ma curiosi di sapere cosa fosse. Era velata dall’età ma sembrava pronta per essere usata se avessimo saputo a cosa servisse e come farla funzionare. Altri apparecchi attirarono la nostra attenzione, anch’essi senza risultato. Quelle macchine erano di gran lunga troppo progredite per noi. Mi allontanai verso una piccola piattaforma quadrata, di circa un metro di lato, circondata da una ringhiera di protezione che poggiava per terra. Da una macchina vicina usciva una specie di lungo tubo metallico piegato, e la piattaforma era collegata all’altra estremità del tubo. Senza motivo, salii su quel quadrato recintato, chiedendomi cosa potesse essere. Immediatamente sentii una scossa che mi fece quasi morire: la piattaforma diede uno strappo e si alzò nell’aria. Fui talmente spaventato che mi aggrappai disperato alla ringhiera. Sotto di me, i sei lama guardarono in su, costernati. Il tubo si era svolto e portava velocemente la piattaforma verso una delle sfere di luce. Nella mia disperazione, guardai in giù. Ero già a circa nove metri dal suolo, e salivo ancora. Temevo che la sorgente di luce mi bruciasse, fulminandomi come una falena nella fiamma di una lampada al burro. Vi fu un rumore secco e la piattaforma si arrestò. A pochi centimetri dalla mia faccia, la luce splendeva. Timidamente allungai la mano e la sfera era fredda come il ghiaccio. Avevo ormai riacquistato la padronanza di me stesso e mi guardai attorno. Poi fui agghiacciato da un pensiero: come avrei fatto a scendere? Saltellai da un lato all’altro, cercando di scoprire una via d’uscita, ma sembrava che non ve ne fosse. Tentai di toccare il lungo tubo, sperando di poterlo usare per scivolare verso terra, ma era troppo distante. Proprio nel momento in cui stavo perdendo ogni speranza, vi fu un altro scatto e la piattaforma cominciò a scendere. Senza aspettare che toccasse il pavimento saltai giù. Volevo essere sicuro di non essere riportato su. Contro la parete opposta era appoggiata una grande statua, che mi faceva venire i brividi solo a guardarla. Rappresentava il corpo di un gatto rannicchiato ma con la testa e le spalle di donna. Gli occhi sembravano vivi; la faccia aveva un’espressione a metà beffarda e a metà interrogatoria che mi spaventava alquanto. Uno dei lama era inginocchiato per terra e guardava molto attentamente dei segni strani. “Guardate!”, chiamò, “questa scrittura ideografica mostra uomini e gatti che parlano, indica evidentemente un’anima che lascia il corpo e vaga per gli inferi”. Era preso da uno zelo scientifico, prestando tutta la sua attenzione alle immagini sul pavimento - “geroglifici” li chiamava - e aspettandosi che anche noi condividessimo il suo entusiasmo. Quel Lama era un uomo altamente preparato che imparava le lingue antiche senza alcuno sforzo. Gli altri stavano trafficando attorno agli strani apparecchi, nel tentativo di scoprire a cosa servissero. Un grido improvviso attirò la nostra attenzione causando un certo allarme. Il Lama alto e magro si trovava vicino alla parete opposta e sembrava che non riuscisse a staccare la faccia da una scatola di metallo opaco. … Poi quello alto e magro si spostò e un altro prese il suo posto. Da quello che potevo capire, vedevano delle macchine che si muovevano nella scatola. Finalmente la mia Guida ebbe pietà di me e mi alzò verso una cosa che fungeva apparentemente da ‘occhiale’. Quando mi alzò e

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    poggiai le mani su una maniglia, come mi fu detto di fare, vidi all’interno di quella scatola degli uomini, e le macchine che si trovavano nella Sala. Gli uomini facevano funzionare le macchine. Vidi che la piattaforma sulla quale ero salito fino alla sfera di luce poteva essere comandata e che era una specie di ‘scala’ mobile o piuttosto un apparecchio che avrebbe permesso di fare a meno di scale. La maggior parte delle macchine che si trovavano qui, notai, erano dei veri modelli funzionanti come ne avrei visto, negli anni a venire, nei Musei delle Scienze in tutto il Mondo. Ci spostammo verso il pannello di cui mi aveva parlato il Lama Mingyar Dondup in precedenza e che, al nostro avvicinarci, si aprì con un cigolio stridente, così forte nel silenzio di quel luogo da farci sobbalzare tutti dalla paura. All’interno vi era un’oscurità talmente profonda che sembrava di essere sommersi in nuvole di buio vorticanti. I nostri piedi erano guidati da solchi poco profondi nel pavimento. Avanzammo trascinando i piedi, e quando i solchi terminarono, ci sedemmo per terra. In quel momento, udimmo una serie di rumori secchi, come se del metallo fosse fregato contro dell’altro metallo, e quasi impercettibilmente la luce si fece avanti nel buio e lo spinse da parte. Ci guardammo intorno e vedemmo altre macchine, strane macchine. Qui vi erano delle statue e delle immagini scolpite sul metallo. Prima che potessimo vedere di più, la luce si raccolse, formando un globo ardente nel centro della Sala. Dei colori guizzarono senza una meta precisa, e dei fasci di luce che non avevano un significato evidente, vorticarono attorno al globo. Si formarono delle immagini, all’inizio indistinte, poi sempre più nitide e vere, con un effetto tridimensionale. Guardammo attentamente...Quello era il mondo di Tanto Tempo Fa. Quando il mondo era molto giovane. Dove adesso c’è il mare, allora esistevano le montagne, e i piacevoli luoghi di villeggiatura sul mare erano allora cime di montagne. La temperatura era più elevata e strane creature percorrevano la terra. Era un mondo di progresso scientifico. Strane macchine viaggiavano a pochi centimetri dalla superficie terrestre, o volavano nell’aria a un’altezza di chilometri. Templi grandissimi ergevano le loro guglie verso il cielo, come se sfidassero le nuvole. Gli Animali e gli Uomini comunicavano telepaticamente. Ma non vi era la felicità perfetta; i politicanti lottavano contro altri politicanti. Il mondo era un campo diviso in cui ogni parte desiderava possedere le terre dell’altra parte. Il sospetto e la paura erano le nuvole sotto le quali l’uomo comune viveva. I preti di entrambe le parti proclamavano di essere gli unici favoriti dagli dei. Nelle immagini davanti ai nostri occhi vedevamo dei preti che predicavano - come oggigiorno - il proprio tipo brevettato di salvezza. A che prezzo! I preti di ogni setta insegnavano che era ‘compito divino’ uccidere il nemico. Quasi contemporaneamente predicavano che l’Umanità in tutto il mondo era legata da vincoli di fratellanza. L’illogicità di un fratello che uccideva l’altro non veniva loro in mente. Vedevamo grandi guerre che venivano combattute e la maggior parte dei morti e dei feriti erano civili. Le forze armate, protette dalle corazze, per lo più si salvavano. I vecchi, le donne e i bambini, coloro che non combattevano, erano quelli che soffrivano. Vedemmo rapidamente degli scienziati che lavoravano in laboratori per produrre armi ancora più mortali, per produrre proiettili più grandi e più efficaci da lanciare contro il nemico. Una sequela di immagini ci mostrò un gruppo di uomini presi dalla preoccupazione di disegnare ciò che chiamavano una ‘Capsula del Tempo’ (ciò che noi chiamiamo ‘La Caverna degli Antichi’), dove poter immagazzinare per le generazioni future dei modelli funzionanti delle loro macchine e un documento completo, pittorico, della loro cultura e della mancanza di essa. Macchinari immensi scavavano la roccia viva. Orde di uomini installavano i modelli e le macchine. Potemmo veder inserire al loro posto le sfere di luce fredda, con sostanze radioattive inerti che emettevano luce per milioni di anni. Inerti, in quanto non potevano danneggiare gli uomini, attive perché avrebbero prodotto la luce quasi fino alla fine dei tempi. Scoprimmo di riuscire a capire la lingua, poi ci fu mostrata la spiegazione: ricevevamo il messaggio telepaticamente. Camere simili a questa, o ‘Capsule del Tempo’ erano nascoste sotto le sabbie dell’Egitto, sotto una piramide nell’America Meridionale, e in un certo luogo della Siberia. Ogni luogo era segnato dal simbolo dell’epoca: la Sfinge. Osservammo grandi statue della

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    Sfinge, che non ebbe le sue origini in Egitto, e ci fu spiegata la sua forma. L’Uomo e gli Animali comunicavano e lavoravano insieme in quei tempi distanti. Il gatto era l’animale più perfetto in quanto a potere e intelligenza. L’Uomo stesso è un animale, così gli Antichi formarono una figura il cui grande corpo di gatto indicava il potere e la resistenza e su quel corpo misero il petto e la testa di una donna. La testa rappresentava l’intelligenza umana e la ragione, mentre il petto indicava che l’Uomo e gli Animali potevano trarre nutrimento spirituale e mentale l’uno dagli altri. Quel simbolo era diffuso allora come oggigiorno le Statue di Buddha o la Stella di Davide o il Crocefisso. Vedemmo oceani con grandi città galleggianti che si spostavano da paese a paese. Nel cielo volavano apparecchi ugualmente grandi che si muovevano in silenzio. Potevano rimanere stazionari e poi scattare e prendere una velocità fortissima. Sulla superficie, dei veicoli si spostavano a pochi centimetri da terra, retti da un sistema che non potevamo individuare. Dei ponti si stendevano sulle città, sostenendo su. cavi sottili quelle che sembravano essere strade. Mentre stavamo guardando, osservammo un lampo nel cielo, e uno dei ponti più grandi crollò in un rovinio di travi e di cavi. Un altro lampo, e l’intera città quasi si trasformò in gas incandescente. Sulle rovine era sospesa una nube rossa di aspetto maligno che aveva più o meno la forma di un fungo alto migliaia di metri. Le immagini svanirono e scorgemmo di nuovo il gruppo di uomini che aveva disegnato le ‘Capsule del Tempo’. Avevano deciso che era giunto il momento di sigillarle. Vedemmo le cerimonie, vedemmo inserire nella macchina le ‘memorie immagazzinate’. Udimmo il discorso di commiato che diceva a noi - “La Gente del Futuro, se ce ne sarà!”- che l’Umanità stava per distruggersi, molto probabilmente e "all’interno di questi muri sono depositate le testimonianze delle nostre conquiste e follie, perché ne possa usufruire una razza futura, se avrà l’intelligenza di scoprirle, e, una volta scoperte, se sarà capace di capirle”. La voce telepatica si spense, lo schermo si oscurò di nuovo. Rimanemmo seduti in silenzio, stupefatti da quello che avevamo visto. Più tardi, mentre eravamo ancora seduti, la luce tornò, e potemmo notare che veniva dalle pareti della stanza. Ci alzammo e ci guardammo attorno. Anche quella Sala era piena di macchine e vi erano pure molti modelli di città e di ponti, tutti fatti con una specie di pietra o di metallo che non riuscivamo a individuare. Alcuni degli oggetti esposti erano coperti da una sostanza trasparente che ci lasciava perplessi. Non si trattava di vetro; non sapevamo proprio cosa fosse, sapevamo solo che ci impediva veramente di toccare gli oggetti. Improvvisamente balzammo tutti; un occhio rosso minaccioso ci guardava, ammiccava. Ero pronto a scappare quando la mia Guida, il Lama Mingyar Dondup andò verso la macchina con l’occhio rosso. La osservò e toccò le maniglie. L’occhio rosso svanì. Al suo posto apparve, su un piccolo schermo, l’immagine di un’altra stanza collegata alla Sala Principale. Ai nostri cervelli giunse un messaggio: “Quando uscite, andate alla stanza (???), dove troverete il materiale necessario per sigillare tutte le aperture attraverso le quali siete entrati. Se non avete raggiunto lo stadio d’evoluzione per poter far funzionare le nostre apparecchiatura, sigillate questo posto e lasciatelo intatto per coloro che vi seguiranno”. In silenzio uscimmo dalla terza stanza, la cui porta si aprì quando ci avvicinammo. Conteneva molte scatole metalliche perfettamente sigillate e una macchina ‘immagine-pensiero’ che ci diede le indicazioni per aprire le scatole e sigillare l’ingresso della Caverna. Ci sedemmo in terra per discutere di ciò che avevamo visto e provato. “Meraviglioso! Meraviglioso!”, disse un lama. “Non ci vedo niente di meraviglioso”, dissi con impudenza. “Avremmo potuto vedere tutto ciò nel Documento dell’Akasha. Perché non possiamo guardare quelle immagini che rappresentano il corso del tempo per vedere cosa è successo dopo che questo posto fu sigillato?” Gli altri guardarono interrogativamente in direzione dell’anziano della spedizione. Il Lama Mingyar Dondup fece segno di sì con la testa e osservò: “A volte il nostro Lobsang ha dei barlumi d’intelligenza! Mettiamoci composti e vediamo cos’è successo, perché sono curioso quanto voi”. Formammo un cerchio col viso rivolto verso l’interno e le dita incrociate nel modo giusto. La mia Guida iniziò a respirare col ritmo necessario e noi la seguimmo. Lentamente perdemmo le nostre identità terrene e

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    fluttuammo nel Mare del Tempo. Tutto ciò che si sia mai verificato può essere visto da coloro che hanno la capacità di andare coscientemente nell’astrale e di tornarne - sempre coscientemente - con il sapere acquisito. Qualsiasi scena della storia, anche remotissima, può essere vista come se vi si partecipasse. Ricordai la prima volta che avevo conosciuto il ‘Documento dell’Akasha’. … "Con un po’ d’addestramento puoi ricordare tutto ciò che è successo nella tua vita, puoi, allenandoti, ricordare perfino la tua nascita. Puoi raggiungere quello che chiamiamo ‘ricordo totale’ e con questo tornare con la memoria a prima della nascita. Il Documento dell’Akasha è semplicemente la ‘memoria’ del mondo intero. Tutto ciò che è successo sulla Terra può essere ‘ricordato’ nello stesso modo in cui tu puoi ricordare gli avvenimenti passati della tua vita. … ”. Col nostro addestramento fu molto facile selezionare il punto in cui la Macchina si era spenta. Vedemmo gli uomini e le donne, senza dubbio i personaggi eminenti dell’epoca, sfilare fuori dalla Caverna. Delle macchine con delle braccia potenti fecero scivolare quella che sembrava mezza montagna davanti all’ingresso. Le crepe e i crepacci nei punti d’incontro furono sigillati con cura e il gruppo di persone e operai si allontanò. Anche le macchine si allontanarono e per un po’, alcuni mesi, la scena fu tranquilla. Vedemmo un alto prelato sui gradini di un’immensa Piramide che esortava i suoi fedeli alla guerra. Le immagini impresse sui Rotoli del Tempo si susseguirono, cambiarono, e potemmo vedere il campo nemico. Anche là i capi inveivano e farneticavano. Il tempo passava. Vedemmo strisce di vapore bianco nell’azzurro del cielo, e poi quel cielo divenne rosso. Tutto il mondo tremò e fu scosso. Perfino noi che osservavamo la scena provammo vertigine. L’oscurità della notte scese sulla Terra. Nuvole nere, attraversate da saette di fiamme rosse, rotolarono attorno al globo. Le città s’infiammarono e in un baleno erano sparite. Il mare furioso spazzò la terra. Un’onda gigantesca, più alta di quanto lo fosse stato l’edificio più alto, rombò attraverso la superficie terrestre, portando via con sé tutto quello che si trovava sulla sua strada e reggendo in alto, sulla cresta, i relitti di una civiltà morente. La Terra tremò e tuonò nella sua agonia, apparvero crepe smisurate che si richiusero come le fauci enormi di un gigante. Le montagne ondeggiavano come i rami di un salice in una tempesta, ondeggiavano e poi sparivano sotto le acque. Masse di terra si alzavano dai mari e diventavano montagne. L’intera superficie del mondo era in fase di mutamento, di moto continuo. Alcuni superstiti sparsi, dei milioni che avevano abitato la Terra, fuggivano urlando verso le montagne appena sorte. Altri, su imbarcazioni che erano in qualche modo riuscite a rimanere a galla dopo il sollevamento, raggiunsero le terre elevate e fuggirono verso qualsiasi nascondiglio potessero trovare. La Terra stessa si fermò, arrestò il suo moto di rotazione e poi riprese a ruotare nella direzione opposta. Le foreste avvamparono e gli alberi si trasformarono istantaneamente in cenere. La superficie terrestre era desolata, rovinata, carbonizzata, nera. Un gruppetto sparso di abitanti della Terra, impazziti per la catastrofe, nascosti in buche profonde o nelle gallerie di lava dei vulcani estinti, balbettavano accovacciati per il terrore. Dal cielo nero cadeva una sostanza biancastra, dolce, nutriente. Nel corso di secoli il mondo cambiò. ancora; i mari erano terra adesso, e le terre d’una volta erano mari. Una pianura bassa con le sue pareti rocciose crepate e spaccate, fu invasa dalle acque che formarono il Mare noto oggigiorno col nome di Mediterraneo. Un altro mare nelle vicinanze sparì in un’apertura del fondo marino e quando le acque furono sparite e il fondo si fu asciugato, apparve il Deserto del Sahara. Tribù selvagge vagavano per la superficie terrestre e, sedute accanto ai fuochi dei campi, raccontavano vecchie leggende, raccontavano del Diluvio, di Lemuria, dell’Atlantide. Parlavano anche del giorno in cui il Sole si era Fermato. La Caverna degli Antichi rimase sepolta nel fango di un mondo mezzo sommerso. Al sicuro dagli intrusi, stava ben sotto la superficie della Terra. Col tempo i torrenti veloci avrebbero portato via il fango, i detriti e avrebbero permesso alle rocce di innalzarsi nella luce del sole ancora una volta. Finalmente, riscaldata dal sole e raffreddata da una pioggia ghiacciata improvvisa, la parete rocciosa si sarebbe crepata con un rumore fragoroso, aprendo un passaggio per noi. … Ora dovevamo mangiare, dormire, e l’indomani ci saremmo di nuovo guardati in giro per imparare forse

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    qualcosa di nuovo. Poi, compiuta la missione, avremmo murato l’ingresso della Caverna come ci era stato detto. La Caverna avrebbe riposato in pace di nuovo fino a quando fossero ritornati degli uomini di buona volontà e di elevata intelligenza.

    L'ALTRA CAVERNA TRA I MONTI (IL TEMPIO INTERNO) (Lobsang Rampa ed il suo maestro Mingyar Dondup partono per portare aiuto ad un eremita che sta male. Affrontano un duro viaggio, durante il quale devono rimandare indietro i cavalli, poiché questi non riescono più ad avanzare, ed intraprendono poi una difficile scalata per raggiungere l'eremo, situato in vista della città di Lhasa, ma molto più in alto. Una volta raggiunta la destinazione e visitato l'eremita, i due si rifugiano in un tunnel per sfuggire ad una grande frana si sta abbattendo su quella parte di montagna, portandosi via l'eremita, l'eremo e persino la grande roccia su cui esso era stato costruito, facendo svenire e denudando Lobsang Rampa, imprigionando le gambe del suo maestro e chiudendo l'apertura da cui erano entrati. Seguendo le istruzioni del Lama Mingyar Dondup, il giovane Rampa trova, in un ripostiglio nascosto dietro una roccia girevole, candele, vesti ed un sbarra di acciaio, con la quale riesce a liberare il maestro, le cui gambe, pur non presentando rotture, sono profondamente lacerate, fino all'osso, dalle ginocchia in giù. Utilizzando i medicamenti che si erano portati dietro e gli stacci presenti sul posto, il giovane Lama-medico cura il ferito nei limiti del possibile, "incollandogli" i lembi di carne con un apposito unguento, solidificatosi il quale i brandelli di carne rimangono al loro posto, trattenuti anche dalle fasciature. A questo punto il giovane si muove per cercare un'uscita, ma viene richiamato dal maestro.) N.B.: Il termine "universo" viene utilizzato probabilmente come sinonimo di "galassia". 9-13 "Lobsang," disse il Lama sorridendo "questo posto lo conosco da cima a fondo. Esiste da

    circa un milione di anni e fu eretto dalla gente che per prima popolò questo nostro paese. Per una settimana o due saremo abbastanza al sicuro, purché nessuna roccia, spostandosi, abbia bloccato la strada … ".

    9-14 Ancora una volta ci mettemmo in cammino, pesti e ammaccati e, dopo quello che sembrò un percorso interminabile, arrivammo fino a una pietra messa di traverso sul sentiero dove il tunnel finiva, o così credevo. "No, no, non finisce qui", disse il Lama. "Spingi quel lastrone alla base e fallo girare al centro. Poi, se si vuole passare dall'altra parte, basta chinarsi". Feci come mi era stato detto e con un orrendo stridore il lastrone si spostò fino a mettersi in posizione orizzontale, e vi rimase. Per sicurezza lo tenni fermo, mentre il Lama vi strisciava sotto faticosamente, poi lo rimisi a posto abbassandolo. L'oscurità era completa. … "Spegni la candela, Lobsang." disse il Lama Mingyar Dondup "Farò lo stesso con la mia e allora vedremo la luce del giorno. … Adesso basta aspettare qualche attimo … e avremo tutta la luce che vogliamo". … Avrei potuto definirlo un 'buio sonoro', in quanto sembrava di udire una fitta serie di rumori sordi, da cui però fui distolto dall'apparire di una luce simile a quella dell'aurora. Al di sopra di noi, su un lato di ciò che, a quanto pareva, era un ambiente chiuso, apparve una sfera lucente. Era rossa e sembrava fatta di metallo incandescente. Immediatamente il rosso passò al giallo fino a diventare bianco, il bianco azzurro della luce diurna. Ben presto ogni cosa fu resa visibile in tutta la sua cruda realtà. Restai lì a bocca aperta, al colmo della meraviglia di fronte a ciò che vedevo. La sala, se così si può dire, aveva un volume maggiore di quello del Potala, in altri termini avrebbe potuto contenere tutto il Potala. La luce era intensa e rimasi ammaliato dalle decorazioni che si vedevano sulle pareti, nonché dagli strani oggetti che erano sparpagliati sul pavimento, senza tuttavia impedire di

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    passare. "Un posto meraviglioso, Lobsang, non trovi? Fu creato tanti anni fa, più di quanti la mente umana possa concepire. Una volta era il quartier generale di una razza in grado di compiere viaggi spaziali e quasi tutto il resto. Dopo milioni di anni tutto questo ancora funziona, tutto è intatto. Alcuni di noi erano noti come i Guardiani del Tempio Interno. Questo è il Tempio Interno". Mossi qualche passo per esaminare la parete più vicina, che appariva coperta da una specie di scrittura, una scrittura che istintivamente supponevo non appartenesse a nessuna razza terrestre. Il Lama si inserì telepaticamente nei miei pensieri. "Sì," rispose "tutto questo fu costruito dalla razza dei Giardinieri, i quali trasportarono su questo mondo esseri umani e animali". Tacque e indicò una cabina collocata poco distante contro una parete. "Vuoi andare fino là a prendermi due bastoni che in cima ne hanno un altro messo di traverso?". Obbediente, mi avvicinai alla cabina che aveva indicato. Lo sportello si aprì subito e rimasi affascinato dal suo contenuto. Sembrava colma di oggetti d'uso medico. In un angolo c'erano molti di quei bastoni, forniti di una specie di appoggio a una estremità. Ne presi due e mi accorsi che erano in grado di sorreggere un uomo. A quell'epoca non sapevo che si trattava di stampelle, ma ne portai un paio al Lama, il quale se le mise immediatamente sotto le ascelle dalla parte più corta. A circa metà strada tra la parte superiore a quella inferiore sporgeva una specie di manico. Il Lama li impugnò ambedue. … Si allontanò da me e seguitò a curiosare nell'armadio. … Il Lama Mingyar Dondup non aveva perso tempo. Le sue gambe erano rivestite di lucido metallo e appariva in forma perfetta. "Lobsang, prima di guardarci intorno mangiamo qualcosa, perché qui ci staremo suppergiù una settimana. Mentre andavi a prendere queste cose" disse indicando le sacche e la spranga d'acciaio "mi sono messo in contatto telepatico con un amico del Potala, il quale mi ha detto che sta infuriando un vento fortissimo. Mi ha consigliato di rimanere dove siamo, finché il vento non si calmerà. I meteorologi hanno detto che la tempesta si scatenerà per circa una settimana. … Guarda, Lobsang, guarda questa bottiglia. E' il miglior brandy conservato esclusivamente a scopi terapeutici. Penso che possiamo ritenere che il nostro periodo di detenzione qui giustifichi un po' di brandy per dare gusto alla tsampa (cibo a base di orzo abbrustolito, alimento principe dei lama tibetani)". Presi la ciotola che mi porgeva e la fiutai con apprezzamento, ma nel contempo con esitazione… . Tirai su la tsampa non soltanto con le dita, ma aiutandomi anche con la palma della mano destra, e poi tutt'a un tratto - del tutto inaspettatamente - caddi all'indietro. Mi piace dire che mi addormentai per la stanchezza, ma il Lama affermò che ero ubriaco fradicio, quando più tardi lo riferì ridendo all'Abate. … quando mi svegliai quella meravigliosa luce dorata inondava ancora la sala. Guardai in su verso... beh, suppongo che fosse il soffitto, ma questo era talmente in alto che non avrei potuto dire dove fosse. … "E' luce solare, Lobsang, luce solare, e funziona ventiquattr'ore su ventiquattro. Non emana calore, ha esattamente la stessa temperatura dell'aria che ci circonda. Non pensi che è meglio avere una luce come questa anziché candele puzzolenti e fumose? …Sì, questo è il prodigio dei prodigi. Lo conosco da quando sono nato, ma nessuno sa come funziona. … La luce fredda è un'invenzione miracolosa. Questa qui fu inventata circa un milione di anni fa. Perfezionarono un metodo per accumulare la luce del sole e renderla disponibile anche nelle notti più buie. Non l'abbiamo né in città né nel tempio, semplicemente perché non sappiamo come si fa. Questo è l'unico posto che conosco dove esiste questo tipo di illuminazione". … "Come hanno fatto a costruire questa sala?" chiesi mentre giocherellavo con le dita sopra un'iscrizione della parete. Feci un balzo indietro per la paura, all'udire uno scatto inequivocabile, mentre un settore della parete scivolava indietro. "Lobsang! Lobsang! Hai fatto una scoperta. Nessuno di noi che è stato qui sapeva che ci fosse un'altra sala contigua a questa". Con cautela facemmo capolino dal vano della porta che si era aperta. Appena le nostre teste passarono lo stipite, si accese la luce. Notai che, mentre uscivamo della prima grande sala, in nostra assenza la luce si spegneva. … ci dirigemmo verso una grande e strana 'cosa' che si ergeva al centro del pavimento. Era una struttura formidabile. Un tempo era stata risplendente, ma adesso presentava una superficie vetrosa di un grigio smorto. Era alta

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    suppergiù quanto quattro o cinque uomini e somigliava a due piatti messi l'uno sopra all'altro. Le girammo intorno e sull'altro lato vedemmo una scala metallica che si allungava scendendo da una porta della macchina fino a terra. Corsi in avanti … e mi inerpicai avventatamente sulla scala, senza neanche accertarmi che fosse ben fissata. Lo era. Una volta ancora, appena ostruii con la testa il vano della porta, all'interno della macchina si accesero le luci. Il Lama Mingyar Dondup, per non essere da meno, salì anche lui. "Lobsang" disse, "questo è uno dei carri degli dei. Non li hai mai visti guizzare nel cielo?" "Sì, signore," risposi. "… Ma, naturalmente, non ne ho mai visto nessuno così da vicino".

    9-19 Ci guardammo intorno. Sembrava che ci trovassimo in una specie di corridoio fiancheggiato su entrambi i lati da stipetti o armadi, o qualcosa di simile. Comunque, tanto per provare, tirai una maniglia e un grande cassetto scivolò fuori senza difficoltà, come fosse stato appena fabbricato. Dentro c'erano strani meccanismi di ogni sorta. Il Lama Mingyar Dondup, che stava guardando al di sopra della mia spalla, ne prese uno. "Debbono essere parti di ricambio. … Sono sicuro che questi stipetti contengono parti di ricambio quanto basta per far funzionare di nuovo questa cosa". Chiudemmo il cassetto e procedemmo. La luce si spostava davanti a noi e si attenuava man mano che passavamo, finché ben presto arrivammo in un locale spazioso. Appena entrammo, esso si rischiarò di una luce brillante, che ci fece restare senza fiato. Si capiva che si trattava della cabina di comando della cosa, ma ciò che ci aveva sbalordito era il fatto che c'erano degli uomini. Uno stava seduto in quella che nella mia