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Universit` a degli studi di Genova Dipartimento di Fisica APPUNTI DI RELATIVIT ` A SECONDO MODULO R. Collina anno acc. 2001/02

APPUNTI DI RELATIVITA` - ge.infn.itcollina/relatività 2.pdf · satelliti artificiali e quelli per la rilevazione delle onde gravitazionali. Non sono discussi, per mancanza di tempo

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Universita degli studi di Genova

Dipartimento di Fisica

APPUNTI DI RELATIVITA

SECONDO MODULO

R. Collina

anno acc. 2001/02

2

Indice

0.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

1 La struttura locale dello spazio-tempo 7

1.1 Da Eotvos al principio di equivalenza di Einstein . . . . . . . . . 7

1.1.1 L’esperimento di Eotvos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.1.2 Il principio di equivalenza di Einstein . . . . . . . . . . . 11

1.2 Particella in caduta libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

1.2.1 Lo spazio-tempo come varieta . . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.2.2 Il fibrato principale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

1.2.3 Relazione tra gµν e Γλµν . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18

1.2.4 Principio d’azione per una particella in caduta libera . . . 20

1.3 Il limite Newtoniano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

1.3.1 Dilatazione del tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23

1.3.2 L’esperimento di R. V. Pound, G. A. Rebka, J. Snider . . 26

2 Gravitazione e Geometria 31

2.1 Il principio di covarianza generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31

2.2 Varieta e tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

2.2.1 L’algebra tensoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

2.2.2 Densita tensoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

2.2.3 Trasformazione della connessione affine . . . . . . . . . . 38

2.3 La differenziazione covariante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

2.3.1 Operatori differenziali covarianti notevoli . . . . . . . . . 44

3

4 INDICE

2.3.2 Differenziazione covariante lungo una curva . . . . . . . . 46

3 La teoria della gravitazione 49

3.1 Sistemi in campo gravitazionale esterno . . . . . . . . . . . . . . 49

3.1.1 Precessione di Thomas e trasporto di Fermi . . . . . . . . 49

3.1.2 Il principio d’azione in forma covariante generale . . . . . 52

3.1.3 Il tensore energia-impulso . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

3.2 Connessione di spin e torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

3.3 Curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

3.3.1 Proprieta algebriche del tensore di curvatura di Riemann-

Christoffel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61

3.3.2 Curvatura e holonomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

3.3.3 Gravitazione e coordinate curvilinee . . . . . . . . . . . . 66

3.3.4 Deviazione dalla geodetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68

3.4 L’equazione di campo di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69

3.4.1 Validita dell’equazione di Einstein; la scala di Planck . . . 72

3.4.2 Invarianza di gauge; coordinate armoniche . . . . . . . . . 73

3.4.3 Il problema di Cauchy per l’equazione di Einstein . . . . . 75

3.4.4 Tensore energia-impulso e momento angolare della gravi-

tazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

4 Conseguenze dell’equazione di Einstein 81

4.1 I tests classici della teoria di Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . 81

4.1.1 Spazi simmetrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82

4.1.2 Metrica standard e metrica isotropa . . . . . . . . . . . . 83

4.1.3 La soluzione esterna di Schwarzschild . . . . . . . . . . . 87

4.1.4 Il teorema di Birkhoff . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91

4.1.5 Espansione di Eddington e Robertson della metrica . . . . 92

4.2 Integrale generale dell’equazione del moto . . . . . . . . . . . . . 93

4.2.1 Deflessione della luce da parte del sole . . . . . . . . . . . 98

INDICE 5

4.2.2 Precessione del perielio delle orbite dei pianeti interni . . 102

4.3 La soluzione di Schwarzschild e i black holes . . . . . . . . . . . . 107

4.3.1 L’orizzonte degli eventi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

5 Campi gravitazionali deboli 113

5.1 Teoria linearizzata della gravitazione . . . . . . . . . . . . . . . . 113

5.1.1 Equazione delle onde e scelta del gauge . . . . . . . . . . 115

5.1.2 Onde piane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116

5.1.3 Particelle di test in presenza di un’onda gravitazionale . . 119

5.1.4 Generazione di onde gravitazionali . . . . . . . . . . . . . 121

5.1.5 Approssimazione di quadrupolo . . . . . . . . . . . . . . . 124

6 INDICE

A Giuliana

0.1 Introduzione

Questa seconda parte del corso riguarda la cosı detta Relativita Generale, cioe

la vera teoria relativistica. La materia e trattata in modo autosufficiente, in-

troducendo, via, via i necessari concetti di geometria differenziale. Il corso puo

essere seguito da tutti gli studenti che conoscano gli argomenti trattati nel pri-

mo modulo. Questi appunti, come quelli relativi al primo modulo, non sono ne

un trattato ne un corso per specialisti, ma, almeno nell’idea del docente, una

raccolta degli argomenti svolti nel corso adatta a tutti gli studenti di Fisica;

essendo dato piu risalto alle motivazioni fisiche che non agli strumenti tecnici.

Il linguaggio e quello della teoria dei campi moderna, generalizzando il con-

cetto di simmetria ed introducendo quello di spazio simmetrico e, anche in

questo caso, si ricorre al principio d’azione. Vengono discussi gli esperimenti

classici proposti da Einstein e quelli piu recenti quali quelli fatti con l’uso di

satelliti artificiali e quelli per la rilevazione delle onde gravitazionali. Non sono

discussi, per mancanza di tempo i modelli cosmologici, meno che un breve cenno

a quello di Freedman. Come nel primo modulo fanno parte integrante del corso

un numero limitato di ore di esercitazioni numeriche in classe ed, anche in que-

sto caso, viene distribuita agli studenti una breve collezione di esercizi, completi

di soluzione, che ritengo siano utili ai fini della preparazione dell’esame.

Genova 03 / 01 / 2001 Renzo Collina

Capitolo 1

La struttura locale dello

spazio-tempo

1.1 Da Eotvos al principio di equivalenza di Einstein

Nella prima parte del corso abbiamo illustrato, nelle sue linee principali, la

teoria della relativita ristretta; abbiamo cioe dato una descrizione dei fenomeni

fisici all’interno di una classe di sistemi di riferimento, quella dei sistemi iner-

ziali, e per questo motivo quella teoria non e veramente relativistica. Come

abbiamo gia osservato i sistemi di riferimento ai quali possiamo ricondurre i

nostri esperimenti non sono mai inerziali e solo approssimativamente possono

essere considerati tali. Un’osservazione importante e che il grado di approssi-

mazione e legato sperimentalmente a due fattori principali tra loro collegati, il

primo riguarda il luogo ove gli esperimenti vengono fatti ed il secondo e legato

alle scale spazio-temporali (cioe all’estensione spaziale della regione riguardan-

te l’esperimento e la sua durata temporale) e tali scale sono diverse in base al

luogo. L’idea di Einstein consiste nell’osservare che localmente la descrizione

di un sistema fisico puo essere sempre ricondatta a quella compatibile con un

opportuno sistema di riferimento inerziale, ma, proprio a causa del carattere

strettamente locale, due tali sistemi di riferimento inerziali, riferiti a due punti

diversi dello spazio tempo, non appartengono alla stessa classe di equivalenza

modulo una trasformazione del gruppo di Poincare. Per comprendere in modo

piu quantitativo e dare una formulazione scientificamente significativa di questo

fatto dobbiamo capire perche il sistema di riferimento di un osservatore reale

non e mai inerziale. Un’osservazione ovvia e che in ogni punto dell’universo

e sempre presente un campo di forze gravitazionale locale dovuto alla distri-

buzione della materia. Questo fatto e sufficiente per impedire l’esistenza di

7

8 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

osservatori inerziali (compresi, a prima vista, anche quelli locali).

Scendendo piu nel dettaglio sappiamo che la forza gravitazionale (comune-

mente detta peso) e legata ad una carica propria di ogni corpo che subisce tale

forza; tale carica e detta massa gravitazionale, cioe in formule, nel sistema

delle stelle fisse od in un riferimento terrestre, per un corpo di piccole dimensioni

e per una misura di breve durata temporale si ha

~P (x) = mg~g(x), (1.1.1)

dove ~P (x) e la forza peso, mg e la massa grvitazionale e ~g(x) e il campo gra-

vitazionale. La forza ~P (x) puo essere misurata con un dinamometro, ma per

risalire all’intensita del campo ~g(x) nel punto (quadridimensionale) x occor-

re un campione per la carica gravitazionale, cioe per la massa gravitazionale

mg. D’altra parte, con la specificazione fatta per il sistema di riferimento, se

lasciamo cadere liberamente il corpo di massa gravitazionale mg, questi sara

soggetto alla seconda legge della dinamica per cui cadra con una accelerazione

~a(x) secondo la legge

~P (x) = mi~a(x), (1.1.2)

dove con mi sie indicata la massa (che diremo inerziale) del corpo in questione

e con ~a(x) la sua accelerazione nel punto x in conseguenza alla forza agente~P (x). Potremo allora fissare, tramite un corpo campione di massa inerziale mi,

il campione della carica gravitazionale ponendo

mg = mi. (1.1.3)

Questa scelta fissa l’intensita del campo gravitazionale ~g(x) uguale all’accele-

razione di caduta libera del corpo campione in quel punto. Non vi e adesso,

in linea di principio, nessuna difficolta a verificare se due corpi di piccole di-

mensioni hanno la stessa massa gravitazionale; per questo basta una bilancia

perche due corpi che nello stesso punto (ed allo stesso istante) sono soggetti

alla stessa forza peso hanno anche la stessa massa gravitazionale∗ . Pero non

vi e nessun motivo per il quale due corpi che hanno la stessa massa gravitazio-

nale debbano avere anche la stessa massa inerziale (questo e ovviamente vero

per il nostro corpo campione, ma, in linea di principio solo per quello). In

altri termini due corpi diversi che hanno la stessa massa gravitazionale posso-

no cadere con accelerazioni diverse, mentre, se massa gravitazionale e massa

∗In effetti, in un laboratorio terrestre, questo e vero solo se si trascurano gli effetti do-vuti alla rotazione della terra, quindi, anche se e sperimentalmente piu difficile, si preferisceconfrontare le masse inerziali.

1.1. DA EOTVOS AL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA DI EINSTEIN 9

inerziale coincidono tutti i corpi devono cadere con la stessa accelerazione ~g(x)

nel punto x. In prima approssimazione sembra sperimentalmente vera l’ultima

affermazione, ma una misura di precisione dell’accelerazione di caduta di un

corpo presenta notevoli difficolta; lo stesso Galilei si era posto questo problema

e piu tardi Newton aveva cercato di fare una misura con un pendolo composto,

senza per altro giungere a nessun risultato significativo.

1.1.1 L’esperimento di Eotvos

Il primo esperimento significativo atto a confrontare la massa gravitazionale con

quella inerziale e dovuto a Roland von Eotvos e fu fatto a Budapest nel 1889.

L’idea di Eotvos e molto semplice e consiste nel confrontare con una biancia di

torsione l’azione contemporanea, su due corpi diversi, delle forse gravitazionali

e d’inerzia (dovute queste ultime alla rotazione della terra).

Figura 1.1: Schema dell’esperimento di Eotvos

In Fig.(1.1) e rappresentata schematicamente la bilancia di torsione dell’espri-

mento di Eotvos, i blocchetti A e B sono di materiali diversi, g′z e g′s sono

le componenti del campo di forze inerziali (dovuto alla rotazione della terra),

10 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

mentre g rappresenta il campo gravitazionale locale e T rappresenta il momento

di torsione agente sulla bilancia. Dalle condizioni di equilibrio si ha

lA(

mgA g −miA g′z)

= lB(

mgB g −miB g′z)

, (1.1.4)

T = lAmiA g′s − lBmiB g′s. (1.1.5)

Sostituendo in (1.1.5) lB ricavato dalla (1.1.4) si trova

T = lAmiA g′s

[

1 −mgA

miA9 − g′z

mgB

miB9 − g′z

]

(1.1.6)

e poiche e g′z ≪ g si trova

T = lA g′smgA

[

miA

mgA− miB

mgB

]

. (1.1.7)

Per il legno ed il platino Eotvos trovo

miA

mgA− miB

mgB< 10−9. (1.1.8)

Ripete la misura per diversi materiali trovando sempre valori confrontabili con

la (1.1.8). La misura di Eotvos e stata ripetuta con varie migliorie, R. H.

Dicke usando il campo gravitazionale solare e il riferimento delle stelle fisse ha

trovato, verso la fine degli anni 60, per il rapporto massa inerziale su massa

gravitazionalemi

mg= 1 ± 10−11. (1.1.9)

Esistono anche misure indirette come quelle deducibili dal moto della luna

tenuto conto dei campi gravitazionali del sole e della terra (si tratta cioe di

un problema a tre corpi). Una misura di questo tipo e stata resa possibile

monitorando la distanza terra-luna con un errore dell’ordine della decina di

centimetri con l’uso di un deflettore per raggi laser lasciato sulla luna da una

missione Apollo. In questo caso si e trovato

mi

mg= 1 ± 10−21. (1.1.10)

Va pero osservato che nell’esperienze di questo ultimo tipo (dette di caduta

verso il sole) si considera il campo gravitazionale a grandi distanze, mentre nel

caso precedente siamo a piccole distanze e le variazioni del campo gravitazionale

1.1. DA EOTVOS AL PRINCIPIO DI EQUIVALENZA DI EINSTEIN 11

sulle piccole distanze sono mal conosciute; d’altra parte e a piccole distanze che

va fatta la misura. La misura sulle grandi distanze e significativa solo se la

legge di variazione del campo e la stessa che a piccole distanze. In ogni caso

possiamo dire che la massa inerziale e quella gravitazionale coincidono almeno

con un errore non superiore ad una parte su 1011.

1.1.2 Il principio di equivalenza di Einstein

Einstein, basandosi sul risultato dell’esperimento di Eotvos (all’epoca il risul-

tato piu preciso) ha ipotizzato la coincidenza della massa gravitazionale con

quella inerziale e, con il celebre esperimento ideale dell’ascensore, ha mostrato

come trovare, in un campo gravitazionale omogeneo, un sistema di riferimento

localmente inerziale.

Il ragionamento di Einstein e molto semplice: supponiamo che, all’interno

di un ascensore vi siano N particelle di masse mi con i = 1, ...,N che interagi-

scono fra loro con una forza che dipende solo dalla posizione e siano soggette

ad un campo gravitazionale esterno ~g (quello terrestre nel punto considerato),

che possiamo considerare costante nella regione che interessa. Per una durata

dell’esperimento dell’ordine di qualche minuto potremo srivere, rispetto ad un

riferimento terrestre, l’equazione del moto per la particella k-esima nella forma

mi kd2~xkdt2

= mg k~g +

N∑

n 6=k, 1

~F (~xk − ~xn) . (1.1.11)

Supponiamo adesso che l’ascensore sia in caduta libera e riscriviamo la (1.1.11)

nel riferimento dell’ascensore. Per fare questo basta il cambiamento di coordi-

nate galileiano (siamo a basse velocita)

~x = ~x′ +1

2~g t2, t = t′. (1.1.12)

Se mg k ≡ mi k = mk (coincidenza tra massa gravitazionale e massa inerziale)

troviamo

mk

d2~x′kdt′2

=N∑

n 6=k, 1

~F(

~x′k − ~x′n)

. (1.1.13)

Cioe, all’interno dell’ascensore, la dinamica e quella di un sistema di riferi-

mento inerziale. Generalizzando, dall’esperimento dell’ascensore, si enuncia il

Principio di equivalenza di Einstein:

12 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

In presenza di campo gravitazionale arbitrario, in ogni punto dello spazio-tempo,

e sempre possibile scegliere un sistema di coordinate localmente inerziale, cioe

tale che, in una regione (quadridimensionale) sufficientemente piccola del punto

in questione, le leggi della fisica siano quelle di un sistema di coordinate non

accelerato in assenza di gravitazione.

Il concetto di sistema di riferimento localmente inerziale e rigoroso solo come

concetto limite, ma ha comunque una validita approssimata in relazione al si-

gnificato del termine sufficientemente piccola che appare nell’enunciato del prin-

cipio di equivalenza; una regione quadridimensionale e sufficientemente piccola

se per tutta la sua estensione il campo gravitazionale puo considerarsi costante.

In un linguaggio piu preciso l’enunciato precedente afferma che nell’intor-

no IX(x) di ogni punto dello spazio-tempo di coordinate Xµ, ove sia presen-

te un campo gravitazionale, e sempre possibile trovare una trasformazione di

coordinate

ζαX = ζαX(x), per ∀ xµ ∈ IX(x) (1.1.14)

rispetto alle quali le leggi della fisica sono quelle della relativita speciale. Que-

sti sistemi di riferimento localmente inerziali sono anche detti in caduta libera.

In altri termini le coodinate ζαX rappresentano un sistema di coordinate per la

carta tangente nel puntoX allo spazio parametrizzato dalle coordinate xµ e l’in-

sieme di tutte le carte forma un atlante. Torneremo piu avanti per approfondire

la struttura geometrica appena introdotta, qui osserviamo solo che le funzioni

ζαX(x) sono differenziabili in x inquanto trasformazioni di coordinate non sin-

golari, per cui esistono, nell’intorno di ogni punto X, anche le trasformazioni

inverse delle (1.1.14)

xµ = xµ(ζX). (1.1.15)

D’ora in avanti sottointenderemo, ove non sia richiesto per maggiore chiarezza,

il pedice X.

1.2 Particella in caduta libera

Con quanto discusso nel paragrafo precedente siamo gia in grado di scrivere

l’equazione del moto di una particella, soggetta alle sole forze di un campo

gravitazionale, in un sistema di coordinate arbitrario. Infatti dal principio di

equivalenza di Einstein potremo scrivere l’equazione del moto della particella

1.2. PARTICELLA IN CADUTA LIBERA 13

nel sistema in caduta libera di coordinate localmente inerziali ζα

d2ζα

dτ2= 0, (1.2.16)

con il tempo proprio dτ , dato da

dτ2 = −ηαβdζαdζβ. (1.2.17)

Nel sistema di coordinate arbitrario xµ il moto della particella sara descritto

dalla linea d’universo xµ = xµ(τ), parametrizzata dal parametro invariante τ

(tempo proprio). Poiche le coordinate ζα sono, secondo la (1.1.14), dipendenti

dalle xµ otteniamo dalla (1.2.16)

d

(

∂ζα

∂xµdxµ

)

=∂ζα

∂xµd2xµ

dτ2+

∂2ζα

∂xµ∂xνdxµ

dxν

dτ= 0; (1.2.18)

Dall’esistenza delle trasformazioni inverse delle (1.1.14), si ha anche

∂xλ

∂ζα∂ζα

∂xµ= δλµ, (1.2.19)

moltiplicando quindi l’ultimo membro della (1.2.18) per ∂xλ

∂ζα si trova

d2xλ

dτ2+ Γλµν

dxµ

dxν

dτ= 0, (1.2.20)

dove Γλµν = Γλνµ e la connessione affine definita da

Γλµν =∂xλ

∂ζα∂2ζα

∂xµ∂xν. (1.2.21)

La (1.2.20) e l’equazione cercata. Anche il tempo proprio (1.2.17) puo essere

scritto nel sistema di coordinate arbitrario x ovvero

dτ2 = −ηαβ∂ζα

∂xµ∂ζβ

∂xνdxµdxν (1.2.22)

ossia

dτ2 = −gµν(x)dxµdxν , con gµν(x) =∂ζα

∂xµ∂ζβ

∂xνηαβ . (1.2.23)

14 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

Nel caso in cui la particella in questione sia a massa zero, le sue cordinate lungo

la linea d’universo non possono essere parametrizzate con il tempo proprio

perche in quel caso e sempre τ = 0. In quel caso dovremo prendere un altro

parametro invariante, sia esso σ; in luogo delle (1.2.16) e (1.2.17) avremo adesso:

d2ζα

dσ2= 0, (1.2.24)

ηαβdζα

dζβ

dσ= 0. (1.2.25)

Procedendo come prima si trova

d2xλ

dσ2+ Γλµν

dxµ

dxν

dσ= 0, (1.2.26)

gµν(x)dxµ

dxν

dσ= 0 (1.2.27)

Osserviamo, che nota gµν(x), la (1.2.23) permette, in linea di principio, di cal-

colare τ in funzione del punto ed eliminarlo nell’integrale della (1.2.20), mentre

la (1.2.27) e piuttosto l’appropriata condizione iniziale della (1.2.26), nel caso

della particella a massa nulla. Dalla (1.2.27) possiamo calcolare il tempo im-

piegato dalla luce per andare da un punto A ad un punto B in una regione

dello spazio-tempo di metrica gµν(x). Infatti per un punto di un fronte d’onda

corrispondente all’evento A di coordinate x0, xi possiamo calcolare quando ar-

riva nel punto (evento) B di coordinate spaziali xi + dxi. Dalla (1.2.27) si ha

l’equazione

g00(x)(

dx0)2

+ 2gi0(x)dxidx0 + gij(x)dx

idxj = 0

che ammette le soluzioni

dx01 =

1

g00(x)

[

−gi0(x)dxi −√

(gi0(x)gj0(x) − gij(x)g00(x)) dxidxj]

(1.2.28)

dx02 =

1

g00(x)

[

−gi0(x)dxi +√

(gi0(x)gj0(x) − gij(x)g00(x)) dxidxj]

(1.2.29)

Il significato delle due soluzioni (1.2.28), (1.2.29) e illustrato in Fig.(1.2), dove

le linee doppie rappresentano le linee di universo degli eventi A e B.

1.2.1 Lo spazio-tempo come varieta

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente la conoscenza delle due quantita

geometriche gµν e Γλµν appaiono essenziali per determinare i sistemi di rife-

rimento localmente inerziali nell’intorno di un punto di coordinate Xµ in un

sistema arbitrario, ovvero per conoscere la struttura locale dello spazio-tempo.

1.2. PARTICELLA IN CADUTA LIBERA 15

Figura 1.2: Ritardo tra l’evento A e l’evento B

Allo scopo di analizzare meglio questo punto rivediamo il principio di equi-

valenza di Einstein in un ambito piu generale. Infatti il contenuto geome-

trico di tale principio coincide con la generalizzazione alle varieta topologiche

n-dimensionali del metodo di Gauss per descrivere una superficie.

Definizione:

Una varieta topologica n-dimensionale M e uno spazio topologico di

Hausdorff, con una base numerabile, che e localmente homomorfa a

Rn

Cioe per ogni punto p ∈ M ∃ un aperto U di p ed un homomorfismo h : U → U ′

che mappa U su un insieme aperto U ′ ⊂ Rn.

h e una carta di M e U e il dominio della carta. Le coordinate(

ζ1, ..., ζn)

dell’immagine h(p) ∈ Rn di un punto p ∈ U sono chiamate le coordinate di p

nella carta. Un insieme di carte hα|α ∈ I con dominii Uα si dice un atlante

di M se⋃

α∈I

Uα = M

Consideriamo adesso due carte hα e hβ i cui domini abbiano intersezione non

nulla

Uαβ = Uα⋂

Entrambe le carte definiscono un homomorfismo nell’intersezione Uαβ . Si ot-

16 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

tiene cosı l’homomorfismo hαβ tra due insiemi aperti in Rn

U ′α ⊃ hα (Uαβ)

hαβ−→ hβ (Uαβ) ⊂ U ′

β

e l’homomorfismo hαβ = hβ h−1α e una trasformazione di coordinate. E infatti

facile verificare che valgono le proprieta

hαα ≡ I,

h−1αβ = hβα

hβγ hαβ = hαγ

dove I rappresenta l’identita. Infine una varieta M e detta differenziabile se

i mapping hαβ sono differenziabili. D’altra parte se hαβ e differenziabile lo e

anche il suo inverso h−1αβ e quindi i mapping hαβ sono diffeomorfismi.

In generale indichiamo con ζα le coordinate sulla carta (tangente) e con xµ

le coordinate sulla varieta nel punto x; potremo quindi scrivere ζα = ζα(x) e

xµ = xµ(ζ) e, nell’intorno del punto x avremo

dζα =∂ζα

∂xµdxµ = eαµdx

µ ≡ eα. (1.2.30)

Le forme differenziali (1-forme) eα sono una base ortonormale di T ∗x (M), lo

spazio cotangente in x ad M. Le matrici eαµ sono i cosı detti vierbeins o tetradi.

Venendo adesso a considerare il nostro caso dove la varieta M e lo spazio-

tempo equipaggiato con la metrica gµν e dove il tempo proprio dτ e invariante

avremo per le (1.2.23) e (1.2.30), nell’intorno di un punto x,

gµν = ηαβeαµeβν (1.2.31)

che rappresenta la scomposizione della metrica in termini dei vierbeins e eαµpuo essere intesa come una sorta di radice quadrata della metrica. Poiche la

metrica gµν non e singolare possiamo introdurre la sua inversa gµν definita da

gµρgρν = δµν (1.2.32)

e poiche e anche ηαδηδβ = δαβ avremo

ηαβ = gµνeαµeβν . (1.2.33)

1.2. PARTICELLA IN CADUTA LIBERA 17

E utile definire anche l’inversa di eαµ che e

Eµα = ηαβgµνeβν . (1.2.34)

In particolare valgono le relazioni

Eµαeβµ = ηαδg

µνeδνeβµ = ηαδη

δβ = δ βα , (1.2.35)

Eµαeαλ = ηαδg

µνeδνeαλ = gµνgνλ = δµλ, (1.2.36)

ηαβEµαEνβ = gµν . (1.2.37)

Le quantita

Eα = Eµα∂

∂xµ(1.2.38)

formano una base ortonormale di Tx(M), lo spazio tangente in x ad M.

1.2.2 Il fibrato principale

La domanda che ci poniamo e: fino a che punto la conoscenza delle quantita

gµν e Γλµν da informazioni per determinare i sistemi di riferimento localmente

inerziali? Per comprendere meglio questo punto consideriamo le coordinate

ζα(X) vicino al punto X. Sviluppando in serie fino al secondo ordine si ha:

ζα(x) = ζα(X) +∂ζα(x)

∂xµ

x=X

(xµ −Xµ)

+1

2

∂2ζα(x)

∂xµ∂xν

x=X

(xµ −Xµ) (xν −Xν) +O(

(x−X)3)

. (1.2.39)

Indichiamo i primi due parametri a secondo membro della (1.2.39) con

aα = ζα(X) e bαµ = eαµ(X) =∂ζα(x)

∂xµ

x=X

. (1.2.40)

In oltre dalla (1.2.21) e dalla (1.2.19), tenuto anche conto della seconda delle

(1.2.40), segue

∂2ζα(x)

∂xµ∂xν

x=X

= Γλµν(X)bαλ (1.2.41)

Per cui la (1.2.39) si scrive

ζα(x) = aα + bαµ (xµ −Xµ) +1

2bαλΓλµν(X) (xµ −Xµ) (xν −Xν) + ... (1.2.42)

18 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

Quindi la (1.2.42) sara nota se si conoscono i parametri aα e bαµ. D’altra parte

e anche, dalla (1.2.31), scritta nel punto X,

ηαβbαµbβν = gµν(X). (1.2.43)

La conoscenza di gµν(X) non determina pero quella dei parametri bαµ; infatti la

(1.2.43) e invariante per la sostituzione bαµ → Λαβbβµ, dove Λαβ e una trasfor-

mazione di Lorentz. Cioe, note nel punto X le quantita gµν e Γλµν , i sistemi

di riferimento localmente inerziali ζα in X sono determinati a meno di una

trasformazione del gruppo di Poincare (anche i quattro parametri aα resta-

no indeterminati). Questo fatto e fisicamente ovvio, perche, per l’invarianza

relativistica della teoria, in ogni punto X dello spazio-tempo, vi sono infiniti

sistemi di riferimento localmente inerziali, collegati tra loro da trasformazioni

del gruppo di Poincare, che sono completamente equivalenti. Da un punto di

vista matematico possiamo raggruppare le proprieta locali dello spazio-tempo

adesso descritte in una struttura geometrica, appartenente alle varieta diffe-

renziabili, detta fibrato, in particolare quello qui descritto e il fibrato principale.

Entrando piu nel dettaglio: lo spazio-tempo parametrizzato dalle coordinate

xµ costituisce la base del fibrato; ad ogni punto X della base e associata una

fibra che consiste nella classe di equivalenza dei sistemi localmente inerziali,

in quel punto, modulo una trasformazione del gruppo di Poincare (gruppo di

struttura del fibrato). Osserviamo che il principio di equivalenza contiene, an-

che se debolmente, delle informazioni dinamiche che si traducono in dei vincoli

specifici sulle proprieta geometriche dello spazio-tempo come, in particolare, la

proprieta di simmetria Γλµν = Γλνµ che segue dall’eq. (1.2.21).

1.2.3 Relazione tra gµν e Γλµν

Nell’equazione (1.2.20) riguardante il moto della particella in caduta libera il

campo di forza gravitazionale e descritto dalla connessione affine Γλµν , vogliamo

far vedere che,nel caso in esame, tutta l’informazione e contenuta nella metrica

gµν , cioe Γλµν e nota se si conosce gµν . Riscriviamo la (1.2.31)

gµν = eαµeβνηαβ

e differenziamola rispetto a xλ trovando

∂gµν∂xλ

=∂eαµ∂xλ

eβνηαβ + eαµ∂eβν∂xλ

ηαβ. (1.2.44)

1.2. PARTICELLA IN CADUTA LIBERA 19

Se ricordiamo la definizione di Γλµν (Eq.(1.2.21)), possiamo scrivere

eαλΓλµν =

∂eαν∂xµ

(1.2.45)

e l’equazione (1.2.44) diventa

∂gµν∂xλ

= Γρλµeαρ eβνηαβ + Γρλνe

αµeβρηαβ (1.2.46)

che, ricordando ancora la (1.2.31), diventa

∂gµν∂xλ

= Γρλµgρν + Γρλνgρµ. (1.2.47)

Circolando gli indici liberi µ, ν, λ otteniamo analoghe espressioni per ∂gλν

∂xµ e∂gµλ

∂xν . Infine possiamo scrivere

∂gµν∂xλ

+∂gλν∂xµ

− ∂gµλ∂xν

= gρνΓρλµ + gρµΓ

ρλν

+gρνΓρµλ + gρλΓ

ρµν

−gρλΓρνµ − gρµΓρνλ

= 2gρνΓρλµ. (1.2.48)

Nella (1.2.48) si e tenuto conto che Γρµν e simmetrica negli indici bassi. Molti-

plicando per la matrice inversa di gµν , gνρ definita in (1.2.32) si ha finalmente

Γσλµ =1

2gσρ

(

∂gµρ∂xλ

+∂gλρ∂xµ

− ∂gµλ∂xρ

)

. (1.2.49)

Cioe, nel nostro caso, la connessione Γσλµ e nota una volta nota gµρ e coincide

col simbolo di Christoffel. Osserviamo ancora due cose importanti e cioe che

l’eq.(1.2.23) assicura l’esistenza di gµν , inversa di gνλ data dalla (1.2.33)

gµλ ≡ gλµ ≡ ηαβ∂xµ

∂ζα∂xλ

∂ζβ= ηαβEµαE

λβ

e che la forma del tempo proprio data dall’eq.(1.2.23) e mantenuta lungo le

traiettorie xµ = xµ(τ) soluzioni dell’eq.(1.2.20). Per la seconda questione

avremo

d

gµνdxµ

dxν

=∂gµν∂xλ

dxλ

dxµ

dxν

dτ+ gµν

d2xµ

dτ2

dxν

dτ+ gµν

dxµ

d2xν

dτ2

=

[

∂gµν∂xλ

− gσµΓσνλ − gσνΓ

σµλ

]

dxλ

dxµ

dxν

dτ= 0 (1.2.50)

20 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

dove sie usato prima la (1.2.20) e poi la (1.2.47). Quindi segue

gµνdxµ

dxν

dτ= −C

con C costante del moto. Scegliendo come condizione iniziale C = 1 si ha il

risultato cercato. Nel caso di massa zero la condizione iniziale e C = 0 con τ

sostituito dal parametro invariante σ.

1.2.4 Principio d’azione per una particella in caduta libera

Possiamo anche vedere che l’eq.(1.2.20) e derivabile da un principio d’azione.

Nel caso in cui il sistema fisico considerato sia una particella puntiforme questo

e descritto dalla collezione dei valori assunti dalle sue 4 coordinate lungo la

linea d’universo che ne descrive l’evoluzione. L’invariante locale piu semplice

e l’incremento infinitesimo del tempo proprio lungo la linea d’universo; quindi

l’azione sara data, a meno di una costante moltiplicativa inessenziale nel caso

della particella in caduta libera, dal funzionale

TAB =

∫ B

A

dτ (1.2.51)

dove A e B indicano rispettivamente lo stato iniziale e finale dell’evoluzione

del sistema. Parametrizziamo poi il tempo proprio lungo la generica traiettoria

(linea d’universo) per andare da A a B con un parametro invariante p, cioe

τ = τ(p); la (1.2.51) si riscrive

TAB =

∫ B

A

dpdp =

∫ B

A

−gµνdxµ

dp

dxν

dpdp. (1.2.52)

Adesso variamo il cammino da xµ(p) a xµ(p)+ δxµ(p) lasciando fissi gli estremi

A e B, cioe in modo che sia δxµ(pA) = δxµ(pB) = 0 e cerchiamo un estremo

del funzionale TAB . Avremo quindi

δTAB =1

2

∫ B

A

(

−gµνdxµ

dp

dxν

dp

)− 1

2(

−∂gρσ∂xλ

δxλdxρ

dp

dxσ

dp− 2gρσ

dδxρ

dp

dxσ

dp

)

dp.

Dove si e tenuto conto che δ dxρ

dp= dδxρ

dp. Il primo fattore sotto integrale e dp

dτe,

su ogni tratto infinitesiomo e anche dp = dpdτdτ ; per cui

δTAB = −∫ B

A

(

1

2

∂gρσ∂xλ

δxλdxρ

dxσ

dτ+ gρσ

dδxρ

dxσ

)

dτ. (1.2.53)

1.3. IL LIMITE NEWTONIANO 21

Integrando per parti l’ultimo termine sotto integrale e che, negli estremi A e B

e δxµ = 0 si ottiene

δTAB = −∫ B

A

(

1

2

∂gρσ∂xλ

dxρ

dxσ

dτ− ∂gλσ

∂xρdxρ

dxσ

dτ− gλσ

d2xσ

dτ2

)

δxλdτ, (1.2.54)

ricordando l’equazione (1.2.48) si ha

δTAB = −∫ B

A

(

d2xσ

dτ2+ Γσνρ

dxν

dxρ

)

gλσδxλdτ. (1.2.55)

Dovendo essere δTAB = 0 per una variazione arbitraria δxλ segue la (1.2.20).

Cioe la soluzione dell’equazione (1.2.20) esprime il fatto che una particella in

caduta libera dal punto A al punto B percorre il cammino piu breve compatibile

con la geometria dello spazio-tempo nel quale si muove; cioe la geodetica.

1.3 Il limite Newtoniano

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti le proprieta locali del campo gra-

vitazionale sono state inglobate, via il principio di equivalenza, nella geometria

dello spazio-tempo. Quindi la conoscenza del campo metrico consente, almeno

in linea di principio, di determinare la dinamica ad esempio di una particella

in caduta libera. D’altra parte il solo principio di equivalenza ha un contenu-

to dinamico troppo debole e da solo non e in grado di darci informazioni sulla

struttura del campo metrico, in particolare dal solo principio di equivalenza non

e possibile distinguere un campo gravitazionale da un campo di forze d’inerzia.

D’altra parte se consideriamo la dinamica di un punto materiale nel limite in

cui vale la teoria di Newton l’eq.(1.2.20) deve coincidere con quella della mec-

canica Newtoniana e questo limite ci da informazione (almeno parziale) su gµν .

Per indagare piu in dettaglio questo punto consideriamo una particella che si

muove lentamente in un campo gravitazionale stazionario debole. Se la parti-

cella e sufficientemente lenta (v ≪ c, c = 1) potremo trascurare d~xdτ

rispetto adtdτ

, quindi in luogo della (1.2.20) potremo scrivere

d2xµ

dτ2+ Γµ00

(

dt

)2

∼ 0. (1.3.56)

Poiche stiamo considerando un campo gravitazionale stazionario gµν e indipen-

dente dal tempo dell’osservatore per cui

Γµ00 =1

2gνµ

(

2∂g0ν∂x0

− ∂g00∂xν

)

= −1

2gνµ

∂g00∂xν

. (1.3.57)

22 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

In oltre abbiamo supposto che il campo sia debole, cioe gµν deve differire poco

da ηµν ; in altri termini posto

gµν ∼ ηµν + hµν , con |hµν | ≪ 1 (1.3.58)

consideriamo il primo ordine in hµν , da cui segue

Γµ00 ∼ −1

2ηνµ

∂h00

∂xν. (1.3.59)

Sostituendo (1.3.59) in (1.3.56) otteniamo

d2~x

dτ2=

1

2

(

dt

)2~∇h00, (1.3.60)

d2t

dτ2= 0. (1.3.61)

Nella (1.3.61) sie ancora tenuto conto della stazionarieta del campo (∂h00

∂t= 0).

Da una prima integrazione di (1.3.61) si ha dt = cost dτ ; sostituendo in (1.3.60)

si had2~x

dt2=

1

2~∇h00. (1.3.62)

Dalla meccanica di Newton, per lo stesso sistema, si ottiene

d2~x

dt2= −~∇Φ, (1.3.63)

dove Φ e il potenziale gravitazionale. Confrontando (1.3.62) con (1.3.63) otte-

niamo

h00 = −2Φ + cost. (1.3.64)

Per determiare la costante di integrazione consideriamo una sorgente localizzata

ed isolata, in queste condizioni sia h00 che Φ vanno a zero per grandi distanze

e quindi

g00 = −(1 + 2Φ). (1.3.65)

Resta da vedere quanto le approssimazioni fatte siano significative, in parti-

colare riguardo al significato di campo gravitazionale debole. Volendo fare

riferimento a sistemi con simmetria sferica, consideriamo il potenziale di una

sfera di massa M e raggio R

Φ = −GMR

(1.3.66)

1.3. IL LIMITE NEWTONIANO 23

dove G e la costante gravitazionale di Newton che vale

G = 7.41 × 10−29 cm g−1r (1.3.67)

nel sistema di unita da noi usato, con c = 1 adimensionato. In questo sistema

di unita il potenziale Φ e un numero puro. Nel sistema C.G.S. e G = 6.67 ×10−8 erg cm g−2

r e il potenziale Φ ha le dimensioni di una velocita al quadrato

(nel nostro sistema il potenziale Φ coincide con quello del sistema C.G.S. diviso

per la velocita della luce al quadrato nel vuoto).

Sistema fisico protone terra sole nana bianca

Potenziale alla superficie 10−39 10−9 10−6 10−4

Tab. 1.3: Potenziale gravitazionale alla superfice di alcuni sistemi fisici

Nella tabella (1.3) e riportato l’ordine di grandezza del potenziale gravitazionale

alla superficie di un protone, della terra, del sole e di una nana bianca. Come

si vede in tutti questi casi la condizione di campo debole e soddisfatta.

1.3.1 Dilatazione del tempo

Il risultato del paragrafo precedente porta gia ad un effetto osservabile la cui

misura e una verifica indiretta del principio d’equivalenza. Allo scopo di descri-

vere l’effetto in questione consideriamo un orologio in un campo gravitazionale

arbitrario, che si muove con velocita arbitraria e non necessariamente in caduta

libera. In un sistema di riferimento localmente inerziale di coordinate ξα (quin-

di in assenza di gravitazione) l’intervallo spazio-temporale dξα fra due posizioni

successive della lancetta, e vincolato alla condizione

∆t =(

−ηαβdξαdξβ) 1

2

(1.3.68)

dove ∆t e l’intervallo di tempo tra le due posizioni della lancetta, in un sistema

di riferimento in assenza di gravitazione con l’orologio a riposo. Quindi ∆t e un

invariante perche misura un intervallo di tempo proprio; allora in un sistema

di riferimento arbitrario avremo

∆t =

(

−ηαβ∂ξα

∂xµ∂ξβ

∂xνdxµdxν

)

1

2

= (−gµνdxµdxν)1

2 . (1.3.69)

Se l’orologio si muove con velocita dxµ

dtl’intervallo di tempo dt e dato da

dt

∆t=

(

−gµνdxµ

dt

dxν

dt

)− 1

2

. (1.3.70)

24 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

In particolare se l’orologio e a riposo segue

dt

∆t= (−g00)−

1

2 . (1.3.71)

Quindi l’intervallo dt risulta dilatato rispetto all’intervallo ∆t in assenza di gra-

vitazione. D’altra parte una misura diretta di questo effetto non e possibile,

perche qualunque orologio campione sarebbe ugualmente soggetto al campo di

gravita e l’intervallo ∆t sarebbe in ogni caso incognito. Possiamo pero con-

frontare il fattore di dilatazione temporale in due punti diversi di un campo

gravitazionale stazionario. Supponiamo allora di avere due sorgenti identiche

in un punto x1 che emettono una radiazione della stessa frequenza dovuta alla

stessa transizione atomica; trasportiamo poi una delle due sorgenti in un punto

x2 lontano da x1 e ossrviamo in x1 la radiazione che proviene da x2. Supponia-

mo che due fronti d’onda successivi emessi in x2 abbiano sempre un ritardo dt2,

ma poiche i due fronti d’onda per andare da x2 ad x1 fanno percorsi identici il

loro ritardo sara ancora pari a dt2 quando arriveranno in x1, mentre il ritardo

di due fronti d’onda emessi dalla sorgente in x1 sara dt1 6= dt2 perche il campo

in x1 ha un valore diverso che in x2. In formule

dt2 = ∆t (−g00(x2))− 1

2 (1.3.72)

e

dt1 = ∆t (−g00(x1))− 1

2 . (1.3.73)

Confrontando nel punto x1 la frequenza emessa dalla sorgente in x2 con quella

emessa dalla sorgente in x1 si ha

ν2

ν1=

(

g00(x2)

g00(x1)

)1

2

. (1.3.74)

In condizione di campo debole sappiamo che e g00 = −1−2Φ con Φ ≪ 1. Postoν2ν1

= 1 + ∆νν

si ha, con ∆ν = ν2 − ν1 e ν1 = ν,

∆ν

ν∼ Φ(x2) − Φ(x1). (1.3.75)

Ad esempio per la luce proveniente dalla superficie del sole avremo (con buona

approssimazione)

Φ(x2) = Φ⊙ = −GM⊙

R⊙. (1.3.76)

1.3. IL LIMITE NEWTONIANO 25

La massa ed il raggio medio solare sono rispettivamente M⊙ ∼ 1.97 × 1033gr,

e R⊙ ∼ 0.695 × 1011cm mentre e G = 7.41 × 10−29cmg−1r , quindi

Φ⊙ ∼ −2.12 × 10−6, (1.3.77)

mentre, come risulta anche dalla tebella (1.3), per il potenziale alla superficie

della terra si ha l’ordine di grandezza Φ⊕ ∼ 10−9 e quindi puo essere trascurato.

In definitiva otteniamo∆ν

ν∼ −2.12 × 10−6 (1.3.78)

cioe uno spostamento relativo verso il rosso di tutto lo spettro di 2 parti per

milione. Anche se la misura di uno spostamento delle righe di uno spettro

dell’ordine della (1.3.78), non presenta oggi particolari difficolta, la misura del

red shift gravitazionale della luce solare resta una misura difficile perche il red

shift e in competizione con fondi di ordine confrontabile. Osserviamo intanto

che la luce solare non ha uno spettro a righe e quindi si misura lo spostamento

delle righe di assorbimento di Fraunhofer. Per quanto riguarda i fondi questi

sono dati da effetti Doppler dovuti a varie cause, vi e ad esempio una velocita

lungo la congiugente Terra-Sole dell’ordine v = 2 × 10−6 (v = 0.6 Km/sec) che

produce un effetto Doppler dello stesso ordine del red shift gravitazionale, ma,

poiche il moto della Terra lungo alla sua orbita e ben conosciuto, questo fondo

puo essere sottratto con una discreta precisione. Un effetto sicuramente piu

importante e quello dovuto al moto termico degli ioni del plasma della fotosfera

solare; la velocita termica tipica di questi ioni (C,N,O) per una temperatura

di 3000 0K e di circa 2 Km/sec e produce un effetto Doppler di circa tre volte

il red shift, questo pero allarga in modo simmetrico le righe e non produce un

errore sistematico per lo spostamento. L’effetto piu insidioso e quello dovuto ai

moti convettivi del plasma solare; ma l’effetto Doppler che ne segue puo essere

minimizzato eliminando le componenti del campo di velocita del plasma lungo

la congiungente Terra-Sole. Questo scopo si raggiunge osservandola luce della

corona luminosa che appare intorno alla Luna durante una eclisse totale di Sole.

Il risultato migliore di questo tipo di misure da un valore del red shift pari a

1.05 ± 0.05 volte quello previsto dalla teoria.

Naturalmente si avrebbe un red shift maggiore (con minori difficolta speri-

mentali per misurarlo) in presenza di un campo gravitazionale piu intenso di

quello solare. A questo scopo si possono prendere in esame altri corpi celesti; in

questo caso la difficolta maggiore sta nel conoscere, con sufficiente precisione, il

loro campo gravitazionale alla superficie da dove viene emessa la luce. E pos-

sibile, per i sistemi binari, fare una stima del potenziale gravitazionale di uno

26 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

dei due corpi celesti osservando il moto del sistema, noto il potenziale dell’altro

corpo dalla teoria stellare. Due corpi celesti studiati sono Siro B e Eridani 40

B che sono compagni delle stelle omonime (che fanno parte appunto di sistemi

binari). Queste stelle hanno una massa dell’ordine di quella solare ma raggi

pari ad 110 e 1

100 di quello solare e quindi si aspetta un red shift pari a 10 e

100 volte quello solare. D’altra parte Sirio B e molto vicino a Sirio per cui e

difficile determinare con precisione la posizione del centro di massa del sistema,

dato importante per la determinazione del potenziale gravitazionale alla sua

superficie, in oltre lo scattering della luce di Sirio su quella di Sirio B produce

una radiazione con frequenza diversa indistinguibile dal red shift di Sirio B;

nel caso del sistema Eridani 40, Eridani 40 B e lontano dalla sua compagna e

quidi non c’e un problema di scattering della luce, ma, da quando lo si osserva,

i suoi componenti non hanno ancora fatto una rivoluzione completa e questo

comporta un notevole errore sulla determinazione della massa di Eridani 40 B

e quindi del suo potenziale gravitazionale. In questo secondo caso si stima per

il potenziale gravitazionale alla superficie

Φ = − (5.7 ± 1) × 10−5,

a fronte di un red shift osservato pari a

∆ν

ν= − (7 ± 1) × 10−5.

1.3.2 L’esperimento di R. V. Pound, G. A. Rebka, J. Snider

Come abbiamo visto nel precedente paragrafo gli esperimenti osservativi di tipo

astronomico presentano notevoli difficolta, ma esistono anche esperimenti fatti

in laboratori terrestri che conducono ad una verifica del red shift gravitazionale

e quindi indirettamente del principio di equivalenza. Il piu famoso di questi e

dovuto a Pound, Rebka e Snider realizzato dal 1959 alla fine del 1960. L’idea

sulla quale si basa l’esperimento e molto semplice, ma la sua realizzazione e

stata possibile solo tramite tecnologie raffinate e sfruttando l’effetto Mossbauer

appena scoperto.

Gli autori erano a conoscenza che il Fe57 emette, per un decadimento e.m.

raggi γ di 14.4 KeV , normalmente non puo esservi assorbimento risonante dei

γ emessi in altri nuclei di Fe57 questo a causa del rinculo del nucleo emettitore

e per la frazione di impulso che andrebbe trasferita al nucleo assorbitore, cioe,

in condizioni normali, l’energia hν del γ emesso e piu bassa dell’energia cor-

rispondente alla relativa transizione nucleare, mentre, per essere assorbito in

modo risonante da un altro nucleo, il γ in questione dovrebbe avere un energia

1.3. IL LIMITE NEWTONIANO 27

Figura 1.3: Schema dell’esperimentodi Pound, Rebka, Snider.

piu alta di tale transizione† e la larghezza naturale delle righe e largamente in-

sufficiente per compensare tale differenza. D’altra parte in un cristallo puro di

ferro per la riga da 14.4 KeV (0.1µsec) siamo in presenza di effetto Mossbauer,

cioe non c’e rinculo (ne in emissione, ne in assorbimento) del nucleo essendo

l’impulso relativo trasmesso all’intero cristallo e, in queste condizioni, l’assor-

bimento risonante della riga da 14.4 KeV e possibile. L’esperimento consisteva

nel contare i γ da 14.4 KeV assorbiti da un cristallo contenente Fe57 ed emessi

da un cristallo analogo posto 22.6m. piu in alto, quindi si misura, in questo

caso, uno spostamento verso il violetto perche la radiazione e emessa in una

regione di campo piu debole. Per avere un idea di quanto sia tale spostamento

si consideri che e

∆ν

ν= Φtop − Φbottom = −G M⊕

R⊕ +H+G

M⊕

R⊕

= GM⊕

R⊕

[

H

R⊕+O

(

H2

R2⊕

)]

∼ g

c2H

=(980cm/sec2)(2260cm)

(3 × 1010cm/sec)2= 2.46 × 10−15. (1.3.79)

Schematicamente l’esperimento ha le seguenti fasi. Prima si misura il flusso

dei γ della riga Mossbauer emessi dal cristallo che funziona come sorgente,

poi si pone il cristallo che serve da targetta alla stessa quota della sorgente

e, per differenza, si misurano i γ assorbiti in risonanza (configurazione A di

†Si ricordi che per un fotone il modulo del suo impulso e uguale alla sua energia; pµpµ =−E2 + ~p2 = 0.

28 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

fig.(1.3)), infine si pone il cristallo sorgente in alto rispetto alla targhetta e si

misura la diminuizione dei γ assorbiti (configurazione B di fig.(1.3)). Se Γ e la

larghezza naturale della riga a 14.4 KeV dovremo aspettarci una diminuizione

nei conteggi pari a un fattore

C =configurazione B

configurazione A=

(

Γν

)2

(

∆νν

)2+(

Γν

)2

=

(

1.13 × 10−12)2

(2.46 × 10−15)2 + (1.13 × 10−12)2

∼ 1 − 0.48 × 10−5, (1.3.80)

cioe dovremo perdere, in media, un γ ogni 200000! E evidente che una simile

misura e impossibile! Per avere un ∆ν confrontabile con Γ i fotoni dovrebbero

cadere nel campo gravitazionale per chilometri. L’idea di Pound e Rebka ha

consistito nel fare oscillare, lungo la verticale, la sorgente dei raggi γ con la

velocita v = vocos(ωt), in questo modo allo shift gravitazionale ∆νG si somma

uno shift Doppler pai a ∆νD

ν= −vocos(ωt) e la (1.3.80) diventa

C =

(

Γν

)2

(

∆νG

ν+ ∆νD

ν

)2+(

Γν

)2=

(

Γν

)2

(

∆νG

ν− vocos(ωt)

)2+(

Γν

)2

∼(

Γν

)2

v2ocos

2(ωt) +(

Γν

)2

1 +2∆νG

νvocos(ωt)

v2ocos

2(ωt) +(

Γν

)2

. (1.3.81)

Come si vede ∆νG

νappare come coefficiente di un termine lineare che cambia

segno e puo essere estratto con un looking con grande precisione. Dopo alcune

correzioni, dovute anche alla temperatura della sorgente, si e trovato

∆ν

ν= (2.57 ± 0.26) × 10−15, (1.3.82)

in ottimo accordo col valore aspettato di 2.46 × 10−15.

Sono stati fatti anche esperimenti per una verifica diretta degli effetti del

potenziale gravitazionale su orologi atomici. Il primo esperimento di questo

tipo e dovuto a Hafele e Keating (Science 177, (1972), 166-168) che hanno

fatto volare quattro orologi (cesium-beam clocks) attorno alla terra in dirazioni

opposte confrontandoli, prima e dopo il volo, con orologi identici rimasti a terra.

I risultati hanno confermato le previsioni di Einstein (compreso il paradosso dei

gemelli) dando una differenza verso ovest di −0.01±0.08 e verso est di −0.4±0.5.

Nel 1977 Alley e collaboratori confrontavano un insieme di orologi atomici, in

1.3. IL LIMITE NEWTONIANO 29

volo su un aereo, con orologi simili sulla terra. In questo esperimento gli orologi

sulla terra venivano sincronizzati con quelli sull’aereo tramite un fascio laser;

anche il cammino dell’aereo (a circa 10000 m. di quota) veniva monitorato con

un fascio laser. Gli orologi usati erano orologi al cesio con una instabilita di 2

parti su 1014 e i periodi medi di misura di 30 ore; il ritardo accumulato tra gli

orologi in volo e quelli sulla terra era tipicamente di 50 × 10−12 sec.. Per 3

orologi e 5 voli, di circa 15 ore ciascuno, Alley deduce un rapporto tra il valore

misurato e quello previsto di 0.98 ± 0.016; circa un terzo dell’errore deriva da

possibili errori sistematici. Negli anni dal 1976 al 1978 Vessot e Levine hanno

messo su un satellite artificiale, in orbita attorno alla terra (quota massima

10000 Km), un maser ad idrogeno di frequenza standard. Il confronto con

un analogo maser a terra era ottenuto tramite segnali radio; venivano usate

tre diverse bande di frequenza per eliminare l’effetto deleterio della ionosfera.

I risultati hanno dato un rapporto, tra il red shift misurato e quello teorico,

diverso dall’unita per 50 parti su 106.

30 CAPITOLO 1. LA STRUTTURA LOCALE DELLO SPAZIO-TEMPO

Capitolo 2

Gravitazione e Geometria

2.1 Il principio di covarianza generale

Nel capitolo precedente abbiamo visto che con l’uso del principio di equivalena

e possibile tener conto localmente degli effetti della gravitazione o di un campo

di forze di inerzia (senza per altro poter distinguere tra loro). Un modo per

generalizzare quanto abbiamo fatto nel caso della particella in caduta libera e

dato dal principio di covarianza generale. Tale princio e del tutto equivalente al

principio di equivalenza di Einstein e puo essere inteso come una sua riscrittura.

Questo principio afferma che:

Un’equazione fisica vale in presenza diun campo gravitazionale generale se sono

soddisfatte due condizioni:

1. L’equazione vale in assenza di gravitazione; ovvero questa e in accordo

con le leggi della relativita speciale quando si sostituisce la metrica di

Minkowski ηαβ alla metrica gαβ e si pone Γαβγ = 0.

2. L’equazione e generalmente covariante; ovvero questa mantiene la sua

forma sotto una trasformazione generale di coordinate x→ x′

E facile vedere che il principio di covarianza generale segue dal principio di

equivalenza. Infatti supponiamo di essere in presenza di un campo gravita-

zionale arbitrario e consideriamo un’equazione che soddisfi alle due condizioni

precedenti. Dalla (2) possiamo dire che tale equazione e vera in tutti i sistemi

di riferimento se ne esiste almeno uno ove questa e vera (e fisicamente signi-

ficativa). D’altra parte, per il principio di equivalenza, in ogni punto dello

spazio-tempo vie sempre una classe di sistemi di coordinate, i sistemi localmen-

te inerziali, nei quali gli effetti della gravitazione sono assenti; la condizione (1)

31

32 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

ci assicura che la nostra equazione vale in questi sistemi e quindi in tutti gli

altri sistemi di coordinate.

Il principio di covarianza generale non ha nessun contenuto fisico esso affer-

ma solo che se si conosce la forma di una equazione significativa in una classe

di sistemi di coordinate (ad esempio quelli cartesiani) allora se ne conosce la

forma anche negli altri sistemi di cordinate; ad esempio in coordinate polari

oppure, in un intorno infinitesimo, in un sistema arbitrario. Il punto di forza

di questo principio sta nel fatto che se si conoscono delle equazioni fisicamente

vere in assenza di gravita (come ad esempio le equazioni di Maxwell dell’e-

lettrodinamica) queste sono vere anche in presenza della gravita ove si siano

sostituiti gli elementi geometrici covarianti per le trasformazioni di Lorentz con

quelli corrispondenti covarianti per trasformazioni generali di coordinate che

lasciano invarito il tempo proprio (diffeomorfismi). Nel senso adesso specifica-

to l’applicabilita del principio di covarianza generale ha una valenza puramente

locale, cioe e applicabile in intorni dello spazio-tempo di estensione piccola se

confrontata con la scala di variabilita del campo gravitazionale.

2.2 Varieta e tensori

Per procedere nella costruzione della teoria abbiamo bisogno di conoscere le

proprieta di trasformazione di quantita rilevanti tra un sistema di coordinate

ed un altro nella nostra varieta M. Consideriamo quindi una trasformazione

di coordinate tale che localmente mappa xµ → x′µ dove x e x′ sono due diverse

scelte arbitrarie di coordinate sulla varieta.

1)Grandezze scalari

Una grandezza Φ e detta uno scalare se per la trasformazione di coordinate

x→ x′ si trasforma secondo la relazione

Φ → Φ′ ≡ Φ. (2.2.1)

Ad esempio la quantita infinitesima dτ (il tempo proprio) e uno scalare.

2)Grandezze vettoriali

a)Una grandezza di componenti V µ e detta un vettore controvariante se per la

trasformazione di coordinate x→ x′ si trasforma come

V µ → V ′µ =∂x′µ

∂xνV ν . (2.2.2)

2.2. VARIETA E TENSORI 33

I differenziali delle coordinate dxµ sono un esempio di un vettore controvariante,

infatti e

dx′µ =∂x′µ

∂xνdxν .

Si osservi che le coordinate di un evento xµ non sono in generale un vettore

perche la matrice di trasformazione ∂x′µ

∂xν dipende dal punto e le trasformazioni

stesse hanno una validita strettamente locale.

b)Una grandezza di componenti Uµ e detta un vettore covariante se per la

trasformazione di coordinate x→ x′ si trasforma come

Uµ → U ′µ =

∂xν

∂x′µUν (2.2.3)

Un esempio di vettore covariante e dato dal gradiente di una funzione scalare.

Infatti sia

Φ′(x′) = Φ(x).

Per il gradiente si ha

∂x′µΦ′(x′) =

∂x′µΦ(x) =

∂xν

∂x′µ∂

∂xνΦ(x).

3)Tensori di rango N

Una grandezza, le cui componenti sono classificate da N indici di cui p contro-

varianti e q covarianti (con p + q = N), e detta un tensore di rango N , con

p indici controvarianti e q indici covarianti, se ogni componente corrisponden-

te ad un indice controvariante si trasforma come la componente di un vettore

controvariante ed ogni componente corrispondente ad un indice covariante co-

me la componente di un vettore covariante. Cioe T µ γν e untensore di rango

tre, con due indici controvarianti ed uno covariante, se per la trasformazione di

coordinate xµ → x′µ si trasforma come

T ′µ γν =

∂x′µ

∂xσ∂xρ

∂x′ν∂x′γ

∂xλT σ λ

ρ . (2.2.4)

Ad esempio il campo metrico gµν e untensore covariante di rango due (simme-

trico per scambio degli indici). Infatti nel sistema di coordinate x′ localmente

poremo scrivere dalla (1.2.31)

g′µν(x′) = ηαβe

αµ(x′)eβν (x

′), (2.2.5)

le eαµ sono le componenti delle 1-forme eα che sono una base ortonormale di

T ∗x (M), lo spazio cotangente in x alla varieta M (nel nostro caso lo spazio-

tempo). D’altra parte la base astratta delle eα puo essere scritta in componenti

34 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

sia rispetto alle coordinate x che x′ per cui avremo

eα = eαρ (x)dxρ = eαµ(x′)dx′µ = eαρ (x)∂xρ

∂x′µdx′µ. (2.2.6)

da cui le proprieta di trasformazione

eαµ(x′) =

∂xρ

∂x′µeαρ (x) (2.2.7)

Tecnicamente parlando la relazione precedente e il pullback delle eαµ per la

trasformazione di coordinate

h : x→ x′

e viene sinteticamente indicata con

eαµ(x′) = (h∗)ρµ eαρ (x).

Sostituendo adesso (2.2.7) in (2.2.5) si ha

g′µν(x′) = ηαβ

∂xρ

∂x′µeαρ (x)

∂xσ

∂x′νeβσ(x) =

∂xρ

∂x′µ∂xσ

∂x′νgρσ(x) (2.2.8)

che prova l’asserto.

Analogamente le componenti Eµα della base Eα dello spazio tangente alla varieta

Tx(M) si trasformeranno secondo la trasformazione inversa, infatti si ha

Eα = Eµα(x′)∂

∂x′µ= Eρα(x)

∂xρ= Eρα(x)

∂x′µ

∂xρ∂

∂x′µ(2.2.9)

Da cui

Eµα(x′) =∂x′µ

∂xρEρα(x). (2.2.10)

Questa relazione e il pushforward delle Eµα per la stessa trasformazione di

coordinate e si indica con

Eµα(x′) = (h∗)µρEρα(x).

Dalla (1.2.37) e dalla (2.2.10) si ha anche

g′µν(x′) = ηαβEµα(x′)Eνβ(x′)

= ηαβ∂x′µ

∂xρEρα(x)

∂x′ν

∂xσEσβ (x)

=∂x′µ

∂xρ∂x′ν

∂xσgρσ(x). (2.2.11)

2.2. VARIETA E TENSORI 35

Quindi gµν e un tensore controvariante di rango due (simmetrico). Un altro

esempio interessante e il simbolo di Kronecker δµν che e un tensore invariante;

infatti

δ′µν =∂x′µ

∂xρ∂xσ

∂x′νδρσ =

∂x′µ

∂xρ∂xρ

∂x′ν= δµν . (2.2.12)

2.2.1 L’algebra tensoriale

Itensori formano un’algebra, in particolare una combinazione lineare di tensori

dello stesso tipo e ancora un tensore, cioe se, ad esempio, Aµν e Bµν sono due

tensori allora anche

T µν = aAµν + bBµν , con a, b ∈ C (2.2.13)

e ancora un tensore dello stesso tipo (rango e proprieta degli indici) di Aµν e

Bµν ; la dimostrazione e immediata. In oltre il prodotto diretto tra tensori da

ancora un tensore; cioe, ad esempio, se Aµν e Bρ sono due tensori allora la

quantita

T µ ρν = AµνB

ρ (2.2.14)

ottenuta moltiplicando tutte le componenti di Aµν per le componenti di Bρ

e ancora un tensore; anche in questo caso e immediato verificare che dalle

proprieta di trasformazione di Aµν e Bρ segue che T µ ρν si trasforma come un

tensore di rango 3 con due indici controvarianti ed un indice covariante. Infine

l’operazione di contrazione di indici controvarianti con indici covarianti di un

tensore porta ancora ad un tensore. Per esempio se T µ ρσν e un tensore allora

T µρ = T µ ρνν , (2.2.15)

dove gli indici ripetuti sono come al solito sommati, e un tensore di rango due

con due indici controvarianti.

Dalle operazioni precedenti segue che il tensore metrico gµν puo essere usato

per abbassare gli indici ed il suo inverso gµν per alzarli. In altri termini se, ad

esempio, T µν e un tensore di rango 2 con indici controvarianti la quantita

T νµ = gµρT

ρν (2.2.16)

e un tensore di rango due con un indice covariante ed uno controvariante. Infatti

T νµ e ottenuto dal prodotto diretto di due tensori e successivamente da una

36 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

contrazione. Analogamente Bµν definito da

Bµν = gµρB νρ (2.2.17)

e un tensore se B νρ lo e.

2.2.2 Densita tensoriali

conisderiamo il campo metrico gµν , poiche esso non e degenere potremo scrivere

il suo determinante. Sia esso, nel punto x,

g(x) = −detgµν(x). (2.2.18)

Il segno meno a secondo membro assicura la positivita di g(x). Il campo g(x)

non e uno scalare. Infatti (vedi (2.2.8)), per la trasformazione di coordinate

x→ x′ e

g′µν(x′) =

∂xρ

∂x′µgρσ(x)∂xσ

∂x′νe quindi per il determinante vale

g′(x′) =

∂x′

∂x

−2

g(x) (2.2.19)

dove∣

∂x′

∂x

∣e il determinante Jacobiano della trasformazione di coordinate x →

x′. Una grandezza che si trasforma come la (2.2.19) e detta una densita scalare

di peso −2. In generale si dice densita tensoriale di peso W una qualunque

grandezza che si trasforma come un tensore a meno dello Jacobiano∣

∂x′

∂x

∣ elevato

alla potenza W . Poiche dalla (2.2.19) si ottiene

∂x′

∂x

=

(

g(x)

g′(x′)

) 1

2

, (2.2.20)

ad esempio la quantita Fµν sara una densita di peso W se per la trasformazione

di coordinate x→ x′ si trasforma come

F ′µν(x

′) =

(

g(x)

g′(x′)

)W2 ∂x′µ

∂xλ∂xσ

∂x′νFλ

σ(x). (2.2.21)

Si osservi che dalla (2.2.21) segue subito che la quantita gW2 Fµ

ν e un tensore;

e questo e un fatto generale. Cioe da una densita tensoriale di peso W si puo

2.2. VARIETA E TENSORI 37

sempre ottenere un tensore moltiplicandola per gW2 . Un esempio rilevante e

quello della misura in 4 dimensioni. Per x→ x′ si ha

d4x′ =

∂x′

∂x

d4x. (2.2.22)

Cioe la misura d4x e una densita scalare di peso W = 1, per cui√

g(x)d4x e uno

scalare e rappresenta la misura invariante in 4 dimensioni. Un altro esempio

rilevante di densita tensoriale e dato dal simbolo completamente antisimmetrico

in 4 dimensioni ǫµνρσ . Infatti per la solita trasformazione x → x′ potremo

scrivere

ǫ′µνρσ(x′) =∂x′µ

∂xλ∂x′ν

∂xγ∂x′ρ

∂xη∂x′σ

∂xζǫλγηζ , (2.2.23)

dalla (2.2.23) e facile verificare che per un qualunque scambio dispari degli

indici ǫ′µνρσ(x′) cambia di segno e quindi e ancora proporzionale a ǫµνρσ per cui

possiamo scrivere

ǫ′µνρσ(x′) = A(x′)ǫµνρσ =∂x′µ

∂xλ∂x′ν

∂xγ∂x′ρ

∂xη∂x′σ

∂xζǫλγηζ .

Prendendo a primo membro il termine per il quale gli indici µ, ν, ρ, σ corrispon-

dono all’ordinamento fondamentale 0, 1, 2, 3 avremo

A(x′) =∂x′0

∂xλ∂x′1

∂xγ∂x′2

∂xη∂x′3

∂xζǫλγηζ =

∂x′

∂x

che, sostituita nella precedente porta a

ǫµνρσ =

∂x′

∂x

−1 ∂x′µ

∂xλ∂x′ν

∂xγ∂x′ρ

∂xη∂x′σ

∂xζǫλγηζ . (2.2.24)

Quindi ǫµνρσ e una densita tensoriale di peso W = −1 e ǫµνρσ√g(x)

e un tensore.

Sulle densita tensoriali sono definite tutte le operazioni algebriche che sono

definite su i tensori. In particolare una combinazione lineare di densita tenso-

riali, con lo stesso peso e lo stesso tipo di indici, e ancora una densita tensoriale

di ugual peso e con gli stessi indici. Il prodotto diretto di due densita tensoriali

di pesi W1 e W2 e ancora una densita tensoriale di peso W1 +W2 e con gli indici

che sono l’insieme degli indici delle densita tensoriali di partenza. L’operazione

di contrazione degli indici di una densita tensoriale porta ancora ad una den-

sita tensoriale che ha lo stesso peso della densita di partenza. Infine si possono

alzare ed abbassare gli indici delle densita tensoriali con gµν e gµν come per i

tensori; questa operazioe lascia invariato il peso della densita.

38 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

Consideriamo un ultimo esempio rilevante. Abbassiamo tutti gli indici del

tensore ǫµνρσ√g(x)

, cioe poniamo

Eµνρσ = gµλgνγgρηgσζǫλγηζ√

g(x), (2.2.25)

ma e anche

gµλgνγgρηgσζǫλγηζ = g(x)ǫµνρσ

e quindi la quantita

Eµνρσ =√

g(x)ǫµνρσ (2.2.26)

e un tensore. In particolare il tensore

dσµ =1

3!

g(x)ǫµνρσdxν ∧ dxρ ∧ dxσ (2.2.27)

rappresenta l’elemento di superficie tridimensionale orientato nello spazio a 4

dimensioni. Il simbolo ∧ e il prodotto wedge o prodotto di Cartan antisimmetrico

(vedi 10 modulo del corso).

2.2.3 Trasformazione della connessione affine

Oltre alle densita tensoriali vi sono altre quantita geometricamente rilevanti pur

non essendo tensori. Sicuramente Γλµν , la connessione affine e una di queste.

Nella (1.2.21) si e data una definizione di Γλµν a partire da un sistema di riferi-

mento localmente inerziale ζα, mentre in (1.2.49) se ne e data un’espressione in

termini del campo metrico gµν e delle sue derivate cioe la sua coincidenza con

il simbolo di Christoffel.

Ricordando le (1.2.21) e (1.2.45) scriviamo Γλµν nella forma

Γλµν(x) =∂xλ

∂ζα∂2ζα

∂xµ∂xν= Eλα(x)

∂eαν (x)

∂xµ.

Consideriamo allora la solita trasformazione di coordinate x → x′. Nella base

delle coordinate x′ la precedente si scrivera, tenuto anche conto delle (2.2.7) e

(2.2.10), come

Γ′λµν(x

′) = Eλα(x′)∂eαν (x′)

∂x′µ=∂x′λ

∂xρEρα(x)

∂x′µ

(

∂xσ

∂x′νeασ(x)

)

=∂x′λ

∂xρEρα(x)

∂xσ

∂x′ν∂xτ

∂x′µ∂eασ(x)

∂xτ+∂x′λ

∂xρEρα(x)

∂2xσ

∂x′µ∂x′νeασ(x),

2.2. VARIETA E TENSORI 39

ricordando che e Eραeασ = δρσ otteniamo le cercate proprieta di trasformazione

di Γλµν

Γ′λµν(x

′) =∂x′λ

∂xρ∂xσ

∂x′ν∂xτ

∂x′µΓρστ (x) +

∂x′λ

∂xρ∂2xρ

∂x′µ∂x′ν. (2.2.28)

Dal momento che Γλµν non si trasforma come un tensore possiamo domandarci

che senso abbia averlo identificato con il simbolo di Christoffel; ovvero quale

sia la garanzia che questa identificazione si preservi sotto un cambiamento di

coordinate. Qui nel seguito indichiamo il simbolo di Christoffel con

λµν

=1

2gλκ

(

∂gκν∂xµ

+∂gκµ∂xν

− ∂gµν∂xκ

)

. (2.2.29)

e cerchiamo le proprieta di trasformazione della (2.2.29) sotto la trasformazione

di coordinate x→ x′. Consideriamo quindi

∂g′κν∂x′µ

=∂

∂x′µ

(

ηαβeακ(x

′)eβν (x′))

=∂

∂x′µ

(

ηαβ∂xσ

∂x′κeασ(x)

∂xρ

∂x′νeβρ (x)

)

= ηαβ∂2xσ

∂x′µ∂x′κeασ(x)

∂xρ

∂x′νeβρ (x)

+ηαβ∂xσ

∂x′κeασ(x)

∂2xρ

∂x′µ∂x′νeβρ (x)

+ηαβ∂xσ

∂x′κ∂xτ

∂x′µ∂eασ(x)

∂xτ∂xρ

∂x′νeβρ (x)

+ηαβ∂xσ

∂x′κeασ(x)

∂xρ

∂x′ν∂xτ

∂x′µ∂eβρ (x)

∂xτ,

ovvero

∂g′κν∂x′µ

=∂2xσ

∂x′µ∂x′κ∂xρ

∂x′νgσρ(x)

+∂xσ

∂x′κ∂2xρ

∂x′µ∂x′νgσρ(x)

+∂xσ

∂x′κ∂xρ

∂x′ν∂xτ

∂x′µ∂gσρ(x)

∂xτ. (2.2.30)

Dalla (2.2.30), circolando gli indici, si ricavano espressioni analoghe per∂g′κµ

∂x′νe

∂g′µν

∂x′κ. Avremo allora

∂g′κν∂x′µ

+∂g′κµ∂x′ν

−∂g′µν∂x′κ

=∂xσ

∂x′κ∂xρ

∂x′ν∂xτ

∂x′µ

(

∂gσρ∂xτ

+∂gστ∂xρ

− ∂gτρ∂xσ

)

+2∂xσ

∂x′κ∂2xρ

∂x′µ∂x′νgσρ. (2.2.31)

40 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

Ricordando dalla (2.2.11) che e anche

g′λκ(x′) =∂x′λ

∂xγ∂x′κ

∂xηgγη(x)

si trova che il simbolo di Christoffel si trasforma come

λµν

=∂x′λ

∂xρ∂xτ

∂x′µ∂xσ

∂x′ν

ρτσ

+∂x′λ

∂xρ∂2xρ

∂x′µ∂x′ν(2.2.32)

Facendo la differenza membro a membro tra la (2.2.28) e la (2.2.32) si trova

[

Γλµν −

λµν

]′

=∂x′λ

∂xρ∂xτ

∂x′µ∂xσ

∂x′ν

[

Γρτσ −

ρτσ

]

. (2.2.33)

Cioe la differenza Γλµν −

λµν

si trasforma come un tensore∗ e, poiche, in un

sistema localmente inerziale tale differenza e nulla segue che vale l’identita

Γλµν ≡

λµν

.

Infine osserviamo che possiamo scrivere la (2.2.28) anche in una forma diversa.

Infatti poiche e∂x′λ

∂xρ∂xρ

∂x′ν= δλν

Derivando ambo i membri di questa espressione rispetto a x′µ otteniamo

∂x′λ

∂xρ∂2xρ

∂x′µ∂x′ν= − ∂2x′λ

∂xρ∂xσ∂xσ

∂x′µ∂xρ

∂x′ν

che sostituita nella (2.2.28) da

Γ′λµν(x

′) =∂x′λ

∂xρ∂xσ

∂x′ν∂xτ

∂x′µΓρστ (x) −

∂xρ

∂x′ν∂xσ

∂x′µ∂2x′λ

∂xρ∂xσ. (2.2.34)

Dal momento che Γρστ non e un tensore resta da capire il significato dell’eq.(1.2.20)

relativa alla particella in caduta libera, dovremo cioe verificarne la sua co-

varianza. Il moto di una particella in caduta libera e regolato dal seguente

sistema

d2xµ

dτ2+ Γµλσ

dxλ

dxσ

dτ= 0,

dτ2 = −gµνdxµdxν , (2.2.35)

∗Questo e un fatto generale perche la differenza di due connessioni e sempre un tensore.

2.3. LA DIFFERENZIAZIONE COVARIANTE 41

e queste equazioni sono vere in un sistema localmente inerziale (cioe in asseza

di gravitazione), dove diventano

d2xµ

dτ2= 0,

dτ2 = −ηµνdxµdxν .

Quindi se la prima delle (2.2.35) risultera generalmente covariante questa sara

fisicamente vera per qualunque osservatore. Riguardo alle proprieta di tra-

sformazione, tenendo conto che le soluzioni di (2.2.35) sono parametrizzate

dall’invariante τ come xµ = xµ(τ), si ha

d2x′µ

dτ2=

d

(

∂x′µ

∂xνdxν

)

=∂x′µ

∂xνd2xν

dτ2+

∂2x′µ

∂xν∂xλdxν

dxλ

dτ(2.2.36)

per il primo termine e

Γ′µστ

dx′σ

dx′τ

dτ=∂x′µ

∂xρ∂xλ

∂x′σ∂xν

∂x′τΓρλν

dx′σ

dx′τ

− ∂xλ

∂x′σ∂xν

∂x′τ∂2x′µ

∂xλ∂xνdx′σ

dx′τ

=∂x′µ

∂xρΓρλν

dxλ

dxν

dτ− ∂2x′µ

∂xλ∂xνdxλ

dxν

dτ. (2.2.37)

per il secondo. Sommando membro a membro (2.2.36) e (2.2.37) in fine si

ottiene

d2x′µ

dτ2+ Γ′µ

στ

dx′σ

dx′τ

dτ=∂x′µ

∂xρ

(

d2xρ

dτ2+ Γρλν

dxλ

dxν

)

. (2.2.38)

Quindi il primo membro della (1.2.20) si trasforma come un vettore contro-

variante e il princio di covarianza generale ci assicura la validita di questa

equazione per qualunque osservatore.

2.3 La differenziazione covariante

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente dxµ

dτsi trasforma come un vettore

controvariante, ma non e cosı per d2xµ

dτ2 che non e un tensore. Infatti la derivata

di un tensore non e un tensore; si consideri ad esempio il vettore controvariante

V µ. Per la trasformazione di coordinate x→ x′ si ha

V ′µ =∂x′µ

∂xνV ν . (2.3.39)

42 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

Derivando rispetto a x′λ si ottengono due termini, ovvero

∂V ′µ

∂x′λ=∂x′µ

∂xν∂xσ

∂x′λ∂V ν

∂xσ+

∂2x′µ

∂xσ∂xν∂xσ

∂x′λV ν . (2.3.40)

Come si vede il secondo termine a secondo membro di (2.3.40) distrugge il

carattere tensoriale di ∂V µ

∂xλ ; questo termine e dovuto al fatto che la legge di

trasformazione e locale (cioe dipende dal punto). D’altra parte se consideriamo

Γ′µλκV

′κ =

[

∂x′µ

∂xν∂xσ

∂x′λ∂xρ

∂x′κΓνσρ −

∂2x′µ

∂xσ∂xρ∂xσ

∂x′λ∂xρ

∂x′κ

]

∂x′κ

∂xηV η

=∂x′µ

∂xν∂xσ

∂x′λΓνσρV

ρ − ∂2x′µ

∂xσ∂xρ∂xσ

∂x′λV ρ (2.3.41)

e sommiamo membro a membro (2.3.40) e (2.3.41) avremo

∂V ′µ

∂x′λ+ Γ′µ

λκV′κ =

∂x′µ

∂xν∂xσ

∂x′λ

(

∂V ν

∂xσ+ ΓνσρV

ρ

)

. (2.3.42)

Quindi la quantita

V µ;λ =

∂V µ

∂xλ+ ΓµλκV

κ (2.3.43)

e un tensore. In modo del tutto analogo si dimostra che se Uµ e un vettore

covariante anche

Uµ;λ =∂Uµ∂xλ

− ΓκµλUκ (2.3.44)

e un tensore; in oltre (2.3.43) e (2.3.44) sono derivate. Infatti e facile dimostrare

che valgono le proprieta di linearita e l’identita di Leibniz, cioe

(aUµ + bVµ);λ = aUµ;λ + bVµ;λ, con a, b ∈ C

(UµVν);λ = Uµ;λV

ν + UµVν;λ. (2.3.45)

Per il generico tensore T µ νσ si definisce la derivata covariante come

T µ νσ ;λ =

∂xλT µ ν

σ + ΓµλκTκ νσ − ΓκλσT

µ νκ + ΓνλκT

µ κσ . (2.3.46)

Si osservi in fine che, in assenza di gravitazione, la derivata covariante si ri-

duce alla derivata ordinaria. Dal principio di covarianza generale segue allora

che un’equazione, vera in assenza di gravitazione, resta vera per qualunque

osservatore, se scritta in termini di derivate covarianti e di tensori.

Sia Fµν una densita tensoriale di peso W , allora, come abbiamo visto,

gW2 Fµ

ν e un tensore e potremo quindi farne la derivata covariante, ovvero

(

gW2 Fµ

ν

)

;λ=

∂xλg

W2 Fµ

ν + gW2

∂xλFµ

ν + gW2 ΓµλκFκ

ν − gW2 ΓκλνFµ

κ (2.3.47)

2.3. LA DIFFERENZIAZIONE COVARIANTE 43

Si definisce come derivata covariante della densita tensoriale, di peso W , Fµν

la densita tensoriale

Fµν;λ = g−

W2

(

gW2 Fµ

ν

)

=∂

∂xλFµ

ν + ΓµλκFκν − ΓκλνFµ

κ +W

2

∂xλlngFµ

ν , (2.3.48)

che, come e immediato verificare, e ancora di peso W .

Possiamo notare che la derivata covariante del tensore metrico e nulla, infatti

dalla definizione si ha

gµν;λ =∂

∂xλgµν − Γρλµgρν − Γρλνgµρ

= ηαβ∂eαµ∂xλ

eβν + ηαβeαµ

∂eβν∂xλ

− ηαβΓρλµe

αρ eβν − ηαβΓ

ρλνe

αµeβρ

= ηαβ

(

∂eαµ∂xλ

− Γρλµeαρ

)

eβν + ηαβeαµ

(

∂eβν∂xλ

− Γρλνeβρ

)

(2.3.49)

e ricordando che e∂eαµ∂xλ

= eαρΓρλµ

si ottiene

gµν;λ = 0. (2.3.50)

Anche la derivata covariante del tensore invariante δµν e nulla, come segue

subito dal principio di covarianza generale. Infatti, in un sistema localmente

inerziale, e

δµν;λ = 0, (2.3.51)

ma poiche δµν;λ e un tensore la (2.3.51) e vera in qualunque sistema di coordi-

nate. Dalle relazioni precedendi segue anche che gµν;λ = 0. Per provare quanto

affermato basta osservare che gµν e l’inversa di gµν ; dalla (2.3.51) si ha

δµν;λ = (gµρgρν);λ = gµρ;λgρν + gµρgρν;λ = 0, (2.3.52)

e dalla (2.3.50) si ha subito

gµρ;λgρν = 0, =⇒ gµρ;λ = 0. (2.3.53)

Altre conseguenze immediate dell’annullarsi della derivata covariante di gµν o

gµν sono le relazioni

(gµρHρ,...... );λ = gµρH

ρ,......;λ, o

(

gµρH ...ρ,...

)

;λ= gµρH ...

ρ,...;λ (2.3.54)

44 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

e che la derivata covariante di un tensore contratto e la contrazione della sua

derivata covariante; ad esempio

T µµ;λ = (gµνTµν);λ = gµνT

µν;λ. (2.3.55)

2.3.1 Operatori differenziali covarianti notevoli

In questo paragrafo vogliamo mostrare alcuni casi nei quali la derivazione

covariante assume forme particolarmente semplici.

Il primo caso e quello gia considerato della derivata covariante di una fun-

zione scalare che coincide con il gradiente ordinario, cioe se Φ e una funzione

scalare allora

Φ;λ =∂Φ

∂xµ. (2.3.56)

Un altro caso e quello del rotore; sia ad esempio Vµ un vettore covariante si ha

allora

Vµ;ν − Vν;µ =∂Vµ∂xν

− ΓρµνVρ −∂Vν∂xµ

+ ΓρνµVρ =∂Vµ∂xν

− ∂Vν∂xµ

, (2.3.57)

cioe il rotore covariante di un vettore covariante coincide con il rotore ordinario;

si osservi che questo e conseguenza diretta della simmetria degli indici bassi

della connessione Γρµν .

Un altro caso interessante e quello della divergenza covariante di un vettore

controvariante. Sia V µ un vettore controvariante, la sua divergenza covariante

e

V µ;µ =

∂V µ

∂xµ+ ΓµµρV

ρ. (2.3.58)

Ricordando l’espressione della connessione in termini del tensore metrico si ha

Γµµρ =1

2gµσ

(

∂gσµ∂xρ

+∂gσρ∂xµ

− ∂gµρ∂xσ

)

=1

2gµσ

∂gσµ∂xρ

. (2.3.59)

L’ultimo termine della (2.3.59) puo essere scritto in una forma diversa ricor-

dando che per una generica matrice, funzione del punto, non singolare M(x)

vale la relazione†

Tr

M−1(x)∂

∂xσM(x)

=∂

∂xσln Det M(x). (2.3.60)

†Dalla (2.3.60) segue per integrazione la nota relazione Det M = eTr ln M con la condizioneiniziale Det I = 1

2.3. LA DIFFERENZIAZIONE COVARIANTE 45

Per provare la (2.3.60) consideriamo la variazione infinitesima di ln Det M

indotta dalla variazione infinitasima del punto δxσ , ovvero

δln Det M =∂

∂xσ(ln Det M) δxσ

= ln Det (M + δM) − ln Det M

= lnDet (M + δM)

Det M

= ln DetM−1 (M + δM)

= ln Det(

I +M−1δM)

→ ln(

I + Tr M−1δM)

→ Tr M−1δM = Tr

(

M−1 ∂

∂xσM

)

δxσ. (2.3.61)

Confrontando i coefficienti di δxσ segue subito la (2.3.60). Quindi tornando a

considerare la (2.3.59) avremo

Γµµσ =1

2

∂xσln g =

1√g

∂xσ√g (2.3.62)

e finalmente

V µ;µ =

1√g

∂xµ(√gV µ) . (2.3.63)

Si osservi che la (2.3.63) porta subito alla generalizzazione covariante del teo-

rema di Gauss

Σ

√gd4xV µ

;µ =1

3!

∂ΣV µ√gǫµνρσdxν ∧ dxρ ∧ dxσ. (2.3.64)

In particolare se il campo V µ si annulla all’infinito in tutte le direzioni e∫ √

gd4xV µ;µ = 0.

Possiamo usare la (2.3.62) per semplificare la divergenza covariante, ad esempio

del tensore T µν

T µν;µ =1√g

∂xµ(√gT µν) + ΓνµρT

µρ, (2.3.65)

in particolare se consideriamo un tensore antisimmetrico Aµν = −Aνµ avremo

Aµν;µ =1√g

∂xµ(√gAµν) , per Aµν antisimmetrico. (2.3.66)

Per un tensore antisimmetrico Aµν = −Aνµ vale anche la relazione

Aµν;ρ +Aρµ;ν +Aνρ;µ =∂Aµν∂xρ

+∂Aρµ∂xν

+∂Aνρ∂xµ

. (2.3.67)

46 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

2.3.2 Differenziazione covariante lungo una curva

Nei paragrafi precedenti abbiamo considerato tensori definiti in tutto lo spa-

zio tempo, ma possiamo prendere in considerazione anche campi che hanno le

caratteristiche di un tensore solo su sottoinsiemi dello spazio-tempo. Esempi

che possono venire in mente sono l’impulso o lo spin di una particella che sono

definiti limitatamente alla traiettoria della particella stessa. Le sottovarieta

interessanti per il nostro scopo sono le curve, che in un arbitrario sistema di

coordinate saranno rappresentate dalle equazioni parametriche

xµ = xµ (τ) , (2.3.68)

dove τ e un parametro invariante, ad esempio il tempo proprio. Cominciamo

col considerare un vettore controvariante, definito sulla curva (2.3.68), Aµ(τ);

per una trasformazione generale di coordinate x→ x′ si trasformera secondo la

legge

A′µ(τ) =∂x′µ

∂xνAν(τ), (2.3.69)

dove la derivata ∂x′µ

∂xν e valutata lungo la curva (2.3.68). Se adesso deriviamo

ambo i membri di (2.3.69) rispetto a τ avremo, a causa della dipendenza di xν

da τ ,

dA′µ(τ)

dτ=∂x′µ

∂xνdAν(τ)

dτ+

∂2x′µ

∂xν∂xσdxσ

dτAν(τ). (2.3.70)

Quindi, procedendo in modo analogo a quanto fatto per la derivata covarian-

te ordinaria, definiamo derivata covariante lungo la curva (2.3.68) del vettore

controvariante Aµ, il tensore

DAµ

Dτ=dAµ

dτ+ Γµνσ

dxσ

dτAν , (2.3.71)

che si trasforma come un vettore controvariante ed ha le proprieta di una de-

rivata. Per un vettore covariante la derivata covariante lungo la curva e data

daDBµDτ

=dBµdτ

− Γνµσdxσ

dτBν (2.3.72)

e per il generico tensore T µν da

DT µνDτ

=dT µνdτ

+ Γµρσdxσ

dτT ρν − Γρνσ

dxσ

dτT µρ. (2.3.73)

Si osservi che, nel caso in cui un campo mantenga le proprieta tensoriali anche

nello spazio piu ampio che contiene la curva, la derivata covariante lungo la

2.3. LA DIFFERENZIAZIONE COVARIANTE 47

curva e determinata dalla derivata covariante ordinaria; ad esempio per T µν

DT µνDτ

= T µν;σdxσ

dτ. (2.3.74)

Consideriamo adesso il caso di un campo vettoriale Sµ che, in un sistema local-

mente inerziale, e costante lungo una curva xµ = xµ(τ) (ad esempio lo spin di

una particella lungo la sua linea di universo, soggetta solo alle forze del campo

gravitazionale); in questo caso e

dSµ

dτ= 0.

In un sistema di coordinate generali la precedente diventa, ed e vera per il

principio di covarianza generale,

DSµ

Dτ= 0. (2.3.75)

Un campo vettoriale che si ottenga come soluzione della (2.3.75), a partire da

una condizione iniziale assegnata, si dice definito dal trasporto parallelo lungo

la curva xµ = xµ(τ). Ogni tensore puo essere definito dal trasporto parallelo

lungo una curva richiedendo che la sua derivata covariante si annulli sulla curva

stessa; ad esempio

ddτAµ = −Γµνσ

dxσ

dτAν ,

Aµ(0) = Aµ.

48 CAPITOLO 2. GRAVITAZIONE E GEOMETRIA

Capitolo 3

La teoria della gravitazione

3.1 Sistemi in campo gravitazionale esterno

In questo paragrafo studieremo come si modificano le equazioni della relativita

speciale in presenza di un campo gravitazionale esterno. In altri termini voglia-

mo scrivere in forma covariante, per trasformazioni generali di coordinate, le

equazioni di sistemi fisici noti in riferimenti inerziali. Come vedremo il princi-

pio di covarianza generale permette di ricavare queste equazioni con semplicita.

Allo scopo di chiarire il modo di procedere consideriamo un primo esempio.

3.1.1 Precessione di Thomas e trasporto di Fermi

Consideriamo una particella con spin in assenza, in un sistema localmente iner-

ziale, di qualunque forza. In questo caso se indichiamo con Uα = dζα

dτe con

Sα rispettivamente la quadrivelocita e lo spin avremo, per le equazioni della

relativita speciale

dUα

dτ= 0, (3.1.1)

dSαdτ

= 0, (3.1.2)

UαSα = 0. (3.1.3)

Nel sistema, localmente inerziale, di riposo e Uα ≡ (1,~0) e Sα ≡ (0, ~S) e da

queste segue subito la (3.1.3). Allo scopo di rendere generalmente covarian-

ti le equazioni (3.1.1), (3.1.2) e (3.1.3), definiamo, in un sistema generale di

coordinate, i vettori Uµ e Sµ come

Uµ =∂xµ

∂ζαUα, (3.1.4)

49

50 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

Sµ =∂ζα

∂xµSα. (3.1.5)

Come abbiamo gia osservato Uµ ed Sµ sono vettori, ma non le loro derivate

rispetto a τ . Possiamo allora introdurre le loro derivate covarianti lungo la curva

linea d’universo della particella, per cui le equazioni (3.1.1) e (3.1.2) diventano

DUµ

Dτ= 0,

DSµDτ

= 0.

Espicitamente il sistema (3.1.1, 3.1.2, 3.1.3) diventa

dUµ

dτ+ ΓµνσU

νUσ = 0, (3.1.6)

dSµdτ

− ΓσµνUνSσ = 0, (3.1.7)

UµSµ = 0. (3.1.8)

Il principio di covarianza generale ci assicura che queste equazioni sono ve-

re in un sistema di coordinate generale e quindi per qualunque osservatore.

La (3.1.6) coincide con la (1.2.20) della particella in caduta libera, mentre la

(3.1.7) e l’equazione del moto di precessione di un giroscopio (in caduta libera).

Possiamo osservare che dalla (3.1.7) e anche

D

Dτ(SµS

µ) = 0.

Ma poiche la derivata covariante di uno scalare coincide con la derivata ordinaria

segueD

Dτ(SµS

µ) = 0 → d

dτ(SµS

µ) = 0, (3.1.9)

e quidi SµSµ e costante lungo la linea. Nel caso incui la particella non e in

caduta libera avremo, in luogo di (3.1.6)

DUµ

Dτ=fµ

m, (3.1.10)

dove m e la massa della particella e il vettore controvariante fµ e la quadriforza.

La (3.1.10) puo anche essere scritta nella forma

md2xµ

dτ2= fµ −mΓµνσ

dxν

dxσ

dτ. (3.1.11)

L’ultimo termine a secondo membro della (3.1.11) gioca il ruolo di forza gra-

vitazionale, mentre fµ e determinata localmente in modo unico, se e nota la

quadriforza in un sistema localmente inerziale (di coordinate ζα), dalla relazione

fµ =∂xµ

∂ζαfα.

3.1. SISTEMI IN CAMPO GRAVITAZIONALE ESTERNO 51

Supponiamo adesso che la quadriforza fµ non eserciti nessuna torsione. In que-

ste condizioni, nel sistema di riferimento localmente inerziale dove la particella

e a riposo, lo spin non precedera, cioe d~Sdt

si annullera. In questo particolare

sistema di riferimento anche d~xdt

si annulla e quindi, se in un sistema localmente

inerziale, dove la particella non e in quiete, lo spin precede d~Sdt

dovra essere

almeno proporzionale alla velocita della particella stessa; in modo covariante

questa affermazione si scrive

dSα

dτ= ΦUα. (3.1.12)

Allo scopo di determinare la costante di proporzionalita ricordiamo che e SαUα =

0. Potremo quindi scrivere

0 =d

dτ(SαU

α) = ΦUαUα + Sα

dUα

dτ, (3.1.13)

ma e anche

UαUα = −1 (3.1.14)

perche, nel sistema di riferimento localmente inerziale dove la particella e a

riposo si ha Uα ≡(

1,~0)

e UαUα e invariante per Lorentz. Quindi dalla (3.1.13)

segue

Φ = SαdUα

dτ= Sα

m(3.1.15)

e, dalla (3.1.12)

dSα

dτ=

(

Sβfβ

m

)

Uα. (3.1.16)

Il fenomeno descritto dalla (3.1.16) va sotto il nome di precessione di Thomas.

In un sistema generale di coordinate (e quindi anche in presenza di campo

gravitazionale) la forma generalmente covariante della (3.1.16) e

DSµ

Dτ=

(

Sνf ν

m

)

Uµ = SνDUν

DτUµ. (3.1.17)

Un vettore Sµ, soluzione dell’equazione differenziale (3.1.17), e detto definito

dal trasporto di Fermi; il trasporto parallelo corrisponde al caso particolare

fµ = 0.

52 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

3.1.2 Il principio d’azione in forma covariante generale

Nel paragrafo precedente abbiamo considerato il moto di una particella con

spin in presenza di un campo gravitazionale. Il carattere locale delle equazioni

ci ha permesso di dedurle tramite il principio di covarianza generale, il metodo

funziona per qualunque sistema fisico, ma non puo dare nessuna informazio-

ne riguardo al campo gravitazionale stesso (cioe la forma del tensore metrico

gµν), che deve essere pensato noto. In altri termini, per questa via, possiamo

descrivere la dinamica di sistemi fisici in un campo gravitazionale esterno. E

pero utile introdurre un metodo che sia generalizzabile anche ai casi che non

possono essere trattati col solo principio di covarianza generale; per fare questo

partiremo dal principio d’azione che andra scritto in forma covariante generale.

Per un qualunque sistema fisico l’azione avra la forma

I =

∫ √gd4xL(Φi, ∂Φi, gµν , ∂gµν). (3.1.18)

Dove√gd4x e la misura invariante, la densita di lagrangiana L e una fun-

zione scalare e dipende dai campi (che sono indicati comulativamente con

Φi, i = 1, ..., n), che sono tensori, e dalle loro derivate covarianti (cioe ci sara

la dipendenza dalle derivate ordinarie e dal campo metrico e le sue derivate,

riorganizzate in modo da formare dei tensori). Se vogliamo dedurre l’equazione

del moto del ganerico campo Φi (diverso dal campo metrico) dovremo cercare

l’estremo del funzionale (3.1.18) per una variazione funzionale del campo Φi.

Cioe

δI =

∫ √gd4x

(

∂L∂Φi

δΦi +∂L∂ ∂Φi

∂xµ

δ∂Φi

∂xµ

)

= 0. (3.1.19)

Possiamo commutare tra loro i simboli δ e ∂∂xµ nell’ultimo termine in parentesi

ottenendo, dopo una integrazione per parti e tenendo conto del teorema di

Gauss,∫

d4x

(

√g∂L∂Φi

− ∂

∂xµ

(

√g∂L∂ ∂Φi

∂xµ

))

δΦi = 0 (3.1.20)

e, dall’arbitrarieta della variazione δΦi, si ha l’equazione di Eulero-Lagrange

∂xµ∂√gL

∂ ∂Φi

∂xµ

− ∂√gL

∂Φi= 0. (3.1.21)

Dove si e tenuto conto che il generico campo Φi e diverso dal campo metrico

gµν .

3.1. SISTEMI IN CAMPO GRAVITAZIONALE ESTERNO 53

Consideriamo come esempio un sistema diN particelle cariche in interazione

tramite il campo elettro-magnetico. In questo caso la (3.1.18) e data da

I = −N∑

n=1

mn

dτn +

∫ √gd4x

(

−1

4FµνF

µν + JµAµ

)

, (3.1.22)

dove dτn =√

−gµνdxµndxνn e il tempo proprio della particella n-esima, i campi

Aµ e Jµ sono generalmente covarianti e sono deducibili da quelli noti in un

sistema localmente inerziale tramite le solite trasformazioni di coordinate

Aµ =∂ζα

∂xµAα, Jµ =

∂xµ

∂ζαJα, (3.1.23)

in oltre

Fµν = Aν;µ −Aµ;ν ≡ ∂Aν∂xµ

− ∂Aµ∂xν

con Fµν = gµρgνσFρσ. (3.1.24)

Scegliamo come densita di coordinate lagrangiane e dei loro momenti coniugati i

tensori covarianti Aµ e ∂Aν

∂xµ . Tenuto conto della (3.1.22) si ottiene, con semplici

calcoli

∂√gL

∂Aµ=

√gJµ,

∂xν∂√gL

∂∂Aµ

∂xν

= − ∂

∂xν(√gF νµ) ; (3.1.25)

quindi si trova1√g

∂xν(√gF νµ) = −Jµ. (3.1.26)

Questa corrisponde alla prima coppia delle equazioni di Maxwell scritte in mo-

do generalmente covariante. Come si vede facilmente la (3.1.26) era imme-

diatamente deducibile anche dal principio di covarianza generale. Per quanto

riguarda la seconda coppia delle equazioni di Maxwell, come e facile verificare

(si ricordi la (2.3.67)), mantengono la loro forma originaria, cioe

Fνρ;µ + Fµν;ρ + Fρµ;ν =∂Fνρ∂xµ

+∂Fµν∂xρ

+∂Fρµ∂xν

= 0. (3.1.27)

3.1.3 Il tensore energia-impulso

Nella prima parte del corso si e introdotto, tramite il teorema di Noether, il

tensore energia-impulso come la corrente conservata conseguenza dell’invarian-

za di traslazione della teoria. D’altra parte, sotto una trasformazione generale

54 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

di coordinate, proprieta legate all’omogeneita od isotropia dello spazio (e del

tempo) perdono il loro significato e cio che e simmetrico per un osservatore

in genere non lo e per un altro. In particolare una traslazione (anche se in-

finitesima) attraverso una trasformazione generale di coordinate acquista una

dipendenza dal punto e diventa essa stessa una trasformazione generale di coor-

dinate. Studiamo allora l’invarianza dell’azione (3.1.18) sotto la trasformazione

di coordinate

xµ → x′µ = xµ + ξµ(x). (3.1.28)

Dove il vettore ξµ(x) e infinitesimo; come abbiamo gia osservato la trasforma-

zione di coordinate (3.1.28), anche se in un sistema localmente inerziale ap-

prossima bene una traslazione costante, e in effetti una trasformazione generale

di coordinate e, come tale, lascera invariata, ad esempio, la misura invarian-

te√gd4x, ma indurra delle variazioni su i campi. Per il tensore metrico gµν

avremo, al primo ordine in ξµ,

g′µν(x′) =

∂xρ

∂x′µ∂xσ

∂x′νgρσ(x)

=

(

δρµ −∂ξρ

∂xµ

)(

δσν −∂ξσ

∂xν

)

gρσ(x)

= gµν(x) −∂ξρ(x)

∂xµgρν(x) −

∂ξρ(x)

∂xνgµρ(x), (3.1.29)

dove si e tenuto conto che

∂ξρ

∂x′µ=∂ξρ

∂xµ+O

(

ξ2)

.

Sviluppando al primo ordine anche il primo membro della (3.1.29) possiamo

calcolare il differenziale di Lie δgµν(x) = g′µν(x) − gµν(x) che e

δgµν(x) = −ξρ(x)∂gµν(x)∂xρ

− ∂ξρ(x)

∂xµgρν(x) −

∂ξρ(x)

∂xνgµρ(x). (3.1.30)

Per il tensore controvariante gµν(x) avremo

δgµν(x) = −ξρ(x)∂gµν(x)

∂xρ+∂ξµ(x)

∂xρgρν(x) +

∂ξν(x)

∂xρgµρ(x) (3.1.31)

e per un tensore generico, ad esempio Aµν(x), il differenziale di Lie indotto dalla

trasformazione di coordinate (3.1.28) e

δAµν(x) = −ξρ(x)∂Aµν(x)

∂xρ+∂ξµ(x)

∂xρAρν(x) −

∂ξρ(x)

∂xνAµρ(x). (3.1.32)

3.1. SISTEMI IN CAMPO GRAVITAZIONALE ESTERNO 55

Tornando a considerare l’azione (3.1.18) si ha per l’invarianza sotto una tra-

sformazione generale di coordinate come la (3.1.28)

0 = δI =

g′(x′)d4x′L′(

Φ′i(x

′), g′..(x′), ...

)

−∫

g(x)d4xL (Φi(x), g..(x), ...)

=

g′(x)d4xL′(

Φ′i(x), g

′..(x), ...

)

−∫

g(x)d4xL (Φi(x), g..(x), ...) (3.1.33)

e sviluppando al primo ordine si ottiene

δI =

(

∂√g

∂gµνδgµνL +

√g∂L∂Φi

δΦi +√g∂L∂ ∂Φi

∂xµ

δ∂Φi

∂xµ

+√g∂L∂gµν

δgµν +√g∂L∂∂gµν

∂xρ

δ∂gµν∂xρ

)

d4x

=

d4x

(

∂√gL

∂Φi− ∂

∂xµ∂√gL

∂ ∂Φi

∂xµ

)

δΦi

+

d4x

(

∂√gL

∂gµν− ∂

∂xρ∂√gL

∂∂gµν

∂xρ

)

δgµν = 0. (3.1.34)

Limitandoci a considerare i campi che sono soluzioni delle equazioni del moto

la precedente si riduce a

δI =

d4x

(

∂√gL

∂gµν− ∂

∂xρ∂√gL

∂∂gµν

∂xρ

)

δgµν = 0. (3.1.35)

Riscrivendo la (3.1.35) nella forma

δI =1

2

∫ √gd4xT µνδgµν (3.1.36)

otteniamo il tensore

T µν =2√g

(

∂√gL

∂gµν− ∂

∂xρ∂√gL

∂∂gµν

∂xρ

)

(3.1.37)

che, come vedremo qui di seguito, e il cercato tensore energia-impulso. Si

osservi che T µν non e nullo perche’ le variazioni δgµν in (3.1.35) non sono tra

loro indipendenti, infatti i parametri indipendenti sono le quattro componenti

56 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

ξµ della trasformazione di coordinate (3.1.28), dalle quali dipendono le dieci

variazioni δgµν . Si osservi che la formula (3.1.37) fornisce il tensore energia-

impulso gia in forma simmetrica. Per vedere le conseguenze dell’invarianza per

trasformazioni generali di coordinate esplicitiamo la dipendenza dai parametri

indipendenti ξµ. Ricordando la (3.1.30) riscriviamo la (3.1.35) nella forma

δI =1

2

∫ √gd4xT µν

(

−ξρ∂gµν∂xρ

− ∂ξρ

∂xµgρν −

∂ξρ

∂xνgµρ

)

= 0. (3.1.38)

Con qualche integrazione per parti e ricordando che e∂gµν

∂xρ = Γλρµgλν + Γλρνgµλ

troviamo

δI = −1

2

d4x

(√gT µνΓλρµgλν +

√gT µνΓλρνgµλ − 2

∂xµ(√gT µρ

)

)

ξρ

=

∫ √gd4x

[

1√g

∂xµ(√gT µρ

)

− ΓλρµTµλ

]

ξρ = 0. (3.1.39)

dall’arbitrarieta degli ξρ segue

1√g

∂xµ(√gT µρ

)

− ΓλρµTµλ = 0 =⇒ T µρ;µ = 0. (3.1.40)

Quindi T µρ e covariantemente conservato ed in un sistema localmente iner-

ziale corrisponde alla corrente conservata dovuta all’invarianza per traslazione

e quindi e il tensore energia-impulso. Come esempio consideriamo la solita

elettrodinamica nel vuoto. In una regine ove non vi sono cariche sara

√gL = −1

4

√ggρλgστFρσFλτ .

Con semplici calcoli si ha

∂gµν(√gL) = −1

8

√ggµνFρσF

ρσ +1

2

√gFµσF νσ,

dove si e tenuto conto che

∂gµν

√g =

∂gµν

(

−eTr lng..

)1

2

=1

2

√ggµν ,

∂gµνgρλ = −gρµgλν .

Finalmente, ricordando la (3.1.37) si trova il tensore

T µν = FµσF νσ −gµν

4FρσF

ρσ. (3.1.41)

3.2. CONNESSIONE DI SPIN E TORSIONE 57

3.2 Connessione di spin e torsione

Torniamo a considerare le carte della nostra varieta. Come abbiamo visto le

1-forme eα forniscono una base dello spazio cotangente nel punto x, T ∗x (M),

alla varieta. Consideriamo adesso due carte, hα e hβ, che hanno intersezione

non nulla; un punto x della varieta che si trova nell’intersezione dei due domini

Uα⋂

Uβ delle due carte ha immagine nella loro intersezione hαβ e potra essere

parametrizzato con coordinate sia rispetto alla base di hα (diciamo le eα), che

rispetto a quella di hβ (poniamo le e′α). Interessa trovare le trasformazioni che

fanno passare da una base all’altra, trovare cioe le funzioni di transizione da

una carta all’altra. Siano allora rispettivamente ζα(x) e ζ ′α(x) una scelta di

coordinate sulle due carte, sara quindi

e′α =∂ζ ′α

∂xµdxµ =

∂ζ ′α

∂ζβ∂ζβ

∂xµdxµ =

∂ζ ′α

∂xν∂xν

∂ζβ∂ζβ

∂xµdxµ, (3.2.42)

cioe

e′α = e′αν Eνβeβ . (3.2.43)

Quindi la funzione di transizione cercata e

Φαβ = e′αν E

νβ . (3.2.44)

La (3.2.44) rappresenta la trasformazione di coordinate che fa passare dalla

base e alla base e′ e dipende dal punto x ∈ M. Quindi, come avviene per la

derivata ordinaria rispetto alle coordinate xµ che parametrizzano la varieta M,

l’ordinario differenziale esterno d per le forme dello spazio cotangente T ∗x (M)

non sara covariante rispetto alle trasformazioni di coordinate (i diffeomorfi-

smi) (3.2.44). Allo scopo di trovare il differenziale covariante consideriamo il

differenziale della 1-forma e′α; dalla (3.2.43) si ha

de′α = de′αν Eνβ ∧ eβ + e′αν dE

νβ ∧ eβ + e′αν E

νβde

β, (3.2.45)

ricordando che eαρEρδ = δαδ e Eλδ e

δν = δλν (dalle quali segue anche deαρE

ρδ =

−eαρdEρδ etc.), avremo

de′α = e′αρ E′ρδ de

′δν E

νβ ∧ eβ + e′αλ E

λδ e

δνdE

νβ ∧ eβ + e′αν E

νβde

β

= −e′αρ dE′ρδ ∧

(

e′δν Eνβeβ)

+ e′αν Eνβde

β + e′αλ Eλδ eδνdE

νβ ∧ eβ

= −e′αρ dE′ρδ ∧ e′δ + e′αλ E

λδ

(

deδ + eδνdEνβ ∧ eβ

)

. (3.2.46)

58 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

Dove si e tenuto conto che e′δν Eνβeβ = e′δ. Riordinando si ha infine

de′α + e′αρ dE′ρδ ∧ e′δ = e′αλ E

λδ

(

deδ + eδνdEνβ ∧ eβ

)

(3.2.47)

Quindi

Deα = deα + ωαβ ∧ eβ, (3.2.48)

dove si e introdotta la 1-forma connessione di spin

ωαβ = eαρdEρβ = −Eρβdeαρ (3.2.49)

e il differenziale esterno covariante cercato.

A questo punto nasce un problema di compatibilita tra differenziazione co-

variante nello spazio cotangente T ∗x (M) e la gia studiata differenziazione cova-

riante rispetto alle coordinate della varieta M. Infatti, esplicitando la 1-forma

ωαβ in termini delle sue componenti rispetto ai differenziali dxµ delle coordinate

della varieta, dovremo avere per la detta compatibilita

ωαβ = ωαβµdxµ = eαρE

ρβ;µdx

µ = −Eρβeαρ;µdxµ. (3.2.50)

Ovvero

ωαβµ = eαρ

(

∂Eρβ∂xµ

+ ΓρµσEσβ

)

= −Eρβ(

∂eαρ∂xµ

− Γσµρeασ

)

. (3.2.51)

Da questa si deduce

Γσµνeασ =

∂eαν∂xµ

+ eβνωαβµ = −eαρ

∂Eρβ∂xµ

eβν + eβνωαβµ. (3.2.52)

Come si puo vedere la connessione lineare sulla varieta Γσµν definita in (3.2.52)

differisce da quella definita in (1.2.45) (che era conseguenza diretta del princi-

pio di equivalenza di Einstein) per il termine che contiene ωαβµ; il motivo di

questa differenza e che il principio di equivalenza ha una valenza strettamente

locale e puo riferirsi ad una sola carta e non ha informazioni di nessun tipo

riguardanti le carte vicine. D’altra parte il princio di equivalenza ha portato

a relazioni che danno delle previsioni fisiche verificabili sperimentalmente e che

quindi dovranno continuare a valere; questo portera dei vincoli su ωαβ e sul-

la struttura geometrica della nostra varieta spazio-temporale. Le conseguenze

3.2. CONNESSIONE DI SPIN E TORSIONE 59

rilevanti del principio di equivalenza sono l’equazione (1.2.20) e che il tenso-

re metrico ha derivata covariante nulla. L’equazione (1.2.20) e strettamente

connessa all’espressione di Γσµν in termini del tensore metrico e delle sue deri-

vate (Γσµν deve coincidere con il simbolo di Christoffel), tale epressione richiede

necessariamente che sia Γσµν = Γσνµ.

Cominciamo col prendere in considerazione la derivata covariante del ten-

sore metrico; per definizione si ha

gµν;λ =∂gµν∂xλ

− Γσλµgσν − Γσλνgµσ

=∂

∂xλ

(

ηαβeαµeβν

)

− Γσλµηαβeασeβν − Γσλνηαβe

αµeβσ

= ηαβ

(

∂eαµ∂xλ

− Γσλµeασ

)

eβν + ηαβeαµ

(

∂eβν∂xλ

− Γσλνeβσ

)

= −ηαβωαδλeδµeβν − ηαβeαµω

βδλe

δν (3.2.53)

Se definiamo ωαδ µ = ηαβωβδµ ⇒ ωαδ = ηαβω

βδ otteniamo

gµν;λ = − (ωβδ λ + ωδβ λ) eδµeβν . (3.2.54)

Quindi se la connessione di spin e antisimmetrica e gµν;λ = 0 e, per la comple-

tezza della base eα, e vero anche il viceversa. In conclusione perche valga la

condizione di metricta deve essere

ωαβ = −ωβα. (3.2.55)

Torniamo adesso a considerare la 2-forma definita in (3.2.48) dal differenziale

covariante della 1-forma eα che possiamo esplicitare sulla base come

Deα = deα + ωαβ ∧ eβ =1

2Tαδβe

δ ∧ eβ =1

2Tαµνdx

µ ∧ dxν . (3.2.56)

La quantita T ρµν = EραTαµν e detta torsione. Dalla (3.2.56) si ottiene

T ρµν = Eρα

(

∂eαν∂xµ

−∂eαµ∂xν

+ ωαβµeβν − ωαβνe

βµ

)

(3.2.57)

che, ricordando la (3.2.52) si puo riscrivere nella forma

T ρµν = Eρα(

Γσµνeασ − Γσνµe

ασ

)

= Γρµν − Γρνµ. (3.2.58)

Dalla richiesta del principio di equivalenza Γρµν = Γρνµ segue T ρµν = 0. Quin-

di in conclusione la varieta spazio-temporale compatibile con il principio di

equivalenza e una varieta Riemaniana a torsione nulla.

60 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

3.3 Curvatura

Nel paragrafo precedente abbiamo visto che le informazioni sulla geometria del-

lo spazio-tempo che si deducono dal principio di equivalenza non sono complete

e vanno estese. In particolare si deve introdurre una nuova connessione (la con-

nessione di spin ωαβ) per avere la covarianza tra le carte, e tale generalizzazione

porta ad una modifica anche della connessione lineare Γλµν sulla varieta. D’altra

parte abbiamo anche visto che le richieste di natura fisica che sono contenute nel

principio di equivalenza pogono dei limiti su questa estensione e determinano,

in modo piu preciso, la struttura geometrica della nostra varieta.

Torniamo adesso a considerare la 2-forma torsione definita in (3.2.56) e

facciamone il differenziale covariante, avremo

DTα = D(

deα + ωαβ ∧ eβ)

= d2eα + ωαβ ∧ deβ + dωαβ ∧ eβ − ωαβ ∧ deβ + ωαδ ∧ ωδβ ∧ eβ

=(

dωαβ + ωαδ ∧ ωδβ)

∧ eβ = Rαβ ∧ eβ , (3.3.59)

dove si e tenuto conto che d2 = 0. La (3.3.59) e la cosı detta equazione di

struttura di Mauer-Cartan e fornisce il legame tra la torsione Tα e la 2-forma

curvatura

Rαβ = dωαβ + ωαδ ∧ ωδβ. (3.3.60)

Osserviamo che, essendo funzione solo della connessione di spin ωαβ, la curvatu-

ra Rαβ non e deducibile a partire dal principio di equivalenza, ma ci aspettiamo

che essa sia fisicamente rilevante perche contiene informazioni al di la del prin-

cipio di equivalenza stesso. Vogliamo adesso vedere quale sia l’immagine di Rαβsulla base delle coordinate x ∈ M. Consideriamo

Rαβ =1

2Rαβ µνdx

µ ∧ dxν

=1

2

(

−ωαβ µ;ν + ωαβ ν;µ + ωαδ µωδβ ν − ωαδ νω

δβ µ

)

dxµ ∧ dxν

e ricordando che e

ωαβ µ = eαρ∂Eρβ∂xµ

+ EλβΓρµλeαρ

sostituendo nella precedente si ottiene con semplici (ma molto noiosi) calcoli

Rαβ =1

2eαρE

σβ

(

∂Γρνσ∂xµ

− ∂Γρµσ∂xν

+ ΓρµλΓλνσ − ΓρνλΓ

λµσ

)

dxµ ∧ dxν , (3.3.61)

Dove

Rρσµν =∂Γρνσ∂xµ

− ∂Γρµσ∂xν

+ ΓρµλΓλνσ − ΓρνλΓ

λµσ (3.3.62)

3.3. CURVATURA 61

e il tensore di curvatura di Riemann-Christoffel. Come vedremo nel seguito il

tensore (3.3.62) e la quantita rilevante per la teoria della gravitazione e la sua

presenza segnala caratteristiche della varieta che non appaiono da un’analisi

strettamente locale. Ad esempio, dal solo principio di equivalenza (o se si vuole

dal principio di covarianza generale), il commutatore di due derivate covarianti

e approssimato con lo zero mentre da un calcolo diretto si trova per il generico

tensore T ρσ

T ρσ;µ;ν − T ρσ;ν;µ = RρλµνTλσ −RλσµνT

ρλ. (3.3.63)

Se facciamo il differenziale esterno della 2-forma Rαβ avremo

dRαβ = d(

dωαβ + ωαδ ∧ ωδβ)

= dωαδ ∧ ωδβ + ωαǫ ∧ ωǫδ ∧ ωδβ−ωαǫ ∧ ωǫδ ∧ ωδβ − ωαδ ∧ dωδβ= (dωαδ + ωαǫ ∧ ωǫδ) ∧ ωδβ−ωαδ ∧

(

dωδβ + ωδǫ ∧ ωǫβ)

= Rαδ ∧ ωδβ − ωαδ ∧Rδβ,

ovvero

DRαβ = dRαβ −Rαδ ∧ ωδβ + ωαδ ∧Rδβ = 0, (3.3.64)

che e la nota identita di Bianchi; la sua immagine in termini delle coordinate

xµ sulla varieta diventa

Rρσµν;λ +Rρσλµ;ν +Rρσνλ;µ = 0. (3.3.65)

La (3.3.65) e un vincolo sul tensore di curvatura (3.3.62) che vale indipenden-

temente dalla particolare struttura della varieta.

3.3.1 Proprieta algebriche del tensore di curvatura di Riemann-

Christoffel

Definiamo il tensore covariante

Rµνρσ = gµλRλνρσ. (3.3.66)

Da una verifica diretta si trovano le seguenti proprieta di simmetria rispetto

agli indici

Rµνρσ = −Rνµρσ = −Rµνσρ = Rνµσρ = Rρσµν . (3.3.67)

62 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

Vale, in oltre, la proprieta ciclica

Rµνρσ +Rµσνρ +Rµρσν = 0. (3.3.68)

A partire da Rµνρσ si possono definire altri tensori; il tensore di Ricci Rµν e la

curvatura scalare R dati rispettivamente da

Rνσ = Rσν = gµρRµνρσ = gµρRνµσρ, (3.3.69)

e

R = gνσRνσ. (3.3.70)

Si osservi che R e l’unico scalare non banale che sia lineare in Rµνρσ , infatti

l’altro scalare possibile

R′ =ǫµνρσ√gRµνρσ = 0

e banale per le proprieta di simmetria degli indici. Per il tensore Rµνρσ l’identita

di Bianchi si riscrive

Rµνρσ;λ +Rµνλρ;σ +Rµνσλ;ρ = 0

e saturando, prima con gµρ e poi con gνσ e sfruttando il fatto che il tensore

metrico ha derivata covariante nulla, otteniamo l’altra forma dell’identita di

Bianchi(

Rµλ − gµλ

2R

)

= 0. (3.3.71)

Il tensore di Ricci e la curvatura scalare contengono informazioni riguardo alle

tracce del tensore di curvatura di Riemann-Christoffel. Possiamo anche consi-

derare il tensore diWeyl, che e, in sostanza, il tensore Rµνρσ al quale sono stati

tolti tutti i contributi di traccia e cioe

Cρσµν = Rρσµν −2

n− 2(gρµRνσ − gρνRµσ − gσµRνρ + gσνRµρ)

+2R

(n− 1)(n − 2)(gρµgνσ − gρνgµσ) (3.3.72)

e che quindi ha tutte le possibili tracce nulle. In otre il tensore di Weyl e definito

solo nel caso di n ≥ 3 dimensioni e per n = 3 e identicamente nullo. Per n ≥ 4

soddisfa alla versione dell’identita di Bianchi

Cρσµν;ρ = −2n− 3

n− 2

(

Rνσ;µ −Rµσ;ν +1

2(n− 1)(gσνR;µ − gσµR;ν)

)

. (3.3.73)

3.3. CURVATURA 63

Una proprieta caratteristica del tensore di Weyl e l’invarianza conforme; ovvero

il tensore di Weyl costruito sulla metrica gµν non cambia per la trasformazione

gµν → Ω2(x)gµν , dove Ω(x) e una funzione arbitraria non nulla dello spazio-

tempo.

3.3.2 Curvatura e holonomia

Consideriamo un vettore Sµ e facciamone il trasporto parallelo lungo una curva

chiusa C. Cioe in modo che l’equazione

dSµdτ

= Γλµνdxν

dτSλ (3.3.74)

sia soddisfatta lungo tutta la curva chiusa C (xµ = xµ(τ)). Sia allora xµ(τ0) =

xµ(τ1), essendo τ1 il valore del parametro invariante che ci riporta all’estremo

di partenza della curva, avendola percorsa una sola volta. Indichiamo allora

con

∆Sµ = Sµ(τ1) − Sµ(τ0) (3.3.75)

la variazione che subisce il vettore Sµ, confrontato con il valore di partenza,

dopo un giro completo. Con una tecnica del tutto simile a quella che viene

Figura 3.1: Suddivisione in cellette infinitesime dell’ipersuperficie interna allacurva C

usata per una dimostrazione elementare del teorema di Stokes, si riconduce

il contributo lungo la linea C alla somma dei contributi dei percorsi lungo i

64 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

bordi di infinite cellette infinitesime nelle quali si puo scomporre la superficie

(ipersuperficie) che ha per bordo la linea stessa (vedi Fig.3.1). Indicando con

∆nSµ il contributo della celletta n-esima avremo

∆Sµ =∑

n

∆nSµ. (3.3.76)

Possiamo quindi concentrare la nostra attenzione su una curva chiusa infinite-

sima. Se la curva e infinitesima potremo sviluppare Γλµν nell’intorno del punto

X = x(τ0) appartenente alla curva

Γλµν(x) = Γλµν(X) + (xρ −Xρ)∂

∂XρΓλµν(X) + ... (3.3.77)

Analogamente per il vettore Sµ avremo dalla (3.3.74), al primo ordine in xµ−Xµ

sulla curva

Sµ(τ) = Sµ(τ0) + Γλµν(X) (xν(τ) −Xν)Sλ(τ0) + ... (3.3.78)

Sostituendo (3.3.77) e (3.3.78) in (3.3.74) e integrando lungo la curva, si ottiene

l’equazione, valida al secondo ordine,

Sµ(τ) ∼ Sµ(τ0) +

∫ τ

τ0

[

Γλµν(X) + (xρ −Xρ)∂

∂XρΓλµν(X) + ...

]

[

Sλ(τ0) + Sσ(τ0)Γσλρ(X) (xρ(τ) −Xρ) + ...

] dxν(τ)

dτdτ. (3.3.79)

Trascurando i termini dal terzo ordine in poi troviamo

Sµ(τ) ∼ Sµ(τ0) + Γλµν(X)Sλ(τ0)

∫ τ

τ0

dxν(τ)

dτdτ

+

∂XρΓσµν(X) + Γσλρ(X)Γλµν(X)

Sσ(τ0)

∫ τ

τ0

(xρ(τ) −Xρ)dxν(τ)

dτdτ

se xµ(τ) ritorna al suo valore iniziale Xµ per τ = τ si ha

∫ τ

τ0

dxν(τ)

dτdτ = 0.

Quindi la variazione di Sµ per il trasporto parallelo lungo la curva chiusa

infinitesima e del secondo ordine e vale

∆Sµ ≡ Sµ(τ) − Sµ(τ0)

=

∂XρΓσµν(X) + Γσλρ(X)Γλµν(X)

Sσ(τ0)

xρdxν . (3.3.80)

3.3. CURVATURA 65

D’altra parte e∮

xρdxν =

∫ τ

τ0

xρdxν(τ)

dτdτ = −

∫ τ

τ0

xνdxρ(τ)

dτdτ = −

xνdxρ,

per cui infine si ottiene

∆Sµ =1

2RσµνρSσ

xρdxν . (3.3.81)

Concludendo possiamo dire che un arbitrario vettore Sµ non cambia trasportato

parallelamente lungo una piccola curva chiusa in X, se e solo se il tensore Rσµνρe nullo in X. Per quanto abbiamo osservato prima e per la (3.3.76) un vettore

non cambia per il trasporto parallelo lungo una curva chiusa finita solo se, in

tutta la regione che contiene la curva, il tensore di curvatura Rσµνρ e nullo.

Supponiamo adesso che il tensore Rσµνρ sia nullo e consideriamo una curva

chiusa costituita da due segmenti, A e B, che hanno come estremi comuni i

due punti xµ e Xµ. La variazione di un vettore Sµ, quando viene trasportato

parallelamente da x a X lungo A, viene cancellata dalla variazione che lo stesso

vettore ha, per trasporto parallelo da X a x lungo B. Cioe

∆AX→xSµ + ∆B

x→XSµ = 0,

ma e anche

∆Bx→XSµ = −∆B

X→xSµ

e quindi si ha

∆AX→xSµ = ∆B

X→xSµ. (3.3.82)

Ovvero, fissato il valore di Sµ in X si puo determinare, in una regione dove Rσµνρe nullo, il suo valore in x tramite il trasporto parallelo lungo una qualunque

delle infinite curve che uniscono X a x. Cioe il campo Sµ nell’arbitrario punto x

(una volta fissato X) dipende solo da x e non dalla particolare curva utilizzata

per il trasporto parallelo da X a x. Per questo campo la derivata lungo la curva

e data dadSµdτ

= ΓλµνSλdxν

dτ,

ma poiche la direzione di dxν

dτe arbitraria, si trova

∂Sµ∂xν

= ΓλµνSλ, =⇒ Sµ;ν = 0. (3.3.83)

Cioe, in una regione dove si annulla il tensore di curvatura, esiste sempre, per

ogni valore assegnato di Sµ in X, una soluzione dell’equazione (3.3.83). Inver-

samente se l’equazione (3.3.83) ammette una soluzione in tutta una regione,

allora, in quella regione, e Rσµνρ = 0.

66 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

3.3.3 Gravitazione e coordinate curvilinee

Abbiamo gia osservato piu volte, che il principio di equivalenza ha un signifi-

cato strettamente locale e non puo distinguere ta le situazioni dove e presente

un campo gravitazionale da tutte le altre. In altri termini sappiamo che in

ogni punto dello spazio-tempo e sempre possibile trovare una trasformazione di

coordinate x→ ζ tale che

ηαβ = gµν(x)∂ζα(x)

∂xµ∂ζβ(x)

∂xν, (3.3.84)

dove ηαβ e la metrica di Minkowski, ma non sappiamo se la trasformazione

di coordinate in (3.3.84), corrisponde ad una riscrittura delle coordinate (ad

esempio da cartesiane a polari) valida per tutti i punti della varita spazio-

temporale o se invece e una trasformazione di coordinate che annulla il campo

gravitazionale nell’intorno del punto x. Come abbiamo gia detto il tensore di

curvatura contiene informazioni al di la del principio di equivalenza ed infatti

vale il seguente teorema che fornisce una risposta al precedente quesito.

Teorema:Condizioni necessarie e sufficienti affinche la metrica gµν(x) sia equi-

valente alla metrica di Minkowski ηαβ (nel senso che esiste una trasformazione

di coordinate x → ζ che soddisfa la (3.3.84) in tutti i punti) sono: a) che il

tensore di curvatura, calcolato a partire dalla metrica gµν(x) si annulli ovun-

que, b) che in ogni punto X la metrica gµν(x) abbia tre autovalori positivi ed

uno negativo.

Che le condizioni a) e b) siano necessarie e facile da dimostrare. Infatti sup-

poniamo di aver trovato un sistema di coordinate ζα(x) (lo stesso per tutto lo

spazio) che soddisfa la (3.3.84), in quel sistema di coordinate la metrica e ηαβ e

quindi il tensore di curvatura e nullo, ma poiche trattasi di un tensore, e nullo

in tutti i sistemi di coordinate. Per quanto riguarda la condizione b) possiamo

osservare che la trasformazione (3.3.84) e una congruenza e quindi i segni degli

autovalori di gµν(x) sono, in ogni punto X, gli stessi di quelli degli autovalori

di ηαβ e cioe tre positivi ed uno negativo.

Al fine di dimostrare la sufficienza delle condizioni a) e b), cominciamo con

l’osservare che, preso un punto X qualunque, si puo sempre trovare una matrice

dαµ tale che

ηαβ = gµν(X)dαµdβν . (3.3.85)

Infatti gµν(X) e una matrice simmetrica; esiste quindi una matrice ortogonale

3.3. CURVATURA 67

Oαµ tale che la matrice OgOT e diagonale; ovvero

Oαµgµν(X)Oβν = D(α)δαβ . (3.3.86)

Dall’ipotesi sui segni degli autovalori di gµν (condizione b)) segue che i D(α)

sono tre positivi ed uno negativo; supponiamo di avere ordinato le righe di Oαµin modo che D(1), D(2), D(3) siano positivi e D(0) quello negativo. Allora se

scegliamo

di µ =Oiµ√D(i)

, per i = 1, 2, 3

d0µ =

O0µ

−D(0), (3.3.87)

la (3.3.85) e soddisfatta. Consideriamo adesso l’equazione differenziale

∂Dαµ

∂xν= ΓλµνD

αλ (3.3.88)

con la condizione iniziale

Dαµ = dαµ, a x = X. (3.3.89)

Dall’ipotesi che il tensore di curvatura sia nullo (condizione a)) segue che, data

la condizione iniziale (3.3.89), l’equazione (3.3.88) ha sempre soluzione. Poiche

il secondo membro di (3.3.88) e simmetrico negli indici µ e ν per i 4 vettori

covarianti Dαµ dovra essere

Dαµ =

∂ζα

∂xµ. (3.3.90)

e le ζα sono le coordinate di un sistema localmente inerziale nell’intorno del

punto X perche, come segue da (3.3.89) e (3.3.85), soddisfano a (3.3.84) nel

punto X. Consideriamo allora le 10 quantita scalari gµνDαµD

βν e facciamone

la derivata rispetto ad x, avremo:

∂xρ

(

gµνDαµD

βν

)

=(

gµνDαµD

βν

)

= gµν ;ρDαµD

βν + gµνDα

µ;ρDβν + gµνDα

µDβν;ρ = 0, (3.3.91)

dove si e tenuto conto che la derivata covariente di uno scalare coincide con

la derivata ordinaria, della condizione di metricita (gµν ;ρ = 0) e della (3.3.88).

Quindi la matrice gµνDαµD

βν non dipende da x per cui vale sempre ηαβ e questo

prova il teorema.

68 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

3.3.4 Deviazione dalla geodetica

Prima di concludere questa rassegna delle proprieta del tensore di curvatura

vogliamo inytrodurre il concetto di deviazionw geodetica. Nella geometria eu-

clidea (spazio piatto) due rette inizialmente parallele restano parallele per tutta

la loro lunghezza infinita, ma in uno spazio curvo questo non e vero; su una

sfera due geodetiche inizialmente parallele prima o poi, se non sono coincidenti,

si incroceranno. Il problema e che la nozione di parallelismo non si estende in

modo naturale da uno spazio piatto ad uno curvo. Allo scopo di quantificare

un concetto di questo tipo, costruiamo una famiglia, ad un parametro, di geo-

detiche non intersecantesi, γs(t). Cioe, per ogni s ∈ R, γs(t) e una geodetica

parametrizzata dal parametro affine t (ad esempio il tempo proprio t = τ). La

collezione di queste curve definisce una superficie bidimensionale regolare (im-

mersa in una varieta M di dimensione arbitraria). Scegliamo come coordinate

di questa superficie i parametri s e t. L’intera superficie e l’insieme dei punti

xµ(s, t) ∈ M. Possiamo introdurre in modo naturale due campi vettoriali: Il

vettore tangente alle geodetiche,

T µ =∂xµ

∂t(3.3.92)

e i vettori di deviazione

Sµ =∂xµ

∂s. (3.3.93)

Questo nome deriva dalla nozione intuitiva che Sµ e diretto da una geodetica

a quella infinitamente vicina.

Figura 3.2: Sistema di coordinate geodetiche sulla varieta M

L’idea che Sµ punti da una geodetica a quella vicina ci suggerisce la definizione

3.4. L’EQUAZIONE DI CAMPO DI EINSTEIN 69

di velocita relativa delle geodetiche,

V µ = T ρSµ;ρ, (3.3.94)

e di accelerazione relativa delle geodetiche,

aµ = T ρV µ;ρ. (3.3.95)

Possiamo calcolare l’accelerazione; avremo, sostituendo (3.3.94) in (3.3.95),

aµ = T ρ(

T σSµ;σ)

ma in una varieta a torsione nulla, come nel nostro caso, vale

SρT µ;ρ − T ρSµ;ρ =∂2xµ

∂s∂t− ∂2xµ

∂t∂s+∂xρ

∂s

∂xσ

∂t

(

Γµρσ − Γµσρ)

= 0, (3.3.96)

per cui e

aµ = T ρ(

SσT µ;σ)

=(

T ρSσ;ρ)

T µ;σ + T ρSσ(

T µ;σ)

=(

SρT σ;ρ)

T µ;σ + T ρSσ(

T µ;ρ;σ +RµνρσTν)

=(

SρT σ;ρ)

T µ;σ + Sσ(

T ρT µ;ρ)

;σ−(

SσT ρ;σ)

T µ;ρ +RµνρσTνT ρSσ

= RµνρσTνT ρSσ,

dove si e anche tenuto conto che T ρT µ;ρ = 0 perche T µ e un vettore tangente

alla geodetica. Cioe in definitiva si ha

aµ = RµνρσTνT ρSσ (3.3.97)

che e nota come equazione della deviazione geodetica. L’accelerazione relativa

tra geodetiche vicine (che e proporzionale alla curvatura) e interpretata come

una manifestazione delle forze di marea gravitazionali.

3.4 L’equazione di campo di Einstein

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come la presenza di un campo gravita-

zionale sia legata ad un tensore di curvatura della varieta spazio-temporale non

banale. In oltre il tensore di curvatura contiene le derivate seconde del tensore

70 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

metrico che, come sappiamo dal principio di equivalenza, e la grandezza che

contiene, quando e presente, i gradi di liberta del campo gravitazionale tramite

il suo potenziale. E quindi ovvio che il tensore di curvatura contribuisca alla

dinamica del campo gravitazionale stesso. Al solito il modo naturale per descri-

vere la teoria della gravitazione sara quello di partire da un principio d’azione.

Per quanto osservato prima, la densita di Lagrangiana (che deve essere uno

scalare per la covarianza della teoria) dovra contenere, oltre al termine relativo

ai campi di materia e radiazione, il tensore di curvatura. Come sappiamo lo

scalare piu semplice che contiene il tensore di curvatura e la curvatura scalare.

Quindi, tendo conto dell’invarianza per trasformazioni generali di coordinate,

basandosi su soli criteri di semplicita scriveremo per l’azione

I =

∫ √gd4x (LM + αR) . (3.4.98)

dove LM e la densita di Lagrangiana, contenente i campi di materia e radiazione.

Come abbiamo gia osservato i gradi di liberta del campo gravitazionale sono

contenuti nel tensore metrico gµν , quindi per ricavare l’equazione di Eulero-

Lagrange di gµν dovremo cercare l’estremo del funzionale (3.4.98) rispetto ad

una variazione arbitraria δgµν . Sara cioe

δI =

d4x

[

1

2

√gT µν + α

∂√g

∂gµνR+ α

√g∂R

∂gµν

]

δgµν = 0. (3.4.99)

dove si e tenuto conto che la corrente associata al tensore energia-impulso e il

tensore metrico. In particolare avremo

∂√g

∂gµνδgµν =

∂gµν

−eTr ln g..δgµν =1

2

√ggµνδgµν , (3.4.100)

∂R

∂gµνδgµν =

∂gγρ

∂gµνRγρδgµν + gγρ

∂Rγρ∂gµν

δgµν

= −Rµνδgµν +(

gγρδΓσργ)

;σ−(

gγρδΓσσγ)

;ρ, (3.4.101)

dove si e tenuto conto che per la variazione δgµν si ha Γσµν → Γσµν + δΓσµν e che

δΓσµν e un tensore perche differenza di due connessioni. Sostituendo in (3.4.99)

si ha

δI =

∫ √gd4x

[

1

2T µν + α

gµν

2R− αRµν

]

δgµν

∫ √gd4x

[

(

gγρδΓσργ)

;σ−(

gγρδΓσσγ)

]

= 0, (3.4.102)

3.4. L’EQUAZIONE DI CAMPO DI EINSTEIN 71

ma il secondo integrale a secondo membro della (3.4.102) e nullo per il teorema

di Gauss e quindi, dall’arbitrarieta di δgµν , si ottiene

Rµν − gµν

2R =

1

2αT µν . (3.4.103)

La (3.4.103) e l’equazione di Einstein e, in linea di principio, data la distribu-

zione delle sorgenti (T µν) e le condizioni al contorno dovrebbe permettere di

trovare il campo metrico. Osserviamo subito che l’identita di Bianchi fornisce

delle condizioni vincolari per questa equazione, ci troviamo cioe in una situa-

zione simile a quella delle equazionidi Maxwell, dove la prima coppia contiene

le sorgenti (e quindi la dipendenza da un particolare sistema fisico), mentre

la seconda coppia fornisce un vincolo indipendente dalla particolare situazione

considerata. Torneremo su questo punto fondamentale piu avanti. In ogni caso

l’identita di Bianchi e(

Rµν − gµν

2R

)

= 0

che, per la compatibilita con la (3.4.103) comporta necessariamente

T µν;µ = 0, (3.4.104)

che e in accordo con la richiesta che il tensore T µν sia una corrente conservata in

modo covariante. Il parametro α e un parametro che non e determinato dalla

teoria e fissa la scala stessa dell’interazione gravitazionale. Potremo fissare

questa scala (e quindi α) considerando il limite Newtoniano. Cominciamo con

l’osservare che, facendo la traccia di ambo i membri di (3.4.103), si ottiene

R = − 1

2αT µµ, (3.4.105)

che ci permette di riscrivere

Rµν =1

(

T µν − gµν

2T λλ

)

. (3.4.106)

Consideriamo la versione covariante di (3.4.103) e prendiamo la componente 00:

R00 =1

(

T00 −g002T λλ

)

. (3.4.107)

Nel limite Newtoniano sappiamo che e g00 ≃ −(1 + 2Φ). Si ha allora, con

qualche semplice calcolo

∇2Φ =1

4αρ, (3.4.108)

72 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

l’equazione di Poisson, che segue dalla teoria di Newton, e

∇2Φ = 4πGρ (3.4.109)

e, per confronto

α =1

16πG. (3.4.110)

Introducendo il tensore di Einstein

Gµν = Rµν − gµν

2R (3.4.111)

si ha finalmente il sistema

Gµν = 8πGTµν ,

Gµν ;µ = 0. (3.4.112)

3.4.1 Validita dell’equazione di Einstein; la scala di Planck

Nel paragrafo precedente abbiamo dedotto l’azione (3.4.98) basandoci, oltre

che sull’invarianza per trasformazioni generali di coordinate, su un criterio di

semplicita. In altri termini la (3.4.98) non e l’azione piu generale, invariante

per trasformazioni generali di coordinate, che si puo costruire. Infatti piu in

generale potremo considerare un’azione del tipo

I =

∫ √gd4x

(

LM + Λ +1

16πGR+ βR2 + γO

(

R4)

+ ...

)

(3.4.113)

dov Λ e una costante (la costante cosmologica) ed e il termine di curvatura

piu semplice possibile. La presenza di questo termine sarebbe la causa di una

curvatura costante dello spazio-tempo, indipendente dalla particolare distribu-

zione delle sorgenti∗. Un simile termine fu, in un primo momento, preso in

cosiderazione da Einstein, ma poi fu scartato. Si osservi che la presenza di Λ

non sarebbe compatibile con il limite Newtoniano della teoria, infatti un’azione

del tipo

I =

∫ √gd4x

(

LM + Λ +1

16πGR

)

porterebbe ad un’equazione di Einstein del tipo

Rµν − gµν

2R+ 8πGgµνΛ = 8πGTµν

∗Gli spazi a curvatura costante positiva sono detti spazi de De Sitter

3.4. L’EQUAZIONE DI CAMPO DI EINSTEIN 73

Una piccola costante cosmologica potrebbe pero trovare spazio a causa della

cattiva conoscenza che si ha del campo gravitazionale newtoniano a piccole di-

stanze e non porterebbe conseguenze sensibili se non su scala cosmologica. Noi,

in ogni caso porremo (con Einstein) Λ = 0. Per quanto riguarda gli altri termini,

meno che per il termine R2, hanno a moltiplicare una costante dimensionata.

In particolare, nel sistema di unita naturali (c = 1 e ~ = 1), 116πG =

[

l−2]

,

β =[

l0]

, γ =[

l2]

, e cosı via. Quindi l’azione (3.4.113) e un’azione efficace e le

costanti dimensionate sono in effetti dei fattori di forma. L’azione di Einstein

(3.4.98) e il primo ordine di questa teoria efficace e dobbiamo chiederci quale

sia il suo range di validita. Se consideriamo il termine in R2 questo non sara

piu trascurabile rispetto al termine in R quando

1

16πGR ∼ R2

cioe per

R ∼ 1

16πG(3.4.114)

che, vista la piccolezza di G, corrisponde ad una curvatura molto grande o, che

e lo stesso, ad un raggio di curvatura molto piccolo. Quindi a distanze dell’or-

dine di questo raggio di curvatura non potremo piu prendere in considerazione

l’azione di Einstein (3.4.98). Abbiamo quindi una scala di riferimento al disot-

to della quale cessa la validita della teoria di Einstein. Questa lunghezza e la

lughezza di Planck e vale

lP ∼√

~G

c3∼√

10−27 × 6.67 × 10−8

27 × 1030∼ 1.6 × 10−33cm. (3.4.115)

Si tratta quindi di una situazione estrema e, per quanto ci riguarda, tutti i

termini, oltre a quello lineare in R (considerato da Einstein), sono sicuramente

trascurabili.

3.4.2 Invarianza di gauge; coordinate armoniche

Torniamo quindi a considerare l’equazione di Einstein

Rµν − gµν

2R = 8πGT µν , (3.4.116)

Assieme alla quale si deve considerare l’identita di Bianchi

(

Rµν − gµν

2R

)

= 0. (3.4.117)

74 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

La (3.4.116) si presenta come un sistema di dieci equazioni differenziali (non

lineari) per le dieci funzioni incognite gµν . D’altra parte le stesse funzioni gµν

devono soddisfare anche alle quattro relazioni (3.4.117), che, non dipendendo

dalla particolare configurazione fisica, sono delle identita. Ma questo e possibi-

le solo se la (3.4.116) lascia indeterminati quattro gradi di liberta, cosa questa

sicuramente vera a causa dell’invarianza della teoria per trasformazioni gene-

rali di coordinate (una trasformazione di coordinate e determinata da quattro

funzioni). Ci troviamo cioe in una situazione del tutto analoga a quella dell’e-

lettrodinamica (studiata nel primo modulo); in questo caso le trasformazione di

gauge che lasciano invariata la teoria sono le trasformazioni generali di coordi-

nate. In modo analogo a quanto avviene per l’elettrodinamica, sara necessario

fissare i gradi di liberta, lasciati arbitrari a causa della simmetria di gauge, con

una scelta del gauge stesso e, in questo caso, la scelta di una gauge si riconduce

a scegliere una classe particolare di sistemi di riferimento. La caratteristica

principale del presente caso sta nel fatto che gli invarianti di gauge (che sono

le quantita fisicamente rilevanti), sono gli invarianti per trasformazioni generali

di coordinate e, di conseguenza, sono indipendenti dal punto. Questo, come

vedremo, comporta dei problemi per il confronto con i dati sperimentali delle

previsioni della teoria; riprenderemo piu avanti questo punto fondamentale.

Un esempio interessante di scelta del gauge sono le coordinate armoniche.

Si chiamano coordinate armoniche quelle dei sistemi di coordinate per i quali

vale

gµνΓλµν ≡ Γλ = 0. (3.4.118)

Come e evidente (e deve essere per una scelta del gauge) la relazione (3.4.118)

non e covariante; possiamo facilmente vedere che e sempre possibile trovare un

sistema di coordinate che soddisfa alla (3.4.118). Cioe, dato un arbitrario siste-

ma di coordinate, e sempre possibile trovare una trasformazione di coordinate

che porta in un altro che soddisfa alla (3.4.118). Infatti, per una trasformazione

di coordinate x→ x′, si ha

Γ′λ = g′µνΓ′λµν

=∂x′µ

∂xκ∂x′ν

∂xηgκη

(

∂x′λ

∂xρ∂xτ

∂x′µ∂xσ

∂x′νΓρτσ −

∂xρ

∂x′ν∂xσ

∂x′µ∂2x′λ

∂xρ∂xσ

)

=∂x′λ

∂xρgτσΓρτσ − gρσ

∂2x′λ

∂xρ∂xσ. (3.4.119)

Quindi se e Γρ 6= 0 si puo sempre definire un sistema di coordinate x′λ = x′λ(x),

risolvendo l’equazione differenziale lineare alle derivate parziali del secondo

3.4. L’EQUAZIONE DI CAMPO DI EINSTEIN 75

ordine∂x′λ

∂xρΓρ − gρσ

∂2x′λ

∂xρ∂xσ= 0, (3.4.120)

nel quale e Γ′λ = 0.

Le condizioni precedenti possono essere poste in una forma piu elegante.

Infatti, ricordando l’espressione di Γµνρ in termini del tensore metrico e delle

sue derivate avremo

Γλ =1

2gµνgλκ

∂gκµ∂xν

+∂gκν∂xµ

− ∂gµν∂xκ

. (3.4.121)

Ricordando che valgono

gλκ∂gκµ∂xν

= −gκµ∂gλκ

∂xνe

1

2gµν

∂gµν∂xκ

= g−1

2∂

∂xκg

1

2 (3.4.122)

si trova facilmente

Γλ = −g− 1

2∂

∂xκ

(

g1

2 gλκ)

(3.4.123)

e quidi la condizione di coordinate armoniche puo essere scritta nella forma piu

diretta∂

∂xκ

(√ggλκ

)

= 0. (3.4.124)

3.4.3 Il problema di Cauchy per l’equazione di Einstein

Supponiamo, per semplicita, di avere assegnato le condizioni al contorno al

tempo x0 = t, per l’equazione di Einstein nel seguente modo:

1. il valore di gµν su tutta l’ipersuperficie space-like al tempo x0 = t.

2. il valore di ∂∂x0 gµν su tutta l’ipersuperficie space-like al tempo x0 = t.

Se sostituendo nell’equazione di campo di Einstein (3.4.116) le precedenti condi-

zioni al contorno si ottiene un’equazione per ∂2

∂x02 gµν sull’ipersuperficie x0 = t,

questo ci permette di valutare gµν e ∂∂x0 gµν sull’ipersuperficie x0 = t + δt e

prendere questi valori come nuove condizioni al contorno e ripetere la stes-

sa operazione infinite volte, ottenendo cosı gµν e ( ∂∂x0 gµν) in tutto lo spazio-

tempo. Vi sono pero i vincoli imposti dall’identita di Bianchi (3.4.117) che,

posto Gµν = Rµν − gµν

2 R, riscriviamo nella forma

∂x0Gµ0 ≡ − ∂

∂xiGµi − ΓµνλG

λν − ΓννλGµλ. (3.4.125)

76 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

Ma il secondo membro della (3.4.125) non contiene derivate rispetto al tempo

superiori a ∂2

∂x02 e quindi Gµ0 non puo contenere derivate rispetto al tempo

di ordine superiore a ∂∂x0 . Quindi non si puo ottenere nessuna informazione

sull’evoluzione temporale del campo gµν dalle quattro equazioni del moto

Gµ0 = 8πGT µ0. (3.4.126)

In effetti queste equazioni sono dei vincoli sulle condizioni iniziali, cioe su gµν

e ∂∂x0 a x0 = t. Restano quindi come equazioni dinamiche solo le altre sei

equazioni di Einstein

Gij = 8πGT ij . (3.4.127)

D’altra parte queste determinano le sei derivate seconde ∂2

∂x02 gij e lasciano in-

determinate le quattro derivate ∂2

∂x02 gµ0. Questa ambiguita segue dal fatto che

e sempre possibile trovare una trasformazione di coordinate che lascia invariati

gµν e ∂∂x0 g

µ0 a x0 = t e cambia gµν in ogni altro punto. Questa ambiguita puo

essere rimossa scegliendo un sistema di coordinate dato. Scegliendo le coor-

dinate armoniche, possiamo ottenere derivando la (3.4.124) rispetto ad x0, le

quattro equazioni

∂2

∂x02

(√ggµ0

)

= − ∂2

∂x0∂xi(√ggµi

)

(3.4.128)

che unite alle (3.4.127) sono sufficienti per determinare tutte le derivate seconde

rispetto a x0 di gµν .

3.4.4 Tensore energia-impulso e momento angolare della gravi-

tazione

L’interazione tra gravitazione e materia come scambio di impulso ed energia,

nella teoria che abbiamo fin qui presentato, non e descritta da un tensore

energia-impulso, ma e nascosta nella geometria dello spazio-tempo stesso. D’al-

tra parte, almeno localmente, potremo esplicitare questa interazione; a questo

scopo scriviamo

gµν = ηµν + hµν , (3.4.129)

dove ηµν e la metrica di Minkowski e tutti i gradi di liberta del campo gravita-

zionale sono finiti in hµν , che non e necessariamente piccolo. La parte lineare

in hµν del tensore di Ricci Rµν e data da

R(1)µν =

1

2

(

∂2hλλ∂xµ∂xν

−∂2hλµ∂xλ∂xν

− ∂2hλν∂xλ∂xµ

+∂2hµν∂xλ∂xλ

)

, (3.4.130)

3.4. L’EQUAZIONE DI CAMPO DI EINSTEIN 77

dove gli indici sono alzati, od abbassati, da η; ad esempio hλν = ηλµhµν e∂∂xλ

= ηλν ∂∂xν . L’equazione di Einstein puo essere riscritta nella forma

R(1)µν − 1

2ηµνR

(1)λλ = 8πG [Tµν + tµν ] , (3.4.131)

dove

tµν = − 1

8πG

[

Rµν −1

2gµνR

λλ −R(1)

µν +1

2ηµνR

(1)λλ

]

. (3.4.132)

La (3.4.131) si presenta come una equazione per un campo di spin 2, nel caso

specifico il campo gµν , e al secondo membro le sorgenti sono il tensore energia-

impulso. Tµν e il tensore energia-impulso della materia e radiazione, mentre tµν

e da interpretarsi come il tensore energia-impulso della gravita. Si osservi che,

in questo caso, la sorgente tµν contiene a sua volta il campo gµν come avviene

per il campo di Yang e Mills. Quindi la corrente

τµν = Tµν + tµν (3.4.133)

rappresenta il tensore energia-impulso totale, materia piu gravitazione e come

tale e conservato nel modo usuale. Infatti l’dentita di Bianchi e soddisfatta

ordine per ordine ed in particolare e

∂xµ

(

R(1)µν − 1

2ηµνR

(1)λλ

)

= 0. (3.4.134)

E quindi∂

∂xµτµν = 0. (3.4.135)

In altri termini siamo tornati a descrivere il sistema fisico in esame in uno spazio

piatto con metrica ηµν e il campo gravitazionale riappare in modo esplicito

come un campo di spin 2. Naturalmente questo tipo di operazione ha solo

un significato puramente locale inquanto le quantita R(1)µν e τµν non sono

globalmente definite. Essendo τµν = τνµ una corrente conservata si possono

definire le quattro correnti conservate

P λ =

V

d3x τ0λ (3.4.136)

dove V e un volume tridimensionale. P λ e il quadrivettore energia-impulso to-

tale (materia + gravitazione) e porta la relativa rappresentazione del gruppo di

78 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

Lorentz. Ragionando nello stesso modo si puo introdurre anche l’altra corrente

Mµνρ = −Mµρν = xντµρ − xρτµν − ∂√gL

∂∂µψi(Sρν)ji ψj (3.4.137)

dove L = LM − 116πGR, ψi sono tutti i campi presenti compreso hµν e gli Sρν

sono le componenti dei generatori infinitesimi dell’algebra di Lie del gruppo

di Lorentz nelle rappresentazioni portate dai campi ψi. Osserviamo che anche

Mµνρ e conservata. Infatti si ha

∂xµMµνρ = δνµτ

µρ + xν∂

∂xµτµρ − δρµτ

µν − xρ∂

∂xµτµν

− ∂

∂xµ∂√gL

∂ ∂ψi

∂xµ

(Sρν)ji ψj −∂√gL

∂ ∂ψi

∂xµ

(Sρν)ji∂ψj∂xµ

= τνρ − τρν − ∂√gL

∂ψiδψi −

∂√gL

∂ ∂ψi

∂xµ

δ∂ψi∂xµ

= 0 (3.4.138)

dove si e tenuto conto che τνρ = τρν , dell’equazione di Eulero-Lagrange e del-

l’invarianza di√gL per le trasformazioni dei campi indotte dalle trasformazioni

delle coordinate. Potremo quindi parlare di momento angolare che sara dato

dalle tre cariche

J ij = −Jji =

V

d3x M0ij . (3.4.139)

Quanto fatto adesso resta pero alquanto formale perche un osservatore, in pre-

senza di un campo gravitazionale, non puo separare gli effetti della gravita-

zione, che si presentano per lui come una modifica della geometria del suo

spazio-tempo, e fare un confronto con la stessa situazione locale in assenza di

gravita. Possiamo pero avere ugualmente informazioni sull’energia e l’impulso

(e sul momento angolare) associato al campo gravitazionale se conosciamo il

campo hµν a grande distanza dalle sorgenti che lo generano.

Infatti possiamo scrivere il primo membro della (3.4.131) come

R(1)µν − 1

2ηµνR

(1)λλ =

∂xρQρµν (3.4.140)

dove si e posto

Qρµν =1

2

(

∂hλλ∂xµ

ηρν − ∂hλλ∂xρ

ηµν − ∂hλν

∂xληρν +

∂hλρ

∂xληµν +

∂hµν

∂xρ− ∂hρν

∂xµ

)

(3.4.141)

Si osservi che Qρµν = −Qµρν , come deve essere per la compatibilita con l’iden-

tita di Bianchi (3.4.134). Tenuto allora conto della (3.4.131) e di (3.4.141) la

3.4. L’EQUAZIONE DI CAMPO DI EINSTEIN 79

(3.4.136) si riscrive

P ν = − 1

8πG

V

d3x∂Qρ0ν

∂xρ= − 1

8πG

V

d3x∂Qi0ν

∂xi(3.4.142)

dove si e tenuto conto dell’antisimmetria dei primi due indici di Qρµν . Sup-

poniamo adesso che il volume spaziale V sia una grande sfera di raggio r; dal

teorema di Gauss avremo allora

P ν = − 1

8πG

∂V=Sr

Qi0νnir2dΩ (3.4.143)

dove si sono scelte le coordinate polari con origine al centro della sfera per cui

r ≡√

xixi, ni ≡xir, dΩ = sinθdθdφ. (3.4.144)

Ricordando la (3.4.141), si ha, in modo piu esplicito

P j = − 1

16πG

Sr

[

−∂hκκ

∂tδij +

∂hκ0∂xκ

δij − ∂hj0∂xi

+∂hij

∂t

]

nir2dΩ,

P 0 = − 1

16πG

Sr

[

∂hκκ∂xi

− ∂hij

∂xj

]

nir2dΩ (3.4.145)

procedendo in modo analogo si trova un’espressione anche per le componenti

J ij del momento angolare.

80 CAPITOLO 3. LA TEORIA DELLA GRAVITAZIONE

Capitolo 4

Conseguenze dell’equazione di

Einstein

4.1 I tests classici della teoria di Einstein

Lo stesso Einstein suggerı i seguenti tre tests per la verifica sprimentale della

teoria della relativita generale:

1. Lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali in presenza di un campo

gravitazionale (red shift gravitazionale).

2. La deflessione della luce da parte del sole.

3. La precessione del perielio delle orbite dei pianeti interni

Successivamente sono stati proposti e realizzati altri test il piu famoso dei quali

e, assieme alle sue varianti,

4. Il ritardo temporale dell’echo radar in prossimita del sole.

Infine si pensa ad altri possibili test da realizzarsi in futuro come

5. lo studio della precessione di un giroscopio in orbita intorno alla terra.

Tutti i tests precedenti si riferiscono a campi gravitazionali che con buona ap-

prossimazione sono stazionari ed , ad eccezione del test n.5, a simmetria centra-

le. In presenza di simmetrie l’equazione di Einstein, come per una qualunque

equazione differenziale, puo essere ricondotta ad una forma piu facilmente riso-

lubile. Prenderemo quindi in considerazione il caso stazionario con simmetria

centrale. Per quanto riguarda i test sopra esposti il n.1 e in effetti un test del

principio di equivalenza ed e gia stato preso in considerazione all’inizio di que-

sto corso. Quindi nel seguito studieremo quali sono le previsioni della teoria

81

82 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

di Einstein per i test n. 2 e 3 e quali sono i relativi risultati sperimentali; per

quanto riguarda il test n.4 si rimanda alla letteratura.

Per risolvere l’equazione di Einstein dobbiamo scegliere una gauge per fis-

sare i quattro gradi di liberta che sono lasciati arbitrari a causa dell’invarianza

per trasformazioni generali di coordinate.Cioe dovremo scegliere una classe di

osservatori e, allo scopo di semplificare l’aspetto matematico conviene scegliere

i riferimenti che presentano il massimo numero di simmetrie.

4.1.1 Spazi simmetrici

Nella scelta del gauge, come abbiamo gia detto nel precedente paragrafo, saremo

guidati dalla necessita di rendere l’equazione di Einstein, compatibilmente con

le richieste fisiche del problema, il piu semplice possibile. Cercheremo cioe

i sistemi di riferimento che presentano il massimo delle simmetrie possibili.

Siamo quindi interessati dalle trasformazioni di coordinate che non cambiano

la forma della metrica, cioe le cosı dette trasformazioni di isometria. In formule

per x→ x′ deve essere

gµν(x′) =∂x′µ

∂xσ∂x′ν

∂xρgσρ(x) (4.1.1)

Una qualunque trasformazione di coordinate puo porsi nella forma

x′µ = xµ + ξµ(x). (4.1.2)

I vettori ξµ, se la trsformazione di coordinate (4.1.2) e un’isometria, sono detti

vettori di Killing. In particolare se uno spazio ha un vettore di Killing allora e

possibile trovare un sistema di coordinate nel quale la metrica non dipende da

una delle coordinate. Il numero di isometrie della metrica gµν e evidentemente

uguale al numero dei vettori di Killing e si puo, in oltre, dimostrare che il numero

massimo di vettori di Killing, per uno spazio ad N dimensioni, e uguale a

nmax =N(N + 1)

2.

Entrando piu nel dettaglio, dalla definizione di isometria (4.1.1) si ha

gµν(x′) =

(

δµσ +∂ξµ

∂xσ

)(

δνρ +∂ξν

∂xρ

)

gσρ(x) (4.1.3)

ovvero

ξσ∂

∂xσgµν(x) =

∂ξµ

∂xσgσν(x) +

∂ξν

∂xσgµσ(x). (4.1.4)

4.1. I TESTS CLASSICI DELLA TEORIA DI EINSTEIN 83

Tenuto conto che ∂∂xσ gµν(x) = −Γµσλg

λν(x) − Γνσλgµλ(x) e saturando con gνλ e

gµκ si ottiene

ξκ;λ + ξλ;κ = 0 (4.1.5)

che e l’equazione di Killing. La presenza di vettori di Killing implica l’esistenza

di quantita conservate associate al moto di una particella libera. Sia xµ = xµ(τ)

l’equazione di una geodetica, Uµ = dxµ

dτun vettore ad essa tangente e ξµ un

vettore di Killing; allora si ha

Uν (ξµUµ);ν = UνUµξµ;ν + ξµU

νUµ;ν = 0. (4.1.6)

Dove il primo termine a secondo membro si annulla per l’equazione di Killing

ed il secondo perche xµ = xµ(τ) e una geodetica. Percio la quantita ξµUµ

e conservata lungo le linee d’universo delle particelle. Cioe l’impulso di una

particella libera e conservato nella direzione di un vettore di Killing e, in quella

direzione, non e soggetta a forze.

Gli spazi col numero massimo possibile di vettori di Killing sono detti spazi

simmetrici massimali e sono quelli che interessano al fine della scelta del gauge.

4.1.2 Metrica standard e metrica isotropa

Da un punto di vista matematico e stata fatta (in particolare per lo spazio-

tempo in 4 dimensioni) una classificazione delle metriche corrispondenti agli

spazi simmetrici massimali. Qui prenderemo in considerazione gli spazi a sim-

metria sferica cioe la classe dei sistemi di riferimento che sono equivalenti a

meno di una rotazione spaziale. Indicando quindi con M4 la varieta dello

spazio-tempo in 4 dimensioni considereremo lo spazio simmetrico definito dal-

la varieta quoziente M4/SO(3). Corrispondentemente si trovano due classi di

equivalenza, modulo una rotazione spaziale, per il tempo proprio i cui elementi

caratteristici sono quello corrispondente alla metrica standard

dτ2 = B(r, t)dt2 −A(r, t)dr2 − r2(

dθ2 + sin2θdφ2)

(4.1.7)

e alla metrica isotropa

dτ2 = H(r, t)dt2 − J(r, t)(

dr2 + r2dθ2 + r2sin2θdφ2)

. (4.1.8)

Come si vede restano due sole funzioni arbitrarie (B ed A per la metrica stan-

dard e H e J per quella isotropa) che verranno determinate risolvendo l’equa-

zione di Einstein. Consideriamo in oltre il caso piu semplice (che vedremo poi

84 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

essere l’unico possibile) di una metrica stazionaria. Cioe consideriamo il caso

in cui, per la metrica standard, le funzioni B ed A sono indipendenti dal tempo

per cui e

dτ2 = B(r)dt2 −A(r)dr2 − r2(

dθ2 + sin2θdφ2)

(4.1.9)

e, analogamente per la metrica isotropa

dτ2 = H(r)dt2 − J(r)(

dr2 + r2dθ2 + r2sin2θdφ2)

. (4.1.10)

Come prima cosa dovremo scrivere il tensore di Einstein Gµν = Rµν − gµν

2 R in

questi sistemi di coordinate. Consideriamo quindi il caso della metrica standard

stazionaria e riscriviamo la (4.1.9) nella forma.

dτ2 = e2a(r)dt2 − e2b(r)dr2 − r2(

dθ2 + sin2θdφ2)

. (4.1.11)

E poiche e anche

dτ2 = −ηαβeαµeβνdxµdxν

avremo

e0 = e0t dt = ea(r)dt,

e1 = e1rdr = eb(r)dr,

e2 = e2θdθ = rdθ,

e3 = e3φdφ = rsinθdφ. (4.1.12)

Dove si sono indicati gli indici relativi allo spazio-tempo con gli stessi simboli

delle coordinate corrispondenti. E, tenuto conto che per lo spazio tangente vale

Eα = Eµα∂∂xµ = ηαβg

µνeβν∂∂xµ , avremo anche

E0 = Et0∂

∂t= e−a(r)

∂t,

E1 = Er1∂

∂r= e−b(r)

∂r,

E2 = Eθ2∂

∂θ=

1

r

∂θ,

E3 = Eφ3∂

∂φ=

1

rsinθ

∂φ. (4.1.13)

In oltre, ricordando che la nostra varieta e a torsione nulla, avremo

deα = −ωαβ ∧ eβ . (4.1.14)

4.1. I TESTS CLASSICI DELLA TEORIA DI EINSTEIN 85

Indicando per brevita con l’apice ′ la derivata rispetto ad r, otteniamo dalle

(4.1.12)

de0 = a′eadr ∧ dt = −a′eadt ∧ dr= −a′e−b(eadt) ∧ (ebdr) = −ω0

1 ∧ e1,de1 = 0,

de2 = dr ∧ dθ =e−b

re1 ∧ e2 = −e

−b

re2 ∧ e1 = −ω2

1 ∧ e1

de3 = sinθdr ∧ dφ+ rcosθdθ ∧ dφ

=e−b

re1 ∧ e3 +

cotgθ

re2 ∧ e3 = −ω3

1 ∧ e1 − ω32 ∧ e2 (4.1.15)

e quindi anche

ω01 = ω1

0 = a′e−be0,

ω21 = −ω1

2 =e−b

re2,

ω31 = −ω1

3 =e−b

re3,

ω32 = −ω2

3 =cotgθ

re3. (4.1.16)

Tutte le altre componenti della connessione di spin ωαβ sono nulle. Siamo

adesso in grado di calcolare la curvatura Rαβ = dωαβ +ωαδ ∧ωδ β. Per le varie

componenti otteniamo:

R01 = dω0

1 = d(

a′e−be0)

=(

a′e−b)′dr ∧ e0 + a′e−bde0

=(

a′e−b)′e−be1 ∧ e0 +

(

a′e−b)2e1 ∧ e0

ovvero

R01 = −e−2b

(

a′2 − a′b′ + a′′)

e0 ∧ e1. (4.1.17)

Analogamente

R02 = ω0

1 ∧ ω12 = −a′ e

−2b

re0 ∧ e2, (4.1.18)

R03 = ω0

1 ∧ ω13 = −a′ e

−2b

re0 ∧ e3, (4.1.19)

R12 = dω1

2 + ω13 ∧ ω3

2

= −(

e−b

r

)′

dr ∧ e2 − e−b

rde2

=b′e−2b

re1 ∧ e2, (4.1.20)

86 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

R13 = dω1

3 + ω12 ∧ ω2

3 =b′e−2b

re1 ∧ e3, (4.1.21)

R23 = dω2

3 + ω21 ∧ ω1

3 =1 − e−2b

r2e2 ∧ e3. (4.1.22)

In oltre si ha

R10 = η11R10 = −R01 = −η00R

01 = R0

1

= e−2b(

a′2 − a′b′ + a′′)

e1 ∧ e0, (4.1.23)

R20 = η22R20 = −R02 = −η00R

02 = R0

2

= a′e−2b

re2 ∧ e0, (4.1.24)

R30 = η33R30 = −R03 = −η00R

03 = R0

3

= a′e−2b

re3 ∧ e0, (4.1.25)

R21 = η22R21 = −R12 = −η11R

12 = −R1

2

=b′e−2b

re2 ∧ e1, (4.1.26)

R31 = η33R31 = −R13 = −η11R

13 = −R1

3

=b′e−2b

re3 ∧ e1, (4.1.27)

R32 = η33R32 = −R23 = −η22R

23 = −R2

3

=1 − e−2b

r2e3 ∧ e2. (4.1.28)

Adesso ricordando che dalla (3.3.61) e

Rαβ =1

2eαρE

σβR

ρσµνdx

µ ∧ dxν ,

si possono ottenere facilmente, dalle relazioni precedenti, le componenti del

tensore di curvatura Rρσµν . Ad esempio avremo

R01 = −e−2b

(

a′2 − a′b′ + a′′)

e0 ∧ e1 = −e−(b−a)(

a′2 − a′b′ + a′′)

dt ∧ dr

=1

2e0tE

r1R

trµνdx

µ ∧ dxν = e−(b−a)Rtrtrdt ∧ dr,

ovvero

Rtrtr = −(

a′2 − a′b′ + a′′)

. (4.1.29)

Con lo stesso metodo si ottiene

Rtθtθ = −ra′e−2b, (4.1.30)

Rtφtφ = −ra′sin2θe−2b, (4.1.31)

Rrθrθ = rb′e−2b, (4.1.32)

4.1. I TESTS CLASSICI DELLA TEORIA DI EINSTEIN 87

Rrφrφ = rb′sin2θe−2b, (4.1.33)

Rθφθφ =(

1 − e−2b)

sin2θ, (4.1.34)

Rrtrt = e−2(b−a)(

a′2 − a′b′ + a′′)

, (4.1.35)

Rθtθt =a′

re−2(b−a), (4.1.36)

Rφtφt =a′

re−2(b−a), (4.1.37)

Rθrθr =b′

r, (4.1.38)

Rφrφr =b′

r, (4.1.39)

Rφθφθ = 1 − e−2b. (4.1.40)

Mentre tutte le altre componenti sono nulle. E utile, per quanto seguira nel

paragrafo successivo, scrivere anche le componenti del tensore di Ricci Rµν , che

sono date da

Rtt = Rrtrt +Rθtθt +Rφtφt

= e−2(b−a)

(

a′2 − a′b′ + a′′ +2a′

r

)

, (4.1.41)

Rrr = Rtrtr +Rθrθr +Rφrφr

= −a′2 + a′b′ − a′′ +2b′

r, (4.1.42)

Rθθ = Rtθtθ +Rrθrθ +Rφθφθ

= −r(

a′ − b′)

e−2b + 1 − e−2b, (4.1.43)

Rφφ = Rtφtφ +Rrφrφ +Rθφθφ

=[

−r(

a′ − b′)

e−2b + 1 − e−2b]

sin2θ. (4.1.44)

e Rµν = 0 se µ 6= ν.

4.1.3 La soluzione esterna di Schwarzschild

Ci poniamo adesso il problema di risolvere l’equazione di Einstein in un sistema

di riferimento dove il campo e a simmetria centrale. Per questo scegliamo il

gauge della metrica standard. In particolare interessa il campo in una regione

esterna alla distribuzione delle masse (che e rappresentata da una sfera con

centro nell’origine). Avendo come riferimento la metrica (4.1.11) le condizioni

al contorno per il nostro problema saranno

limr→∞

a(r) = limr→∞

b(r) = 0. (4.1.45)

88 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

In piu, assumendo il limite newtoniano, si ha l’andamento asintotico

e2a(r) ∼ 1 + 2Φ(r) per r ≫ r0, (4.1.46)

dove r0 e il raggio della distribuzione sferica e, sempre nel caso della sfera,

Φ(r) = −GMr

, con M la massa gravitazionale della sorgente. Prendiamo allora

in considerazione l’equazione di Einstein nella forma (3.4.106), che nella regione

esterna alla distribuzione delle masse diventa semplicemente

Rµν = 0, (4.1.47)

con l’aggiunta delle condizioni al contorno prima specificate. Dal paragrafo

precedente, relativamente alla metrica standard, otteniamo

e2(b−a)Rtt = a′2 − a′b′ + a′′ +2a′

r= 0, (4.1.48)

Rrr = −a′2 + a′b′ − a′′ +2b′

r= 0, (4.1.49)

sin2θRθθ = Rφφ =[

−r(

a′ − b′)

e−2b + 1 − e−2b]

sin2θ = 0.(4.1.50)

Sommando membro a membro (4.1.48) con (4.1.49) si ottiene

a′ + b′

r= 0 → a+ b = cost, (4.1.51)

che, tunuto conto di (4.1.45) impone cost = 0 per cui e

a = −b. (4.1.52)

Sostituendo in (4.1.49) otteniamo

2a′2 + a′′ +2a′

r= 0,

che dividendo per a′ si riscrive

(

2a+ ln a′ + 2ln r)′

= 0.

Integrando in r si trova, dopo semplici passaggi,

a′e2a =K

r2,

4.1. I TESTS CLASSICI DELLA TEORIA DI EINSTEIN 89

dove K e una costante di integrazione. Questa equazione si riscrive come

(

e2a +2K

r

)′

= 0. (4.1.53)

Cioe finalmente si ha

e2a = −2K

r+ C. (4.1.54)

Dalla condizione al contorno per r → ∞ segue C = 1 e dall’andamento

asintotico, dovuto al limite newtoniano, K = GM . Quindi

e2a = 1 − 2GM

r, (4.1.55)

e2b = e−2a =

(

1 − 2GM

r

)−1

(4.1.56)

e la (4.1.50) e risolta identicamente. La soluzione esterna di Schwarzschild, in

termini della metrica standard e quindi

dτ2 =

(

1 − 2GM

r

)

dt2 −(

1 − 2GM

r

)−1

dr2 − r2(

dθ2 + sin2θdφ2)

. (4.1.57)

Osservando la soluzione esterna di Schwarzschild sopra riportata viene sponta-

nea una prima osservazione e cioe la presenza di una singolarita per

r = r = 2GM. (4.1.58)

Questa e la famosa singolarita di Schwarzschild della quale ci occuperemo con

maggior dettaglio piu avanti. Qui possiamo osservare che la soluzione (4.1.57)

riguarda solo la regione esterna alla distribuzione delle masse, nel nostro caso

la sfera di massa gravitazionale M ; quindi il problema si presenta solo se r ≥ r0

dove r0 e il raggio della nostra sfera. Se consideriamo il caso del sole si trova

r⊙ = 2GM⊙ ∼ 2.95 Km. (4.1.59)

che e un valore ben al di sotto del raggio solare! Nessun corpo celeste noto e cosı

compatto da avere una dimensione piu piccola di quella della sfera corrispon-

dente al suo raggio di Schwarzschild; anche se vi sono attualmente indicazioni

per l’esistenza di simili oggetti. Se facciamo lo stesso confronto per un protone

(pensato come una sferetta dei raggio pari alla sua lunghezza d’onda Compton)

si trova r⊙ ∼ 10−50 cm. che e molto minore di un Fermi (1F. = 10−13 cm.).

90 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

Questo tipo di singolarita e pero di tipo particolare. In 4 dimensioni e possibile

scrivere 4 quantita scalari a partire dal tensore di Weyl dato in eq. (3.3.72) e

cioe

CµνλκCµνλκ,ǫλµρσCρσνκCλµνκ√

g,

CλµνκCνκρσC λµ

ρσ ,CλµνκC

νκρσǫ τξρσ C λµ

τξ√g

. (4.1.60)

Nel caso Rµν = 0 gli invarianti (4.1.60) sono tra loro indipendenti e nessuno

e singolare per r = r. Questo fa capire che la singolarita di Schwarzschild e

legata al sistema di riferimento e non e presente per tutti gli osservatori.

Facendo il cambiamento di variabili

r = ρ

(

1 +MG

)2

e sostituendo in (4.1.57) si trova

dτ2 =

(

1 − MG2ρ

)2

(

1 + MG2ρ

)2dt2 −

(

1 +MG

)4(

dρ2 + ρ2dθ2 + ρ2sin2θdφ2)

, (4.1.61)

che rappresenta la soluzione di Schwarzschild in coordinate isotrope; in queste

variabili la singolarita di Schwarzschild e presente e si ha per ρ = MG2 .

Possiamo adesso calcolare l’energia associata al campo isotropo e stazio-

nario descritto dalla metrica standard. Se introduciamo le coordinate quasi-

Minkowskiane definite da

x1 = rsin θcos φ, x2 = rsin θsin φ, x3 = rcos θ (4.1.62)

la (4.1.57) diventa

dτ2 =

(

1 − 2GM

r

)

dt2 −[

(

1 − 2GM

r

)−1

− 1

]

r−2 (~x · d~x)2 − d~x2 (4.1.63)

e ricordando la scomposizione gµν = ηµν + hµν si trova

hij ≡ gij − δij →2MG

rninj +O

(

1

r2

)

con ni ≡xi

r. (4.1.64)

4.1. I TESTS CLASSICI DELLA TEORIA DI EINSTEIN 91

In particolare e∂h

jj

∂xi− ∂hij

∂xj → −4MGr2

ni +O(

1r3

)

. Quindi dalle (3.4.145) si ha

P 0 = − 1

16πG

Sr

[

∂hκκ∂xi

− ∂hij

∂xj

]

nir2dΩ = M (4.1.65)

e

P j = 0. (4.1.66)

Quindi la massa gravitazionale della sorgente coincide con la sua massa inerziale

(come previsto dal principio di equivalenza). In modo analogo si trova che

J ij = 0.

4.1.4 Il teorema di Birkhoff

Siamo adesso in grado di provare il teorema di Birkhoff che afferma che :

Un campo gravitazionale a simmetria sferica, nella regione esterna all’orizzonte

di Schwarzschild∗, e necessariamente stazionario.

Consideriamo quindi una metrica standard non stazionaria; l’unica differenza

con il caso stazionario e nella dipendenza anche da t delle funzioni a e b; per

questo motivo cambia la seconda equazione delle (4.1.15) che diventa

de1 = bebdt ∧ dr = −bebdr ∧ dt = −be−ae1 ∧ e0 = −ω10 ∧ dt. (4.1.67)

Dove col punto sopra la funzione b abbiamo indicato la derivata rispetto a t.

Quindi troviamo, come unica differenza dal caso stazionario,

ω10 = ω0

1 = be−ae1 + a′e−be0. (4.1.68)

Procedendo come nel caso stazionario si rova per il tensore Rµν e quindi per

l’equazione di Einstein

e2(b−a)Rtt = a′2 − a′b′ + a′′ +2a′

r

−e2(b−a)(

b2 − ab+ b)

= 0, (4.1.69)

Rrr = −a′2 + a′b′ − a′′ +2b′

r

+e2(b−a)(

b2 + ab− b)

= 0, (4.1.70)

Rtr = − br

= 0. (4.1.71)

∗Intendiamo per orizzonte di Schwarzschild la sfera di raggio r = 2MG.

92 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

Dalla (4.1.71) segue che b e indipendente da t e quindi le equazioni prece-

denti tornano a coincidere con quelle del caso stazionario; la differenza sta

nella dipendenza da t della funzione a. Procedendo come nel caso stazionario

troviamo

a(r, t) = −b(r) + f(t), (4.1.72)

dove f(t) e una funzione arbitraria di t. dτ2 sara quindi

dτ2 = e2f(t)

(

1 − 2GM

r

)

dt2 −(

1 − 2GM

r

)−1

dr2 − r2(

dθ2 + sin2θdφ2)

.

(4.1.73)

Introducendo la nuova coordinata temporale t′ =∫ tef(t)dt si trova nuovamente

la metrica standard stazionaria data in (4.1.57) e questo prova il teorema.

4.1.5 Espansione di Eddington e Robertson della metrica

E naturale aspettarsi che la metrica prodotta da un corpo stazionario a simme-

tria sferica (tipo una schematizzazione del sole) sia del tipo standard o isotropo

illustrati nei paragrafi precedenti e che i suoi coefficienti (ad esempio B(r) e

A(r) per la forma standard) possano essere espansi in serie di potenze del picco-

lo parametro GMr

. Una simile espansione e stata data, per la metrica in forma

isotropa, da Eddington e Robertson e cioe:

dτ2 =

(

1 − 2αGM

ρ+ 2β

G2M2

ρ2+ ...

)

dt2

−(

1 + 2γGM

ρ+ ...

)

(

dρ2 + ρ2dθ2 + ρ2sin2θdφ2)

. (4.1.74)

Dove α, β e γ sono parametri adimensionati non noti. Ridefinendo la coordinata

radiale tramite la relazione

ρ = r

(

1 − γGM

r

)

(4.1.75)

si ottiene l’espansione di Eddington e Robertson per la metrica in forma stan-

dard

dτ2 =

(

1 − 2αGM

r+ 2 (β − αγ)

G2M2

r2+ ...

)

dt2

−(

1 + 2γGM

r+ ...

)

dr2 − r2(

dθ2 + sin2θdφ2)

. (4.1.76)

La teoria di Einstein si ottiene per i valori dei parametri

α = β = γ = 1. (4.1.77)

4.2. INTEGRALE GENERALE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO 93

Il confronto con i dati sperimentali viene fatto misurando i parametri α, β e

γ di questa espansione della metrica e non confrontandosi direttamente con la

soluzione di Schwarzschild. Il motivo per il quale il coefficiente grr della metrica

e stato espanso solo fino al primo ordine in termini di GMρ

e dovuto al fatto che,

nelle applicazioni di meccanica celeste, questo termine e sempre moltiplicato

per un fattore aggintivo v2 ∼ GMρ

.

4.2 Integrale generale dell’equazione del moto

Consideriamo adesso il moto di una particella (con o senza massa) in caduta

libera in un campo gravitazionale stazionario a simmetria sferica. Consideriamo

quindi la metrica nella generica forma standard con

dτ2 = B(r)dt2 −A(r)dr2 − r2(

dθ2 + sin2θdφ2)

. (4.2.78)

Parametrizzando la linea d’universo della particella con il parametro affine p

(nel caso della particella con massa si puo prendere p = τ) l’equazione del moto

(che e quella della geodetica) e

d2xµ

dp2+ Γµνλ

dxν

dp

dxλ

dp= 0. (4.2.79)

La (4.2.79) scritta in componenti, per le coordinate standard e tenuto conto

che la metrica e diagonale, diventa

d2r

dp2+

1

2grr

∂grr∂r

(

dr

dp

)2

− 1

2grr

∂gθθ∂r

(

dp

)2

−1

2grr

∂gφφ∂r

(

dp

)2

− 1

2grr

∂gtt∂r

(

dt

dp

)2

= 0,

d2θ

dp2+

1

2gθθ

∂gθθ∂r

dr

dp

dp− 1

2gθθ

∂gφφ∂θ

(

dp

)2

= 0,

d2φ

dp2+

1

2gφφ

∂gφφ∂r

dr

dp

dp+

1

2gφφ

∂gφφ∂θ

dp

dp= 0,

d2t

dp2+

1

2gtt∂gtt∂r

dr

dp

dt

dp= 0.

Ma e anche

gtt = −B(r), grr = A(r), gθθ = r2, gφφ = r2sin2θ,

gtt = −B−1(r), grr = A−1(r), gθθ = r−2, gφφ = r−2sin−2θ. (4.2.80)

94 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

per cui seguono le equazioni

d2r

dp2+A′(r)

2A(r)

(

dr

dp

)2

− r

A(r)

(

dp

)2

−rsin2θ

A(r)

(

dp

)2

+B′(r)

2A(r)

(

dt

dp

)2

= 0, (4.2.81)

d2θ

dp2+

2

r

dr

dp

dp− sinθcosθ

(

dp

)2

= 0, (4.2.82)

d2φ

dp2+

2

r

dr

dp

dp+ 2cotgθ

dp

dp= 0, (4.2.83)

d2t

dp2+B′(r)

B(r)

dr

dp

dt

dp= 0. (4.2.84)

Dove, come al solito, l’apice ′ indica la derivata rispetto ad r. Poiche il campo

e isotropo, si puo sempre considerare la traiettoria della particella sul piano

equatoriale; cioe

θ =π

2. (4.2.85)

Tenuto conto di questa soluzione le equazioni precedenti diventano

d2r

dp2+A′(r)

2A(r)

(

dr

dp

)2

− r

A(r)

(

dp

)2

+B′(r)

2A(r)

(

dt

dp

)2

= 0, (4.2.86)

d2φ

dp2+

2

r

dr

dp

dp= 0, (4.2.87)

d2t

dp2+B′(r)

B(r)

dr

dp

dt

dp= 0. (4.2.88)

Dividendo (4.2.87) per dφdp

e (4.2.88) per dtdp

si ottengono le due equazioni

d

dp

(

lndφ

dp+ lnr2

)

= 0, (4.2.89)

d

dp

(

lndt

dp+ lnB(r)

)

= 0, (4.2.90)

che danno le due costanti del moto

ln

(

dpr2)

= lnJ → r2dφ

dp= J, (4.2.91)

e

ln

(

dt

dpB(r)

)

= cost→ dt

dp=ecost

B(r). (4.2.92)

4.2. INTEGRALE GENERALE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO 95

La costante in (4.2.92) puo essere riassorbita da una ridefinizione del parametro

affine p. Posto p→ pecost si ottiene

dt

dp=

1

B(r). (4.2.93)

La costante J definita in (4.2.91) ha il significato di momento angolare per unita

di massa. Inserendo adesso (4.2.93) e (4.2.91) in (4.2.86) si ha

d2r

dp2+A′(r)

2A(r)

(

dr

dp

)2

− J2

r3A(r)+

B′(r)

2A(r)B2(r)= 0. (4.2.94)

Moltiplicando quest’ultima equazione per 2A(r)drdp

otteniamo

2A(r)d2r

dp2

dr

dp+A′(r)

(

dr

dp

)3

− 2J2

r3dr

dp+B′(r)

B2(r)

dr

dp= 0

ovvero

d

dp

[

A(r)

(

dr

dp

)2

+J2

r2− 1

B(r)

]

= 0, (4.2.95)

che fornisce l’altra costante del moto

A(r)

(

dr

dp

)2

+J2

r2− 1

B(r)= −E. (4.2.96)

Sostituendo adesso in (4.2.78) le (4.2.96), (4.2.93), (4.2.91) e (4.2.85) si trova

una relazione tra τ e il parametro affine p e cioe

dτ2 = Edp2 (4.2.97)

e questo e in accordo con la richiesta che il rapporto dτdp

sia costante. In

particolare si ha

E > 0 per le particelle materiali, (4.2.98)

E = 0 per i fotoni. (4.2.99)

Un’altra condizione per le costanti del moto segue dal fatto che il coefficiente

A(r) e sempre positivo. Infatti dalla (4.2.96) si ha

A(r)

(

dr

dp

)2

= −J2

r2−E +

1

B(r)≥ 0,

96 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

e cioeJ2

r2+ E ≤ 1

B(r). (4.2.100)

Adesso possiamo eliminare il parametro affine p e scrivere le equazioni pre-

cedenti in termini di variabili direttamente legate alle coordinate. Un modo

naturale e quello di descrivere l’evoluzione del sistema fisico in esame tramite

il tempo. Riscriviamo allora la (4.2.91) nella forma

r2dφ

dt

dt

dp= J,

che, tenuto conto della (4.2.93) diventa

r2dφ

dt= JB(r) (4.2.101)

e, analogamente per (4.2.96) e (4.2.97)

A(r)

B2(r)

(

dr

dt

)2

+J2

r2− 1

B(r)= −E, (4.2.102)

dτ2 = EB2(r)dt2. (4.2.103)

Nel caso particolare di una particella che si muove lentamente in un campo

debole(

drdt

)2, A(r) − 1 e B(r) − 1 ∼ 2Φ sono tutte quantita piccole; quindi, al

primo ordine in tali quantita, avremo

r2dφ

dt∼ J, (4.2.104)

1

2

(

dr

dt

)2

+J2

2r2+ Φ ∼ 1 − E

2(4.2.105)

che sono le stesse equazioni che valgono nella teoria di Newton con 1−E2 energia

per unita di massa.

Un caso particolarmente semplice per le equazioni del moto esatte e quello

dell’orbita circolare di raggio R. In questo caso si ha drdt

= 0 e quindi l’equazione

(4.2.102) diventa

J2

R2− 1

B(R)= −E, (4.2.106)

in oltre la stabilita dell’orbita richiede che la derivata rispetto ad R del primo

membro dell’equazione precedente sia nulla a quel valore del raggio (tale raggio

corrisponde ad un minimo dell’energia) e cioe

−2J2

R3+B′(R)

B2(R)= 0,

4.2. INTEGRALE GENERALE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO 97

da cui segue

J2 =R3B′(R)

2B2(R)(4.2.107)

che sostituita in (4.2.106) fornisce il valore dell’altra costante del moto

E =1

B(R)

(

1 − RB′(R)

2B(R)

)

(4.2.108)

Sostituendo (4.2.107) in (4.2.101) si ottiene la velocita angolare di rivoluzione

dt=

B′(R)

2R,

mentre sostituendo (4.2.108) in (4.2.103) si ha

dt=

B(R) − 1

2RB′(R) ,

che in termini della metrica di Eddington e Robertson diventano

dt=

GM

R3

[

1 − (β − γ)GM

R+ ...

]

,

dt=

[

1 − 3GM

R+ ...

]

.

Nel caso delle orbite piane (che studieremo) e utile parametrizzare l’orbita in

termini della funzione r = r(φ). A questo scopo dalla (4.2.91) otteniamo

dp =r2

Jdφ (4.2.109)

che sostituita in (4.2.96) da

A(r)

r4

(

dr

)2

+1

r2− 1

J2B(r)= − E

J2. (4.2.110)

La soluzione puo determinarsi col metodo delle quadrature che da

φ = ±∫

A1

2 (r)dr

r2(

1J2B(r) −

EJ2 − 1

r2

)1

2

. (4.2.111)

98 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

4.2.1 Deflessione della luce da parte del sole

Consideriamo un fotone che si avvicina al sole da una distanza molto grande

e successivamente si allontana da esso fino all’infinito. A grande distanza la

metrica diventa quella di Minkowski e B(∞) = A(∞) = 1; quindi, a grande

distanza, i parametri r, θ e φ possono essere identificati con quelli omonimi delle

cordinate polari con centro nell’origine del sole. Trattandosi di un fotone, per

quanto abbiamo gia detto sara E = 0. Per quanto riguarda l’altra costante del

moto, cioe J , converra scriverla in termini di parametri legati alla geometria del

sole. Riferendosi alla figura 4.1 per il valore del parametro r = r0 corrispondente

alla distanza minima dal sole drdφ

si annulla. Avremo quindi dalla (4.2.110) con

E = 0.

Figura 4.1: Deflessione della luce da parte del sole.

1

r20− 1

J2B(r0)= 0,→ J2 =

r20B(r0)

(4.2.112)

che sostituendo ancora in (4.2.110) porta a

dr

dφ=

r

A1

2 (r)

r2

r20

B(r0)

B(r)− 1. (4.2.113)

Finalmente, per separazione delle variabili, si arriva a

φ(r) = φ∞ +

∫ ∞

r

A1

2 (r′)√

r′2

r20

B(r0)B(r′) − 1

dr′

r′. (4.2.114)

Dall’espansione di Eddington e robertson si ha, al primo ordine in GMr

,

A(r) = 1 + 2γGM

r+ ...

B(r) = 1 − 2GM

r+ ...

4.2. INTEGRALE GENERALE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO 99

Dove, assumendo il principio di equivalenza, si e posto α = 1. Con un po di

algebra si puo scrivere

r′2

r20

B(r0)

B(r′)− 1 =

(

r′

r0

)2 [

1 + 2GM

(

1

r′− 1

r0

)

+ ...

]

− 1

=

[

(

r′

r0

)2

− 1

]

[

1 − 2GMr′

r0(r′ + r0)+ ...

]

.

e infine

φ(r) − φ∞ =

∫ ∞

r

dr′

r′

(

r′

r0

)2− 1

[

1 + γGM

r′+

2GMr′

r0(r′ + r0)+ ...

]

= sin−1(r0r

)

+GM

r0

(

1 + γ − γ

1 −(r0r

)2−√

r − r0r + r0

+ ...

)

.

Come si vede da figura 4.1 l’angolo di deflessione e dato da ∆φ = 2 |φ(r0) − φ∞|−π, quindi

∆φ =4GM

r0

(

1 + γ

2

)

. (4.2.115)

Per quanto riguarda i parametri solari si ha M = M⊙ = 1.97 × 1033gr, da

cui, nelle nostre unita, GM⊙ = 1.475Km e il valore minimo possibile di r0 e

r0 = R⊙ = 6.95 × 105Km. Quindi

∆φ =

(

R⊙

r0

)

θ⊙, con θ⊙ =4GM⊙

R⊙

(

1 + γ

2

)

= 1.75′′(

1 + γ

2

)

(4.2.116)

θ⊙ e una costante caratterisca del sole e rappresenta la deflessione massima

della luce, teoricamente possibile, da parte del sole e che per la teoria di Einstein

(γ = 1) vale θ⊙ = 1.75′′ di grado.

La prima osservazione allo scopo di misurare questo effetto risale al 29

Maggio del 1919. L’esperimento osservativo consisteva nel misurare, durante

una eclissi totale di sole, la posizione di alcune stelle che si trovavano in una

direzione che risultava coperta dal disco solare (e che quindi, se la luce non fosse

stata deflessa, sarebbero risultate invisibili). La stessa misura e stata ripetuta

in occasione di altri eclissi totali di sole. Nella tabella qui sotto (ripresa dal

catalogo di Von Kluber) sono riportati i dati di alcune di queste misure con la

localita e la data che le riguarda.

100 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

Eclisse localita numero di stelle r0R⊙

θ⊙ (sec.)

29 maggio 1919 Sobral 7 2÷6 1.98 ± 0.16Principe 5 2÷6 1.61 ± 0.40

21 settembre 1922 Australia 11÷14 2÷10 1.77 ± 0.40Australia 18 2÷10 1.42÷2.16Australia 62÷85 2.1÷14.5 1.72 ± 0.15Australia 145 2.1÷42 1.82 ± 0.20

9 maggio 1929 Sumatra 17÷18 1.5÷7.5 2.24 ± 0.10

19 giugno 1936 U.S.S.R. 16÷29 2÷7.2 2.73 ± 0.31Japan 8 4÷7 1.28÷2.13

20 maggio 1947 Brasile 51 3.3÷10.2 2.01 ± 0.27

25 febbraio 1952 Sudan 9÷11 2.1÷8.6 1.70 ± 0.10

Come si vede dalla tabella, la maggioranza dei dati conferma, entro gli errori,

la previsione della teoria di Einstein, ma questo tipo di misure presenta un gran

numero di difficolta ed e affetto da errori sistematici difficilmente stimabili. La

prima osservazione e che il valore di r0 non puo scendere al di sotto di 2R⊙

a causa dell’alone luminoso che appare intorno al disco lunare e che il tempo

a disposizione per la misura e molto breve (pochi minuti). L’altro aspetto

negativo segue dalla necessita di fare la misura in due tempi successivi ad

una distanza di circa sei mesi l’una dall’altra, con condizioni atmosferiche tra

loro generalmente molto differenti, e con la difficolta di stimare le variazioni

avvenute negli strumenti di misura, sia per il tempo trascorso che per il loro

trasporto nel luogo dell’eclisse che puo essere una zona impervia o desertica

(come e accaduto in alcuni dei casi riportati nella tabella).

Dagli anni ’70 in poi gli sviluppi della radio-astronomia hanno permesso

un diverso approccio al problema. La tecnica e quella di costruire dei radio-

interferometri usando radiotelescopi di due o piu osservatori diversi distanti tra

loro. Si ascolta il segnale di radiosorgenti che vengono periodicamente oscu-

rate dal sole; la sorgente piu usata e una sorgente extragalattica (la 3C279)

che emette in banda X (8000÷12500 MHz) e che viene oscurata dal sole nel

mese di ottobre. I vantaggi di questa tecnica rispetto alle osservazioni ottiche

illustrate prima sono evidenti. Le osservazioni sono fatte da luoghi fissi e con

tempi sufficientemente lunghi (il segnale della sorgente e ben distinguibile dal

rumore radio della corona solare e non si deve aspettare una eclisse totale di

sole!). In oltre, per le osservazioni ottiche, l’inomogeneita dell’atmosfera ter-

restre pone un limite inferiore sulla determinazione della direzione della luce

di circa 0.1′′ di grado mentre, per un radio-interferometro, (ad esempio a due

antenne) tale limite e pari a λ2πD , dove λ e la lunghezza d’onda del segnale e

D e la distanza tra le due antenne. La prima misura fatta con questa tecnica

4.2. INTEGRALE GENERALE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO 101

e dovuta a Counselman e collaboratori (1972) che hanno usato un radiotele-

scospio dell’osservatorio di Green Bank (West Virginia) ed uno dell’ Haystack

Observatory (Massachusetts) con D = 845Km; oltre alla sorgente 3C279 hanno

ascoltato (per tests di confronto) anche la 3C273 (pure extragalattica). Questi

autori avevano una indeterminazione direzionale di 0.01′′ di grado; il numero

di bits per campionare la frequenza e stato almeno 1012. Il valore misurato del

parametro γ e stato

γ = 0.98 ± 0.06

Nel 1975 Fomalont e Sramek hanno fatto lo stesso tipo di misura usando quat-

tro antenne (connesse elettricamente) ad una distanza media una dall’altra di

35Km. La sorgente ascoltata era sempre la 3C279 e hanno trovato per γ

γ = 1.01 ± 0.02.

Va infine osservato che il fenomeno della deflessione della luce e stato confermato

dalle numerose osservazioni di effetto di lente gravitazionale sulle immagini di

oggetti lontani quali le quasars.

Prima di chiudere questo paragrafo osserviamo che abbiamo preso per i

valori di r0 e R⊙ la distanza minima dal centro del sole, alla quale passa il

raggio di luce, e il raggio del sole stesso; abbiamo anche visto che la coordinata

standard r coincide con la coordinata polare omonima, ma le distanze misurate

dall’osservatore, lungo le direzioni radiali, non coincidono con il valore della

coordinata r. In particolare se indichiamo con r0 − R⊙ la distanza, misurata

dall’osservatore, tra il punto di minima distanza e la superficie solare avremo

r0 − R⊙ =

∫ r0

R⊙

A(r)

B(r)dr ∼ r0 −R⊙ + (1 + γ)GM⊙ln

r0R⊙

,

ovveror0 −R⊙

r0 − R⊙= 1 − (1 + γ)GM⊙

r0 − R⊙ln

[

r0R⊙

+O

(

GM⊙

R⊙

)]

che, per i parametri solari e per r0 ∼ 2R⊙ da

r0 −R⊙

r0 − R⊙∼ 1 − 10−6.

Cioe confondere r0 −R⊙ con r0 − R⊙ comporta, in questa situazione, un errore

dell’ordine di una parte su un milione. Sul rapporto R⊙

r0si compie un errore dello

stesso ordine mentre θ⊙ non presenta problemi perche e un angolo tra direzioni

asintotiche. E quindi evidente che gli errori sperimentali non permettono di

apprezzare la differenza di cui sopra.

102 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

4.2.2 Precessione del perielio delle orbite dei pianeti interni

Consideriamo adesso una particella massiva che percorre un’orbita chiusa in

un campo a simmetria centrale. Questo sistema vuol schematizzare il moto di

un pianeta intorno al sole. Considerando coordinate standard, riferendosi alla

figura 4.2, osserviamo che drdφ

si annulla in entrambi i punti di coordinate r+

(afelio) e r− (perielio).

Figura 4.2: Parametri dell’orbita di pianeta interno.

Quindi dalla (4.2.110) otteniamo le due equazioni

1

r2+− 1

J2

1

B(r+)= − E

J2, (4.2.117)

1

r2−− 1

J2

1

B(r−)= − E

J2. (4.2.118)

e da queste otteniamo i valori delle due costanti del moto, e cioe

E2 =

r2+B(r+) −

r2−B(r−)

r2+ − r2−, (4.2.119)

J2 =

1B(r+) − 1

B(r−)

1r2+

− 1r2−

. (4.2.120)

Dall’integrale generale (4.2.111) si ha

φ(r) = φ(r−) +

∫ r

r−

A1

2 (r′)√

1J2B(r′)

− EJ2 − 1

r′2

dr′

r′2. (4.2.121)

4.2. INTEGRALE GENERALE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO 103

Sostituendovi i valori trovati delle costanti del moto si trova

φ(r) − φ(r−) =

∫ r

r−

A1

2 (r′)dr′

r′2√

r2−(B−1(r′)−B−1(r−))−r2+

(B−1(r′)−B−1(r+))

r2+r2−(B−1(r+)−B−1(r−))

− 1r′2

. (4.2.122)

Osserviamo che la quantita della quale decresce φ(r) da r+ a r− e uguale alla

quantita della quale cresce da r− a r+, per cui il cambiamento di φ in una

rivoluzione e pari a

δφ = 2 |φ(r+) − φ(r−)| . (4.2.123)

Questa quantita vale 2π se l’orbita e una ellisse chiusa altrimenti avremo, per

ogni orbita, una precessione pari a

∆φ = 2 |φ(r+) − φ(r−)| − 2π . (4.2.124)

Tornando adesso a riconsiderare l’espansione di Eddington e Robertson della

metrica

A(r) = 1 + 2γGM

r+ ...,

B(r) = 1 − 2GM

r+ 2(β − γ)

G2M2

r2+ ...

si ha

B−1(r) ∼ 1 + 2GM

r+ 2(2 − β + γ)

G2M2

r2+ ... (4.2.125)

da cui seguono

r2−(

B−1(r′) −B−1(r−))

− r2+(

B−1(r′) −B−1(r+))

= 2GM

[

r2−

(

1

r′− 1

r−

)

− r2+

(

1

r′− 1

r+

)]

+2(2 − β + γ)G2M2

[

r2−

(

1

r′2− 1

r2−

)

− r2+

(

1

r′2− 1

r2+

)]

e

r2+r2−

(

B−1(r+) −B−1(r−))

= r2+r2−

[

2GM

(

1

r′− 1

r−

)

+ 2(2 − β + γ)G2M2

(

1

r2+− 1

r2−

)]

.

Quindi, al primo ordine in GMr

, si ottiene

r2−(

B−1(r′) −B−1(r−))

− r2+(

B−1(r′) −B−1(r+))

r2+r2− (B−1(r+) −B−1(r−))

− 1

r′2

=

(

1r2−

− 1r′

)(

1r′− 1

r2+

)

1 + (2 − β + γ)GM(

1r+

+ 1r−

)

104 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

∼[

1 − (2 − β + γ)GM

(

1

r++

1

r−

)](

1

r2−− 1

r′

)(

1

r′− 1

r2+

)

. (4.2.126)

Sostituendo in (4.2.122) finalmente si ottiene

φ(r)−φ(r−) =

[

1 +(2 − β + γ)

2GM

(

1

r++

1

r−

)]∫ r

r−

(

1 + γGMr′

)

dr′

r′2√

(

1r−

− 1r′

)(

1r′− 1

r+

)

.

(4.2.127)

Conviene introdurre la nuova variabile ψ ponendo

1

r′=

1

2

(

1

r++

1

r−

)

+1

2

(

1

r+− 1

r−

)

sinψ. (4.2.128)

Otteniamo cosı i valori al contorno in termini della nuova variabile

r′ = r− sinψ = −1 ψ = −π2

r′ = r+ sinψ = 1 ψ = π2

Con questo cambiamento di variabile la (4.2.127) diventa

φ(r) − φ(r−) =

[

1 +(2 − β + γ)

2GM

(

1

r++

1

r−

)]

∫ ψ

−π2

[

1 + γGM

2

((

1

r++

1

r−

)

+

(

1

r+− 1

r−

)

sinψ

)]

dψ ,(4.2.129)

che, al primo ordine in GMr

e

φ(r) − φ(r−) ∼[

1 +(2 − β + γ)

2GM

(

1

r++

1

r−

)]

(

ψ +π

2

)

−γGM2

(

1

r+− 1

r−

)

cosψ . (4.2.130)

Poiche e ψ(r+) = π2 si ottiene

∆φ = 2 |φ(r+) − φ(r−)| − 2π = π(2 − β + 2γ)GM

(

1

r++

1

r−

)

. (4.2.131)

E conveniente introdurre il parametro astronomico semilunare retto L, definito

da1

L=

1

2

(

1

r++

1

r−

)

. (4.2.132)

Finalmente si ottiene

∆φ =6πGM

L

2 − β + 2γ

3

radianti

rivoluzione. (4.2.133)

4.2. INTEGRALE GENERALE DELL’EQUAZIONE DEL MOTO 105

E utile legare il semilunare retto ad un parametro caratteristico dell’orbita come

l’eccentricita e. Poiche e

r± = (1 ± e) a , (4.2.134)

dove a e il semiasse maggiore dell’ellisse, si ha

L =(

1 − e2)

a. (4.2.135)

Quindi il semilunare retto e tanto piu piccolo quanto piu l’orbita e eccentrica

(0 < e < 1) e, di conseguenza, la precessione dell’orbita crescera al crescere

dell’eccentricita.

A questo punto dobbiamo interpretare il significato delle formule precedenti;

infatti queste sono espresse in termini delle coordinate standard e la particella

si muove in una regione dove il campo gavitazionale non e trascurabile e quindi

non sembra possibile identificare le coordinate standard r, φ, con le coordinate

polari con origine nel centro del sole. Osserviamo pero che dopo un numero

finito N di rivoluzioni il perielio (e l’afelio) dell’orbita tornera ad occupare la

posizione di partenza e questo sara vero per qualunque osservatore. In altri ter-

mini indicando con ∆φ la precessione, dopo un’orbita, del generico osservatore

con coordinate polari e con ∆φ la stessa precessione per l’osservatore standard,

sara

N∆φ = N∆φ = 2π → ∆φ = ∆φ. (4.2.136)

Quindi possiamo ancora identificare le coordinate standard r e φ con le coor-

dinate polari omologhe (per la misura delle distanze vale quanto detto alla fine

del paragrafo precedente).

Per quanto riguarda i pianeti interni del nostro sistema solare Mercurio e

quello con semilunare retto minore (sia a causa dell’eccentricita dell’orbita che

per la maggiore vicinanza al sole) con L = 55.3 × 106Km. Essendo GM⊙ =

1.475Km si ha per mercurio ∆φ = 0.1038′′ per rivoluzione. Ora Mercurio, in

un secolo terrestre, compie 415 rivoluzioni e quindi la previsione della relativita

generale per Mercurio e

∆φ = 43.03′′, per secolo (o+) (4.2.137)

Fortunatamente esistono dati di osservazioni accurate di Mercurio fino dal 1765.

Clemence nel 1943 ha rianalizzato questi dati e ha trovato ∆φ = 43.11 ± 0.45′′

per secolo che e in ottimo accordo con quanto previsto dalla teoria e corrisponde

106 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

al sottoriportato valore dei parametri di Eddington e Robertson

2 − β + 2γ

3= 1.00 ± 0.01. (4.2.138)

Nella tabella qui sotto sono riportati i confronti tra la precessione del perielio

prevista dalla teoria e quella osservata per le orbite di Mercurio, di Venere,

della terra e di Icarus

Pianeta a (106 Km) e 6πMGL

rivoluzionisecolo

∆φ secondisecolo

Teorico osservato

Mercurio 57.91 0.2056 0.1038′′ 415 43.03 43.11 ± 0.45

Venere 108.21 0.0068 0.058′′ 149 8.6 8.4 ± 4.8

Terra 149.60 0.0167 0.038′′ 100 3.8 5.0 ± 1.2

Icarus 161.0 0.827 0.115′′ 89 10.3 9.8 ± 0.8

Come si vede i dati sperimentali peggiorano via, via che ci si allontana dal Sole e

per le orbite meno ellittiche. Per quanto riguarda Icarus vi e anche una minore

statistica, poiche questo asteroide e stato scoperto solo nel 1949. Oggi sarebbe

possibile fare osservazioni su un satellite artificiale in orbita attorno al sole, per

il quale vi sarebbe il vattaggio di stabilire ad hoc i parametri dell’orbita; con

un semilunare retto L = 10R⊙ la precessione secolare del perielio sarebbe pari

a 8250′′; pero un oggetto di massa necessariemente piccola, quale quella di un

satellite, sarebbe sensibile a numerose perturbazioni che porterebbero variazioni

non valutabili della sua orbita.

Osserviamo che il test della precessione del perielio e di fondamentale im-

portanza per la verifica della teoria di Einstein perche e l’unico che permette

una stima del parametro β che e legato a termini del secondo ordine nell’espan-

sione di Eddington e Robertson della metrica; purtroppo l’ottimo risultato di

Clemence sulla precessione dell’orbita di Mercurio va preso con cautela. Infatti

per la teoria di Newton, a causa della perturbazione degli altri pianeti e del

fatto che un sistema di riferimento solidale col Sole si muove rispetto alle stelle

fisse, il perielio dell’orbita di Mercurio dovrebbe avere una precessione secolare

pari a

∆φN = 5557.62 ± 0.20′′ (o+), (4.2.139)

dei quali 5025′′ dovuti al sistema di riferimento e 532′′ alla perturbazione

gravitazionale prodotta dagli altri pianeti, mentre la precessione osservata e

∆φobs = 5600.73 ± 0.41′′ (o+) (4.2.140)

4.3. LA SOLUZIONE DI SCHWARZSCHILD E I BLACK HOLES 107

e il risultato di Clemence e dato dalla differenza ∆φ = ∆φobs −∆φN . E chiaro

che, in questa situazione, un piccolo errore sistematico invaliderebbe completa-

mente il risultato di Clemence e potrebbe rendere possibile la spiegazione della

precessione del perielio di Mercurio, ad esempio, con la sola teoria di Newton.

Va pero anche notato, che sempre a causa di errori sistematici non stimati

(come la presenza di un momento di quadrupolo mal valutato del campo gra-

vitazionale del sole), il dato di Clemence riportato nella tabella potrebbe avere

un errore ben maggiore dei ±0.45′′ stimati.

4.3 La soluzione di Schwarzschild e i black holes

In questo paragrafo cercheremo di capire, piu nel dettaglio, il significato e le

conseguenze della singolarita a r = 2GM presente nella metrica della soluzione

di Schwarzschild (4.1.57).

Supponiamo che esista un sistema collassato rappresentato da una stella

con raggio R < 2GM . Vi siano poi due osservatori, uno in quiete rispetto alla

stella e ad una distanza da questa (dal suo centro) r2 ≫ 2GM e l’altro, su una

astronave, ad una distanza r1 > 2GM , che si muove verso il centro della stella

stessa. l’osservatore sull’astronave misura il tempo con un orologio atomico (ad

esempio al cesio); sia ∆t l’intervallo di tempo tra due fronti d’onda succassivi,

a questo corrispondera un intervallo di tempo proprio

∆τ1 =

(

1 − 2GM

r1

)1

2

∆t. (4.3.141)

Il segnale dell’orologio arriva poi al secondo osservatore e, come abbiamo visto

nella parte iniziale di queste note, l’intervallo di tempo tra due fronti d’onda

non cambia lungo tutta la geodetica che congiunge i punti di coordinate r1 e

r2; di conseguenza sara

∆τ1 =

(

1 − 2GM

r1

)1

2

∆t =

(

1 − 2GMr1

1 − 2GMr2

) 1

2

∆τ2.

Dove ∆τ2 e l’intervallo di tempo proprio tra i due fronti d’onda in r2. Ovvero

∆τ2∆τ1

=

(

1 − 2GMr2

1 − 2GMr1

) 1

2

. (4.3.142)

Come si vede, all’avvicinarsi dell’astronave al raggio di Schwarzschild r1 →2GM , l’intervallo di tempo proprio ∆τ2 cresce indefinitamente rispetto a ∆τ1.

108 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

Cioe, ad ogni intervallo finito ∆τ1 per l’osservatore sull’astronave corrispondo-

no, per l’osservatore in r2, intervalli ∆τ2, via, via crescenti con l’avvicinarsi

dell’astronave a r = 2GM . Possiamo cercare di capire questo fenomeno da un

altro punto di vista, cioe in termini della geometria locale dello spazio-tempo

ovvero del cono di luce degli eventi. Per un raggio di luce che si propaga in

direzione radiale avremo

dτ2 = 0 =

(

1 − 2GM

r

)

dt2 −(

1 − 2GM

r

)−1

dr2 (4.3.143)

da cui segue

dt

dr= ±

(

1 − 2GM

r

)−1

(4.3.144)

Da questa equazione si ottiene l’apertura del cono di luce in un diagramma

spazio-tempo del piano t− r. Per r grande questa apertura corrisponde a una

slope di ±1, mentre per r → 2GM si ha dtdr

→ ±∞, cioe il cono di luce si stringe,

fino a diventare degenere e questo spiega il dilatarsi dell’intervallo ∆τ2. In ogni

caso il rallentare del moto dell’astronave all’avvicinarsi al raggio di Schwarz-

schild e un fenomeno legato al sistema di riferimento, possiamo quindi chiederci

se esiste un osservatore per il quale la singolarita a r = 2MG non e presente.

Per una migliore comprensione conviene procedere per gradi. Cominciamo ad

integrare la (4.3.144) ottenendo

t = ±r∗ + cost

dove

r∗ = r + 2GM ln( r

2GM− 1)

. (4.3.145)

In termini della coordinata r∗ la soluzione di Schwarzschild diventa adesso

dτ2 =

(

1 − 2GM

r(r∗)

)

(

dt2 − dr∗2)

− r2(r∗)dΩ2. (4.3.146)

In questo modo abbiamo fatto un qualche progresso; infatti il cono di luce non

si stringe piu quando r → 2GM , ma abbiamo spostato la singolarita all’∞(per r → 2GM , si ha r∗ → ∞). Possiamo pero definire delle nuove coordinate

che si adattano in modo naturale alla geodetica nulla e cioe le coordinate di

Eddington-Finkelstein

u = t+ r∗,

v = t− r∗. (4.3.147)

4.3. LA SOLUZIONE DI SCHWARZSCHILD E I BLACK HOLES 109

Cominciamo riscrivendo il tempo proprio in termini della variabile u in luogo

di r∗ ottenendo

dτ2 =

(

1 − 2GM

r(u)

)

du2 − (dudr(u) + dr(u)du) − r2(u)dΩ2. (4.3.148)

Come si vede il coefficiente guu della metrica si annulla per r = 2GM , ma la

metrica non e degenere, infatti

g = −det gµν = −r4(u)sin2 θ. (4.3.149)

4.3.1 L’orizzonte degli eventi

Consideriamo adesso la metrica in (4.3.148) e scriviamo la geodetica nulla per

fotoni che si propagano radialmente, avremo

du

dr=

0, fotone entrante

2(

1 − 2GMr

)−1fotone uscente.

(4.3.150)

Per r > 2GM non vi e nessun problema per il fotone entrante per il quale e

u = cost, mentre, per il fotone uscente si ha 2GM < r < ∞ → −∞ < u < ∞.

Mentre per R < r < 2GM (dove R e il raggio della stella); al solito non si

hanno problemi per il fotone che cade verso la stella, mentre per il fotone che

si allontana si ha

u = 2r + 4GM ln(

1 − r

2GM

)

+ cost (4.3.151)

che per r → 2GM comporta u → −∞ ovvero t → ∞ (per un fotone che si

allontana in queste variabili il tempo e t ≡ −u). Quindi r = 2GM rappresenta

una orizzonte l’orizzonte degli eventi e un fotone non puo uscire dalla regione

r < 2GM . In oltre le due regioni r > 2GM e r < 2GM sono tra loro com-

pletamente distinte e i parametri r e u possono essere usati per descrivere solo

una delle due regioni. La regione dei punti con r < 2GM e quella che viene

chiamata un buco nero (black holes). Possiamo chiederci se esiste una scelta

di coordinate buona per entrambe le regioni (sia interna che esterna all’oriz-

zonte degli eventi). Cominciamo a scrivere il tempo proprio in termini delle

coordinate di Eddington-Finkelstein ottenendo

dτ2 = −1

2

(

1 − 2GM

r(u, v)

)

(dudv + dvdu) − r2 (u, v) dΩ2 (4.3.152)

110 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

dove r e definita in modo implicito in termini di u e v, come

1

2(u− v) = r + 2GM ln

( r

2GM− 1)

. (4.3.153)

In questo modo abbiamo riintrodotto la degenerazione dalla quale eravamo

partiti,infatti con questa scelta di coordinate r = 2GM e infinitamente lontano

(u = −∞ oppure v = +∞). Per superare questo punto una scelta conveniente

e:

u′ = eu

4GM ,

v′ = e−v

4GM , (4.3.154)

che,in termini delle coordinate originali r e t sono

u′ =( r

2GM− 1)

1

2

er+t4GM ,

v′ =( r

2GM− 1)

1

2

er−t4GM . (4.3.155)

La metrica di Schwarzschild e adesso

dτ2 =16G3M3

re−

r2GM

(

du′dv′ + dv′du′)

− r2dΩ2 (4.3.156)

e, come si vede, a r = 2GM nessuno dei coefficienti della metrica e singola-

re. Possiamo fare ancora un passo in avanti e sceglire una combinazione delle

coordinate u′ e v′ corrispondente ad una coordinata timelike e tre coordinate

spacelike e cioe le coordinate di Kruskal (o Kruskal-Szekres) definite da

u =1

2(u′ − v′) =

( r

2GM− 1)

1

2

er

4GM cosh

(

t

4GM

)

,

v =1

2(u′ + v′) =

( r

2GM− 1)

1

2

er

4GM sinh

(

t

4GM

)

. (4.3.157)

Rispetto a queste coordinate la metrica diventa

dτ2 =16G3M3

re−

r2GM

(

dv2 − du2)

− r2dΩ2. (4.3.158)

Dove r e definito implicitamente da

(

u2 − v2)

=( r

2GM− 1)

er

2GM (4.3.159)

4.3. LA SOLUZIONE DI SCHWARZSCHILD E I BLACK HOLES 111

e t dal rapportov

u= tanh

(

t

4GM

)

(4.3.160)

Le coordinate di Kruskal godono di un insieme di notevoli proprieta. Come per

le coordinate r∗ e t i generatori del cono di luce appaiono come quelli ci uno

spazio-tempo piatto cioe

v = ±u+ cost, (4.3.161)

in oltre l’orizzonte degli eventi (r = 2GM) non e piu infinitamente lontano, ma

e definito, tramite la (4.3.159), dalla curva

v = ±u. (4.3.162)

Piu in generale le superfici r = cost, come si vede dalla (4.3.159), sono rappre-

sentate nel piano u− v dalle iperboli

u2 − v2 = cost, (4.3.163)

mentre le superfici a t = cost sono rappresentate, sempre nel piano u− v dalle

rette passanti per l’origine

v = cost u. (4.3.164)

L’aspetto ineressante delle coordinate di Kruskal sta nel fatto che queste de-

Figura 4.3: Diagramma di Kruskal.

scrivono, tramite (4.3.159) e (4.3.160) entrambe le regioni r > 2GM e r < 2GM

112 CAPITOLO 4. CONSEGUENZE DELL’EQUAZIONE DI EINSTEIN

che sono separate dall’orizzonte degli eventi, rappresentato qui dalla curva in

eq.(4.3.162). In Fig.4.3 e rappresentato il diagramma di Kruskal dove il piano

u−v viene diviso in 4 regioni dall’orizzonte degli eventi; in particolare la regione

compresa tra i rami dell’iperbole r = 0 e l’orizzonte degli eventi rappresenta la

black-hole.

Capitolo 5

Campi gravitazionali deboli

In questo capitolo prenderemo in esame il caso in cui il campo gravitazionale

(almeno in certe regioni dello sazio-tempo) e debole; ovvero tale che si manifesti

come una piccola perturbazione alla metrica di Minkowski.

gµν = ηµν + hµν , |hµν | ≪ 1. (5.0.1)

Gia abbiamo visto che per il sole si ha |hµν | ∼ |Φ| .GM⊙

R⊙∼ 10−6 e l’espan-

sione di Eddington e Robertson della metrica e gia una espansione per piccoli

valori di |hµν |. In quel caso la soluzione esatta di Schwarzschild tronca (almeno

per il termine g00) tale espansione al primo ordine. Un caso particolarmente

interessante e quando il campo gravitazionale varia rapidamente col tempo e

hµν rappresenta il campo d’onda di marea gravitazionale su uno spazio-tempo

piatto. Questo e il caso che studieremo nei paragrafi successivi.

5.1 Teoria linearizzata della gravitazione

In modo analogo a quanto avviene per la teoria di Maxwell dell’elettroma-

gnetismo, una teoria di campo come quella studiata nei paragrafi precedenti,

ammette soluzioni di tipo ondulatorio; questo fatto e, da un punto di vista teo-

rico, di fondamentale importanza perche fornice il punto di contatto con la teria

quantistica. Qualunque sistema che ha interazioni gravitazionali ci si aspetta

quindi che emetta onde gravitazionali. Se prendiamo in esame un atomo pos-

siamo valutare quanto sia la probabilita relativa di emissione di un gravitone

rispetto all’emissione di un fotone della stessa energia. Il rapporto tra le due

probabilita e dell’ordine diPGPph

∼ GE2

e2

113

114 CAPITOLO 5. CAMPI GRAVITAZIONALI DEBOLI

Dove E e l’energia della particella emessa, G la costante di Newton ed e la

carica elettrica. Per E ∼ 1 eV tale rapporto vale

PGPph

∼ 3 × 10−54

e questo giustifica ampiamente il trascurare gli effetti gravitazionali, a livello

microscopico, in presenza di altre interazioni.

Volendo quindi studiare il fenomeno dell’irraggiamento gravitazionale pren-

diamo in considerazione sistemi macroscopici. Consideriamo, per avere un’idea

delle scale e delle approssimazioni, una sorgente periodica ad esempio un si-

stema di due stelle di neutroni. La lunghezza d’onda dell’armonica principale

del segnale emesso e proporzionale al periodo di rotazione ed e in generale

piu piccola della scala su cui varia il campo gravitazionale non radiativo che e

dell’ordine del raggio di curvatura gaussiano. Se consideriamo un osservatore,

posto ad una distanza dalla sorgente molto maggiore del raggio di curvatura

gaussiano di questa, il contributo non di radiazione del campo gravitazionale

sara del tutto trascurabile ed avremo una piccola perturbazione della metrica

piatta dovuta alla parte radiativa del campo. Potremo allora scrivere la (5.0.1)

e considerare tutte le equazioni al primo ordine in hµν . In particolare per il

tensore di Ricci avremo

Rµν =∂Γλλν∂xµ

−∂Γλµν∂xλ

+O(

h2)

, (5.1.2)

dove

Γλµν =1

2ηλρ

[

∂hρν∂xµ

+∂hρµ∂xν

− ∂hµν∂xρ

]

+O(

h2)

, (5.1.3)

dove gli indici si alzano e abbassano con la metrica di Minkowski; cie ηλρhρν =

hλν , ηλρ ∂∂xρ = ∂

∂xλetc. Consideriamo adesso l’equazione di Einstein nella forma

Rµν = 8πG[

Tµν −gµν2T λλ

]

. (5.1.4)

Al primo ordine in hµν si ha

R(1)µν =

1

2

[

hµν −∂2hλν∂xλ∂xµ

−∂2hλµ∂xλ∂xν

+∂2hλλ∂xµ∂xν

]

, (5.1.5)

quindi l’equazione di Einstein (5.1.4) diventa

hµν −∂2hλν∂xλ∂xµ

−∂2hλµ∂xλ∂xν

+∂2hλλ∂xµ∂xν

= 16πG(

Tµν −gµν2T λλ

)

. (5.1.6)

5.1. TEORIA LINEARIZZATA DELLA GRAVITAZIONE 115

Come si vede Tµν e al primo ordine in hµν e quindi, a questo ordine, e conservato

nel senso ordinario, cioe

∂T µν∂xµ

= 0. (5.1.7)

Mentre l’identita di Bianchi al primo ordine e

∂xµR(1)µ

ν =1

2

∂xνR

(1)λλ. (5.1.8)

5.1.1 Equazione delle onde e scelta del gauge

Come gia sappiamo, a causa dell’invarianza di gauge della teoria, la soluzione

delle (5.1.6) e definita a meno di una trasformazione generale di coordinate.

Dovremo quindi scegliere una gauge per eliminare i gradi di liberta arbitrari.

Entrando piu nel dettaglio, la teoria e invariante per una trasformazione del

tipo

xµ → x′µ = xµ + ǫµ(x), (5.1.9)

con ǫµ dell’ordine di hµν . Per la trasformazione del tensore metrico si ha

g′µν =∂x′µ

∂xλ∂x′ν

∂xρgλρ. (5.1.10)

Tenuto conto che e gµν = ηµν − hµν e della (5.1.9) troviamo la seguente

trasformazione per il campo hµν

h′µν = hµν −∂ǫµ∂xν

− ∂ǫν∂xµ

. (5.1.11)

Per quanto riguarda la gauge scegliamo quella armonica, per la quale vale

gµνΓλµν = 0 (5.1.12)

e, al primo ordine in h diventa

∂hµν∂xµ

− 1

2

∂hµµ∂xν

= 0 . (5.1.13)

Come nel caso dell’elettromagnetismo e possibile trovare una classe di trasfor-

mazioni di coordinate che fa restare il campo hµν all’interno del gauge definito

116 CAPITOLO 5. CAMPI GRAVITAZIONALI DEBOLI

dalla (5.1.13). Infatti, in questo caso, per una trasformazione del tipo (5.1.9),

dova essere

∂h′µν∂xµ

− 1

2

∂h′µµ∂xν

=∂hµν∂xµ

− 1

2

∂hµµ∂xν

− ǫν = −ǫν = 0. (5.1.14)

Cioe se la funzione ǫµ e una funzione armonica il campo h′µν , trasformato se-

condo la (5.1.9) del campo hµν , soddisfara ancora alla condizione di gauge

armonico. L’equazione di Einstein puo essere posta nella forma

hµν −∂

∂xµ

(

∂hλν∂xλ

− 1

2

∂hλλ∂xν

)

− ∂

∂xν

(

∂hλµ∂xλ

− 1

2

∂hλλ∂xµ

)

= 16πG(

Tµν −gµν2T λλ

)

.

Ricordando il vincolo di gauge (5.1.13) e posto

Tµν −gµν2T λλ = Sµν , (5.1.15)

otteniamo il sistema

hµν = 16πGSµν ,∂hλ

ν

∂xλ = 12∂hλ

λ

∂xν ,(5.1.16)

che ammette una soluzione in termini di potenziale ritardato

hµν(~x, t) = 4G

d3~x′Sµν (~x′, t− |~x− ~x′|)

|~x− ~x′| (5.1.17)

5.1.2 Onde piane

Consideriamo adesso il sistema (5.1.16) in una regione dove non sono presenti

sorgenti, per cui si ha

hµν = 0,∂hλ

ν

∂xλ = 12∂hλ

λ

∂xν .(5.1.18)

Tenuto conto della linearita dell’equazione e che si cercano soluzioni che hanno

supporto su tutto lo spazio-tempo, possiamo cercare le soluzioni in termini di

onde piane. Una soluzione di questo tipo, reale nello spazio delle configurazioni,

ha la forma

hµν(x) = eµνeikλx

λ

+ e∗µνe−ikλx

λ

, (5.1.19)

dove eµν = eνµ e il tensore di polarizzazione. Sostituendo (5.1.19) in (5.1.18),

otteniamo

kλkλ = 0,

kµeµν = 1

2kνeµµ,

(5.1.20)

5.1. TEORIA LINEARIZZATA DELLA GRAVITAZIONE 117

cioe la relazione di dispersione e una equazione per il vettore di polarizzazione.

Il tensore simmetrico eµν ha 10 componenti, ma solo 6 di queste sono indi-

pendenti a causa del vincolo di gauge espresso dall’equazione in (5.1.20). Ma

per la simmetria di gauge residua, alla quale abbiamo accennato nel paragrafo

precedente, solo 2 di queste componenti sono fisicamente significative. Infatti

se consideriamo la funzione armonica

ǫµ(x) = iǫµeikλxλ − iǫ∗µe−ikλx

λ

, (5.1.21)

con la trasformazione di coordinate xµ → x′µ = xµ + ǫµ(x), il campo h′µν tra-

sformato di hµν e ancora, come sappiamo, nella classe di gauge di quest’ultimo

e, per il tensore eµν si ha il trasformato fisicamente equivalente

e′µν = eµν + kµǫν + kνǫµ. (5.1.22)

Si hanno quindi ancora 4 parametri arbitrari (le componenti di ǫµ) per eliminare

4 componenti non fisiche di eµν . Per chiarire questo punto facciamo un esempio

esplicito. Dalla relazione di dispersione in (5.1.20) si ha k0 =∣

~k∣

∣ = k; con una

rotazione spaziale del sistema di riferimento potremo sempre scegliere

kµ ≡ (k, 0, 0, k) . (5.1.23)

Dal vincolo di gauge, sempre in (5.1.20) avremo allora

e31 + e01 = 0, (5.1.24)

e32 + e02 = 0, (5.1.25)

e33 + e03 =1

2(e11 + e22 + e33 − e00) , (5.1.26)

e03 + e00 = −1

2(e11 + e22 + e33 − e00) . (5.1.27)

che permettono di scrivere le ei0 e e00 in termini delle altre 6 componenti e cioe

e01 = −e31, e20 = −e32e03 = −1

2(e33 + e00) , e22 = −e11.

In oltre dalla (5.1.22) si ottiene per e11, e12, e13, e23, e00 e e33

e′11 = e11, e′12 = e12,e′13 = e13 + kǫ1, e′23 = e23 + kǫ2,e′33 = e33 + 2kǫ3, e′00 = e00 − 2kǫ0.

(5.1.28)

118 CAPITOLO 5. CAMPI GRAVITAZIONALI DEBOLI

Quindi solo e11 e e12 hanno un significato fisico assoluto. Infatti con le scelte

ǫ1 = − e13k, ǫ2 = − e23

k,

ǫ3 = − e33k, ǫ0 = − e00

2k ,(5.1.29)

si ha e′13 = e′33 = e′23 = e′00. Per comprendere meglio il significato di quanto

discusso, consideriamo le proprieta di trasformazione del campo hµν rispetto

al piccolo gruppo del quadrivettore, numero d’onde kµ, cioe il sottogruppo del

gruppo di Lorentz che lascia invariato kµ (nel caso discusso le rotazioni intorno

all’asse z). Qindi tutte le Λ ∈ L↑+ tali che

Λ νµ kν = kµ, con kµ ≡ (−k, 0, 0, k), (5.1.30)

ovvero

Λ νµ =

1 0 0 00 cos θ sin θ 00 −sin θ cos θ 00 0 0 1

. (5.1.31)

Quindi, per il tensore di polarizzazione, avremo

e′µν = Λ ρµ Λ σ

ν eρσ

=

1 0 0 00 cos θ sin θ 00 −sin θ cos θ 00 0 0 1

0 0 0 00 e11 e12 00 e12 −e11 00 0 0 0

1 0 0 00 cos θ −sin θ 00 sin θ cos θ 00 0 0 1

=

1 0 0 00 e11cos 2θ + e12sin 2θ −e11sin 2θ + e12cos 2θ 00 −e11sin 2θ + e12cos 2θ −e11cos 2θ − e12sin 2θ 00 0 0 1

.

Se adesso, con un cambiamento di base, introduciamo le variabili

e± = e11 ∓ ie12 = −e22 ∓ ie12, (5.1.32)

f± = e31 ∓ ie32 = −e01 ± ie02, (5.1.33)

e00, e33, (5.1.34)

avremo, per le trasformazioni del piccolo gruppo di kµ,

e′± = e±2iθe±, (5.1.35)

f ′± = e±iθf±, (5.1.36)

e′00 = e00, e′33 = e33 (5.1.37)

5.1. TEORIA LINEARIZZATA DELLA GRAVITAZIONE 119

Che, come si vede, corrispondono a cinque stati di elicita, ±2, ±1, e 0, ma solo

gli stati ±2 sono fisici, perche, come abbiamo visto, le componenti e31, e32, e01,

e02, e00 e e33, possono essere tutte eliminate con una trasformazione di gauge.

Quindi definendo h± = h11 ∓ ih12 avremo

h′± = e2i θh±. (5.1.38)

Cioe il campo hµν ha elicita ±2.

5.1.3 Particelle di test in presenza di un’onda gravitazionale

Allo scopo di rivelare un’onda gravitazionale e utile conoscere il moto da questa

prodotto su particelle di test. Un modo per avere un’informazione in proposito,

che abbia un significato fisicamente valido per qualunque osservatore, possiamo

studiare come varia la distanza tra due geodetiche vicine, linee d’universo di

due tali particelle di test. Prendiamo quindi in considerazione l’equazione della

deviazione geodetica data in (3.3.97) che riscriviamo nella forma

D2Sµ

Dτ2= RµνρσU

νUρSσ, (5.1.39)

Dove si e preso come coordinata tangente alla geodetica il parametro affine

tempo proprio τ e quindi T ν → Uν e la quadrivelocita della particella. D’altra

parte le velocita in gioco sono molto basse rispetto a c = 1 (si tratta di segnali

di bassa frequenza) e quindi sara un’ottima approssimazione porre

Uν = (1, 0, 0, 0) (5.1.40)

e, di conseguenza,D2Sµ

Dτ2= Rµ00σS

σ.

Per lo stesso motivo sara anche τ ∼ x0 = t e, fermandosi al primo ordine in h,

avremo anche

Rµ00σ =1

2

(

∂2hµσ∂x02

+∂2h00

∂xµ∂xσ− ∂2hµ0

∂xσ∂x0− ∂2hσ0

∂xµ∂x0

)

(5.1.41)

e D2

Dτ2 → ∂2

∂t2. Finalmente, tenuto conto che hµ0 = 0, troviamo l’equazione

∂2Sµ

∂t2=

1

2Sσ∂2hµσ∂t2

(5.1.42)

120 CAPITOLO 5. CAMPI GRAVITAZIONALI DEBOLI

Per un’onda che si propaga nella direzione di x3, come nell’esempio del para-

grafo precedente, varieranno solo le componenti S1 e S2 di Sµ e quindi l’onda

e trasversa analogamente a quanto avviene per un’onda elettromagnetica. En-

trando piu nel dettaglio e ricordando che il tensore di polarizzazione eµν ha la

forma

eµν =

0 0 0 00 e11 e12 00 e12 −e11 00 0 0 0

, (5.1.43)

potremo considerare separatamente i casi nei quali l’onda e polarizzata linear-

mente secondo e11 o secondo e12, oppure in modo ellittico secondo le due pos-

sibilita e± = e11 ∓ ie12. Nel primo caso, in cui e e11 6= 0 e e12 = 0, avremo il

sistema

∂2S1

∂t2=

1

2S1 ∂

2

∂t2

(

e11eikσx

σ)

,

∂2S2

∂t2= −1

2S2 ∂

2

∂t2

(

e11eikσx

σ)

, (5.1.44)

che ammette la soluzione

S1 =

(

1 +1

2e11e

ikσxσ

)

S1(0),

S2 =

(

1 − 1

2e11e

ikσxσ

)

S2(0). (5.1.45)

Come si vede, mentre nella direzione S1 le particelle di test si allontanano, nella

direzione S2 si avvicinano e viceversa. Procedendo in modo del tutto analogo,

nel caso in cui e e11 = 0 e e12 6= 0 si ottengono le altre soluzioni

S1 = S1(0) +1

2e12e

ikσxσ

S2(0),

S2 = S2(0) +1

2e12e

ikσxσ

S1(0). (5.1.46)

Infine sulla base

eR =e11 + ie12√

2, eL =

e11 − ie12√2

(5.1.47)

si ha

SR =

(

1 +eR

2√

2eikσx

σ

)

SR(0) +eR

2√

2eikσx

σ

SL(0),

SL =

(

1 +eL

2√

2eikσx

σ

)

SL(0) +eL

2√

2eikσx

σ

SR(0). (5.1.48)

5.1. TEORIA LINEARIZZATA DELLA GRAVITAZIONE 121

5.1.4 Generazione di onde gravitazionali

Torniamo adesso a considerare la soluzione in termini di potenziali ritardati

(5.1.17).

hµν(~x, t) = 4G

d3~x′Sµν (~x′, t− |~x− ~x′|)

|~x− ~x′| ,

dove si era posto

Sµν = Tµν −gµν2T λλ, (5.1.49)

Se adesso teniamo conto che stiamo considerando il campo hµν nell’approssi-

mazione di grande distanza dalla sorgente, posto r = |~x|, avremo

∣~x− ~x′∣

∣ ∼ r − ~x′ · x, (5.1.50)

dove con x si e indicato il versore x = ~x|~x| . Quindi, allo stesso ordine, sara

hµν(~x, t) ∼4G

r

d3~x′Sµν(

~x′, t− r + ~x′ · x)

. (5.1.51)

Conviene considerare le componenti di Fourier diguardo alla variabile coniugata

a t; cioe consideriamo le trasformate

hµν(~x, t) = eµν(~x, t) + c.c. =1

∫ ∞

0dωe−iωteµν(~x, ω) + c.c.,

Sµν(~x, t) =1

∫ ∞

0dωe−iωtSµν(~x, ω) + c.c.

che, sostituite in (5.1.51) danno

eµν(~x, ω) ∼ 4G

r

d3~x′Sµν(~x′, ω)eiωr−iω~x

′·x. (5.1.52)

Quindi, riguardo allo spettro in termini del numero d’onde, e anche

1

(2π)3

d3~k′eµν(~k′, ω)ei

~k′·~x ∼ 4G

r

d3~x′Sµν(~x′, ω)eiωr−iω~x

′·x. (5.1.53)

D’altra parte dalla relazione di dispersione in (5.1.20) si ha ω = |~k|, quindi e

ωr = ωx · ~x = ~k · ~x

per cui e anche

1

(2π)3

d3~k′eµν(~k′, ω)ei

~k′·~x ∼ 4G

rei~k·~x

d3~x′Sµν(~x′, ω)e−iω~x

′·x, (5.1.54)

122 CAPITOLO 5. CAMPI GRAVITAZIONALI DEBOLI

che implica necessariamente

1

(2π)3eµν(~k

′, ω) = eµν(~k, ω)δ3(

~k − ~k′)

. (5.1.55)

Dalla quale si ha anche

eµν(~k, ω) ∼ 4G

r

d3~x′Sµν(~x′, ω)e−iω~x

′·x, (5.1.56)

finalmente, osservando che e, ωx · ~x′ = ~k · ~x′, si trova

eµν(~k, ω) ∼ 4G

rSµν(~k, ω) =

4G

r

(

Tµν(~k, ω) − ηµν2T λλ(

~k, ω))

. (5.1.57)

Ci poniamo adesso il problema di valutare la potenza media emessa, per unita di

angolo solido, dalle sorgenti in termini di onde gravitazionali. Per questa valu-

tazione occorre conoscere il vettore di Pointing associato all’onda gravitazionale

che, come abbiamo visto, e noto quando e dato il tensore energia-impulso della

gravitazione tµν . In particolare avremo

dP

dΩ= r2xi

ti0⟩

. (5.1.58)

Dove le parentesi 〈〉 indicano la media sul tempo. D’altra parte dalla definizione

(3.4.132) di tµν si ha

ti0 =1

8πG

[

Ri0 − 1

2gi0Rλλ −R(1)i0

]

=1

8πGR(2)i0 +O

(

h3)

. (5.1.59)

dove si e tenuto conto che, per le componenti fisiche, e hµ0 = 0. Da un calcolo

diretto si ha, osservando che⟨

e±2iKλxλ⟩

= 0,

R(2)µν(k)⟩

= Re

e∗λρ(k)[

kµkν eλρ(k) − kµkλeνρ(k) + kλkρe

µν(k)]

+

[

eλρ(k)kλ −1

2eλλ(k)kρ

]∗

[kµeρν(k) + kν eρµ(k) − kρeµν(k)]

−1

2

[

kλeνρ (k) + kν eρλ(k) − kρe

νλ (k)

]∗[

kλeρµ(k) + kµeρλ(k) − kρeλµ(k)]

.

Tenuto conto del vincolo di gauge eλρ(k)kλ − 12 eλλ(k)kρ = 0, si ottiene, dopo

un po di algebra,

R(2)µν(k)⟩

=kµkν

2

(

e∗λρ(k)eλρ(k) −1

2

∣eλλ(k)∣

2)

. (5.1.60)

5.1. TEORIA LINEARIZZATA DELLA GRAVITAZIONE 123

Quindi, sostituendo in (5.1.59), otteniamo

ti0(k)⟩

=kik0

16πG

(

e∗λρ(k)eλρ(k) −1

2

∣eλλ(k)

2)

, (5.1.61)

quindi dalla (5.1.58) avremo, per la potenza emessa nell’angolo solido dΩ per

il modo ω

(

dP

)

ω

=r2ω x · ~k

16πG

(

e∗λρ(k)eλρ(k) −1

2

∣eλλ(k)∣

2)

. (5.1.62)

Finalmente, ricordando la (5.1.57) e che e ω x · ~k = ~k · ~k = ω2, si ottiene

(

dP

)

ω

=G ω2

π

(

T ∗λρ(~k, ω)Tλρ(~k, ω) − 1

2

∣T λλ(

~k, ω)∣

2)

. (5.1.63)

Dalla legge di conservazione deltensore T µν(x) (identita di Bianchi linearizzata)

∂T µν(x)

∂xµ= 0, → kµT

µν(~k, ω) = 0 (5.1.64)

si ottengono le relazioni

ωT0i(~k, ω) = −kj Tji(~k, ω),

ω2T00(~k, ω) = kjkiTji(~k, ω),

che, introdotto il versore ki = ki

ωdiventano

T0i(~k, ω) = −kj Tji(~k, ω),

T00(~k, ω) = kj kiTji(~k, ω), (5.1.65)

che permettono di riscrivere la (5.1.63) nella forma compatta

(

dP

)

ω

=G ω2

πΛijlm(k)T ∗ij(~k, ω)T lm(~k, ω) (5.1.66)

dove

Λijlm(k) = δilδjm − 2kj kmδil +1

2kikj klkm

−1

2δijδlm +

1

2δij klkm +

1

2δlmkikj (5.1.67)

contiene tutta l’informazione sulla distribuzione angolare.

124 CAPITOLO 5. CAMPI GRAVITAZIONALI DEBOLI

5.1.5 Approssimazione di quadrupolo

Consideriamo il valore nel punto ~x, relativo al modo ω, delle componenti

temporali del tensore energia-impulso, cioe la trasformata di Fourier

T00(~x, ω) =

d3~k

(2π)3ei~k·~xT00(~k, ω). (5.1.68)

D’altra parte, come visto nel paragrafo precedente, vale la legge di conservazione

ω2T00(~k, ω) = kjkiTji(~k, ω), dalla quale segue anche

Tij(~k, ω) =ω2

2

∂2

∂ki∂kjT00(~k, ω)

=ω2

2

∂2

∂ki∂kj

d3~xe−i~k·~xT00(~x, ω)

= −ω2

2

d3~xxixje−i~k·~xT00(~x, ω). (5.1.69)

Sia adesso R il raggio della regione che contiene le sorgenti, e quindi R ≪ r;

d’altra parte e anche ~k = ω ~xr

e ω ∼ 1R

e all’integrale contribuisce solo la regione

dove sono distribuite le sorgenti, per cui avremo∫

≤Rd3~xe−i

~k·~x... ≤∫

≤Rd3~xe−iω

|~x|2

r ...

∼ e−iRr

≤Rd3~x... =

(

1 +O

(

R

r

))∫

≤Rd3~x...

Quindi, con ottima approssimazione, sara

Tij(~k, ω) = −ω2

2Dij(ω), (5.1.70)

dove

Dij(ω) =

d3~xxixjT00(~x, ω) (5.1.71)

e il momento di quadrupolo. Sostituendo in (5.1.66) otteniamo

(

dP

)

ω

=G ω6

4πΛijlm(k)D∗

ij(ω)Dlm(ω). (5.1.72)

Se vogliamo la potenza, relativa al modo ω, emessa in tutto l’angolo solido,

dovremo integrare su di esso. Ricordando che e∫

dΩkikj =4π

3δij ,

dΩkikj klkm =4π

15(δijδlm + δilδjm + δimδjl)

5.1. TEORIA LINEARIZZATA DELLA GRAVITAZIONE 125

e quindi∫

dΩΛijlm(k) =2π

15(11δilδjm − 4δijδlm + δimδjl) ,

otteniamo

P (ω) =2G ω6

5

(

D∗ij(ω)Dij(ω) − 1

3|Dii(ω)|2

)

. (5.1.73)

E per l’energia totale emessa

E =2G

5

∫ ∞

0

2πω6

(

D∗ij(ω)Dij(ω) − 1

3|Dii(ω)|2

)

. (5.1.74)

Poiche il momento di quadrupolo Dij(t) =∫

d3~xxixjT00(~x, t) e una quantita

reale e, necessariamente, D∗ij(ω) = Dij(−ω); quindi avremo anche

E =2G

5

∫ ∞

0

2πω6

(

Dij(−ω)Dij(ω) − 1

3Dii(−ω)Dkk(ω)

)

=G

5

∫ +∞

−∞

2πω6

(

Dij(−ω)Dij(ω) − 1

3Dii(−ω)Dkk(ω)

)

=G

5

∫ +∞

−∞

2πω6

(∫

dteiωtDij(t)

dt′e−iωt′Dij(t

′)

−1

3

dteiωtDii(t)

dt′e−iωt′Dkk(t

′)

)

. (5.1.75)

Con semplici passaggi e una integrazione per parti si ottiene

E =G

5

dt

dt′δ(t − t′)

(

d3

dt3Dij(t)

d3

dt′3Dij(t

′) − 1

3

d3

dt3Dii(t)

d3

dt′3Dkk(t

′)

)

=G

5

dt

(

d3

dt3Dij(t)

d3

dt3Dij(t) −

1

3

d3

dt3Dii(t)

d3

dt3Dkk(t)

)

. (5.1.76)

Quindi la potenza totale emessa e

Ptot =G

5

(

d3

dt3Dij(t)

d3

dt3Dij(t) −

1

3

d3

dt3Dii(t)

d3

dt3Dkk(t)

)

. (5.1.77)

Per avere un’idea degli ordini di grandezza in gioco consideriamo il seguente

esempio: un sistema di due stelle identiche di masa M che percorrono, sotto

l’azione della forza gravitazionale, un’orbita circolare di raggio r. Sia per l’in-

tensita del campo gravitazionale che per le velocita in gioco possiamo utilizzare,

per calcolare i parametri del moto, la teoria di Newton. Dalla teoria di Newton

otteniamo che la velocita angolare di rotazione delle due stelle e pari a

Ω =

(

GM

4r3

)1

2

(5.1.78)

126 CAPITOLO 5. CAMPI GRAVITAZIONALI DEBOLI

Supponendo che l’orbita sia sul piano (x1, x2), riferito ad un sistema di riferi-

mento che ha l’origine nel suo centro, le coordinate delle due stelle (dette a e

b) saranno, rispettivamente

x1a = rcos Ωt, x2

a = rsin Ωt, (5.1.79)

x1b = −rcos Ωt, x2

b = −rsin Ωt. (5.1.80)

La componente 00 del tensore energia-impulso e la densita

T00(~x, t) = Mδ(x3)[

δ(x1 − rcos Ωt)δ(x2 − rsin Ωt)

+δ(x1 + rcos Ωt)δ(x2 + rsin Ωt)]

. (5.1.81)

Il momento di quadrupolo e allora

Dij(t) =

d3~xxixjT00(~x, t)

= Mr2

2cos2Ωt 2sinΩtcosΩt 02sinΩtcosΩt 2sin2Ωt 0

0 0 0

= Mr2

1 + cos2Ωt sin2Ωt 0sin2Ωt 1 − cos2Ωt 0

0 0 0

. (5.1.82)

Sostituendo in (5.1.77) si ottiene, dopo semplici calcoli,

Ptot =128

5GM2r4Ω6 (5.1.83)

e, tenendo conto della (5.1.78),

Ptot =2

5

G4M5

r5. (5.1.84)

Nel 1974 Hulse and Taylor scoprirono un sistema binario il PSR1913+16;

una delle due stelle e una pulsar (oggi identificata come una stella di neutroni),

il loro periodo di rotazione e di circa 8 ore (estremamente breve per gli standard

astrofisici). Il fatto che una delle due stelle sia una pulsar fornisce un orologio

molto preciso che permette di misurare le variazioni del periodo di rotazione

in modo accurato e, in questo modo si osserva un rallentamento in ottimo

accordo con la perdita di energia dovuta all’emissione di onde gravitazionali,

come previsto dalla teoria sopra descritta. Hulse e Taylor hanno ricevuto nel

1993 il premio Nobel per questa scoperta.

Bibliografia

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