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PRESENTAZIONE 9 CAP. 1 IL RUOLO PROFESSIONALE DELL’ASSISTENTE SOCIALE 11 Letture scelte 11 Profilo di un’area pluriprofessionale: il lavoro sociale 11 Cos’è il lavoro sociale. La definizione approvata a Montreal nel 2000 17 Gli spazi degli assistenti sociali. Sfide e prospettive 29 Alcune prove già assegnate 39 Mappe concettuali 41 CAP. 2 L’ETICA PROFESSIONALE: VALORI E PRINCIPI DELL’ASSISTENTE SOCIALE 43 Letture scelte 43 I valori del servizio sociale: fondamenti filosofici 43 Gli aspetti etici nelle decisioni dell’assistente sociale 59 Scheda 2.1. Codice deontologico dell’Assistente Sociale 66 I buoni rapporti professionali 73 Scheda 2.2. Il segreto professionale 85 Alcune prove già assegnate 91 Mappe concettuali 92 CAP. 3 IL LAVORO SUL CASO 95 Letture scelte 95 Cos’è l’assessment 95 L’analisi dei bisogni di una famiglia 104 La valutazione dei bisogni degli anziani 113 Il problem-solving: un metodo per risolvere i problemi 116 La programmazione dell’intervento 118 L’intervento a livello individuale 124 Gli interventi con l’anziano in momenti di crisi 136 Valutazione finale e conclusione dell’intervento 147 La documentazione nel servizio sociale e i rischi legali 151 La funzione di controllo nel servizio sociale 161 Alcune prove già assegnate 169 Mappe concettuali 171 Indice

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PRESENTAZIONE 9

CAP. 1 IL RUOLO PROFESSIONALE DELL’ASSISTENTE SOCIALE 11 Letture scelte 11

Profilo di un’area pluriprofessionale: il lavoro sociale 11 Cos’è il lavoro sociale. La definizione approvata a Montreal nel 2000 17 Gli spazi degli assistenti sociali. Sfide e prospettive 29 Alcune prove già assegnate 39 Mappe concettuali 41

CAP. 2 L’ETICA PROFESSIONALE: VALORI E PRINCIPI DELL’ASSISTENTE SOCIALE 43 Letture scelte 43 I valori del servizio sociale: fondamenti filosofici 43 Gli aspetti etici nelle decisioni dell’assistente sociale 59 Scheda 2.1. Codice deontologico dell’Assistente Sociale 66 I buoni rapporti professionali 73 Scheda 2.2. Il segreto professionale 85 Alcune prove già assegnate 91 Mappe concettuali 92

CAP. 3 IL LAVORO SUL CASO 95 Letture scelte 95 Cos’è l’assessment 95 L’analisi dei bisogni di una famiglia 104 La valutazione dei bisogni degli anziani 113 Il problem-solving: un metodo per risolvere i problemi 116 La programmazione dell’intervento 118 L’intervento a livello individuale 124 Gli interventi con l’anziano in momenti di crisi 136 Valutazione finale e conclusione dell’intervento 147 La documentazione nel servizio sociale e i rischi legali 151 La funzione di controllo nel servizio sociale 161 Alcune prove già assegnate 169 Mappe concettuali 171

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CAP. 4 IL COLLOQUIO DI AIUTO E LA VISITA DOMICILIARE 177 Letture scelte 177 Cos’è il colloquio di aiuto 177 Scheda 4.1. Gli atteggiamenti nel colloquio di aiuto 183 La relazione professionale di aiuto 188 Scheda 4.2. La visita domiciliare 197 Alcune prove già assegnate 199 Mappe concettuali 200

CAP. 5 IL LAVORO CON I GRUPPI 203 Letture scelte 203 La fase di programmazione nel lavoro con i gruppi 203 I gruppi di auto/mutuo aiuto 222 Alcune prove già assegnate 228 Mappe concettuali 229

CAP. 6 IL LAVORO DI COMUNITÀ E LA CONOSCENZA DEL TERRITORIO 231 Letture scelte 231 Cos’è il lavoro di comunità 231 Il lavoro sociale di comunità: costruire il progetto e scoprire che cosa vogliono le persone 238 Alcune prove già assegnate 253 Mappe concettuali 254

CAP. 7 LE RETI, IL LAVORO DI RETE E IL LAVORO INTERPROFESSIONALE 257 Letture scelte 257 La programmazione di interventi sociali nel metodo di rete 257 Quando un intervento è di rete? 270 Cosa sono le reti sociali 274 La collaborazione con altri operatori nel lavoro con gli anziani 289 Lavoro di équipe e lavoro di rete nel welfare mix: differenti stili di interazione e di coordinamento 294 Scheda 7.1. L’integrazione sociosanitaria 303 Alcune prove già assegnate 305 Mappe concettuali 307

CAP. 8 LE POLITICHE DI WELFARE 311 Letture scelte 311 La liberalizzazione nei servizi sociali: oltre il mercato 311 Globalizzazione e logiche di mercato nel servizio sociale 327 Principio di sussidiarietà e politiche sociali 335 Scheda 8.1. Sintesi dei contenuti della L. 328/00 343

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Perché il Terzo settore è una risorsa per la società 349 Scheda 8.2. Il Terzo settore 353 Cos’è la community care 355 La deistituzionalizzazione dei minori tra storia e futuro 360 Comunità di accoglienza e sistema dei servizi 370 I dilemmi della deistituzionalizzazione dei minori 376 Alcune prove già assegnate 386 Mappe concettuali 388

CAP. 9 L’EMPOWERMENT E LA PARTECIPAZIONE DEI CITTADINI 393 Letture scelte 393 Cos’è l’empowerment 393 I nuovi movimenti sociali degli utenti e dei carer 401 Ente pubblico e cittadini: insieme per un nuovo welfare 414 Alcune prove già assegnate 418 Mappe concettuali 419

PRINCIPALI NORME DI LEGGE 421

100 DOMANDE PER IL RIPASSO 429

BIBLIOGRAFIA 433

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2Il lavoro sul caso

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Cos’è l’assessment*Maria Luisa Raineri (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)

Premessa

L’assessment è una delle competenze più importanti esercitate dal servizio sociale professionale. Signifi ca «valutazione» e «accertamento» di fatti e situazioni in vista di un giudizio discrezionale e quindi di una presa di decisione ponderata. Tale giudizio/decisio-ne può essere un atto in sé conchiuso (ad esempio, una relazione al tribunale in merito alle capacità genitoriali di una coppia con problemi di tossicodipendenza) oppure può essere un momento preliminare a una successiva presa in carico più mirata (ad esempio, un primo colloquio di «screening» in un consultorio familiare) oppure la fase iniziale di un intervento di aiuto articolato e prolungato nel tempo, dove l’operatore ha la necessità di effettuare una valutazione intera di una situazione complessa prima di impostare un intervento professionale appropriato. In quest’ultima accezione, l’assessment viene defi -nito convenzionalmente come «valutazione iniziale». Questo genere di assessment va di-stinto da altri tipi di valutazioni che si possono rendere necessarie all’interno di interventi strutturati, come il monitoraggio (monitoring), cioè il controllo del buon andamento nel tempo di un piano di lavoro messo in atto, e la valutazione fi nale (evaluation), cioè la verifi ca del raggiungimento del risultato prefi ssato o della sua qualità intrinseca.

Pur con inevitabili sovrapposizioni, è possibile distinguere diversi tipi di assessment in relazione alla loro fi nalità prevalente, che ne orienta il contenuto (valutazione dei bisogni, valutazione del rischio, valutazione di accesso alle prestazioni). Queste va-

> LETTURE SCELTE

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* Pubblicato in «Lavoro Sociale», vol. 2, n. 3, dicembre 2002, pp. 415-424 (Voce di dizionario «Assessment»).

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96 ASSISTENTE SOCIALE DOMANI – VOLUME 1

lutazioni possono essere condotte esclusivamente dall’assistente sociale, oppure venire effettuate in contemporanea con una pluralità di professionisti (assessment multipro-fessionale).

Un altro tipo di distinzione può venir operata fra un assessment direttivo «centrato sugli esperti», cioè basato esclusivamente sul punto di vista professionale che può anche divergere da quello delle persone direttamente coinvolte nella situazione, e un assess-ment relazionale, tendenzialmente condiviso, in cui la definizione del problema tiene con-to dell’opinione dei diretti interessati. Alcuni tipi di assessment di seguito trattati rientrano a maggior titolo nella prima categoria (come la valutazione di accertamento o di accesso alle prestazioni), altri nella seconda (in particolare l’agency assessment).

Assessment come accertamento

Consiste nella raccolta e nell’analisi delle informazioni volte ad accertare la situazione di una persona o di un nucleo familiare. La raccolta delle informazioni riguarda anzitutto fatti rilevabili in maniera il più possibile oggettiva: ad esempio il livello di reddito di una famiglia, o se i genitori di un bambino mantengono regolari contatti con la scuola, se si curano che vesta in maniera adatta alla stagione e che mangi regolarmente, o ancora se l’ambiente domestico in cui vive un anziano è riscaldato a sufficienza, se la sua igiene personale è adeguata, e così via.

Accanto a questi dati, per un accertamento è in genere necessario sondare anche il punto di vista delle persone rispetto a se stesse, alla propria situazione e a quella di eventuali altri individui di cui si prendono (o si dovrebbero/vorrebbero prendere) cura. Ad esempio, nell’accertamento relativo a un minore è importante rilevare anche l’atteg-giamento dei genitori circa i figli, l’importanza che attribuiscono ai vari aspetti della loro vita (Reder e Lucey, 1995).

Mettendo insieme questi due ordini di informazioni, l’assistente sociale elabora un giudizio professionale, il cui focus varia a seconda dell’utilizzo che di seguito ne verrà fatto. Se l’assessment viene effettuato, ad esempio, su richiesta dalla procura minorenni per un procedimento civile la valutazione sarà orientata ad evidenziare se, a parere del-l’assistente sociale, vi siano o meno trascuratezza o abuso. O, nei servizi penitenziari, si tratterà di valutare se la persona in questione appare ravveduta e può essere ammessa alle misure alternative alla detenzione. In altri casi, il giudizio riguarda il fatto che una famiglia o un individuo abbiano i requisiti per ricevere determinate prestazioni.

Questo tipo di assessment può concludersi in se stesso (la relazione scritta di valu-tazione viene inviata all’autorità giudiziaria, e l’assistente sociale non è più chiamato in causa) oppure può risultare parte di un processo più ampio. In ogni caso, l’elemento che caratterizza l’accertamento è la sua centratura sull’operatore. Benché l’assistente socia-le rilevi anche il punto di vista dei diretti interessati, l’esito di un accertamento formale è una sua responsabilità, e può anche non risultare condivisa dalle persone in questione.

Finché questa condivisione non è richiesta, o non è possibile o non si riesce a rag-giunge, allora l’eventuale intervento che seguirà sarà connotato dal controllo, piuttosto che dall’aiuto.

La dimensione di accertamento è presente in qualsiasi intervento complesso di ser-vizio sociale. In sostanza essa assolve alla necessità di disporre di dati precisi cosicché

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l’operatore, eventualmente assieme ad altri soggetti, possa maturare decisioni informate circa la situazione da affrontare. Nell’ambito del lavoro sociale l’accertamento oggettivo di realtà «precise» che esistono o sono accadute è solo una delle preoccupazioni del-l’operatore, posto che nel sociale, come vedremo, sono altrettanto importanti i giudizi soggettivi delle varie persone coinvolte nelle situazioni. È da notarsi la differenza con la tradizione medica, in cui la dimensione dell’accertamento oggettivo è preponderante, so-prattutto nella fase iniziale dove tale procedimento è noto con il termine, spesso confuso con l’assessment sociale, di «diagnosi» (esiste una patologia? di che tipo è? ecc.).

Assessment come valutazione del rischio («risk assessment»)

È il procedimento fi nalizzato a valutare se è probabile che si verifi chi un dato fatto o una data situazione pericolosa per il benessere di un certo individuo o per la collettività.

Comprende gli stessi elementi di contenuto dell’accertamento (fatti oggettivi e idee dei diretti interessati), con la differenza che la valutazione guarda al futuro, piuttosto che al presente. Ad esempio, la situazione di una persona con disabilità cognitive può risultare al momento soddisfacente, ma il fatto che debba restare sola a casa tutti i fi ne settimana la espone al pericolo di non sentirsi bene o di avere un incidente domestico senza essere in grado di chiedere aiuto. Oppure, un minore che dopo ripetute bocciature sta concludendo la scuola dell’obbligo può non trovarsi in una vera e propria situazione di trascuratezza. Ma se i suoi genitori non si preoccupano affatto di cosa farà poi, è facile che si trovi senza un impegno preciso e fi nisca per passare il tempo in strada o che resti a casa, isolato dai suoi coetanei.

Come l’accertamento, anche l’assessment del rischio consiste in un giudizio profes-sionale dell’operatore, che può o meno risultare condiviso dai diretti interessati e può risultare orientato al successivo sviluppo di un processo di aiuto (o di un intervento di controllo) oppure può costituire un’elaborazione esclusiva. È questo il caso in cui l’opera-tore deve pronunciarsi circa la pericolosità per sé o per gli altri di una persona instabile (Hopton, 1998). In queste situazioni il giudizio sarà formulato in stretto raccordo con una diagnosi psichiatrica. All’operatore sociale potrebbe essere richiesto un giudizio «ecologi-co», cioè sul grado di qualità e sicurezza dell’ambiente sociale in cui la persona a rischio di comportamenti pericolosi si trova a vivere.

Assessment come valutazione del bisogno («need assessment»)

È orientato a individuare quale bisogno prevalente, o quale insieme di bisogni insod-disfatti, presenta un dato individuo, nucleo familiare o collettività. Dato che i problemi di cui si occupa il servizio sociale sono ancora sostanzialmente concepiti in termini di biso-gni insoddisfatti, la loro valutazione costituisce una componente fondamentale nell’attivi-tà degli assistenti sociali risulta fortemente connessa a qualsiasi altro tipo di assessment.

Non vi sono particolari aree di bisogno di stretta competenza degli operatori sociali, così come nessuna è del tutto estranea al loro interesse. Infatti, un tratto caratterizzante del servizio sociale è il considerare le necessità di vita di una persona nel loro insieme, e nelle loro interrelazioni. Anche quando il processo di aiuto si focalizza poi su diffi coltà

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98 ASSISTENTE SOCIALE DOMANI – VOLUME 1

legate a una necessità specifica, la finalità è comunque il miglioramento complessivo della qualità della vita delle persone interessate. L’assessment dei bisogni è quindi un processo a largo raggio, concettualmente distinguibile dalla decisione di lavorare per risolvere uno specifico problema. Come tale, prende tendenzialmente in considerazione l’intero venta-glio delle necessità personali, sia legate alla sopravvivenza fisica che all’autorealizzazione personale: quelle economiche, quelle legate alla gestione della salute ed alla propria sicurezza, quelle abitative e di gestione della quotidianità, il bisogno di contatti sociali, di relazioni affettive, di istruzione e via dicendo.

L’ambito di competenza professionale del servizio sociale è definibile in base alle conseguenze che la mancata soddisfazione di un bisogno essenziale ha sulla qualità di vita delle persona. Se la mancata risposta a una o più necessità non consente all’utente il mantenimento di un certo standard di qualità della vita, allora il problema può rientrare fra quelli di cui si occupano gli operatori sociali. Ad esempio, un eventuale «bisogno di istruzione insoddisfatto» può riguardare un immigrato che non riesce a esprimersi in ita-liano, o ancora un bambino di dieci anni che si presenta a scuola solo ogni tanto e che nessuno segue nei compiti, oppure un adulto che lavora, vorrebbe iscriversi all’università ma non è in condizione di affrontarne l’impegno perché deve occuparsi della sua fami-glia. Sicuramente i primi due casi rientrano nel mandato professionale di un operatore sociale, con tutta probabilità l’ultimo invece no.

Quando si devono valutare i bisogni insoddisfatti di un vasto gruppo di persone (ad esempio, di un’intera comunità locale) può essere ragionevole riferirsi a parametri rela-tivamente standardizzati, definiti in base alle condizioni medie di vita della popolazione. Nell’assessment dei bisogni relativo a un singolo individuo o a un nucleo familiare, inve-ce, difficilmente la comparazione con i parametri standard (individuati con procedimenti che seguono logiche statistiche) costituisce, da sola, un base di valutazione sufficiente. Un nodo critico rilevante è costituito dalla distinzione fra bisogni definiti dall’operatore (accertamento), che sulla base di criteri più o meno codificati individua le necessità cui, a suo parere, si dovrebbe far fronte; bisogni percepiti dai diretti interessati, vale a dire ciò che le persone desiderano per se stesse e per i loro congiunti; bisogni espressi, cioè esplicitati all’operatore traducendoli in una generica domanda di aiuto o nella richiesta di specifiche prestazioni.

Un assistente sociale, osservando «dall’esterno» una situazione, può ritenere vi siano necessità insoddisfatte che la fanno ricadere al di sotto del livello di qualità della vita rite-nuto accettabile. Tuttavia non è detto che la persona direttamente interessata si consideri in stato di bisogno, ritenga quello standard desiderabile per se stessa. Oppure, pur rico-noscendosi in difficoltà, non vuole alcun supporto professionale. Ciò solleva il delicato problema del rispetto dell’autodeterminazione. La persona in questione è effettivamente in grado di percepire quei bisogni? Possiamo ritenere che scelga consapevolmente di non volerli soddisfare? Fino a che punto è ragionevole ed eticamente corretto insistere o lasciar perdere nel cercare di costruire il suo consenso a intervenire? Oltretutto, nelle situazioni da valutare sono quasi sempre coinvolte più persone, ognuna delle quali può avere una sua idea — diversa dagli altri — su quali siano le necessità da affrontare.

Ad esempio, un anziano con gravi problemi di mobilità, che non esce mai di casa e vede solo la figlia che vive con lui, potrebbe non essere d’accordo con l’assistente sociale sul fatto che avrebbe bisogno di maggiori contatti sociali, oltre che di una migliore igiene personale (bisogni definiti dall’operatore). D’altra parte, la sua carer principale potrebbe

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essere esasperata dall’impegno di assisterlo e in ansia perché non ha le forze per farlo bene (bisogni percepiti), e chiedere all’assistente sociale parecchie ore di assistenza do-miciliare in modo da avere un po’ di sollievo (bisogno espresso).

Un secondo nodo critico consiste nella distinzione fra assessment guidato dai bisogni (needs-led assessment) e assessment guidato dalle prestazioni (services-led assessment). Nel primo, i bisogni delle persone sono espresse in termini di specifi che necessità di vita. Nel secondo, i bisogni sono indicati defi nendo le prestazioni che, secondo l’assistente sociale, potrebbero soddisfarli. Affermare che un minore «ha bisogno» di essere inserito in un centro diurno oppure che un anziano «ha bisogno» del servizio pasti a domicilio signifi ca effettuare una valutazione centrata sulle prestazioni. La valutazione centrata sui bisogni potrebbe invece suonare come «il minore ha bisogno di essere seguito nel fare i compiti» e «il signor Rossi ha bisogno di un pasto caldo regolare».

Mettere davanti immediatamente le prestazioni chiude la strada all’esplorazione di strategie diverse. Per dare risposta al bisogno di un minore di essere seguito nei compiti, si potrebbe ad esempio organizzare l’intervento di un educatore domiciliare, oppure cer-care la collaborazione di un volontario che si rechi a casa sua, o ancora accordarsi con una famiglia che lo accolga nel pomeriggio, o far avere ai suoi genitori un sostegno eco-nomico per pagare qualche ora a una maestra, o altro ancora. Se però dall’assessment risulta soltanto che il minore ha bisogno del centro diurno, modalità di risposta diverse non vengono neppure prese in considerazione. Questo costituisce un problema se, per qualche motivo, la prestazione indicata non è disponibile oppure se i genitori o il bambi-no non vogliono usufruirne. Oppure può succedere che l’operatore non rilevi neppure il bisogno effettivo, per il fatto che non c’è la prestazione corrispondente. Ad esempio, se nella zona non ci sono centri diurni e non sono previsti neppure interventi di educativa domiciliare, l’assistente sociale potrebbe limitarsi a verifi care che la situazione non è così pesante da giustifi care il ricorso all’unico servizio disponibile (poniamo sia una comunità alloggio) e non cercare alcuna altra risposta.

In Gran Bretagna, l’assessment guidato dalle prestazioni è stato duramente criticato per il suo effetto di incremento della spesa pubblica. Se i bisogni espressi dagli utenti di un dato territorio vengono defi niti dagli operatori in termini di prestazioni, i dati relativi alle richieste risultate inevase per mancanza di fondi possono venire utilizzati dalle am-ministrazioni locali per chiedere, anche indebitamente, maggiori risorse economiche al governo centrale. Le richieste inevase potrebbero però risultare decisamente inferiori se gli assistenti sociali, invece di limitarsi a «prescrivere» una prestazione a fi nanziamento pubblico e constatare che essa non è disponibile, cercassero anche vie alternative per soddisfare il bisogno sotteso alla richiesta.

L’assessment dei bisogni costituisce la prima fondamentale fase delle procedure di case management introdotte con la riforma della community care, nelle quali si sottoli-nea con forza la necessità di tenere ben distinto l’assessment dei bisogni dalle successive decisioni circa l’acquisto delle prestazioni necessarie per una data persona in diffi coltà. Questa modalità, oltre che limitare la spesa, porterebbe a costruire risposte migliori ai bisogni degli utenti, sollecitando una maggiore fl essibilità ed evitando erogazioni stan-dardizzate, in modo da mettere insieme «pacchetti assistenziali» tagliati su misura della singole situazioni e composti non necessariamente solo con prestazioni pubbliche, ma anche di mercato e di Terzo settore. Tuttavia, a un decennio dalla riforma, sembra che le esigenze di contenimento della spesa prevalgano nettamente su quelle di individua-

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100 ASSISTENTE SOCIALE DOMANI – VOLUME 1

lizzazione dell’assistenza. La possibilità di conciliare razionalizzazione delle risorse con erogazioni flessibili e personalizzate appare tutt’altro che scontata.

Assessment come controllo di accesso alle prestazioni («gatekeeping»)

Questa modalità di assessment consiste nel valutare se una persona ha diritto a una certa prestazione erogabile dal sistema di welfare o direttamente, attraverso servizi pub-blici, o indirettamente tramite specifici finanziamenti a soggetti privati, di mercato o di Terzo settore. Le circostanze di vita di un individuo o di una famiglia vengono esaminate per confrontarle con i criteri di eleggibilità stabiliti dall’ente: attraverso questo processo, quindi, avviene la «trasformazione» di una persona da privato cittadino, le cui necessità non sono direttamente rilevanti per l’ente pubblico, a utente, cioè un soggetto portatore di bisogni cui il sistema di welfare può (o deve) dare risposta.

La valutazione di accesso alle prestazioni è dunque una funzione tipica degli assistenti sociali che lavorano nelle pubbliche amministrazioni. Attraverso questo tipo di assess-ment essi concorrono al procedimento amministrativo finalizzato a mettere in atto le de-cisioni di politica sociale riguardo la distribuzione delle risorse. La valutazione di accesso alle prestazioni è quindi un’operazione che risponde non tanto all’interesse del singolo, quanto piuttosto a quello dell’ente e della collettività che, attraverso il gettito fiscale, ne garantisce il finanziamento: si tratta di allocare i fondi in maniera equa, evitando di desti-narli a chi non ne ha «veramente» bisogno.

Ovviamente i criteri di accesso alle prestazioni sono orientati a favorire chi presenta le situazioni di bisogno effettivamente più gravi, o almeno questo è l’obiettivo dichiarato con il quale vengono costruiti. In sostanza, chi può «farcela da solo» non viene ammesso all’erogazione. Questa strategia richiama da vicino il principio deontologico che vincola al rispetto dell’autonomia della persona e all’evitare interventi assistenzialistici (vale a dire, interventi che sostituiscono le persone in ciò che sarebbero capaci di gestire auto-nomamente). Ciò può ingenerare negli operatori la convinzione che rispettare rigorosa-mente i criteri di accesso alle prestazioni significhi tout court evitare l’assistenzialismo. Si tratta invece di due valutazioni ben distinte che possono anche non coincidere fra loro. Limitare l’accesso alle prestazioni, come si diceva, è soprattutto un interesse dell’ente e la valutazione avviene in base a parametri standard che non comprendono il punto di vista soggettivo delle persone direttamente interessate. Evitare interventi assistenzialistici è invece un’operazione orientata all’interesse degli utenti, interesse che dovrebbe tener conto anche della loro soggettiva percezione rispetto alla propria situazione di vita.

I criteri di accesso alle prestazioni e, quindi, i contenuti dell’assessment possono veni-re definiti nei regolamenti socioassistenziali in una maniera più o meno precisa, limitata a indicazioni di massima oppure articolata in protocolli molto dettagliati, con attribuzione di punteggi numerici. Questo secondo orientamento risulta attualmente sempre più pra-ticato, per le crescenti esigenze di contenimento della spesa. Ciò ovviamente riduce o elimina del tutto la discrezionalità del giudizio professionale dell’operatore.

Compilare la documentazione per l’accesso alle prestazioni diviene talvolta un impe-gno gravoso in termini di tempo, che non lascia spazio ad altro. L’utilizzo di un assistente sociale per la raccolta di informazioni potrebbe comunque avere un significato dato che egli dispone delle particolari competenze necessarie per interagire con persone fragili e

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confuse a causa della loro situazione di diffi coltà. Tuttavia, la rigidità delle informazioni da inserire nei formulari può svuotare di professionalità anche i contatti con l’utenza, ingabbiandoli in strutture predefi nite, tanto che i colloqui rischiano di assomigliare alla somministrazione di questionari a risposta chiusa.

La cosa può essere vista come una pesante limitazione alla professionalità, ma con-temporaneamente costituisce una sfi da interessante per quegli assistenti sociali che erano abituati a defi nire la loro funzione esclusivamente come «tramite» fra le risorse pubbliche e gli utenti. Se questa funzione viene progressivamente svuotata di discrezionalità, allora la professione, per continuare a defi nirsi tale, deve ridefi nire il proprio ruolo in un senso più ampio, meno dipendente dalle attribuzioni esterne operate dai sistemi di welfare.

Assessment multiprofessionale

Si tratta di un assessment condotto dall’assistente sociale in contemporanea a una pluralità di professionisti. È opportuno quando la complessità della situazione problema-tica richiede la valutazione approfondita della salute dell’utente, della sua situazione emo-tivo-affettiva o cognitiva, o del suo ambiente fi sico di vita. A seconda dei casi, quindi, i professionisti coinvolti potranno essere, oltre che l’assistente sociale, sanitari (ad esempio geriatri, psichiatri, neurologi), o psicologi/psicoterapeuti, terapisti occupazionali, educa-tori, e così via.

L’assessment multiprofessionale è spesso fi nalizzato a valutare l’accesso alle presta-zioni (ad esempio, un’unità valutativa geriatrica — UVG — o un’unità valutativa multidi-mensionale — UVM — che stabilisce il livello di invalidità da riconoscere a un individuo, o la priorità di inserimento in casa di riposo, o l’erogazione di determinate prestazioni di assistenza domiciliare). In tal caso la composizione dell’équipe di valutazione è general-mente defi nita per regolamento e si tratta di un team territoriale stabile.

Oppure, può essere l’assistente sociale a ritenere opportuno raccogliere il punto di vista di altri professionisti e a chiederne eventualmente il consenso alle persone interessa-te. In tal caso, la collaborazione risulta discrezionale e va costruita volta per volta.

Comunque, l’assessment multiprofessionale porta con sé le potenziali diffi coltà ri-scontrabili tipicamente nella collaborazione fra professioni diverse. Possono esserci punti di vista confl ittuali rispetto alle cause sottostanti i problemi, può risultare faticoso decidere a quali questioni dare la priorità, possono crearsi tensioni legate a differenze di linguag-gio, di status e di potere. La partecipazione alla valutazione multiprofessionale richiede quindi all’assistente sociale una buona consapevolezza rispetto al proprio specifi co pro-fessionale, all’ottica secondo cui il servizio sociale legge le situazioni problematiche.

Assessment come valutazione della capacità di azione nell’ottica di rete («agency assessment»)

È il tipo di valutazione più «comprensiva», nel senso che tiene assieme più aspetti delle realtà problematiche e ricomprende anche al suo interno altri possibili approcci alla valutazione qui sopra discussi. Può essere vista come il tipo di assessment sociale per eccellenza, posto che si tratta di valutare la capacità delle persone coinvolte in un

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102 ASSISTENTE SOCIALE DOMANI – VOLUME 1

problema, conclamato o potenziale, di attivarsi per un fronteggiamento congiunto dello stesso, entrando in dinamiche di rete.

A differenza della valutazione dei bisogni o dei «diritti» alle prestazioni, l’assessment dell’azione non mira a conoscere una realtà oggettiva presente in una situazione proble-matica per poi risolverla attraverso procedimenti professionali o amministrativi. Si tratta di una valutazione che si propone di arrivare a conoscere quanto le persone che hanno «bisogni» o «problemi» sono consapevoli degli stessi e quanto sono disponibili o in grado di agire per farvi fronte. L’operatore sociale non valuta per capire che cosa deve fare lui, per così dire, bensì per capire come stanno agendo attualmente e come potrebbero agire in futuro ancor meglio, con il suo aiuto indiretto, le persone interessate. L’assessment della capacità di azione presuppone una impostazione relazionale del processo di aiu-to, in cui l’operatore è «sociale» proprio in quanto è capace di attivare una relazione di reciprocità con le relazioni di vita a tal punto da arrivare a basare il suo aiuto sulle loro capacità intrinseche, secondo la filosofia nota come empowerment.

In sostanza, l’agency assessment consiste nella ricognizione della rete relazionale di fronteggiamento esistente, ovvero nell’individuazione di potenziali agenti per progetti a valenza collettiva (sviluppo di comunità).

Schematizzando, l’assessment dell’azione è orientato a cogliere:1. come è formata (se esiste) la rete di fronteggiamento naturale del problema in que-

stione: cioè chi percepisce il problema, cioè: (a) chi si rende conto — più o meno esplicitamente — che qualcosa non va; (b) chi è coinvolto nel fronteggiamento, cioè quali persone stanno già facendo qualcosa, con esiti più o meno soddisfacenti;

2. chi eventualmente, tra quanti non sono già coinvolti nell’aiuto, sarebbe disposto a dare il suo contributo (o ha il dovere istituzionale di attivarsi).

1. Un problema arriva all’attenzione dell’assistente sociale quando qualcuno dei componenti della rete percepisce che il fronteggiamento non è efficace. La richiesta di coinvolgere l’esperto può venire dalla persona direttamente interessata (ad esempio, un disabile che è in difficoltà nella gestione della sua vita quotidiana e si rivolge al servizio), oppure da un’altra persona coinvolta nella situazione (ad esempio, il carer principale del disabile in questione), o anche da qualcuno relativamente «esterno», come un conoscente o un vicino di casa che segnala la situazione di un anziano solo e malato. Talvolta il problema viene sollevato da soggetti formali, quali il dirigente della scuola frequentata da un minore, un altro operatore sociale o sanitario o un rappresentante dell’autorità giudiziaria. Queste persone cercano la collaborazione dell’esperto non solo (o non tanto) per una questione di interessamento o di sensibilità personale, ma nell’esercizio del loro ruolo istituzionale. La ricognizione della rete di fronteggiamento deve ovviamente tener conto che esse agiscono in rappresentanza di un soggetto istituzionale collettivo. Tuttavia, in rapporto al successivo sviluppo di un processo di aiuto, è importante considerare la loro presenza anche come specifiche persone, e non soltanto in relazione al ruolo che rivestono, dato che lo stesso ruolo può essere interpretato in maniera diversa a seconda di chi lo ricopre. A volte, anche se la persona che si rivolge all’assistente sociale è una sola, a monte del primo contatto con l’operatore può esserci stata una preliminare azione collettiva di confronto e di condivisione rispetto alla necessità di cercare aiuto: in questo caso, anche l’iniziativa di un singolo segnalante è concepibile come l’azione di una rete.

Chi si rivolge all’assistente sociale percepisce senz’altro la difficoltà (altrimenti non si sarebbe neppure messo in contatto con l’operatore), il che può essere un indicatore

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IL LAVORO SUL CASO 103

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Di solito attorno alla situazione problematica c’è già più di una persona attiva nell’af-frontare i compiti. Questi componenti della rete di fronteggiamento possono rendersi conto in modo unanime che qualcosa non va, oppure possono avere idee diverse in proposito. Per l’assistente sociale è importante rendersene conto, perché un nodo critico in vista del processo di aiuto è costruire una percezione del problema ragionevolmente condivisa.

Osservando l’azione della rete esistente, l’assistente sociale può cogliere che il defi cit nel fronteggiamento è legato a una carenza di percezione del compito (le persone non si attivano, o non abbastanza, perché non si rendono conto di poter/dover fare qualcosa), oppure al fatto che la rete è quantitativamente insuffi ciente (le persone sono troppo poche rispetto alle cose da fare) o inadeguata nella qualità (le persone non possiedono le capacità necessarie all’azione). Ancora, il numero e le abilità dei soggetti può essere adeguato, ma ognuno agisce per conto suo, senza tener conto di ciò che fanno gli altri: c’è quindi una mancanza di connessione. Più spesso, l’ineffi cacia nel fronteggiamento sarà legata a più di uno di questi fattori.

2. L’assessment dell’azione non si limita alla ricognizione della rete di fronteggia-mento già esistente, ma è anche orientato a sondare chi sarebbe eventualmente disposto a farne parte. Questo passaggio sta un po’ a cavallo fra la valutazione iniziale in senso stretto e le fasi successive del processo di aiuto. D’altra parte, nell’ottica relazionale tutto l’assessment dell’azione è diffi cilmente concepibile come un procedimento «preliminare». Infatti la funzione di guida relazionale, attraverso cui l’esperto aiuta la rete a migliorare la situazione, viene esercitata attraverso feedback relativi alla percezione che componenti della rete hanno di se stessi come legati da un compito «comune» e all’azione della rete medesima. Dunque, l’operatore è costantemente impegnato nel cogliere (e riformulare ai diretti interessati) lo sviluppo dell’azione.

Analoghe considerazioni valgono in buona misura anche quando l’assistente sociale si occupa di un progetto a valenza collettiva. Anche in questo caso, l’assessment dell’azione è volto a individuare chi percepisce l’opportunità di agire, chi è già impegnato in attività attinenti al progetto e chi sarebbe disposto a contribuire. Come per i processi di aiuto rivolti a un singolo o a un nucleo familiare, si tratta di individuare assieme agli interessati delle fi nalità condivise e poi di facilitare l’azione comune volta a realizzarle.

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IL LAVORO SUL CASO 175

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LE RETI, IL LAVORO DI RETE E IL LAVORO INTERPROFESSIONALE 305

LAVO

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I RET

E> Rete e comunità: l’importanza del lavoro di rete ai fi ni dello sviluppo comuni-tario. (LUMSA, Roma, 2004)

> Vedi anche «Il lavoro di comunità e la conoscenza del territorio» (Cap. 6).

> Il lavoro di strada parte dall’esigenza di lavorare là dove si presenta il disagio e quindi prevalentemente fuori dalle istituzioni. Il candidato, ragionando sulle connessioni tra le risorse territoriali e l’esigenza di metterle in rete, svolga le sue considerazioni sui possibili interventi di prevenzione e promozione. (Università di Bari, 2003)

> Il lavoro di rete come strumento cardinale della pianifi cazione sociale. (Uni-versità del Molise, 2005)

> Utilizzo professionale delle reti formali ed informali nella “costruzione” di un progetto di intervento personalizzato. (LUMSA, Roma, 2003)

> La candidata/il candidato illustri e discuta criticamente la prospettiva del lavoro di rete con eventuale riferimento alla propria esperienza di tirocinio. (Università di Pisa, 2005)

> Il valore delle reti di aiuto formali e informali nella pratiche di welfare. (Uni-versità di Trento, 2005)

> L’approccio di rete nel lavoro sociale caratterizza sia l’intervento con il sin-golo, sia l’intervento con la comunità locale. Il candidato individui i principi normativi che legittimano il lavoro di rete, le modalità organizzative e le sue potenzialità in ordine ai due livelli di azione. (Università di Torino, 2004)

> Il servizio sociale è una delle poche professioni che, dal suo nascere, ha sentito l’esigenza di vedere il problema portato dal singolo utente-cliente all’interno di un contesto più ampio. Il candidato descriva quali sono gli elementi che il servizio sociale professionale deve tenere presenti nel processo di aiuto. (Università di Verona, 2005)

> Lavoro di rete e lavoro di équipe: punti di contatto e di divergenza. (Università di Trento, 2002)

> Il candidato descriva una rete di attori in cui è coinvolto il servizio sociale, evi-denziandone opportunità e nodi problematici. (Università di Perugia, 2005)

> A partire dalle complesse problematiche presentate dalla popolazione anziana, trattare la prospettiva dell’integrazione sociosanitaria dei servizi. (LUMSA, Roma, 2003)

> Effi caci politiche sociali implicano un’elevata capacità di lavoro interprofessio-nale e di collaborazione tra servizi e istituzioni diverse. Il candidato, facendo riferimento ad una tematica sociale ed alle relative scelte politiche, proponga le proprie rifl essioni e considerazioni rispetto agli aspetti problematici e ai punti di forza di tale impostazione. (Università del Molise, 2005)

(continua)

> ALCUNE PROVE GIÀ ASSEGNATE

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LE POLITICHE DI WELFARE 353

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Il Terzo settore comprende soggetti organizzativi di natura privata ma volti alla produzione di beni e servizi a valenza pubblica o collettiva. Viene defi nito anche: privato sociale, terza dimensione, economia sociale, terzo sistema, settore delle organizzazioni non profi t.

I quattro settori (o soggetti societari)

1. Lo Stato

Produce un bene impersonale, vale a dire prestazioni predefi nite offerte per via isti-tuzionale.

2. Il mercato

Produce un bene specifi co e particolare (bene individuale).

3. Il Terzo settore

Potenzia le relazioni soggettive e intersoggettive, e produce un bene comune relazio-nale diffuso. Tratti distintivi del Terzo settore:

− si basa su solidarietà, eguaglianza e partecipazione, che favoriscono la responsabi-lizzazione e la mobilitazione dei soggetti;

− presenza di volontari;− produce un bene relazionale, cioè un bene che per essere prodotto e fruito richiede

la collaborazione tra chi lo offre e chi lo riceve;− assenza di fi nalità lucrativa, nel senso che gli eventuali profi tti non vanno ridistribuiti

agli associati sotto forma di utile ma reinvestiti per il benessere della comunità.

4. Il quarto settore

È composto dalle famiglie e dalle reti informali, che agiscono in forma organizzata per affrontare i propri problemi. Si differenzia quindi dal Terzo settore, che riguarda la solidarietà verso terzi, e dalla società civile che invece comprende le semplici relazioni quotidiane. Nel quarto settore, così inteso, possono essere incluse alcune organizza-zioni che generalmente vengono comprese nel Terzo settore: le associazioni familiari, le associazioni di auto/mutuo aiuto e i singoli gruppi di auto/mutuo aiuto.

Entità sociali comprese nel Terzo settore

Organizzazioni di volontariato

Secondo la legge n. 266 del 1991, «è considerato organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fi ne di svolgere l’attività di cui all’art. 2», vale a dire l’attività «prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fi ni di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fi ni di solidarietà».

Scheda 8.2 – Il Terzo settore

(continua)

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354 ASSISTENTE SOCIALE DOMANI – VOLUME 1

(continua)

Associazioni di promozione sociale

La legge n. 383 del 2000 definisce le associazioni di promozione sociale «associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati».

Associazioni familiari

Sono associazioni, fortemente legate al territorio, eterogenee per quanto riguarda le caratteristiche dei promotori e le motivazioni, generalmente composte da gruppi di famiglie per rispondere a problematiche riguardanti le stesse. Possono essere costi-tuite secondo configurazioni giuridiche di diversa natura, ma comunque formalmente riconosciute.

Cooperative sociali

L’art. 1 della legge n. 381 del 1991 definisce lo scopo delle cooperative sociali «di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse — agricole, industriali, commerciali o di servizi — fi-nalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate». Si possono identificare cooperative sociali:

– di tipo A, le cui attività permettono di offrire servizi socio-sanitari ed educativi;– di tipo B, le cui attività sono volte all’inserimento lavorativo di persone svantaggia-

te;– di tipo C o misto, che svolgono attività tipiche di entrambe le tipologie precedenti.

Fondazioni

Le fondazioni sono enti senza fini di lucro con una propria sorgente di reddito che viene impiegata per scopi di utilità sociale, operando una scelta dei progetti da finanziare. Le aree principali in cui le fondazioni operano sono: istruzione, arte e cultura, sanità, assistenza sociale e ricerca.