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Atkins, capitolo 1 Termodinamica La termodinamica si occupa delle trasformazioni di energia e in particolare delle trasformazioni di calore in altre forme di energia (genericamente lavoro). La termodinamica chimica mette in relazione le trasformazioni di energia con le trasformazioni chimiche e/o fisiche di un campione di materia che spes- so le accompagnano (e.g. cambiamenti di stato di aggregazione e/o reazioni chimiche). Sistema (termodinamico) Definiamo sistema termodinamico una regione delimitata dell’universo che costituisce il nostro oggetto di studio. La delimitazione puo’ essere costituita da confini fisici (e.g. le pareti di un recipiente) o semplicemente ideali (e.g. se il sistema e’ una soluzione contenuta in un beaker, il confine fra la soluzione e l’atmosfera non e’ marcato da una parete fisica). Come vedremo, in termodinamica cio’ che non e’ il sistema e’ importante quanto il sistema stesso. Cio’ che non e’ il sistema viene detto ambiente o anche il resto dell’universo. Sistemi aperti, chiusi, isolati Un sistema puo’ scambiare massa e/o energia con l’ambiente. Da questo punto di vista un sistema puo’ essere: aperto se puo’ scambiare con l’ambiente sia massa che energia (esempio: il corpo umano) chiuso se puo’ scambiare con l’ambiente energia ma non massa (esempio: un gas racchiuso in un cilindro con pistone) isolato se non scambia con l’ambiente ne’ massa ne’ energia (esempio: l’universo) Stato Lo stato fisico (o stato termodinamico o semplicemente stato) di un sistema e’ l’insieme dei valori di tutte le proprieta’ fisiche che esso possiede. Si dice che un sistema si trova in uno stato definito se tutte le sue proprieta’ fi- siche hanno valori definiti (e.g. un cubetto di ghiaccio immerso in una tazzina di caffe’ non si trova in uno stato definito, perche’ la temperatura, la composizione etc non hanno valori definiti). Uno stato definito di un sistema si dice stato di equilibrio termodinamico se i valori di tutte le proprieta’ del sistema sono indipendenti dal tempo e il sistema non scambia massa e/o energia. 1

Atkins, capitolo 1 - dsch.univ.trieste.itbalducci/cf-stan/canovaccio/2012-2013/... · Ad esempio, per qualsiasi sistema costituito da un’unica fase di un’unica sostan- za (sottintendiamo

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Atkins, capitolo 1

Termodinamica

La termodinamica si occupa delle trasformazioni di energia e in particolaredelle trasformazioni di calore in altre forme di energia (genericamente lavoro).La termodinamica chimica mette in relazione le trasformazioni di energiacon le trasformazioni chimiche e/o fisiche di un campione di materia che spes-so le accompagnano (e.g. cambiamenti di stato di aggregazione e/o reazionichimiche).

Sistema (termodinamico)

Definiamo sistema termodinamico una regione delimitata dell’universo checostituisce il nostro oggetto di studio. La delimitazione puo’ essere costituitada confini fisici (e.g. le pareti di un recipiente) o semplicemente ideali (e.g. seil sistema e’ una soluzione contenuta in un beaker, il confine fra la soluzione el’atmosfera non e’ marcato da una parete fisica).Come vedremo, in termodinamica cio’ che non e’ il sistema e’ importante quantoil sistema stesso. Cio’ che non e’ il sistema viene detto ambiente o anche ilresto dell’universo.

Sistemi aperti, chiusi, isolati

Un sistema puo’ scambiare massa e/o energia con l’ambiente. Da questo puntodi vista un sistema puo’ essere:

aperto se puo’ scambiare con l’ambiente sia massa che energia (esempio: ilcorpo umano)

chiuso se puo’ scambiare con l’ambiente energia ma non massa (esempio:un gas racchiuso in un cilindro con pistone)

isolato se non scambia con l’ambiente ne’ massa ne’ energia (esempio:l’universo)

Stato

Lo stato fisico (o stato termodinamico o semplicemente stato) di un sistemae’ l’insieme dei valori di tutte le proprieta’ fisiche che esso possiede.Si dice che un sistema si trova in uno stato definito se tutte le sue proprieta’ fi-siche hanno valori definiti (e.g. un cubetto di ghiaccio immerso in una tazzina dicaffe’ non si trova in uno stato definito, perche’ la temperatura, la composizioneetc non hanno valori definiti).Uno stato definito di un sistema si dice stato di equilibrio termodinamicose i valori di tutte le proprieta’ del sistema sono indipendenti dal tempo e ilsistema non scambia massa e/o energia.

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(Stato stazionario: valori delle proprieta’ indipendenti dal tempo, ma il sistemascambia massa e/o energia: non e’ uno stato di equilibrio).

Variabili di statoE’ un sinonimo per “proprieta’ ”. Ad esempio, volume, massa, densita’, tempe-ratura etc. sono variabili di stato.Una caratteristica essenziale delle variabili di stato e’ che i loro valori sonoindipendenti dalla “storia” del sistema. Vuol dire che quando il sistema sitrova in un certo particolare stato, i valori delle sue proprieta’ sono sempre glistessi, indipendentemente da come il sistema ha raggiunto quello stato.Questo e’ il motivo per cui tali variabili vengono dette, appunto, “di stato”.

Variabili intensive ed estensive

Le variabili di stato possono essere di due tipi:

intensive ad esempio, la pressione o la temperatura. Le variabili intensivenon dipendono dalla “quantita’ ” di sistema considerato. Cioe’,se dividiamo il sistema in piu’ parti, allora il valore della varia-bile intensiva nelle varie parti cosi’ ottenute e’ identico a quelloche la variabile aveva prima che il sistema venisse suddiviso.Ad esempio, se il sistema e’ un blocco di ferro alla temperaturadi 300◦C e lo dividiamo in due parti, ciascuna parte continuaad avere la temperatura di 300◦C.

estensive ad esempio, massa o volume. Le variabili estensive sono ad-dittive, cioe’ il loro valore e’ direttamente proporzionale alla“quantita’ ” di sistema che si considera.Ad esempio, se il sistema e’ un blocco di ferro, raddoppiandonela quantita’ (espressa, ad esempio, dalla sua massa) il volumeraddoppia.

Molto spesso una variabile intensiva e’ definita come rapporto fra due variabiliestensive (“qualcosa” per unita’ di “qualcos’altro”). Ad esempio, la densita’(chiaramente una proprieta’ intensiva) e’ definita come il rapporto fra la massae il volume (due proprieta’ estensive) di un sistema: si dice che la densita’ e’ la“massa per unita’ di volume”.Un altro esempio e’ la concentrazione (intensiva), definita come rapporto fra ilnumero di moli (estensiva) e il volume o la massa (estensive): “numero di moliper unita’ di volume” (ad esempio la molarita’) o “numero di moli per unita’ dimassa” (ad esempio la molalita’).

Equazioni di stato

E’ possibile ricavare, il piu’ delle volte per via sperimentale, delle relazioni ma-tematiche che legano fra loro due o piu’ variabili di stato. Tali relazioni vengonodette equazioni di stato.Ad esempio, per un sistema costituito da una mole di acqua alla pressione di1 bar e’ possibile descrivere la variazione del volume V con la temperatura T inun range abbastanza ampio tramite la seguente relazione:

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V = a + bT + cT 2 + dT 3

dove i coefficienti a, b, c, d sono indipendenti da T e vengono determinati fittandodati sperimentali.Il caso piu’ familiare e’ l’equazione di stato del gas perfetto (su cui torneremo),che lega matematicamente la pressione P , il volume V , la temperatura T e ilnumero di moli n del gas ideale:

PV = nRT

E’ importante notare che, mentre l’esistenza delle equazioni di stato e’ un fat-to sperimentale (cioe’, si trova sperimentalmente che fissando i valori di alcunevariabili di stato, allora quelli di altre variabili vengono automaticamente de-terminati), la forma funzionale delle equazioni di stato e’ il piu’ delle voltesconosciuta e di norma le equazioni di stato vengono ricavate empiricamentecon procedure di best fit applicate a serie di dati sperimentali.

Non tutte le variabili di stato sono indipendenti

E’ un fatto sperimentale che lo stato di un sistema e’ completamente definitodai valori di un sottoinsieme delle sue variabili di stato. Cioe’, fissati i valoridelle variabili di questo sottoinsieme, i valori di tutte le altre variabili sonoautomaticamente determinati.Ad esempio, per qualsiasi sistema costituito da un’unica fase di un’unica sostan-za (sottintendiamo sempre in condizioni di equilibrio), tutte le variabili intensiverestano univocamente determinate quando si fissino i valori di due qualsiasi diesse (ad esempio temperatura e pressione). Le variabili estensive di tale sistemasono inoltre determinate dalle due variabili intensive e da una qualsiasi variabileestensiva (ad esempio la massa).Notate che non ha importanza quali variabili si scelgono: invece di specificarei valori di temperatura e pressione, si puo’ scegliere di specificare i valori diqualsiasi altre due variabili, ad esempio viscosita’ e indice di rifrazione. La cosache conta e’ il numero delle variabili che sono sufficienti a descrivere lo statodel sistema.Quindi, se scegliamo come variabili intensive la temperatura T e la pressione P ,e come variabile estensiva la massa m, potremo dire che l’indice di rifrazione η,una variabile intensiva, e’ funzione di T e P :

η = η (T, P )

e cosi’ pure per la densita’ d (un’altra variabile intensiva):

d = d (T, P )

Per il volume V , una proprieta’ estensiva, sara’:

V = V (T, P, m)

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e cosi’ via.Notate: un gas ideale e’ proprio un sistema costituito da un’unica fase (gassosa)di un’unica sostanza. E infatti, per il gas ideale, prendendo come variabiliintensive la temperatura e la pressione e come variabile estensiva il numero dimoli n, si ha:

V = V (T, P, n) =nRT

P

Funzioni di stato

• Per esprimere il fatto che una variabile di stato e’ completamente deter-minata da una funzione delle variabili indipendenti scelte per definire lostato di equilibrio di un sistema, si dice che tale variabile e’ una funzionedi stato.

• Ad esempio, per tornare al sistema costituito da un’unica fase di unasostanza pura, possiamo dire che l’indice di rifrazione η, il volume V o ladensita’ d sono funzioni di stato:

η = η (T, P )

V = V (T, P, m)

d = d (T, P )

• Se e’ vero che si puo’ dire che tutte le variabili di stato sono funzioni distato, e’ pero’ altrettanto vero che nella maggioranza dei casi la formaanalitica di tali funzioni e’ (e resta) sconosciuta.

Vedremo comunque che e’ sufficiente sapere che esiste una funzione distato per essere in grado di trarre utilissime conseguenze.

• Le funzioni di stato godono di una importante proprieta’ che useremomolto spesso.

Siccome una funzione di stato dipende unicamente dalle variabili chedescrivono lo stato di equilibrio di un sistema, il suo valore e’ in-dipendente dal percorso compiuto dal sistema per raggiungere quelparticolare stato di equilibrio.

Un corollario importante di questa affermazione e’ il seguente.

Supponiamo che un sistema compia un processo partendo dallo stato diequilibrio iniziale A e arrivando allo stato di equilibrio finale B.

Allora, se F e’ una funzione di stato del sistema, la variazione di F duranteil processo e’ indipendente dal percorso seguito per andare da A a B.

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p′

p

B

A

p′

p

B

A

In altre parole, detti p e p′ due percorsi arbitrari che congiungono gli statidi equilibrio A e B, si avra’ sempre:

[F (B)− F (A)]lungo p = [F (B)− F (A)]lungo p′

• Quella appena vista e’ una condizione necessaria e sufficiente per esserefunzione di stato: cioe’, se sperimentalmente si trova che la variazionedi una certa grandezza termodinamica durante un processo fra i medesi-mi due stati di equilibrio e’ indipendente dal percorso seguito, allora lagrandezza e’ una funzione di stato:

funzione di stato ⇐⇒variazione in un processo e’ indi-pendente dal cammino percorso

• Differenza fra equazione di stato e funzione di stato.

Una funzione di stato esprime una variabile di stato in funzione di tutte levariabili necessarie a definire lo stato di un sistema.

Un’equazione di stato e’ una relazione che lega fra loro alcune variabili distato (al limite solo due): le variabili coinvolte in un’equazione di statopossono essere anche in numero inferiore al numero minimo richiesto perdefinire lo stato del sistema.

In altre parole: mentre tutte le funzioni di stato sono anche equazioni distato (ancorche’ la loro forma analitica possa restare sconosciuta), non e’vero il contrario.

Ad esempio, piu’ sopra abbiamo detto che, per una mole di acqua allapressione di 1 bar, in un range abbastanza ampio di temperature vale larelazione:

V = a + bT + cT 2 + dT 3

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Questa e’ un’equazione di stato (perche’ correla V a T , due variabili distato), ma non e’ una funzione di stato, perche’ non mostra la relazione fraV e tutte le variabili che definiscono lo stato di questo sistema (che sonodue qualsiasi proprieta’ intensive: ad esempio, T e P , e una proprieta’estensiva, ad esempio la massa m).

Una funzione di stato per questo sistema sarebbe una relazione del tipo:

V = V (T, P, m)

Processo termodinamico

E’ una trasformazione in cui il sistema passa da uno stato di equilibrio a unaltro.Siccome lo stato di un sistema e’ l’insieme dei valori di tutte le proprieta’ fisicheche esso possiede, ne segue che un processo consiste nel cambiamento di una opiu’ proprieta’ del sistema.Se durante il passaggio dallo stato iniziale allo stato finale le variabili di statodel sistema cambiano assumendo valori definiti, allora il processo puo’ essererappresentato analiticamente da un percorso nello spazio (in generale multidi-mensionale) definito dalle variabili di stato del sistema. Ad esempio, l’espansionereversibile (il significato del termine reversibile e’ spiegato fra un attimo) di ungas puo’ essere rappresentata con una traiettoria in un piano cartesiano in cuisi riporta il volume sull’asse delle ascisse e la pressione su quello delle ordinate.Come vedremo, ha una grandissima importaza il modo in cui un sistema compieun processo.

Processo reversibile

• E’ un processo ideale che avviene attraverso una successione infinita distati di equilibrio: in ciascuno stato le proprieta’ fisiche del sistema differi-scono al piu’ di una quantita’ infinitesima da quelle dei due stati adiacenti(il precedente o il seguente).

• Se il sistema passa dallo stato iniziale Si allo stato finale Sf con un processoreversibile, cio’ significa che il sistema attraversa un numero grandissimo(teoricamente infinito) di stati intermedi, ciascuno dei quali e’ uno statodi equilibrio:

Si →

n→∞︷ ︸︸ ︷

S1 → S2 → S3 → . . . → Sn → Sf

• Ogni processo e’ causato da una perturbazione sul sistema, che in generaleviene detta “driving force” (ad esempio la driving force per l’espansionedi un gas puo’ essere una differenza fra la pressione esercitata dal gassull’ambiente e quella esercitata sul gas dall’ambiente; la driving forceper il trasferimento di calore da un corpo caldo a uno piu’ freddo e’ la

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differenza di temperatura). Per un processo reversibile, la driving forcedeve essere, ad ogni istante, di intensita’ infinitesima: infatti, solocosi’ il sistema puo’ venire “spostato” in uno stato di equilibrio in cui tuttele sue proprieta’ differiscono da quelle dello stato di partenza solo di unaquantita’ infinitesima.

Per fare compiere al sistema un processo reversibile in cui le sue pro-prieta’ cambiano di una quantita’ finita, bisogna compiere infiniti stepsinfinitesimi.

• Dalla definizione di processo reversibile segue che l’assenza di attriti (ingenerale di effetti dissipativi) e’ condizione necessaria affinche’ un processosia reversibile: infatti, la presenza di attriti (finiti) implica che per pas-sare da uno stato di equilibrio ad un altro infinitamente vicino, qualcheproprieta’ del sistema debba comunque variare di una quantita’ finita, ilche disattende il requisito per la reversibilita’.

Esempio: un gas che si espande in un cilindro con pistone, in cui si abbiaattrito fra pistone e cilindro. Per far espandere il gas di una quantita’infinitesima, non e’ sufficiente diminuire la pressione sul pistone di unaquantita’ infinitesima poiche’, a causa dell’attrito, il pistone non si muo-verebbe. Invece, bisogna diminuire la pressione di una quantita’ finita(tanto maggiore quanto maggiore e’ l’attrito): ma in questo caso, quandoil pistone inizia a muoversi, si muovera’ di un tratto finito e’ il processonon e’ piu’ reversibile.

Nota: l’assenza di attriti e’ condizione necessaria, ma non sufficiente.

• I processi reversibili sono idealizzazioni, ma possono essere approssimati inpratica molto bene, limitando il piu’ possibile gli attriti e facendo avvenirele trasformazioni il piu’ lentamente possibile.

Ad esempio, l’espansione di un gas racchiuso in un cilindro con pistonepuo’ essere fatta avvenire in modo praticamente reversibile se il pistone(privo di attrito) viene mantenuto nella posizione iniziale da un cumulo disabbia. Allora, togliendo un solo granello di sabbia, la pressione diminui-sce di una quantita’ (a tutti gli effetti) infinitesima; grazie all’assenza diattriti, il gas si espande di una quantita’ infinitesima e raggiunge un nuovostato di equilibrio, che pero’ dista da quello iniziale solo di una quantita’infinitesima. Togliendo un secondo granello di sabbia, si compie un altrostep infinitesimo e cosi’ via fino a che il gas ha compiuto l’intero processodi espansione.

• Una definizione equivalente di processo reversibile e’ che si tratti di unprocesso che puo’ essere invertito (da qui l’aggettivo “reversibile”) modi-ficando una variabile in misura infinitesima.

L’equivalenza di questa definizione con quella data piu’ sopra dovrebbeessere evidente.

Per esempio, se il sistama sta attraversando una serie infinita di statidi equilibrio (secondo la prima definizione), e’ chiaro che, invertendo ladriving force responsabile del processo di una quantita’ infinitesima inuno degli stati di equilibrio intermedi in cui si trova il sistema, esso deve

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passare allo stato di equilibrio “precedente”, che dista, appunto, solo unaquantita’ infinitesima (seconda definizione).

Processo irreversibile

• E’ un processo causato da una driving force di intensita’ finita.

Durante un processo irreversibile il sistema attraversa stati di non equili-brio in cui le sue proprieta’ variano nel tempo.

• Riprendiamo l’esempio dell’espansione di un gas racchiuso in un cilindrocon pistone. L’espansione puo’ venir fatta avvenire in modo irreversibilese il pistone (che supponiamo ancora privo di attrito) viene fatto sollevarein modo praticamente istantaneo rimuovendo in un colpo solo tutta lasabbia che lo manteneva nella posizione iniziale.

In questo caso, il gas raggiungera’ lo stato finale attraverso una succes-sione di stati di non equilibrio (possiamo addirittura immaginare che, sel’attrito del pistone e’ esattamente nullo, il pistone schizzera’ in alto ol-tre la posizione finale e iniziera’ a compiere delle oscillazioni senza maiarrestarsi).

• In questo processo irreversibile la driving force (cioe’ la differenza di pres-sione fra l’interno e l’esterno del cilindro) e’ di intensita’ finita e quindiesso non puo’ essere invertito se la pressione sul gas viene aumentata diuna quantita’ infinitesima.

• Facciamo ora un’osservazione che riprenderemo piu’ avanti a proposito delsecondo principio della termodinamica.

Tutti i processi spontanei, cioe’ tutte le trasformazioni che avvengonospontaneamente in natura, non possono (chiaramente) essere invertiti dauna variazione infinitesima della driving force. Ne consegue che tutti iprocessi spontanei sono irreversibili.

Dal punto di vista dell’ambiente, i processi sono sempre reversibili

L’ambiente ha massa e volume infiniti. Cio’ fa’ si’ che qualsiasi trasferimento dienergia (calore e/o lavoro), dal punto di vista dell’ambiente, possa esseresempre considerato reversibile, poiche’, in seguito ad esso, l’ambiente non sidiscosta mai dal suo stato di equilibrio per piu’ di una quantita’ infinitesima.A questo scopo puo’ essere utile la seguente similitudine.Consideriamo un recipiente colmo di acqua fino all’orlo al quale aggiungiamoun’ulteriore quantita’ finita di acqua (ad esempio 1/2 L).Se il recipiente ha un volume finito e confrontabile con quello dell’acqua aggiunta(ad esempio 1 L), allora l’effetto di quest’ultima sara’ decisamente apprezzabile:ad esempio, vedremo chiaramente dell’acqua che trabocca dal recipiente.Se pero’ il recipiente ha un volume molto piu’ grande di quello dell’acqua cheaggiungiamo (immaginate di aggiungere 1/2 L di acqua al bacino di una digaartificiale), allora, se e’ vero che si avra’ pur sempre un traboccamento, questo

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sara’ a mala pena distinguibile: il recipiente si discosta solo di pochissimo dalsuo originario stato di equilibrio e il processo e’ a tutti gli effetti reversibile,secondo la definizione che abbiamo dato piu’ sopra.

I gas

• Lo stato di aggregazione della materia piu’ facile da trattare in termodi-namica e’ quello gassoso.

• Cio’ e’ dovuto essenzialamente al fatto che nei gas le interazioni intermole-colari sono ridotte al minimo. Per la maggior parte del tempo, le molecoledi un gas viaggiano nel vuoto senza incontrarsi (e quindi interagire).

• Sperimentalmente si trova che lo stato termodinamico di un gas e’ total-mente determinato quando se ne fissino la temperatura, la pressione e laquantita’ (espressa dal numero di moli). Tutte le altre proprieta’ del gas,ad esempio il volume da esso occupato, vengono automaticamente fissatead uno e un solo valore:

V = V (T, P, n)

• Al posto di T e P , avremmo potuto scegliere qualsiasi altre due proprieta’intensive e al posto di n qualsiasi altra proprieta’ estensiva. In ogni caso,2 variabili intensive e 1 variabile estensiva sono sufficienti a definire lostato di equilibrio di un campione gassoso, come abbiamo gia’ osservatoin generale (sistema costituito da un’unica sostanza in un’unica fase).

La pressione

• Data una forza ~FN che agisce uniformemente in direzione normale ad unasupeficie piana di area A, si definisce pressione agente sulla superficie ilmodulo della forza per unita’ di area, cioe’:

P =

∣∣∣~FN

∣∣∣

A

La pressione e’ una grandezza scalare.

• La pressione puo’ essere molto grande (o molto piccola) sia se la forza e’molto grande (o piccola) sia se l’area della superficie su cui la forza agiscee’ molto piccola (o grande).

• L’unita’ di misura SI della pressione e’ il Pascal, simbolo Pa:

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1 Pa = 1N

m2

= 1kg m

s2

m2

= 1kg

m s2

• Il Pa e’ un’unita’ di misura piuttosto “piccola”. Per questo sono usatespesso altre unita’ piu’ “comode”:

1 bar = 1× 105 Pa

1 atm = 101325 Pa (≈ 1 bar)

• La pressione di 1 bar e’ definita come pressione standard e la incontrere-mo spesso piu’ avanti. Il simbolo usato di solito per la pressione standarde’ P.

• Un gas racchiuso in un recipiente esercita sulle pareti di quest’ultimouna pressione (uguale in tutti i punti delle pareti) che e’ dovuta agli urtiincessanti delle molecole.

• La pressione determina le condizioni per l’equilibrio meccanico.

Due gas in due recipienti separati da una parete scorrevole sono in equili-brio se e solo se le loro pressioni sono uguali

La temperatura e il “principio zero”

• E’ un fatto sperimentale che esista una proprieta’ dei sistemi che pos-siamo (inizialmente) definire “caldezza” e di cui possiamo renderci contoattraverso il senso del tatto.

• Due sistemi con diverso grado di caldezza posti a contatto diretto e inassenza di qualsiasi tipo di movimento (ad esempio una parete mobile)possono cio’ non di meno influenzarsi reciprocamente e subire un cam-biamento di stato. Vedremo che la causa e’ uno scambio di energia sottoforma di calore.

• Quando le proprieta’ fisiche dei due sistemi in tali condizioni smettonodi variare col tempo, allora diciamo che i due sistemi hanno raggiuntol’equilibrio termico

• Affinche’ due sistemi possano influenzarsi come detto sopra, bisogna chele pareti che li dividono permettano il flusso di calore. Pareti di questotipo si dicono diatermiche o non adiabatiche.

Esistono anche pareti che non consentono lo scambio di calore fra duesistemi: tali pareti si dicono adiabatiche.

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• La temperatura e’ la proprieta’ fisica che indica se due sistemi postia contatto tramite pareti diatermiche e rigide (non mobili) sono o menoin equilibrio termico: se i due sistemi sono in equilibrio termico, allorahanno la stessa temperatura; se dell’energia (calore) fluisce dal sistema 1al sistema 2, allora il sistema 1 ha una temperatura maggiore del sistema2; se dell’energia (calore) fluisce dal sistema 2 al sistema 1, allora il sistema1 ha una temperatura minore del sistema 2.

• Cio’ che consente di misurare la temperatura e’ quello che passa sotto ilnome di principio zero della termodinamica:

Se un corpo A e’ in equilibrio termico con un corpo B e que-st’ultimo e’ in equilibrio termico con un terzo corpo C, alloraanche il corpo A e’ in equilibrio termico con il corpo C

Si tratta in pratica di una proprieta’ transitiva.

• Perche’ il principio zero consente di misurare la temperatura?

Supponiamo che il corpo B sia un capillare di vetro contenente un liqui-do (ad esempio mercurio) che si dilata notevolmente al variare della sua“caldezza”. Il dispositivo viene detto termometro.

Allora, se posto in contatto con un corpo A il mercurio del capillare rag-giunge una certa lunghezza e la stessa lunghezza viene raggiunta quandoil capillare viene posto in contatto con un corpo C:

⇒ possiamo dire che A e C hanno la medesima temperatura⇒ possiamo prendere come misura di tale temperatura la lunghezza

della colonna di mercurio

• La misura della temperatura, cioe’ il procedimento attraverso il qualesi assegna univocamente un numero a ciascuna temperatura, puo’ esseredefinita in molti modi sfruttando proprieta’ termometriche diverse (ladilatazione di un liquido in un capillare, la resistenza di una termocoppia,la pressione di un gas mantenuto a volume costante etc.). Si sono cosi’originate diverse scale termometriche.

• Nella scala Celsius, si assegna arbitrariamente il valore 0◦C alla tempe-ratura del sistema costituito da acqua liquida e ghiaccio in equilibrio allapressione di 1 atm e 100◦C a quella del sistema costituito da acqua liquidae vapore in equilibrio alla stessa pressione (il cosiddetto “punto di ebolli-zione normale”). Si assume quindi che esista una relazione lineare fra lavariazione della temperatura e la variazione della proprieta’ termometricausata (ad esempio la lunghezza della colonnina di mercurio). In tal modo,detto v0 il valore della proprieta’ termometrica a cui viene assegnata latemperatura di 0◦C e v100 quello a cui corrispondono 100◦C, si ha:

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v

t

v100vv0

t (v)

t (v100) (= 100)

t (v0) (= 0)

t (v100)− t (v0)

v100 − v0=

t (v)− t (v0)

v − v0

t (v)− t (v0) =t (v100)− t (v0)

v100 − v0(v − v0)

t (v) =100

v100 − v0(v − v0)

• La temperatura misurata in questo modo viene spesso detta temperaturaempirica poiche’ il procedimento dipende dalla sostanza e dalla proprieta’termometrica su cui ci si basa, e cio’ essenzialmente perche’ la variazionedella proprieta’ termometrica non dipende linearmente dalla temperatura.

• Esiste tuttavia la possibilita’ (grazie al secondo principio della termodina-mica che faremo piu’ avanti) di definire la temperatura in modo totalmenteindipendente dalle proprieta’ di qualsiasi sostanza: la temperatura definitain questo modo viene detta temperatura assoluta. Essa viene misuratain gradi Kelvin e ha un valore minimo pari a 0 K.

• La scala assoluta e quella Celsius sono in relazione tramite:

K = C + 273.15

dove K e’ la temperatura assoluta e C quella Celsius.

La legge del gas ideale

• Si trova sperimentalmente che tutti i gas tendono a comportarsi allo stessomodo quando la loro pressione sia sufficientemente bassa.

• La ragione molecolare di cio’ e’ che, a pressione sufficientemente bassa,il numero di molecole di gas e’ molto piccolo in rapporto al volume delrecipiente e quindi:

– il volume occupato dalle molecole del gas diviene trascurabile in con-fronto a quello del recipiente ⇒ le molecole di gas possono essereconsiderate puntiformi

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– le molecole di gas si incontrano molto raramente ⇒ si possonotrascurare le interazioni intermolecolari

• Il comportamento dei gas a basse pressioni e’ descritto fondamentalmenteda tre leggi limite, osservate sperimentalmente gia’ alcuni secoli fa:

– A temperatura e numero di moli costanti pressione e volume sonoinversamente proporzionali:

PV = costante

– A pressione e numero di moli costanti volume e temperatura sonodirettamente proporzionali:

V

T= costante

– A pressione e temperatura costanti volume e numero di moli sonodirettamente proporzionali:

V

n= costante

• Come si puo’ facilmente verificare, le tre leggi limite possono essere com-binate in un’unica legge, nota come la legge del gas ideale:

PV = nRT

dove R e’ una costante detta costante universale dei gas. Le dimensionidi R si ricavano da:

R =PV

nT

[R] =pressione× volume

moli× temperatura

=forzaarea × volume

moli× temperatura

=forza× lunghezza

moli× temperatura

=energia

moli× temperatura

Il valore di R nelle unita’ di misura piu’ comuni e’:

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R = 8.314J

mol K

= 8.206× 10−2 L atm

mol K

• La legge del gas ideale e’ estremamente utile perche’, pur essendo unalegge limite, e’ seguita molto bene dalla maggior parte dei gas in condizioniordinarie.

• Un’espressione equivalente della legge del gas ideale che connette fra loroi valori di P, V, T di una quantita’ fissa di gas in due stati di equilibriodistinti 1 e 2 e’:

P1V1

T1=

P2V2

T2

Questa espressione e’ comoda per ricavare il valore di una variabile se siconoscono tutte le altre.

Pressione parziale

• Per una miscela di gas qualunque (cioe’ non necessariamente ideali), defi-niamo la pressione parziale del componente i nel modo seguente:

Pi = xiP

dove xi e’ la frazione molare:

xi =ni

j nj

• L’utilita’ di questa definizione e’ che, in tal modo, la pressione totaledella miscela e’ data dalla semplice somma delle pressioni parziali dei suoicomponenti:

i

Pi =∑

i

(xiP )

= P∑

i

xi

= P (perche’∑

i xi = 1)

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• Per miscele di gas ideali:

Pi = xiP

=ni∑

i niP

= niP

i ni

= niRT

V(qui si sfrutta l’idealita’)

da cui segue la seguente possibile interpretazione fisica della pressioneparziale:

per una miscela di gas ideali, la pressione parziale del componen-te i e’ la pressione che tale componente eserciterebbe se, da solo,occupasse l’intero volume della miscela alla stessa temperatura.

I gas reali

• Il gas ideale e’ un modello astratto. Le particelle che lo costituisconopresentano due caratteristiche essenziali:

⇒ sono puntiformi, cioe’ non occupano spazio (pur avendo una massanon nulla)

⇒ non interagiscono fra loro, nel senso che le forze intermolecolarisono assenti. Quindi hanno solo energia cinetica, mentre la loroenergia potenziale e’ nulla.

• Il comportamento dei gas reali si discosta da quello del gas ideale quandovengono meno le due caratteristiche su citate.

• In generale, il profilo dell’energia di interazione fra le molecole di un gasin funzione della loro distanza ha l’andamento seguente:

forz

ere

pulsiv

e

forze attrattive forze trascurabili

distanza intermolecolare

ener

gia

diin

tera

zione

0

15

L’aspetto essenziale di questo profilo e’ che l’interazione e’ di natura attrat-tiva (cioe’: l’energia di interazione e’ negativa) fino a una certa distanza(passando per un minimo) e poi diventa violentemente repulsiva quandola distanza diminuisce a valori molto piccoli (in parole povere: le molecolenon possono intercompenetrarsi)

Allora:

– a pressioni molto basse, la distanza intermolecolare e’ molto grande(in pratica superiore a pochi diametri molecolari): allora le forzeintermolecolari sono trascurabili e il gas si comporta in modo ideale

– a pressioni moderatamente elevate la distanza intermolecolare e’ pic-cola (ma non piccolissima, diciamo maggiore di un diametro moleco-lare): allora le forze intermolecolari si fanno sentire ed hanno caratte-re attrattivo. In tali condizioni il gas si discosta dal comportamentoideale e, in generale, e’ piu’ facilmente compressibile del gas ideale.

– a pressioni molto elevate la distanza intermolecolare diventa inferiorea un diametro molecolare: allora le forze intermolecolari aumentanodi importanza e diventano di carattere repulsivo. In tali condizioniil gas si discosta dal comportamento ideale e, in generale, e’ piu’difficilmente compressibile del gas ideale.

• Il comportamento dei gas reali viene di solito descritto con delle versioni“corrette” dell’equazione di stato del gas ideale. Le correzioni contengononormalmente dei parametri empirici legati alla natura del particolare gasconsiderato e spesso dipendono dalla pressione e/o dalla temperatura.

• Un’equazione di stato per gas reali molto usata e’ quella basata sul cosid-detto fattore di compressione Z. Il fattore di compressione e’ definitocome il rapporto fra il volume molare (Vm = V/n) del gas reale e quelloV ◦m del gas ideale alla stessa pressione e temperatura:

Z =Vm

V ◦m

L’equazione si ricava molto semplicemente.

La legge del gas ideale riscritta in termini del volume molare e’:

PV ◦ = nRT

P

(V ◦

n

)

= RT

PV ◦m = RT

Chiaramente, per un gas reale alla stessa temperatura e pressione, ilvolume molare Vm e’ diverso da quello del gas ideale e quindi si ha:

16

PVm 6= RT

Tuttavia, si puo’ ottenere un’equazione di stato per il gas reale moltosimile a quella del gas ideale introducendo il volume molare del gas realenel modo seguente:

PV ◦m = RT

P

(

Vm

Vm

V ◦m

)

= RT

P

(Vm

Z

)

= RT

PVm = ZRT

PV = ZnRT

L’utilita’ di questa relazione sta’ nel fatto che la sua forma analitica e’molto simile a quella dell’equazione del gas ideale e quindi ne mantienetutti i vantaggi dovuti alla sua semplicita’.

Naturalmente, il “prezzo da pagare” e’ che Z varia con la pressione e latemperatura, oltre che, ovviamente, con la natura del gas considerato.

L’andamento di Z in funzione della pressione a temperatura costante hanormalmente l’andamento mostrato in questa figura (le tre curve si riferi-scono a tre diversi gas reali, ad esempio potrebbe trattarsi di CH4, C2H4

e CO2):

Z = 1

Z

gas 3gas 2

gas 1

gas ideale

P

Z = 1

Z

gas 3gas 2

gas 1

gas ideale

P

Z = 1

Z

gas 3gas 2

gas 1

gas ideale

P

17

Per il gas ideale si ha, ovviamente: Z = 1 ad ogni pressione.

Per i gas reali, in base a quanto detto prima, si ha solitamente:

– Z → 1 per P → 0

– Z < 1 per pressioni moderatamente elevate (forze intermolecolariattrattive, gas reale piu’ compressibile del gas ideale)

– Z > 1 per pressioni decisamente elevate (forze intermolecolari repul-sive, gas reale meno compressibile del gas ideale)

• Un’altra equazione di stato per gas reali particolarmente famosa e’ l’equa-zione di Van der Waals:

(

P + a( n

V

)2)

(V − nb) = nRT

dove i parametri a e b vanno determinati sperimentalmente per ciascungas, ma sono indipendenti da P, V, T .

L’equazione di Van der Waals e’ valida per pressioni moderatamente ele-vate, alle quali le molecole del gas reale interagiscono reciprocamente conforze di carattere attrattivo.

• L’equazione di Van der Waals e’ suscettibile di un’interpretazione semplice.

Se il gas fosse ideale, il prodotto della sua pressione per il suo volumesarebbe uguale a nRT . A causa della non idealita’, pressione e volumevengono “corretti” in modo che il loro prodotto sia uguale a nRT .

Il volume geometrico occupato da un gas reale “non e’ ideale” perche’le molecole del gas reale, non essendo puntiformi, occupano un volumefinito. Il volume che vedrebbe un gas ideale nelle stesse condizioni e’quindi minore di V , da cui la correzione “−nb”, dove b puo’ quindi esserevisto come il volume occupato da una mole delle molecole del gas reale(poste tutte a contatto le une delle altre).

La pressione esercitata dal gas reale e’ minore di quella che esercite-rebbe un gas ideale nelle stesse condizioni, a causa delle forze attratti-ve che si esercitano fra le molecole del gas reale. Da qui, la correzione“ +a (n/V )

2”.

Il fatto che questa correzione sia proporzionale al quadrato della concen-trazione (n/V ) si spiega nel modo seguente. Il gas reale esercita una minorpressione perche’ ogni singola molecola in prossimita’ di una parete del re-cipiente viene “trattenuta”, a causa delle forze attrattive, da quelle chesi trovano nelle zone piu’ interne. Questo effetto sulla singola moleco-la deve essere proporzionale alla concentrazione di molecole (maggiore e’questa concentrazione, e maggiore il numero di molecole che ne attiranouna verso il centro del recipiente). La correzione totale sara’ data dallacorrezione per una singola molecola moltiplicata per il numero totale dimolecole che si trovano adiacenti alle pareti. Ma questo numero totale e’a sua volta proporzionale alla concentrazione, per cui il risultato e’ unaproporzionalita’ al quadrato della concentrazione.

18

In simboli, detta csingola la correzione da applicare a ogni singola mole-cola, npareti il numero totale di molecole prossime alle pareti e ctotale lacorrezione totale, si avra’:

ctotale = csingola × npareti

csingola = a′n

V

npareti = a′′n

V

ctotale = a′n

Va′′

n

V

= a( n

V

)2

con a = a′ a′′

La condensazione e il punto critico

• Siccome ci servira’ in seguito, consideriamo cosa avviene quando si com-prime un gas reale a temperatura costante. In generale, un processo cheavvenga a temperatura costante si dice isotermo.

• Come abbiamo visto, per il gas ideale, la compressione isoterma e’ descrittadall’equazione:

PV = costante

il cui grafico e’ un’iperbole sul piano P vs. V .

• La compressione isoterma procede diversamente per un gas reale. La cosapiu’ eclatante nel confronto fra gas ideale e gas reale nella compressioneisoterma e’ che quando il volume di un gas reale viene sufficientementeridotto, il gas normalmente condensa, cioe’ si ha una transizione distato gas/liquido.

• La spiegazione molecolare di cio’ e’ che, quando le molecole sono costret-te in un volume sufficientemente piccolo, le interazioni intermolecolarinon sono piu’ trascurabili e, a volumi molto ridotti, le molecole restanoreciprocamente prigioniere dei rispettivi campi di forza.

• La figura qui sotto mostra una serie di isoterme per un gas reale nel pianoPV che potrebbero essere realizzate racchiudendo il gas in un cilindrodotato di un pistone scorrevole. Descriviamo cosa succede lungo il percorsoABCDEF mostrato.

19

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

T > TC

T = TC

T < TC

F

E D CB A

• • •• •

VC

PC

V

P

• Nel tratto ABC il gas viene compresso: il volume diminuisce e la pressio-ne aumenta approssimativamente in accordo con un andamento iperbolicodel gas ideale. Man mano che ci si avvicina al punto C le molecole inte-ragiscono fra loro sempre piu’ intensamente e quindi il comportamento sidiscosta sempre piu’ da quello ideale.

• Al punto C il gas comincia a condensare: il cilindro ora contiene unafase liquida in equilibrio con la fase gassosa. Naturalmente, le condizionidi temperatura, volume e pressione a cui cio’ avviene dipendono dallanatura del gas usato (cioe’ se si tratta di idrogeno, ammoniaca, CO2 etc.)

• Nel tratto CDE, alla diminuzione di volume (ottenuta comprimendo ilpistone) non corrisponde un aumento di pressione. Invece, la pressioneresta costante. Cio’ perche’ la diminuzione del volume viene continua-mente compensata dalla condensazione. La pressione costante della fasegassosa in equilibrio con la fase liquida alla temperatura dell’isoterma e’detta tensione di vapore.

• In E tutto il gas e’ condensato. Il pistone si trova a contatto della (unica)fase liquida

• Nel tratto EF stiamo comprimendo un liquido e quindi la pressione si im-penna molto piu’ ripidamente che nel tratto precedente la condensazione.Per ridurre il volume anche solo di poco, bisogna esercitare una pressionemolto elevata.

• Nella figura sono mostrate altre isoterme a temperatura via via crescente.Man mano che la temperatura cresce, la condensazione inizia a volumisempre minori e il processo si conclude in un intervallo di volume sempreminore. I punti di inizio e fine condensazione giacciono su una curva acampana (la curva tratteggiata nella figura).

• Ad una temperatura speciale, detta temperatura critica, TC , i volumidi inizio e fine condensazione si riducono ad un unico punto (vedere fi-gura) che viene detto punto critico. I corrispondenti valori del volume

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e della pressione vengono detti, rispettivamente, volume critico, VC epressione critica, PC .

• Nelle isoterme a temperatura maggiore di TC , il gas non condensa piu’,neppure a pressioni molto elevate. Il sistema non diventa mai bifasico.La spiegazione molecolare e’ che, anche se le molecole vengono costrettea stare molto vicine, la loro energia cinetica (legata alla temperatura,come vedremo) e’ troppo elevata affinche’ le forze intermolecolari possanoimprigionarle e si abbia quindi la condensazione.

• L’unica fase che si ha per T > TC e’ a rigori un gas, perche’ occupauniformemente tutto il volume a disposizione. Tuttavia, la densita’ diquesto “gas” puo’ essere molto maggiore di quella dei gas in condizioniordinarie. Per questo motivo, si usa preferibilmente la definizione di fluidosupercritico.

21

Atkins, capitolo 2

Il primo principio della termodinamica

• Il primo principio della termodinamica e’ una versione per sistemi termo-dinamici del piu’ generale principio di conservazione dell’energia.

Noi enunceremo il primo principio per sistemi chiusi e tali che le unicheforme di energia che possono scambiare con l’ambiente siano calore elavoro.

Assumeremo, quindi, che tanto l’energia potenziale quanto l’energia ci-netica del sistema considerato come un tutto unico non cambino oppurecambino solo in modo trascurabile.

• Nel compiere una trasformazione fra uno stato di equilibrio iniziale e unostato di equilibrio finale, un sistema del tipo descritto sopra puo’ assorbiree/o cedere energia all’ambiente in forma di calore e/o lavoro.

Molto spesso si trova sperimentalmente che il bilancio fra l’energia assor-bita e quella ceduta durante il processo non sia in parita’.

Piu’ in particolare possono verificarsi tutti i casi possibili:

⇒ nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce⇒ nel sistema entra ed esce la stessa quantita’ di energia⇒ nel sistema entra meno energia di quanta ne esce

• Si potrebbe essere tentati di pensare che, tranne per il caso in cui l’energiaentrata e’ uguale a quella uscita, il principio di conservazione dell’energiasia stato violato:

⇒ se nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce, sembra che cisia stata una “sparizione” di energia

⇒ se nel sistema entra meno energia di quanta ne esce, sembra chedell’energia sia stata prodotta “dal nulla”

• Ebbene, il primo principio della termodinamica sancisce che in nessun casola conservazione dell’energia e’ venuta meno.

Esso infatti postula l’esistenza di una forma di energia posseduta intrinse-camente dal sistema e per questo detta energia interna (indicata spessocon il simbolo U).

Allora:

⇒ se nel sistema entra piu’ energia di quanta ne esce, la differenzanon e’ sparita, ma si ritrova come incremento

∆U = Ufinale − Uiniziale > 0

dell’energia interna del sistema

22

⇒ se nel sistema entra meno energia di quanta ne esce, l’energia sup-plementare in uscita non si e’ prodotta dal nulla, bensi’ e’ il sistemache l’ha fornita, diminuendo di

∆U = Ufinale − Uiniziale < 0

la propria energia interna

• Il bilancio energetico sancito dal primo principio e’ veramente semplice.

Considerate la seguente analogia.

Supponete di avere un credito presso una persona, un debito verso un’altrae una somma di denaro (non serve sapere quanto) in tasca.

Ora immaginate di riscuotere il credito e pagare il debito.

Si possono verificare tutti e soli i seguenti casi:

⇒ il credito e il debito erano della stessa entita’: potete saldare ildebito con il denaro riscosso come credito e la somma che avevatein tasca rimane immutata.

⇒ il credito era maggiore del debito: potete pagare il debito con unaparte del credito; il resto del credito rimane a voi e alla fine lasomma di denaro che avete in tasca e’ aumentata.

⇒ il credito era minore del debito: per pagare il debito userete tuttoil denaro riscosso come credito, ma in piu’ dovrete aggiungere deldenaro prendendolo da quello che avevate in tasca e alla fine lasomma di denaro che avete addosso e’ diminuita.

Ora fate le sostituzioni:

voi sistemadenaro riscosso come credito energia che entra nel sistemadenaro pagato per saldare il debito energia che esce dal sistemadenaro nelle vostre tasche energia interna

e avete esattamente il bilancio del primo principio.

• E’ anche molto semplice scrivere il bilancio energetico del primo principioin forma matematica.

Se chiamiamo Ein l’energia che entra nel sistema durante un processo, Eout

quella che ne esce, Uiniziale e Ufinale l’energia interna del sistema prima edopo la trasformazione, allora dovrebbe essere chiaro che la conservazionedell’energia e’ espressa dalla seguente equazione:

Ein + Uiniziale = Eout + Ufinale

Ein = Eout + ∆U

dove il termine ∆U = Ufinale−Uiniziale, potendo essere positivo, negativoo nullo, e’ il “salvatore” della conservazione dell’energia.

Infatti:

23

⇒ se Ein > Eout, allora si avra’ ∆U > 0, cioe’ una parte dell’ener-gia entrata nel sistema e’ andata ad incrementare la sua energiainterna.

⇒ se Ein < Eout, allora si avra’ ∆U < 0, cioe’ una parte dell’energiache esce dal sistema proviene dalla sua energia interna, che quindie’ diminuita

⇒ se Ein = Eout, allora si avra’ ∆U = 0, cioe’ entra ed esce la stessaquantita’ di energia e quindi l’energia interna del sistema restainvariata.

• Notate: non e’ possibile conoscere la “quantita’ totale” di energia interna,U , posseduta da un sistema: il primo principio mette in relazione i flussi dienergia che entrano ed escono dal sistema (e che sono le uniche quantita’di energia che noi possiamo misurare) con la variazione, ∆U , di energiainterna e non semplicemente con U .

Come apparira’ chiaro nel seguito, tuttavia, le variazioni di U (e non Ustessa) costituiscono tutto cio’ che serve per le applicazioni pratiche dellatermodinamica.

L’energia interna e’ una funzione di stato

• La relazione appena vista si puo’ riscrivere nel modo seguente:

∆U = Ein − Eout

Questo mette in evidenza che la variazione di energia interna subita daun sistema durante un processo e’ uguale alla differenza fra l’energia cheentra e quella che esce.

• Ora, uno stesso processo, cioe’ un processo caratterizzato da stati di equi-librio iniziale e finale identici, si puo’ realizzare in infiniti modi diversi:diciamo che a parita’ di stato iniziale e finale, ci sono infiniti percorsi cheli collegano.

Lungo ciascun percorso, saranno diverse, in generale, le due quantita’Ein ed Eout: di conseguenza, ci si potrebbe (lecitamente) aspettare che∆U dipenda dal particolare percorso seguito dal sistema per andare dallo(stesso) stato iniziale allo (stesso) stato finale.

• Ebbene, l’esperienza mostra che non e’ questo il caso.

Se un sistema compie un processo fra il medesimo stato inziale e il mede-simo stato finale attraverso diversi percorsi, mentre le quantita’ di ener-gia scambiate dipendono (in generale) dal particolare percorso seguito, lavariazione di energia interna ne e’ indipendente.

• Supponiamo che il sistema si trasformi dallo stato A allo stato B attraversoi due diversi percorsi p e p′:

24

p′

p

B

A

p′

p

B

A

Se indichiamo con Ein ed Eout l’energia entrata e uscita dal sistema lungoil percorso p e con E′in ed E′out quella entrata e uscita lungo il percorso p′,allora, in generale, si avra’:

Ein 6= E′in

Eout 6= E′out

ma l’esperienza mostra che si ha sempre:

Ein − Eout = E′in − E′out

(purche’, ovviamente, gli stati di equilibrio iniziale e finale siano sempregli stessi)

• Quanto sopra significa che l’energia interna di un sistema e’ funzione so-lamente del suo stato termodinamico di equilibrio, cioe’ l’energia internae’ una funzione di stato.

• E’ importante notare che la caratteristica dell’energia interna di essereuna funzione di stato non deriva da alcuna considerazione teorica: e’ sem-plicemente un fatto sperimentale. Cioe’ non esiste esperimento docu-mentato in cui si sia misurata una diversa variazione di energia internaper due percorsi alternativi che connettano lo stesso stato iniziale con lostesso stato finale.

• Questo e’ il motivo per cui il primo principio si chiama, appunto, “princi-pio”. In generale, nel linguaggio scientifico, un principio (o “legge”) e’ unpostulato nato (e mai smentito!) dall’osservazione sperimentale, ma nondimostrabile per via logico/matematica.

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Calore e lavoro

• I sistemi termodinamici di cui ci interessiamo possono scambiare energiacon l’ambiente in due sole forme: calore e lavoro.

Per i motivi che appariranno chiari successivamente, e’ conveniente scrive-re l’energia in entrata e in uscita dal sistema esplicitamente come sommadi un termine di calore q e uno di lavoro w. In tal modo il primo principiodiventa:

qin + win = qout + wout + ∆U

ovvero:

∆U = (qin − qout) + (win − wout)

Le due differenze al secondo membro sono, rispettivamente, il calorenetto e il lavoro netto entrati nel sistema durante il processo.

Possiamo indicare queste quantita’ semplicemente con q e w. Otteniamocosi’ la forma piu’ nota del primo principio della termodinamica:

∆U = q + w

• L’unita’ di misura per l’energia interna, il calore ed il lavoro nel sistemainternazionale e’ il Joule:

1 J = 1 N m

= 1 kg m2 s−2

Molto usata e’ anche la “caloria” e la “kilo-caloria”:

1 cal = 4.184 J

1 kcal = 103 cal

26

• Notate che, per come sono stati definiti, q e w sono positivi se entrano (alnetto) nel sistema e negativi se ne escono:

q T 0 ⇔ qin T qout

w T 0 ⇔ win T wout

Questa viene detta “convenzione egoistica”, nel senso che e’ positivo tuttocio’ che entra nel sistema.

• Talvolta, soprattutto nei testi piu’ vecchi, potreste trovare il primo prin-cipio scritto cosi’:

∆U = q − w

In questo caso, il lavoro w e’ positivo quando esce (cioe’: e’ compiuto)dal sistema. Infatti l’espressione col segno meno si ricava dal bilancioenergetico scritto in questo modo:

∆U = (qin − qout)− (wout − win)

(e quindi w > 0 quando wout > win)

Naturalmente, entrambe le forme sono corrette, una volta che si abbia benchiaro il significato dei simboli.

La seconda convenzione nasce dall’idea che il lavoro “utile” (e quindi“degno” del segno positivo) sia quello compiuto dal (e non sul) sistema.

Nel nostro corso adotteremo la convenzione egoistica.

• Con riferimento all’equazione vista sopra, la formulazione del primo prin-cipio della termodinamica e’:

Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici dettaenergia interna e tale che la sua variazione quando un sistemachiuso compie un processo qualsiasi fra due stati di equilibrio e’uguale alla somma del calore assorbito e del lavoro compiuto sudi esso.

• Si trovano spesso formulazioni alternative e “parziali” del primo principio,sempre basate sull’equazione vista sopra.

Se un sistema e’ racchiuso da pareti adiabatiche non puo’ scambiare caloree quindi: q = 0⇒ ∆U = w. In questo caso, il primo principio suona cosi’:

27

Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici dettaenergia interna e tale che la sua variazione quando un sistemachiuso compie un processo adiabatico fra due stati di equilibrioe’ uguale al lavoro compiuto su di esso.

Se un sistema e’ isolato, non puo’ scambiare ne’ calore ne’ lavoro e quindi:q = w = 0⇒ ∆U = 0. In questo caso, il primo principio suona cosi’:

Esiste una funzione di stato dei sistemi termodinamici dettaenergia interna che si conserva per i sistemi isolati.

Qualche chiarimento sul lavoro

• Gli ingredienti del primo principio sono il calore e il lavoro ed e’ fonda-mentale comprendere bene cosa significa che queste due forme di energiapossano “entrare” o “uscire” da un sistema.

• Per quanto riguarda i flussi di calore, non dovrebbe esserci alcun problema:il calore e’ una forma di energia che viene scambiata per effetto di differenzedi temperatura e tutti abbiamo un’idea chiara di cosa significhi che delcalore entra o esce da un sistema.

A tutti dovrebbe essere assolutamente chiaro che:

⇒ se un sistema e’ racchiuso da pareti adiabatiche non si ha ne’ en-trata (sinonimi: assorbimento, acquisto) ne’ uscita (sinonimi: ces-sione, perdita) di calore dal sistema (ovviamente, lo stesso vale perl’ambiente)

⇒ se le pareti che racchiudono il sistema sono diatermiche, cioe’ nonadiabatiche, allora:

se Tamb > Tsist si avra’ passaggio di calore dall’ambiente alsistema; calore entra nel sistema; calore escedall’ambiente; il sistema acquista calore; l’am-biente perde calore; il sistema si riscalda; l’am-biente si raffredda.

se Tamb < Tsist si avra’ passaggio di calore dal sistema al-l’ambiente; calore esce dal sistema; calore en-tra nell’ambiente; il sistema perde calore; l’am-biente acquista calore;il sistema si raffredda;l’ambiente si riscalda.

• Per quanto riguarda il lavoro, potrebbe esserci qualche incertezza su cosasignifichi esattamente che del lavoro entra o esce da un sistema.

Innanzitutto:

⇒ energia che entra nel sistema sotto forma di lavoro significa chedel lavoro viene compiuto sul sistema dall’ambiente;

⇒ energia che esce dal sistema sotto forma di lavoro significa che dellavoro viene compiuto dal sistema sull’ambiente;

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• Quindi il problema puo’ essere riformulato in questo modo: come si sta-bilisce se un agente (il sistema o l’ambiente) compie del lavoro oppure sedel lavoro viene compiuto su di esso?

• Diamo per scontata la nozione di lavoro meccanico: quando una forza ~Fagisce su un oggetto che si sposta di un tratto ~s, essa, ovvero l’agente cheapplica tale forza, compie un lavoro sull’oggetto dato dal prodotto scalarefra la forza e lo spostamento:

w = ~F · ~s

Per definizione, il lavoro e’ una grandezza scalare.

A seconda dell’angolo fra la forza e lo spostamento il segno del lavoro puo’essere positivo o negativo (se l’angolo in questione e’ pari a 90◦, il lavoroe’ ovviamente nullo).

• Se w > 0, cioe’ se la proiezione della forza lungo la direzione dello sposta-mento dell’oggetto e lo spostamento stesso hanno lo stesso verso, alloradiciamo che la forza, ovvero l’agente che la applica, ha compiuto del la-voro sull’oggetto. Ad esempio: compiamo un lavoro su una scrivania sela trasciniamo sul pavimento. Oppure: compiamo un lavoro su un corpose lo solleviamo nel campo gravitazionale.

• Se w < 0, cioe’ se la proiezione della forza lungo la direzione dello spo-stamento dell’oggetto e lo spostamento stesso hanno verso opposto, alloradiciamo che l’oggetto ha compiuto del lavoro sull’agente che ap-plica la forza. Ad esempio, se accompagnamo la discesa della scrivanialungo un piano inclinato, la forza da noi esercitata tenderebbe a far salirela scrivania, mentre la scrivania scende: forza e spostamento hanno versiopposti; non siamo noi a fare del lavoro sulla scrivania, ma la scrivania acompiere del lavoro su di noi. Oppure: se freniamo la caduta di un corponel campo gravitazionale, e’ il corpo a compiere del lavoro su di noi, e nonil contrario.

• In generale, da un punto di vista intuitivo, diciamo che un agente compiedel lavoro quando “non si sforza inutilmente”: se trascino la scrivania, essasi muove nel verso in cui applico i miei sforzi, che quindi “non sono vani”;viceversa, se faccio uno sforzo per accompagnare la scrivania nella suadiscesa lungo il piano inclinato, l’impressione che ho e’ comunque quelladi “sforzarmi inutilmente”: nonostante io spinga verso su’, la scrivaniascende verso giu’ (ovviamente, da un punto di vista pratico, i miei sforzinon sono vani neppure in questo caso: se non accompagnassi la scrivania,essa accelererebbe lungo la discesa e potrebbe fracassarsi!).

• Possiamo quindi dire che il sistema compie del lavoro sull’ambientequando una parte del sistema e/o dell’ambiente si muove nella stessadirezione della forza che il sistema applica (ovvero in direzione oppo-sta a quella della forza applicata dall’ambiente): l’esempio piu’ chiaro e’l’espansione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone.

Il lavoro che il sistema compie sull’ambiente “esce” dal sistema e fa dimi-nuire la sua energia interna.

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• Analogamente, possiamo dire che l’ambiente compie del lavoro sulsistema quando una parte del sistema e/o dell’ambiente si muove nellastessa direzione della forza che l’ambiente applica (ovvero in direzioneopposta a quella della forza applicata dal sistema): l’esempio piu’ chiaroe’ la compressione di un gas racchiuso in un cilindro con pistone.

Il lavoro che l’ambiente compie sul sistema “entra” nel sistema e fa au-mentare la sua energia interna.

• In termodinamica, il lavoro che un sistema puo’ compiere o subire none’ limitato alla sola forma del lavoro meccanico; si puo’ avere infatti dellavoro elettrico, del lavoro chimico, del lavoro di magnetizzazione e cosi’via.

Tuttavia, qualsiasi tipo di lavoro puo’ essere sempre ricondotto (anchesolo concettualmente) ad un lavoro meccanico in cui un peso soggetto allaforza di gravita’ subisce un innalzamento o un abbassamento.

• Ad esempio, se un sistema termodinamico e’ costituito da un conduttoremetallico attraverso il quale una batteria (l’ambiente) forza il passaggio diuna carica elettrica pari a Q soggetta ad una differenza di potenziale ∆V ,il sistema subisce un lavoro elettrico w = Q∆V che si potrebbe ottenerein modo equivalente facendo discendere di un tratto h un corpo di massam collegato ad un magnete girevole all’interno di un solenoide. Il tratto hdi cui il corpo dovrebbe discendere soddisfa la condizione:

mgh = Q∆V

dove g e’ l’accelerazione di gravita’.

In questo caso la forza di gravita’ (l’ambiente) compie del lavoro sulsistema (il conduttore) che lo subisce.

• In generale, possiamo dire che il sistema compie lavoro (cioe’ energiasotto forma di lavoro esce dal sistema) ogni volta che il lavoro scambia-to dal sistema con l’ambiente puo’ essere ricondotto al sollevamento diun corpo; il lavoro compiuto dal sistema e’ dato dall’aumento di energiapotenziale gravitazionale del corpo.

Analogamente, possiamo dire che del lavoro viene compiuto sul sistema(cioe’ energia sotto forma di lavoro entra nel sistema) ogni volta che illavoro scambiato dal sistema con l’ambiente puo’ essere ricondotto alla di-scesa di un corpo; il lavoro compiuto sul sistema e’ dato dalla diminuzionedi energia potenziale gravitazionale del corpo.

• Un altro modo semplice e intuitivo per decidere con sicurezza se il sistemacompie o subisce del lavoro e’ il seguente.

In generale, l’energia (anche l’energia interna) puo’ essere definita quali-tativamente come “la capacita’ di compiere lavoro”.

Questo e’ un concetto estremamente intuitivo: normalmente, se vediamouna persona lavorare di buona lena, diciamo che “ha molta energia”.

30

E’ altrettanto intuitivo il fatto che piu’ lavoro si compie, e meno si e’ dispo-sti a compierne dell’ulteriore: se cominciamo a fare un lavoro faticoso almattino, dopo una notte di buon riposo, inizialmente procediamo spediti,ma, man mano che lavoriamo, la voglia di andare avanti diminuisce sem-pre piu’. La nostra energia, cioe’ la nostra capacita’ di compiere lavoro,diminuisce man man che compiamo lavoro.

All’opposto, se del lavoro viene compiuto su di noi (in questo caso sara’ del“lavoro chimico” dovuto alle reazioni che avvengono quando mangiamo delcibo o dormiamo), la nostra capacita’ a compiere lavoro (la nostra energia)aumenta.

Allora: per capire subito se del lavoro e’ stato fatto dal sistema o sulsistema, spesso basta chiedersi se in seguito ad esso la capacita’ del sistemadi compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata o diminuita:

⇒ se in seguito a del lavoro scambiato con l’ambiente la capacita’del sistema di compiere dell’ulteriore lavoro e’ aumentata, allora illavoro scambiato e’ stato fatto sul sistema.Ad esempio, se il gas contenuto in un cilindro con pistone vienecompresso (scambio di lavoro), la sua capacita’ di compiere dell’ul-teriore lavoro e’ aumentata (il gas puo’ sollevare un peso maggiorese viene lasciato espandere): la compressione di un gas e’ quindiun lavoro fatto sul gas, perche’ in seguito ad esso la sua capacita’di compiere (ulteriore) lavoro e’ aumentata.

⇒ se in seguito a del lavoro scambiato con l’ambiente la capacita’del sistema di compiere dell’ulteriore lavoro e’ diminuita, allora illavoro scambiato e’ stato fatto dal sistema.Se il gas contenuto in un cilindro con pistone viene lasciato espan-dere, la sua capacita’ di compiere dell’ulteriore lavoro e’ diminuita(dopo l’espansione, il gas riesce a sollevare un peso minore se vienelasciato espandere ulteriormente): l’espansione di un gas e’ quindiun lavoro fatto dal gas, perche’ ha diminuito la sua capacita’ dicompiere (ulteriore) lavoro (la sua energia).

Energia interna, lavoro e calore dal punto di vista microscopico

• La termodinamica classica prescinde totalmente dalla dimensione micro-scopica dei sistemi: cioe’ ignora completamente l’esistenza di atomi, mo-lecole ed elettroni. Tuttavia e’ molto utile porre in relazione le leggi e irisultati della termodinamica classica con la dimensione molecolare dellarealta’.

• Da un punto di vista microscopico/molecolare, lavoro e calore sono en-trambi connessi ai moti molecolari, ma sono nettamente e facilmentedistinguibili:

⇒ si ha scambio di energia sotto forma di lavoro ogni volta che le par-ticelle (elettroni, atomi, molecole) si muovono in modo ordinato:un pistone che si solleva, una ruota che gira, un flusso di elettroniin un circuito elettrico etc.

31

⇒ si ha scambio di energia sotto forma di calore ogni volta che leparticelle si muovono in modo caotico e disordinato: se un gasviene riscaldato a volume costante, non si ha alcun movimentoordinato (niente di macroscopico si muove), ma la velocita’ mediadel moto casuale delle sue molecole aumenta.

• L’energia interna di un sistema e’ la somma dell’energia cinetica e poten-ziale delle particelle che lo costituiscono.

Notate: non solo l’energia cinetica delle molecole e la loro energia poten-ziale di interazione, ma anche l’energia dei legami fra gli atomi nelle mo-lecole, l’energia di interazione fra gli elettroni e i nuclei di ciascun atomo,l’energia di coesione delle particelle nucleari etc. etc.

Questo e’ il motivo per cui non e’ possibile conoscere la quantita’ totale dienergia interna posseduta da un sistema: la scomposizione di un sistemain “particelle” puo’ essere condotta a livelli sempre piu’ “microscopici”, eciascun livello porta un contributo all’energia interna.

Per questo motivo l’energia interna di un sistema viene spesso definitacome l’energia necessaria a “creare il sistema dal nulla”.

La forma differenziale del primo principio

• Come apparira’ chiaro nel seguito, e’ utile considerare l’applicazione delprimo principio della termodinamica ad un processo infinitesimo. Inun tale processo, sistema e ambiente scambiano quantita’ infinitesime dicalore e/o lavoro, che determinano, conseguentemente, una variazione infi-nitesima dell’energia interna del sistema. Matematicamente, l’espressionedel primo principio per questo caso resta immutata, salvo che le quantita’in gioco sono dei differenziali:

dU = δq + δw

• Chiariremo fra un attimo il significato dell’oggetto matematico che chia-miamo differenziale: per il momento, e’ sufficiente sapere che esso rap-presenta il modo di esprimere una variazione molto piccola (infinitesima,appunto) di una qualche grandezza fisica.

• Il significato fisico della relazione scritta sopra e’ il seguente.

Se un sistema scambia con l’ambiente delle quantita’ molto piccole (ten-denti a zero) di lavoro (δw) e calore (δq), la sua energia interna variacorrispondentemente di una quantita’ infinitesima (dU).

• Un punto fondamentale riguarda la descrizione “matematica” delle tregrandezze contenute nell’uguaglianza.

Le tre quantita’ infinitesime sono state indicate, volutamente, in mododiverso: dU indica un cosiddetto differenziale esatto, mentre δq e δwindicano dei differenziali inesatti.

32

• Dire che dU e’ un differenziale esatto e’ un modo di dire che l’energiainterna di un sistema e’ una funzione di stato. Cioe’: l’energia internasi puo’ scrivere come una funzione matematica di alcune variabilidi stato del sistema e quindi una sua variazione infinitesima si puo’esprimere con il differenziale di tale funzione (definiremo fra un momentoil differenziale di una funzione).

• D’altro canto, dire che δq e δw sono dei differenziali inesatti e’ unmodo di dire che calore e lavoro non sono funzioni di stato. Non esisteuna funzione delle variabili di stato di un sistema che fornisca il calore oil lavoro “contenuti” nel sistema in un certo stato di equilibrio.

Calore e lavoro sono grandezze fisiche definite solo in relazione al loroflusso dal sistema all’ambiente o viceversa: cioe’, possiamo misu-rare senza difficolta’ quanto calore o lavoro viene trasferito dal sistemaall’ambiente o viceversa, non possiamo misurare e neppure definire quantocalore o lavoro e’ contenuto nel sistema o nell’ambiente.

• Una delle principali differenze fra una grandezza termodinamica che e’funzione di stato (come l’energia interna) e una che non lo e’ (come ilcalore o il lavoro) consiste nel fatto che, durante un processo che collegalo stesso stato iniziale allo stesso stato finale, la variazione della prima e’indipendente dal percorso seguito, mentre quella della seconda dipendeda come il processo e’ stato eseguito (ad esempio se il processo e’ statoreversibile o irreversibile).

• Possiamo illustrare questo punto con un esempio gia’ fatto in generale.Consideriamo l’applicazione del primo principio ad un processo A → Bcompiuto attraverso due percorsi diversi p e p′:

p′

p

B

A

p′

p

B

A

Se indichiamo con q e w il calore e il lavoro scambiati lungo il percorsop e con q′ e w′ le corrispondenti quantita’ scambiate lungo p′, allora, ingenerale, si avra’:

q 6= q′

33

w 6= w′

perche’ calore e lavoro non sono funzioni di stato (cioe’ sono dei differen-ziali inesatti).

Invece, siccome l’energia interna e’ una funzione di stato (e’ un differenzialeesatto), si avra’ (non solo per p e p′, ma per qualsiasi altro percorso):

∆U = ∆U ′

• Notate: mentre calore e lavoro, presi singolarmente, non sono funzioni distato, la loro somma lo e’:

∆U = ∆U ′

q + w = q′ + w′

Digressione matematica sui differenziali

• A questo punto e’ opportuna una piccola digressione matematica sul con-cetto di differenziale.

• Il differenziale di una funzione di una variabile f (x) e’ indicato con df ede’ la funzione di due variabili x e ∆x definita nel modo seguente:

df (x, ∆x) = f ′ (x) ∆x

dove f ′ (x) e’ la derivata prima della funzione e ∆x e’ un incremento(arbitrario) della variabile indipendente x.

Nella notazione, usualmente si sopprimono gli argomenti x e ∆x, per cuiil differenziale si scrive normalmente come df . Se la funzione viene scrittacome y = f (x), allora il suo differenziale viene spesso indicato con dy .

• Per la funzione identita’ y = f (x) = x si ha:

df (x, ∆x) = dy (x, ∆x) = dx (x, ∆x) = dx = f ′ (x)∆x

=d

dx(x) ∆x

= 1×∆x

= ∆x

34

e quindi e’ invalso l’uso di scrivere dx al posto di ∆x:

df (x, ∆x) = f ′ (x) dxoppure df (x) = f ′ (x) dxoppure df = f ′ (x) dxoppure dy = f ′ (x) dx

• Il significato geometrico del differenziale di una funzione si puo’ vedere inquesta figura:

f (x)

ξ = dy

ε

∆y

x + ∆xx

f (x)

ξ = dy

ε

∆y

x + ∆xx

f ′ (x) e’ la pendenza della retta tangente al grafico della funzione nel puntodi coordinate (x, f (x)). Allora, detto ∆x uno spostamento lungo l’asse x apartire da x e detto, per il momento, ξ il corrispondente spostamento lungol’asse y determinato nella retta tangente, per la pendenza deve valere:

f ′ (x) =ξ

∆x

ovvero:

ξ = f ′ (x)∆x

= dy

35

In pratica, quindi, il differenziale dy rappresenta l’approssimazione linea-re alla variazione della funzione ∆y per la variazione ∆x (= dx ) dellavariabile indipendente.

Cioe’, in altre parole, se la variabile indipendente x varia di ∆x (= dx ),la variazione della funzione e’ ∆y, e sarebbe pari a dy se la funzionecoincidesse con la sua retta tangente nel punto di coordinate (x, f (x)).

• L’utilita’ del differenziale di una funzione si comprende sulla base dellaseguente semplice proprieta’:

lim∆x→0

∆y = dy

cioe’: per una piccola variazione della variabile indipendente x (∆x→ 0),la variazione della funzione (∆y) tende a coincidere con il suo differenziale(dy).

La dimostrazione dell’uguaglianza su scritta e’ molto semplice:

lim∆x→0

∆y = lim∆x→0

(f (x + ∆x)− f (x))

= lim∆x→0

f (x + ∆x) − f (x)

∆xdx (NOTA: moltiplico e divido per ∆x = dx )

= f ′ (x) dx

= dy

perche’:

lim∆x→0

f (x + ∆x)− f (x)

∆x= f ′ (x) per definizione

e

lim∆x→0

dx = dx sempre

• Quindi: se una grandezza fisica y e’ esprimibile come una funzione mate-matica di un’altra grandezza fisica x, allora la variazione di y conseguentead una variazione di x e’ approssimativamente uguale al differenziale dellafunzione e cio’ e’ tanto piu’ vero quanto piu’ piccola e’ la variazione di x.

• Le regole di differenziazione (cioe’ le regole per trovare i differenziali) sonoidentiche alle regole di derivazione (cioe’ le regole per trovare le derivate).

Possiamo illustrare questo per il caso del prodotto di due funzioni f (x) eg (x).

36

Qual’e’ il differenziale del prodotto f (x) g (x)?

Basta applicare la definizione:

d (fg) =

d (f (x) g (x)) = (f (x) g (x))′dx

= (f ′ (x) g (x) + f (x) g′ (x)) dx

= g (x) f ′ (x) dx + f (x) g′ (x) dx

= g (x) df (x, ∆x) + f (x) dg (x, ∆x)

= g df + fdg

cioe’:

d (fg) = g df + fdg

che e’ proprio la regola per trovare la derivata di un prodotto.

E cosi’ via. Ad esempio:

d

(f

g

)

=gdf − fdg

g2

• La derivata di una funzione puo’ essere trattata come rapporto fra duedifferenziali.

Dalla definizione di differenziale si ha, banalmente:

df = f ′dx

f ′ =df

dx

Notate: normalmente, la derivata di una funzione viene indicata equiva-lentemente con f ′ oppure df /dx . Se non avessimo introdotto la definizionedi differenziale, la notazione:

df

dx

sarebbe semplicemente un simbolo come un altro per indicare la derivatadella funzione f . Nulla ci autorizzerebbe a considerarlo come un effettivorapporto! Cioe’, se:

f (x) = 3x2 − 2x + 7

37

il simbolo df /dx indicherebbe la funzione:

df

dx≡ f ′ (x) = 6x− 2

Alla luce della definizione di differenziale, invece, possiamo interpretare ilsimbolo df /dx anche come un vero e proprio rapporto fra due differenziali.

• Avete sicuramente gia’ sfruttato questo fatto senza giustificarlo. Ad esem-pio, sapete senz’altro risolvere una equazione differenziale ordinaria delprimo ordine come:

f ′ (t) = −kf (t)

con f (0) = f◦ e k costante.

Cio’ che abitualmente si fa in questo caso e’:

df

dt= −kf

df

f= −kdt

∫ f

f◦

df

f= −k

∫ t

0

dt

ln f − ln f◦ = −kt

ln f

ln f◦= −kt

f

f◦= exp (−kt)

f (t) = f◦ exp (−kt)

Se non si sa che una derivata puo’ essere trattata come un effettivo rap-porto fra due differenziali, il primo passaggio qui sopra lascerebbe per lomeno perplessi!

• Quanto detto per le funzioni di una sola variabile si estende senza alcunacomplicazione al caso delle funzioni a piu’ variabili.

Per una funzione di n variabili:

y = f (x1, . . . , xn)

si definisce differenziale totale dy la sommatoria:

38

dy =∂y

∂x1∆x1 + · · · +

∂y

∂xn∆xn

=∑

i

∂y

∂xi∆xi

Anche in questo caso, se y = f (x1, . . . , xn) = xi si ha:

dy = dx i =∂y

∂x1∆x1 + · · · +

∂y

∂xn∆xn

=∂

∂x1(xi) ∆x1 + · · · +

∂xn(xi) ∆xn

=∂

∂xi(xi) ∆xi (perche’ tutte le altre derivate parziali sono nulle)

= 1×∆xi

= ∆xi

per cui normalmente il differenziale di una funzione di piu’ variabili siscrive come:

dy =∂y

∂x1dx 1 + · · · +

∂y

∂xndxn

• L’interpretazione geometrica del differenziale in piu’ dimensioni e’ analogaa quella in una sola dimensione: il differenziale totale di una funzione apiu’ variabili e’ la variazione che subirebbe la funzione in corrispondenzaa delle variazioni delle variabili indipendenti ∆x1, ∆x2, . . . , ∆xn se la fun-zione coincidesse con il suo (iper)piano tangente nel punto di coordinate(x1, x2, . . . , xn, f (x1, x2, . . . , xn)) (pensate al caso di una funzione di duesole variabili, il cui grafico e’ una superficie nello spazio).

• Anche per una funzione di piu’ variabili si puo dimostrare che:

lim∆xi→0

(i=1,...,n)

∆y = dy

cioe’: per piccole variazioni delle variabili indipendenti, la variazione diuna funzione di esse e’ approssimata dal suo differenziale e l’approssi-mazione e’ tanto migliore quanto minore e’ la variazione della variabiliindipendenti.

Differenziali esatti e inesatti

39

• Da quanto appena detto sulla nozione matematica di differenziale, dovreb-be essere chiaro che per ogni funzione (a parte casi veramente gobbi chenon ci interessano) esiste il corrispondente differenziale.

• La cosa per noi importante, riguardo al primo principio della termodi-namica e in generale, come vedremo, per tutte le grandezze fisiche cheincontreremo, e’ l’affermazione del punto precedente, vista al contrario:

se una grandezza termodinamica (come ad esempio l’energia in-terna introdotta dal primo principio) e’ una funzione di sta-to, cioe’, in parole povere, si puo’ esprimere come una fun-zione matematica di una o piu’ altre variabili di stato, allorauna sua variazione infinitesima si puo’ rappresentare con il suodifferenziale.

Lo stesso non vale se una grandezza termodinamica non e’ unafunzione di stato, come e’ il caso di calore e lavoro.

Nel primo caso si dice cha la variazione infinitesima della grandezza consi-derata e’ un differenziale esatto, cioe’, semplicemente, che si puo’ esprimerecon un differenziale matematico.

Nel secondo caso si dice cha la variazione infinitesima della grandezza con-siderata e’ un differenziale inesatto, intendendo con cio’ che tale variazionenon si puo’ esprimere con un differenziale matematico.

• Attenzione: il primo principio afferma che l’energia interna e’ una funzionedi stato, ma l’espressione:

dU = δq + δw

non e’ l’espressione matematica del differenziale (esatto) dell’energia in-terna. Questa espressione e’ di origine fisica e non matematica.

• L’espressione matematica del fatto che l’energia interna e’ una funzionedi stato e quindi ammette un differenziale richiede che si specifichino levariabili di stato (calore e lavoro non sono variabili di stato!) da cuil’energia interna dipende. Ad esempio, abbiamo detto che lo stato di unsistema costituito da una massa fissata di una sola fase di una sola sostanzae’ completamente determinato da due sole variabili intensive. Allora, sescegliamo la pressione P e la temperatura T , il primo principio ci assicurache l’energia interna (funzione di stato) si puo’ esprimere matematicamentecome:

U = U (P, T )

e quindi, per una variazione infinitesima di pressione e temperatura, lacorrispondente variazione dell’energia interna si puo’ esprimere come:

40

dU =

(∂U

∂P

)

dP +

(∂U

∂T

)

dT

E’ la matematica che ci consente di scrivere questa relazione; mentre e’dalla fisica (cioe’ dall’esperimento) che si origina il primo principio:

dU = δq + δw

Naturalmente, le due espressioni, in quanto entrambe valide, possonoessere combinate per dare:

(∂U

∂P

)

dP +

(∂U

∂T

)

dT = δq + δw

Ecco: questo e’ un tipico uso che faremo spesso del fatto che una certagrandezza termodinamica e’ funzione di stato: esprimeremo una sua va-riazione infinitesima sia come il suo differenziale (un fatto puramente ma-tematico) e sia in funzione della variazione infinitesima di altre grandezze(grazie a leggi fisiche, derivate da esperimenti).

Dall’uguaglianza delle due espressioni si ricaveranno importanti risultati.

• Notate ancora che per scrivere il differenziale dell’energia interna (o diqualsiasi altra funzione di stato), non e’ necessario conoscere l’esatta formaanalitica della funzione; il piu’ delle volte, saremo in grado di ottenererisultati della massima importanza prescindendo completamente da taleconoscenza.

Il lavoro di volume

• Un tipico modo di scambiare energia fra sistema e ambiente sotto formadi lavoro e’ quello del cosiddetto lavoro di espansione o lavoro divolume.

• Quando in un processo termodinamico si ha variazione di volume (cioe’ ilsistema si espande o si contrae), si ha sempre il movimento di qualche corpomacroscopico nel sistema o nell’ambiente. Tale movimento corrisponde adun lavoro che viene detto, appunto, lavoro di volume (o di espansione).Vogliamo trovare ora l’espressione di tale forma di lavoro, che per noi sara’particolarmente importante.

• Come abbiamo gia’ notato, il lavoro di espansione non e’ l’unica forma dilavoro possibile in termodinamica. Ad esempio, si puo’ avere del lavoroelettrico prodotto o subito da una cella elettrochimica. Vedremo pero’ chealcuni risultati che ricaveremo in seguito sono validi solo quando l’unicaforma di lavoro scambiato fra sistema e ambiente e’ il lavoro di volume.

41

• Per ricavare l’espressione del lavoro scambiato in seguito ad una varia-zione di volume, ricordiamo che qualsiasi lavoro compiuto o subito dalsistema (non solo quello di volume) e’ misurato dalla variazione di energiapotenziale gravitazionale di un corpo che viene, rispettivamente, sollevatoo abbassato.

• Consideriamo allora un sistema costituito da un gas (non necessariamenteideale) contenuto all’interno di un cilindro dotato di un pistone scorrevole:

GAS

dh

h + dh

h

• Supponiamo che sopra il pistone sia stato fatto il vuoto, cosicche’ la pres-sione esercitata dall’ambiente sul sistema e’ dovuta alla forza peso delpistone, supposto di massa m e area A:

Pext =mg

A(g = accelerazione di gravita’)

• Consideriamo un processo in cui il gas si espande di una quantita’ infini-tesima sollevando il pistone di un tratto dh .

• In questo caso, l’identificazione del lavoro scambiato con la variazionedi energia potenziale gravitazionale di un corpo che viene sollevato e’immediata: la quantita’ di lavoro scambiata e’ semplicemente:

mgdh

• A questo punto c’e’ da fare una precisazione sul segno del lavoro.

La quantita’ mgdh e’ positiva per un’espansione (dh > 0).

D’altro canto, in un’espansione, il pistone si solleva

⇒ il gas compie lavoro⇒ energia esce dal sistema⇒ il termine w nell’espressione del primo principio (secondo la con-

venzione egoistica che noi adottiamo) deve essere negativo

42

Ovviamente, un discorso speculare vale per una compressione.

In definitiva: il guadagno o la perdita di energia potenziale del pistonevanno presi col segno meno se vogliamo utilizzarli nell’espressione delprimo principio scritta secondo la convenzione egoistica:

δw = −mgdh

Convincetevi che con il segno meno, si ha:

δw < 0 per una espansione

δw > 0 per una compressione

come e’ richiesto nell’espressione: dU = δq + δw.

• Ora possiamo introdurre la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema(ricordate che Pext = mg/A):

δw = −PextAdh

Osservando che Adh = dV non e’ altro che la variazione infinitesima delvolume occupato dal gas, si ottiene il risultato finale:

δw = −PextdV

• Il risultato ottenuto e’ di carattere generale: esso vale sia per una com-pressione (dV < 0), che per una espansione (dV > 0).

• Inoltre si puo’ dimostrare che esso continua a valere anche per un sistemadi forma qualsiasi che si espande o si contrae sotto l’azione di una pressioneesterna di qualsiasi origine.

• Per una variazione di volume finita, con un procedimento molto comunein fisica, il processo si suddivide in un numero infinito di steps infinitesimie il lavoro totale si ottiene dalla somma di tutti i contributi infinitesimi.Matematicamente, cio’ significa calcolare il seguente integrale:

w = −

∫ V2

V1

PextdV

Chiaramente, questo integrale si puo’ calcolare solo se si conosce come lapressione esercitata dall’ambiente sul sistema varia in funzione del volumedel sistema.

43

Calcolo del lavoro per alcuni processi

• Lavoro di volume isobaro.

Se durante un processo in cui il sistema varia il suo volume la pressioneesterna resta costante al valore P ◦ext , allora il calcolo del lavoro diventabanale:

w = −

∫ Vf

Vi

P ◦extdV

= −P ◦ext

∫ Vf

Vi

dV

= −P ◦ext∆V

con ∆V = Vf − Vi.

Il processo si puo’ rappresentare su un piano cartesiano in cui l’ascissarappresenta il volume e l’ordinata la pressione esercitata dall’ambiente sulsistema Pext. Un diagramma di questo genere viene detto “diagrammaindicatore”.

P ◦ext

V

Pext

VfVi

Gli stati iniziale e finale del processo sono rappresentati sul diagrammadai due punti di coordinate (Vi, P

◦ext ) e (Vf , P ◦ext), rispettivamente.

Il percorso seguito dal sistema per andare dallo stato iniziale allo statofinale e’ il segmento orizzontale che congiunge i due corripondenti puntisul diagramma.

Il lavoro compiuto dal sistema e’ l’area del rettangolo mostrato nella figura.

44

• Lavoro di volume reversibile.

Se la variazione di volume avviene in modo reversibile, allora, per definizio-ne di reversibilita’, in ogni istante il sistema e l’ambiente sono in equilibrioe quindi la pressione esercitata dall’ambiente sul sistema, Pext , e’ ugualea quella esercitata dal sistema sull’ambiente, P (notate che questo non e’vero, in generale, per un processo irreversibile):

Pext = P

Quindi, per un processo reversibile, si ha:

w = −

∫ Vf

Vi

PdV

(notate che si e’ usato P al posto di Pext)

A questo punto, se si conosce come P , la pressione esercitata dal sistema,varia in funzione del volume V , si puo’ risolvere l’integrale e trovare illavoro.

Cio’ e’ particolarmente facile per il gas perfetto, per il quale vale lasemplice equazione di stato che abbiamo visto.

• Espansione isoterma reversibile del gas perfetto.

Nel caso del gas perfetto, la relazione che lega la pressione al volume e’:

P =nRT

V

Se il processo (reversibile) avviene a temperatura costante, la soluzionedell’integrale e’ banale:

w = −

∫ Vf

Vi

PextdV

= −

∫ Vf

Vi

PdV (per l’ipotesi di reversibilita’)

= −

∫ Vf

Vi

nRT

VdV (gas ideale)

= −nRT

∫ Vf

Vi

1

VdV

= −nRT lnVf

Vi

Da cui si vede che:

45

espansione Vf > Vi ⇒ ln (Vf/Vi) > 0 ⇒ w < 0: ilgas compie lavoro sull’ambiente e la sua energiadiminuisce

compressione Vf < Vi ⇒ ln (Vf/Vi) < 0 ⇒ w > 0: l’ambientecompie lavoro sul gas e l’energia di quest’ultimocresce.

• Espansione libera.

Si intende con questo termine un’espansione del sistema contro una pres-sione nulla (cioe’, in pratica, nel vuoto).

L’espansione libera si puo’ realizzare sperimentalmente connettendo tra-mite un rubinetto, inizialmente chiuso, due recipienti di cui uno e’ riempitoda un gas e l’altro e’ evacuato. Aprendo il rubinetto, il gas si espande finoad occupare omogeneamente entrambi i recipenti e durante il processo lapressione esercitata dall’ambiente sul gas e’ chiaramente nulla.

Per questo caso, essendo Pext = 0, segue anche che w = 0, cioe’ il gas noncompie alcun lavoro.

Se ci pensate, la cosa e’ intuitiva: se il sistema si espande in assenza diuna forza che lo contrasti, non deve fare alcuna “fatica” e quindi non falavoro.

• Confronto fra lavoro reversibile e irreversibile.

Riprendiamo l’espansione isoterma del gas ideale per ricavare una relazionefra il lavoro scambiato durante un processo reversibile e uno irreversibile.

Rappresentiamo sul piano Pext vs V l’espansione isoterma del gas perfettodallo stato iniziale (V1, P1) allo stato finale (V2, P2).

Per il caso reversibile si ha, come abbiamo visto, Pext = P = nRT/V equindi la curva che descrive il processo nel piano Pext vs V e’ un tratto diiperbole.

Il calcolo del lavoro lo abbiamo visto sopra:

wrev = −

∫ V2

V1

nRT

VdV

= −nRT lnV2

V1

< 0

L’espansione irreversibile puo’ essere fatta avvenire in infiniti modi. Con-sideriamo fra questi quello in cui Pext viene istantaneamente abbassata alvalore finale P2 e il gas si espande contro tale pressione costante (che inquesto secondo caso si tratti di un processo irreversibile dovrebbe essereovvio: la pressione esterna e quella del gas differiscono per una quanti-ta’ finita ad ogni istante e quindi sistema e ambiente non sono mai inequilibrio, tranne che nello stato finale).

46

Notate: questo e’ un caso “concreto” di due diversi percorsi per andaredallo stesso stato iniziale allo stesso stato finale.

Il lavoro lungo il percorso irreversibile a pressione esterna costante e’banalmente:

wirrev = −P2

∫ V2

V1

dV

= −P2 (V2 − V1)

< 0

P = nRT/V

Pext

V

V2V1

P1

P2

• Interpretando il lavoro come l’area sottesa dai due diversi percorsi (quel-lo reversibile e quello irreversibile), si vede immediatamente che il lavo-ro compiuto dal sistema nel processo reversibile e’ maggiore (in valoreassoluto) di quello compiuto nel processo irreversibile.

Tuttavia, siccome il lavoro di espansione e’ negativo (guardate le dueespressioni sopra), algebricamente vale la relazione:

−nRT ln V2

V1= wrev < 0

−P2 (V2 − V1) = wirrev < 0|wrev| > |wirrev|

=⇒ wrev < wirrev

wrev wirrev 0

Riassumendo, abbiamo trovato che, per un’espansione, vale:

wrev < wirrev

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• Sempre guardando la stessa figura, dovrebbe essere chiaro che per unacompressione vale il discorso speculare.

La compressione reversibile percorre a ritroso esattamente lo stesso cam-mino dell’espansione reversibile (ovviamente: per definizione di processoreversibile).

Il lavoro reversibile e’ esattamente l’opposto di quello del caso precedente(perche’ volume iniziale e finale sono scambiati):

wrev = −

∫ V1

V2

nRT

VdV

= −nRT lnV1

V2

> 0

Una compressione irreversibile potrebbe essere quella in cui la pressionesul pistone viene aumentata istantaneamente al valore dello stato finale,cioe’ P1, e il gas si contrae fino a V1 soggetto alla pressione esterna costanteP1.

Anche in questo caso il calcolo del lavoro e’ banale:

wirrev = −P1

∫ V1

V2

dV

= −P1 (V1 − V2)

> 0

Di nuovo, valutando il lavoro durante un particolare percorso come l’areasottesa da quel percorso sul diagramma indicatore, si vede chiaramentecome, in questo caso, il lavoro reversibile sia minore (in valore assoluto)di quello irreversibile.

Siccome il lavoro di compressione e’ positivo (perche’ aumenta l’energiainterna del gas ideale), anche per il caso della compressione vale la stessarelazione algebrica trovata per l’espansione:

−nRT ln V1

V2= wrev > 0

−P1 (V1 − V2) = wirrev > 0|wrev| < |wirrev|

=⇒ wrev < wirrev

wrev wirrev0

• In definitiva, sia per un’espansione che per una compressione, vale:

wrev < wirrev

48

Notate tuttavia che, a causa del diverso segno delle quantita’ di lavoronell’espansione e nella compressione, si ha:

espansione: |wrev| > |wirrev|compressione: |wrev| < |wirrev|

Diagramma riassuntivo:

|wrev|

|wirrev|

wrev wirrev

|wrev|

|wirrev|

wrev wirrev

COMPRESSIONE: w > 0ESPANSIONE: w < 0

w0

• In pratica:

⇒ quando un sistema compie lavoro (espansione), ne fara’ la quan-tita’ massima (cioe’ piu’ negativa possibile) se procede in modoreversibile. Ovvero: se si ottiene energia utile da un sistema (lavo-ro), se ne ottiene la quantita’ massima (per gli stessi stati iniziale efinale, ovviamente) quando il sistema opera in condizioni reversibili.

⇒ quando siamo noi (l’ambiente) a dover compiere del lavoro sulsistema per portarlo da uno stato iniziale a uno stato finale (com-pressione), faremo la fatica minima (il lavoro da spendere sara’minimo) quando procederemo in modo reversibile.

• In generale: i processi piu’ convenienti (dal punto di vista dell’ambiente,cioe’ dal nostro) sono sempre quelli reversibili. Se un sistema ci forniscelavoro (ad esempio un’automobile), allora ce ne dara’ la quantita’ massimaquando lavora reversibilmente. Se siamo noi a dover fornire lavoro ad unsistema (ad esempio dobbiamo sollevare un peso con una carrucola) allorafaremo la minor fatica se lavoriamo in modo reversibile.

• Come vedremo, il secondo principio della termodinamica ci consentira’di provare questa affermazione in generale (cioe’ non solo per il casodell’espansione/compressione del gas ideale).

L’energia interna del gas perfetto

• Il gas perfetto e’ costituito, per definizione, da molecole che non intera-giscono fra loro. Cio’ rende possibile ricavare molto semplicemente l’e-spressione per la sua energia interna grazie ad un teorema della meccanicastatistica classica noto come teorema dell’equipartizione dell’ener-gia.

• Consideriamo un insieme di un numero molto grande (teoricamente infi-nito) di particelle classiche (cioe’: ignoriamo qualsiasi effetto quantistico)che:

49

⇒ siano in equilibrio termico a una certa temperatura T⇒ possano solo traslare e/o ruotare⇒ non interagiscano fra loro

Per tale insieme di particelle, il teorema dell’equipartizione afferma chel’energia media di ciascuna particella e’ pari a (1/2) kT moltiplicato per ilnumero di gradi di liberta’ della particella (k e’ la costante di Boltzmann,legata alla costante universale dei gas dalla relazione: Nk = R, dove N e’il numero di Avogadro).

• Per grado di liberta’ si intende una variabile indipendente necessaria aspecificare il moto traslazionale o rotazionale della particella. In parolepovere, il moto traslazionale ha sempre 3 gradi di liberta’ perche’ servonole 3 coordinate spaziali x, y, z per definire la posizione della particella.

Il moto rotazionale puo’ avere 0, 2 o 3 gradi di liberta’:

0 se la particella e’ puntiforme: in questo caso non ha moto rotazio-nale. E’ il caso del gas perfetto monoatomico.

2 se la particella e’ lineare: in questo caso il suo moto rotazionalepuo’ essere sempre descritto con 2 sole coordinate angolari. Infatti,se considerate il solo moto rotazionale di un oggetto lineare, potetesempre fissare uno dei suoi due estremi all’origine del sistema diriferimento; allora, la posizione dell’altro estremo, ad esempio incoordinate polari, richiederebbe la specifica di ρ, θ e ϕ. Tuttavia,siccome la distanza fra i due estremi e’ fissa, e’ sufficiente specificaresolo θ e ϕ (cioe’, appunto, 2 coordinate invece di 3). E’ il caso del gasperfetto costituito da molecole biatomiche o poliatomiche lineari.

x

y

z

ρθ

ϕ

3 se la particella ha una struttura non lineare (planare o tridimen-sionale): in questo caso per descrivere il suo moto rotazionale sononecessarie tutte e tre le coordinate (pensate di fissare un atomo diuna molecola non lineare all’origine e fatela ruotare liberamente).

• Se ci pensate, il teorema dell’equipartizione non e’ poi cosi’ “astruso”. Persemplicita’, immaginate una particella puntiforme (che, quindi, puo’ solotraslare nello spazio). Se a un certo istante di tempo essa si sta muovendolungo x, la sua velocita’ non ha componenti lungo y e z. Tuttavia, a causadella presenza di tutte le altre particelle, la particella in questione urtera’qualche altra particella, cambiando cosi’ direzione. Siccome il numerodi particelle e’ molto grande, la particella considerata subira’ un numeromolto grande di urti, “visitando” cosi’ tutte le possibili direzioni di moto.

50

Dovrebbe essere intuitivo realizzare che, in tal modo, il valore medio dellavelocita’ nelle 3 direzioni (x, y, z) sara’ lo stesso, e quindi sara’ lo stesso ilcontributo di ciascuna componente della velocita’ (cioe’, di ciascun gradodi liberta’) all’energia cinetica Ek della particella:

Ek =1

2m |~v|2 =

1

2m(v2

x + v2y + v2

z

)

• Siccome nel gas perfetto non ci sono interazioni intermolecolari (per le qua-li il teorema di equipartizione non vale), la sua energia interna e’ dovutasolo all’energia cinetica traslazionale e rotazionale delle particelle (i con-tributi di energia potenziale sono assenti). Quindi, applicando il teoremadell’equipartizione a n moli di gas perfetto (ricordate che Nk = R):

E(monoatomico) =

3 gradi traslazionali︷ ︸︸ ︷

1

2nRT +

1

2nRT +

1

2nRT +

0 gradi rotazionali︷ ︸︸ ︷

0 + 0 + 0

=3

2nRT

E(poliatomico lin.) =

3 gradi traslazionali︷ ︸︸ ︷

1

2nRT +

1

2nRT +

1

2nRT +

2 gradi rotazionali︷ ︸︸ ︷

1

2nRT +

1

2nRT + 0

=5

2nRT

E(poliatomico 3D) =

3 gradi traslazionali︷ ︸︸ ︷

1

2nRT +

1

2nRT +

1

2nRT +

3 gradi rotazionali︷ ︸︸ ︷

1

2nRT +

1

2nRT +

1

2nRT

= 3 nRT

e per l’energia interna del gas perfetto si puo’ scrivere:

U = αnRT + U◦

dove:

gas monoatomico α = 32

gas poliatomico lineare α = 52

gas poliatomico 3D α = 3

51

e U◦ e’ l’energia interna a T = 0 K, quando non ci sono piu’ moti mo-lecolari e resta solo il contributo dovuto alle interazioni fra le particellesubatomiche.

• Una considerazione importante per il gas perfetto e’ che la sua energiainterna dipende solo dalla temperatura (come mostrato sopra): siccomenon ci sono interazioni intermolecolari (che dipendono dalla distanza reci-proca delle particelle), la distanza intermolecolare, e quindi il volume incui il gas perfetto si trova confinato, non ha alcuna influenza sull’energiainterna.

L’indipendenza dell’energia interna del gas perfetto dal volume e’ espressamatematicamente da:

(∂U

∂V

)

T

= 0

Sistemi a volume costante

• Spesso si ha a che fare con processi isocori, cioe’ processi durante i qualiil volume del sistema rimane (o viene fatto rimanere) costante.

• In tal caso, il lavoro di espansione e’ nullo (δwesp = −PextdV = 0). Senon ci sono altre forme di lavoro (ad esempio lavoro elettrico), dal primoprincipio si ricava:

dU = δq +

(= 0)↓

��HHδw

= δqV

∆U = qV

dove l’indiceV

ricorda che il processo deve essere a volume costante.

• Quindi: per processi isocori e in assenza di lavoro extra (cioe’ lavoro di-verso dal lavoro di espansione), la variazione di energia interna e’ ugualeal calore scambiato.

• Cio’ e’ molto intuitivo. Pensate al riscaldamento di un gas chiuso in unrecipiente. Se il volume non puo’ cambiare, tutta l’energia acquistata dalgas sotto forma di calore verra’ necessariamente incamerata sotto forma dienergia cinetica (e potenziale, se il gas e’ reale) delle molecole, cioe’ sottoforma, appunto, di energia interna.

Viceversa, se il volume del recipiente puo’ cambiare (ad esempio il solitocilindro con pistone), il gas acquista calore ma contemporaneamente siespande: la sua energia interna aumenta, ma di meno che nel caso isocoro,

52

perche’ una parte del calore acquistato viene utilizzato per compiere illavoro di espansione; quindi in questo caso:

∆U < q

• Notate che, dalla:

∆U = qV

segue che, per processi isocori in assenza di lavoro extra, il calore hale caratteristiche di una funzione di stato (perche’ la quantita’ di calorescambiata e’ uguale alla variazione di U , che e’ una funzione di stato) equindi la quantita’ di calore scambiata in tali condizioni non dipende dalcammino percorso dal sistema.

• In termodinamica (come in qualsiasi altra branca della scienza) e’ utiledefinire grandezze che siano misurabili sperimentalmente. Per il caso deiprocessi isocori, si definisce la capacita’ termica a volume costantecome:

CV =

(∂U

∂T

)

V

• Il significato di questa grandezza e’: aumento dell’energia interna delsistema per aumento unitario di temperatura, a volume costante.

• La capacita’ termica a volume costante e’ una grandezza estensiva, essendodefinita in termini dell’energia interna, che e’ una grandezza estensiva.

Talvolta viene usata la capacita’ termica a volume costante molare:

CV,m =1

n

(∂U

∂T

)

V

=

(∂Um

∂T

)

V

Questa e’ ovviamente una grandezza intensiva, come tutte le grandezzemolari, cioe’ definite “per mole” di sistema.

• Se l’andamento dell’energia interna con la temperatura fosse lineare, lacapacita’ termica a volume costante potrebbe essere definita piu’ sempli-cemente come rapporto fra quantita’ finite:

CV =

(∆U

∆T

)

V

53

Siccome pero’, in generale, l’energia interna non varia linearmente conla temperatura, CV deve essere definita in termini differenziali (cioe’ conuna derivata). (E’ esattamente lo stesso motivo per cui la velocita’ diun punto materiale e’ definita, in generale, come v = (ds/dt), perche’ lospazio percorso in un dato intervallo di tempo non e’ costante)

• Spesso, tuttavia, la variazione di CV con la temperatura e’ molto picco-la. Quando si puo’ ritenere valida questa approssimazione, allora si puo’scrivere:

CV ≈

(∆U

∆T

)

V

ovvero, tenendo presente che ∆U = qV

(a volume costante):

CV ≈q

V

∆T(a volume costante)

• Questa ultima relazione consente la misura sperimentale della capacita’termica a volume costante: basta fornire al sistema (chiuso in un reci-piente a volume costante) una quantita’ nota di calore (misurabile conun calorimetro) e misurare la corrispondente variazione di temperatura(con un termometro). Il rapporto delle due grandezze misurate fornisce lacapacita’ termica.

• Sempre dall’ultima relazione possiamo ricavare una semplice interpreta-zione della capacita’ termica (a volume costante): in pratica, essa ci dicequanto e’ capace il sistema di assorbire calore variando meno possibile lasua temperatura.

Una capacita’ termica elevata vuol dire che il sistema puo’ assorbire unagrande quantita’ di calore (q

Vgrande), variando di poco la sua temperatu-

ra (∆T piccola). Una capacita’ termica piccola significa che basta fornireuna piccola quantita’ di calore al sistema (q

Vpiccolo) per farne variare di

molto la temperatura (∆T grande).

• La capacita’ termica a volume costante ricavata da misure sperimenta-li consente poi di calcolare le variazioni di energia interna causate davariazioni di temperatura per processi isocori:

(∂U

∂T

)

V

= CV

dU = CV dT∫ U(T2)

U(T1)

dU =

∫ T2

T1

CV dT

∆U =

∫ T2

T1

CV dT

54

Se la variazione di temperatura e’ piccola, si puo’ assumere che CV siaindipendente dalla temperatura e quindi:

∆U = CV

∫ T2

T1

dT

∆U = CV ∆T

• La capacita’ termica puo’ diventare infinita se fornendo calore al sistema(q

Vfinito), la sua temperatura non varia (∆T = 0). Cio’ si verifica nelle

transizioni di stato, come ad esempio l’ebollizione o la fusione. In questicasi, da un punto di vista microscopico, succede che il calore fornito alsistema non viene utilizzato per aumentarne la temperatura, ma per vin-cere le forze intermolecolari e consentire quindi il passaggio delle molecoledalla fase liquida a quella gassosa (nell’ebollizione) o dalla fase solida aquella liquida (nella fusione).

• La capacita’ termica a volume costante del gas ideale si ricava immediata-mente dal momento che conosciamo l’espressione analitica della funzioneche lega l’energia interna alla temperatura:

U = αnRT + U◦

(

α =3

2,

5

2, 3

)

Quindi:

CV,(gas ideale) =

(∂U

∂T

)

V

=

(∂

∂T(αnRT + U◦)

)

V

= αnR

La capacita’ termica del gas ideale e’ indipendente dalla temperatura evale (3/2)nR se il gas ideale e’ monoatomico, (5/2)nR se il gas ideale e’costituito da molecole lineari e 3nR se il gas ideale e’ costituito da molecoletridimensionali.

I sistemi a pressione costante e l’entalpia

• Abbiamo visto che per i processi isocori il calore scambiato coincide con lavariazione di energia interna del sistema (a patto, ricordiamolo, che nonci sia lavoro extra). Questo fatto e’ molto comodo: cioe’ e’ utile poteridentificare una quantita’ di calore con la variazione di una funzione distato.

55

• Un’altra classe di processi molto comuni (anche piu’ comuni di quelli isoco-ri) e’ quella dei processi isobari, cioe’ processi che avvengono a pressionecostante.

• Per farvi un’idea di quanto comuni siano i processi isobari, pensate soloche qualsiasi processo che avvenga all’atmosfera (ad esempio una reazionechimica che avviene in un beaker aperto) e’ un processo isobaro.

• Come per i processi isocori, anche per quelli isobari sarebbe comodo poteridentificare il calore scambiato con una funzione di stato.

Tale funzione di stato non puo’ essere l’energia interna, perche’ in unprocesso isobaro, in generale, si ha variazione di volume e quindi lavoro diespansione, per cui, dalla relazione:

dU = δq + δw

segue che δq 6= dU (perche’ δw, in generale, e’ diverso da zero).

• E’ pero’ possibile definire una nuova funzione di stato la cui variazionein un processo isobaro e’ uguale al calore scambiato, parallelamente al-l’energia interna per il caso dei processi isocori. Tale funzione si chiamaentalpia, e’ indicata normalmente con il simbolo H ed e’ definita cosi’:

H = U + PV

• Che l’entalpia sia una funzione di stato segue banalmente dal fatto che e’definita in termini di altre funzioni di stato.

• E’ facile vedere che per un processo isobaro, in assenza di lavoro extra, lavariazione di entalpia e’ uguale al calore scambiato.

Per un processo infinitesimo, la variazione di entalpia e’ data dal suodifferenziale:

dH = d (U + PV )

dH = dU + PdV + V dP

dH = δq + δw + PdV + V dP (per il primo principio)

Ora supponiamo che nel processo non venga compiuto lavoro extra, masolo lavoro di espansione. Inoltre, siccome l’entalpia e’ una funzione di sta-to, la sua variazione (infinitesima) e’ sempre la stessa, indipendentementeda come avviene il processo: allora, possiamo supporre, senza perdere ingeneralita’, che il processo avvenga in modo reversibile.

Sotto queste ipotesi, vale δw = −PdV e quindi:

56

dH = δq − PdV + PdV + V dP

dH = δq + V dP

Infine, se il processo avviene a pressione costante, dP = 0 e:

dH = δqP

dove l’indice P ricorda che il processo e’ isobaro.

• L’espressione ottenuta e’ valida per un processo infinitesimo. Per unprocesso finito, si avra’, integrando ambo i membri:

∆H = qP

• Notate che, come abbiamo detto, questo risultato e’ vero sia che il processoavvenga reversibilmente che irreversibilmente, perche’ l’entalpia e’ unafunzione di stato.

• Notate ancora che la relazione ∆H = qP

vale solo per processi isobari;tuttavia, per qualsiasi processo la variazione di entalpia e’ perfettamentedefinita (l’entalpia e’ una funzione di stato): semplicemente, se il processoe’ isobaro, allora la variazione di entalpia coincide con il calore scambiato;se invece il processo non e’ isobaro, allora la variazione di entalpia non e’uguale al calore scambiato.

Per chiarire ulteriormente questo punto (guardate la figura): supponeteche il sistema passi dallo stato i allo stato f attraverso due diversi pro-cessi, uno isobaro (percorso A) e uno non isobaro (percorso B). Allora, lavariazione di entalpia sara’ sempre la stessa, mentre il calore scambiatonei due casi sara’ diverso (perche’ il calore non e’ una funzione di stato):

∆HA = ∆HB (perche’ H e’ funzione di stato)

qA = ∆HA (perche’ il processo e’ isobaro)

qB 6= ∆HB = ∆HA (perche’ il processo non e’ isobaro)

57

percorso B

percorso A fi

V

P

• L’entalpia del gas ideale.

Dalla definizione dell’entalpia e dalla espressione ricavata per l’energiainterna di un gas ideale grazie al teorema dell’equipartizione, si ricavaimmediatamente l’espressione dell’entalpia del gas ideale:

H = U + PV

= U◦ + αnRT + PV

= U◦ + αnRT + nRT

= U◦ + (α + 1)nRT

(

α =3

2,

5

2, 3

)

• Ad esempio, per il processo che consiste in una reazione chimica allo statogassoso i cui partecipanti si possano assumere gas ideali e in cui il numerototale di moli passa da n1 prima della reazione a n2 dopo la reazione, lavariazione di entalpia a temperatura costante e’ data da:

H1 = U◦ + (α + 1)n1RT

H2 = U◦ + (α + 1)n2RT

∆H = (α + 1)∆nRT

• In modo analogo a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante,si definisce la capacita’ termica a pressione costante come:

CP =

(∂H

∂T

)

P

e la capacita’ termica a pressione costante molare:

CP,m =1

n

(∂H

∂T

)

P

=

(∂Hm

∂T

)

P

58

• In modo analogo a quanto visto per la capacita’ termica a volume costante,assumendo che la variazione di CP con la temperatura sia trascurabile, siha:

CP ≈

(∆H

∆T

)

P

=q

P

∆T(a pressione costante)

e quindi la misura sperimentale della capacita’ termica a pressione costantepuo’ essere effettuata misurando il calore fornito al sistema (mantenuto apressione costante) e la corrispondente variazione di temperatura.

• La capacita’ termica a pressione costante cosi’ determinata consente poidi calcolare le variazioni di entalpia causate da variazioni di temperaturaper processi isobari:

(∂H

∂T

)

P

= CP

dH = CP dT∫ H(T2)

H(T1)

dH =

∫ T2

T1

CP dT

∆H =

∫ T2

T1

CP dT

Se la variazione di temperatura e’ piccola, si puo’ assumere che CP siaindipendente dalla temperatura e quindi:

∆H = CP

∫ T2

T1

dT

∆H = CP ∆T

Se non si puo’ assumere che CP sia costante, se ne puo’ approssimare ladipendenza dalla temperatura con equazioni empiriche, come ad esempio:

CP (T ) = a + bT +c

T 2

con a, b, c coefficienti empirici determinati tramite best fit di dati speri-mentali.

In questo caso:

59

∆H =

∫ T2

T1

CP dT

=

∫ T2

T1

(

a + bT +c

T 2

)

dT

=

[

aT + bT 2

2−

c

T

]T2

T1

• Analogamente a quanto visto per la capacita’ termica a volume costan-te, anche per quella a pressione costante e’ facile ricavare l’espressioneanalitica per il gas ideale:

CP =

(∂H

∂T

)

P

=

(∂

∂T(U◦ + (α + 1)nRT )

)

P

= (α + 1)nR

• Per il gas ideale si ha pertanto:

CP − CV = (α + 1)nR− αnR

= nR

• E’ ragionevole che sia CP > CV ?In effetti cio’ si trova non solo per il gas ideale ma praticamente sempre,per qualsiasi sistema. Qualsiasi sistema riscaldato a pressione costante sidilata. Allora, per la stessa quantita’ di calore assorbito, l’incremento ditemperatura a pressione costante sara’ minore di quello a volume costanteperche’ a pressione costante, parte del calore assorbito viene restituitoall’ambiente (quindi esce nuovamente dal sistema) sotto forma di lavorodi espansione; nel caso del riscaldamento a volume costante, invece, tuttoil calore assorbito resta nel sistema come incremento dell’energia interna.

In sintesi:

(δq

dT

)

P

>

(δq

dT

)

V

perche’, a parita’ di δq:

(dT )P < (dT )V

60

Termochimica

• La termochimica studia il calore scambiato durante le reazioni chimichee/o le transizioni di stato (evaporazione, fusione, sublimazione etc.)

• Dalla misura del calore assorbito o prodotto da un processo chimico sipuo’ risalire alla corrispondente variazione di energia interna (se il processoavviene a volume costante) o di entalpia (se il processo avviene a pressionecostante).

• Viceversa, se si conosce la variazione di energia interna o di entalpia, si puo’prevedere quanto calore verra’ assorbito o prodotto dal processo chimico.Questa informazione ha delle ricadute pratiche estremamente importanti.

• Siccome la maggior parte dei processi chimici di interesse industriale epratico avviene a pressione costante, normalmente si e’ interessati allevariazioni di entalpia.

• Dal punto di vista termodinamico, un processo chimico (una reazione oun cambiamento di stato fisico) consiste nella trasformazione dei reagentinei prodotti.

Cioe’, lo stato iniziale del sistema e’ costituito dai reagenti in certe condi-zioni di temperatura, pressione e volume, e lo stato finale e’ costituito daiprodotti in altre (in generale, diverse) condizioni di temperatura, pressionee volume.

La variazione di entalpia per un processo chimico e’ dunque data da:

∆H = Hstato finale −Hstato iniziale

= Hprodotti −Hreagenti

Ad esempio, per l’ebollizione di 1 mol di acqua, descritta da:

H2O(l) = H2O(g)

si ha:

∆H = H(1 mol H2O(g)) −H(1 mol H2O(l))

• Siccome l’entalpia dei reagenti e dei prodotti dipende dalle condizioni ditemperatura e pressione, per avere dei dati uniformi si considera normal-mente la variazione di entalpia in condizioni standard.

61

Lo stato standard di una sostanza ad una data temperaturaconsiste nella sostanza pura, cioe’ non mescolata ad altre so-stanze, alla pressione di 1 bar (la cosiddetta pressione standard,indicata con P)

Quindi, la variazione standard di entalpia per un processo chimico, ∆H,e’ la variazione di entalpia che ha luogo quando i reagenti non mescolati nelloro stato standard e a una certa temperatura si trasformano nei prodottinon mescolati, anch’essi nel loro stato standard e alla stessa temperatura:

(reagenti nello stato std)T → (prodotti nello stato std)T

• Ad esempio, per la reazione:

C6H12O6(s) + 6O2(g) = 6CO2(g) + 6H2O(l)

a 298 K, la variazione standard di entalpia e’:

stato iniziale stato finale

1 mol di C6H12O6(s)

non mescolatea P = 1 bar e 298 K

6 mol di CO2(g)

non mescolatea P = 1 bar e 298 K

6 mol di O2(g)

non mescolatea P = 1 bar e 298 K

6 mol di H2O(l)

non mescolatea P = 1 bar e 298 K

∆H = H(6 mol CO2(g) a 298 K e 1 bar) + H(6 mol H2O(l) a 298 K e 1 bar) −(

H(1 mol C6H12O6(s) a 298 K e 1 bar) + H(6 mol O2(g) a 298 K e 1 bar)

)

ovvero, in termini di entalpie molari standard a 298 K:

∆H = 6HCO2,298 + 6HH2O,298 −(

HC6H12O6,298 + 6HO2,298

)

• Notate che le condizioni standard fissano la pressione al valore di 1 bar,mentre la temperatura puo’ essere qualsiasi. Normalmente, per i datiriportati nelle tabelle di entalpie standard viene specificata esplicitamentela temperatura a cui i dati si riferiscono. Tale temperatura e’ spesso di298.15 K (25 C).

62

• La variazione standard di entalpia per i cambiamenti di stato viene det-ta entalpia standard di transizione: avremo l’entalpia standard dievaporazione, di fusione, di sublimazione etc.

• Notate: si chiama entalpia standard di transizione ma, per definizione,e’ una variazione di entalpia, non un valore assoluto

• Le entalpie standard di transizione sono normalmente riportate alla tempe-ratura della transizione di stato stessa. Ad esempio, sulle tabelle termodi-namiche normalmente si trova l’entalpia standard di ebollizione dell’acquaa 373.15 K (100 C) e la sua entalpia standard di fusione a 273.15 K (0 C).

• Essendo l’entalpia una funzione di stato, la sua variazione non dipende dalcammino seguito. Questo implica che se un processo e’ ottenibile comesuccessione di due o piu’ processi, la variazione di entalpia per il primo siottiene sommando le variazioni entalpiche dei processi componenti.

Ad esempio, la sublimazione di un solido (passaggio dalla fase solida aquella gassosa) si puo’ ottenere dalla sua fusione (transizione solido→ li-quido) seguita dalla sua evaporazione (transizione liquido→ gas). Grazieal fatto che l’entalpia e’ una funzione di stato, si puo’ pertanto scrivere:

H2O(s) H2O(g)//

∆sublH

H2O(l)������������������������

??

∆fusH

????

????

????

????

????

????

��

∆vapH

∆sublH = ∆fusH

+ ∆vapH

• Per lo stesso motivo, le variazioni di entalpia per un processo e per il suoinverso (ad esempio la vaporizzazione e la condensazione), sono uguali invalore assoluto ma hanno segno opposto.

Ad esempio, visto che l’entalpia standard di vaporizzazione dell’acqua a298 K e’ +44 kJ/mol, l’entalpia standard di condensazione dell’acqua allastessa temperatura deve essere −44 kJ/mol:

H2O(l) H2O(g)//

∆vapH = +44 kJ/mol

oo

∆condH = −44 kJ/mol

63

• Come abbiamo visto, la variazione standard di entalpia per una reazionechimica e’ la variazione di entalpia per il processo:

(reagenti nello stato std)T → (prodotti nello stato std)T

e quindi:

∆RH = Hprodotti −Hreagenti

• L’entalpia e’ una grandezza estensiva e quindi la variazione standard di en-talpia per una reazione dipende da quante moli di reagenti si trasformanoin prodotti.

Normalmente, la variazione di entalpia viene riportata accanto all’equa-zione che rappresenta la reazione e si riferisce ad una mole degli “eventireattivi” rappresentati dall’equazione stessa.

Ad esempio:

C6H12O6(s) + 6O2(g) = 6CO2(g) + 6H2O(l) ∆H298 K = −2808 kJ/mol

significa che, quando avviene 1 mol degli eventi descritti dall’equazione(e quindi 1 mol di glucosio reagisce con 6 mol di ossigeno trasformandosicompletamente in 6 mol di CO2 e 6 mol di H2O, tutte le sostanze essendonon mescolate a 1 bar e 298 K), si liberano (il segno e’ negativo) 2808 kJdi calore.

L’espressione della variazione di entalpia “per mole” (−2808 kJ /mol ) si

riferisce al fatto che tale variazione si ha quando si verifica una mole deglieventi rappresentati dall’equazione chimica scritta a fianco.

A volte, il fatto che la variazione di entalpia si riferisce a una mole de-gli eventi rappresentati dall’equazione chimica viene sottinteso e si trovascritto semplicemente:

C6H12O6(s) + 6O2(g) = 6CO2(g) + 6H2O(l) ∆H298 K = −2808 kJ

(notate: −2808 kJ invece che −2808 kJ /mol )

• In generale, l’equazione che descrive una reazione chimica si puo’ scriverecon la seguente notazione:

νR1R1 + νR2R2 + · · · + νRNRRNR

= νP1P1 + νP2P2 + · · · + νPNPPNP

NR∑

i=1

νRiRi =

NP∑

i=1

νPiPi

64

dove:

Ri reagente iPi prodotto i

NR numero delle specie reagentiNP numero delle specie prodotteνRi

coefficiente stechiometrico del reagente iνPi

coefficiente stechiometrico del prodotto i

Allora la variazione standard di entalpia per la reazione rappresentatadall’equazione data si puo’ scrivere nel modo seguente:

∆RH =

NP∑

i=1

νPiHPi−

NR∑

i=1

νRiHRi

dove HRie HPi

sono le entalpie molari standard rispettivamente deireagenti e dei prodotti.

• L’equazione appena scritta non e’ pero’ utilizzabile direttamente per ilcalcolo di ∆RH, perche’ al secondo membro compaiono i valori asso-luti delle entalpie di reagenti e prodotti, HPi

e HRi, che non si possono

misurare: solo le variazioni di entalpia sono misurabili (ad esempio comequantita’ di calore scambiate in processi isobari).

Vedremo ora come sia possibile esprimere ∆RH in funzione di altre va-riazioni di entalpia (le cosiddette entalpie standard di formazione) speri-mentalmente accessibili e raccolte in tabelle molto estese.

• La legge di Hess.

Abbiamo gia’ detto che, essendo l’entalpia una funzione di stato, la suavariazione, a parita’ di stato iniziale e finale, e’ indipendente dal camminopercorso.

Applicato ad una reazione chimica, questo concetto si esprime cosi’:

se una reazione chimica si puo’ scrivere come somma di piu’reazioni componenti, allora la variazione di entalpia per la rea-zione complessiva e’ la somma delle variazioni di entalpia dellereazioni componenti

Questo enunciato viene chiamato “legge di Hess”, ma notate che e’ unabanale conseguenza del fatto che l’entalpia e’ una funzione di stato.

• Esempio.

Si conoscono i seguenti dati di entalpie standard di reazione a una certatemperatura:

CH2 = CHCH3(g) + H2(g) = CH3CH2CH3(g) ∆H1 = −124 kJ/molCH3CH2CH3(g) + 5O2(g) = 3CO2(g) + 4H2O(l) ∆H2 = −2220 kJ/mol

H2(g) + 12O2(g) = H2O(l) ∆H3 = −286 kJ/mol

65

Calcolate la variazione standard di entalpia per la reazione di combustionedel propene.

La combustione del propene si puo’ scrivere come combinazione delle trereazioni su scritte:

CH2 = CHCH3(g) + H2(g) = CH3CH2CH3(g) ∆H1 = −124 kJ/molCH3CH2CH3(g) + 5O2(g) = 3CO2(g) + 4H2O(l) ∆H2 = −2220 kJ/mol

H2O(l) = H2(g) + 12O2(g) −∆H3 = 286 kJ/mol

CH2 = CHCH3(g) + 92O2(g) = 3CO2(g) + 3H2O(l)

e quindi la variazione standard di entalpia cercata e’ data dalla sommadelle variazioni entalpiche delle reazioni componenti. Notate che ∆H3va preso col segno opposto perche’ la reazione viene combinata in sensoinverso:

∆H = ∆H1 + ∆H2 −∆H3= −124− 2220 + 286

= −2058 kJ

• L’entalpia standard di formazione.

L’entalpia standard di formazione, indicata con ∆F H, e’ definita comela variazione standard di entalpia che si ha per la reazione di formazionedi un composto.

Per reazione di formazione si intende la reazione che porta alla for-mazione di 1 mol del composto considerato a partire dai suoi elementicostitutivi. Ad esempio, la reazione di formazione dell’acqua e’:

H2(g) +1

2O2(g) = H2O(l)

e quella del benzene e’:

6C(s) + 3H2(g) = C6H6(l)

Quindi l’entalpia standard di formazione dell’acqua e’ la variazione di en-talpia che si ha quando la reazione di formazione dell’acqua (scritta sopra)procede in condizioni standard (cioe’ a P = 1 bar e alla temperaturafissata) e cosi’ via.

• Attenti a non farvi trarre in inganno dal nome: si chiama entalpia stan-dard di formazione ma, per definizione, e’ una variazione di entalpia, nonun valore assoluto (infatti si indica con ∆F H e non con HF )

66

• L’entalpia standard di formazione per un elemento e’ nulla.

Essa infatti corrisponde, per definizione, alla “reazione” in cui un elementosi forma da se’ stesso. Ad esempio:

O2(g) = O2(g)

E’ ovvio che questa equazione non rappresenta una trasformazione: statoiniziale e finale coincidono e quindi non ci puo’ essere variazione di entalpia(ne’ di qualsiasi altra funzione di stato).

• Perche’ sono utili le entalpie standard di formazione?

Esistono tabelle molto estese che riportano le entalpie standard di forma-zione per un numero enorme di composti.

La loro utilita’ sta’ nel fatto seguente:

qualsiasi reazione chimica puo’ essere scritta come combinazionedi reazioni di formazione

Alla luce di cio’ e tenendo presente la legge di Hess, dovrebbe essere chiaroche, note le entalpie standard di formazione pertinenti, possiamo ricavarel’entalpia standard per qualsiasi reazione.

• Verifichiamo prima che qualsiasi reazione si puo’ scrivere come combina-zione di reazioni di formazione.

Questo e’ molto semplice: per qualsiasi reazione possiamo infatti immagi-nare un percorso che consiste nella dissociazione dei reagenti nei loro ele-menti e nella successiva ricombinazione di tali elementi per la formazionedei prodotti.

Ad esempio, per la reazione rappresentata da:

NH3(g) + HCl(g) = NH4Cl(s)

possiamo sempre immaginare un percorso consistente in:

reagenti NH3(g) + HCl(g)

↓ ↓elementi 2H2(g) + 1

2N2(g) + 12Cl2(g)

↓ ↓prodotti NH4Cl(s)

• Il primo stadio, e cioe’ la dissociazione dei reagenti nei loro elementi, deveconsistere in una o piu’ reazioni di formazione scritte in senso inverso.Il secondo stadio, e cioe’ la ricombinazione degli elementi per formare iprodotti, sara’ invece rappresentabile con una o piu’ reazioni di formazionescritte nel verso diretto.

Ad esempio, per la reazione vista sopra:

67

dissociazionein elementi

{NH3(g) = 1

2N2(g) + 32H2(g)

HCl(g) = 12H2(g) + 1

2Cl2(g)

ricombinazionein prodotti

{12N2(g) + 2H2(g) + 1

2Cl2(g) = NH4Cl(s)

Le prime due equazioni sono le reazioni di formazione di NH3 e HCl,scritte in senso inverso; la terza equazione e’ la reazione di formazione diNH4Cl scritta nel verso diretto.

La somma delle tre reazioni deve necessariamente dare la reazione dipartenza:

NH3(g) =1

2N2(g) +

3

2H2(g)

HCl(g) =1

2H2(g) +

1

2Cl2(g)

1

2N2(g) + 2H2(g) +

1

2Cl2(g) = NH4Cl(s)

NH3(g) + HCl(g) = NH4Cl(s)

• A questo punto si puo’ applicare la legge di Hess, tenendo conto che leentalpie standard di formazione delle reazioni scritte in senso inverso vannoprese col segno meno:

NH3(g) = 12N2(g) + 3

2H2(g) −∆F HNH3

HCl(g) = 12H2(g) + 1

2Cl2(g) −∆F HHCl12N2(g) + 2H2(g) + 1

2Cl2(g) = NH4Cl(s) ∆F HNH4Cl

NH3(g) + HCl(g) = NH4Cl(s) ∆RH

e quindi, l’entalpia standard di reazione, ∆RH, e’ ottenuta:

∆RH = ∆F HNH4Cl −(∆F HNH3

+ ∆F HHCl

)

• E’ facile generalizzare quanto visto per il caso particolare della reazionefra ammoniaca e acido cloridrico.

Per la reazione generica rappresentata da:

NR∑

i=1

νRiRi =

NP∑

i=1

νPiPi

la variazione standard di entalpia puo’ essere sempre scritta in funzio-ne delle entalpie standard di formazione di reagenti e prodotti nel modoseguente:

68

∆RH =

NP∑

i=1

νPi∆F HPi

−NR∑

i=1

νRi∆F HRi

• Questa relazione e’ “operativa”, nel senso che ci consente di calcolarepraticamente ∆RH, avendo a disposizione tabelle di entalpie standarddi formazione.

• Esempio.

Date le entalpie standard di formazione per i seguenti composti:

NH3(g) −46 kJ/molSO2(g) −297 kJ/molH3NSO2(g) −383 kJ/mol

calcolate la variazione standard di entalpia per la reazione di decomposi-zione del complesso H3NSO2(g) in NH3(g) e SO2(g).

La reazione bilanciata e’:

H3NSO2(g) = NH3(g) + SO2(g)

Quindi:

∆RH = ∆F HNH3(g)+ ∆F HSO2(g)

−∆F HH3NSO2(g)

= −46− 297− (−383)

= 40 kJ/mol

• La variazione dell’entalpia standard di reazione con la temperatura (leggedi Kirchhoff).

Abbiamo detto che la variazione standard di entalpia per una reazionee’ definita alla pressione standard (P) e a una temperatura prefissataqualsiasi.

Siccome le entalpie di reagenti e prodotti variano in modo differente conla temperatura, la variazione standard di entalpia per una reazione aduna certa temperatura sara’ in generale diversa da quella ad un’altratemperatura:

69

Hreagenti

Hprodotti

T2T1

∆RHT2

∆RHT1

T

H

• E’ facile ricavare l’entalpia standard di reazione alla temperatura T2 see’ nota l’entalpia standard di reazione alla temperatura T1. La formulafinale e’ nota come “legge di Kirchhoff”.

• Per la reazione alla pressione standard e alla temperatura T1 vale:

∆RH (T1) =

NP∑

i=1

νPiHm,Pi

(T1)−NR∑

i=1

νRiHm,Ri

(T1)

Una delle difficolta’ della termodinamica e’ la notazione: Pi indica il pro-dotto i-esimo, NP e’ il numero delle specie prodotte, Ri indica il reagentei-esimo, NR e’ il numero delle specie reagenti (R in ∆RH sta invece per“reazione”), m sta per “molare”.

Alla temperatura T2 sara’, analogamente:

∆RH (T2) =

NP∑

i=1

νPiHm,Pi

(T2)−NR∑

i=1

νRiHm,Ri

(T2)

Facciamo la differenza membro a membro fra l’equazione valida a T2 equella valida a T1:

∆RH (T2) = ∆RH (T1)

+

NP∑

i=1

νPiHm,Pi

(T2)−NR∑

i=1

νRiHm,Ri

(T2)

(NP∑

i=1

νPiHm,Pi

(T1)−NR∑

i=1

νRiHm,Ri

(T1)

)

70

= ∆RH (T1)

+

NP∑

i=1

νPiHm,Pi

(T2)−NP∑

i=1

νPiHm,Pi

(T1)

(NR∑

i=1

νRiHm,Ri

(T2)−NR∑

i=1

νRiHm,Ri

(T1)

)

= ∆RH (T1)

+

NP∑

i=1

νPi

(

Hm,Pi(T2)−Hm,Pi

(T1))

(unisco le sommatorie)

−NR∑

i=1

νRi

(

Hm,Ri(T2)−Hm,Ri

(T1))

(unisco le sommatorie)

Le differenze fra entalpie standard sono (ovviamente) alla stessa pressione(la pressione standard, indicata dal simbolo ) ma a temperature diverse(T1 e T2). Quindi si puo’ applicare la:

(∂H

∂T

)

P

= CP (qui P sta per “pressione costante”)

che, in questo caso, fornisce:

Hm,Pi(T2)−Hm,Pi

(T1) =

∫ T2

T1

Cm,PidT

Hm,Ri(T2)−Hm,Ri

(T1) =

∫ T2

T1

Cm,RidT

Cm,Pie’ la capacita’ termica molare (m) alla pressione standard () del

prodotto i−esimo Pi.

Cm,Rie’ la capacita’ termica molare (m) alla pressione standard () del

reagente i−esimo Ri.

(La P che indica “pressione costante” nella capacita’ termica scritta soprae’ stata sottintesa per non soccombere sotto gli indici)

A questo punto l’ulteriore sviluppo dipende da come le capacita’ termichevariano con la temperatura.

– Se si puo’ assumere che le capacita’ termiche siano costanti nell’in-tervallo di temperatura [T1, T2], allora il calcolo degli integrali e’immediato e si ottiene:

Hm,Pi(T2)−Hm,Pi

(T1) =

∫ T2

T1

Cm,PidT

71

= Cm,Pi

∫ T2

T1

dT

= Cm,Pi(T2 − T1)

Hm,Ri(T2)−Hm,Ri

(T1) =

∫ T2

T1

Cm,RidT

= Cm,Ri

∫ T2

T1

dT

= Cm,Ri(T2 − T1)

e quindi:

∆RH (T2) = ∆RH (T1)

+

NP∑

i=1

νPiCm,Pi

(T2 − T1)

−NR∑

i=1

νRiCm,Ri

(T2 − T1)

= ∆RH (T1) +

(NP∑

i=1

νPiCm,Pi

−NR∑

i=1

νRiCm,Ri

)

(T2 − T1)

= ∆RH (T1) + ∆Cm (T2 − T1)

con:

∆Cm =

NP∑

i=1

νPiCm,Pi

−NR∑

i=1

νRiCm,Ri

– Se la dipendenza delle capacita’ termiche dalla temperatura e’ espres-sa con delle funzioni empiriche, ad esempio:

Cm,Pi= aPi

+ bPiT +

cPi

T 2

Cm,Ri= aRi

+ bRiT +

cRi

T 2

allora c’e’ un po’ piu’ di algebra.

Hm,Pi(T2)−Hm,Pi

(T1) =

∫ T2

T1

Cm,PidT

72

=

∫ T2

T1

(

aPi+ bPi

T +cPi

T 2

)

dT

=

[

aPiT + bPi

T 2

2−

cPi

T

]T2

T1

= aPi(T2 − T1) + bPi

(T 2

2

2−

T 21

2

)

− cPi

(1

T2−

1

T1

)

Hm,Ri(T2)−Hm,Ri

(T1) =

∫ T2

T1

Cm,RidT

=

∫ T2

T1

(

aRi+ bRi

T +cRi

T 2

)

dT

=

[

aRiT + bRi

T 2

2−

cRi

T

]T2

T1

= aRi(T2 − T1) + bRi

(T 2

2

2−

T 21

2

)

− cRi

(1

T2−

1

T1

)

e quindi:

∆RH (T2) = ∆RH (T1)

+

NP∑

i=1

νPi

(

aPi(T2 − T1) + bPi

(T 2

2

2−

T 21

2

)

− cPi

(1

T2−

1

T1

))

−NR∑

i=1

νRi

(

aRi(T2 − T1) + bRi

(T 2

2

2−

T 21

2

)

− cRi

(1

T2−

1

T1

))

= ∆RH (T1)

+ (T2 − T1)

(NP∑

i=1

νPiaPi

)

+

(T 2

2

2−

T 21

2

)(NP∑

i=1

νPibPi

)

(1

T2−

1

T1

)(NR∑

i=1

νPicPi

)

− (T2 − T1)

(NR∑

i=1

νRiaRi

)

(T 2

2

2−

T 21

2

)(NR∑

i=1

νRibRi

)

+

(1

T2−

1

T1

)(NR∑

i=1

νRicRi

)

= ∆RH (T1)

+ (T2 − T1)

(NP∑

i=1

νPiaPi−

NR∑

i=1

νRiaRi

)

+

(T 2

2

2−

T 21

2

)(NP∑

i=1

νPibPi−

NR∑

i=1

νRibRi

)

73

(1

T2−

1

T1

)(NR∑

i=1

νRicRi−

NR∑

i=1

νRicRi

)

= ∆RH (T1)

+∆a (T2 − T1) + ∆b

(T 2

2

2−

T 21

2

)

−∆c

(1

T2−

1

T1

)

con:

∆a =

NP∑

i=1

νPiaPi−

NR∑

i=1

νRiaRi

∆b =

NP∑

i=1

νPibPi−

NR∑

i=1

νRibRi

∆c =

NP∑

i=1

νPicPi−

NR∑

i=1

νRicRi

74

Atkins, capitolo 4

Il secondo principio della termodinamica

• Il primo principio della termodinamica stabilisce se un processo puo’ onon puo’ avvenire.

L’universo e’ un sistema isolato e quindi (δq = δw = 0):

dUuniverso = 0

cioe’: l’energia dell’universo deve restare costante e solo i processi compa-tibili con questo vincolo possono avvenire.

Un’automobile che non avesse bisogno di carburante per funzionare genere-rebbe energia dal nulla e quindi farebbe aumentare l’energia dell’universo:il primo principio nega la possibilita’ dell’esistenza di un’automobile diquesto tipo.

Un impianto di riscaldamento che funzionasse senza essere alimentato daalcun combustibile genererebbe energia (calore) dal nulla e farebbe percio’aumentare l’energia dell’universo: per il primo principio cio’ e’ impossibile.

• Tutti i processi che avvengono in natura rispettano il primo principio dellatermodinamica.

Tuttavia, considerando tali processi, ci rendiamo immediatamente contoche essi presentano un’ulteriore caratteristica che non ha alcuna relazionecon il primo principio, ma che non di meno appare regolata in un modototalmente privo di eccezioni. Tale caratteristica e’ il verso spontaneo.

• Cioe’: tutti i processi spontanei che osserviamo intorno a noi avvengonosempre in un determinato verso e mai nel verso opposto.

Ad esempio: se mettiamo a contatto un corpo caldo con un corpo piu’freddo, osserviamo sempre che del calore fluisce dal corpo caldo a quellopiu’ freddo fino a che la temperatura dei due corpi e’ diventata la stessa.

Nessuno ha mai osservato il contrario: e cioe’ che del calore fluisca dalcorpo piu’ freddo a quello piu’ caldo, in modo tale che la temperatura delcorpo piu’ caldo cresca e quella del corpo piu’ freddo diminuisca.

Notate che, se anche cio’ avvenisse, il primo principio non verrebbe violato!In fin dei conti, si tratterebbe pur sempre di un semplice trasferimentodi energia da un corpo a un altro e l’energia dell’universo rimarrebbeinvariata.

• Prima di continuare facciamo una precisazione. Quando parliamo di pro-cessi spontanei, intendiamo processi che avvengono senza “forzature”. Farpassare del calore da un corpo freddo a un corpo piu’ caldo non e’ impos-sibile: il frigorifero di casa fa esattamente questo servizio. Cio’ che e’impossibile e’ che del calore passi da un corpo freddo a uno piu’ caldo

75

spontaneamente, cioe’ senza alcun intervento esterno (il frigorifero funzio-na grazie ad un motore che fa del lavoro: questo e’ il “prezzo” da pagare(non solo in senso termodinamico, ma anche nel senso di bolletta a finemese!) per forzare un processo ad avvenire nella direzione non spontanea).

• ⇒ Perche’ il calore fluisce sempre dai corpi caldi a quelli piu’ freddi emai nel verso opposto?

⇒ Perche’ un gas si distribuisce uniformemente in tutto il volumea sua disposizione e mai e’ stato osservato un gas che si contraespontaneamente lasciando vuota una parte del recipiente che locontiene?

⇒ Cosa determina il verso spontaneo dei processi naturali?

E’ evidente che non puo’ essere il primo principio, perche’ esso regolasemplicemente gli scambi di energia e non si occupa del verso in cui questiscambi avvengono, purche’ l’energia dell’universo resti invariata.

• Eppure, ci aspettiamo che debba esistere un altro principio che spiega comemai i processi naturali avvengano sempre e solo in uno dei due possibiliversi.

In effetti tale principio e’ stato scoperto e viene detto secondo principiodella termodinamica.

• Esistono numerosissimi ed eleganti enunciati del secondo principio, tuttifra loro equivalenti, e sarebbe istruttivo e interessante passarli in rassegnae seguire le dimostrazioni della loro equivalenza.

Tuttavia non ne abbiamo il tempo e quindi daremo un solo enunciatodel secondo principio, che sia sufficiente a sostenere le parti del corso cheverranno in seguito.

• L’enunciato che daremo richiede la definizione di una funzione che sichiama entropia e viene indicata con il simbolo S.

L’entropia viene definita in termini differenziali come:

dS =δqrev

T

La definizione significa la cosa seguente: per un processo infinitesimo ereversibile, la variazione (infinitesima) di entropia e’ data dal rapporto frail calore scambiato (δqrev ) e la temperatura alla quale lo scambio infinite-simo di calore e’ avvenuto (siccome il processo viene assunto reversibile,la temperatura del sistema e dell’ambiente e’ la stessa (a meno di unadifferenza infinitesima) e siccome viene scambiata una quantita’ di caloreinfinitesima, e’ perfettamente lecito assumere che la temperatura abbia ununico valore costante durante lo scambio).

• Dalla definizione si vede che le dimensioni dell’entropia sono energia/temperatura.Nel sistema internazionale l’unita’ di misura e’ J/K.

E’ anche evidente che l’entropia e’ una grandezza estensiva, perche’ defini-ta in termini del calore scambiato, che dipende dalla quantita’ di sistema

76

considerato (ad esempio, se nella condensazione di 1 mol di H2O vengonoceduti 41 kJ di calore, nella condensazione di 2 mol di H2O ne verra’ceduta una quantita’ doppia)

• Per un processo finito, la variazione (finita) di entropia e’ data da:

∆S =

∫ Tfinale

Tiniziale

δqrevT

Il calcolo dell’integrale va inteso nel modo seguente. Dati gli stati inizialee finale del processo, si deve trovare (anche solo a livello “virtuale”) uncammino reversibile che li colleghi. In generale, le temperature iniziale efinale saranno diverse. Il cammino reversibile viene suddiviso in infinititratti di ampiezza infinitesima in ciascuno dei quali la temperatura haun (unico) valore definito. Allora, l’integrale e’ la somma degli infiniticontributi in cui e’ stato suddiviso l’intero percorso reversibile:

∫ Tfinale

Tiniziale

δqrevT

= limn→∞

(n∑

i=0

δqrevTi

)

con T0 = Tiniziale e Tn = Tfinale .

• Nella pratica, il differenziale del calore viene espresso in funzione deldifferenziale della temperatura tramite la capacita’ termica a volume opressione costante:

δqrev = CV dT (a volume costante)

δqrev = CP dT (a pressione costante)

il che consente la risoluzione semplice dell’integrale.

• A titolo di esempio, per l’espansione reversibile isobara di n moli di gasideale da T1 a T2 si ha:

∆S =

∫ T2

T1

δqrevT

=

∫ T2

T1

CPdT

T

=

∫ T2

T1

(α + 1)nRdT

T(uso: CV = αnR e CP − CV = nR)

= (α + 1)nR

∫ T2

T1

dT

T

= (α + 1)nR lnT2

T1

77

• L’enunciato del secondo principio della termodinamica basato sull’entropiaconsta di due punti:

⇒ L’entropia e’ una funzione di stato⇒ La variazione di entropia per un processo che avviene in

un sistema isolato non puo’ essere negativa: essa e’positiva se il processo e’ irreversibile e nulla se il processoe’ reversibile. Cioe’, per un sistema isolato:

dS ≥ 0

dove il segno > vale per processi irreversibili, e il segno= vale per processi reversibili.

• Siccome sistema e ambiente costituiscono chiaramente un (super)sistemaisolato, la seconda parte del secondo principio equivale a dire che, perqualsiasi processo, deve essere:

dStotale = dSsist + dSamb ≥ 0

Siccome tutti i processi spontanei sono irreversibili, ogni volta che avvieneun processo spontaneo da qualche parte, deve essere:

dStotale > 0

cosa che spesso viene espressa con le parole: “l’entropia dell’universo e’ incontinuo aumento”.

• Notate: a differenza dell’energia interna, l’entropia NON si conserva: neviene creata in continuazione dai processi spontanei.

• Attenzione a non fare confusione. Il differenziale dell’entropia e’ definitotramite una quantita’ infinitesima di calore scambiato reversibilmente:

dS =δqrev

T

Questo potrebbe creare perplessita’ quando poi si parla della variazione dientropia per un processo irreversibile. In realta’ il problema non sussiste.Infatti l’entropia e’ una funzione di stato, e quindi la sua variazione e’sempre la stessa (per gli stessi stati iniziale e finale), indipendentementedal fatto che il processo avvenga reversibilmente o irreversibilmente.

Cio’ che dipende dalla reversibilita’ o meno del processo e’ il calore scam-biato (il calore non e’ una funzione di stato, e’ un differenziale inesatto).

Per chiarire meglio: dati un processo reversibile e uno irreversibile checollegano uno stesso stato iniziale a uno stesso stato finale, si avra’:

78

(∆S)irrev = (∆S)rev =

∫δqrev

T6=

∫δqirrev

T

Il fatto che il differenziale dell’entropia sia definito in termini di una quanti-ta’ infinitesima di calore scambiato reversibilmente significa semplicementeche il calcolo di una variazione di entropia finita va eseguito considerandoun percorso reversibile.

Integrando il calore scambiato lungo un percorso irreversibile si ottieneun risultato perfettamente definito, ma tale risultato non e’ la variazionedi entropia per il processo (e dipende dal particolare percorso irreversibileseguito).

• Un’altra fonte di confusione e’ che spesso ci si dimentica che l’enunciatodel secondo principio riguarda un sistema isolato, oppure, equivalente-mente, l’intero universo (cioe’ il (super)sistema costituito da sistema piu’ambiente). Quindi, nell’espressione:

dS ≥ 0

la variazione di entropia e’ quella totale, cioe’ la somma delle variazionientropiche del sistema e dell’ambiente.

• Ad esempio, per l’espansione isoterma reversibile di un gas la variazionedi entropia e’:

∆Sgas =

∫δqrev

T

=1

T

δqrev (perche’ T = costante)

=qrevT

> 0 (perche’ il gas assorbe calore per espandersi)

Qualcuno potrebbe domandarsi: “Ma non avevamo detto che per processireversibili si deve avere ∆S = 0 ?”

Come detto sopra, la variazione di entropia di cui si parla nel secondoprincipio e’ quella di un sistema isolato. In questo caso il gas non e’un sistema isolato perche’ per espandersi isotermicamente, il gas deveassorbire calore e quindi scambia energia con l’ambiente.

Il secondo principio si deve applicare al (super)sistema (gas+ambiente).Chiaramente, se il gas assorbe reversibilmente il calore qrev , l’ambiente de-ve perderne la stessa quantita’ e quindi, per la variazione totale di entropia,si ha:

79

∆Stotale = ∆Sgas + ∆Sambiente

=qrevT−

qrevT

= 0

come prevede il secondo principio per un processo reversibile nel sistemaisolato (gas+ambiente).

• Il significato microscopico dell’entropia.

L’entropia misura la dispersione disordinata dell’energia totale diun sistema isolato.

Se in seguito ad un processo in un sistema isolato l’energia totale vieneridistribuita in modo piu’ disordinato, allora si ha un aumento di entropia.

• Quindi, il verso spontaneo dei processi e’ quello che porta ad un aumentodel disordine nella distribuzione dell’energia di un sistema isolato.

Ad esempio, il calore passa spontaneamente dai corpi caldi a quelli piu’freddi perche’ gli atomi di un corpo caldo sono soggetti ad un’agitazionemaggiore di quelli di un corpo freddo: posti a contatto, e’ inevitabile chegli atomi piu’ agitati urtino quelli meno agitati trasferendo parzialmentead essi la loro energia.

Il processo contrario non e’ impossibile, ma semplicemente ha una pro-babilita’ di avvenire praticamente nulla: per un trasferimento di calorespontaneo da un corpo freddo a uno piu’ caldo, bisognerebbe che un gran-de numero di atomi del corpo freddo concentri il proprio moto vibrazionalein un unica direzione e nello stesso istante di tempo. Cio’ e’ praticamenteimpossibile.

• Un altro esempio e’ una pallina che rimbalza sul pavimento.

Ad ogni rimbalzo, e’ inevitabile che un po’ dell’energia cinetica degli atomidella pallina si trasmetta agli atomi del pavimento in forma di energia diagitazione (disordinata). Cio’ va avanti finche’ tutta l’energia cinetica ini-zialmente posseduta dalla pallina si e’ “dissipata” in energia di agitazionedegli atomi del pavimento (e della pallina).

Il processo inverso, e cioe’ la pallina che da ferma inizia spontaneamente asaltellare, richiederebbe che gli atomi del pavimento vibrassero contempo-raneamente in modo ordinato/organizzato e tale da trasferire alla pallinal’energia necessaria a farla saltare. Questo non e’ impossibile, in linea diprincipio, ma e’ pazzescamente improbabile (e non e’ mai stato osservato).

• La disuguaglianza di Clausius.

Abbiamo visto che il secondo principio si applica ai sistemi isolati.

Per un sistema qualunque, non isolato, il secondo principio deve conside-rare il (super)sistema: (sistema+ambiente).

In tal caso vale:

80

dStotale = dSsist + dSamb ≥ 0

Se il sistema cede o acquista un calore δq, l’ambiente acquista o cede,rispettivamente, lo stesso calore. Quindi deve essere:

δq = −δqamb

Abbiamo visto in generale che, siccome l’ambiente ha una capacita’ ter-mica infinita, gli scambi di calore dal suo punto di vista sono semprereversibili.

Allora possiamo dire:

dSamb =δqamb

T

= −δq

T

e quindi:

dSsist −δq

T≥ 0

dSsist ≥δq

T

Questa disuguaglianza viene detta disuguaglianza di Clausius e ci tornera’utile fra breve.

Essa stabilisce una relazione fra la variazione di entropia del sistema eil calore scambiato dal sistema alla temperatura a cui e’ avvenuto talescambio.

• La disuguaglianza di Clausius ci consente di dimostrare in generale che,quando un processo viene compiuto reversibilmente:

⇒ il lavoro fatto dal sistema sull’ambiente e’ massimo⇒ il lavoro fatto dall’ambiente sul sistema e’ minimo

(avevamo gia’ verificato cio’ per il caso particolare dell’espansione isotermadel gas ideale)

E’ sufficiente combinare il primo principio con la disuguaglianza di Clau-sius:

{dU = δq + δwδq ≤ TdS

=⇒ dU ≤ TdS + δw

81

ovvero:

δw ≥ dU − TdS

Quindi:

⇒ se il sistema compie lavoro sull’ambiente, allora tale lavoro e’ disegno negativo e quindi:

δw ≥ dU − TdS ⇒ |δw| ≤ |dU − TdS|

//

//oo|dU − TdS|

//oo|δw|

(dU − TdS) δw 0

cioe’ |dU − TdS| rappresenta il limite massimo del (valore assolutodel) lavoro che il sistema puo’ compiere sull’ambiente. Tale limitemassimo si raggiunge quando vale il segno di uguaglianza, ovveroquando il sistema compie lavoro reversibilmente.

⇒ se l’ambiente compie lavoro sul sistema, allora tale lavoro e’ disegno positivo e quindi:

δw ≥ dU − TdS ⇒ |δw| ≥ |dU − TdS|

//

oo //|dU − TdS|

oo //|δw|

(dU − TdS) δw0

cioe’ |dU − TdS| rappresenta il limite minimo del (valore assolutodel) lavoro che l’ambiente puo’ compiere sul sistema. Tale limiteminimo si raggiunge quando vale il segno di uguaglianza, ovveroquando l’ambiente compie lavoro sul sistema in modo reversibile.

Diagramma riassuntivo:

82

|dU − TdS|

|δw|

dU − TdS δw

|dU − TdS|

|δw|

dU − TdS δw

LAVORO FATTO SUL SISTEMA: δw > 0LAVORO FATTO DAL SISTEMA: δw < 0

w0

• Un’altra applicazione della disuguaglianza di Clausius ci consente di veri-ficare che il secondo principio prevede correttamente il verso spontaneo deltrasferimento di calore irreversibile fra due corpi a diversa temperatura.

Consideriamo lo scambio di una quantita’ di calore infinitesima δq fra uncorpo caldo a temperatura T2 e un corpo freddo a temperatura T1, isolatidal resto dell’universo.

Il processo e’ chiaramente irreversibile perche’ la driving force (cioe’ ladifferenza di temperatura) e’ finita.

Inoltre, e’ chiaro che il calore perso da uno dei due corpi deve essere ugualea quello acquistato dall’altro.

Allora, se il calore fluisce dal corpo caldo a quello freddo, si ha, in basealla disuguaglianza di Clausius:

dScaldo > −δq

T2

dSfreddo >δq

T1

(notate il segno > perche’ il processo e’ irreversibile)

Ma allora:

dStotale = dScaldo + dSfreddo > −δq

T2+

δq

T1> 0

Se il trasferimento avvenisse in senso inverso, si avrebbe:

dScaldo >δq

T2

dSfreddo > −δq

T1

83

e:

dStotale = dScaldo + dSfreddo >δq

T2−

δq

T1< 0

Vediamo quindi che il secondo principio prevede correttamente che il calorefluisca spontaneamente dal corpo caldo a quello freddo e non viceversa(perche’ in tal caso si potrebbe avere dStotale ≤ 0)

• Variazioni di entropia nelle transizioni di stato

E’ semplice ricavare la variazione di entropia per una transizione di statoche avvenga in condizioni di equilibrio.

In tali condizioni il trasferimento di calore e’ reversibile e, se la transizioneavviene a pressione costante, come di solito accade, il calore scambiato e’uguale alla variazione di entalpia.

Quindi, per una transizione di stato che avviene alla pressione standard(P = 1 bar) e alla temperatura costante della transizione Ttr, si avra’:

dStr =δqrev

Ttr

∆Str =1

Ttr

δqrev

=∆trH

Ttr

• Ad esempio, per l’acqua, l’entalpia standard di ebollizione a 373.15 K e’40.656 kJ/mol. Quindi l’entropia standard di ebollizione per mole allastessa temperatura sara’:

∆ebS

H2O,373 K =40.656× 103

373.15= 108.95 J/mol

• In base all’interpretazione dell’entropia come misura della dispersione di-sordinata dell’energia, ci aspetteremo, per le transizioni di stato:

transizione ∆Sfusione > 0solidificazione < 0vaporizzazione > 0condensazione < 0sublimazione > 0deposizione < 0

84

• Variazioni di entropia nelle reazioni chimiche.

In modo del tutto analogo a quanto visto per l’entalpia standard di rea-zione, per la generica reazione:

νR1R1 + νR2R2 + · · · + νRNRRNR

= νP1P1 + νP2P2 + · · · + νPNPPNP

NR∑

i=1

νRiRi =

NP∑

i=1

νPiPi

l’entropia standard di reazione e’:

∆RS =

NP∑

i=1

νPiSPi−

NR∑

i=1

νRiSRi

• Variazione di entropia per l’espansione isoterma reversibile del gas ideale.

Abbiamo gia’ visto il calcolo della variazione di entropia per l’espansionereversibile a pressione costante del gas ideale.

Nel caso dell’espansione isoterma reversibile si ha:

∆S =1

T

δqrev

Ma per un gas ideale, a temperatura costante si ha:

dU = 0 = δqrev + δw

δqrev = −δw

= PdV

E quindi:

∆S =1

T

∫ V2

V1

PdV

=1

T

∫ V2

V1

nRT

VdV

= nR lnV2

V 1

Questo risultato e’ valido sia per un processo reversibile che per un pro-cesso irreversibile, perche’ l’entropia e’ una funzione di stato.

85

Cio’ che dipende dalla reversibilita’ o meno e’ il calore scambiato.

Se il processo e’ reversibile, allora la variazione di entropia dell’ambientee’ uguale e opposta a quella del sistema in modo che si abbia ∆Stotale = 0.

Se il processo e’ irreversibile e il gas ideale si espande contro il vuoto,allora la variazione di energia interna e’ sempre nulla, ma ora la pressioneesterna e’ anche nulla e quindi:

δqirrev = −δw

= Pext dV

= 0

L’ambiente non scambia calore e quindi la sua variazione di entropia e’nulla:

∆Stotale = ∆Ssist + ∆Samb

= nR lnV2

V 1> 0

come deve essere per un processo irreversibile.

• Variazione di entropia con la temperatura a pressione o volume costanti.

Come abbiamo gia visto, a volume costante si ha:

δqrev = CV dT (1)

e a pressione costante:

δqrev = CP dT (2)

Quindi, nota l’entropia a una certa temperatura, l’entropia a una tempe-ratura diversa si trova cosi’:

ST2 = ST1 +

∫ T2

T1

CV

TdT (volume costante)

oppure cosi’:

ST2 = ST1 +

∫ T2

T1

CP

TdT (pressione costante)

86

• Il terzo principio della termodinamica

– L’enunciato del terzo principio e’:

L’entropia di un solido cristallino perfetto a 0 K e’ 0 J/K.

– Il terzo principio e’ facilmente accettabile alla luce dell’interpretazio-ne dell’entropia come misura del disordine nella distribuzione dell’e-nergia: in un solido cristallino perfetto, gli atomi possono trovarsi inuna (e una soltanto) configurazione spaziale, determinata dalla strut-tura cristallina (notate che cio’ non sarebbe vero se il solido cristallinocontenesse dei difetti, i quali potrebbero essere realizzati in diversimodi ⇒ disordine non nullo); inoltre, a 0 K, ogni atomo/molecolacostituente il sistema si trova nel livello quantico energetico piu’ bas-so (“ground state”). In tali condizioni si puo’ intuire che lo statodi ordine e’ massimo, ovvero il disordine e’ nullo: cioe’ l’entropia e’nulla.

– Va detto che questa formulazione del terzo principio assume che a0 K anche l’entropia dei nuclei e delle particelle subatomiche sianulla: questo in generale non e’ (o puo’ non essere) vero; tuttavial’assunzione non ha alcuna conseguenza pratica sulle entropie chesi calcolano sulla base del terzo principio, fintanto che nei processitermodinamici considerati non sono incluse modificazioni nucleari.

– Il terzo principio della termodinamica consente di misurare l’entropiaassoluta dei composti.

Infatti, riprendendo le espressioni viste sopra, misurando accurata-mente le capacita’ termiche di un composto nel campo di temperaturecomprese fra 0 K e una temperatura di interesse, si ha (ad esempioper il riscaldamento del composto a pressione costante):

ST = S0 +

∫ T

0

CP

TdT

=

∫ T

0

CP

TdT (perche’ S0 = 0 J/K)

– Notate che l’assegnazione di un valore “assoluto” e’ possibile solo perl’entropia (grazie al terzo principio): per l’energia interna (e quinditutte le funzioni di stato definite in termini dell’energia interna, comel’entalpia) cio’ non e’ possibile, perche’ non e’ possibile stabilire “aquanto ammonta” l’energia interna di un sistema.

Il primo principio ci consente solo di misurare le variazioni di energiainterna in seguito a scambi di calore e/o lavoro.

– Siccome le capacita’ termiche sono positive per tutti i composti, dalterzo principio segue che l’entropia di una sostanza e’ sempre positiva(intuitivamente: l’entropia di un solido cristallino perfetto a 0 K e’ ilminimo valore possibile; a qualsiasi altra temperatura (> 0 K) e perqualsiasi altro stato di aggregazione ci aspettiamo un qualche gradodi disordine e quindi un valore di entropia positivo).

87

– Inoltre, sempre sulla base di semplici considerazioni sugli stati diaggregazione, ci dobbiamo aspettare che l’entropia dei diversi statidi aggregazione di una stessa sostanza sia sempre nell’ordine:

solido < liquido� gas

– Le entropie assolute per un grandissimo numero di sostanze sonoraccolte in tabelle e possono essere utilizzate per ricavare la variazionedi entropia di qualsiasi reazione.

Esempio.

Dati i seguenti valori dell’entropia molare standard (cioe’ a P =P = 1 bar) a T = 298 K:

composto Sm,298

CH4(g) 186.3 J/ (K mol)O2(g) 205.1 J/ (K mol)CO2(g) 213.7 J/ (K mol)H2O(l) 69.9 J/ (K mol)

si ricava la variazione standard di entropia per la reazione rappresen-tata da:

CH4(g) + 2O2(g) = CO2(g) + 2H2O(l)

∆RS298 = SCO2(g),m,298 + 2SH2O(l),m,298 −(

SCH4(g),m,298 + 2SO2(g),m,298

)

= 213.7 + 2× 69.9− (186.3 + 2× 205.1)

= −243.0 J/ (K mol)

La variazione negativa e’ ragionevole, visto che si passa da tre molidi molecole in fase gas a una sola mole di molecole in fase gas e duemoli in fase liquida, a entropia molto minore.

Energia libera di Helmholtz ed energia di Gibbs

• L’energia libera di Helmholtz e l’energia di Gibbs sono delle funzioni dicomodo che si definiscono per poter valutare la spontaneita’ di un processobasandosi solo sulle proprieta’ del sistema (cioe’: non devo considerare levariazioni di entropia dell’ambiente).

• Il prezzo da pagare per avere questo vantaggio e’ che i criteri di sponta-neita’ basati su queste due funzioni non sono generali, ma valgono solo inparticolari condizioni:

88

funzione condizioni

energia libera di Helmholtz: T e V costanti, solo lavoro di volume

energia di Gibbs: T e P costanti, solo lavoro di volume

Le condizioni di validita’ corrispondono tuttavia alla stragrande maggio-ranza dei casi di interesse pratico.

L’energia libera di Helmholtz

• L’energia libera di Helmholtz e’ definita cosi’:

A = U − TS

dove tutte le funzioni di stato si riferiscono al solo sistema.

L’energia libera di Helmholtz e’ una funzione di stato ed e’ una grandezzaestensiva. Le dimensioni sono quelle di un’energia.

• Uso della funzione di Helmholtz come criterio di spontaneita’.

Per un processo che avviene a temperatura e volume costanti (in presenzadi solo lavoro di volume):

A = U − TS

dA = dU − TdS (−SdT = 0 a T costante)

dU = δq (δw = 0 a V costante e solo lavoro di volume)

dA = δq − TdS

Dalla disuguaglianza di Clausius:

dS ≥δq

Tδq ≤ TdS

quindi:

{dA = δq − TdSδq ≤ TdS

⇒ dA ≤ TdS − TdS = 0

89

Cioe’: per un processo a temperatura e volume costanti e in presenza disolo lavoro di volume:

dA ≤ 0

Il segno < vale per processi spontanei (irreversibili), il segno = vale perprocessi reversibili (che sono, cioe’, all’equilibrio).

La cosa importante e’ che la variazione infinitesima e’ riferita al solosistema (non devo considerare l’ambiente).

• Il criterio di spontaneita’ basato sull’energia libera di Helmholtz e’ quindiil seguente:

a temperatura e volume costanti e in assenza di lavoro extra unprocesso sara’:

⇒ spontaneo (favorito)se avviene con diminuzione di energia libera di Helmholtz(dA < 0)

⇒ non spontaneo (sfavorito)se avviene con aumento di energia libera di Helmholtz(dA > 0) (in tal caso e’ spontaneo il processo inverso)

⇒ all’equilibrio (reversibile)se l’energia libera di Helmholtz resta costante (dA = 0)

• Energia libera di Helmholtz e massimo lavoro isotermo.

Abbiamo gia’ visto che l’espressione del lavoro massimo (reversibile) cheun sistema puo’ compiere e’:

dU = δq + δw

δq ≤ TdS

dU ≤ TdS + δw

δw ≥ dU − TdS

δwmax = dU − TdS

(ricordate che il lavoro fatto dal sistema e’ negativo e quindi dU − TdSrappresenta il valore minimo di δw in senso algebrico, ovvero il suomassimo valore assoluto)

//

//oo|dU − TdS| = |δwmax |

//oo|δw|

(dU − TdS) δw 0

90

D’altro canto, per un processo isotermo si ha: (dU − TdS) = dA:

A = U − TS

dA = dU − TdS

Quindi, in tali condizioni:

δwmax = dA

ovvero, per una trasformazione isoterma finita:

wmax = ∆A

La variazione di energia libera di Helmholtz e’ uguale al massimo lavoroisotermo che puo’ compiere un sistema (ovvero il suo valore piu’ negativopossibile).

• Perche’ si chiama energia “libera”.

Dalla:

∆A = ∆U − T∆S

valida a T costante, si deduce che, se un processo spontaneo avviene condiminuzione di entropia, T∆S < 0, allora il lavoro massimo che puo’ com-piere il sistema, ∆A, e’ meno negativo di ∆U . In altre parole, una partedell’energia interna non puo’ essere convertita in lavoro utile perche’ deveessere ceduta all’ambiente in modo da farne aumentare l’entropia e com-pensare la diminuzione di entropia del sistema, mantenendo la spontaneita’del processo.

Questo spiega l’aggettivo “libera” usato per l’energia di Helmholtz: essarappresenta l’energia del sistema disponibile (“libera”, appunto) per farelavoro utile: in questo caso T∆S < 0 e’ una “tassa” da pagare all’am-biente (come calore ceduto dal sistema) per compensarne la diminuzioneentropica.

Viceversa, se un processo spontaneo avviene con aumento di entropia,allora si vede che il lavoro massimo, ∆A, puo’ essere piu’ negativo di ∆U .In questo caso ci si puo’ permettere di trasformare in lavoro utile nonsolo l’energia interna del sistema, ma anche un po’ di calore provenientedall’ambiente: grazie all’aumento entropico del sistema, il processo rimanespontaneo anche se l’entropia dell’ambiente diminuisce un po’.

91

L’energia di Gibbs

• In modo analogo all’energia di Helmholtz, l’energia di Gibbs e’ definitacosi’:

G = H − TS

L’energia di Gibbs e’ una funzione di stato ed e’ una grandezza estensiva.Le dimensioni sono quelle di un’energia.

Per un processo che avviene a temperatura e pressione costanti (in pre-senza di solo lavoro di volume):

G = H − TS

dG = dH − TdS (−SdT = 0 a T costante)

dH = δq (a P costante e senza lavoro extra)

dG = δq − TdS

Dalla disuguaglianza di Clausius:

dS ≥δq

Tδq ≤ TdS

quindi:

{dG = δq − TdSδq ≤ TdS

⇒ dG ≤ TdS − TdS = 0

Cioe’, per un processo a temperatura e pressione costanti e in presenza disolo lavoro di volume:

dG ≤ 0

Il segno < vale per processi spontanei (irreversibili), il segno = vale perprocessi reversibili (che sono, cioe’, all’equilibrio).

La cosa importante e’ che la variazione infinitesima e’ riferita al solosistema (non devo considerare l’ambiente).

92

• Il criterio di spontaneita’ basato sull’energia di Gibbs e’ quindi il seguente:

a temperatura e pressione costanti e in assenza di lavoro extraun processo sara’:

⇒ spontaneo (favorito)se avviene con diminuzione di energia di Gibbs (dG < 0)

⇒ non spontaneo (sfavorito)se avviene con aumento di energia di Gibbs (dG > 0) (intal caso e’ spontaneo il processo inverso)

⇒ all’equilibrio (reversibile)se l’energia di Gibbs resta costante (dG = 0)

• Energia di Gibbs e massimo lavoro extra isotermo e isobaro.

Se durante un processo isotermo e isobaro il sistema compie del lavorodiverso da quello di volume (lavoro extra), allora la variazione di energiadi Gibbs e’ uguale al massimo lavoro extra possibile.

(Notate che in queste condizioni non vale il criterio di spontaneita’ vistosopra, ma, ovviamente, possiamo sempre calcolare la variazione di energiadi Gibbs)

G = H − TS

G = U + PV − TS

dG = dU + PdV − TdS (SdT = V dP = 0 perche’ T e P sono costanti)

= δq + δw + PdV − TdS (primo principio)

= δq + δwextra − PextdV + PdV − TdS (separo il lavoro di volume dal resto)

Supponiamo ora che il processo avvenga reversibilmente: allora δq =δqrev = TdS e PextdV = PdV . Inoltre, sotto questa ipotesi, abbiamogia’ dimostrato che il lavoro compiuto dal sistema (sia quello di volumeche quello extra) e’ il massimo possibile (cioe’ il piu’ negativo possibile).

Quindi:

dG = TdS + δwextra,MAX − PdV + PdV − TdS

= δwextra,MAX

Ovvero, per un processo finito:

Wextra,MAX = ∆G

La variazione di energia di Gibbs e’ uguale al massimo lavoro extra (nondi volume) che il sistema puo’ compiere.

93

(Notate che ∆G e’ sempre lo stesso, indipendentemente dalla reversibilita’o meno del processo, perche’ G e’ una funzione di stato; e’ Wextra chedipende da come il processo avviene)

Questo fatto torna utile se si vuole conoscere, ad esempio, il massimolavoro elettrico che puo’ compiere una cella elettrochimica o una pila acombustibile.

• Per motivi analoghi a quelli visti per l’energia libera di Helmholtz, siccome∆G rappresenta il massimo lavoro extra che il sistema puo’ compiere,talvolta anche l’energia di Gibbs viene definita “libera”, nel senso cherappresenta l’energia del sistema “disponibile” per compiere lavoro extra.

• L’energia standard di Gibbs molare.

Le entalpie e le entropie standard molari per le reazioni possono esserecombinate per ottenere le energie standard di Gibbs molari:

∆RG = ∆RH − T∆RS

valida a P = P = 1 bar e alla temperatura T .

Per maggiore comodita’, come visto per l’entalpia standard di formazione,si definisce l’energia standard di Gibbs di formazione come la variazione dienergia di Gibbs quando un composto si forma a partire dai suoi elementialla pressione standard e a una data temperatura.

Avendo tabelle estese di energie di Gibbs di formazione, in modo identicoa quanto visto per le entalpie di reazione, le energie di Gibbs di rea-zione possono essere ricavate combinando opportunamente le energie diGibbs di formazione, ciascuna moltiplicata per il rispettivo coefficientestechiometrico:

νR1R1 + νR2R2 + · · · + νRNRRNR

= νP1P1 + νP2P2 + · · · + νPNPPNP

∆RG =

NP∑

i=1

νPi∆F GPi

−NR∑

i=1

νRi∆F GRi

94

Atkins, capitolo 5

L’equazione fondamentale

• Possiamo combinare il primo e il secondo principio in un’unica equazioneche chiameremo equazione fondamentale.

Il primo principio e’:

dU = δq + δw

Sotto le seguenti ipotesi:

⇒ processo reversibile⇒ sistema chiuso (cioe’ che non scambia materia con l’ambiente)⇒ composizione costante (considereremo gli effetti delle variazioni di

composizione piu’ avanti)⇒ solo lavoro di volume

vale:

δq = δqrev = TdS (per il secondo principio)

δw = −PdV (ipotesi di reversibilita’ e solo lavoro di volume)

Otteniamo cosi’ l’equazione fondamentale:

dU = TdS − PdV

• Importante: abbiamo ricavato questa relazione sotto l’ipotesi di reversibi-lita’. Ma essa contiene solo funzioni di stato e quindi l’espressione restavalida anche per un processo irreversibile.

Come abbiamo detto altre volte, la reversibilita’ o meno del processoinfluisce sul calore e il lavoro, che non sono funzioni di stato.

Se il processo e’ irreversibile, calore e lavoro sono diversi dal caso reversi-bile:

δqirrev < TdS (disuguaglianza di Clausius)

δwirrev > −PdV (visto in generale)

ma la loro somma rimane invariata (per gli stessi stati iniziale e finale,ovviamente).

95

Le proprieta’ dell’energia di Gibbs

• Introduciamo l’equazione fondamentale nella definizione dell’energia diGibbs.

Per un sistema chiuso a composizione costante e senza lavoro extra si ha:

G = H − TS

G = U + PV − TS

dG = dU + PdV + V dP − TdS − SdT

= TdS − PdV + PdV + V dP − TdS − SdT

dG = V dP − SdT

• Questa espressione mostra che per le condizioni date le variabili indipen-denti “naturali” da cui dipende G sono la pressione e la temperatura.

• Inoltre, in base al primo e secondo principio (quindi da fonti fisiche, nonmatematiche), noi sappiamo che G e’ una funzione di stato.

Allora la matematica ci dice che il differenziale di G, pensata come fun-zione di P e T , deve essere:

dG (P, T ) =

(∂G

∂P

)

T

dP +

(∂G

∂T

)

P

dT

Per confronto si ottiene:

(∂G

∂P

)

T

= V

(∂G

∂T

)

P

= −S

Queste espressioni mostrano come varia G in funzione di P e T .

• Siccome V e’ sempre positivo, dalla:

(∂G

∂P

)

T

= V

96

segue che G cresce con la pressione (a T e composizione costanti). Inoltre,siccome, a parita’ di numero di moli, il volume degli stati di aggregazionevaria nell’ordine:

solido < liquido� gas

si ricava che G e’ piu’ sensibile alla pressione (cioe’ (∂G/∂P )T e’ piu’grande) nelle fasi gassose che in quelle condensate.

• Siccome S e’ sempre positiva (per il terzo principio), dalla:

(∂G

∂T

)

P

= −S

segue che G e’ una funzione decrescente della temperatura (a P e compo-sizione costanti).

Inoltre, siccome, a parita’ di numero di moli, l’entropia degli stati diaggregazione varia nell’ordine:

solido < liquido < gas

si ricava che la pendenza negativa di G (T ) segue lo stesso ordine.

solido

liquido

gas

T

G

solido

liquido

gas

T

G

solido

liquido

gas

T

G

• Calcolo della variazione dell’energia di Gibbs con la temperatura.

La relazione:

(∂G

∂T

)

P

= −S

97

esprime la variazione dell’energia di Gibbs con la temperatura in terminidell’entropia del sistema.

E’ possibile e soprattutto utile, come vedremo, esprimere la derivata del-l’energia di Gibbs rispetto alla temperatura in funzione dell’entalpia (an-ziche’ dell’entropia).

A questo scopo e’ piu’ semplice considerare la dipendenza dalla tempera-tura di G/T piuttosto che di G.

Allora:

(

∂(

GT

)

∂T

)

P

=T(

∂G∂T

)

P−G

T 2(derivata del rapporto di funzioni)

=T(

∂G∂T

)

P− (H − TS)

T 2(definizione di G)

=−TS − (H − TS)

T 2(per quanto gia’ visto)

= −H

T 2

• Allora, per una reazione chimica:

reagenti = prodotti

si avra’:

∂(

Gprod

T

)

∂T

P

= −Hprod

T 2

∂(

Greag

T

)

∂T

P

= −Hreag

T 2

Facendo la differenza membro a membro:

∂(

Gprod

T

)

∂T

P

∂(

Greag

T

)

∂T

P

= −

(Hprod

T 2−

Hreag

T 2

)

(

∂(

∆GT

)

∂T

)

P

= −∆H

T 2

Cioe’: la conoscenza del ∆H di una reazione fornisce anche la previsionedi come il ∆G cambiera’ con la temperatura (a P costante).

98

Ricordate che il ∆G esprime il grado di spontaneita’ della reazione equindi il risultato ottenuto ci permette di rispondere a questa doman-da (di enorme interesse pratico): “questa reazione e’ (s)favorita a unacerta temperatura; diventera’ (o non diventera’) spontanea a un’altratemperatura? ”

• Calcolo della variazione dell’energia di Gibbs con la pressione.

Dalla:

(∂G

∂P

)

T

= V

si ricava, a T costante:

dG = V dP

∆G =

∫ P2

P1

V dP

ovvero, per le corrispondenti quantita’ molari:

∆Gm =

∫ P2

P1

VmdP

Per risolvere l’integrale, si deve sapere come Vm varia con la pressione aT costante.

• Normalmente, per fasi condensate questa variazione e’ molto piccola equindi, in questi casi:

∆Gm ≈ Vm∆P

Inoltre, siccome il volume molare di liquidi e solidi e’ molto piccolo, l’e-nergia di Gibbs delle fasi condensate varia molto poco con la pressione.

• Per il gas ideale Vm = RT/P e allora:

∆Gm =

∫ P2

P1

RT

PdP

Gm (P2) = Gm (P1) + RT lnP2

P1

99

Se P1 = P e P2 e’ una pressione generica P , allora:

Gm (P ) = Gm

(P)

+ RT lnP

P

• Notate: se il gas ideale considerato si trova in una miscela con altri gasideali, allora nell’espressione su scritta P e P sono le pressioni parziali delgas considerato; l’espressione e’ completamente indipendentemente dallapressione totale, fintanto che consideriamo due stati in cui le pressioniparziali del componente considerato siano P e P, rispettivamente. Dettoin altri termini, l’energia libera molare di un gas ideale dipende solodalla sua pressione parziale e non dalla pressione totale della miscela(ideale) in cui esso eventualmente si trova. Questo e’ del tutto ragionevole:data l’assenza di forze intermolecolari, in una miscela di gas ideali, ciascuncomponente ignora totalmente la presenza degli altri e quindi si comportacome se da solo occupasse tutto il volume a disposizione.

(Ricordate questa considerazione: la useremo nel trattamento della pres-sione osmotica)

• I gas reali e la fugacita’.

La relazione scritta sopra e’ molto attraente per la sua semplicita’, mavale solo per il gas ideale.

Ci piacerebbe molto se potessimo mantenere la stessa forma analiticaanche per i gas reali.

In realta’ cio’ e’ possibile, se paghiamo il prezzo di introdurre una funzioneempirica f , funzione della pressione e della temperatura del gas reale,definita proprio in modo tale che la relazione:

Gm (P ) = Gm

(P)

+ RT lnf

P

sia sempre vera (cioe’ inserendo f nell’espressione, si deve ottenere l’e-nergia di Gibbs molare del gas reale per le condizioni date di pressione etemperatura).

f viene chiamata fugacita’ e ha le dimensioni di una pressione.

• Per capire meglio che cosa sia la fugacita’, cerchiamo prima di capirecome deve essere l’andamento dell’energia di Gibbs molare per un gasreale rispetto al gas ideale (guardate la figura).

100

bassepressioni

pressioni moderate pressioni elevate

gas reale

gas ideale

P

G

bassepressioni

pressioni moderate pressioni elevate

gas reale

gas ideale

P

G

Teniamo presente che l’energia di Gibbs alla pressione P e’ data, in gene-rale, da:

Gm (P ) = Gm

(P)

+

∫ P

P

VmdP

Questa relazione vale per qualsiasi sostanza (non solo per i gas).

Noi abbiamo gia’ discusso il comportamento del volume molare Vm di ungas reale rispetto al gas ideale quando abbiamo parlato del coefficiente dicompressione Z.

⇒ A pressioni sufficientemente basse, il gas reale si comporta in modoideale e quindi il suo volume molare e la sua energia di Gibbsdevono essere identici a quelli del gas ideale

⇒ A pressioni moderatamente elevate, le forze intermolecolari nel gasreale sono di carattere attrattivo e quindi, a parita’ di pressione, ilvolume molare del gas reale e’ piu’ piccolo di quello del gas idea-le. Cio’ implica che lo stesso deve valere per l’energia di Gibbs(guardate la relazione scritta sopra e la figura)

⇒ A pressioni decisamente elevate, le molecole del gas reale sono mol-to vicine e quindi le forze intermolecolari diventano violentementerepulsive. Il gas reale diventa meno compressibile del gas idealee il suo volume molare, a parita’ di pressione, e’ ora maggiore diquello del gas ideale. Lo stesso deve valere per l’energia di Gibbs(guardate l’espressione generale scritta sopra).

• Sulla base di quanto appena detto, come ci aspettiamo che vari la fugacita’di un gas reale in funzione della pressione?

Tenete presente che la fugacita’ deve essere tale da far si’ che, inseritanella relazione:

101

Gm (P ) = Gm

(P)

+ RT lnf

P

fornisca il corretto valore di Gm (P ) per il gas reale.

Allora:

⇒ A pressioni sufficientemente basse l’energia di Gibbs del gas realee ideale e’ la stessa e quindi deve essere anche:

f = P

⇒ A pressioni moderatamente elevate l’energia di Gibbs del gas realee’ minore di quella del gas ideale. Se inserissimo la pressione mi-surata con un manometro (cioe’ la pressione sperimentale, P ) delgas reale nell’espressione:

Gm (P ) = Gm

(P)

+ RT lnP

P

otterremmo un valore troppo elevato, perche’ questa espressionevale per il gas ideale.Se vogliamo che la stessa espressione ci fornisca il valore correttodi Gm (P ), invece di P dobbiamo inserirvi un valore minore: talevalore e’ appunto quello della fugacita’ f .Quindi, in questa regione di valori di pressione, la fugacita’ deveessere minore della pressione (misurabile sperimentalmente) per-che’ deve fornire valori di energia di Gibbs minori di quelli del gasideale:

f < P

⇒ A pressioni decisamente elevate l’energia di Gibbs del gas reale e’maggiore di quella del gas ideale. Questa volta, se inserissimo lapressione sperimentale del gas reale nell’espressione:

Gm (P ) = Gm

(P)

+ RT lnP

P

otterremmo un valore troppo basso (guardate la figura di prima).Se vogliamo che la stessa espressione ci fornisca il valore correttodi Gm (P ), invece di P dobbiamo inserirvi un valore maggiore: dinuovo, tale valore e’ quello della fugacita’ f .Quindi, in questa regione di valori di pressione, la fugacita’ deveessere maggiore della pressione sperimentale perche’ deve fornirevalori di energia di Gibbs maggiori di quelli del gas ideale:

102

f > P

• Quanto detto si puo’ rappresentare con un grafico f vs P .

Per un gas ideale, ovviamente, si ha f = P a tutte le pressioni: l’anda-mento e’ quello della retta bisettrice del primo quadrante.

Per un gas reale si avra’ un andamento che coincide con la retta f = Pa basse pressioni, mostra una deviazione negativa a pressioni intermedie(f < P ) e una deviazione positiva a pressioni elevate (f > P ):

pressioni

basse

pressioni

moderate

pressioni

elevate

gas

reale

gasidea

le

P

f

pressioni

basse

pressioni

moderate

pressioni

elevate

gas

reale

gasidea

le

P

f

• Da quanto detto si capisce anche perche’ la fugacita’ si chiama cosi’: essarappresenta infatti una misura di quanto le molecole di un gas reale ten-dono a “fuggire” le une dalle altre (abbiamo infatti visto che la fugacita’e’ tanto piu’ grande quanto piu’ intense sono le interazioni intermolecolarirepulsive).

• Normalmente la fugacita’ viene usata tramite un cosiddetto coefficientedi fugacita’, definito come:

Φ =f

P

da cui:

f = ΦP

E’ chiaro che la conoscenza del coefficiente di fugacita’ e’ equivalente aquella della fugacita’ stessa.

103

• Come detto, la fugacita’ (o il coefficiente di fugacita’) va determinatasperimentalmente per ogni gas reale in un range di temperature e pressionidi interesse.

In particolare, il coefficiente di fugacita’ puo’ essere ricavato da misure delcoefficiente di compressione di un gas reale.

Per vedere come, cominciamo con l’osservare che la variazione di energiadi Gibbs molare per un gas reale che passi da uno stato a pressione P ′ efugacita’ f ′ allo stato a pressione P e fugacita’ f e’ data da:

∆Gm =

∫ P

P ′

VmdP = RT lnf

f ′

La prima uguaglianza e’ semplicemente l’espressione generale (valida perqualsiasi stato di aggregazione): vi compare la pressione e non la fugacita’perche’ la non idealita’ del gas e’ contenuta “naturalmente” nel volumemolare Vm.

La seconda uguaglianza si ottiene sottraendo membro a membro le dueespressioni che danno l’energia libera molare del gas reale nei due staticorrispondenti alle fugacita’ f ed f ′, rispettivamente:

Gm (P ) = Gm

(P)

+ RT lnf

P

Gm (P ′) = Gm

(P)

+ RT lnf ′

P

∆Gm = RT lnf

f ′

Per il gas ideale si puo’ scrivere, analogamente:

∆Gm,ideale =

∫ P

P ′

Vm,idealedP = RT lnP

P ′

Facciamo la differenza membro a membro:

∫ P

P ′

VmdP −

∫ P

P ′

Vm,idealedP = RT lnf

f ′−RT ln

P

P ′

RT ln

(f

P

P ′

f ′

)

=

∫ P

P ′

(Vm − Vm,ideale) dP

ln

(f

P

P ′

f ′

)

=1

RT

∫ P

P ′

(Vm − Vm,ideale) dP

Per definizione: f/P = Φ e quindi:

104

ln

(

ΦP ′

f ′

)

=1

RT

∫ P

P ′

(Vm − Vm,ideale) dP

Ora prendiamo il limite per P ′ → 0 di ambo i membri:

limP ′→0

(

ln

(

ΦP ′

f ′

))

= limP ′→0

1

RT

∫ P

P ′

(Vm − Vm,ideale) dP

Quando P ′ → 0, la fugacita’ diventa uguale alla pressione perche’ ilcomportamento del gas tende a quello ideale; quindi:

limP ′→0

ln

(

ΦP ′

f ′

)

= ln Φ

Il secondo membro diventa semplicemente:

limP ′→0

1

RT

∫ P

P ′

(Vm − Vm,ideale) dP =1

RT

∫ P

0

(Vm − Vm,ideale) dP

In definitiva:

ln Φ =1

RT

∫ P

0

(Vm − Vm,ideale) dP

Infine, osserviamo che il volume molare del gas ideale e’ semplicemente:

Vm,ideale =RT

P

mentre quello del gas reale si puo’ esprimere tramite il fattore di compres-sione Z:

Vm =ZRT

P

Il risultato finale e’:

ln Φ =1

RT

∫ P

0

(ZRT

P−

RT

P

)

dP

ln Φ =

∫ P

0

(Z − 1

P

)

dP

105

Quindi il coefficiente di fugacita’ Φ puo’ essere ricavato dalla misura spe-rimentale dell’integrale al secondo membro (ad esempio, si puo’ effettuareuna serie di determinazioni di (Z − 1) /P nel range di pressioni [0, P ],fittarle con un polinomio e risolvere l’integrale per via analitica).

106

Atkins, capitolo 6

• In questo capitolo ci occuperemo delle transizioni di stato (o tran-sizioni di fase) in sistemi costituiti da un’unica sostanza (e quindi lacomposizione del sistema non varia).

La descrizione fenomenologica delle transizioni di fase

• Prima di trattare le transizioni di fase in modo formale con la termodina-mica, le analizziamo in modo empirico.

• Per fase intendiamo una porzione di materia in cui tutte le proprieta’chimiche e fisiche sono indipendenti dal punto in cui vengono misurate(quindi cio’ che caratterizza una fase e’ la sua omogeneita’).

• Si parla di fasi solide, liquide o gassose. Inoltre, una stessa sostanza puo’esistere in diverse fasi solide, un fenomeno detto polimorfismo.

• Una transizione di stato o transizione di fase consiste in un processoin cui una certa fase si trasforma in un’altra.

• Le principali transizioni di stato sono:

fusione solido → liquidocongelamento liquido → solidoevaporazione liquido → gas

condensazione gas → liquidosublimazione solido → gasdeposizione gas → solido

Esistono anche molte transizioni fra due fasi solide diverse della stessasostanza.

• Una transizione di stato avviene per valori determinati di pressione etemperatura.

Ad esempio, alla pressione di 1 atm l’acqua e’ stabile nella fase solida(ghiaccio) a temperature inferiori a 0◦ C, mentre e’ stabile nella faseliquida a temperature superiori a 0◦ C.

A P = 1 atm e T = 0◦ C (273.15 K), ghiaccio e acqua liquida hanno lastessa stabilita’ e coesistono in equilibrio.

• In generale, si dice temperatura di transizione la temperatura allaquale (per una certa pressione) due fasi sono in equilibrio.

Analogamente, si dice pressione di transizione la pressione alla quale(per una certa temperatura) due fasi sono in equilibrio.

• Prima di continuare, e’ opportuno un chiarimento.

Mentre la termodinamica, come vedremo, consente di prevedere le tem-perature e/o le pressioni a cui avvengono le transizioni di fase, essa non

107

dice nulla sulla velocita’ di questi processi. Alcune transizioni di fasesono talmente lente che in pratica non avvengono: cioe’, una sostanzapuo’ permanere indefinitamente in una fase instabile dal punto di vistatermodinamico, unicamente perche’ la sua trasformazione nella fase piu’stabile e’ incommensurabilmente lenta.

Questo avviene spesso tra fasi solide diverse, poiche’ la mobilita’ degliatomi e molecole in fase solida e’ molto limitata.

Una fase che non sarebbe stabile nelle condizioni date di temperatura epressione, ma che esiste solo grazie alla lentezza della sua trasformazioneviene detta fase metastabile.

• I diagrammi di stato (o diagrammi di fase).

Le condizioni di temperatura e pressione in cui le diverse fasi di una so-stanza sono stabili vengono rappresentate sinteticamente con i cosiddettidiagrammi di stato.

Si tratta di diagrammi in cui il piano P vs T viene suddiviso in re-gioni in ciascuna delle quali una determinata fase della sostanza risultatermodinamicamente stabile.

• Un tipico diagramma di stato per il caso piu’ semplice di una sostanza chepuo’ esistere solo nelle tre fasi solida, liquida e gas (cioe’ non presenta fasisolide diverse) e’ il seguente:

SUPERCRITICO

FLUIDO

P

punto triplo

punto criticoPC

TC

P3

T3

SOLIDO

LIQUIDO

GAS

T

SUPERCRITICO

FLUIDO

P

punto triplo

punto criticoPC

TC

P3

T3

SOLIDO

LIQUIDO

GAS

T

SUPERCRITICO

FLUIDO

P

punto triplo

punto criticoPC

TC

P3

T3

SOLIDO

LIQUIDO

GAS

T

• Il piano P T viene suddiviso in regioni da curve dette limiti di fase.Ciascuna curva rappresenta il confine fra due regioni in ciascuna dellequali una determinata fase della sostanza e’ termodinamicamente la piu’stabile.

In tutti i punti di una curva che rappresenta il confine fra due fasi, que-ste ultime coesistono in equilibrio: cioe’ hanno la medesima stabilita’termodinamica e nessuna delle due ha tendenza a trasformarsi nell’altra.

• Le regioni di esistenza delle fasi solida, liquida e gassosa sono facilmenteindividuabili:

108

⇒ la fase gassosa occupa la parte bassa e a destra del piano, corri-spondente ad alte temperature e basse pressioni

⇒ la fase solida occupa invece la fascia sinistra e in alto del piano, incui si hanno basse temperature e pressioni elevate

⇒ la fase liquida e’ stabile nella regione a destra e in alto, a tempe-rature e pressioni (moderatamente) elevate

• Il limite di fase solido/liquido ha normalmente una pendenza molto ac-centuata e positiva. Cio’ e’ ragionevole:

⇒ a temperatura maggiore, le molecole hanno energia cinetica mag-giore e quindi tendono a “preferire” la fase liquida, che ha normal-mente un volume molare maggiore della fase solida e quindi offreuna maggiore liberta’ di movimento; se si vuole che in tali condizio-ni la fase solida possa coesistere in equilibrio, bisogna aumentarela pressione per forzare le molecole ad organizzarsi in un volumeminore

⇒ inoltre, siccome solidi e liquidi sono molto poco compressibili, l’au-mento di pressione corrispondente a un piccolo aumento di tempe-ratura deve essere molto grande

• Un’eccezione a questa regola e’ l’acqua, per la quale il limite di fase so-lido/liquido ha pendenza negativa: cio’ significa che all’aumentare dellatemperatura, la pressione di equilibrio ghiaccio/acqua liquida diminuisce.

Il singolare comportamento dell’acqua si spiega con il legame idrogeno. Nelghiaccio, le molecole d’acqua hanno una struttura molto aperta proprioa causa del legame idrogeno che impedisce loro di impaccarsi in modocompatto. La conseguenza e’ che la densita’ del ghiaccio e’ minore diquella dell’acqua liquida (cioe’ il volume molare del ghiaccio e’ maggioredi quello dell’acqua liquida) e quindi, in questo caso, la fase solida e’favorita da una diminuzione di pressione.

• Per capire come si possono usare i diagrammi di stato, immaginiamo diavere una sostanza in fase gassosa chiusa in un cilindro con pistone mobile.

Innanzitutto, se e’ presente solo la fase gas, dobbiamo necessariamentetrovarci in un punto della regione in cui tale fase e’ la piu’ stabile. Talepunto e’ indicato con A nella figura.

Cosa accade se aumentiamo la pressione a temperatura costante?

Cio’ equivale a muoversi lungo il percorso verticale ABC e si realizzapraticamente abbassando il pistone.

Notate che abbiamo gia’ discusso questo processo quando abbiamo parlatodelle isoterme dei gas reali: in quel caso il processo era rappresentato sulpiano PV , ora stiamo discutendo la stessa identica cosa, ma la seguiamocon il diagramma di stato sul piano PT .

In tutti i punti del tratto AB il sistema resta in fase gassosa: aumentiamola pressione, ma la fase gassosa rimane la piu’ stabile.

Quando la pressione raggiunge il valore corrispondente al punto B siamoarrivati al limite di fase che fa da confine fra gas e liquido. Cio’ significa

109

che in queste condizioni la fase liquida ha la stessa stabilita’ di quellagassosa. Quello che succede in pratica e’ che nel contenitore compaionole prime gocce di liquido e le due fasi (liquida e gassosa) coesistono inequilibrio.

La pressione del gas in equilibrio col liquido nel punto B si chiama pres-sione di vapore del liquido alla temperatura data.

C′•

B′•

A′•

C

B

A

LIQUIDO

GAS

T

P

C′•

B′•

A′•

C

B

A

LIQUIDO

GAS

T

P

C′•

B′•

A′•

C

B

A

LIQUIDO

GAS

T

P

Se continuiamo ad abbassare il pistone, la pressione non varia finche’ nelcilindro e’ presente ancora del gas. Infatti, man mano che abbassiamo ilpistone, del gas si trasforma continuamente in liquido e la pressione dellafase gassosa residua non cambia.

Sul diagramma di stato, pur continuando ad abbassare il pistone, restiamofermi al punto B.

Quando tutto il gas e’ condensato, il pistone si e’ adagiato sulla superficiedella fase liquida, che ora e’ l’unica presente. La pressione che esercitiamoha superato di un infinitesimo il valore che aveva in B: non c’e’ piu’equilibrio e la fase liquida e’ diventata la fase piu’ stabile.

Se continuiamo a premere sul pistone, ci spostiamo lungo il tratto BC:cioe’, a questo punto, stiamo premendo il pistone sulla superficie di unliquido.

• Una discussione analoga vale per il raffreddamento della fase gassosa apressione costante lungo il percorso A′B′C′ nella figura (provate a ripetereil ragionamento da soli!)

• Simili argomenti si applicano anche agli altri limiti di fase (solido/gas osolido/liquido)

• Il punto triplo.

Su ciascun limite di fase (la curva che fa da confine fra due regioni distabilita’ del piano PT ) ci sono infiniti punti di equilibrio fra le duecorrispondenti fasi.

110

Ad esempio, la curva solido gas e’ il luogo di tutti e soli i punti del pianoPT in cui la fase solida e quella gassosa sono in equilibrio. Detto in altritermini, esistono infinite condizioni di temperatura e pressione per le qualila fase solida della sostanza puo’ coesistere in equilibrio con la fase gas-sosa (naturalmente, per ogni temperatura esiste una e una sola pressionecorrispondente all’equilibrio; ma le coppie di valori (P, T ) per cui si haequilibrio solido/gas sono infinite: tutti i punti della curva solido/gas).

Tuttavia, se e’ vero che esistono infinite coppie di valori di temperatura epressione per cui 2 fasi possono coesistere in equilibrio, sul diagramma difase esiste un unico punto in cui tutte e 3 le fasi (solida,liquida e gassosa)coesitono in equilibrio: tale punto e’ l’unico punto comune a tutti e tre ilimiti di fase e viene chiamato punto triplo. Le coordinate di tale puntosul piano PT sono dette, rispettivamente, temperatura e pressione delpunto triplo.

Ad esempio, ghiaccio, acqua liquida e acqua gassosa possono esistere inequilibrio solamente a T = 273.16 K e P = 611 Pa. Per nessun’altracoppia di valori di temperatura e pressione si puo’ avere equilibrio fratutti e tre gli stati di aggregazione dell’acqua.

Guardando il diagramma di stato si verifica in modo semplice che:

→ la pressione del punto triplo e’ la massima pressione a cui si puo’avere equilibrio tra solido e gas

→ la pressione del punto triplo e’ la minima pressione a cui puo’esistere la fase liquida

→ se la pendenza del limite di fase solido/liquido e’ positiva, la tempe-ratura del punto triplo e’ la minima temperatura a cui puo’ esisterela fase liquida

e cosi’ via.

• Il punto critico.

Consideriamo la curva liquido/gas. Essa parte dal punto triplo e si estendecon andamento crescente verso destra.

Un modo equivalente di interpretarla dal punto di vista sperimentale e’quello di considerare un recipiente chiuso di volume costante e inizialmentevuoto in cui poniamo una certa’ quantita’ della sostanza che costituisce ilnostro sistema in fase liquida.

Se la temperatura e’ maggiore di quella del punto triplo, una parte delliquido evapora e il gas formato va ad occupare la parte libera del reci-piente. L’evaporazione continua fino a che si raggiunge l’equilibrio (deter-minato dal fatto che la velocita’ di evaporazione diventa uguale a quella dicondensazione) (naturalmente, facciamo l’ipotesi di avere introdotto nelrecipiente una quantita’ di liquido sufficiente a far si che del liquido siaancora presente quando si e’ raggiunto l’equilibrio).

Quando l’equilibrio e’ stato raggiunto, ci troviamo su un punto della curvaliquido/gas.

Se ora aumentiamo la temperatura, il sistema non e’ piu’ all’equilibrio.L’aumento della temperatura determina un’ulteriore evaporazione di li-quido con conseguente aumento della pressione di vapore fino a che si

111

raggiunge un nuovo stato di equilibrio, cioe’ ci siamo spostati verso destrasulla curva liquido/gas.

Se continuiamo ad aumentare la temperatura aspettando che dopo ogniaumento il sistema raggiunga l’equilibrio, ci spostiamo progressivamenteverso destra lungo la curva di equilibrio liquido/gas. In tutti i punti visi-tati in questo esperimento, il recipiente contiene sempre 2 fasi nettamentedistinguibili: la fase liquida sul fondo e la fase gassosa nella parte superio-re; le due fasi hanno caratteristiche fisiche diverse, e in particolare la faseliquida ha densita’ maggiore di quella gassosa.

Tuttavia, all’aumentare della temperatura, la densita’ della fase liquidadiminuisce e quella della fase gassosa aumenta. Si giunge pertanto aduna temperatura limite, detta temperatura critica, alla quale le duedensita’, quella del liquido e quella del gas, diventano uguali.

Per tale temperatura (e per tutte le temperature superiori), il recipientenon contiene piu’ 2 fasi, ma e’ invaso da un’unica fase che viene dettafluido supercritico (ne avevamo gia’ parlato a proposito dei gas reali).

Quindi la temperatura critica e’ la massima temperatura a cui possonoesistere le fasi liquida e gassosa della sostanza.

I fluidi supercritici hanno diverse applicazioni pratiche.

Ad esempio, il diossido di carbonio supercritico viene usato per estrarre lacaffeina dal caffe’ mediante solubilizzazione selettiva. L’eliminazione dellaCO2 al termine del processo e’ particolarmente semplice: basta portare lasoluzione in condizioni ordinarie e tutta la CO2 si separa tornando in fasegassosa, senza lasciare alcun residuo tossico.

• L’ebollizione.

L’evaporazione di un liquido interessa normalmente solo la sua superfi-cie, nel senso che solo le molecole alla superficie del liquido lo possonoabbandonare per passare in fase gassosa.

Tuttavia questo e’ vero solo fino a che la pressione esterna e’ maggioredella pressione di vapore del liquido: in tali condizioni, infatti, l’evapora-zione all’interno della massa del liquido non avviene perche’, se avvenisse,dovrebbe portare alla formazione di bolle di gas; ma la pressione all’in-terno di tali bolle sarebbe la pressione di equilibrio alla temperatura datae quindi risulterebbe minore di quella esterna: le bolle non riescono aformarsi perche’ “non ne hanno la forza”.

Questo problema non esiste alla superficie del liquido, dove, per passareallo stato gassoso, le molecole non hanno bisogno di riunirsi in bolle.

Quando pero’ la pressione di vapore del liquido (cioe’ la pressione del gasche sta in equilibrio col liquido) diventa uguale o maggiore della pressio-ne esterna, allora l’evaporazione puo’ avere luogo anche nella massa delliquido, perche’ ora le bolle hanno una pressione sufficiente a non farsi“schiacciare” dalla pressione esterna.

Quando si raggiunge questa condizione, l’evaporazione avviene in tutto illiquido (non solo alla sua superficie) e prende il nome di ebollizione.

112

Per un recipiente aperto (quindi sottoposto ad una pressione esterna di1 atm) e contenente un liquido, la temperatura di ebollizione e’ indi-viduata sul diagramma di stato dall’intersezione della retta orizzontale aP = 1 atm con la curva di equilibrio liquido vapore.

Teb

P = 1 atm

LIQUIDO

GAS

T

P

Teb

P = 1 atm

LIQUIDO

GAS

T

P

Teb

P = 1 atm

LIQUIDO

GAS

T

P

Dal diagramma di stato si vede che la temperatura di ebollizione diminui-sce al diminuire della pressione esterna. Questo spiega perche’ per cuocerela pastasciutta in alta montagna ci vuole piu’ tempo che in pianura. In-fatti la pressione atmosferica diminuisce con l’altitudine e quindi in altamontagna l’acqua bolle a temperature inferiori (anche di una decina digradi) a 100◦ C: per cucinare la pasta a 90◦ C bisogna impiegare untempo maggiore che a 100◦ C.

La discussione termodinamica delle transizioni di fase

• La discussione termodinamica quantitativa delle transizioni di fase e’ ba-sata sull’energia di Gibbs molare. Tale grandezza e’ talmente importanteche ad essa viene dato il nome proprio di potenziale chimico e il simboloµ:

µ ≡ Gm

• Innanzitutto e’ facile spiegare come mai un aumento di temperatura causile transizioni solido/liquido liquido/gas o solido/gas di una sostanza.

Bisogna tenere presente che una transizione di fase avverra’ spontanea-mente (a una certa temperatura e pressione) se l’energia libera molaredella fase “di arrivo” e’ minore di quella della fase “di partenza” (ricorda-te che il criterio di spontaneita’ e’ dG < 0, cioe’ nella transizione l’energiadi Gibbs del sistema deve diminuire).

Abbiamo visto che l’energia di Gibbs molare, ovvero il potenziale chimico,varia con la temperatura nel modo seguente:

113

(∂µ

∂T

)

P

(∂Gm

∂T

)

P

= −Sm

Siccome l’ordine delle entropie molari (sempre positive per il terzo princi-pio) e’:

solido < liquido < gas

segue che il potenziale chimico decresce in funzione della temperatura nellostesso ordine.

Allora (guardate la figura): a temperature molto basse il potenziale chi-mico della fase solida sara’ minore di quelli della fase liquida o gassosa e lafase piu’ stabile sara’ il solido; all’aumentare della temperatura il poten-ziale chimico della fase liquida diminuisce piu’ rapidamente di quello dellafase solida e a un certo punto diventera’ minore di esso: e’ questa la tem-peratura a cui si avra’ la transizione solido/liquido; aumentando ancora latemperatura, il potenziale chimico della fase gassosa, che diminuisce piu’rapidamente di quello della fase liquida, a un certo punto diventa minoredel potenziale chimico della fase liquida e si ha la transizione liquido/gas.

µG

µL

µS

GASLIQUIDOSOLIDO

T

µ

µG

µL

µS

GASLIQUIDOSOLIDO

T

µ

µG

µL

µS

GASLIQUIDOSOLIDO

T

µ

Quindi, da un punto di vista termodinamico, le transizioni di fase avven-gono in seguito a variazioni del potenziale chimico, a loro volta causate davariazioni di pressione e/o temperatura.

• Possiamo spiegarci in modo semplice anche l’influenza della pressione sullatemperatura di fusione.

Abbiamo visto che per la maggioranza delle sostanze la curva di equilibriosolido/liquido e’ molto ripida e ha pendenza positiva: questo significa cheun aumento della pressione determina un aumento della temperatura difusione; cioe’ a pressione maggiore la temperatura di fusione e’ maggiore.

114

L’acqua costituisce un’eccezione: per essa la curva solido/liquido ha pen-denza negativa e quindi la temperatura di fusione del ghiaccio diminuiscea pressione maggiore (fra l’altro, su questo si basa l’uso dei pattini perscivolare sul ghiaccio).

Tutto cio’ e’ facilmente razionalizzabile con l’espressione che abbiamoricavato per la variazione dell’energia di Gibbs con la pressione:

(∂µ

∂P

)

T

(∂Gm

∂P

)

T

= Vm

Il potenziale chimico cresce con la pressione (Vm > 0) e la rapidita’ concui cresce e’ uguale al volume molare.

Allora, se, come avviene per la maggior parte delle sostanze:

Vm,solido < Vm,liquido

un aumento di pressione shifta verso l’alto il potenziale chimico del solidomeno di quello del liquido: il risultato e’ che la temperatura di fusione(che si ha in corrispondenza all’intersezione dei due potenziali chimici) e’maggiore a pressione maggiore (guardate la figura).

Viceversa, se, come avviene per l’acqua:

Vm,solido > Vm,liquido

allora un aumento di pressione shifta verso l’alto il potenziale chimico delsolido piu’ di quello del liquido; in questo caso (fate riferimento alla figura)la temperatura di fusione e’ minore a pressione maggiore.

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S < Vm,L ⇒ ∆µS < ∆µL

T ′FTF

∆µL

∆µS

T

µ

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S < Vm,L ⇒ ∆µS < ∆µL

T ′FTF

∆µL

∆µS

T

µ

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S < Vm,L ⇒ ∆µS < ∆µL

T ′FTF

∆µL

∆µS

T

µ

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S < Vm,L ⇒ ∆µS < ∆µL

T ′FTF

∆µL

∆µS

T

µ

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S > Vm,L ⇒ ∆µS > ∆µL

TFT ′F

∆µL

∆µS

T

µ

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S > Vm,L ⇒ ∆µS > ∆µL

TFT ′F

∆µL

∆µS

T

µ

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S > Vm,L ⇒ ∆µS > ∆µL

TFT ′F

∆µL

∆µS

T

µ

P ′ > P

P

P ′ > P

P

Vm,S > Vm,L ⇒ ∆µS > ∆µL

TFT ′F

∆µL

∆µS

T

µ

• Per spingerci oltre nel trattamento quantitativo delle transizioni di fasedobbiamo fare affidamento su una conseguenza del criterio di spontaneita’

115

a T e P costanti basato sull’energia di Gibbs che abbiamo ricavato dalsecondo principio.

Per un sistema costituito da una o piu’ fasi vale infatti la seguente affer-mazione:

se il sistema e’ all’equilibrio, allora il potenziale chimico di unasostanza deve essere lo stesso in tutti i suoi punti

• Questa affermazione e’ del tutto generale e ne faremo uso in piu’ occasioni.

Applicata alle transizioni di fase, essa implica che se piu’ fasi della stessasostanza coesistono in equilibrio, il potenziale chimico della sostanza deveessere lo stesso in tutte le fasi.

• E’ semplice dimostrare la verita’ di questa affermazione.

Supponiamo che il potenziale chimico (cioe’ l’energia di Gibbs molare) diuna sostanza sia µ1 nella regione 1 e µ2 nella regione 2 di un sistema.

Se trasferiamo una quantita’ infinitesima dn (espressa in moli) della so-stanza dalla regione 1 alla regione 2 a T e P costanti, l’energia di Gibbs delsistema deve cambiare di −µ1dn nella regione 1 e di +µ2dn nella regione2.

In totale, la variazione (infinitesima) di energia di Gibbs del sistema e’:

dG = −µ1dn + µ2dn

dG = (µ2 − µ1) dn

Ma noi sappiamo che per la spontaneita’ di questo processo deve valere:

dG < 0 il processo e’ spontaneo

dG = 0 il processo e’ all’equilibrio (reversibile)

dG > 0 il processo non e’ spontaneo

Combinando cio’ con quanto scritto sopra si ricava la verita’ dell’afferma-zione: se il sistema e’ all’equilibrio, allora dG = 0 ⇒ µ1 = µ2; e siccomele due regioni erano completamente arbitrarie, il potenziale chimico dellasostanza deve essere lo stesso in tutti i punti.

• Armati di questa relazione, possiamo ricavare ora le espressioni delle curveche costituiscono i limiti delle varie fasi su un diagramma di stato.

L’idea di base e’ la seguente. Se il sistema e’ costituito da due fasi α e βdella sostanza in equilibrio, allora deve valere, per quanto appena visto:

µα (T, P ) = µβ (T, P )

116

(Notate che T e P sono, rispettivamente, la temperatura e la pressione diequilibrio).

Questa condizione puo’ essere elaborata in modo da ottenere la funzioneP = P (T ) che descrive appunto la curva di equilibrio.

• La relazione generale: l’equazione di Clapeyron.

Differenziando ambo i membri della condizione di equilibrio si ha:

dµα (T, P ) = dµβ (T, P )

Ricordiamoci che il potenziale chimico non e’ altro che l’energia di Gibbsmolare, e quindi possiamo scrivere i due differenziali nel modo che gia’conosciamo:

Vα,mdP − Sα,mdT = Vβ,mdP − Sβ,mdT

(Vβ,m − Vα,m) dP = (Sβ,m − Sα,m) dT

dP

dT=

∆Sm

∆Vm

(con ∆Sm = (Sβ,m − Sα,m) e ∆Vm = (Vβ,m − Vα,m))

Se le due fasi sono in equilibrio la pressione e’ costante (uguale al valoredi equilibrio per la temperatura data). Allora si ha:

∆Sm =qrev

T(equilibrio)

=∆Hm

T(P costante)

e quindi si ottiene l’equazione detta di Clapeyron:

dP

dT=

∆Hm

T∆Vm

Questa equazione descrive l’andamento della pressione di equilibrio in fun-zione della temperatura di equilibrio fra due fasi qualsiasi (non abbiamofatto alcuna ipotesi sulla natura delle fasi coinvolte).

• L’equazione di Clapeyron consente di discutere l’andamento qualitativodei limiti di fase.

Per la transizione solido/liquido, normalmente si ha:

⇒ ∆Hm > 0

117

⇒ |∆Vm| e’ molto piccolo (di solito ∆Vm e’ positivo, ma puo’ ancheessere negativo, come abbiamo visto per l’acqua)

Ne segue che la curva di equilibrio solido/liquido e’ normalmente crescentecon una pendenza molto accentuata.

Per le transizioni solido/gas e liquido/gas sia ∆Hm che ∆Vm al denomi-natore sono sempre positivi e ∆Vm non e’ piccolo: le curve di equilibriosaranno sempre crescenti con pendenza decisamente meno marcata delcaso solido/liquido.

• La curva di equilibrio solido/liquido.

Se la fase α e’ il solido e la fase β e’ il liquido, l’espressione puo’ essereintegrata assumendo, in prima approssimazione, che ∆Hm e ∆Vm sianoindipendenti dalla temperatura.

Quindi:

dP

dT=

∆Hm

T∆Vm

dP =∆Hm

T∆VmdT

∫ P

P∗

dP =

∫ T

T∗

∆Hm

T∆VmdT

P − P ∗ =∆Hm

∆Vm

∫ T

T∗

1

TdT

P = P ∗ +∆Hm

∆Vmln

T

T ∗

• Le curve di equilibrio liquido/gas e solido/gas.

Se la fase α e’ il solido o il liquido e la fase β e’ il gas, allora possiamo:

⇒ considerare costante ∆Hm

⇒ trascurare il volume molare della fase condensata rispetto a quellodella fase gassosa

⇒ assumere comportamento ideale della fase gassosa

Quindi:

dP

dT=

∆Hm

T∆Vm

dP =∆Hm

T∆VmdT

dP =∆Hm

T (Vβ,m − Vα,m)dT

≈∆Hm

TVβ,mdT (trascuro Vα,m)

118

≈∆Hm

T RTP

dT (assumo gas ideale)

dP

P=

∆Hm

RT 2dT

∫ P

P∗

dP

P=

∫ T

T∗

∆Hm

RT 2dT

lnP

P ∗=

∆Hm

R

∫ T

T∗

1

T 2dT (assumo ∆Hm costante)

lnP

P ∗=

∆Hm

R

(1

T ∗−

1

T

)

P = P ∗ exp

(∆Hm

R

(1

T ∗−

1

T

))

dove il ∆Hm e’ quello di sublimazione o evaporazione, a seconda dellatransizione di fase considerata.

L’equazione ottenuta viene detta equazione di Clausius–Clapeyron.

119

Atkins, capitolo 7

• Nel capitolo precedente abbiamo analizzato sistemi in cui era presenteun’unica sostanza.

In questo capitolo prendiamo in considerazione le miscele semplici, cioe’sistemi in cui sono presenti piu’ sostanze diverse (ma che, tuttavia, nonreagiscono fra loro chimicamente).

• La principale complicazione dovuta alla presenza di piu’ di un compo-nente e’ che tutte le funzioni di stato del sistema dipendono non solodalle variabili di stato che abbiamo considerato finora, ma anche dallacomposizione.

• La funzione di stato per noi piu’ importante e’ l’energia di Gibbs.

Per un sistema contenente un’unica sostanza, abbiamo visto che le va-riabili “naturali” da cui dipende l’energia di Gibbs sono la pressione e latemperatura:

G = G (T, P ) (per un sistema a 1 componente)

• Se il sistema e’ una miscela di piu’ componenti, allora l’energia di Gibbsdipende, oltre che da pressione e temperatura, anche dalla composizionedella miscela.

Nel contesto della termodinamica, il modo piu’ utile di esprimere la com-posizione di una miscela consiste nella specifica del numero di moli diciascun componente.

Quindi, per una miscela costituita da N componenti, la dipendenza fun-zionale dell’energia di Gibbs e’ espressa da:

G = G (T, P, n1, n2, . . . , nN ) (per un sistema a N componenti)

dove n1 e’ il numero di moli del componente 1 e cosi’ via.

• Il potenziale chimico in un sistema a piu’ componenti.

Abbiamo visto che il potenziale chimico per un sistema a un solo compo-nente e’ definito e coincide con l’energia di Gibbs molare Gm:

µ =G

n= Gm (per un sistema a 1 componente)

In un sistema a un solo componente il potenziale chimico dipende solodalla pressione e dalla temperatura.

120

• La situazione si complica per un sistema a piu’ componenti.

Se G e’ l’energia di Gibbs di un sistema che contiene n1 moli del compo-nente 1, n2 moli del componente 2, etc. , allora non possiamo definire ilpotenziale chimico del componente i semplicemente come:

µi =G

ni

perche’ l’energia di Gibbs del sistema, G, e’ dovuta a tutti i suoi compo-nenti, non solo al componente i.

• Una definizione piu’ ragionevole del potenziale chimico del componente idi un sistema a piu’ componenti e’ la seguente.

Detta ∆G la variazione dell’energia di Gibbs del sistema quando vengo-no aggiunte ad esso ∆ni moli del solo componente i mantenendo lapressione, la temperatura e i numeri di moli di tutti gli altri componenticostanti, il suo potenziale chimico potrebbe essere definito con:

µi =

(∆G

∆ni

)

T,P,nj

(nj al pedice significa che vengono mantenuti costanti i numeri di moli ditutti i componenti diversi dal componente i)

In questo modo, si considera la variazione dell’energia di Gibbs dovutaalla sola variazione del numero di moli del componente i e cio’ ha moltopiu’ senso.

• Tuttavia, questa definizione va ulteriormente affinata perche’ la variazionedell’energia di Gibbs causata dall’aggiunta della stessa quantita’ (in moli)del componente i dipende dalla composizione, cioe’ dal numero di moli ditutti gli altri componenti.

• E’ facile convincersi di cio’ se si pensa che l’energia di Gibbs dipende(anche) dall’energia interna:

G = H − TS

= U + PV − TS

L’energia interna e’ la somma dell’energia cinetica e potenziale delle mo-lecole che costituiscono il sistema.

Se aggiungiamo 1 molecola del componente A ad un sistema costituitoda NA molecole del componente A e NB molecole del componente B, lamolecola aggiunta cambia l’energia di Gibbs del sistema a causa delle sueinterazioni con le altre molecole. Tali interazioni sono mediamente cosi’ripartite:

121

una frazione pari a NA

NA+NBsono interazioni di tipo A−A

una frazione pari a NB

NA+NBsono interazioni di tipo A−B

Siccome, in generale, le interazioni A−A hanno energia diversa da quelleA−B, la variazione dell’energia di Gibbs causata dall’aggiunta della mo-lecola del componente A dipende da NA ed NB, cioe’ dalla composizione.

• Ma allora, se definiamo il potenziale chimico mediante il rapporto fraincrementi finiti:

µi =

(∆G

∆ni

)

T,P,nj

quello che otteniamo e’ il suo valore medio nell’intervallo di composizione[(n1, n2, . . . , ni, . . . , nN) , (n1, n2, . . . , ni + ∆ni, . . . , nN )].

Per ottenere il valore puntuale del potenziale chimico corrispondente aduna particolare composizione, dovremo considerare un’aggiunta infini-tesima di componente i. Matematicamente, cio’ equivale a prendere illimite per ∆ni → 0 del rapporto incrementale suddetto, ovvero definire ilpotenziale chimico come una derivata:

µi = lim∆ni→0

(∆G

∆ni

)

T,P,nj

(∂G

∂ni

)

T,P,nj

(Come gia’ visto in altre occasioni, e’ esattamente lo stesso motivo per cuila velocita’ di un punto materiale e’ definita, in generale, come v = (ds/dt),perche’ lo spazio percorso in un dato intervallo di tempo non e’ costante,ma dipende dal tempo, ovvero dal punto della traiettoria in cui ci si trova).

• Quindi, la definizione corretta del potenziale chimico del componente i inun sistema a piu’ componenti e’:

µi =

(∂G

∂ni

)

T,P,nj

cioe’ la derivata parziale dell’energia di Gibbs (totale) rispetto al numerodi moli del componente i (temperatura, pressione e numeri di moli di tuttigli altri componenti rimangono costanti).

122

• Il potenziale chimico cosi’ definito si riduce all’energia di Gibbs molare perun sistema ad un solo componente, in accordo con quanto avevamo gia’detto.

Infatti, per un sistema ad un solo componente, l’energia di Gibbs e’banalmente data da:

G = nGm

e quindi:

µi =

(∂G

∂ni

)

T,P,nj

(∂G

∂n

)

T,P

=

(∂

∂n(nGm)

)

T,P

= Gm

• Quantita’ parziali molari.

Il ragionamento che sta’ alla base della definizione di potenziale chimicoche abbiamo introdotto si puo’ ripetere per qualsiasi altra funzione di statoestensiva (U, H, S, A, V . . . ).

Cioe’, detta Y una qualsiasi funzione di stato estensiva di un sistema a piu’componenti, se ne puo’ definire la cosiddetta quantita’ parziale molareper il componente i come:

Y =

(∂Y

∂ni

)

T,P,nj

Per questo motivo il potenziale chimico viene anche chiamato energia diGibbs parziale molare.

• L’energia di Gibbs di un sistema a N componenti e’ legata ai potenzialichimici di questi da un’equazione molto importante per la sua utilita’:

G (T, P, n1, n2, . . . , nN ) =N∑

n=1

µi ni

(notate che la dipendenza da T e P al secondo membro e’ contenuta neipotenziali chimici: µi = (∂G/∂ni)T,P,nj

)

• Il teorema di Eulero.

La relazione scritta sopra discende da un semplice teorema detto teoremadi Eulero.

123

Una funzione di N variabili f (x1, . . . , xN ) si definisce “omogenea di gradok” se, per qualsiasi numero reale positivo λ, vale:

f (λx1, . . . , λxN ) = λkf (x1, . . . , xN )

Cioe’: il valore della funzione calcolato moltiplicando tutte le variabili in-dipendenti per lo stesso fattore λ e’ uguale al valore della funzione ottenutosenza moltiplicare per λ, moltiplicato per λk.

Ad esempio, la funzione di due variabili:

f (x, y) = x2y

e’ una funzione omogenea di grado 3 perche’:

f (λx, λy) = (λx)2 (λy)

= λ3x2y

= λ3f (x, y)

Il teorema di Eulero stabilisce che per una funzione omogenea di grado kvale la seguente uguaglianza:

k f (x1, . . . , xN ) =

N∑

n=1

(∂f

∂xi

)

xi

Verifichiamo che il teorema vale per l’esempio visto sopra:

(∂f

∂x

)

x +

(∂f

∂y

)

y = (2xy) x +(x2)

y

= 3 x2y

= 3 f (x, y)

La dimostrazione e’ molto semplice e quindi possiamo farla.

Partiamo dall’ipotesi che la funzione sia omogenea di grado k:

λkf (x1, . . . , xN ) = f (λx1, . . . , λxN )

124

Ora facciamo la derivata rispetto a λ di ambo i membri.

d

(λkf (x1, . . . , xN )

)=

d

dλ(f (λx1, . . . , λxN ))

La derivata del primo membro e’ banale, visto che f (x1, . . . , xN ) nondipende da λ.

Per trovare la derivata del secondo membro si deve applicare la regola perla derivata di una funzione di piu’ variabili, ciascuna delle quali e’ a suavolta funzione di una sola variabile:

d

dλ(f (g1 (λ) , . . . , gN (λ))) =

N∑

i=1

(∂f

∂gi

)(∂gi

∂λ

)

Nel nostro caso si ha:

g1 (λ) = x1λ

· · · = · · ·

gN (λ) = xNλ

e quindi:

d

dλ(f (λx1, . . . , λxN )) =

N∑

i=1

(∂f

∂ (xiλ)

)(∂ (xiλ)

∂λ

)

In definitiva si ottiene:

k λ(k−1)f (x1, . . . , xN ) =

N∑

i=1

(∂f

∂ (xiλ)

)(∂ (xiλ)

∂λ

)

Chiaramente:

(∂ (xiλ)

∂λ

)

= xi

e quindi:

125

k λ(k−1)f (x1, . . . , xN ) =N∑

i=1

(∂f

∂λxi

)

xi

Siccome f e’ omogenea di grado k, la relazione su scritta deve valere perqualsiasi valore positivo di λ, e quindi, in particolare, per λ = 1. In talcaso la tesi e’ dimostrata:

k f (x1, . . . , xN ) =

N∑

n=1

(∂f

∂xi

)

xi

• Perche’ abbiamo visto il teorema di Eulero?

Perche’ l’energia di Gibbs (come qualsiasi altra funzione di stato estensiva)e’ una funzione omogenea di grado 1 rispetto al numero di moli di tutti icomponenti di un sistema.

E’ molto semplice verificare questa affermazione.

Consideriamo un sistema a una certa temperatura e pressione e costituitoda N componenti le cui quantita’ espresse in moli siano n1, n2, . . . , nN .

Abbiamo visto che l’energia di Gibbs di questo sistema e’ una funzione diT , P e di tutti gli ni:

G = G (T, P, n1, n2, . . . , nN )

Ora, se gli ni cambiano in modo arbitrario, l’energia di Gibbs cambia perdue motivi:

→ la massa del sistema cambia (ricordiamoci che G e’ estensiva)→ la composizione del sistema cambia

Se pero’ gli ni cambiano tutti dello stesso fattore λ, allora:

→ la composizione del sistema resta costante→ la massa del sistema cambia dello stesso fattore λ

Quindi, in questo secondo caso, l’energia di Gibbs cambia solo perche’cambia la massa del sistema e, siccome l’energia di Gibbs e’ direttamenteproporzionale alla massa del sistema, se quest’ultima cambia di un fattoreλ, lo stesso cambiamento deve subire G.

Quindi deve valere:

G (T, P, λn1, λn2, . . . , λnN ) = λG (T, P, n1, n2, . . . , nN )

126

cioe’ l’energia di Gibbs e’ una funzione omogenea di grado 1 rispetto alnumero di moli di tutti i componenti.

(come dicevamo prima, questo vale non solo per G, ma per tutte le altrefunzioni di stato estensive che abbiamo incontrato)

• Alla luce di quanto sopra, possiamo applicare il teorema di Eulero allafunzione G con k = 1 e otteniamo:

G (T, P, n1, n2, . . . , nN) =

N∑

n=1

(∂G

∂ni

)

T,P,nj

ni

ovvero:

G (T, P, n1, n2, . . . , nN ) =N∑

n=1

µi ni

che e’ la relazione preannunciata.

• Questa relazione e’ molto importante e il suo significato e’ simile a quel-lo dell’espressione vista per la pressione totale di una miscela di gas infunzione delle pressioni parziali.

Cioe’: l’energia di Gibbs di una miscela puo’ essere ripartita fra i suoi com-ponenti e il potenziale chimico di un componente puo’ essere interpretatocome il suo contributo parziale all’energia di Gibbs totale della miscela.

• La spontaneita’ dei processi di mescolamento.

I risultati ottenuti sopra consentono il trattamento quantitativo dei pro-cessi in cui si ha cambiamento della composizione.

Possiamo cominciare a vedere il caso piu’ semplice possibile, che e’ quellodel mescolamento di due gas ideali.

Consideriamo due gas ideali A e B alla stessa temperatura e pressionecontenuti in due recipienti separati, ma collegati attraverso un rubinettoinizialmente chiuso. Questo rappresenta lo stato iniziale del sistema.

A un certo istante apriamo il rubinetto e lasciamo che i due gas si mescolinocompletamente: la temperatura e la pressione totale rimangono invariatee lo stato finale consiste nei due gas mescolati.

Vogliamo verificare che la variazione di energia di Gibbs per questo pro-cesso spontaneo e’ negativa, come prescritto dal secondo principio dellatermodinamica (espresso come dG ≤ 0, visto che siamo a T e P costanti).

In base a quanto visto piu’ sopra, l’energia di Gibbs degli stati iniziale efinale e’ data da:

127

Gi = nA µA,i + nB µB,i

Gf = nA µA,f + nB µB,f

µA,i e µB,i sono i potenziali chimici dei due gas puri e separati, quindicoincidono con le rispettive energie libere molari. Avevamo gia’ ricavatol’energia libera molare del gas ideale:

µA,i = µA + RT lnP

P

µB,i = µB + RT lnP

P

Quando i gas sono mescolati, la pressione totale e’ sempre P , ma ciascungas ha una pressione parziale data dalla legge di Dalton:

PA =nA

nA + nBP

PB =nB

nA + nBP

Inoltre, essendo i due gas ideali, ciascuno si comporta come se l’altro nonci fosse, perche’ le interazioni intermolecolari sono assenti.

Ne segue che il potenziale chimico di ciascun gas dopo il mescolamen-to e’ dato dalla stessa espressione valida per il gas separato, solamenteaggiornata per la diversa pressione:

µA,f = µA + RT lnPA

P

µB,f = µB + RT lnPB

P

(i potenziali chimici standard µA e µB restano invariati perche’ sono ipotenziali chimici dei due gas alla temperatura T e alla pressione di 1 bar)

Ora possiamo sostituire le espressioni dei potenziali chimici piu’ sopra ecalcolare la variazione di energia di Gibbs:

∆G = Gf −Gi = nA µA,f + nB µB,f − (nA µA,i + nB µB,i)

=�

��nAµA + nART lnPA

P+

128

HHH

nBµB + nBRT lnPB

P−

���nAµA − nART ln

P

P−

HHH

nBµB − nBRT lnP

P

= nART lnPA

P+ nBRT ln

PB

P= nxART lnxA + nxBRT lnxB (n = nA + nB)

= nRT (xA lnxA + xB lnxB)

Nel penultimo passaggio abbiamo espresso i numeri di moli in funzionedelle rispettive frazioni molari; anche i rapporti di pressione argomentodei logaritmi coincidono con le frazioni molari, per definizione di pressioneparziale (Pi/P = xi).

Il risultato finale e’ quindi:

∆G = nRT (xA lnxA + xB lnxB)

e siccome le frazioni molari sono sempre minori di 1, si vede chiaramenteche ∆G e’ sempre negativo, come prescritto dal secondo principio per unprocesso spontaneo a T e P costanti.

• Il potenziale chimico del componente di una fase liquida.

Abbiamo gia’ visto che, per il componente i di una miscela gassosa ideale,il potenziale chimico e’ dato da:

µi = µi + RT lnPi

P

Questa relazione continua a valere per una miscela non ideale, a patto disostituire la pressione parziale con la fugacita’.

• Ora vediamo come l’espressione valida per il componente i di una fase gas-sosa ci consenta di ottenere l’espressione analoga per il potenziale chimicodello stesso componente in una fase liquida.

A questo scopo ci serviremo della condizione di equilibrio fra fasi diverseche abbiamo gia’ visto in generale.

Per il componente i puro allo stato liquido in equilibrio con il suo vaporealla temperatura T e alla pressione totale P deve valere:

µ∗i(P,T ) (L) = µ∗i (G)

129

dove l’asterisco indica che ci riferiamo al componente i puro.

Indicata con P ∗i la pressione di equilibrio di i puro alla temperatura epressione totale date, possiamo espandere il potenziale chimico di i nellafase gassosa:

µ∗i(P,T ) (L) = µi + RT lnP ∗iP

(componente i puro)

• Come gia’ notato a suo tempo, P ∗i non coincide necessariamente con lapressione totale P : se la fase gassosa in equilibrio con i puro contiene altrigas, P ∗i e’ la pressione parziale di i gassoso nella miscela.

• Ora consideriamo il componente i in una soluzione con altri componenti esempre in equilibrio con la fase gassosa alla stessa temperatura T e pres-sione totale P . Il suo potenziale chimico nella fase liquida sara’ ora µi(P,T )

(senza l’asterisco) e la sua pressione nella fase gassosa sara’ Pi (di nuovosenza l’asterisco). La condizione di equilibrio rimane pero’ immutata:

µi(P,T ) (L) = µi (G)

ovvero, espandendo il potenziale chimico di i nella fase gassosa comeprima:

µi(P,T ) (L) = µi + RT lnPi

P(componente i in miscela)

Sottraendo membro a membro da questa uguaglianza quella scritta primaper i puro, si ottiene:

µi(P,T ) (L)− µ∗i(P,T ) (L) = µi + RT lnPi

P− µi −RT ln

P ∗iP

µi(P,T ) (L) = µ∗i(P,T ) (L) + RT lnPi

P ∗i

(se il gas non si comporta in modo ideale, alle pressioni vanno sostituitele corrispondenti fugacita’)

• Osserviamo di nuovo che la pressione totale P che si esercita sulla faseliquida e che compare nell’espressione ottenuta non ha, in generale, re-lazione con le pressioni Pi e P ∗i : queste ultime sono le pressioni parzialidel componente i nella fase gassosa in equilibrio con la fase liquida (P ∗iquando la fase liquida e’ costituita da i puro, Pi quando la fase liquida e’costituita da una soluzione di cui i e’ uno dei componenti).

(Questa osservazione ci tornera’ utile per il trattamento della pressioneosmotica)

130

• In effetti si puo’ dimostrare che se su una fase condensata di cui fa parteil componente i viene esercitata una pressione totale maggiore della pres-sione di equilibrio di i gassoso (ad esempio a causa della presenza di altrigas), allora anche la pressione di equilibrio di i gassoso aumenta (anchese l’aumento e’ piuttosto piccolo). Tutto funziona come se l’aumentatapressione “strizzasse” la fase condensata aumentando la tendenza dellemolecole in essa presenti a sfuggire nella fase gassosa.

• L’espressione ottenuta non e’ ancora soddisfacente perche’ il potenzialechimico del componente i nella fase liquida e’ espresso attraverso le suepressioni in fase vapore: vorremmo che µi (L) fosse espresso in funzione disole grandezze che si riferiscono alla fase liquida.

• A questo scopo bisogna correlare la pressione del componente i in fasegassosa con la sua concentrazione in soluzione. Fare cio’ in modo esattoe’ estremamente complicato e dipende dalla natura di ciascuna sostanza.Vedremo in seguito come si possa affrontare questo problema per i casireali.

• Fortunatamente, esistono due leggi sperimentali riguardanti le soluzioni enote come legge di Raoult e legge di Henry.

Entrambe queste leggi sono delle cosiddette leggi limite, cioe’ la lorovalidita’ e’ tanto maggiore quanto piu’ le soluzioni sono diluite.

• La legge di Raoult riguarda il solvente, cioe’ il componente di una miscelapresente in concentrazione molto maggiore di quella di tutti gli altri.

Per il solvente A di una soluzione diluita, la legge di Raoult e’:

PA = P ∗AxA

cioe’: la pressione parziale PA del solvente nella fase gassosa in equili-brio con la soluzione e’ proporzionale alla sua frazione molare xA nellafase liquida, e la costante di proporzionalita’ e’ la pressione di vapore delsolvente puro P ∗A (alla stessa temperatura).

• La legge di Henry riguarda il soluto, cioe’ un componente di una miscelapresente in piccola concentrazione.

Per il soluto B di una soluzione diluita, la legge di Henry e’ simile a quelladi Raoult:

PB = KBxB

La differenza fra la legge di Roault e quella di Henry e’ solo nella costan-te di proporzionalita’. Tale costante, nella legge di Henry, ha un valoreempirico, che dipende dalla natura del soluto considerato e del solvente incui si trova disciolto.

131

• E’ abbastanza semplice interpretare le due leggi a livello molecolare.

La legge di Raoult si spiega con l’effetto dell’introduzione di un solutosulla velocita’ di evaporazione del solvente.

L’equilibrio del solvente fra la fase vapore e quella liquida si ha quando lavelocita’ con cui evapora il solvente uguaglia quella con cui esso condensa.

La velocita’ di condensazione deve essere proporzionale alla pressioneparziale del solvente nella fase vapore:

velocita’ di condensazione = kPA

La velocita’ di evaporazione e’ proporzionale alla concentrazione di mole-cole di solvente alla superficie, che a sua volta e’ proporzionale alla frazionemolare del solvente:

velocita’ di evaporazione = k′xA

All’equilibrio dovra’ quindi essere:

kPA = k′xA

PA =k′

kxA

Se il solvente e’ puro, allora xA = 1 e PA = P ∗A, per cui, sostituendo sopra,si ottiene:

P ∗A =k′

k

ovvero:

PA = P ∗AxA

• La legge di Henry ha una giustificazione analoga, ma in questo caso bisognaconsiderare il fatto che il soluto e’ molto diluito e quindi le poche molecoledi soluto “vedono intorno a se’ ” praticamente solo molecole di solvente.Questo fa si’ che la loro velocita’ di evaporazione non solo e’ modificata pereffetto della concentrazione (come era il caso per il solvente), ma anche peril fatto che esse interagiscono esclusivamente con molecole di solvente, e leinterazioni soluto–solvente sono in generale diverse da quelle soluto–soluto.

132

• Si potrebbe essere tentati di fare un parallelismo fra le leggi di Raoult edHenry e la legge del gas ideale. Anche questa e’ una legge limite che valetanto piu’ esattamente quanto minore e’ la pressione.

Tuttavia, mentre la legge del gas ideale e’ seguita da tutti i gas sufficien-temente diluiti, le soluzioni reali mostrano comportamenti molto diversirispetto alle due leggi, e in particolare rispetto alla legge di Raoult.

⇒ In molti casi il solvente segue la legge di Raoult tanto meglio quantopiu’ la soluzione e’ diluita, come abbiamo detto

⇒ Esistono pero’ dei casi in cui la legge di Raoult non viene seguitadal solvente nemmeno a diluizione molto spinta

⇒ Esistono anche dei casi opposti, in cui la legge di Raoult e’ seguitacon ottima approssimazione sia dal solvente che dal soluto in tuttoil range di composizione. Cio’ avviene con maggior frequenza quan-do soluto e solvente sono molecole molto simili (ad esempio, un casodi questo genere e’ offerto dalle soluzioni di benzene e toluene).

• La legge di Raoult, per la sua semplicita’, e’ estremamente attraente. Perquesto motivo, si definisce soluzione ideale una soluzione in cui tutti icomponenti (non solo il solvente) seguono la legge di Raoult a tutte lecomposizioni (non solo a grande diluizione).

• Nel seguito, svilupperemo il trattamento termodinamico quantitativo delleprincipali proprieta’ delle soluzioni ideali e vedremo anche come si possanotrattare le deviazioni da tale semplice modello.

• Il potenziale chimico del componente i di una soluzione ideale assume unaforma particolarmente semplice.

Abbiamo gia’ visto che vale:

µi(P,T ) (L) = µ∗i(P,T ) (L) + RT lnPi

P ∗i

Se combiniamo questa relazione con la legge di Raoult:

Pi = P ∗i xi

Otteniamo:

µi(P,T ) (L) = µ∗i(P,T ) (L) + RT lnxi

che esprime il potenziale chimico del componente i in funzione della suafrazione molare nella fase liquida, come auspicavamo.

133

• Da qui in poi, per semplicita’, ci limiteremo a considerare una soluzioneideale costituita da due soli componenti, A e B.

• Il mescolamento di due liquidi.

In modo identico a quanto gia’ visto per il mescolamento di due gas ideali,possiamo verificare la spontaneita’ del mescolamento di due liquidi cheformano una soluzione ideale.

Consideriamo il mescolamento a temperatura e pressione costanti di nA

moli di A con nB moli di B con formazione di una soluzione ideale.

L’energia di Gibbs prima del mescolamento e’ semplicemente:

Gi = nA µ∗A + nB µ∗B

cioe’ i due liquidi sono puri e separati.

Dopo il mescolamento sara’:

Gf = nA µA + nB µB

= nA (µ∗A + RT lnxA) + nB (µ∗B + RT lnxB)

La variazione di energia di Gibbs risulta pertanto:

∆G = Gf −Gi = nA (µ∗A + RT lnxA) + nB (µ∗B + RT lnxB)− (nA µ∗A + nB µ∗B)

= ���nAµ∗A + nART lnxA +XXXnBµ∗B + nBRT lnxB −

���nA µ∗A −XXXXnB µ∗B

= nART lnxA + nBRT lnxB

= nxART lnxA + nxBRT lnxB (pongo n = nA + nB)

= nRT (xA lnxA + nxB lnxB)

che e’ identica a quella vista per il mescolamento di due gas ideali e quindisempre negativa.

• Notate pero’ la differenza: fra le molecole dei gas ideali non ci sono inte-razioni; fra le molecole dei liquidi, invece, le interazioni ci sono. Il motivoper cui otteniamo un’espressione identica a quella dei gas ideali e’ che, inuna soluzione ideale, le interazioni A − B fra le molecole dei due compo-nenti sono identiche a quelle A−A e B−B fra le molecole dei componentiseparati.

In tal modo, non c’e’ scambio di calore all’atto del mescolamento e la spon-taneita’ del processo proviene unicamente dall’effetto entropico di aumentodel disordine, per descrivere il quale servono solo le concentrazioni dei duecomponenti.

134

• Nel caso delle soluzioni reali, le interazioni A − A e B − B possono es-sere anche molto diverse da quelle A − B e cio’ puo’ portare a qualsiasiconseguenza: cioe’, il mescolamento puo’ comportare un assorbimento ouno sviluppo di calore, e questo puo’ cambiare la variazione totale di en-tropia rendendo il processo piu’ favorito o meno favorito, fino a renderloaddirittura sfavorito (molti liquidi sono infatti solo parzialmente miscibilio completamente immiscibili).

Le proprieta’ colligative

• Le proprieta’ colligative sono proprieta’ delle soluzioni che non dipendo-no dalla natura del soluto, ma solo dalla concentrazione totale di particelle(molecole e/o ioni) presenti nella soluzione.

• L’aggettivo “colligative” esprime proprio questa caratteristica: esso vie-ne dal latino “colligare” che significa “mettere assieme” “ammassare”; sitratta cioe’ di proprieta’ che dipendono dal totale, dall’insieme, indipen-dentemente dall’identita’ specifica delle particelle.

• Le proprieta’ colligative sono:

abbassamento crioscopico cioe’: una soluzione congela a tempera-tura piu’ bassa del solvente puro

innalzamento ebullioscopico cioe’: una soluzione bolle a temperaturapiu’ alta del solvente puro

pressione osmotica cioe’: una soluzione richiede l’applicazio-ne di una pressione aggiuntiva per po-ter coesistere all’equilibrio con il solventepuro

• Il trattamento termodinamico che faremo delle proprieta’ colligative verra’semplificato dalle seguenti ipotesi:

⇒ supporremo che la soluzione contenga un unico soluto non volatile.In tal modo potremo assumere che la fase gassosa in equilibrio conla soluzione contenga solo solvente

⇒ supporremo che il soluto sia insolubile nel solvente solido; cio’ si-gnifica che soluto e solvente non danno soluzioni solide. Questaipotesi ci consentira’ di assumere che la fase solida in equilibriocon la soluzione contenga solo solvente

⇒ supporremo che la soluzione sia diluita e abbia comportamentoideale

• Tutte le proprieta’ colligative hanno un’unica spiegazione: l’abbassa-mento del potenziale chimico del solvente dovuto alla presenzadi un soluto.

Per il solvente puro il potenziale chimico e’ dato da:

µA = µ∗A

135

mentre in presenza di un soluto si ha:

µA = µ∗A + RT lnxA

Siccome xA < 1, il potenziale chimico del solvente in una soluzione e’sempre minore del suo potenziale chimico quando e’ puro.

• Da un punto di vista qualitativo/intuitivo, l’abbassamento crioscopico el’innalzamento ebullioscopico si spiegano con questa figura:

∆ebT∆fusTµG

µL

µ∗L

µS

T

µ

∆ebT∆fusTµG

µL

µ∗L

µS

T

µ

∆ebT∆fusTµG

µL

µ∗L

µS

T

µ

∆ebT∆fusTµG

µL

µ∗L

µS

T

µ

Cioe’: in presenza del soluto il potenziale chimico del solvente nella faseliquida, µL, si abbassa rispetto a quello del solvente puro, µ∗L, mentre ilpotenziale chimico del solvente nella fase gassosa, µG, e nella fase solida,µS , resta immutato (grazie alle ipotesi fatte).

Ne segue che l’intersezione fra µS e µL, cioe’ il punto di fusione, subisceuno shift a temperature inferiori; mentre l’intersezione fra µL e µG, cioe’il punto di ebollizione, subisce uno shift a temperature maggiori.

• Il trattamento quantitativo delle proprieta’ colligative si basa sempre sulvincolo che, all’equilibrio, il potenziale chimico del solvente nelle due fasiimplicate deve essere lo stesso.

• L’abbassamento crioscopico.

Se, come abbiamo supposto, la fase solida contiene solo il solvente, allora,all’equilibrio, dovra’ essere:

µ∗A (S) = µA (L)

µ∗A (S) = µ∗A (L) + RT lnxA

RT lnxA = − (µ∗A (L)− µ∗A (S))

136

lnxA = −µ∗A (L)− µ∗A (S)

RT

ln (1− xB) = −∆fusG

RT(sfrutto: xA = 1− xB)

ln (1− xB) = −∆fusH − T∆fusS

RT

ln (1− xB) = −∆fusH

RT+

∆fusS

R

Per il solvente puro si ha:

xB = 0

e T = T ∗ (temperatura di fusione del solvente puro)

quindi, assumendo che ∆fusH e ∆fusS non cambino apprezzabilmentenel (piccolo) intervallo di temperatura considerato:

ln (1− 0) = 0 = −∆fusH

RT ∗+

∆fusS

R

Facendo la sottrazione membro a membro:

ln (1− xB) = −∆fusH

RT+

∆fusS

R

0 = −∆fusH

RT ∗+

∆fusS

R

ln (1− xB) =∆fusH

R

(1

T ∗−

1

T

)

Essendo la soluzione diluita, T ≈ T ∗ e quindi:

ln (1− xB) =∆fusH

R

T − T ∗

T ∗T

ln (1− xB) ≈∆fusH

R

T − T ∗

(T ∗)2

Sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita, xB → 0 e quindi possiamosviluppare il primo membro in serie di Taylor e troncare al termine lineare:

f (x) = f (x◦) +1

1!f ′ (x◦) (x− x◦) +

1

2!f ′′ (x◦) (x− x◦)

2+ . . .

137

ln (1− xB) = ln (1− 0) +1

1!

(1

1− 0(−1)

)

(xB − 0) + . . .

≈ −xB

In definitiva:

−xB ≈∆fusH

R

T − T ∗

(T ∗)2

xB ≈∆fusH

R

T ∗ − T

(T ∗)2

∆fusT = T ∗ − T =R (T ∗)

2

∆fusHxB

Infine, sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita, la frazione molare e’proporzionale alla molalita’ (Gkg

A e’ la massa di solvente in kg, MA la suamassa molare in g/mol):

xB =nB

nA + nB

≈nB

nA

=nB

Gkg

A103

MA

=MA

103

nB

GkgA

=MA

103mB

Il risultato finale e’:

∆fusT =R (T ∗)

2

∆fusH

MA

103mB

∆fusT = Kc mB

che e’ il (ben noto?) risultato per l’abbassamento crioscopico presentatonei corsi di chimica generale, con la costante crioscopica data da:

138

Kc =R (T ∗)

2

∆fusH

MA

103

• L’innalzamento ebullioscopico.

La derivazione e’ identica a quella vista per l’abbassamento crioscopico.

L’unica differenza e’ che in questo caso si usa il potenziale chimico delsolvente gassoso e il ∆ebT comporta un cambio di segno nella differenzadi temperatura:

µ∗A (G) = µA (L)

µ∗A (G) = µ∗A (L) + RT lnxA

RT lnxA = µ∗A (G)− µ∗A (L)

lnxA =µ∗A (G)− µ∗A (L)

RT

ln (1− xB) =∆ebG

RT(sfrutto: xA = 1− xB)

ln (1− xB) =∆ebH − T∆ebS

RT

ln (1− xB) =∆ebH

RT−

∆ebS

R

e quindi, esattamente con gli stessi passaggi visti per l’abbassamentocrioscopico, si arriva a:

T − T ∗ = ∆ebT =R (T ∗)

2

∆ebH

MA

103mB

∆ebT = Kb mB

dove:

Kb =R (T ∗)

2

∆ebH

MA

103

• L’osmosi.

L’osmosi e’ una proprieta’ delle soluzioni per cui, se una soluzione e’ messaa contatto con il solvente puro attraverso una membrana semipermeabile(cioe’ attraverso la quale puo’ passare solo il solvente e non il soluto), si haun flusso di solvente nella soluzione, il cui livello si alza rispetto a quellodel solvente puro.

Il processo continua fino a che la pressione idrostatica (detta appuntopressione osmotica) generata dalla colonna liquida di soluzione che siinnalza rispetto alla superficie del solvente puro non ne provoca l’arresto:

139

pressione osmoticasolvente puro

soluzione

membrana semipermeabile

• Per il trattamento quantitativo della pressione osmotica, conviene basarsisu un setup sperimentale come quello mostrato in questa figura:

P

P + Π

solventesoluzione

membrana semipermeabile

Nel setup corrispondente alla figura precedente, la concentrazione dellasoluzione cambia durante l’esperimento e questo complica le cose.

In questo setup, invece, la pressione osmotica e’ l’eccesso di pressione chesi deve applicare sulla soluzione per mantenerla in equilibrio con il solventepuro senza che ci sia diluizione.

• Come negli altri casi, imponiamo la condizione di uguaglianza del poten-ziale chimico del solvente nei due comparti.

Nel comparto di sinistra, soggetto alla pressione P , il potenziale chimicodel solvente e’ semplicemente:

µA,sin = µ∗A (P )

140

(per alleggerire la notazione, omettiamo di indicare la dipendenza del po-tenziale chimico dalla temperatura, che assumiamo costante; cioe’ scrivia-mo µ∗A (P ) invece della notazione completa µ∗A (P, T ))

Nel comparto di destra, soggetto alla pressione P +Π, il potenziale chimicodel solvente risente di due effetti:

⇒ la presenza del soluto⇒ la pressione maggiore

Cioe’:

µA,dx = µA (xA, P + Π)

= µ∗A (P + Π) + RT lnxA

(Notate che l’effetto della maggiore pressione e’ contenuto tutto nel termi-ne µ∗A (P + Π), come abbiamo visto in generale quando abbiamo ricavatoil potenziale chimico del componente i di una miscela liquida:

µi

(

P ,T

) (L) = µ∗i

(

P ,T

) (L) + RT lnPi

P ∗i

)

La condizione e’ quindi:

µA,sin = µA,dx

µ∗A (P ) = µ∗A (P + Π) + RT lnxA

RT lnxA = µ∗A (P )− µ∗A (P + Π)

Abbiamo visto in generale la dipendenza dell’energia di Gibbs molare(cioe’ del potenziale chimico) dalla pressione:

(∂µ∗A∂P

)

T

= Vm

dµ∗A = VmdP

Possiamo integrare da P a P + Π assumendo che il volume molare delsolvente puro non cambi apprezzabilmente nell’intervallo di pressione con-siderato:

141

∫ µ∗A(P+Π)

µ∗A

(P )

dµ∗A =

∫ P+Π

P

VmdP

µ∗A (P + Π) = µ∗A (P ) + Vm (P + Π− P )

−VmΠ = µ∗A (P )− µ∗A (P + Π)

Sostituendo sopra:

RT lnxA = −VmΠ

Come nei casi precedenti, siccome la soluzione e’ diluita, si puo’ assumere:

lnxA = ln (1− xB) ≈ −xB

e quindi:

−VmΠ = −RTxB

Π = RT1

VmxB

Sempre per il fatto che la soluzione e’ diluita:

xB =nB

nA + nB

xB ≈nB

nA

e quindi:

Π = RT1

Vm

nB

nA

Π = RT1

VmnAnB

Ma VmnA = V , il volume totale della soluzione; cosi’:

142

Π = RT1

VmnAnB

Π = RTnB

VΠ = CRT

dove C e’ la concentrazione molare del soluto.

Il potenziale chimico del soluto

• Tutto cio’ che abbiamo visto finora e’ stato ricavato sotto l’ipotesi che lasoluzione si comporti in modo ideale, cioe’ che tutti i componenti seguanola legge di Raoult a tutte le composizioni.

• Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il soluto di una soluzione tende aseguire la legge di Henry (non quella di Raoult) e cio’ e’ tanto piu’ veroquanto piu’ la soluzione e’ diluita.

• L’espressione del potenziale chimico che abbiamo introdotto:

µi (L) = µ∗i (L) + RT lnxi

e’ basata sulla legge di Raoult e quindi sembrerebbe quanto meno inoppor-tuno pretendere di utilizzarla anche per un componente che segue invecela legge di Henry.

• E’ invece semplice vedere che una forma analitica identica del potenzia-le chimico si puo’ ricavare anche assumendo che il componente i di unasoluzione segua la legge di Henry.

Il punto di partenza e’ sempre lo stesso:

µi (L) = µi + RT ln Pi

P (componente i in miscela)

µ∗i (L) = µi + RT ln P∗

P (componente i puro)

µi (L)− µ∗i (L) = RT ln Pi

P∗i

µi (L) = µ∗i (L) + RT lnPi

P ∗i

• Se il componente i segue la legge di Raoult, allora, come gia’ visto, all’ar-gomento del logaritmo si puo’ sostituire la frazione molare xi.

143

• Se il componente i segue invece la legge di Henry, allora si puo’ scrivere:

µi (L) = µ∗i (L) + RT lnKixi

P ∗i

µi (L) = µ∗i (L) + RT lnKi

P ∗i+ RT lnxi

Il termine: µ∗i (L)+RT ln Ki

P∗i

dipende dalla natura del soluto e del solvente

(tramite Ki), ma non dalla composizione.

Allora si puo’ definire un potenziale chimico standard per un soluto chesegue la legge di Henry nel modo seguente:

µi (L) = µ∗i (L) + RT lnKi

P ∗i

Col che, l’espressione del potenziale chimico diventa formalmente identicaa quella ottenuta per un componente che segue la legge di Raoult:

µi (L) = µi (L) + RT lnxi

• Notate, tuttavia, che le due espressioni (quella basata sulla legge di Raoulte quella ricavata dall’applicazione della legge di Henry), pur essendo for-malmente identiche, differiscono nello stato di riferimento:

µ∗i (L) basato sulla legge di Raoult

µi (L) = µ∗i (L) + RT lnKi

P ∗ibasato sulla legge di Henry

L’attivita’

• In modo perfettamente analogo a quanto visto per le deviazioni dal com-portamento ideale dei gas reali, anche per le soluzioni reali si mantiene inal-terata la forma analitica della funzione che fornisce il potenziale chimicoe si rende conto delle deviazioni introducendo una funzione empirica dellafrazione molare, detta attivita’ (simbolo a), che, inserita nell’espressionesemplice del potenziale chimico, fornisca il valore corretto.

• Nel caso delle soluzioni, l’unica complicazione sta’ nel fatto che i compor-tamenti limite del solvente e del soluto sono differenti:

144

⇒ il solvente tende a comportarsi secondo la legge di Roult a diluizioneinfinita

⇒ il soluto, nelle stesse condizioni (di diluizione infinita) tende nor-malmente a comportarsi secondo la legge di Henry

• Conseguentemente, l’attivita’ viene definita in modo diverso per solventee soluto.

• L’attivita’ del solvente.

L’attivita’ del solvente e’ definita nel modo seguente:

µA = µ∗A + RT ln aA

limxA→1

aA = xA

cioe’: l’attivita’ del solvente tende a coincidere con la sua frazione molarequando la soluzione tende a contenere il solo solvente.

• Normalmente, analogamente a quanto visto per la fugacita’, l’attivita’viene definita tramite un coefficiente di attivita’ γ:

aA = γAxA

limxA→1

γA = 1

Quindi, il potenziale chimico del solvente puo’ essere scritto nel modoseguente:

µA = µ∗A + RT ln aA

= µ∗A + RT lnxAγA

= µ∗A + RT lnxA + RT ln γA

• L’attivita’ di un soluto che segue la legge di Henry.

Anche in questo caso, per mantenere la forma analitica semplice trovata,si definisce l’attivita’ per il soluto nel modo seguente:

µB = µB + RT ln aB

limxB→0

aB = xB

Notate che, in questo caso, attivita’ e frazione molare tendono a coinciderequando la concentrazione del soluto tende a zero (diversamente da quantodefinito per il solvente).

145

• Infine, anche per il soluto si usa piuttosto il coefficiente di attivita’ definitoda:

aB = γBxB

limxB→0

γB = 1

col che:

µB = µB + RT ln aB

= µB + RT ln γBxB

= µB + RT lnxB + RT ln γB

146

Atkins, capitolo 8

La regola delle fasi

• La regola delle fasi consente di discutere in modo estremamente semplicegli equilibri di fase in un sistema a piu’ componenti.

• Questa regola, dedotta da W. Gibbs, fornisce la cosiddetta varianza diun sistema.

La varianza e’ il numero di variabili intensive che possono esserecambiate in modo indipendente senza che muti il numero dellefasi presenti all’equilibrio

• Abbiamo gia’ definito il concetto di fase, come una porzione di materiain cui tutte le proprieta’ chimiche e fisiche sono indipendenti dal punto incui vengono misurate.

• Illustriamo il concetto di varianza per un sistema a un solo componente.

Abbiamo visto che per tale sistema il diagramma di stato e’, nel casopiu’ semplice, diviso in tre regioni corrispondenti alle fasi solida, liquida egassosa:

PB

TB

B•

PA

TA

A•

T

P

punto triplo•P3

T3

SOLIDO

LIQUIDO

GAS

PB

TB

B•

PA

TA

A•

T

P

punto triplo•P3

T3

SOLIDO

LIQUIDO

GAS

PB

TB

B•

PA

TA

A•

T

P

punto triplo•P3

T3

SOLIDO

LIQUIDO

GAS

• Per un sistema a un solo componente, le variabili intensive che determi-nano lo stato del sistema sono solo 2: la pressione e la temperatura (inquesto caso, la composizione e’ fissata).

Dal diagramma di stato appare evidente che, se e’ presente un’unica fase,allora temperatura e pressione possono essere variate indipendentementel’una dall’altra (entro la regione di stabilita’ della fase) senza che la fasestessa scompaia. Quindi, in questa situazione, la varianza del sistema e’2.

147

• Sempre guardando il diagramma di stato, si vede che, se sono presenti2 fasi in equilibrio, allora non e’ piu’ vero che pressione e temperaturapossono variare in modo indipendente. I punti di equilibrio fra due fasidi questo sistema stanno lungo i limiti di fase, cioe’ su delle curve nelpiano PT . Se il sistema si trova in uno stato di equilibrio liquido/gas,ad esempio il punto A della figura, allora, se si cambia la temperatura daTA a TB, le due fasi possono restare all’equilibrio se e solo se la pressionecambia da PA a PB in modo che il sistema si sposti in un altro punto dellacurva di equilibrio liquido/gas (il punto B del diagramma di stato).

In altre parole, se sono presenti 2 fasi, solo una delle due variabili, tempera-tura e pressione, puo’ variare in modo indipendente; la variazione dell’altradeve essere correlata se si vuole che le due fasi continuino a coesistere incondizioni di equilibrio.

La varianza del sistema in queste condizioni e’ 1.

• Infine, se sono presenti 3 fasi in equilibrio (cioe’ il sistema si trova al puntotriplo), ne’ la pressione ne’ la temperatura possono essere variate senza chealmeno una delle fasi in equilibrio scompaia.

La varianza in questo caso e’ 0.

• La derivazione della regola delle fasi.

Consideriamo il caso generale di un sistema in cui siano presenti C com-ponenti distribuiti fra F fasi in equilibrio.

Siccome ci sono piu’ componenti, ora lo stato di equilibrio dipende nonsolo dalla temperatura e dalla pressione (costanti e uguali in tutte le fasidel sistema), ma anche dalla composizione di ogni singola fase.

La composizione di ciascuna fase e’ completamente definita quando si spe-cifichino le frazioni molari di tutti i suoi componenti meno 1: infatti, lafrazione molare del C−esimo componente in una data fase e’ ottenibile daquella di tutti gli altri:

xC = 1− (x1 + x2 + . . . + xC−1)

Quindi, il numero totale di variabili intensive che determinano lo stato diequilibrio del sistema e’:

numero totale di variabili intensive = F (C − 1) + 2

Il termine F (C − 1) tiene conto delle C − 1 frazioni molari da specificareper tutte le F fasi presenti all’equilibrio mentre il 2 tiene conto dellatemperatura e della pressione.

Non tutte le variabili intensive contate sopra sono pero’ indipendenti. In-fatti abbiamo visto che la condizione di equilibrio implica che il potenzialechimico di ciascun componente sia uguale in tutte le fasi.

Se indichiamo con µi,j il potenziale chimico del componente i nella fase j,allora deve essere:

148

µi,1 = µi,2 = µi,3 = · · · = µi,F

Queste sono F − 1 equazioni indipendenti che legano il potenziale chimicodel componente i nelle varie fasi presenti:

µi,1 = µi,2

µi,2 = µi,3

· · · = · · ·

µi,F−1 = µi,F

Notate che il potenziale chimico e’ funzione di temperatura, pressionee frazione molare: quindi le relazioni su scritte costituiscono altrettantivincoli indipendenti fra le variabili intensive del sistema.

Potendo scrivere F − 1 vincoli per ciascun componente, il numero totaledelle relazioni fra le variabili intensive e’:

numero totale di vincoli = C (F − 1)

La varianza V del sistema, cioe’ il numero di variabili intensive indipen-denti, e’ semplicemente la differenza fra il numero totale delle variabiliintensive e il numero totale di vincoli che le legano. Si ottiene pertanto laregola delle fasi:

V = F (C − 1) + 2− C (F − 1)

V = C − F + 2

• E’ facile verificare la validita’ della regola delle fasi per il sistema a un solocomponente discusso piu’ sopra.

Per tale sistema si ha C = 1 e quindi:

⇒ se e’ presente una sola fase, F = 1 e:

V = 1− 1 + 2 = 2

Si dice che il sistema e’ bivariante o che il sistema ha due gradidi liberta’ (posso variare indipendentemente pressione e tempe-ratura).

⇒ se sono presenti 2 fasi in equilibrio, F = 2 e:

V = 1− 2 + 2 = 1

Il sistema e’ monovariante ovvero ha un solo grado di liberta’ (possovariare in modo indipendente solo una fra pressione e temperatu-ra).

149

⇒ se sono presenti 3 fasi in equilibrio, F = 3 e:

V = 1− 3 + 2 = 0

Il sistema e’ invariante ovvero non ha gradi di liberta’: se lapressione e/o la temperatura cambiano, almeno una delle tre fasiin equilibrio scompare.

• La regola delle fasi consente anche di prevedere che in un sistema a un solocomponente non possono esistere stati di equilibrio in cui siano presentipiu’ di 3 fasi, perche’ la varianza non puo’ essere negativa.

• La regola delle fasi in presenza di reazioni chimiche.

Se in un sistema a piu’ componenti alcuni di essi sono collegati da reazionichimiche, il numero dei vincoli cresce. Infatti, ogni reazione chimica (indi-pendente) costituisce un vincolo addizionale fra le concentrazioni (pensateche per ogni reazione si puo’ scrivere la corrispondente legge dell’azione dimassa, che lega fra loro le concentrazioni di equilibrio dei partecipanti allareazione). Quindi, detto R il numero delle reazioni chimiche indipendenti,il numero totale dei vincoli per questo caso diventa:

numero totale di vincoli = C (F − 1) + R

e la regola delle fasi viene espressa corrispondentemente da:

V = C − R− F + 2

• Abbiamo parlato di reazioni chimiche “indipendenti” perche’ non tutte lereazioni chimiche che avvengono in un sistema sono indipendenti.

A titolo di esempio, consideriamo la ionizzazione in acqua di un acidodebole AH . In questo caso, ci sono sicuramente almeno 3 reazioni che sipossono considerare:

AH = A− + H+ (ionizzazione acida di AH)A− + H2O = AH + OH− (ionizzazione basica di A−)

H2O = H+ + OH− (autoprotolisi dell’acqua)

Tuttavia, solo 2 di queste 3 reazioni sono indipendenti, nel senso che laterza e’ sempre esprimibile come una combinazione di esse.

Ad esempio, la ionizzazione basica della base A− si ottiene sommandol’inversa della ionizzazione acida di AH e l’autoprotolisi dell’acqua:

A− + H+ = AH

H2O = H+ + OH−

A− + H2O = AH + OH−

150

Atkins, capitolo 9

Il trattamento termodinamico dell’equilibrio chimico

• A temperatura e pressione costanti, la direzione spontanea di un processotermodinamico e’ quella in cui l’energia di Gibbs diminuisce.

• Se il processo consiste in una reazione chimica, l’energia di Gibbs cambiaperche’ cambia la composizione: la composizione di equilibrio finale sara’quella che minimizza l’energia di Gibbs.

• Un caso semplicissimo.

Iniziamo considerando il caso piu’ semplice possibile di reazione chimica:

A = B

Notate che molte reazioni “reali” sono di questo tipo: ad esempio rien-trano in questa categoria moltissime reazioni di isomerizzazione utilizzatenell’industria.

Per semplificare al massimo supponiamo che A e B siano due gas ideali(questo ci tornera’ utile fra un momento nello scrivere i loro potenzialichimici).

• Il grado di avanzamento della reazione.

Chiamiamo evento reattivo un singolo evento in cui avviene cio’ che e’rappresentato dall’equazione chimica su scritta: cioe’ la conversione di 1molecola di A in 1 molecola di B.

Ora, se avviene un numero di moli ∆ξ di eventi reattivi, il numero di molidi A cambia di ∆nA = −∆ξ e quello di B cambia di ∆nB = +∆ξ.

In modo identico, se avviene un numero di moli infinitesimo dξ di eventireattivi, il numero di moli di A cambia di dnA = −dξ e quello di B cambiadi dnB = +dξ.

Chiamiamo ξ il grado di avanzamento della reazione. Lo definiremoin modo piu’ formale per il caso generale. Per il momento e’ sufficientedire che ξ e’ una variabile che rappresenta il decorso della reazione: vale0 all’inizio e aumenta proporzionalmente al procedere della reazione.

Il significato di ξ e’ il seguente: ξ conta (in moli) il numero di eventireattivi che e’ avvenuto dall’inizio della reazione.

• In generale, la variazione infinitesima di energia di Gibbs dell’intero siste-ma a T e P costanti quando il numero di moli di A cambia di dnA e quellodi B cambia di dnB e’ data da:

dG = µAdnA + µBdnB

151

ovvero, utilizzando il grado di avanzamento della reazione introdotto so-pra:

dG = µAdnA + µBdnB

= −µAdξ + µBdξ

= (µB − µA) dξ

da cui si ricava:

dG

dξ= µB − µA

• Si vede quindi che la derivata dell’energia di Gibbs del sistema reagenterispetto al grado di avanzamento della reazione e’ data dalla differenzafra il potenziale chimico (cioe’ l’energia di Gibbs molare) del prodotto equello del reagente. Questa non e’ altro che la variazione di energia diGibbs molare, che abbiamo introdotto a suo tempo (per le sole condizionistandard) e che abbiamo chiamato energia di Gibbs di reazione, ∆RG:

∆RG ≡dG

dξ= µB − µA

Notate che sia µB che µA cambiano man mano che la reazione procede,perche’ dipendono dalla composizione (oltre che da T e P ).

• Siccome il verso spontaneo di un processo a T e P costanti e’ quello in cuiG diminuisce, il segno di ∆RG ci dice se la reazione e’ spontanea o meno:

∆RG < 0 vuol dire che l’energia di Gibbs del sistema diminuisce manmano che la reazione procede (dG/dξ < 0) e quindi lareazione e’ spontanea

∆RG > 0 vuol dire che l’energia di Gibbs del sistema aumenta manmano che la reazione procede (dG/dξ > 0) e quindi la rea-zione non e’ spontanea (e’ spontanea la reazione inversa:B = A)

∆RG = 0 nessuno dei due versi possibili della reazione e’ spontaneo:l’energia di Gibbs e’ a un minimo (dG/dξ = 0) e la reazionesi trova all’equilibrio

• Per procedere oltre sfruttiamo l’ipotesi fatta che A e B siano gas ideali.Allora:

µA = µA + RT lnPA

P

µB = µB + RT lnPB

P

152

Quindi:

∆RG = µB − µA

= µB + RT lnPB

P− µA −RT ln

PA

P

= µB − µA + RT lnPB

PA

∆RG = ∆RG + RT lnPB

PA

RT lnPB

PA= ∆RG−∆RG

lnPB

PA=

∆RG−∆RG

RT

PB

PA= exp

(∆RG−∆RG

RT

)

Il termine al secondo membro si chiama quoziente di reazione e si indicacon Q:

PB

PA= Q

Notate che Q, e quindi il rapporto fra le pressioni parziali di B e A, variaman mano che la reazione procede perche’ ∆RG = µB − µA cambia manmano che A si converte in B.

• La quantita’ ∆RG e’ l’energia di Gibbs di reazione standard e puo’ esserecalcolata dalle energie di Gibbs di formazione tabulate (come abbiamovisto in generale):

∆RG = µB − µA= ∆F GB −∆F GA

E’ importante notare che ∆RG non dipende dalla pressione (perche’ e’definito alla pressione standard di 1 bar) ne’ dalla composizione (perche’ e’funzione delle energie di Gibbs molari dei componenti puri); dipende invecedalla temperatura, perche’ µA e µB sono definiti a una certa temperatura,come abbiamo visto in generale quando abbiamo ricavato l’espressione delpotenziale chimico.

• Abbiamo visto che, quando la reazione raggiunge l’equilibrio, si ha:

∆RG = 0

153

e quindi, in tali condizioni::

(PB

PA

)

equilibrio

= exp

(

−∆RG

RT

)

Il secondo membro dell’equazione e’ il valore del quoziente di reazioneall’equilibrio e viene normalmente indicato con K e chiamato costante diequilibrio:

K = exp

(

−∆RG

RT

)

= Qequilibrio

In definitiva, quando la reazione ha raggiunto l’equilibrio, deve valere:

(PB

PA

)

equilibrio

= K

Quella ottenuta in questo caso semplicissimo e’ una delle piu’ importantie famose leggi della chimica e si chiama legge dell’azione di massa.

• Essa stabilisce un vincolo a cui devono sottostare le concentrazioni diequilibrio dei reagenti e dei prodotti di una reazione chimica.

• Notate accuratamente la differenza fra il quoziente di reazione e la costantedi equilibrio:

Q = exp

(∆RG−∆RG

RT

)

K = exp

(

−∆RG

RT

)

Q dipende dalle pressioni e il suo valore cambia man mano che la reazioneprocede perche’ contiene il termine ∆RG.

K non dipende dalle pressioni perche’ contiene solo il termine ∆RG:questo e’ il motivo per cui K viene chiamata costante di equilibrio. No-tate comunque che K dipende dalla temperatura, sia attraverso il termineT esplicito al denominatore, cha attraverso il termine ∆RG, che dipendedalla temperatura.

• Per le pressioni di A e B vale:

154

(PB

PA

)

= Q

(PB

PA

)

equilibrio

= K

cioe’: il rapporto fra le pressioni di A e B cambia continuamente nel corsodella reazione, mantenendosi uguale al quozionte di reazione e raggiunge ilvalore della costante di equilibrio quando la reazione raggiunge l’equilibrio.

Se all’inizio (cioe’ quando ξ = 0) Q > K, allora le pressioni cambiano inmodo che Q diminuisca fino a diventare uguale a K; se invece all’inizioQ < K, le pressioni muteranno in modo da far aumentare Q e portarlo alvalore K:

Q = K

Q < K

Q > K

ξ

Q

Q = K

Q < K

Q > K

ξ

Q

• Il significato e l’utilita’ della costante di equilibrio.

Il valore numerico di una costante di equilibrio e’ di enorme utilita’ praticaperche’ e’ una misura di quanto i prodotti siano favoriti rispetto ai reagentiin condizioni di equilibrio.

Consideriamo la reazione semplicissima vista sopra.

Abbiamo visto che, all’equilibrio, vale:

PB

PA= K

(sottintendiamo l’indicazione che le pressioni parziali sono quelle di equi-librio)

Allora:

155

se K � 1 significa che all’equilibrio la pressione parziale di B sara’molto maggiore di quella di A, cioe’ che quasi tutto A si e’convertito in B.Questa e’ una buona notizia se la reazione deve essere uti-lizzata in un processo industriale per produrre B da A.

se K � 1 significa che all’equilibrio la pressione parziale di B sara’molto minore di quella di A, cioe’ che pochissimo A si e’convertito in B.Questa e’ una cattiva notizia se stessimo pensando di investi-re qualche milione di euro in un impianto industriale basatosu questa reazione!!

Tenete presente che il valore di una costante di equilibrio si puo’ ricavare“a tavolino” utilizzando delle tabelle di dati termodinamici.

• Il caso generale.

Avendo discusso il caso semplicissimo visto prima, siamo pronti per esten-dere il trattamento al caso generale.

• La notazione formale per un’equazione chimica.

Per quanto segue, conviene introdurre una notazione formale per l’equa-zione che rappresenta una reazione.

Invece di usare l’usuale notazione, come in:

2A + 3B = 5C + 7D

conviene scrivere l’equazione nella forma:

0 = 5C + 7D − 2A− 3B

cioe’: scriviamo reagenti e prodotti da una sola parte dell’equazione e peri reagenti usiamo dei coefficienti stechiometrici negativi.

Quindi, in generale, rappresentiamo una reazione cui partecipano N speciechimiche S1, S2, . . . , SN con l’equazione:

ν1S1 + ν2S2 + · · · + νNSN = 0N∑

i=1

νiSi = 0

dove i νi sono i cosiddetti numeri stechiometrici, diversi dai coefficientistechiometrici (unicamente) perche’ per i reagenti sono negativi.

• Il grado di avanzamento della reazione nel caso generale.

156

Abbiamo introdotto il grado di avanzamento della reazione ξ per il casosemplicissimo visto in precedenza come il numero di moli di eventi reattiviavvenuto dall’inizio della reazione.

Vogliamo vedere ora che relazione esiste fra ξ e il numero di moli deipartecipanti alla reazione nel caso generale.

• Come tappa di avvicinamento, consideriamo il seguente caso particolare:

2A + 3B = 5C + 7D

che rappresentiamo cosi’:

5C + 7D − 2A− 3B = 0

Indichiamo con n◦A il numero di moli iniziale di A.

Ora ci chiediamo: quante moli di A sono presenti dopo che sono avvenuteξ moli di eventi reattivi?

Un evento reattivo comporta il consumo di 2 molecole di A; una moledi eventi reattivi comportera’ il consumo di 2 mol di A; le moli di Aconsumate per mole di eventi reattivi e’ 2: quindi, se avvengono ξ moli dieventi reattivi, si consumeranno 2× ξ moli di A.

Possiamo quindi dire che, dopo che sono avvenute ξ moli di eventi reattivi,le moli di A presenti saranno quelle iniziali meno quelle consumate, cioe’:

nA = n◦A − 2ξ

Tenendo presente la definizione dei numeri stechiometrici, questo risultatosi puo’ riscrivere come:

nA = n◦A + νAξ

dove νA = −2 e’ il numero stechiometrico di A.

Un ragionamento identico si puo’ ripetere per tutti gli altri partecipan-ti alla reazione (attenzione: per i prodotti il numero di moli aumentacon ξ, perche’ ogni evento reattivo genera prodotti, invece che consumar-li). Dovrebbe essere facile verificare che si ottengono le seguenti relazioni(ripetiamo quella gia’ ottenuta per A per completezza):

nA = n◦A + νAξ

nB = n◦B + νBξ

nC = n◦C + νCξ

nD = n◦D + νDξ

157

• Alla luce di quanto appena visto, e’ semplice generalizzare.

Per la generica reazione rappresentata da:

N∑

i=1

νiSi = 0

il numero di moli di tutti i partecipanti e’ legato al grado di avanzamentodella reazione da:

ni = n◦i + νiξ

da cui segue un risultato che utilizzeremo fra un momento e che avevamogia’ utilizzato in precedenza nel caso della reazione semplice A = B:

dni = d (n◦i + νiξ) (n◦i e νi sono costanti)

= νidξ (i = 1, N)

• A questo punto non resta che ripercorrere in modo generale la strada gia’vista nel caso semplice.

Per la generica reazione rappresentata da:

N∑

i=1

νiSi = 0

la variazione infinitesima di energia di Gibbs del sistema dovuta ad unavanzamento infinitesimo dξ della reazione e’:

dG = µ1dn1 + µ2dn2 + · · · + µNdnN

=

N∑

i=1

µidni

=

N∑

i=1

µiνidξ

=

(N∑

i=1

µiνi

)

158

(ricordate che i νi possono essere sia positivi che negativi)

Quindi:

∆RG =dG

dξ=

N∑

i=1

µiνi

• Per il caso piu’ generale di un sistema reale, i potenziali chimici hanno leforme seguenti a seconda dei casi:

⇒ se i e’ un gas reale:

µi = µi + RT lnfi

P

⇒ se i e’ un componente in fase liquida con stato di riferimento basatosulla legge di Henry:

µi = µi + RT ln ai

⇒ se i e’ un componente in fase liquida con stato di riferimento basatosulla legge di Raoult:

µi = µ∗i + RT ln ai

Per alleggerire la notazione senza perdere in generalita’, scriviamo il po-tenziale chimico genericamente cosi’:

µi = µ◦i + RT ln ai

dove con µ◦i indichiamo il potenziale chimico del componente i nello statodi riferimento appropriato (µi o µ∗i , guardate sopra) e sottintendiamo cheal posto di ai va messo un termine fi/P se il componente i e’ un gas.

Allora:

∆RG =dG

dξ=

N∑

i=1

µiνi

=N∑

i=1

νi (µ◦i + RT ln ai)

159

=

N∑

i=1

νiµ◦

i +

N∑

i=1

νiRT ln ai

= ∆RG + RTN∑

i=1

νi ln ai

= ∆RG + RT

N∑

i=1

ln aνi

i

= ∆RG + RT ln

(N∏

i=1

aνi

i

)

RT ln

(N∏

i=1

aνi

i

)

= ∆RG−∆RG

ln

(N∏

i=1

aνi

i

)

=∆RG−∆RG

RT

N∏

i=1

aνi

i = exp

(∆RG−∆RG

RT

)

N∏

i=1

aνi

i = Q

con il quoziente di reazione definito come:

Q = exp

(∆RG−∆RG

RT

)

NOTA: il simbolo∏

e’ l’analogo della sommatoria per il prodotto, cioe’:

N∏

i=1

aνi

i ≡ aν11 × aν2

2 × · · · × aνN

N

L’espressione ottenuta e’ valida in qualsiasi istante della reazione. Quandoviene raggiunto l’equilibrio, allora:

∆RG = 0

e quindi:

160

(N∏

i=1

aνi

i

)

equilibrio

= exp

(

−∆RG

RT

)

= K

con:

K = exp

(

−∆RG

RT

)

= Qequilibrio

• Notate che i νi sono i numeri stechiometrici, negativi per i reagenti epositivi per i prodotti, per cui il prodotto:

N∏

i=1

aνi

i

non e’ altro che la consueta espressione cui siete abituati dai corsi dichimica generale.

Ad esempio, per la reazione vista prima:

0 = 5C + 7D − 2A− 3B

si avrebbe:

N∏

i=1

aνi

i = a5C a7

D a−2A a−3

B

=a5

C a7D

a2A a3

B

• Se ripercorrete il cammino fatto per arrivare al risultato finale, compren-dete molto facilmente il motivo per cui l’attivita’ di solidi e liquidi purinon compare mai nella legge dell’azione di massa. Infatti un solido o unliquido puro possono essere visti come il solvente in una soluzione infini-tamente diluita: ma allora l’attivita’ coincide con la frazione molare, chea sua volta e’ unitaria per un solido o liquido puro:

aνi

i = xνi

i = 1νi = 1

161

• Come abbiamo gia’ osservato, la legge dell’azione di massa e’ estremamen-te utile perche’ stabilisce un vincolo matematico che le concentrazioni diequilibrio dei partecipanti ad una reazione devono soddisfare.

• La costante di equilibrio K e’ data da:

K = exp

(

−∆RG

RT

)

e quindi puo’ essere calcolata a una certa temperatura da dati termodina-mici sperimentali tabulati (che consentono di calcolare il termine ∆RG)

• La risposta dell’equilibrio chimico alle perturbazioni

Lo stato di equilibrio di una reazione chimica puo’ essere perturbato davariazioni di pressione, temperatura o composizione.

• Dopo la perturbazione, il sistema raggiunge un nuovo stato di equilibrio ede’ molto importante essere in grado di prevedere le caratteristiche di questonuovo stato di equilibrio rispetto a quello prima della perturbazione.

• Un modo estremamente semplice di prevedere la risposta di un equilibriochimico alle perturbazioni venne enunciato dal chimico francese Henri LeChatelier alla fine del 1800:

Se un sistema chimico all’equilibrio viene perturbato, esso rag-giunge un nuovo stato di equilibrio attraverso un cammino chetende a minimizzare la perturbazione

• Le variazioni di concentrazione.

Consideriamo la seguente reazione all’equilibrio:

2A + 3B = 5C + 7D

Cosa succede se, improvvisamente, aggiungiamo del componente C?

• Applichiamo il principio di Le Chatelier: immediatamente dopo la pertur-bazione il sistema non e’ piu’ all’equilibrio. Esso raggiungera’ un nuovostato di equilibrio lungo un percorso che tende a “vanificare” l’aggiuntadella specie C, cioe’ a consumarla.

Il modo di cui il sistema dispone per consumare (almeno parzialmente)il componente C aggiunto e’ quello di far procedere la reazione da destraverso sinistra.

Lo stesso vale per un’aggiunta del componente D. Viceversa, se l’equi-librio viene perturbato dall’aggiunta di A o B, il sistema rispondera’ fa-cendo decorrere la reazione da sinistra verso destra, perche’ in tal modo ilcomponente aggiunto viene in parte consumato.

162

• Alle stesse conclusioni si arriva considerando la legge dell’azione di massa.

All’equilibrio vale la condizione ricavata sopra:

K =a5

C a7D

a2A a3

B

Se improvvisamente viene aggiunto del componente C, la sua attivita’subisce un brusco incremento ad un valore a′C > aC . Il sistema none’ piu’ all’equilibrio e il quoziente di reazione immediatamente dopo laperturbazione e’:

Q =a′C

5a7

D

a2A a3

B

> K

Naturalmente, l’aggiunta di C non cambia il valore di K per cui, perraggiungere un nuovo stato di equilibrio, il quoziente di reazione devediminuire fino a che ridiventa uguale a K. Ma una diminuzione del quo-ziente di reazione puo’ avvenire solo se la reazione procede parzialmenteda destra verso sinistra, in accordo con quanto avevamo previsto con ilprincipio di Le Chatelier.

Gli altri casi possibili si discutono in modo identico.

• Le variazioni della pressione totale.

Consideriamo la seguente reazione fra gas ideali, per semplicita’:

3A + B = 2C

All’equilibrio deve valere:

K =

(PC

P

)2

(PA

P

)3 ( PB

P

)

Per semplificare ulteriormente possiamo esprimere tutte le pressioni in bar:in tal modo P = 1 e possiamo evitare di scriverlo:

K =P 2

C

P 3APB

• Cosa accade se si aumenta improvvisamente la pressione totale diminuendoil volume del recipiente?

Il principio di Le Chatelier suggerisce che il sistema raggiunge un nuovostato di equilibrio lungo un percorso che tende a minimizzare la dimi-nuzione di volume. Ora: una diminuzione del volume totale significa una

163

diminuzione del volume a disposizione di ciascuna particella del recipiente.Allora il sistema puo’ opporsi alla diminuzione del volume per particellariducendo il numero totale di particelle. Guardando la stechiometria dellareazione si comprende che una diminuzione del numero totale di particellee’ possibile se la reazione procede parzialmente da sinistra verso destra.

• Un ragionamento analogo si applica al caso di una diminuzione della pres-sione totale ottenuta con un aumento del volume del recipiente: in que-sto caso l’equilibrio si spostera’ in modo da aumentare il numero totaledi particelle, cioe’ la reazione procedera’ parzialmente da destra versosinistra.

• Notate che questa risposta alle variazioni di pressione e’ determinata dalfatto che il numero totale di molecole al primo membro dell’equazionechimica e’ diverso dal numero totale di molecole al secondo membro. Peruna reazione descritta da:

2A + B = 3C

l’equilibrio e’ insensibile alle variazioni di pressione perche’ il numero totaledi particelle presenti nel recipiente non puo’ cambiare a causa del procederedella reazione verso destra o sinistra.

• Alle stesse conclusioni ottenute con l’applicazione del principio di Le Cha-telier si giunge considerando la legge dell’azione di massa.

Esprimendo le pressioni parziali in funzione della frazione molare e dellapressione totale P si ha:

K =(xCP )

2

(xAP )3 xBP

=1

P 2

x2C

x3AxB

• Ora: se P improvvisamente aumenta al valore P ′, il sistema non e’ piu’all’equilibrio e il quoziente di reazione immediatamente dopo la perturba-zione e’:

Q =1

(P ′)2x2

C

x3AxB

< K

Per raggiungere nuovamente l’equilibrio, Q deve aumentare fino a cheridiventa uguale a K: ma cio’ e’ possibile solo se il termine:

x2C

x3AxB

164

aumenta, ovvero se la reazione procede parzialmente da sinistra versodestra.

Gli altri casi si discutono in modo identico.

• Osservate infine che, se il numero di molecole da entrambi i membridell’equazione chimica e’ lo stesso, come in:

2A + B = 3C

la pressione totale non compare nella legge dell’azione di massa e quindil’equilibrio e’ insensibile alle variazioni di pressione totale:

K =(xCP )

3

(xAP )2xBP

=��P 3

���P 2P

x3C

x2AxB

=x3

C

x2AxB

• Le variazioni di temperatura.

Mentre nei casi precedenti la perturbazione (concentrazione o pressionetotale) provoca uno spostamento dell’equilibrio senza alterare la costanteK, se viene variata la temperatura il valore della costante di equilibriocambia perche’ K dipende dalla temperatura:

K = exp

(

−∆RG

RT

)

• Sulla base del principio di Le Chatelier si puo’ prevedere che:

⇒ un aumento di temperatura spostera’ l’equilibrio nel verso endo-termico della reazione, perche’ in tal modo parte del calore fornitoviene consumato

⇒ una diminuzione di temperatura spostera’ l’equilibrio nel verso eso-termico della reazione, perche’ in tal modo parte del calore sottrattoviene compensato

• Cio’ si puo’ vedere in modo quantitativo con la cosiddetta equazione divan’t Hoff.

Riscriviamo l’espressione della costante di equilibrio in forma logaritmica:

lnK = −∆RG

RT

165

Derivando rispetto alla temperatura si ha:

d lnK

dT= −

1

R

(d

dT

∆RG

T

)

Avevamo gia’ ricavato l’espressione per d (G/T ) /dT in generale, ma pos-siamo ripetere il procedimento:

= −1

R

(d

dT

∆RH − T∆RS

T

)

= −1

R

(d

dT

∆RH

T−

d∆RS

dT

)

Assumendo che ∆RH e ∆RS non varino apprezzabilmente con la tem-peratura:

= −∆RH

R

d

dT

1

T

= −∆RH

R

(

−1

T 2

)

d lnK

dT=

∆RH

RT 2

• Allora:

⇒ per una reazione endotermica (∆RH > 0) la costante di equili-brio cresce al crescere della temperatura (d lnK/dT > 0) e quindil’equilibrio si sposta verso destra se la temperatura viene aumentata

⇒ per una reazione esotermica (∆RH < 0) la costante di equili-brio diminuisce al crescere della temperatura (d ln K/dT < 0) equindi l’equilibrio si sposta verso sinistra se la temperatura vieneaumentata

che sono le stesse conclusioni a cui eravamo giunti prima col principio diLe Chatelier.

• Spesso l’equazione di van’t Hoff viene usata nella forma integrata perconoscere la costante di equilibrio a una temperatura T2 noto il suo valorealla temperatura T1.

Sempre assumendo che ∆RH sia praticamente costante:

d ln K

dT=

∆RH

RT 2

166

d lnK =∆RH

RT 2dT

∫ ln K2

lnK1

d lnK =

∫ T2

T1

∆RH

RT 2dT

lnK2 − lnK1 =∆RH

R

∫ T2

T1

1

T 2dT

lnK2 = lnK1 +∆RH

R

[

−1

T

]T2

T1

lnK2 = lnK1 +∆RH

R

(1

T1−

1

T2

)

167

Atkins, capitolo 25

Cinetica

• La cinetica chimica si occupa della velocita’ delle reazioni chimiche.

• Prima di tutto definiamo la velocita’ di una reazione.

Intuitivamente, la velocita’ di una reazione deve essere una misura di“quanto rapidamente” i reagenti si trasformano nei prodotti.

• Da un punto di vista matematico e formale, il concetto generale di velocita’coincide con quello di derivata. Infatti la derivata di una funzione rispettoad una variabile, definita da:

lim∆x→0

=f (x + ∆x) − f (x)

∆x

dice proprio quanto varia la funzione (il numeratore: f (x + ∆x) − f (x))per unita’ di variazione della variabile (la divisione per ∆x).

Normalmente, quando parliamo di velocita’ in fisica o chimica, la variabileindipendente e’ il tempo e la velocita’ e’ definita come la derivata rispettoal tempo di qualche grandezza fisica.

Ad esempio:

nome dato alla velocita’ grandezza fisica derivata rispetto al tempovelocita’ spaziale spazio (s) ds/dtaccelerazione velocita’ spaziale (v) dv/dtcorrente elettrica carica elettrica (q) dq/dt

• Nel caso di una reazione chimica, la grandezza la cui derivata rispetto altempo fornisce la velocita’ e’ il grado di avanzamento della reazione cheabbiamo gia’ definito per il trattamento termodinamico dell’equilibrio.

Per la generica reazione cui partecipano N specie chimiche S1, S2, . . . , SN

con numeri stechiometrici ν1, ν2, . . . , νN :

N∑

i=1

νiSi = 0

il grado di avanzamento della reazione, cioe’ il numero di moli di eventireattivi che si sono verificati dall’inizio della reazione, e’ legato al numerodi moli di tutti i partecipanti da:

ni = n◦i + νiξ

168

ovvero:

ξ =ni − n◦i

νi

• La velocita’ della reazione e’ definita da:

v =dξ

dt

Alla luce della relazione fra ξ e il numero di moli dei vari partecipanti, lavelocita’ di reazione puo’ essere espressa equivalentemente ed indifferente-mente in termini della variazione del numero di moli di uno qualsiasi deipartecipanti:

v =1

ν1

dn1

dt=

1

ν2

dn2

dt= · · · =

1

νN

dnN

dt

• (IMPORTANTE: questo e’ vero solo se nel corso della reazione non siha accumulo apprezzabile di specie intermedie; se cio’ avviene, infatti, lavelocita’ con cui scompaiono i reagenti non e’ uguale a quella con cui siformano i prodotti)

• Per una reazione che avviene in soluzione a volume costante (il caso tipi-co), conviene definire la velocita’ in termini di concentrazioni molari (piu’facili da misurare sperimentalmente), dividendo ambo i membri di tuttele uguaglianze scritte sopra per il volume V :

1

Vv =

1

ν1

1

V

dn1

dt=

1

ν2

1

V

dn2

dt= · · · =

1

νN

1

V

dnN

dt

v

V=

1

ν1

d [S1]

dt=

1

ν2

d [S2]

dt= · · · =

1

νN

d [SN ]

dt

dove [S1] , [S2] , . . . , [SN ] sono le concentrazioni molari delle speciepartecipanti.

• Analogamente, la velocita’ delle reazioni che avvengono in fase gassosa e’normalmente definita in termini delle pressioni parziali dei vari parteci-panti:

v =1

ν1

dP1

dt=

1

ν2

dP2

dt= · · · =

1

νN

dPN

dt

• Ricordate che i νi, in quanto numeri stechiometrici, sono positivi per i pro-dotti e negativi per i reagenti. Cio’ fa’ si’ che la velocita di una reazione sia

169

sempre positiva, come deve essere. Infatti, per un reagente, la concentra-zione diminuisce nel tempo e quindi la derivata della sua concentrazionerispetto al tempo:

d [reagente]

dt

e’ negativa. Ma per un reagente anche il numero stechiometrico e’ negativoe quindi la velocita’ della reazione espressa tramite la concentrazione delreagente risulta positiva:

v =1

νreagente

d [reagente]

dt> 0

Analogamente, per un prodotto la concentrazione aumenta nel tempo eil numero stechiometrico e’ positivo: la velocita’ di reazione definita intermini della concentrazione di un prodotto risulta quindi ancora positiva.

• Ad esempio, per la reazione rappresentata convenzionalmente con:

2A + 3B = 5C + 7D

ovvero, con la notazione introdotta:

5C + 7D − 2A− 3B = 0

la velocita’ di reazione e’ definita indifferentemente in uno dei quattropossibili modi:

v = −1

2

d [A]

dt= −

1

3

d [B]

dt=

1

5

d [C]

dt=

1

7

d [D]

dt

• Reazione diretta e reazione inversa.

Una reazione chimica procede sempre in entrambi i versi possibili dell’e-quazione che la rappresenta: da sinistra verso destra (il verso “diretto”) eda destra verso sinistra (il verso “inverso”):

aA + bB cC + dD

Quindi, detta v→ la velocita’ del verso diretto e v← quella del verso oppo-sto, la velocita’ definita piu’ sopra e’ sempre una velocita’ netta, cioe’la differenza fra le velocita’ dei due versi:

v = v→ − v←

170

• Tanto per chiarire ulteriormente: un reagente viene consumato dalla rea-zione diretta e prodotto dalla reazione inversa. Se la reazione sta proce-dendo nettamente da sinistra verso destra, il reagente subisce un consumonetto perche’ la velocita’ della reazione diretta e’ maggiore di quella dellareazione inversa.

• Molto spesso e’ possibile osservare sperimentalmente solo la reazione di-retta, ponendo a reagire i reagenti in assenza dei prodotti e limitandol’osservazione ad un intervallo di tempo sufficientemente piccolo (in modoche si formi una quantita’ di prodotti sufficientemente piccola da renderetrascurabili gli effetti della reazione inversa).

• Leggi cinetiche.

La dipendenza della velocita’ di una reazione dalle concentrazioni deipartecipanti si determina sperimentalmente e prende il nome di leggecinetica.

La forma generale di una legge cinetica e’:

v = v ([S1] , [S2] , . . . , k1, k2, . . . )

dove [Si] e’ la concentrazione della specie i e le ki sono dei parametriindipendenti dalle concentrazioni, ma dipendenti dalla temperatura (e,anche se generalmente molto poco, dalla pressione totale) detti costanticinetiche.

• Si trova sperimentalmente che molto spesso, anche se non sempre, la leggecinetica di una reazione ha una forma semplice del tipo:

v = k [S1]s1 [S2]

s2 · · ·

cioe’ una costante cinetica, k, moltiplicata per il prodotto delle concentra-zioni di alcuni partecipanti (non necessariamente tutti), ciascuna elevataad un esponente (che non ha relazione con il coefficiente stechiometrico).

• La forma semplice su scritta, nei casi in cui viene riscontrata, presupponenormalmente che gli effetti dovuti alla reazione inversa siano assenti otrascurabili.

• L’esponente a cui e’ elevata la concentrazione di un certo partecipante allareazione viene detto ordine di reazione rispetto a quel partecipante. Lasomma degli ordini di reazione per tutti i partecipanti viene detta ordinecomplessivo o totale della reazione.

Le leggi cinetiche del tipo semplice qui descritto vengono anche dette leg-gi cinetiche con ordini definiti, perche’ e’ possibile definire l’ordine direazione rispetto a tutte le specie che compaiono nella legge.

Ad esempio, per la decomposizione di NO3 in fase gassosa:

171

NO3 = NO2 +1

2O2

si trova sperimentalmente la seguente legge cinetica:

v = k (PNO3 )2

Quindi la reazione e’ di ordine 2 rispetto a NO3 e l’ordine complessivo e’anche 2.

Notate che l’ordine della reazione rispetto a NO3 e’ diverso dal suo coef-ficiente stechiometrico: come gia’ detto, non esiste, in generale, alcunarelazione fra l’ordine di reazione e il coefficiente stechiometrico di un datopartecipante.

• Non sempre le leggi cinetiche sono del tipo semplice su mostrato. Adesempio, per la reazione:

H2(g) + Br2(g) = 2HBr(g)

si trova sperimentalmente che la legge cinetica e’:

v =kPH2P

32

Br2

PBr2 + k′PHBr

In questo caso ci sono 2 costanti cinetiche e non e’ possibile definire l’ordinedi reazione rispetto al bromo e all’acido bromidrico.

Inoltre, si vede che la velocita’ della reazione dipende anche dalla concen-trazione del prodotto (HBr).

• La determinazione sperimentale della legge cinetica.

Come abbiamo detto, la legge cinetica di una reazione va determinataper via sperimentale. A questo scopo esistono moltissimi metodi e noiaccenneremo solo al metodo basato sull’isolamento di ogni reagente e sullamisura della velocita’ iniziale.

Questo metodo puo’ essere applicato solo nei casi in cui la legge cineticasia del tipo semplice visto sopra.

• Illustriamolo con un esempio.

Supponiamo che per la reazione:

aA + bB + cC = prodotti

si ipotizzi che la legge cinetica, in condizioni per le quali sia possibiletrascurare gli effetti della reazione inversa, sia del tipo:

172

v = k [A]nA [B]

nB [C]nC

Il problema e’ quello di trovare la costante cinetica k e gli ordini di reazionenA, nB, nC .

• Per trovare nA si prepara una miscela di reazione in cui le concentrazioniiniziali C◦B e C◦C di B e C siano molto maggiori di quella di A. In tal modosi puo’ assumere che il consumo di B e C sia trascurabile e quindi che leconcentrazioni di B e C in ogni istante siano costanti e uguali a C◦B e C◦C .

Sotto questa ipotesi, la legge cinetica si puo’ scrivere nel modo seguente:

v = k′ [A]nA

con:

k′ = k (C◦B)nB (C◦C)

nC

• In queste condizioni si esegue una serie di determinazioni sperimentali dellavelocita’ iniziale della reazione in funzione della concentrazione iniziale C◦Adi A. La relazione fra la velocita’ iniziale della reazione e la concentrazioneiniziale di A e’ chiaramente:

v◦ = k′ (C◦A)nA

ovvero, prendendo il logaritmo di ambo i membri:

log v◦ = log (k′ (C◦A)nA)

= log k′ + nA log C◦A

Quindi, riportando in grafico log v◦ in funzione di log C◦A si ottiene unaretta dalla cui pendenza si ricava l’ordine di reazione rispetto ad A:

173

log C◦A

log

v◦

log C◦A

log

v◦

Se l’equazione della retta passante per i punti sperimentali e’:

y = mx + q

allora:

nA = m

Il procedimento puo’ essere ripetuto isolando successivamente B e C perdeterminarne l’ordine come visto per A.

• Una volta trovati tutti gli ordini di reazione, la costante cinetica si ricavada uno qualsiasi degli esperimenti fatti. Ad esempio:

v◦ = k′ (C◦A)nA

= k (C◦B)nB (C◦C)

nC (C◦A)nA

k =v◦

(C◦B)nB (C◦C)

nC (C◦A)nA

dove ora al secondo membro tutti i termini sono noti.

• Come si determina sperimentalmente la velocita’ iniziale?

Essenzialmente si sfrutta il fatto che, per un intervallo di tempo sufficien-temente piccolo:

d [A]

dt≈

∆[A]

∆t

174

Allora, si fa procedere la reazione per un breve intervallo di tempo ∆te si misura la concentrazione del reagente di interesse (ad esempio A) altermine di tale intervallo. A questo punto, con buona approssimazione:

v◦ ≈ −1

a

[A]t − C◦A∆t

• Come detto, questo metodo si puo’ applicare solo se la legge cinetica e’ ditipo semplice. E se cosi’ non fosse? In tal caso, si troverebbe un disaccordofra i punti sperimentali e il modello assunto e bisognerebbe cercarne unopiu’ soddisfacente.

Per questo motivo, la determinazione sperimentale di una legge cineticapuo’ essere molto laboriosa ed impegnativa.

• L’integrazione delle leggi cinetiche.

Una legge cinetica, dal punto di vista matematico, e’ un’equazione diffe-renziale.

Ad esempio, consideriamo la reazione:

A = prodotti

e supponiamo che la sua legge cinetica sia:

v = k [A]

Ma, per definizione:

v = −d [A]

dt

e quindi:

−d [A]

dt= k [A]

d [A]

dt= −k [A]

che e’ appunto un’equazione differenziale la cui soluzione fornisce la fun-zione:

[A] = [A] (t)

cioe’ la funzione che descrive la dipendenza della concentrazione di A daltempo.

175

• Siccome sperimentalmente si puo’ misurare la concentrazione di reagentie prodotti di una reazione in funzione del tempo, il confronto di tali datisperimentali con la forma integrata di diverse leggi cinetiche ipotizzatepuo’ consentire di scartarle tutte tranne una, che viene cosi’ validata.

• Nel caso generale, la soluzione dell’equazione differenziale corrispondentea una data legge cinetica si puo’ ottenere solo per via numerica.

Tuttavia, per casi molto semplici, l’equazione differenziale ammette unasoluzione analitica.

Vediamo alcuni semplici esempi di integrazione della legge cinetica e dicome i dati sperimentali possano essere usati per la sua validazione.

• La legge cinetica del primo ordine.

Se la legge cinetica di una reazione e’:

v = −d [A]

dt= k [A]

si puo’ integrare facilmente separando le variabili:

d [A]

dt= −k [A]

d [A]

[A]= −kdt

• Detta C◦A la concentrazione di A a t = 0 e [A] quella al tempo generico t,i due membri possono essere integrati facilmente:

∫ [A]

C◦A

d [A]

[A]= −k

∫ t

0

dt

ln [A]− lnC◦A = −kt

ln [A] = lnC◦A − kt

da cui si vede che, se la legge cinetica e’ di questo tipo, riportando ingrafico il logaritmo della concentrazione di A in funzione del tempo sideve ottenere una retta dalla cui pendenza e’ possibile ricavare la costantecinetica.

• La forma esplicita della funzione [A] = [A] (t) e’:

[A] = C◦A exp (−kt)

che rappresenta un decadimento esponenziale tanto piu’ rapido quantomaggiore e’ il valore della costante cinetica k:

176

C◦A

k2 > k1

k1

t

[A]

C◦A

k2 > k1

k1

t

[A]

• Il tempo di dimezzamento.

Si definisce tempo di dimezzamento il tempo necessario affinche’ laconcentrazione di un reagente ad un certo istante di tempo si riduca allameta’ del suo valore.

• Per una reazione del primo ordine come quella su vista, il tempo didimezzamento si trova nel modo seguente.

Al tempo t deve valere:

ln [A]t = lnC◦A − kt

Detto t1/2 il tempo di dimezzamento cercato, al tempo t+t1/2 deve valere,per definizione:

ln[A]t2

= lnC◦A − k(t + t1/2

)

Sottraendo membro a membro questa equazione dalla prima si ottiene:

ln [A]t − ln[A]t2

= −kt + k(t + t1/2

)

ln[A]t[A]t2

= kt1/2

t1/2 =1

kln 2

177

• Si vede che per una legge cinetica del primo ordine il tempo di dimezza-mento e’ indipendente dalla concentrazione del reagente. In altre parole:a partire da qualsiasi istante della reazione, dopo un tempo pari a t1/2 laconcentrazione del reagente si e’ dimezzata.

• La legge cinetica del secondo ordine rispetto ad un unico rea-gente.

L’integrazione di una legge cinetica semplice del secondo ordine:

v = −d [A]

dt= k [A]2

si ottiene nel modo seguente:

−d [A]

dt= k [A]2

d [A]

[A]2 = −kdt

∫ [A]

C◦A

d [A]

[A]2 = −k

∫ t

0

dt

−1

[A]+

1

C◦A= −kt

1

[A]= kt +

1

C◦A

• Quindi, per validare una legge cinetica del secondo ordine, si deve ripor-tare in grafico 1/ [A] in funzione del tempo e verificare che si ottiene unandamento lineare dalla cui pendenza si puo’ ricavare la costante cinetica.

• La dipendenza esplicita di [A] dal tempo e’:

[A] =1

kt + 1C◦

A

che e’ un decadimento piu’ lento di quello visto per una cinetica del primoordine (a parita’ di concentrazione iniziale e costante cinetica):

178

[A] = C◦A exp (−kt)

[A] = 1kt+ 1

C◦A

t

[A]

[A] = C◦A exp (−kt)

[A] = 1kt+ 1

C◦A

t

[A]

• In questo caso il tempo di dimezzamento si ottiene da:

1

[A]t= kt +

1

C◦A1

[A]t2

= k(t + t1/2

)+

1

C◦A

1

[A]t−

2

[A]t= kt− k

(t + t1/2

)

−1

[A]t= −kt1/2

t1/2 =1

k [A]t

• Si vede che in questo caso il tempo di dimezzamento dipende dalla con-centrazione ed e’ tanto maggiore quanto minore e’ la concentrazione.

Cio’ significa che per una cinetica del secondo ordine come questa ilreagente si consuma sempre piu’ lentamente man mano che la reazioneprocede.

• La legge cinetica del primo ordine con contributo non trascura-bile della reazione inversa.

Nei casi precedenti abbiamo assunto implicitamente che la reazione inversadia un contributo irrilevante.

Consideriamo ora il caso in cui cio’ non sia vero.

Limitiamoci al caso piu’ semplice possibile di una reazione del tipo:

179

A = B

in cui sia la velocita’ v→ della reazione diretta che quella v← della reazioneinversa siano entrambe leggi cinetiche semplici del primo ordine:

A→ B v→ = k [A]

B → A v← = k′ [B]

• Come abbiamo gia’ osservato, in questo caso la velocita’ della reazione e’la velocita’ netta:

v = −d [A]

dt= v→ − v←

= k [A]− k′ [B]

d [A]

dt= −k [A] + k′ [B]

• Per semplicita’, suppopiamo che a t = 0 sia presente solo A in concentra-zione C◦A. Allora, in qualsiasi istante, deve valere il seguente bilancio dimassa:

[A] + [B] = C◦A

Quindi:

d [A]

dt= −k [A] + k′ (C◦A − [A])

che ora puo’ essere integrata.

d [A]

dt= − [A] (k + k′) + k′C◦A

d [A]

− [A] (k + k′) + k′C◦A= dt

1

− (k + k′)

d (− [A] (k + k′) + k′C◦A)

− [A] (k + k′) + k′C◦A= dt

1

− (k + k′)

∫ −[A](k+k′)+k′C◦A

−C◦A

(k+k′)+k′C◦A

d (− [A] (k + k′) + k′C◦A)

− [A] (k + k′) + k′C◦A=

∫ t

0

dt

180

1

− (k + k′)ln− [A] (k + k′) + k′C◦A−C◦A (k + k′) + k′C◦A

= t

ln[A] (k + k′)− k′C◦AC◦A (k + k′)− k′C◦A

= − (k + k′) t

[A] (k + k′)− k′C◦AkC◦A

= exp (− (k + k′) t)

[A] (k + k′)− k′C◦A = kC◦A exp (− (k + k′) t)

[A] (k + k′) = kC◦A exp (− (k + k′) t) + k′C◦A

[A] =k exp (− (k + k′) t) + k′

k + k′C◦A

e quindi anche:

[B] = C◦A − [A]

[B] = C◦A −k exp (− (k + k′) t) + k′

k + k′C◦A

• Osservazioni:

– L’espressione si riduce a quella ottenuta prima in assenza della rea-zione inversa, come e’ giusto che sia, quando k′ = 0.

– La presenza della reazione inversa fa si’ che la concentrazione di Anon decada a 0, ma raggiunga un valore costante diverso da zero ecorrispondente alla concentrazione di equilibrio:

181

C◦A

[A] = C◦A exp (−kt)

[A] =k exp (−(k+k′)t)+k′

k+k′ C◦A

t

[A]

C◦A

[A] = C◦A exp (−kt)

[A] =k exp (−(k+k′)t)+k′

k+k′ C◦A

t

[A]

– Il sistema raggiunge l’equilibrio quando t→∞.

In tali condizioni si ha:

[A]eq = limt→∞

k exp (− (k + k′) t) + k′

k + k′C◦A

=k′

k + k′C◦A

e

[B]eq = C◦A − [A]eq

= C◦A −k′

k + k′C◦A

=k

k + k′C◦A

182

[A]

[A]eq

[B]eq

C◦A

[B] = C◦A −k exp (−(k+k′)t)+k′

k+k′ C◦A

[A] =k exp (−(k+k′)t)+k′

k+k′ C◦A

t

[A]

[A]eq

[B]eq

C◦A

[B] = C◦A −k exp (−(k+k′)t)+k′

k+k′ C◦A

[A] =k exp (−(k+k′)t)+k′

k+k′ C◦A

t

Questo e’ un raro caso in cui si puo’ ricavare una correlazione fracinetica e termodinamica.

Infatti la costante di equilibrio e’ data da:

K =[B]eq

[A]eq

=k

k+k′ C◦Ak′

k+k′ C◦A

=k

k′

– Allo stesso risultato si puo’ giungere in modo molto piu’ semplice os-servando che all’equilibrio la velocita’ del processo diretto deve essereuguale a quella del processo inverso. Quindi:

v→ = v←

k [A]eq = k′ [B]eq

[B]eq

[A]eq

= K =k

k′

• La dipendenza della velocita’ di reazione dalla temperatura.

La velocita’ delle reazioni dipende dalla temperatura tramite le costanticinetiche.

Nella maggior parte dei casi si trova che la costante cinetica (o le costanticinetiche, nel caso generale) cresce al crescere della temperatura.

183

Come ordine di grandezza, per un incremento di 10 K rispetto alla tempe-ratura ambiente, la costante cinetica, e quindi la velocita’ della reazione,aumenta di un fattore compreso fra 2 e 4.

Questo spiega perche’ conservare il cibo in frigorifero lo fa durare moltopiu’ a lungo, soprattutto d’estate. La temperatura del frigorifero e’ circa4◦ C, quindi 10− 20◦ piu’ bassa della temperatura ambiente. Cio’ che faandare a male il cibo sono delle reazioni chimiche (spesso con l’ossigenodell’aria): mantenendo il cibo a una temperatura bassa, si rallentano tuttele reazioni che lo fanno deteriorare e il cibo dura piu’ a lungo.

• L’equazione di Arrhenius.

L’equazione di Arrhenius e’ un equazione di natura fondamentalmente em-pirica che descrive la dipendenza della costante cinetica dalla temperaturae funziona molto bene in un numero straordinariamente grande di casi.

Venne proposta da Svante Arrhenius nel 1889 sulla base delle seguenticonsiderazioni.

• Si trova sperimentalmente, per le reazioni in fase gassosa, che la velocita’di reazione e’ molto piu’ bassa di quanto si potrebbe prevedere sulla basedella frequenza con cui avvengono gli urti fra le molecole dei reagenti. Inaltre parole, mentre le molecole dei reagenti si urtano con una frequenzamolto elevata, la velocita’ della reazione e’ quella che si potrebbe prevederese solo una piccola frazione degli urti totali portasse alla formazione deiprodotti.

• Questa osservazione suggerisce che, affinche’ l’urto fra due molecole di rea-genti possa portare alla formazione dei prodotti, e’ necessario che l’energiadelle molecole che si urtano debba essere superiore a una soglia minima,detta energia di attivazione: solo gli urti con energia uguale o superioreall’energia di attivazione possono portare ai prodotti; gli urti con energiainferiore alla soglia minima si risolvono con un nulla di fatto: le molecoleche si sono urtate si riallontanano reciprocamente senza che sia avvenutoalcun cambiamento (rottura e/o riorganizzazione dei legami chimici).

• Se si assume che l’energia delle molecole dei reagenti segua la distribuzionedi Boltzmann, allora la frazione di molecole con energia uguale all’energiadi attivazione εa e’ proporzionale a:

exp

(

−εa

kBT

)

dove kB e’ la costante di Boltzmann.

• Arrhenius postulo’ che la costante cinetica di una reazione sia proporzio-nale a tale frazione:

k = A exp

(

−εa

kBT

)

184

• Normalmente l’equazione di Arrhenius viene espressa in termini dell’ener-gia di attivazione molare, per cui si moltiplica il numeratore e il denomi-natore del termine esponenziale per il numero di Avogadro N :

k = A exp

(

−Ea

RT

)

con:

Ea = N εa

R = NkB (costante universale dei gas)

• Il fattore di proporzionalita’ viene detto fattore preesponenziale.

Alla luce di quanto detto il fattore preesponenziale si puo’ interpretarecome la frequenza totale degli urti fra le molecole dei reagenti: tale fre-quenza totale viene ridotta a causa del fattore esponenziale che tiene contodei soli urti che avvengono con energia pari all’energia di attivazione. Ilprodotto A exp (−Ea/ (RT )) puo’ quindi essere pensato come la frequen-za con cui avvengono gli urti efficaci, cioe’ quelli che possono portare allaformazione dei prodotti.

• Il significato fisico dell’energia di attivazione Ea e’ contenuto nella cosid-detta teoria dello stato attivato.

Questo modello descrive una reazione chimica a livello microscopico/molecolare.

La reazione fra due molecole A e B avviene tramite un urto, nel qualel’energia cinetica delle molecole che si urtano viene utilizzata per spezzaredei legami chimici e/o formarne di nuovi.

• Durante l’urto, sia A che B subiscono delle distorsioni che “preparano”la formazione dei prodotti. Tali distorsioni vengono cumulativamente de-scritte da una cosiddetta coordinata di reazione, cioe’ un parametro chedescrive il decorso del processo a partire dalla configurazione dei reagentifino a quella finale dei prodotti.

La coordinata di reazione puo’ essere definita in modo rigoroso, ma cio’ vaoltre i limiti di questo corso: per noi e’ sufficiente pensare alla coordinatadi reazione come ad un parametro che vale 0 quando i reagenti non hannoancora iniziato ad interagire apprezzabilmente e il cui valore e’ una misuradi quanto la trasformazione dei reagenti nei prodotti ha progredito.

• Nel caso piu’ semplice, un grafico dell’energia potenziale del sistema rea-gente in funzione della coordinata di reazione appare cosi’:

185

Ea

complesso attivato

prodotti

reagenti

coordinata di reazione

ener

gia

pote

nzi

ale

Quando i reagenti sono ancora lontani (per valori piccoli della coordina-ta di reazione) l’energia potenziale e’ costante e uguale alla somma deicontributi dovuti ai legami presenti nei reagenti.

Man man che i reagenti si avvicinano durante l’urto, distanze e ango-li di legame subiscono distorsioni che fanno crescere l’energia potenzialefino ad un massimo. Per tale valore della coordinata di reazione il siste-ma reagente si trova in una configurazione detta complesso attivato.Nel complesso attivato la “preparazione” per la formazione dei prodottie’ completata: un ulteriore avanzamento infinitesimo della coordinata direazione fa “scivolare” il sistema reagente verso la configurazione finale:l’energia potenziale decresce e si stabilizza sul valore corrispondente aiprodotti di reazione.

• Dalla figura appare chiaro che l’energia di attivazione, cioe’ il minimovalore di energia che deve avere un urto fra le molecole dei reagenti affinche’possa portare alla formazione dei prodotti, e’ data dalla differenza fral’energia del complesso attivato e quella dei reagenti a riposo.

• Determinazione sperimentale dell’energia di attivazione.

Da un punto di vista sperimentale, l’energia di attivazione di una reazionesi puo’ determinare osservando che l’equazione di Arrhenius puo’ essereposta nella forma seguente:

k = A exp

(

−Ea

RT

)

ln k = lnA−Ea

RT

per cui, facendo una serie di determinazioni della costante cinetica a varietemperature e riportando in grafico ln k in funzione di 1/T , si deve ottenereuna retta dalla cui pendenza si puo’ ricavare Ea.

186

• La razionalizzazione delle leggi cinetiche: i meccanismi di rea-zione

Le reazioni chimiche avvengono in seguito a urti fra le molecole.

Tuttavia, sono piuttosto rari i casi in cui i reagenti si trasformano neiprodotti in seguito ad un unico urto; molto piu’ spesso, la reazione ste-chiometrica globale e’ il risultato di una successione di cosiddetti stadio processi elementari, in ciascuno dei quali si ha una trasformazione aseguito di un singolo urto fra particelle.

• In generale, dunque, una reazione osservabile macroscopicamente comela trasformazione di alcuni reagenti in corrispondenti prodotti, a livellomicroscopico e’ razionalizzata come la somma di un certo numero di stadielementari.

Ad esempio, l’indagine cinetica della reazione rappresentata da:

NO2 + CO = NO + CO2

ha permesso di scoprire che la reazione procede in realta’ attraverso i duestadi elementari:

2NO2 = NO3 + NO

NO3 + CO = NO2 + CO2

NO2 + CO = NO + CO2

• Naturalmente, esistono anche reazioni costituite da un unico stadio. Adesempio, approfonditi studi cinetici sulla reazione rappresentata da:

CH3I + CH3CH2O− = CH3CH2OCH3 + I−

inducono a ritenere che essa proceda attraverso un unico stadio elementarein cui una molecola di CH3I e uno ione CH3CH2O

− si urtano portandoai prodotti.

• L’insieme degli stadi elementari che costituiscono una reazione globaleviene detto il meccanismo della reazione.

Dovrebbe essere chiaro che la somma delle equazioni chimiche relative aglistadi elementari che compongono una data reazione deve dare la reazioneglobale.

Dovrebbe essere altrettanto chiaro che nel meccanismo di reazione possonocomparire specie chimiche che non compaiono nella reazione globale (adesempio la specie NO3 nel meccanismo della reazione di ossidazione diCO da parte di NO2 vista sopra): tali specie vengono dette intermedi direazione. Un intermedio di reazione non compare nella reazione globaleperche’ viene prodotto in uno stadio elementare, ma consumato in unaltro.

187

• La legge cinetica osservabile sperimentalmente per una reazione e’ il ri-sultato della combinazione delle velocita’ di tutti gli stadi elementari checostituiscono il meccanismo di reazione.

• Proprio per questo, non e’ in alcun modo possibile ricavare il mec-canismo di reazione dalla legge cinetica (esattamente per lo stessomotivo per cui non e’ possibile ricavare tre numeri conoscendo solo la lorosomma). Viceversa, da un meccanismo di reazione ipotizzato, e’ possibi-le ricavare la legge cinetica che da esso deriverebbe (cosi’ come noti trenumeri e’ possibile conoscere la loro somma). Vedremo fra breve come sifa.

• E’ importante realizzare che cio’ che e’ direttamente determinabile speri-mentalmente e’ la legge cinetica e non il meccanismo di reazione; quindi,normalmente, lo studio cinetico di una reazione procede con un protocollosimile al seguente:

⇒ determinazione sperimentale della legge cinetica⇒ ipotesi di diversi meccanismi in accordo con la legge cinetica osser-

vata⇒ ulteriori esperimenti mirati a confermare o smentire uno o piu’ dei

meccanismi ipotizzati fino a che ne rimane solo uno (nel miglioredei casi)

⇒ ulteriori esperimenti di conferma dell’unico meccanismo “soprav-vissuto”

• Classificazione degli stadi elementari.

Consistendo in un unico urto, uno stadio elementare e’ completamentedeterminato dal numero di particelle che si urtano. Questo numero vienedetto molecolarita’ dello stadio elementare.

Siccome un urto fra particelle richiede la presenza simultanea di tutte leparticelle implicate nello stesso punto dello spazio, all’aumentare dellamolecolarita’, la probabilita’ che lo stadio elementare avvenga diminuiscemolto rapidamente.

Per questo motivo, sono noti solo stadi elementari di molecolarita’ 1, 2 e3.

Ecco alcuni esempi:

stadio elementare molecolarita’A = prodotti 12A = prodotti 2A + B = prodotti 23A = prodotti 32A + B = prodotti 3A + B + C = prodotti 3

• La velocita’ di uno stadio elementare.

Mentre, come abbiamo piu’ volte sottolineato, la velocita’ di una reazioneglobale non si puo’ prevedere “a tavolino” (proprio perche’ e’ il risultato

188

della combinazione delle velocita’ di tutti gli stadi che costituiscono ilmeccanismo di reazione), per la velocita’ di un singolo stadio elementarela situazione e’ molto piu’ semplice.

• Consideriamo un singolo stadio monomolecolare:

A = prodotti

Siccome il processo consiste in un singolo evento reattivo, in cui una mo-lecola di A si trasforma nei prodotti, e’ evidente che il numero ξ di questieventi reattivi che si verifica nell’unita’ di tempo (per unita’ di volume)deve essere proporzionale alla concentrazione dei “candidati”, cioe’ allaconcentrazione di specie A:

dt= −

d [A]

dt= k [A]

d [A]

dt= −k [A]

Quindi:

la velocita’ di un singolo stadio monomolecolare e’ datada una legge del primo ordine

• Per un processo bimolecolare vale un ragionamento analogo.

A + B = prodotti

Anche in questo caso, siccome la trasformazione di A e B avviene in unsingolo stadio, la velocita’ del processo deve esere proporzionale alla fre-quenza con cui molecole di A si urtano con molecole di B e tale frequenzae’ proporzionale al prodotto delle due concentrazioni. Quindi:

d [A]

dt=

d [B]

dt= −k [A] [B]

Quindi:

la velocita’ di un singolo stadio bimolecolare e’ data dauna legge del secondo ordine

• Il ragionamento si puo’ ripetere per tutti i casi possibili e si arriva allaseguente conclusione:

189

la velocita’ di un singolo stadio elementare segue una legge ci-netica semplice e l’ordine di reazione rispetto a un reagentecoincide con il suo coefficiente stechiometrico

Notate che questa affermazione vale soltanto per uno stadio elementare:infatti solo in tal caso il processo consiste in un singolo evento reattivo.

Se il processo considerato e’ costituito da piu’ stadi elementari, la dipen-denza della velocita’ dalle concentrazioni e’ imprevedibile se, come avvienesempre, non si conosce il meccanismo di reazione.

• Quindi, riassumendo:

stadio elementare velocita’

A = prodotti d[A]dt = −k [A]

2A = prodotti d[A]dt = −k [A]

2

A + B = prodotti d[A]dt = d[B]

dt = −k [A] [B]

3A = prodotti d[A]dt = −k [A]

3

2A + B = prodotti 12

d[A]dt = d[B]

dt = −k [A]2[B]

A + B + C = prodotti d[A]dt = d[B]

dt = d[C]dt = −k [A] [B] [C]

• L’analisi cinetica dei meccanismi di reazione.

• Mentre non e’ possibile ricavare il meccanismo di reazione dalla leggecinetica osservata sperimentalmente, e’ possibile fare il contrario: cioe’ e’possibile ricavare la legge cinetica che si osserverebbe sperimentalmente seil meccanismo di reazione fosse costituito da una certa sequenza di stadielementari.

Come gia’ accennato, questo fatto viene usato negli studi di cinetica perdiscriminare fra varie ipotesi di meccanismo: una volta determinata lalegge cinetica sperimentale, solo le ipotesi di meccanismo che portano aquella legge cinetica possono essere prese in considerazione.

• Anche se cio’ e’ possibile, ricavare la legge cinetica insita in un certo mecca-nismo non sempre e’ facile dal punto di vista matematico, perche’ implicala risoluzione di un sistema di equazioni differenziali.

Per capire meglio, consideriamo un semplice esempio.

• Si trova sperimentalmente che la reazione:

2NO2 + O3 = N2O5 + O2

ha la seguente legge cinetica:

v = −1

2

d [NO2]

dt= −

d [O3]

dt=

d [N2O5]

dt=

d [O2]

dt= k [NO2] [O3]

In primo luogo, questa legge cinetica esclude che la reazione possa consi-stere in un unico stadio trimolecolare, perche’ in tal caso si osserverebbeuna legge cinetica del terzo ordine complessivo:

190

v = k [NO2]2[O3]

• Il meccanismo accettato per la reazione diretta, cioe’ in condizioni tali cheil contributo della reazione inversa sia trascurabile, e’ costituito da 2 stadielementari:

NO2 + O3 = NO3 + O2

NO3 + NO2 = N2O5

• Ci chiediamo: questo meccanismo e’ compatibile con la legge cineticasperimentalmente osservata?

Vogliamo verificare che per avere la risposta a questa domanda si giungead un sistema di equazioni differenziali.

• Ottenere la legge cinetica significa ricavarsi una qualsiasi delle derivate suscritte.

Teniamo presente che siamo nell’ipotesi che entrambi gli stadi proceda-no solo nel verso diretto. Indicate con k1 e k2 le costanti cinetiche delprimo e del secondo stadio, le velocita’ individuali v1 e v2 dei due stadi(elementari!) sono:

v1 = k1 [NO2] [O3]

v2 = k2 [NO2] [NO3]

• Ora, consideriamo la specie O3: essa viene consumata solo nel primo sta-dio. Quindi la velocita’ con cui diminuisce la sua concentrazione deveessere uguale a quella del primo stadio, v1:

−d [O3]

dt= v1

= k1 [NO2] [O3]

d [O3]

dt= −k1 [NO2] [O3]

Come gia’ osservato, siccome la derivata d [O3] /dt e’ negativa, bisognacambiarla di segno per poterla uguagliare alla velocita, definita semprepositiva.

Notate che la conoscenza della derivata di [O3] implica la conoscenza nonsolo di [O3], ma anche di [NO2] (e’ proprio questo fatto che conducenecessariamente ad un sistema).

191

• Ora consideriamo la specie NO2. Qua la cosa e’ un po’ piu’ complica-ta perche’ NO2 viene consumato sia nel primo che nel secondo stadio.La velocita’ con cui [NO2] diminuisce e’ −d [NO2] /dt; dovrebbe esserechiaro che tale velocita’ di scomparsa deve essere uguale alla somma dellevelocita’ del primo e del secondo stadio elementari, cioe’:

−d [NO2]

dt= v1 + v2

d [NO2]

dt= −k1 [NO2] [O3]− k2 [NO2] [NO3]

(di nuovo i segni negativi nascono dal fatto che NO2 viene consumato inentrambi gli stadi)

• In modo analogo si ragiona per tutte le altre specie partecipanti. Dovresteverificare facilmente che, considerando tutte e 5 le specie partecipanti, sipossono scrivere le seguenti corrispondenti equazioni differenziali:

d [O3]

dt= −k1 [NO2] [O3]

d [NO2]

dt= −k1 [NO2] [O3]− k2 [NO2] [NO3]

d [NO3]

dt= k1 [NO2] [O3]− k2 [NO2] [NO3]

d [O2]

dt= k1 [NO2] [O3]

d [N2O5]

dt= k2 [NO2] [NO3]

• Come preannunciato, questo e’ un sistema di 5 equazioni differenziali nelle5 funzioni incognite [NO2], [O3], [NO3], [O2], [N2O5].

• Tuttavia, solo 2 derivate delle 5 su scritte sono indipendenti.

Infatti, combinando i secondi membri delle equazioni, potete verificarefacilmente che:

d [NO3]

dt= (−2)×

d [O3]

dt+

d [NO2]

dtd [O2]

dt= −

d [O3]

dtd [N2O5]

dt=

d [O3]

dt−

d [NO2]

dt

e quindi il sistema si riduce a:

192

d [O3]

dt= −k1 [NO2] [O3]

d [NO2]

dt= −k1 [NO2] [O3]− k2 [NO2] [NO3]

• In generale, si puo’ dimostrare che il numero di equazioni differenzia-li indipendenti e’ sempre uguale al numero degli stadi elementari checostituiscono il meccanismo della reazione.

• Qui c’e’ ancora un problema: il sistema e’ costituito da 2 equazioni, macontiene 3 incognite: [O3], [NO2] e [NO3]. D’altro canto, abbiamo ap-pena visto che le 3 equazioni scartate erano tutte combinazioni delle 2rimaste. Ci deve quindi essere una terza relazione indipendente che legale 3 incognite.

Effettivamente questa terza relazione ci e’ fornita da un bilancio di massa,per formulare il quale dobbiamo fare un’ipotesi sulle condizioni iniziali.Supponiamo che all’inizio, t = 0, siano presenti solo NO2 e O3 in concen-trazione, rispettivamente, C◦NO2

e C◦O3(per condizioni iniziali diverse, si

ragiona in modo analogo).

Allora, per la concentrazione di NO3 in qualsiasi istante, possiamo dire(riportiamo le equazioni che descrivono i due stadi elementari per maggiorcomodita’):

NO2 + O3 = NO3 + O2

NO3 + NO2 = N2O5

[NO3] = [NO3]formato − [NO3]consumato

= [O3]reagito − [NO2]reagito nel secondo stadio

=(C◦O3− [O3]

)−(

[NO2]reagito totale − [NO2]reagito nel primo stadio

)

=(C◦O3− [O3]

)−((

C◦NO2− [NO2]

)− [O3]reagito

)

=(C◦O3− [O3]

)−((

C◦NO2− [NO2]

)−(C◦O3− [O3]

))

[NO3] = 2(C◦O3− [O3]

)−(C◦NO2

− [NO2])

• In definitiva, per ricavare la derivata di [O3] e/o [NO2] e quindi la leggecinetica, bisogna risolvere il seguente sistema, come avevamo preannun-ciato:

193

d [O3]

dt= −k1 [NO2] [O3]

d [NO2]

dt= −k1 [NO2] [O3]− k2 [NO2] [NO3]

[NO3] = 2(C◦O3− [O3]

)−(C◦NO2

− [NO2])

• La risoluzione di sistemi di equazioni differenziali solo raramente si puo’condurre per via analitica.

Tuttavia, per i sistemi che si originano dai meccanismi di reazione, sipossono fare delle assunzioni che semplificano di molto il problema diriavare la legge cinetica dal meccanismo.

• L’approssimazione dello stadio lento.

• Se in un meccanismo di reazione uno stadio e’ molto piu’ lento di tutti glialtri, allora, con buona approssimazione, si puo’ assumere che la velocita’della reazione globale (cioe’ la legge cinetica osservata sperimentalmente)coincida con quella dello stadio lento, che per questo motivo viene anchedetto stadio cineticamente determinante.

• Notate che questo concetto e’ del tutto generale e non ristretto alla chi-mica.

Se in un supermercato il pagamento alla cassa e’ lo “stadio” piu’ lentodell’intero processo, la velocita’ con cui la gente esce dal supermercatonon puo’ essere superiore a quella con cui la gente paga alle casse, anchese la velocita’ con cui i clienti riempiono i carrelli prima di arrivare in cassae’ molto maggiore (in tal caso si avra’ un accumulo di clienti alle casse).

Se il traffico di automobili si svolge lungo una strada a 6 corsie che pero’si restringe su un ponte a 1 sola corsia, la velocita’ con cui le automobiligiungono a destinazione non puo’ essere superiore a quella con cui esconodal ponte.

• Vediamo cosa implica l’applicazione di questa approssimazione al casodella reazione vista prima.

Se supponiamo che il primo stadio sia molto piu’ lento del secondo, cioe’che sia: k1 � k2, allora la velocita’ dell’intera reazione puo’ essere as-sunta uguale a quella dello stadio lento, cioe’ il primo. Quindi otteniamoimmediatamente la legge cinetica:

v = v1

v = k1 [NO2] [O3]

che coincide con quella osservata sperimentalmente. Inoltre, se questaipotesi e’ corretta, la costante cinetica sperimentale coincide con quelladello stadio lento, k1.

194

• Si puo’ quindi concludere che il meccanismo proposto, con k1 � k2, e’compatibile con la legge cinetica osservata.

Notate che questo non esclude che esistano altri meccanismi, diversi daquello correntemente accettato, in grado di spiegare la legge cinetica spe-rimentale.

• L’approssimazione dello stato stazionario.

• Quando l’approssimazione dello stadio lento non e’ applicabile, spessoe’ possibile fare un’altra assunzione semplificatrice: la velocita’ con cuicambiano le concentrazioni degli intermedi di reazione e’ prossima a zero.

In simboli, se I e’ un generico intermedio di reazione, l’assunzione implicache, dopo un breve periodo di tempo dall’inizio della reazione, si possaporre:

d [I]

dt= 0

Quindi questa approssimazione consiste nell’assumere che la concentrazio-ne degli intermedi sia essenzialmente costante, cioe’ che gli intermedi sitrovino in un stato stazionario, da cui il nome.

• Possiamo apprezzare l’utilita’ di questa approssimazione nel trattamentoanalitico del seguente meccanismo a due stadi consecutivi:

A = I

I = P

A = P

Supponiamo, cioe’, che A si trasformi in P formando pero’ un intermediodi reazione I.

Supponiamo che in ciascuno stadio elementare la reazione inversa siatrascurabile e che all’inizio sia presente solo A in concentrazione C◦A.

• Se vogliamo ricavare l’espressione delle concentrazioni di tutte le speciepartecipanti in funzione del tempo, dobbiamo risolvere il seguente sistema:

d [A]

dt= −k1 [A]

d [I]

dt= k1 [A]− k2 [I]

[A] + [I] + [P ] = C◦A (bilancio di massa)

La soluzione della prima equazione differenziale e’ banale:

[A] = C◦A exp (−k1t)

195

Inserendo l’espressione di [A] ricavata dalla prima equazione nella seconda:

d [I]

dt= k1C

A exp (−k1t)− k2 [I]

Questa equazione e’ risolvibile analiticamente, ma la risoluzione e’ moltopiu’ pesante.

• L’applicazione dell’approssimazione dello stato stazionario rende le cosemolto piu’ semplici.

Infatti, assumendo d [I] /dt = 0, il sistema diventa:

d [A]

dt= −k1 [A]

0 = k1 [A]− k2 [I]

[A] + [I] + [P ] = C◦A

cioe’, in pratica, abbiamo trasformato la seconda equazione differenzialein una semplice equazione algebrica.

E allora, come prima:

[A] = C◦A exp (−k1t)

ma, ora, trovare le altre due concentrazioni e’ molto piu’ semplice:

[I] =k1

k2C◦A exp (−k1t)

[P ] = C◦A − [A]− [I]

= C◦A − C◦A exp (−k1t)−k1

k2C◦A exp (−k1t)

[P ] = C◦A

(

1−k2 − k1

k2exp (−k1t)

)

• Nella figura qui sotto confrontiamo la soluzione esatta con quella appros-simata (a parita’ di valori per C◦A, k1 e k2): si vede che la soluzioneapprossimata per [I] e [P ] si accorda molto bene con quella esatta, dopoun primo breve intervallo di tempo.

196

[A]

[P ]approx

[P ]

[I]approx

[I]

tempo

conce

ntr

azi

one

[A]

[P ]approx

[P ]

[I]approx

[I]

tempo

conce

ntr

azi

one

[A]

[P ]approx

[P ]

[I]approx

[I]

tempo

conce

ntr

azi

one

[A]

[P ]approx

[P ]

[I]approx

[I]

tempo

conce

ntr

azi

one

[A]

[P ]approx

[P ]

[I]approx

[I]

tempo

conce

ntr

azi

one

Notate anche che a tempi molto piccoli, la soluzione approssimata e’ deci-samente non fisica: per esempio, la concentrazione dell’intermedio a t = 0non e’ nulla e la concentrazione del prodotto P diventa negativa. Cio’ e’dovuto al fatto che l’approssimazione dello stato stazionario richiede chesia trascorso un primo tempo di induzione affinche’ la concentrazione dellaspecie intermedia abbia potuto raggiungere lo stato (pseudo–)stazionario.

• L’approssimazione del pre-equilibrio.

• Quando nel meccanismo di reazione uno stadio veloce e’ seguito da unostadio molto piu’ lento, si puo’ assumere che lo stadio veloce abbia il tempodi raggiungere l’equilibrio.

Anche questa circostanza consente una grande semplificazione del tratta-mento cinetico perche’ le concentrazioni delle specie che stanno (quasi) inequilibrio sono legate dalla legge dell’azione di massa.

• Vediamo un esempio.

Consideriamo il caso visto prima, ma ora ammettiamo che nel primo stadiosia la reazione diretta che quella inversa siano molto piu’ rapide dellareazione diretta del secondo stadio e quindi il primo stadio raggiungal’equilibrio:

A I

I → P

A = P

Indichiamo con:

C◦A la concentrazione iniziale di Ak1 la costante cinetica della reazione diretta del primo stadiok−1 la costante cinetica della reazione inversa del primo stadiok2 la costante cinetica della reazione diretta del secondo stadioK la costante di equilibrio del primo stadio

197

Il trattamento rigoroso di questo problema cinetico richiede la soluzionedel seguente sistema:

d [A]

dt= −k1 [A] + k−1 [I]

d [I]

dt= k1 [A]− k−1 [I]− k2 [I]

[A] + [I] + [P ] = C◦A

che e’ piuttosto laboriosa.

• Se pero’ assumiamo che il primo stadio sia in equilibrio, allora la leggecinetica si ricava in modo banale.

Infatti:

[I]

[A]= K =

k1

k−1

[I] =k1

k−1[A]

Allora la velocita’ della reazione globale risulta:

v

(

=d [P ]

dt

)

= k2 [I]

= k2k1

k−1[A]

cioe’ una legge cinetica del primo ordine in cui la costante cinetica osserva-ta k e’ una combinazione delle tre costanti cinetiche degli stadi elementaricomponenti:

k = k2k1

k−1

• Notate che con questa approssimazione non e’ possibile calcolare le con-centrazioni di A, I e P . Ad esempio, per la concentrazione di A siavrebbe:

d [A]

dt= −k1 [A] + k−1 [I]

= −k1 [A] + k−1k1

k−1[A]

= 0

198

cioe’: la concentrazione di A e’ prevista costante e indipendente dal tempo.Cio’ e’ chiaramente non fisico e deriva direttamente dall’assunzione dellostato di equilibrio per il primo stadio (se il primo stadio e’ all’equilibrio,le concentrazioni di A e I devono essere costanti, per definizione).

L’utilita’ di questa approssimazione sta’ nel fatto che consente di ricavareimmediatamente la legge cinetica senza dover fare praticamente nessuntipo di manipolazione matematica.

• Il meccanismo di Lindemann-Hinshelwood.

• Questo meccanismo venne proposto, ed e’ tuttora accettato per molti casi,per spiegare le leggi cinetiche del primo ordine.

Ad esempio, per la reazione di isomerizzazione del ciclopropano a propene:

CH2 CH2

C111111

H2

������

= CH3 CH CH2

si trova che la legge cinetica e’ del primo ordine:

v = k [ciclo-C3H6]

• Comunque la si veda, una cinetica del primo ordine pone il seguenteproblema. Se una molecola deve reagire da sola, dove prende l’energianecessaria a superare la barriera di attivazione? Essa deve chiaramen-te collidere con un’altra molecola. Ma allora, come puo’, da un proces-so fondamentalmente bimolecolare, emergere una legge cinetica del primoordine?

Lindemann e Hinshelwood diedero la seguente soluzione a questo appa-rente paradosso.

• La molecola del reagente A acquista energia tramite un urto contro un’al-tra molecola in un primo stadio bimolecolare reversibile:

A + A

k1

−→←−k−1

A∗ + A

La specie A∗ e’ la molecola di A “energizzata”.

Oltre che reagire nel processo inverso governato da k−1, la specie A∗ puo’decadere nel prodotto finale P con uno stadio irreversibile monomolecola-re:

A∗k2−→ P

199

• Vediamo come da questo meccanismo si possa effettivamente dedurre unalegge cinetica del primo ordine.

La velocita’ della reazione globale e’:

v =d [P ]

dt= k2 [A∗]

La specie reattiva A∗ viene prodotta dalla reazione diretta del primo sta-dio e consumata sia dalla reazione inversa del primo stadio che dal secon-do stadio. Quindi, per la variazione della sua concentrazione, possiamoscrivere:

d [A∗]

dt= k1 [A]2 − k−1 [A] [A∗]− k2 [A∗]

Ora applichiamo l’approssimazione dello stato stazionario alla specie A∗:

d [A∗]

dt= 0 = k1 [A]

2 − k−1 [A] [A∗]− k2 [A∗]

[A∗] =k1 [A]

2

k−1 [A] + k2

per cui la legge cinetica diventa:

v = k2 [A∗]

v = k2k1 [A]

2

k−1 [A] + k2

• Ora: questa non e’ una legge cinetica del primo ordine, ma lo diventa seil secondo stadio e’ molto piu’ lento del processo inverso del primo stadio:

k−1 [A] � k2

v ≈ k2k1

k−1[A]

che e’ una cinetica del primo ordine con:

k = k2k1

k−1

200

• Questo meccanismo prevede anche che, per concentrazioni sufficientementebasse di A, la legge cinetica diventi del secondo ordine:

k−1 [A] � k2

v ≈ k1 [A]2

Uno degli aspetti piu’ convincenti del meccanismo di Lindemann e Hin-shelwood e’ che per moltissime cinetiche del primo ordine si trova ef-fettivamente una transizione ad un regime del secondo ordine a basseconcentrazioni.

201