26
CENTRO ITALIANO DI STUDI SUL BASSO MEDIOEVO – ACCADEMIA TUDERTINA IL BENE COMUNE: FORME DI GOVERNO E GERARCHIE SOCIALI NEL BASSO MEDIOEVO Atti del XLVIII Convegno storico internazionale Todi, 9-12 ottobre 2011 FONDAZIONE CENTRO ITALIANO DI STUDI SULL’ALTO MEDIOEVO SPOLETO 2012

Artifoni Preistorie Del Bene Comune

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Preistorie del bene comune nell'Italia medievale

Citation preview

Page 1: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

CENTRO ITALIANO DI STUDI

SUL BASSO MEDIOEVO – ACCADEMIA TUDERTINA

IL BENE COMUNE:FORME DI GOVERNO E GERARCHIE SOCIALI

NEL BASSO MEDIOEVO

Atti del XLVIII Convegno storico internazionale

Todi, 9-12 ottobre 2011

CENTRO ITALIANO DI STUDI

SUL BASSO MEDIOEVO – ACCADEMIA TUDERTINA

IL BENE COMUNE:FORME DI GOVERNO E GERARCHIE SOCIALI

NEL BASSO MEDIOEVO

Atti del XLVIII Convegno storico internazionale

Todi, 9-12 ottobre 2011

FONDAZIONE

CENTRO ITALIANO DI STUDISULL’ALTO MEDIOEVO

SPOLETO

2012

Page 2: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI

Preistorie del bene comune.Tre prospettive sulla cultura retorica

e didattica del Duecento

Alla memoria di Renato, con affetto

L’affermazione che esistano preistorie del bene comune primadella sistemazione scolastica non è certo originale. Il capitolo intro-duttivo del libro di Matthew Kempshall dimostra come il medioe-vo ricevette su questo tema una grande eredità antica 1, mentre sulterreno della storia comunale, se vogliamo riferirci a studi di ampiadiffusione, Quentin Skinner ha individuato alcune voci di un lin-guaggio politico duecentesco disponibile ad articolarsi, in modi an-cora da definire bene, con la riflessione degli scolastici. La ricostru-zione di Skinner nasce soprattutto in collegamento con l’interpreta-zione dell’affresco senese di Ambrogio Lorenzetti, ma anche quandosi sospenda il giudizio sulle implicazioni iconografiche, sulle qualiil dibattito è aperto, ce ne rimangono contributi utili in sé, chehanno richiamato l’attenzione sui testi della cultura pragmatica delsecolo XIII, dalle artes dictaminis alle opere didattiche ed enciclope-diche alla manualistica per podestà 2. Ancora per l’età comunale, èrecente una ricerca di Andrea Zorzi sul bene comune e i conflittipolitici, in cui si propone una periodizzazione in varie fasi del lavo-

1 M. S. KEMPSHALL, The Common Good in late medieval political thought, Oxford, 1999,pp. 1-25.

2 Q. SKINNER, Ambrogio Lorenzetti: the artist as political philosopher, in Proceedings of theBritish Academy, 72 (1986), pp. 1-56; ID., Machiavelli’s Discorsi and the pre-humanist originsof republican ideas, in Machiavelli and Republicanism, a cura di G. BOCK, Q. SKINNER, M. VI-ROLI, Cambridge, 1990, pp. 121-141, poi rielaborati con altri saggi in Q. SKINNER, Visionsof politics, II, Renaissance virtues, Cambridge, 2002 (una traduzione parziale del volume èId., Virtù rinascimentali, Bologna, 2006).

Page 3: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI64

ro intellettuale sulla nozione che ci interessa 3: alcune di queste fa-si sono ben precedenti alla svolta rappresentata dall’opera di Remi-gio de’ Girolami dall’ultimo decennio del secolo, risalgono anzi allametà del Duecento.

Ma che cosa troviamo in questa preistoria duecentesca del benecomune? Il richiamo al Girolami può servire per istituire le giustedifferenze. Già prima dei trattati de bono comuni, de bono pacis e deiustitia, il sermone che Remigio indirizza nella prima metà del1295 ai Priori di Firenze, secondo di una serie di cinque sermoni,unisce in modo perfetto il consiglio politico e un’idea definita delrapporto fra il tutto e le parti. I Priori sono esortati a quattro cose:decidere secondo una provida deliberatio, condotta con scrupolo esenza fretta; esprimersi in modo unanime in base a una comune econcorde volontà; badare che tutto sia fatto per il bene del comunee non per il bene di famiglie, individui e gruppi, visto che chi èposto in carica per comune deve lavorare pro comuni bono; infine, por-tare a esecuzione quanto deliberato 4. Qui l’idea del bene comune,cioè di un tutto che si istituisce come superiore alle parti che locompongono, è chiaramente dispiegata con un’attenzione particolarealle condizioni istituzionali di svolgimento. Nella cultura pratica edidattica dei governi comunali nei decenni precedenti non troviamoaccenti come questi. Troviamo invece un lavorio continuo su alcune

3 A. ZORZI, Bien Commun et conflits politiques dans l’Italie communale, in De Bono Commu-ni. The discourse and practice of the Common Good in the european city (13th-16th c.). Discours etpratique du Bien Commun dans les villes d’Europe (XIIIe au XVIe siècle), a cura di E. LECUPPRE-DESJARDINS, A.-L. VAN BRUAENE, Turnhout, 2010, pp. 267-290.

4 Il sermone si legge in G. SALVADORI, V. FEDERICI, I sermoni d’occasione, le sequenze e iritmi di Remigio Girolami fiorentino, in Scritti vari di filologia [A Ernesto Monaci gli scolari,MDCCCLXXVI-MDCCCCI], Roma 1901, p. 482, e in E. PANELLA, Nuova cronologia remi-giana, in Archivum fratrum praedicatorum, 60 (1990), p. 189. Per la datazione cfr. SALVADO-RI, FEDERICI, I sermoni cit., p. 468 (« resta incerto se il discorso fu pronunciato nella primaquindicina di febbraio, oppure tra il febbraio ed il luglio [1295] »), PANELLA, Nuova crono-logia cit., p. 189 (« fine 1294-luglio 1295? »), S. GENTILI, Girolami, Remigio de’, in Dizio-nario biografico degli Italiani, 56, Roma, 2001, p. 534 (« collocabile tra la fine del 1294 eil luglio 1295 »). Al sermone è attribuito particolare rilievo in J. K. HYDE, Contemporaryviews on faction and civil strife in thirteenth- and fourteenth-century Italy, [1972], poi in ID.,Literacy and its uses. Studies on late medieval Italy, a cura di D. WALEY, Manchester, 1993,pp. 58-86, p. 64.

Page 4: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 65

idee-forza, da buono stato a pace, concordia, giustizia, città e altreche vedremo, le quali pervengono comunque a istituire un discorsosul rapporto fra interessi particolari e utilità pubblica, un discorsoche, pur tenendo nel dovuto conto tutte le discontinuità, ci apparecome un grande sostrato geologico su cui potranno poggiare in se-guito edifici più robusti.

La questione, come si è visto, è già stata affrontata, e per nonripetere cose già dette scelgo di trattarla attraverso fonti meno fre-quentate o guardando di altre fonti aspetti meno consueti. Dediche-rò una prima parte ad alcuni testi oratori tratti da quel continenteancora insufficientemente esplorato che è l’eloquenza dei laici nelDuecento, una seconda parte a una umile letteratura etico-gramma-ticale di scuola, quella che Dionisotti chiamava una « vegetazionebassa, insieme effimera e tenacissima » 5, una terza parte a un pun-to di non facile valutazione e di grande interesse, sul quale occorre-rà sviluppare le ricerche perché ne discendono conseguenze in ordi-ne alla visione che taluni intellettuali pragmatici avevano del mon-do comunale: cioè alcune versioni effettivamente correnti nella se-conda metà del secolo sull’origine delle comunità umane. Tre sce-nari diversi come genere di appartenza, perché appunto potevanoessere diversificate le vie dell’elaborazione pragmatica dei concetti.

1. Un’interessante notizia in un articolo di Paul Gehl serve a ri-badire alcune avvertenze da tenere presenti nell’uso dei testi oratori.Un manoscritto italiano della Newberry Library di Chicago contie-ne una serie incompleta delle arringhe (i modelli di discorsi, soprat-tutto per ufficiali comunali) composte in volgare dal notaio bolo-gnese Matteo dei Libri 6. La raccolta presumibilmente completa,pubblicata da Eleonora Vincenti, conta sessantasei modelli, messi

5 C. DIONISOTTI, Leonardo uomo di lettere, [1962], poi in ID., Appunti su arti e lettere, Mi-lano, 1995, p. 31, già richiamato, nella prima edizione, in C. FROVA, La scuola nella cittàtardomedievale: un impegno pedagogico e organizzativo, in Le città in Italia e in Germania nelMedioevo: cultura, istituzioni, vita religiosa, a cura di R. ELZE, G. FASOLI, Bologna, 1981, pp.119-143, p. 132, nota 25.

6 P. F. GEHL, Preachers, teachers and translators: the social meaning of language study inTrecento Tuscany, in Viator, 25 (1994), pp. 289-323, p. 298.

Page 5: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI66

insieme in un periodo non determinabile negli anni Sessanta-Set-tanta del secolo (Matteo scompare nel 1275) 7. Nel manoscritto diChicago le carte di ognuna delle arringhe sopravvissute recano unaprofonda piega orizzontale che dimostra come i singoli testi, usatiseparatamente in occasioni diverse, fossero stati ridotti con una pie-gatura a dimensioni di facile portabilità, per stare in una tasca op-pure in una manica. Una bella conferma in vitro di quanto già mol-ti anni fa diceva Cesare Segre, quando ricordava quei « parlamentiche il nuovo podestà si teneva in tasca per fare bella figura presen-tandosi ai suoi sudditi » 8. Questa era la fruizione standard delleraccolte di discorsi, che non sono dunque da considerare in unaprospettiva di monumentalità trattatistica, ma alla stregua di un’at-trezzatura pratica per il mestiere della politica.

Si può andare più avanti, perché molti segnali, anche in scrittidi più alta qualità culturale, indicano addirittura una smontabilitàinterna delle orazioni e una loro possibilità di ricomposizione se-condo geometrie ed esigenze variabili. Il celebre Liber de regimine ci-vitatum di Giovanni da Viterbo contiene molti discorsi per podestà,alcuni organizzati in vere e proprie suites, tra cui emergono la seriedi tre discorsi di un nuovo podestà che si presenta nel luogo di go-verno e quella di tre discorsi podestarili di guerra. Ognuno di que-sti testi presenta vere e proprie istruzioni per l’uso e indica alterna-tive possibili. Per fare un esempio, nel caso della prima contio novepotestatis si suggeriscono due formule iniziali diverse e cinque possi-bilità alternative per la parte immediatamente successiva dell’ora-zione (a seconda che si parli in una città indipendente, o soggettaall’imperatore, o al papa, o alla città di Roma, o in altra situazionenon specificata), e analogamente i blocchi principali dei due discor-si successivi sono inframmezzati di vel sic, per suggerire, anche qui,varie soluzioni possibili 9. In altro luogo del Liber, i tre discorsi di

7 MATTEO DEI LIBRI, Arringhe, a cura di E. VINCENTI, Milano-Napoli, 1974.8 C. SEGRE, La sintassi del periodo nei primi prosatori italiani (Guittone, Brunetto, Dante),

[1952], poi in ID., Lingua, stile e società. Studi sulla storia della prosa italiana, nuova ed. am-pliata, Milano, 1974, p. 98.

9 IOHANNIS VITERBIENSIS Liber de regimine civitatum, a cura di G. SALVEMINI, in Scriptaanecdota glossatorum, III, Bologna, 1901(Bibliotheca iuridica medii aevi), capp. 45, 46, 47,

Page 6: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 67

guerra si riferiscono a un conflitto con un nemico più potente, op-pure pari o di poco minore, oppure decisamente inferiore: alcuneporzioni sono comuni ai tre testi, altre sono specificamente idoneealla situazione in oggetto, e per altre ancora si suggerisce di ricorre-re alquanto liberamente a parti dei discorsi precedenti 10. Una simi-le pratica di trasporto e ricollocazione di blocchi non è ignota nep-pure in certi testi predicatori, ma nell’oratoria civile diventa presso-ché una costante 11. La spiegazione tocca alcune caratteristiche for-

pp. 230-232. Riporto il cap. 45, il più breve: « “Ego facio pregum domino potestati etsue compangie et sue curie et sapienti consilio huius civitatis et militibus et peditibus,magnis et minoribus, et toti bone genti congregate huic arengo, quod per vestrum hono-rem ego debeam audiri et intelligi”; vel: “quod ipse potestas per suum honorem et vos pervestrum me debeatis audire et intelligere”, sive vulgariter scilicet: ‘intendere’ usque ad fi-nem”. Et dicat et incipiat postea sic: “Ego clamo mercè et facio prego all’altissimo deonostro singnore, et gloriosissime virgini Marie sue matri, et ad messere sancto Iohanni”,seu alii precipuo sancto illius civitatis, “et omnibus sanctis suis, quod ipse, per suam san-ctissimam misericordiam et pietatem, mihi permittat et concedat dire id quod sit suushonor sanctissimus et suum placere, et honor domini potestatis et sue compangie, sit ho-nor et gloria; et magnitudo et incrementum, pax, concordia et bonus status totius com-munis huius civitatis, et omnibus amicis huius communis grandis allegrança et grandis fa-vor et magnum in omnibus incrementum”. Vel sic, si civitas est subdita imperatori, postdeum et sanctos dicat primo: “Quod sit honor domini nostri imperatoris” et reliqua, utsupra. Si vero subiaceat domino pape dicat: “Quod sid honor domini pape et Romane ec-clesie”. Vel si subiacet Romane urbi, dicat: “Quod sit honor domini senatoris et Romanipopuli”. Vel aliter potest dicere ibi, scilicet post pietatem: “K’al mio dire sibi debeat essead placere”, seu “sibi debeat placere in id quod sit suus honor sanctissimus” et cet. Posteasic potest incipere, vel sic incipiat » (segue il cap. 46). Sull’interessante impasto linguisti-co, tipico di una traccia latina per un discorso in volgare, cfr. G. FOLENA, « Parlamenti »podestarili di Giovanni da Viterbo, in Lingua nostra, 20 (1959), pp. 97-105. Sui rituali degliingressi podestarili si veda C. DARTMANN, Adventus ohne Stadtherr. “Herrschereinzüge” in denitalienischen Stadtkommunen, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Biblio-theken, 86 (2006), pp. 64-94.

10 IOHANNIS VITERBIENSIS Liber cit., capp. 132-134, pp. 270-273.11 Per la predicazione, a titolo d’esempio, si veda il seguente caso da Les sermons et la

visite pastorale de Federico Visconti archevêque de Pise (1253-1277), édition critique par N.BÉRIOU, I. LE MASNE DE CHERMONT avec la collaboration de P. BOURGAIN, M. INNOCENTI, Ro-me, 2001, 47, p. 703, predica per la festa di sant’Agostino, 28 agosto: « Prosequeris hancdistinctionem prout habetur in VI sermone, dominica quarta Adventus, qui incipit: Sic nosexistimet homo ut ministros Christi et prosequeris eam quasi usque in finem illius sermonis;et etiam eadem habentur in sermone VII quem fecimus apud Sanctum Xistum in fraterni-tate cappellanorum qui incipit: Qui bene presunt presbiteri ».

Page 7: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI68

mali tipiche dell’eloquenza dei laici, prima fra tutte la sua deriva-zione dalle pratiche formulari dell’ars dictaminis, che funzionavanocome una specie di ordinatore mentale. È un discorso tecnico, giàsvolto in altre occasioni, che ci portebbe lontano dal nostro argo-mento 12. Limitiamoci a prenderne in carico le conseguenze: occorreesercitare uno sforzo di lettura che tenga ben presenti le concretecondizioni d’uso di questi lacerti oratori, che non compongono disolito dei trattati organici. Non è un’occasione perduta in una pro-spettiva di storia del pensiero politico; al contrario, abbiamo così lapossibilità di ricostruire una gran messe, non di trattati, ma di re-pertori di argomenti politici, i termini di una specie di “parlato” digoverno quotidianamente diffuso e rilanciato.

Ciò detto, fermiamoci appunto sulle arringhe di Matteo dei Li-bri, raccolta che ebbe una certa fortuna, tant’è vero che ne derivanoalmeno altre due opere, il Flore di parlare di Giovanni da Vignano ele Dicerie di Filippo Ceffi 13. E notiamo in primo luogo uno sposta-mento esplicito della raccolta, che sta, ripetiamo, tra gli anni Ses-santa e i Settanta, verso la dimensione pubblica: si tratta per lo piùdi orazioni per podestà, consiglieri comunali, ambasciatori e capita-ni del “popolo”; e quando i parlatori non sono ufficiali pubblici, ilcontenuto dell’orazione tocca da vicino questioni di rilevanza collet-tiva, come discordie familiari e vendette. Le orazioni di tipo privato

12 Si veda, da ultimo, E. ARTIFONI, L’oratoria politica comunale e i “laici rudes et modice li-terati”, in Zwischen Pragmatik und Performanz: Dimensionen mittelalterlicher Schriftkultur, a cu-ra di C. DARTMANN, T. SCHARFF, C. F. WEBER, Turnhout, 2011, pp. 237-262 (con biblio-grafia precedente); rimane fondamentale P. VON MOOS, L’ ars arengandi italienne du XIIIesiècle. Une école de la communication, [1993], in ID., Entre histoire et littérature. Communicationet culture au moyen âge, Firenze, 2005, pp. 389-415. Utile ora in generale la raccolta di stu-di Cum verbis ut Italici solent ornatissimis. Funktionen der Beredsamkeit im kommunalen Ita-lien/Funzioni dell’eloquenza nell’Italia comunale, a cura di F. HARTMANN, Göttingen, 2011.

13 E. VINCENTI, Matteo dei Libri e l’oratoria pubblica e privata nel ’200, in Archivio glottolo-gico italiano, 54 (1969), pp. 227-237. Il caso di Matteo è stato toccato anche in interventipiù recenti, come SKINNER, Ambrogio Lorenzetti cit. e Machiavelli’s Discorsi cit., VON MOOS,L’ ars arengandi italienne cit., pp. 407-409, V. COX, Ciceronian rhetoric in Italy, 1260-1350,in Rhetorica, 17 (1999), pp. 239-288, pp. 256-257, e S. J. MILNER, Communication, consensusand conflict: rhetorical precepts, the ars concionandi, and social ordering in late medieval Italy, inThe Rhetoric of Cicero in its medieval and early Renaissance commentary tradition, a cura di V.COX, J. O. WARD, Leiden, 2006, pp. 365-408, pp. 380-384.

Page 8: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 69

o intrafamiliare che ancora comparivano, per esempio, nei Parlamen-ti ed epistole di Guido Faba, degli anni Quaranta, cedono il passo auna risoluzione integrale del parlare nel parlare politico 14. Notiamoin secondo luogo che, per la prima volta a mia conoscenza nei mo-delli oratori, il capitano del “popolo” è assunto nel novero deglioratori ufficiali, come a registrare la nuova geografia dei poteri ur-bani tipica della seconda metà del secolo (a Bologna, patria di Mat-teo, la comparsa di un capitano del “popolo” è del 1255). E infinerileviamo che su sessantasei discorsi ben ventidue hanno a che farein senso lato con la divisione delle città in partes, il perseguimentodei responsabili di crimini di sangue, la discussione sulla giustiziada esercitare nei confronti di chi ha compiuto delitti faziosi, la con-cessione di poteri al podestà per la repressione delle discordie: lacondizione delle città che vi è contemplata come consueta è unacondizione di divisione 15. Soprattutto intorno a questo stato di co-se si articola il linguaggio di Matteo, organizzandosi, nella discon-tinuità tipica di una raccolta di brani, in due insiemi contrapposti.

Da un lato prende forma una sequenza positiva piuttosto usua-le. Il fine del governo del rettore è il buono stato della città, « bonstato, bonu reposo, la nostra tranquilitate e bene », oppure « lo no-stro stato no se posse minuir de niente, ma sempre crescere e mon-tare de ben in meglio », oppure « ke’l bon stato nostro e pacificoacresca sempre de ben in meglo », o ancora, nel discorso di congedodi un podestà: « E voglio ke saçati, signori, una cosa, ke tuto meopensero e tuta mia fede è stato in dicere et in fare tuto quello kesia grandeça, honori, bon stato e bon reposo de questo commu-no » 16. Il traguardo del buono stato può essere raggiunto attraversola pace e la concordia, perché « vedemo ad oclo que la concordia etl’unitate acrese et avança tuti beni ». Condizione di pace e concor-dia è la giustizia: « per quello ke çascuno homo k’è debitore a laraxone ama iustitia, quel k’ama iustitia ama constante e perpetua

14 Unica eccezione esplicita è l’arringa 48 (MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., p. 137-141),discorso di uno scolaro alla sua famiglia e ai suoi amici.

15 Ibid., arringhe 4, 5, 6, 11, 12, 14, 22, 23, 24, 42, 43, 44, 45, 47, 50, 51, 53, 54,55, 56, 58, 59. Su quanto segue cfr. anche ZORZI, Bien Commun cit., pp. 275-277.

16 MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., 2, p. 8; 5, pp. 18-19; 50, p. 147; 33, p. 99.

Page 9: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI70

voluntate de dare soa raxone a çascuno; e ki ama soa raxone a ça-scuno, ama tranquilitate e reposo, per le qual cose le terre montanoin grand grandeça ». In sintesi, giustizia ispira pace e concordia,che a loro volta generano buono stato e prosperità 17.

Dalla parte negativa della vita civile, e con una rilevanza netta-mente superiore nelle orazioni, alligna però la contrapposizione, lacontrastanza, che – secondo lo schema “genealogico” già visto – ad-duce alla decadenza e al guasto della terra: « contrastança, la qualegenera inimistate, e la inimistate genera batagle, le quale disoglia-no lege et abassa et guasta la terra ». In uno dei pochi luoghi chesembrano tradire una certa commozione, Matteo mette in bocca aun capitano del “popolo” un’invettiva contro i furori cittadini, chetraduce nell’oratoria una certa indubbia conoscenza del panoramapolitico: « Pensative de Florencia, de Sena, commo son gite per laguerra dentru. Pensative de Milano, ke fo la maior terra de Lom-bardia, de molte altre terra de quella contrata, k’enno quasi a nien-te de quello k’erano. Pensative de Rimino, comm’è conço per l’odiodentro, e de multe terre de quella contrata » 18. Posto il conflittocome protagonista, il percorso ideale che abbiamo visto prima, dagiustizia a pace a prosperità, perde ogni carattere unanimistico e lesue tappe diventano concretamente un durissimo esercizio di giusti-zia contro le partes, un’imposizione armata della pace, e una prospe-rità o buono stato che si costruisce a partire dalla liquidazione deinemici dell’ordine.

In questa direzione abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Il di-scorso di presentazione di un podestà al consiglio appena insediatopromette di « punire arditamente li ma’factori, e non guardando agentileçça, né a riccheçça, né che lo malfactore sia parente overoamico », e continua minaccioso: « Et però pregho ciascuno che benefaccia et bene dica, et che si guardi del contrario ». Poco prima un

17 Ibid., 5, p. 18; 10, p. 34. Sui diversi aspetti della “parola di pace” nell’oratoria co-munale, laica e religiosa, cfr. R. M. DESSÌ, Pratiche della parola di pace nella storia dell’Italiaurbana, in Pace e guerra nel basso medioevo, Spoleto, 2004 (Atti dei convegni del Centro ita-liano di studi sul basso Medioevo - Accademia Tudertina e del Centro di studi sulla spiri-tualità medievale, 40), pp. 271-312.

18 MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., 10, p. 35; 50, p. 147.

Page 10: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 71

altro modello propone un’orazione podestarile di richiesta al consi-glio di maggiori poteri per una migliore salvaguardia dell’ordine:« E quella cosa, signori, per la quale le citate e le terre plù acresceet avança è questa, ke li malifitii se punisca. E se non se puniseno,guardati et vedeti quanto si alargerebo le mane a li malfaturi equanto creserebbe lo male. E molte terre vedete k’eno gite a male,perké li malifici non ènno puniti ». Che qui, come prima, i malfat-tori siano i cospiratori politici è provato dall’ammonimento finaleai consiglieri: prendete la decisione che vi pare migliore, perchéquelli che hanno un cuore colpevole, nel caso che qualcuno di lorosia tra di voi, debbano infine sputare il loro veleno (« Conseliaritequello, s’a Deo place, ke serà le megle de voi, e perké quilli k’ènnoreo core, s’alcun è tra voi, dibia sputare via omne tosego et omnereo ») 19. Siamo di fronte a un’autorità comunale che si presenta se-condo un volto eminentemente coercitivo. A questo volto i discorsiproposti per i capitani del “popolo” aggiungono un tratto di ineso-rabilità, come nella straordinaria arringa 50 (straordinaria perché ri-chiama una concretissima situazione istituzionale), un discorso incui un capitano del “popolo” richiama energicamente un podestà adessere durissimo con le parti e, come abbiamo già visto, descrive larovina delle città che hanno lasciato mano libera alle fazioni. Ag-giungo adesso che una città però si distingue dal panorama, Bolo-gna, in cui il “popolo” ha saputo frenare le congiure, ricavandoneprosperità: « Pensati del gran stato in lo qual è Bologna, per lagran constança e la gran fermeça in la qual ella è stata, per l’onore-vole povolo de quella citate, la quale è maior terra d’Italia, perquello ke, s’alcuno romore nasce’n quella terra, incontinenti viva-mente se li fa denati e fa quello che viaçamente se tol via » 20.

Anche se non siamo informati con certezza sulla posizione poli-tica personale di Matteo, di cui, oltre a queste arringhe, ci sono

19 Ibid., 35, pp. 104-105; 22, p. 69; 22, p. 70. Siamo in quella zona di discorsi politi-ci « aggressivi » e ispirati a una logica di esclusione rilevata per l’ultimo quarto del Due-cento e per il primo Trecento da P. CAMMAROSANO, Élites sociales et institutions politiques desvilles libres en Italie de la fin du XIIe au début du XIVe siècle, in Les élites urbaines au moyenâge. XXIXe Congrès de la S.H.M.E.S. (Rome, mai 1996), Paris, 1997, pp. 193-200, p. 196,che non a caso cita come esempio Filippo Ceffi, appunto derivato da Matteo dei Libri.

20 MATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., 50, p. 147-148.

Page 11: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI72

giunti solo alcuni lavori di arte dettatoria studiati e in parte pubblicatida Kristeller 21, non si sbaglierà dicendo, vista la sua scelta di include-re molti discorsi del capitano e di considerarlo come una parte stabiledella scena istituzionale e vista la stessa maggiore densità politica deidiscorsi capitaneali, che la sua raccolta nasce in un’atmosfera di “popo-lo”, il che non stupirebbe quando si pensi che la società dei notai bolo-gnese fu uno dei punti di forza del governo popolare. Detto questo,aggiungiamo un ultimo elemento al repertorio degli argomenti, dopo inuclei già visti. I discorsi del capitano profilano chiaramente una auto-presentazione del “popolo” fondata in sostanza su due punti. Da un la-to la società popolare non si presenta mai come una parte, sia pure lamaggiore, fra altre parti, bensì come il presidio di interessi generali; ed’altro canto essa reclama o attua interventi durissimi ma sempre innome di un ordine generale cittadino rispetto al quale il capitano sierige, ben più del podestà, a principale rappresentante. Con tutto ciò,per segnare delle soglie che continuo a credere doverose, questa rifles-sione politica pragmatica e intermittente mi pare che continui a situar-si al di qua di una certa linea di demarcazione rispetto al pensiero delbene comune, perché quest’ultimo presuppone una capacità di pensareil Politico in termini categoriali e impersonali, laddove questi testi del-la prassi continuano a pensarlo essenzialmente in riferimento alle figuredei rettori e alla loro maggiore o minore capacità di tutelare un inte-resse collettivo.

Un’ultima notazione ci porta verso il secondo argomento, quellodella letteratura scolastica. Eleonora Vincenti nella sua edizione diMatteo dei Libri ha giustamente insistito sullo spirito sentenzioso delnotaio bolognese, tanto evidente da indurla a redigere un utile elencodelle sentenze contenute nelle arringhe 22. Accanto al grande giacimen-to dei libri sapienziali, soprattutto i Proverbi e l’Ecclesiastico, l’elencoci mostra i soliti rivoli in entrata nella cultura didattica duecentesca

21 P. O. KRISTELLER, Matteo de’ Libri, Bolognese notary of the thirteenth century, and his artesdictaminis, in Miscellanea Giovanni Galbiati, II, Milano, 1951, pp. 283-320; le informazio-ni essenziali sono in G. TAMBA, Libri, Matteo, in Dizionario biografico degli Italiani, 65, Ro-ma, 2005, pp. 64-65.

22 E. VINCENTI, Sentenze e spirito sentenzioso in Matteo e Per un repertorio delle sentenze, inMATTEO DEI LIBRI, Arringhe cit., pp. CVIII-CXV, pp. CXXX-CLXIII.

Page 12: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 73

(nel caso di Matteo, peraltro, sempre mediati da quel grande bacino dismistamento che furono i trattati di Albertano da Brescia); e dunquetroviamo gli onnipresenti Disticha Catonis, le Sentenze di Publilio Siro,lo pseudo-Seneca della Formula honestae vitae (cioè Martino da Braga), ilMoralium dogma philosophorum, il Pamphilus, una commedia anonima delsecolo XII presto ridotta a serbatoio di dicta. Non sarà inutile un son-daggio sul significato di questa letteratura nella cultura comunale inordine al tema che ci interessa.

2. Si può entrare in argomento per una via laterale, costituitada due fonti narrative di cui indico brevemente le circostanze. Laprima è la cronaca di Rolandino da Padova. Un certo giorno del1249, mentre era da poco podestà di Padova Ansedisio Guidotti,nipote di Ezzelino da Romano e vicario imperiale nella Marca Tre-vigiana, si trovano come al solito a parlare nel palazzo podestarilemulti milites et burgenses 23. In una sala, sopra una pertica, c’è unosparviero. A uno dei presenti, aliquis litteratus, davanti allo sparvie-ro vengono alla mente certi versi che stanno « in libro qui appella-tur Ysopus », e li recita (trad. Fiorese):

Per respingere gli attacchi del nibbio, le colombeprendono a re lo sparviero, ma il re nuoce più del nemico.Incominciano a lagnarsi del re, perché era megliosubire gli attacchi del nibbio che morire senza lottare 24.

I versi piacciono, sono messi per iscritto e cominciano a circola-re « sine fraude », senza malizia, dice il cronista, tant’è vero che li

23 Per quanto segue si veda ROLANDINO, Vita e morte di Ezzelino da Romano (Cronaca), acura di F. FIORESE, l. VI, cap. 4 e sgg., Milano, 2004, p. 276 sgg., con utile annotazione,senza trascurare il commento in ROLANDINI PATAVINI Cronica in factis et circa facta MarchieTrivixane, a cura di A. BONARDI, Città di Castello, 1905-1908 (R.I.S., n.s., 8/1), p. 89 sgg.Il Liber regiminum Padue (in ROLANDINI PATAVINI Chronica cit., p. 319) colloca l’inizio dellapodesteria padovana di Ansedisio Guidotti, e i fatti conseguenti, nel 1250. Al brano ro-landiniano ha dato rilievo di recente L. TANZINI, Dai comuni agli stati territoriali. L’Italiadelle città tra XIII e XV secolo, Parma, 2010, pp. 95-97.

24 ROLANDINO, Vita e morte cit., p. 279: « Accipitrem, milvi pulsurum bella, collun-be/Accipiunt regem; rex magis hoste nocet./Incipiunt de rege queri, quia sanius esset /milvi bella pati, quam sine marte mori ».

Page 13: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI74

ascolta con diletto anche il giudice del podestà. Ma alla fine, quan-do qualcuno li riporta ad Ansedisio, anche qui secondo il cronista« sine fraude », sono interpretati come un’allusione politica esplici-ta: il podestà fa incarcerare il suo stesso giudice e i cittadini coin-volti nella vicenda, una dozzina (« notarios et populares, qui ad au-diendos versus steterant, et iudices quosdam etiam »). Pochi giornidopo arriva in città Ezzelino da Romano, il quale in un furibondodiscorso denuncia dietro l’episodio una congiura dei Dalesmanini eproclama di non essere affatto lo sparviero che divora le colombe,bensì il sollecito padre di famiglia deciso a ripulire la casa da scor-pioni, rospi e serpi. La conclusione è tragica, perché dapprima ilgiudice del podestà e poco dopo alcuni di quelli che Rolandinochiama ormai illi de versibus, quasi tutti notai e giudici, sono alla fi-ne decapitati 25. Rimando il commento e passo ad Asti, 1310. Ilcronista e mercante di spezie Guglielmo Ventura, a lungo militantedella società popolare di Asti, inserisce a quell’anno nella sua crona-ca (il Memoriale de gestis civium Astensium) un capitolo di disposizionitestamentarie riservate ai figli 26. Prima ancora dei beni materiali,Guglielmo vuole trasmettere un patrimonio morale di insegnamen-ti, in un capitolo molto lungo che non si può esaminare nei detta-gli. Sintetizzando, al primo posto stanno il timore di Dio e il pre-cetto di onorare la madre. Fa subito seguito la raccomandazione diobbedire al comune, mostrandosi fedeli ad esso e pronti a prenderele armi contro i nemici della città, come sta scritto in Catone (« utin Catone scriptum est: “Pugna pro patria” »). I fratelli si amino fraloro, coltivino le amicizie oneste e facciano molta elemosina. Curinola loro cultura: leggano il più spesso possibile i testi sacri, lascinoda parte le favole scritte nei libri che chiamano romanzi, che io, di-ce Guglielmo, ho sempre odiato (« fabulas scriptas in libris qui ro-

25 Ibid., l. VI, cap. 8, p. 29: « De morte illorum de versibus ».26 Memoriale Guilielmi Venturae civis Astensis de gestis civium Astensium et plurium aliorum,

a cura di C. COMBETTI, in Monumenta Historiae Patriae, V, Torino, 1848, cap. 57, coll. 773-776. Una lettura aggiornata della cultura del cronista in B. GAROFANI, Un cronista di “popo-lo” e le stirpi signorili: prospettive su Guglielmo Ventura, in Il Monferrato: crocevia politico, econo-mico e culturale tra Mediterraneo e Europa, a cura di G. SOLDI RONDININI, Ponzone, 2002, pp.141-155.

Page 14: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 75

mani vocantur, vitare debeant, quae semper odio habui »), e legga-no attentamente Catone finché potranno, quel Catone che in unasentenza esorta a non smettere di imparare: « discere ne cesses, curasapientia crescit ».

Qualche osservazione indispensabile. Il liber Ysopus a cui alludeRolandino è una silloge di sessanta favole in distici elegiaci, in real-tà di derivazione fedriana, in passato attribuita senza troppo fonda-mento da Hervieux a Gualtiero Anglico, che l’avrebbe compostaverso il 1175. La favola citata da Rolandino fa effettivamente partedi questa silloge, con il titolo De accipitre et columbis, e i versi sonoriportati testualmente 27. In quanto all’episodio in sé, è accolto inuna versione abbreviata anche nel Liber regiminum Padue, che d’altraparte riporta più ampiamente la citazione esopica. Semmai lasciaperplessi nella versione di Rolandino l’affermazione iterata che queiversi su uno sparviero che divora le colombe fossero stati recitati, eproprio nel palazzo del podestà, davvero senza alcuna malizia. Nes-sun problema per il brano di Guglielmo Ventura, perché le favoledei romanzi sono evidentemente la materia cavalleresca, a cui il cro-nista contrappone come modello etico e di cultura, due volte citatoma presente nel passo al di là delle citazioni esplicite, i notissimiDisticha Catonis, un manuale in versi di moralità urbana risalente alIII secolo che ebbe per tutto il medioevo, come è ben noto, unafortuna ininterrotta 28.

27 Si può leggere, oltre che in tutte le raccolte degli auctores octo (per le ragioni dettepiù avanti nel testo), in L. HERVIEUX, Les fabulistes latins depuis le siècle d’Auguste jusqu’à lafin du moyen âge, II, Paris, 1884, p. 395 e, meglio, in appendice a Lyoner Yzopet. Altfranzö-sische Übersetzung des XIII. Jahrhunderts [...] mit dem kritischen Text des lateinischen Originals(sog. Anonymus Neveleti), a cura di W. FOERSTER, Heilbronn, 1882, p. 108 (in entrambe leedizioni è il testo 22). Sull’Esopo in distici si trovano schede precise, con bibliografia, inEsopo toscano dei mercanti e dei frati predicatori, a cura di V. BRANCA, Venezia, 1989, pp. 46-49 e in J. MANN, La favolistica, in Lo spazio letterario del Medioevo. 1. Il Medioevo latino, I/2,Roma, 1993, pp. 171-195, pp. 181-182.

28 B. MUNK OLSEN, I classici nel canone scolastico altomedievale, Spoleto, 1991, pp. 59-63.Su alcune ragioni dell’enorme fortuna dell’opera cfr. R. HAZELTON, The christianization of“Cato”: The Disticha Catonis in the light of late mediaeval commentaries, in Mediaeval Studies,19 (1957), pp. 157-173. Per i volgarizzamenti è utile P. ROOS, Sentenza e proverbio nell’an-tichità e i ‘Distici di Catone’, Brescia, 1984. Molto sui Disticha si trova ora in Tradition desproverbes et des exempla dans l’Occident médiéval, a cura di H. O. BIZZARRI, M. ROHDE, Berlin,

Page 15: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI76

Sul perché si dia per scontato che un membro del ceto dirigen-te padovano potesse normalmente citare le favole di Esopo e perchéun mercante astigiano facesse della saggezza di Catone il perno diun lascito morale e la filigrana di un lungo capitolo, in altre paroleperché questi materiali siano considerati tanto vulgati da non ri-chiedere alcuna spiegazione, la risposta è la più semplice possibilema ha qualche conseguenza: i protagonisti ci avevano studiato sopraimparando il latino. Tanto l’Esopo quanto, ancora di più, il Catone,erano una parte fissa di quell’insieme di testi su cui si conduceval’alfabetizzazione latina, come ancora ricordava a fine Trecento ilpredicatore Giovanni Dominici, lodando gli antichi sistemi educati-vi contro la pedagogia umanistica:

Intendo i nostri antichi viddono lume dottrinando la puerizia, e i moderni fattison ciechi, fuor della fede crescendo lor figliuoli. La prima cosa insegnavano erail saltero e dottrina sacra; e se gli mandavano più oltre, avevano moralità di Ca-tone, finzioni d’Esopo, dottrina di Boezio, buona scienzia di Prospero tratta disanto Agostino, e filosofia d’ Eva columba, o Tres leo naturas, con un poco di poe-tizzata Scrittura santa nello Aethiopum terras; con simili libri studiavano, de’ qualinullo insegnava mal fare 29.

I rimandi non trasparenti vanno agli epigrammi di Prospero d’A-quitania e ad alcune opere indicate con l’incipit: il Dittochaeon o Titulihistoriarum di Prudenzio (Eva columba), il Physiologus in versi (Tres leonaturas), l’egloga di Teodulo (Aethiopum terras). Si richiama spesso suquesti temi il canone degli auctores octo, anche se di recente si è insisti-to sul fatto che esso appare piuttosto una sistematizzazione posterioreintervenuta con le prime edizioni a stampa 30. Limitiamoci perciò a in-

2009, in cui interessano qui soprattutto i saggi di A. D’AGOSTINO, Letteratura di proverbi eletteratura con proverbi nell’Italia medievale, pp. 105-129 e di D. CARRON, Présence de la figurede Caton le philosophe dans les proverbes et exemples médiévaux. Ses rapports avec les « Disticha Ca-tonis », pp. 165-190.

29 G. DOMINICI, Regola del governo di cura familiare, a cura di D. SALVI, Firenze, 1860, p. 134,un brano spesso citato su cui si veda, per esempio, C. T. DAVIS, L’istruzione a Firenze nel tempodi Dante, [1965], poi in ID., L’Italia di Dante, Bologna, 1988, pp. 135-166, p. 140.

30 Ricchissimo di informazioni sull’argomento è R. AVESANI, Quattro miscellanee medioe-vali e umanistiche. Contributo alla tradizione del Geta, degli Auctores octo, dei Libri minores edi altra letteratura scolastica medioevale, Roma, 1967; nitida esposizione degli auctores octo,

Page 16: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 77

dividuare una zona, non rigidamente definita, di testi ricorrentementeusati per l’insegnamento della grammatica, da quelli citati da Giovan-ni Dominici ad alcuni altri che si potrebbero aggiungere 31; e questazona, nella quale Catone ed Esopo sempre compaiono, appare comeuno dei grandi fiumi di alimentazione della letteratura morale e didat-tica, perché ritroviamo per ogni dove i suoi contenuti, a volte buttatilì come massi erratici, ma sempre pronti alla memoria, perché avereuna certa conoscenza del latino significava essere entrati in contatto al-meno con qualcuna di queste opere, e averla a disposizione nello stratoprofondo della propria forma mentis. La polemica umanistica ha assuntoqueste scritture didattiche come uno dei suoi bersagli e oggi si rischiadi trascurarle come un sedimento inerte. Ma le due fonti narrative dacui ho preso le mosse mostrano invece un’altra situazione, mostrano –detto con tutta semplicità – che si trattava di materiale attivo, cioè checon Catoni ed Esopi e simili si potevano istituire dei discorsi attuali.

Approfondiamo appunto il caso dei Disticha Catonis, che furonosenza alcun dubbio una scrittura diffusissima 32. Come accennato, ilCatone è un manuale di comportamento in versi usato per studiareil latino, vale a dire che la sua stessa fisionomia ci insegna due cosefondamentali: come tutte le opere in versi era facilmente memoriz-zabile, una caratteristica ulteriormente esaltata dai metodi di inse-gnamento che tendevano a una vera e propria interiorizzazione deltesto; proponeva un contenuto di moralità che andava al di là dellivello tecnico-grammaticale, tanto che possiamo considerarlo il te-sto tipico di una grammatica considerata come un’arte morale, se-condo il titolo del bel libro di Paul Gehl 33. Ritornando alle parole

con bibliografia precedente, in FROVA, La scuola cit., pp. 128-130; P. F. GEHL, A moral art.Grammar, society and culture in Trecento Florence, Ithaca, 1993, p. 13, parla degli auctores octocome di « a marketing come-on by french printers of the fifteenth century ».

31 Anche sulla base di FROVA, La scuola cit., pp. 129-130.32 P. F. GRENDLER, La scuola nel Rinascimento italiano, [1989], Roma-Bari, 1991, pp.

215-217; GEHL, A moral art cit., pp. 107-134 (capitolo dedicato a fruizione e fortuna deiDisticha e dell’Esopo); R. BLACK, Humanism and education in medieval and renaissance Italy,Cambridge, 2001.

33 GEHL, A moral art cit., pp. 116-120, sulle forme di interiorizzazione mmemonica deltesto (con richiamo a M. CARRUTHERS, The Book of Memory. A study of memory in medievalculture, Cambridge, 1990).

Page 17: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI78

di Giovanni Dominici, i Disticha Catonis erano al primo posto nellalista di quei testi « de’ quali nullo insegnava mal fare ». E in quan-to a questa etica risalente al III secolo, se lasciamo da parte unaquota di portata atemporale sui rapporti genitori-figli, marito-mo-glie, padroni e servi, sulla cautela necessaria in tutto, sul controllodei sentimenti, questa etica, a vederla da vicino offriva vari puntidi aggancio che potevano essere precisamente articolati con proble-mi forti della società urbana duecentesca.

Il primo è senz’altro la custodia delle parole, tema a cui non acaso il giudice Albertano da Brescia dedicò un trattato apposito nel1245, la Doctrina dicendi et tacendi, un’opera ripresa quasi integral-mente da Brunetto Latini nel Tresor. Ora, sentenze come questecontenute nei Disticha: « Virtutem primam esse puta conpescerelinguam;/proximus ille deo est, qui scit ratione tacere » (I, 3,36) 34, oppure « Contra verbosos noli contendere verbis:/sermo da-tur cunctis, animi sapientia paucis » (I, 10, 42), o ancora « Adver-sum notum noli contendere verbis:/his rebus minimis interdummaxima crescunt » (II, 11, 112), sentenze come queste e molte altreconsimili, cadevano appropriate in una società che si interrogava co-stantemente sul parlare e sul tacere, sul significato e le conseguenzedello scambio verbale 35. Una rilevanza non minore ha la questionedella fama, che è centrale in una società di interconoscenza, era nor-malmente evocata nelle procedure giudiziarie e aveva anche preciseapplicazioni politiche quando si procedeva alla stesura di liste diproscrizione. Su questo, Catone aveva qualcosa da dire: « Luxuriamfugito, simul et vitare memento/crimen avaritiae; nam sunt contra-ria famae » (II, 19, 121); « Si famam servare cupis, dum vivis, ho-nestam,/fac fugias animo, quae sunt mala gaudia vitae » (IV, 17,213). Terzo, onnipresente, una convinzione profonda in merito alfatto che l’uomo può essere educato e migliorato attraverso la cul-

34 Cito secondo Disticha Catonis, a cura di M. BOAS, H. J. BOTSCHUYVER, Amsterdam,1952, indicando fra parentesi tonde libro dell’opera, numero della sentenza, numero dipagina.

35 Basta ricordare il libro che ha indicato una nuova direzione di studio: C. CASAGRAN-DE, S. VECCHIO, I peccati della lingua. Disciplina ed etica della parola nella cultura medievale,Roma, 1987.

Page 18: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 79

tura, l’insegnamento, la lettura e la meditazione dei buoni esempi.Qui l’appello è martellante: impara dall’esempio di molti che cosaseguire e che cosa evitare; impara qualcosa, la conoscenza rimarràper le ore incerte; impara dai dotti e insegna agli indotti, la buonaconoscenza va fatta circolare; non smettere di imparare, la sapienzacresce con l’impegno (è una delle sentenze ricordate da GuglielmoVentura) 36. L’esortazione arriva talvolta a toni toccanti, « sine doc-trina vita est quasi mortis imago », e non si limita alla lode diun’educazione liberale: applicati con zelo, qualunque arte tu impari,perché come la cura aiuta l’ingegno, così la mano aiuta la pratica 37.

Ora, questa fiducia nella migliorabilità umana, con tutto ciòche ne discendeva in termini di compiti educativi dei litterati, èesattamente il tema che sta alla base di una intensa stagione dellacultura comunale tra il 1240 e il 1270, quando l’attività degli in-tellettuali pragmatici si mosse verso una grande pedagogia dei co-stumi sociali, nel segno di quella volontà di « digrossare » i cittadi-ni (cioè di raffinarli attraverso un processo educativo) che GiovanniVillani attribuì a Brunetto Latini in un famoso ricordo post mor-tem 38. E infine, non va affatto trascurato, se non altro perché l’ab-biamo visto come uno dei precetti lasciati dal Ventura ai suoi figli,il brevissimo pugna pro patria, che tutti potevano traslitterare men-

36 Disticha Catonis cit., III, 13, p. 168: « Multorum disce exemplo quae facta sequa-ris,/quae fugias, vita est nobis aliena magistra »; IV, 19, p. 215: « Disce aliquid, nam,cum subito fortuna recessit,/ars remanet vitamque hominis non deserit unquam »; IV, 23,p. 219: « Disce sed a doctis, indoctos ipse doceto:/propaganda etenim est rerum doctrinabonarum »; IV, 27, p. 227: « Discere ne cessa, cura sapientia crescat:/rara datur longoprudentia temporis usu ».

37 Ibid., III, 1, p. 152: « Instrue praeceptis animum, ne discere cessa;/nam sine doctri-na vita est quasi mortis imago »; IV, 21, p. 217: « Exerce studium, quamvis perceperisartem:/ut cura ingenium, sic et manus adiuvat usum ».

38 Si veda E. ARTIFONI, Prudenza del consigliare. L’educazione del cittadino nel Liber conso-lationis et consilii di Albertano da Brescia (1246), in Consilium. Teorie e pratiche del consi-gliare nella cultura medievale, a cura di C. CASAGRANDE, C. CRISCIANI, S. VECCHIO, Firenze,2004, pp. 195-216, e ID., Tra etica e professionalità politica: la riflessione sulle forme di vita inalcuni intellettuali pragmatici del Duecento italiano, in Vie active et vie contemplative au moyenâge et au seuil de la Renaissance, a cura di C. TROTTMANN, Rome, 2009, pp. 403-423. L’allu-sione va a GIOVANNI VILLANI, Nuova cronica, l. IX, cap. 10, II, a cura di G. PORTA, Parma,1991, pp. 27-28.

Page 19: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI80

talmente, come faceva il cronista astigiano, in “combatti per il tuocomune” 39. In breve, per varie vie il Catone poteva essere letto, alpari di altri testi che oggi rischiano di sembrarci pura archeologiaculturale, come la parola attuale di una saggezza che interveniva sulnucleo fondamentale di un’etica in via di definizione: la relazioneindispensabile tra la dimensione dei comportamenti privati e la sfe-ra pubblica. Non intendo dire che portava risposte certe, oppureche postulasse l’individuo come « non pensabile al di fuori della re-lazione costitutiva con la città » (sono parole di Pietro Costa riferitea Remigio de’ Girolami) 40. Portava un’altra cosa, cioè materiali dacostruzione, contribuiva alla stesura di un’agenda mentale, infigge-va nella memoria domande e voci di un vocabolario che potevanoconfluire all’occorrenza in un’organizzazione più sofisticata.

Fu ciò che accadde, cioè il riorientamento in direzione civica e poiesplicitamente politica di una tradizione didattica. La saggezza dei Di-sticha, insieme con molte altre componenti su cui non possiamo soffer-marci, fu uno dei mattoni con cui venne costruito l’edificio dei trattatimorali di Albertano da Brescia, che nel loro insieme costituiscono ne-gli anni Quaranta un grande libro del vivere cittadino, imperniato sulrapporto tra individuo e società. E fu uno degli affluenti del Tresor diBrunetto Latini negli anni Sessanta, che all’ideale di uomo morale co-struito anche con questa saggezza antica additava poi nella parte finaledell’opera un traguardo ulteriore, quello della politica come massimarealizzazione del percorso umano. Anzi, l’enciclopedia di Brunetto, chenel secondo libro sull’etica fa convivere nelle stesse pagine i materialiumili della didattica e i nuovi temi aristotelici, prelevati dal riassuntolatino dell’Etica Nicomachea noto come Summa Alexandrinorum o Compen-dium Alexandrinum 41, simboleggia bene una specie di delicato punto dipassaggio, il depositarsi progressivo della novità intellettuale su un so-strato precedente.

39 Disticha Catonis cit., 23, p. 19 (è una delle sententiae breves anteposte all’opera).40 P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, I, Dalla civiltà comunale al Sette-

cento, Roma-Bari, 1999, p. 22.41 Probabilmente con la mediazione del volgarizzamento della Summa eseguito da Tad-

deo Alderotti, come ritiene Sonia Gentili riprendendo una posizione di Concetto Marchesi:S. GENTILI, L’uomo aristotelico alle origini della letteratura italiana, Roma, 2005, pp. 41-49.

Page 20: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 81

3. Il nome di Brunetto ci introduce all’ultima parte, dedicata aun’antropologia politica presente nella cultura comunale degli anniSessanta e Settanta. Si può mostrare la diffusione, in testi anchemolto diversi fra loro (il che prova una specie di circolazione oriz-zontale del tema), di racconti sulle origini delle comunità umaneimperniati sull’idea di una originaria ferocia degli uomini, un’ideacioè contraria sia ai miti dell’età dell’oro sia alla convinzione di unaqualche naturalità dell’associazione umana. La politica, in questaprospettiva, è una dura conquista realizzata dagli uomini contro laloro stessa eredità naturale, e appunto per questo è sempre a rischioe va quotidianamente difesa. Questi racconti indicano che potevanoesistere vie anche molto traverse, non aristoteliche, per arrivare adire qualcosa di non troppo lontano dal famoso « si non est civisnon est homo » di Remigio de’ Girolami.

Non uso il Brunetto del Tresor. Il terzo libro del Tresor sullapolitica è certo importante per due motivi di struttura: da un latosposa in modo indissolubile politica e retorica, mettendo a frutto lalunga meditazione brunettiana su Cicerone, dall’altro, ponendosicome il culmine dell’opera, indica, si è già accennato, la vita politi-ca come l’approdo del percorso educativo svolto nei due libri prece-denti. Su questi due punti di struttura la novità è rilevantissima.Ma al dunque la trattazione specifica del terzo libro svolge il temadi retorica sostanzialmente attraverso una rielaborazione del de in-ventione ciceroniano e della dottrina dettatoria; e in quanto a politi-ca, il fondamento preponderante è costituito dal Liber de regimine ci-vitatum di Giovanni da Viterbo 42.

Rivolgiamoci piuttosto alla Rettorica di Brunetto, scritta tra il1260 e il 1266, come il Tresor ma probabilmente prima di questo,durante l’esilio in Francia dell’autore dopo la sconfitta guelfa diMontaperti. Si sa che la Rettorica è essenzialmente una traduzione involgare toscano dei primi diciassette capitoli del de inventione, l’ope-

42 Il più ampio contributo recente sulla fisionomia intellettuale di Brunetto è E. FENZI,Brunetto Latini, ovvero il fondamento politico dell’arte della parola e il potere dell’intellettuale, inA scuola con ser Brunetto. Indagini sulla ricezione di Brunetto Latini dal medioevo al Rinascimen-to. Atti del Convegno internazionale di studi, Università di Basilea, 8-10 giugno 2006, a cura diI. MAFFIA SCARIATI, Firenze, 2008, pp. 323-369.

Page 21: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI82

ra giovanile di Cicerone che ebbe una fortuna costante nel medioe-vo in quanto usata come introduzione a qualunque insegnamentoretorico. Alla sua traduzione Brunetto aggiunge un commento chefirma come « lo sponitore », un commento molto più ampio del te-sto tradotto e presentato come un lavoro non servile ma come unvero e proprio contributo originale, tanto da spingerlo nel proemioa dichiarare l’insieme dell’opera come il frutto di un doppio autore:« Marco Tulio Cicero, il più sapientissimo de’ Romani » e « Bru-netto Latino cittadino di Firenze » 43. Il de inventione contiene nellepagine iniziali un racconto sull’origine di retorica che in realtà èanche una narrazione sull’origine delle comunità umane, di cui citol’inizio nella traduzione di Brunetto:

Acciò che fue un tempo che in tutte parti isvagavano gli uomini per li campi inguisa di bestie e conduceano lor vita in modo di fiere, e facea ciascuno quasi tut-te cose per forza di corpo e non per ragione d’animo; et ancora in quello tempola divina religione né umano officio non erano avuti in reverenzia. Neuno uomoavea veduto legittimo managio, nessuno avea connosciuti certi figliuoli, né avea-no pensato che utilitade fosse mantenere ragione et agguallianza 44.

Da questo incubo prepolitico il genere umano riesce a uscireperché « uno uomo grande e savio » per virtù di eloquenza « co-strinse e raunò in uno luogo quelli uomini che allora erano spartiper le campora e partiti per le nascosaglie silvestre » 45. Cominciainsomma un faticoso viaggio verso la dimensione politica scandito

43 BRUNETTO Latini, La rettorica, testo critico di F. MAGGINI, prefazione di C. SEGRE, Fi-renze, 1968, p. 6: « L’ autore di questa opera è doppio: uno che di tutti i detti de’ filosofiche fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fueMarco Tulio Cicero, il più sapientissimo de’ Romani. Il secondo è Brunetto Latino cittadi-no di Firenze, il quale mise tutto suo studio e suo intendimento ad isponere e chiarire ciòche Tulio avea detto; et esso è quella persona cui questo libro appella sponitore, cioè chedispone e fae intendere, per lo suo propio detto e de’ filosofi e maestri che sono passati, illibro di Tulio, e tanto più quanto all’arte bisogna di quel che fue intralasciato nel libro diTulio, sì come il buono intenditore potràe intendere avanti ». Sulla rilevanza del “doppioautore” cfr. G. BALDASSARRI, “Prologo” e “Accessus ad auctores” nella Rettorica di B. Latini, inStudi e problemi di critica testuale, 12 (1976), pp. 102-116.

44 LATINI, La rettorica cit., p. 17.45 Ibid., p. 21.

Page 22: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 83

dalla costruzione di città e di istituzioni civili e dalla diffusionedelle leggi. Ma attenzione, il processo non è garantito, perché nelseguito vede sempre affrontarsi nella storia degli uomini coloro chehanno sapienza congiunta a eloquenza, e coloro che magari hannoimparato a parlare ma non hanno raggiunto la saggezza e usanodunque la retorica per scopi personali. Questo è il nucleo ciceronia-no su cui Brunetto interviene con un commento amplissimo che èimpossibile sintetizzare, che ribadisce con forza la ferinità come sta-to originario del genere umano, la conquista ardua della dimensionepolitica e la instabilità di questa stessa politica, che non è acquisitauna volta per tutte ma è anzi il luogo di uno scontro perenne tra i« parladori savi e guerniti di senno » e i « gridatori e favellatorimolto grandi » 46. È opportuna qualche osservazione. La prima èche il pensiero ciceroniano sull’origine delle comunità umane non èriducibile a questo mito, perché per esempio nel de officiis (per nondire del de re publica), si postula una naturale tendenza degli uominiad associarsi, una tendenza che deve comunque essere risvegliata at-traverso la persuasione 47. Rimane il fatto che nel de inventione, ope-ra giovanile, l’accento batte fortemente sul momento negativo eprepolitico, ed è su questa linea che si sono di solito svolti i com-menti medievali al passo, ricostruiti da Cary Nederman 48, ed è suquesto che ulteriormente insiste Brunetto. La seconda osservazioneriguarda il fatto che il commento brunettiano è debitore, come hadimostrato Giancarlo Alessio, di una anonima ars rethorice del secolo

46 Ibid., pp. 31-32. Riscontri del racconto ciceroniano-brunettiano nella Cronica di Di-no Compagni sono ora forniti in D. CAPPI, Dino Compagni tra Cicerone e Corso Donati: i peri-coli della parola politica, in Studi medievali, s. III, 50 (2009), pp. 605-671.

47 C. J. NEDERMAN, Nature, sin and the origins of society: the ciceronian tradition in medievalpolitical thought, [1988] e ID., The union of wisdom and eloquence before the Renaissance: the Ci-ceronian orator in medieval thought, [1992], poi entrambi in ID., Medieval aristotelianism andits limits. Classical traditions in moral and political philosophy, 12th-15th century, Aldershot,1997, saggi XI e XII; M. S. KEMPSHALL, De re publica 1.39 in medieval and Renaissance po-litical thought, in Cicero’s Republic, a cura di J. G. F. POWELL, J. A. NORTH, London, 2001,pp. 99-135; V. SYROS, Founders and kings versus orators: medieval and early modern views on theorigins of social life, in Viator, 42 (2011), pp. 383-408 (molto utile per il tema che si statrattando qui).

48 NEDERMAN, The union of wisdom and eloquence cit.

Page 23: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI84

precedente 49. Ma questa fonte è fatta propria e rilanciata da Bru-netto dentro un discorso ben più ampio e attuale, un discorso, ve-dremo ora, che trova anche qualche altro testimone, dando luogo auna specie di aria di famiglia fra testi diversi.

Durante gli anni dell’esilio di Brunetto, tra la fine del 1262 el’inizio del 1263, Guittone d’Arezzo, nella scia del turbamento an-cora vivo per la disfatta di Montaperti, scriveva un’epistola famosaai Fiorentini (Infatuati miseri Fiorentini) 50. L’epistola, la XIV dellaraccolta, presenta complessi rapporti tematici e testuali con le trecanzoni guittoniane Gente noiosa e villana, Ahi lasso, or è stagion dedoler tanto e O dolce terra aretina, canzoni da inserire a loro volta fraaltri esempi di poesia politica toscana degli anni Cinquanta e Ses-santa 51, ma trova una sua specificità, notata da tutti, sia nella suaaltissima temperatura retorica sia in una delle principali architettu-re che la sorreggono (§§ 4-9), fondata, spiega Margueron, su undoppio sillogismo che si intreccia ripetutamente: la ragione distin-gue l’uomo dalle bestie, i Fiorentini hanno perso il senno per i lorodissidi e dunque non sono uomini ma fiere; la città è in sè un luo-go di giustizia e di pace, Firenze è ridotta a una spelonca di ladri,dunque non è più una città, ma un selvaggio paese alpestre 52. E al-lora: « Unde vedete voi se vostra terra è cità, e se voi citadini omi-ni siete ». Il seguito, che si snoda per sette pagine nell’edizione astampa e non si può ovviamente analizzare per intero, è in parteuna potente verbalizzazione di questo nucleo di pensiero:

E dovete savere che non cità fa già palagi né rughe belle, né omo persona bellané drappi ricchi; ma legge naturale, ordinata giustizia e pace e gaudio intendoche fa cità, e omo ragione e sapienza e costumi onesti e retti bene. O che non

49 G. C. ALESSIO, Brunetto Latini e Cicerone (e i dettatori), in Italia medioevale e umanistica,22 (1979), pp. 123-169.

50 GUITTONE D’AREZZO, Lettere, XIV, a cura di C. MARGUERON, Bologna, 1990, pp. 155-162, con commento a pp. 163-179.

51 E. PASQUINI, Intersezioni fra prosa e poesia nelle Lettere di Guittone, in Guittone d’Arezzonel settimo centenario della morte, a cura di M. PICONE, Firenze, 1995, pp. 177-217, pp. 195-199; F. BRUNI, La città divisa. Le parti e il bene comune da Dante a Guicciardini, Bologna,2003, pp. 81-86.

52 Ho parafrasato qui il commento di Margueron in GUITTONE D’AREZZO, Lettere cit., p. 165.

Page 24: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 85

più sembrasse vostra terra deserto, che cità sembra, e voi dragoni e orsi che cita-dini! Certo, sì come voi no rimaso è che membra e fazione d’ omo, ché tutto l’al-tro è bestiale, ragion fallita, no è a vostra terra che figura di cità e casa, giustiziavietata e pace; ché, come da omo a bestia no è già che ragione e sapienza, non dacità a bosco che giustizia e pace 53.

E più avanti:

Unde onni abitaculo d’omo pacifico esser vorria; ma pur cità dico che specialissi-mo è loco o’ gaudio e pace trovare sempre si dea e ove dea refuggire chi gaudio epace chiere; e s’è loco a guerra reputato alcuno, no è cità, ma alpi, ove alpestri eselvaggi se sogliano trovare omini come fere. Ma a la gran mattezza dei citadinialpe son cità fatte, e cità alpe, e citadini alpestri in guerra tribulando, e alpestricitadini gaudendo in pace 54.

Piacerebbe citare a lungo da questo testo, trattando anche di al-tri aspetti della lettera, dal mito di Roma alla sofferenza degli esi-liati, ma il punto è il cuore politico di questa riflessione. Pur essen-do sufficientemente provata la conoscenza da parte di Guittone del-la Summa Alexandrinorum, il già citato compendio di temi aristoteli-ci 55, la lettera XIV ai Fiorentini ne riporta in realtà una traccia as-sai tenue e poco significativa 56. Assai più importanti sono le analo-gie, segnalate da Margueron, con luoghi brunettiani sul medesimoargomento, tra cui quelli che abbiamo esaminato dalla Rettorica,luoghi non considerabili certo come fonti ma appunto come passiparalleli. Credo si possa andare più avanti e pensare senza troppedifficoltà anche a una risonanza nel testo guittoniano del grandemito iniziale del de inventione, lettura scontata in un poeta della ca-ratura retorica di Guittone, e soprattutto della sua parte negativa,

53 Ibid., p. 157, §§ 7-8.54 Ibid., p. 159, §§ 26-27.55 C. MARGUERON, Recherches sur Guittone d’Arezzo. Sa vie, son époque, sa culture, Paris,

1966, pp. 318-332.56 Si veda come, dopo una prima ricognizione alquanto inclusiva (ibid., pp. 322-331),

nel commento alle Lettere guittoniane Margueron colleghi la Summa a una sola frase dellalettera XIV (§ 51), p. 162: « catuno ami ben se stesso », posta in parallelo a p. 179 con« Debitum est ut homo amet se ipsum veraciter » della Summa (C. MARCHESI, L’Etica Ni-comachea nella tradizione latina medievale, Messina, 1904, p. LXXIX).

Page 25: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

ENRICO ARTIFONI86

la feritas originaria del genere umano. Se la città è il luogo dellagiustizia e della pace, quando queste mancano per discordia internanon c’è più città, e la comunità degli uomini varca a ritroso la so-glia primordiale del Politico, con una regressione inarrestabile versoquello stato brutale che è sempre in agguato, verso quella dimen-sione non civile che sta all’origine stessa della storia umana 57.

Ho lasciato per ultima la testimonianza più enigmatica, che si tro-va nella Composizione del mondo di Restoro d’Arezzo, terminata nel1282. Primo esempio italiano di prosa scientifica in volgare, il trattatodi Restoro si compone di due libri: il primo, breve, di descrizioneastronomica e astrologica; il secondo, lunghissimo, impegnato a mette-re in movimento quella stessa descrizione istituendo un fascio di rela-zioni tra i pianeti, i segni dello Zodiaco e la vita degli uomini. Sicco-me « se noi volemo asegnare rascione de la composizione del mondo, èmestieri che noi faciamo un altro mondo simile de questo » 58, diceRestoro, tutto il secondo libro vede l’autore impegnato nel montaggioprogressivo, come in una raffigurazione a scopo didattico, di una gran-de macchina dell’universo, compaginata nelle sue parti, a loro voltaesaminate nei loro reciproci influssi. Delle fonti di Restoro tutto ciòche sappiamo si deve a un articolo di Herbert Austin del 1913, che silimita a esaminare gli autori esplicitamente citati da Restoro stesso, eattraverso eliminazioni successive mostra che le sue conoscenze princi-pali erano attinte da Alfragano, nella traduzione latina di Gerardo daCremona 59. Ma non ha quella provenienza il lungo brano che ci in-teressa, sul quale occorreranno dunque altre ricerche specialistiche edi cui ci si limita qui a prendere atto, come parte di un’interroga-

57 Utile materiale sul tema della feritas nella poesia duecentesca in F. MAZZONI, Temati-che politiche fra Guittone e Dante, in Guittone d’Arezzo cit., pp. 351-383. Altra analogia (con-cettuale) fra la lettera XIV guittoniana e la Rettorica brunettiana è segnalata in C. LE LAY,Le désastre de Montaperti chez Guittone d’Arezzo, in Arzanà, 11 (2005), pp. 17-45, p. 24 (nu-mero dedicato a La poésie politique dans l’Italie médiévale, a cura di A. Fontes Baratto, M.Marietti, C. Perrus).

58 RESTORO D’AREZZO, La composizione del mondo, a cura di A. MORINO, Parma, 1997, II,1, 2, p. 79, e cfr. p. XV dell’introduzione del curatore.

59 H. D. AUSTIN, Accredited citations in Ristoro d’Arezzo’s “Composizione del mondo”, in Stu-di medievali, 4 (1912-1913), pp. 335-382, pp. 376-377 per un quadro riassuntivo che citaanche alcune altre possibili fonti (tra cui Zahel) di incidenza nettamente minore.

Page 26: Artifoni Preistorie Del Bene Comune

PREISTORIE DEL BENE COMUNE 87

zione che si direbbe diffusa, nella seconda metà del Duecento, in-torno ai momenti aurorali della storia umana, un’interrogazione allaquale si poteva rispondere secondo percorsi svariati e non aristoteli-camente rassicuranti.

Trattando degli uomini posti sotto l’influenza di Saturno, cioè ilavoratori della terra, Restoro li descrive così (riduco al minimo lecitazioni di un brano molto lungo):

E questa gente saturnina, per cascione del lavorio de la terra e per cascione ch’ellis’acompagnano e participano e usano colle bestie, so’ gente che se descreciano po-co da le bestie, e per rascione so’ gente menscipia e bestiale e senza senno [...]; eper lo poco senno so’ envediosi e occidonse e tolle l’uno a l’altro, e fanose maleaseme, e so’ ignari e non cognoscono iustizia né rascione e so’ senza lege 60.

Una « gente ignara e bestiale », tra cui « non è chi li amaestriné chi li punisca del maleficio, quando elli se fanno male ». Ma lagente ignara e bestiale, prosegue, deve essere piuttosto ammaestratae ammonita che punita. Venga dunque, come un Giove pacificato-re, un eroe civilizzatore, « uno profeta » il quale dia a loro le leggie la religione e li faccia partecipare a una società:

e dà a loro lege, e empaurali de le pene de l’altro mondo, e predica la via de Deoperché non se occidano e non se facciano male e stieno in pace, che per la pace loregname se possa abetare e mantenere; e questo amonitore de rascione dea èssarevestito e pasciuto da loro.

Ancora una volta, per strade tortuose, si riaffaccia l’idea inquie-tante di un’alba selvaggia del genere umano, una stirpe feroce datrasformare con leggi e istituzioni e da portare verso la storia civile,al di là della sua stessa originaria natura.

60 RESTORO D’AREZZO, La composizione del mondo cit., II, 2, 1-II, 2, 2, pp. 115-122.