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Archivio di Etnografia 2/2007

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L’altra Sarajevo - dossier fotografico

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«Di quale Sarajevo sei?» (iz kojeg si Sarajeva?) è una domanda che icittadini di Sarajevo si sentono rivolgere e si rivolgono sempre più spesso da quan-do, nel 1995, il trattato di pace di Dayton ha sancito la divisione dello spazio urba-no in due città distinte: Sarajevo e Sarajevo est (Istocno Sarajevo-Источно Сарајево).Formulare la domanda equivale ad aver interiorizzato la nuova organizzazione ter-ritoriale della città, rivoluzionaria rispetto ai codici sedimentatisi nel corso di seco-li relativi alla percezione e all’utilizzo dello spazio urbano come unitario. Porre ilquesito ha però anche una valenza politica, poiché mettere in pratica (anche nellapratica verbale) il rapido mutamento dell’habitus urbano significa almeno ricono-scere, se non concordare con, il progetto politico nazionalista che vi sta alla base.Per questa ragione non è insolito trovare oppositori di questo progetto pronti a ri-spondere a un tale quesito che di Sarajevo ne esiste una sola, disconoscendo in que-sto modo la legittimità e la stessa esistenza di Sarajevo est nata proprio dalla seces-sione urbana sostenuta dal fronte etno-nazionalista serbo-bosniaco.

Al di là del consenso accordato alle formazioni politiche, negare l’esistenza di Sa-rajevo est significa negare la situazione di separazione all’interno dell’area urbana diSarajevo, de facto e de jure esistente. Il mancato riconoscimento, inoltre, impedisceanche di attestare l’asimmetria materiale tra le due città, visibile anche a partire dal-la loro collocazione sul territorio urbano pre-conflitto: centrale per Sarajevo e peri-ferica per Sarajevo est. Lo stesso squilibrio è registrabile nella distribuzione delle at-tività produttive più redditizie nel dopoguerra bosniaco ovvero il commercio e il ter-ziario costituito principalmente dai servizi offerti dalle istituzioni statali, concentra-ti ovviamente nella capitale, e dall’enorme mole di organizzazioni internazionali im-pegnate nell’umanitario, nel sostegno allo sviluppo e alla democratizzazione. D’al-tro canto, però, accettare la separazione di Sarajevo est, aiutata dalla morfologia delterritorio che la nasconde dietro le colline a sud-est dell’attuale Sarajevo, significanegare qualsiasi tipo di relazione o di rapporti di filiazione dalla città originaria.

Sarajevo est è invece nata dall’esodo della popolazione serba da Sarajevo. I suoiabitanti, per quanto abbiano reciso il loro rapporto con il passato, con la storia ela tradizione urbana, le cui testimonianze architettoniche sono rimaste a Sarajevo,non possono cancellare repentinamente il corredo culturale etnicamente trasver-sale sviluppatosi nell’ambiente cittadino in cui sono vissuti prima del conflitto. A

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Riaffiorano perciò nella loro vita quotidiana modi di dire quali “vado in città/va-do in centro” (idem u grad) che ancora oggi essi utilizzano quando intendono an-dare a Sarajevo e non a Pale (centro amministrativo di Sarajevo est).

Nonostante si sia trattato di costruire uno spazio urbano in un’area semi ruraledella vecchia Sarajevo, quest’opera non appare come una fondazione ex novo macome ri-fondazione dello spazio urbano a partire dal ripristino in un nuovo luogodei simboli della propria identità storico-culturale di cui si sono cancellate le trac-ce nella memoria storica ufficiale della Sarajevo post-conflitto. Il “trapianto” delledenominazioni delle vie è emblematico a questo proposito. La rifondazione dellospazio urbano a Sarajevo est ha come suoi pilastri fondamentali la religione orto-dossa, l’alfabeto cirillico, la fedeltà alla Madre Serbia ovvero i tratti distintivi dell’i-dentità serba che, pur essendo in parte preesistenti al conflitto, subiscono oggiun’opera di enfatizzazione in relazione e per contrasto alle identità croata e musul-mana ormai preponderanti nell’attuale Sarajevo. Lo stesso tragico vissuto dell’eso-do e la convivenza in luoghi di accoglienza per sfollati in Sarajevo est hanno gioca-to il ruolo di esperienze modellatrici dei tratti salienti dell’identità etno-nazionaleserba e hanno promosso l’identificazione della popolazione sfollata con essi. È,inoltre, durante questi particolari momenti che è intervenuto il processo di vittimiz-zazione del sé in contrapposizione alla demonizzazione dell’“Altro” etnico, che hacontribuito ad arricchire di nuovi elementi morali la presunta sostanza culturale delproprio gruppo etno-nazionale. Questa città è dunque figlia della logica della puli-zia etnica che con le armi o la propaganda tende a trasformare i confini del suo ter-ritorio negli invalicabili confini di uno spazio etnicamente esclusivo ed escludente.

Nonostante ciò Sarajevo est non riesce a impedire gli sconfinamenti al di là deipropri limiti territoriali dei suoi simboli identitari, come accade per i negozi serbicon le insegne scritte in cirillico rimasti nell’area di Dobrinja, che restano a testi-monianza di un ordine territoriale interetnico non più esistente.

Occorre aggiungere che nella cornice di questa fervida opera di produzione diuna sua identità etnica e territoriale alternativa a quella di Sarajevo, Sarajevo est sirende autonoma dalla capitale dal punto di vista istituzionale e dei servizi, attraver-so un processo che va avanti per sdoppiamento, dando vita a una sorta di “meiosi ur-bana”. Istituzioni unitarie prima del conflitto, come l’Università, costituiscono oggidue istituzioni distinte, ognuna delle quali fa capo e ha sede in una delle città: cosìnel dopoguerra l’Università di Sarajevo non è la stessa di Sarajevo est. Lo stesso di-casi per le municipalità, i quartieri, la rete dei trasporti pubblici, ecc.

Tuttavia, il livello dei servizi offerti dalle istituzioni costituitesi a Sarajevo estspesso non è comparabile con quello delle istituzioni della capitale, che hanno alleloro spalle una lunga tradizione urbana. A Sarajevo est, inoltre, l’accelerazione delprocesso di urbanizzazione e di “appaesamento” dello spazio che ne scaturisce hadato vita a uno sviluppo poco razionale del perimetro urbano e del processo di edi-ficazione, al radicale mutamento della destinazione d’uso degli edifici preesistenti, abizzarri accostamenti di elementi urbani e rurali presenti nel paesaggio della nuovacittà che sta prendendo forma.

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Per altri versi, la ricerca di una identità radicalmente antitetica a Sarajevo vienevanificata da orientamenti comuni che è possibile individuare nelle politiche cul-turali delle due città, soprattutto quando è in questione la passata esperienza uni-taria dello Stato federale socialista. Proprio la rottura con quel passato accomunaSarajevo e Sarajevo est ed è visibile nella negazione o scarsa valorizzazione deglielementi simbolici e architettonici che lo ricordano.

L’abolizione dell’uso del doppio alfabeto (latino e cirillico) per i cartelli strada-li o le insegne di edifici pubblici designa un abbandono del progetto politico so-cialista di “Fratellanza ed Unità” (Bratsvo i Jedinstvo) votato alla coesistenza inte-retnica, che viene palesemente rimpiazzato da un’incalzante politica di etnicizza-zione dello spazio. Emblematica a questo proposito è stata la battaglia delle istitu-zioni cittadine di Sarajevo est per la preservazione della denominazione “Sarajevoserba” (Srpsko Sarajevo-Српско Сарајево), abrogata dalla Corte Costituzionale bo-sniaca nel 2005 perché discriminatoria nei confronti degli abitanti di altre nazio-nalità. Tuttavia un rapido sguardo allo spazio urbano evidenzia che la sostituzionedel toponimo, imposta dalla Corte, ne ha provocato la scomparsa solo nei contestiufficiali, mentre non ha impedito alla popolazione locale di continuare a utilizzar-lo in luoghi extra-istituzionali.

La sequenza di immagini proposte mira a dare dei cenni su alcuni degli aspetticaratterizzanti la città di Sarajevo est che, pur imputando la sua genesi a una mar-ginalizzazione subita, desidera oggi essere uno spazio alternativo alla Sarajevo“musulmana”. Essa si pensa e si modella, infatti, come “l’altra Sarajevo”: la Saraje-vo serba.

Nonostante questa volontà di netta separazione suggellata dalla divisione terri-toriale, i rapporti tra le due città restano comunque compresi entro uno spazio direlazionalità non solo identitaria. Nell’epoca della normalizzazione post-conflittoe dell’avvento dell’economia di mercato, a controbilanciare l’effetto delle politicheetno-nazionaliste intervengono le asimmetrie strutturali tra un luogo e l’altro cheincentivano pratiche di mobilità e di quotidiano attraversamento del confine perla ricerca di migliori opportunità di lavoro e possibilità di acquisto. In questo sen-so, la logica post-moderna della contrazione spazio-temporale illustrata da DavidHarvey lotta ogni giorno con la logica prettamente moderna della co-estensività delterritorio e della nazione, che tende a rendere luoghi come Sarajevo e Sarajevo est,così vicini geograficamente, molto lontani nella percezione dei loro abitanti.

L’esistenza di politiche e pratiche spaziali contrastanti attorno a Sarajevo est po-ne con forza una riflessione sugli aspetti ideologici e quotidiani della presente di-visione che prospetta agli abitanti di questa proto-città la chiusura in una realtà au-tarchica. L’accettazione o il rifiuto di questa prospettiva di vita, per molti versi li-mitante, è legata alla risoluzione di nodi problematici di importanza cruciale perl’intero stato di Bosnia-Erzegovina, rappresentati dalla conciliazione tra i disegniterritoriali unitari e separatisti ma soprattutto dal compimento della riconciliazio-ne post-bellica.

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Fig. 1. Quartiere di Dobrinja. Esercizi commerciali di serbi rimasti sul territorio assegnato a Sarajevo.

Fig. 2. Chiesa ortodossa di Sveti Vasilije Ostroški (Sarajevo est). Danza del Kolo in occasione di un Teferic(festa popolare).

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Fig. 3. Autorità religiose ortodossecelebrano i riti per il giorno dell’Ascensione(Spasovdan) in cui ricorre anche il giornodella municipalità di Novo Sarajevo est.

Fig. 4. Cimitero di Miljevici (Sarajevo est).Riti profani in suffragio dell‘anima deidefunti nel giorno di Markov Dan(8 maggio).

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98 Fig. 5. Sarajevo est: tracce del passaggio degli Ultras della squadra locale.

Fig. 6. «Centro commerciale. Sarajevo serba».

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Fig. 8. Miljevici (Sarajevo est): «Via dei combattenti serbi».

Fig. 7. «Serbia». Ingresso di una scuola superiore al centro di Lukavica (Sarajevo est).

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Fig. 9 (a-b). «Via Belgrado» a Sarajevo primadel conflitto e a Sarajevo est dopo il conflitto.

Fig. 10. Celebrazioni per la ricorrenza dei 12 anni(1995-2007) dalla difesa della regione Sarajevo-Romanija da parte delle forze serbo-bosniache.

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Fig. 12. Sarajevo est. Bambini dellascuola dell’obbligo salutano con le tredita: diventato, dopo il conflitto, gestosimbolo dell’ortodossia e dell’identitàetno-nazionale serba.

Fig. 11. Sarajevo est. Materialepropagandistico del partitonazionalista serbo (SDS) impiegato per usi domestici.

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102 Fig. 13. Sarajevo est. Caserma Seljo. Durante l’ultimo conflitto, alloggio temporaneo persfollati e rifugiati. Oggi conosciuta come Dom za vješanje (Casa per l’impiccagione) a causadell’alto tasso di suicidi registrati al suo interno.

Fig. 14. Lukavica (Sarajevo est). «La libertà si difende con la conoscenza»: slogan socialistasulle pareti di una ex caserma, ancora oggi ricovero per sfollati.

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Fig. 15. «Insieme siamo più forti»: slogan socialista in una ex caserma dell’EsercitoPopolare Jugoslavo (JNA) a Lukavica. Testimonianza del supporto ideologico delprecedente governo all’unitarietà dello Stato.

Fig. 16. Pale. Università di Sarajevo est, Facoltà di Lettere.

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104Fig. 17. Pale (Sarajevo est). Mezzo di trasporto pubblico.

Fig. 18. Lukavica (Sarajevo est). Oggetti in vendita al mercato settimanale.

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Fig. 20. Lukavicacentro. Casa incostruzione congiardino fiorito.

Fig. 19. Nuovo centrocommerciale TOMcostruito con fondi di un imprenditorelocale.

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Fig. 21. Sarajevo est. Galline razzolano nei pressi di aree urbane di nuova edificazione al centro di Lukavica.

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ETNOGRAFIE

Patrizia Panarello Stereotipi e auto-rappresentazioni identitarie. Il caso etnografico di una città del Sud 9

REPERTORI

Domenica BorrielloRappresentazioni visive. Il fascino intrigante dei dipinti votivi campani 47

SEQUENZE

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STORIE

Sibilla Tieghi«Gh’è chi la vècia che la vien cantando». Indagine su un rito di questua nelle campagne ferraresi 109

RETROSPETTIVE

Rocco ScotellaroUn dio contadino 123

TACCUINO

Simonetta Scarpa, Maria Cristina TalàLazzareni e Matinate a Sannicola 131

Antonella IacovinoRecenti iniziative museali in campo demoetnoantropologico in Basilicata 137

LETTURE

Valerio Bernardi, Eugenio ImbrianiSul concetto di “naturale”. Alcune considerazioni sui libri di Francesco Remotti e Filippo Trasatti 143

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Indice

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LIBRI, CD E VIDEO / SCHEDE 151

ABSTRACTS 163

edited by Dorothy L. Zinn

GLI AUTORI 167

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