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Inverno 2009: Argentina e Cile in bicicletta. Vado, non vado, vado, non vado, vado....E' come sfogliare una margherita che sai a priori che ha i petali dispari e che inizia con vado. E' evidente il risultato dopo aver strappato tutti i petali: vado. Sono alcune notti che mi giro e rigiro nel letto senza riuscire a prendere sonno. Due incidenti stradali con torto in meno di cinque giorni. Sono come una corda di violino a casa e al lavoro. Chiedo scusa e ringrazio la mia famiglia e le mie collaboratrici che mi sopportano e che porteranno avanti il lavoro durante la mia assenza. Un mese a volte sembra un'eternità e la vera "avventura" a volte è per chi resta a casa. Cerco di tenere a bada l'emotività ma non è semplice. So per esperienza che questo malessere svanirà come per incanto alla partenza, ma per ora è li che mi tiene per il collo. Mi domando per l'ennesima volta se tutto questo è proprio necessario o per dirla alla "Diotti": l'èl cas? E' una domanda che mi faccio da sempre in occasione di certe avventure che comportano rischi e sacrifici volutamente cercati. Sono sincero nel dire che le motivazioni sono più d'una e non tutte considerate "nobili" nel mio giudicarmi. Ci sta di tutto, ma sicuramente prevale un grande desiderio di visitare luoghi e popolazioni, in completa autonomia e senza mezzi di supporto. Una sorta di esplorazione che per me soddisfa quello stesso desiderio che da bambino avevo nel percorrere quella roggia che dai prati sotto casa mia sfociava dopo pochi chilometri a Cantù-Asnago, nel Seveso. Ora percorro migliaia di chilometri in sella a una bicicletta con la stessa curiosità di scoprire d'allora. Altra componente l'avventura che è per me la capacità di sopravvivere nelle situazioni più impegnative. Mi guardo allo specchio e mi sembro un uomo in cinta. Sono in sovrappeso, 88 kg. nonostante gli allenamenti e mancano pochi giorni alla partenza. Cosa faccio? Cerco di giustificare il mio stato fisico pensando al cammello e alla sua proverbiale resistenza. Partiamo con la neve ai bordi dell'aeroporto di Linate e arriviamo in Argentina, prima a Buenos Aires e poi a Mendoza dove le temperature sfiorano i 35° centigradi. Arianna Pasquariello, Angelo Paganoni e Bruno Raveglia sono i miei compagni di viaggio. La "muciacia" per dirla alla spagnola e Bruno, meno di un anno fa hanno percorso l'altopiano Tibetano (Lhasa - Kathmandu) scavalcando quattro passi a oltre 5.400 metri di quota, in bicicletta. Angelo ha alle spalle l'esperienza della Como - Pecchino, naturalmente e totalmente anche lui in sella alla sua bici. Questo tanto per rendere l'idea dei componenti la squadra. Sarà una bella lotta per questi fuoriclasse rallentare il loro ritmo per stare al mio passo. Del resto loro mi conoscono e uomini e donna avvisati...... Per rendere più complicata la mia situazione mi sono anche autoeletto fotoreporter del gruppo e in bici è difficile fare foto senza fermarsi. Fermarsi e ripartire frequentemente è massacrante ma a posteriori riguardando ora le oltre duemila foto scattate mi dico che ne è valsa proprio la pena. Del resto, la premura, nella mia realtà lavorativa è la quotidianità. Se devo portarmela anche in Argentina è meglio stare a casa. Partiamo e ci rendiamo subito conto che il viaggio in aereo ci ha pesantemente debilitato. I primi giorni di viaggio, lasciata alle spalle la città di Mendoza e sulla destra la cima innevata della più alta montagna delle Americhe, l'Aconcagua (6.962 metri), sono per noi contrassegnati da crampi e debilitazioni varie. Ad aggravare le nostre condizioni contribuiscono le alte temperature, in un territorio che si presenta subito aspro e riarso dal sole. Il territorio sarà così non solo nella regione

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Inverno 2009: Argentina e Cile in bicicletta.

Vado, non vado, vado, non vado, vado....E' come sfogliare una margherita che sai a priori che ha i

petali dispari e che inizia con vado. E' evidente il risultato dopo aver strappato tutti i petali: vado.

Sono alcune notti che mi giro e rigiro nel letto senza riuscire a prendere sonno. Due incidenti

stradali con torto in meno di cinque giorni. Sono come una corda di violino a casa e al lavoro.

Chiedo scusa e ringrazio la mia famiglia e le mie collaboratrici che mi sopportano e che porteranno

avanti il lavoro durante la mia assenza. Un mese a volte sembra un'eternità e la vera "avventura" a

volte è per chi resta a casa. Cerco di tenere a bada l'emotività ma non è semplice. So per

esperienza che questo malessere svanirà come per incanto alla partenza, ma per ora è li che mi

tiene per il collo. Mi domando per l'ennesima volta se tutto questo è proprio necessario o per dirla

alla "Diotti": l'èl cas? E' una domanda che mi faccio da sempre in occasione di certe avventure che

comportano rischi e sacrifici volutamente cercati. Sono sincero nel dire che le motivazioni sono più

d'una e non tutte considerate "nobili" nel mio giudicarmi. Ci sta di tutto, ma sicuramente prevale

un grande desiderio di visitare luoghi e popolazioni, in completa autonomia e senza mezzi di

supporto. Una sorta di esplorazione che per me soddisfa quello stesso desiderio che da bambino

avevo nel percorrere quella roggia che dai prati sotto casa mia sfociava dopo pochi chilometri a

Cantù-Asnago, nel Seveso. Ora percorro migliaia di chilometri in sella a una bicicletta con la stessa

curiosità di scoprire d'allora. Altra componente l'avventura che è per me la capacità di

sopravvivere nelle situazioni più impegnative. Mi guardo allo specchio e mi sembro un uomo in

cinta. Sono in sovrappeso, 88 kg. nonostante gli allenamenti e mancano pochi giorni alla partenza.

Cosa faccio? Cerco di giustificare il mio stato fisico pensando al cammello e alla sua proverbiale

resistenza. Partiamo con la neve ai bordi dell'aeroporto di Linate e arriviamo in Argentina, prima a

Buenos Aires e poi a Mendoza dove le temperature sfiorano i 35° centigradi. Arianna Pasquariello,

Angelo Paganoni e Bruno Raveglia sono i miei compagni di viaggio. La "muciacia" per dirla alla

spagnola e Bruno, meno di un anno fa hanno percorso l'altopiano Tibetano (Lhasa - Kathmandu)

scavalcando quattro passi a oltre 5.400 metri di quota, in bicicletta. Angelo ha alle spalle

l'esperienza della Como - Pecchino, naturalmente e totalmente anche lui in sella alla sua bici.

Questo tanto per rendere l'idea dei componenti la squadra. Sarà una bella lotta per questi

fuoriclasse rallentare il loro ritmo per stare al mio passo. Del resto loro mi conoscono e uomini e

donna avvisati...... Per rendere più complicata la mia situazione mi sono anche autoeletto

fotoreporter del gruppo e in bici è difficile fare foto senza fermarsi. Fermarsi e ripartire

frequentemente è massacrante ma a posteriori riguardando ora le oltre duemila foto scattate mi

dico che ne è valsa proprio la pena. Del resto, la premura, nella mia realtà lavorativa è la

quotidianità. Se devo portarmela anche in Argentina è meglio stare a casa.

Partiamo e ci rendiamo subito conto che il viaggio in aereo ci ha pesantemente debilitato. I primi

giorni di viaggio, lasciata alle spalle la città di Mendoza e sulla destra la cima innevata della più alta

montagna delle Americhe, l'Aconcagua (6.962 metri), sono per noi contrassegnati da crampi e

debilitazioni varie. Ad aggravare le nostre condizioni contribuiscono le alte temperature, in un

territorio che si presenta subito aspro e riarso dal sole. Il territorio sarà così non solo nella regione

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di Mendoza ma anche nelle regioni del Neuquén, del Rio Negro e del Chubut. In questi territori il

clima è secco, asciutto e ventoso. Ci riempiamo presto di bolle che una volta asciugate, in alcune

parti del corpo si trasformano in vere e proprie piaghette. Per fortuna queste debilitazioni durano

solo pochi giorni e ritorna presto la buona forma fisica. Attraversiamo la Laguna del Diamante e

lasciamo sulla sinistra l'omonima salina. Sulla destra troneggia il cono vulcanico del Cerro

Diamante. Sullo sfondo la catena delle Ande con i suoi ghiacciai. Qui penso che la teoria della

tettonica a zolle trova la sua più evidente conferma. La vista della catena Andina ci accompagnerà

per tutto il viaggio, percorrendo più o meno in parallelo per 25 giorni l'infinita ruta quarenta. La

nostra direzione va da nord a sud, meta Ushuaia, la città più meridionale del mondo situata

sull'isola della Terra del Fuoco. Ushuaia è situata a circa 55° di latitudine sud e a circa un migliaio di

chilometri in linea retta dall'Antartide. Meta ambiziosa che ho iniziato a sognare qualche anno

dopo l'avventura della Norvegia in bici. Nel 2004, infatti a cavallo tra i mesi di luglio e agosto, con

l'amico Antonino Molteni, partendo da Capiago Intimiano andavo sin su a Capo Nord, a 71°10' 21"

di latitudine nord, un migliaio di chilometri oltre il Circolo Polare Artico. 4.766 Km. percorsi in 27

giorni e alla media di 181,9 km. al giorno. Con la sicurezza maturata durante questa performance,

e con le esperienze dei precedenti viaggi, ho cominciato a sognare di arrivare fino all'altro punto

più estremo della terra raggiungibile in bicicletta. Pensavo: Ushuaia è a 55° di latitudine. Capo

Nord è a 71°. 3.700 Km. da percorrere in Argentina a fronte dei 4.766 Km. percorsi per andare in

Norvegia. Anche se con cinque anni d'età in più sulle spalle (55 anni), mi dicevo che non sarebbe

stato un problema. Ma mi sbagliavo e le differenze eccole qui. Le strade che portano a Capo Nord

sono lisce come un biliardo. In Argentina 1/4 dei chilometri da noi percorsi sono sterrati e i danni

alle ruote, alle coperture e ai portapacchi sono numerosi e condizionano notevolmente la marcia.

L'altro problema in queste regioni così aride è l'acqua. Nella valle del Rio Grande che prende poi il

nome di Rio Colorado, all'imbrunire, ci accorgiamo che le nostre riserve d'acqua hanno ormai le

"gocce" contate e siamo disidratati. Non ci sono città, non ci sono abitazioni, non ci sono le tanto

desiderate estance e la strada è di uno sterrato che non auguro neanche a un nemico. Passa una

autovettura. La fermiamo e chiediamo: senior per favor, agua. Dal finestrino ci passano una

bottiglia d'acqua minerale. Chiediamo quanto dobbiamo pagare.

- No , no, l'agua non se vende, l'agua se regala !! -

Mi commuovo e nello stesso tempo sono contento di trovarmi li e di vivere anche questa

esperienza. Ci penserò in futuro prima di sciupare e o inquinare anche un solo bicchiere d'acqua.

Cerchiamo ormai al buio un posto per trascorrere la notte. I tubi che danno sfogo alle acque del

Rio Grande quando è in piena fanno da casa alle nostre biciclette e ai nostri bagagli. Togliamo i

sacchi a pelo dalle borse e decidiamo di dormire all'aperto, sotto la volta stellata. La costellazione

di Orione la ammiro ora girata rispetto a come la vedo da casa mia. Si sono aggiunte altre stelle e

nuove costellazioni. La luminosissima stella del sud brilla e si distingue rispetto a tutte le altre. Mi

viene spontaneo ricordare uno scritto e il nostro Lago di Como: a te il mio pensiero leggero,

dondolando su un'altalena di stelle. Non mi sembra vero. Sono dall'altra parte dell'equatore,

nell'altro emisfero. Qui capisco meglio cos'è l'universo e per il semplice fatto che è li, sopra di me e

lo vedo. Con le luci di Cantù e dell'hinterland milanese da casa mia non è così intensamente

percepibile. Rifletto su questo limite e aggiungo un'altra motivazione al mio girare.

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Il Rio Grande

Un'altra differenza rispetto alla Norvegia la incontro più a sud. Siamo nella città di Las Lajas nella

regione del Neuquén e facciamo per la prima volta conoscenza con il famoso Pampero. Il vento, il

signore assoluto della pampa. Lui decide se puoi andare avanti e a che prezzo, o se ti devi

arrendere e fermare. Stiamo cercando di uscire dalla città dopo aver saldato il mio portaborse. Ci

soffia di fronte ed è talmente violento che Arianna e Angelo più leggeri di Bruno e me, sono

costretti a scendere e a spingere le biciclette a mano. Io e Bruno pedalando fuori sella con uno

sforzo disumano per rimanere in equilibrio veniamo comunque letteralmente spinti dall'altra parte

della strada e senza nessuna possibilità di controllo sulla bicicletta che con le borse, pesa da sola,

25 kg. !! Per fortuna non arrivano automezzi!! Solo grazie alla strada che piega poi verso sinistra e

ricevendo quindi il vento lateralmente riusciamo con grande fatica, a passo d'uomo e fuori

baricentro a riprendere la marcia e a continuare per qualche chilometro. Siamo preoccupati, e

impotenti. Ci diciamo che se fosse così per molto tempo saremmo costretti a rimettere le bici sul

primo aereo e tornare a casa. Sono troppi i chilometri che dobbiamo ancora percorrere e con

queste condizioni visto le distanze tra un centro abitato e l'altro non arriveremo più. Come faremo

a piantare le tende questa sera? Abbiamo il morale a terra. Il Pampero non si commuove e

costantemente soffia, freddo, asciutto e sempre nella stessa direzione, dalle Ande verso est,

spazzando la pampa Argentina. Ci viene in aiuto la strada che improvvisamente piega verso est.

Percorriamo 70 chilometri alla velocità di 35/40 chilometri orari quasi senza pedalare. Urliamo di

gioia, ritorniamo a sperare e questo tira e molla ci permetterà di raggiungere la nostra meta, a

volte gioendo, a volte imprecando. Arriviamo così dopo essere passati dalla famosa città di San

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Carlos de Bariloche, alle porte della Patagonia. Siamo nella città di Esquelle nella regione del

Chubut. Eccola qui la famosa Patagonia. Una steppa infinita, senza piante, abitata da guanachi,

volpi, rapaci, puzzole e animali simili a struzzi che vengono allevati dagli abitanti insieme a grandi

greggi di pecore. Qui non cresce nulla, chilometri e chilometri di soli cespugli adatti solo a sfamare

animali con poche pretese alimentari. Affrontiamo dopo aver pernottato in un lussuoso albergo di

Esquel questo territorio. Dopo 196 Km. raggiungiamo la località Gobernador Costa. Qui il 6, 7 e 8 di

febbraio si svolgerà la fiera provinciale del cavallo. E' il 29 di gennaio e non possiamo di certo

fermarci.

La Ruta 40

Abbiamo davanti ancora 17 giorni di viaggio !! Pernottiamo e ripartiamo il giorno dopo verso Rio

Mayo. Arriviamo in questa ultima località in tarda serata dopo aver percorso 245,5 Km. E' la tappa

giornaliera più lunga coperta in questo viaggio. Guardo e fotografo il volto di Bruno che è una

maschera di fatica e sofferenza. Non si risparmia e pedala con la "criniera" in aria, tirando

frequentemente il gruppo che si dispone obliquamente rispetto al bordo stradale per meglio

vincere il vento che soffia lateralmente. Siamo tutti molto tirati e io comincio a sentirmi più

leggero. Mi rendo conto che il cammello ha cominciato a consumare le sue riserve. Siamo al 30 di

gennaio e ripartiamo montando nuovamente le ruote da mountain bike visto lo sterrato che

dobbiamo percorrere. A sera ci accorgiamo che abbiamo coperto solo 58,2 Km. e siamo in mezzo

alla steppa patagonica. Mi giro a 360°. Non c'è un lumicino, solo una lunga orrenda brutta strada

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sterrata che all'alba dovremo riprendere. Piantiamo le tende dopo aver tolto sassi e zolle d'erba,

indossando più capi di vestiario possibile. La notte qui è fredda. Il giorno dopo riprendendo il duro

sterrato riusciamo a percorrere solo 72,5 Km. e raggiungiamo la città Perito Moreno. C'è una festa

con canti e balli ma noi siamo troppo stanchi per partecipare. Andiamo a cena e poi subito a letto.

Ripartiamo l'indomani alla volta della località Bajo Caracoles dopo aver fatto rifornimento d'acqua

e viveri e lasciando montate le gomme da mountain bike. Siamo difatti a conoscenza che la strada

asfaltata torna ad essere sterrata dopo soli 50 Km. Lo sterrato attraversa una zona caratterizzata

da colline di colore ocra. E' una zona archeologica importante e censita come patrimonio

dell'umanità. Ci sono qui decine di grotte "tappezzate" da impronte di mani lasciate dai loro

antichi abitatori. Arriviamo a sera a Bajo Caracoles dopo aver percorso 128,8 Km. Abbiamo seri

problemi alle biciclette e all'indomani decidiamo di farci trasportare con un furgone sino a El

Calafate, sul Lago Argentino, ospiti nell'albergo di Federico Bocuzzi, un Italiano di Cermenate

sposato con un'argentina. Prima di arrivare a El Calafate facciamo una sosta sul Lago Viedma e

abbiamo la fortuna di vedere in lontananza il Cerro Torre e il Fitz Roy. Ci attraversa la strada anche

un armadillo. Avevo tanto sperato di incontrarlo ed ora eccolo li. Lo rincorriamo e lo prendiamo

per la coda. Qualche foto e poi lo liberiamo. Ci fermiamo una notte a El Calafate e il giorno

successivo, nell'attesa di farci riparare le bici, facciamo una gita al ghiacciaio Perito Moreno.

Il Ghiacciaio Perito Moreno

Non abbiamo parole di fronte a tale immensità. I boati dei blocchi di ghiaccio che si staccano dal

ghiacciaio e precipitano nel lago ci lasciano senza parole. E' il 4 di febbraio e dopo aver salutato

Federico, lasciamo alle spalle El Calafate e la zona dei ghiacciai. Percorriamo una salita lunga 14

chilometri e andiamo verso Esperanza, dove una volta giunti, pernottiamo nell'unico hotel-

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ristorante del luogo.( 178,4 Km. ) Prendiamo qui la decisione di recuperare i chilometri percorsi in

furgone deviando e allungando verso il Cile. Superiamo la città mineraria di Rio Turbio e dopo una

salita spaccagambe passiamo il confine Argentino-Cileno, raggiungiungendo Puerto Natales

sull'oceano Pacifico. Andiamo a visitare il parco delle famose Torri del Paine. Ritorniamo e

pernottiamo a Puerto Natales e all'alba ripartiamo alla volta di Punta Arenas, affacciata sullo

stretto di Magellano. Lo stretto divide l'Argentina e il Cile continentale dall'isola della Terra del

fuoco Cileno/Argentina. Ci arriviamo dopo due giorni e con un primo tappone di 211,3 Km. da

Puerto Natales sino all'Estancia Carmen. Qui la generosità dei proprietari, allevatori di bestiame, ci

permettono di passare la gelida notte patagonica nel loro museo etnografico. Di fronte un

benzinaio che ci cucina un abbondante piatto di pasta. Ne abbiamo una grande necessità.

L'indomani ripartiamo alla volta di Punta Arenas che raggiungiamo dopo aver percorso 51

chilometri e con il vento che soffia a oltre 120 Km. orari. Qui ci imbarchiamo su una motonave ed

andiamo a visitare l'Isola Magdalena in mezzo allo stretto di Magellano. L'isola è abitata solo da

una numerosa colonia di pinguini della specie di Magellano e da uccelli acquatici. La motonave ci

"abbandona" per un paio d'ore in balia del vento e degli innocui pinguini, che si lasciano avvicinare

e fotografare da molto vicino, ma guai a toccarli. Ci provo, ne accarezzo uno e rischio una

poderosa beccata. Desisto dalla tentazione di ritentare. La motonave ritorna e a malincuore ci

rimbarchiamo, lasciando questo gelido e ventoso paradiso. Ripartiamo all'alba del 9 febbraio,

costeggiando lo stretto di Magellano e con vento a favore, alla volta del punto dove traghettare

per la Terra del fuoco. Ci fermiamo lungo la strada in un bar. All'entrata, bianche vertebre di

balena usate come seggiolini. Ripartiamo, ma dopo pochi chilometri mi accorgo che il pedale della

pedivella sinistra sta uscendo dalla sua sede !! Sono nei pasticci. Come farò a pedalare? Questo

non è un danno che posso riparare da solo e da queste parti dove trovo un ciclista ? Un momento

di sconforto poi scopro che posso cercare di tenere inserito il pedale premendolo contro la

pedivella e scaricando il più possibile la gamba sinistra forzando maggiormente con la gamba

destra. Così facendo percorro ancora una decina di chilometri, fino al traghetto. Traghettiamo e

intanto penso a come risolvere il problema. Siamo sulla Terra del Fuoco. Percorro in queste

condizioni ancora i 34 km. che ci portano a Cerro Sombrero. In pratica è come pedalare con una

gamba sola !! In albergo chiedo aiuto alla ragazza della reception. Mi carica sul suo pik-up e mi

porta da un signore appassionato ciclista. Fuori di casa sua ci sono tre vecchie bici arrugginite e in

casa mi sfoggia una Cinelli da corsa. Con il suo generoso consenso recupero da una delle tre un

pedale che monto sulla mia pedivella. Anche questa volta qualcuno ha guardato giù, dicono al mio

paese. Ritorno all'albergo a montare le coperture da mountain bike perché il giorno dopo si dovrà

riprendere lo sterrato. Nel fare le manovre non trovo più una camera d'aria. La cerco e mi accorgo

che il vento me l'ha portata una ventina di metri più in là. Lascio la bici appoggiata a un muro per

andare a riprenderla e quando ritorno la ritrovo scaraventata per terra. Mi sembra di essere alle

comiche. E' l'11 di febbraio e ripartiamo direzione ovest - est verso San Sebastian, sull'oceano

Atlantico. Dovremo riattraversare il confine per rientrare definitivamente in Argentina. Abbiamo il

vento a favore e che vento!! Ci spinge che è un piacere, ma come la strada cambia direzione

Arianna finisce in un fosso. Il tempo di capire e di fermarci. Appoggiamo le biciclette per terra e

"gattonando" cerchiamo di raggiungerla. Facciamo fatica a tornare indietro. Lei è sotto la bici e

non si muove. Penso al peggio e mi vengono le lacrime agli occhi.

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Da sinistra : Arianna, Bruno, Angelo e Walter all'arrivo a Ushuaia.

Spero che non si sia fatta niente di grave perché in questo posto sarebbe un grosso problema

trovare un aiuto. Per fortuna è così. Solo un piccolo danno alla sella riparabile temporaneamente

con un po' di nastro isolante. Si riparte contenti di averla scampata e verso la frontiera. Ci

arriviamo che è ormai pomeriggio inoltrato. Scattiamo qualche foto con delle guardie cilene e

ripartiamo in territorio Argentino verso la località di San Sebastian, alla ricerca di un hotel dove

passare la notte. Ci arriviamo con il solito vento che non smette un minuto di soffiare e dopo aver

percorso in totale 132,7 Km. Capiamo subito che la proprietaria vuole spennarci e siamo costretti a

mercanteggiare il prezzo della camera e della cena. Troviamo un accordo e l'indomani partiamo

con l'intenzione di raggiungere la città di Tolhuin che dista oltre 200,00 km. Il tempo non promette

niente di buono. Incontriamo dopo pochi chilometri l'oceano Atlantico che costeggiamo verso sud.

Le nuvole cominciano a scaricare il loro contenuto di acqua gelida. Arriviamo alla città di Rio

Grande dove cerchiamo una banca per prelevare dei soldi.Fermarsi tutti bagnati e intirizziti non è

piacevole. Entriamo in una panetteria tremanti per il freddo. Una signora si accorge del nostro

stato e ci chiede se vogliamo andare a casa sua per un caffè. Ringraziamo per la generosità ma

preferiamo metterci subito in cammino perché stiamo congelando. Ripartiamo sotto una pioggia

intensa che si trasforma a volte in una sorta di nevischio. Verso sera dopo aver percorso 206,3 Km.

di cui circa 180 sotto l'acqua, arriviamo a Tolhuin sul lago Fagnano. Siamo fradici, stanchi e

intirizziti ma contenti perché ci rendiamo conto di avere ormai in tasca la nostra meta. Mancano

un centinaio di chilometri a Ushuaia e domani ci arriveremo. Io e Angelo cerchiamo un hotel per

passare la notte mentre Arianna e Bruno ci aspettano in una pasticceria. Troviamo il sito e mentre

Angelo prende posto io ritorno a prendere Arianna e Bruno. Strada facendo vengo attaccato da un

cane che mi mostra con aggressività tutta la sua dentatura. Cerco di pedalare con naturalezza per

non irritarlo ulteriormente ma in pochi secondi sono circondato da una decina di bestie ringhianti

che fanno branco. Sono molto spaventato e non so cosa fare. Mi salva un bambino in bicicletta che

come il pifferaio magico richiama tutti i cani e mi libera dall'impiccio. E' il 12 di febbraio e lasciamo

Tolhuin per l'ultima fatica. Fra tre giorni compirò 55 anni. Sono doppiamente felice. Il mio sogno si

sta concretizzando. Affrontiamo quest'ultima tappa con grande tranquillità. Costeggiamo il lungo

lago Fagnano, riflettendo sulla lussureggiante e atipica vegetazione della zona. Un'oasi nella

steppa. Superiamo il passo Garibaldi e cerchiamo con lo sguardo la tanta sofferta e desiderata

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Ushuaia. Niente. Si lascia ancora desiderare e dobbiamo percorrere ancora diversi chilometri

prima di vederla improvvisamente apparire allo sbocco di una stretta valle. Esultiamo. E' finita.

Abbiamo percorso 3.693 Km. in 25 giorni ad una media di circa 150 chilometri al giorno. Il

"cammello" ha perso otto kg. Ora più che mai penso che le gioie più grandi passano attraverso la

fatica e la sofferenza. La ciudad mas austral del mundo, è li, adagiata sul canale di Beagle, e come

una bella donna si fa ammirare da chi l'ha saputa conquistare.

Walter Bargna