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poesie e ricordi di madri
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Antonella Taravella la neve sulla porta
Catania 2012
proprietà letteraria di
Antonella Taravella
Verona 2009/12
proprietà foto di
Antonella Taravella
Libretto a cura di
Sebastiano A. Patanè
A mia madre e a mia nonna.
A quella neve
sulla porta
gennaio 2009
e al sole cocente
della sua terra
giugno 2009
Verona 2009/12
1.
ci sono così tante cose sospese
fra il muro e la voce
la neve sulla porta
è la destinazione del mio dolore
2.
ho pensato alle notti
così come vengono a galla
in questo precipizio satinato
da ogni giorno che non
mi riporta a te
3.
tengo ancora una pietra stretta
fra queste mie dita povere
timidamente vorrei regalare loro
l’alba più rosa
ed invece restano questi grigi
da disossare
4.
c’è un deserto dove c’eri tu
così saturo di dolore
nero argento
5.
le ginocchia raccontano ancora
di ogni sillaba che mi appoggiavi
sul dolore
crescevo con la tua bellezza
mentre aspiravo ogni secondo che
di queste fiabe dondolavi sui cuscini
le notti
burrasca oggi nel pieno petto dell’inverno
farsi limpida in tutto quello che ti scrivo
quando poi ti poso, ho quest’ombra di bocca
che non lascia il mio corpo ma ti arriva in fondo
slaccia ossa dopo ossa fino a muoversi accanto
e la saliva è il ricordo che la nostra casa contiene
un disperarsi che non serve
l'ammontare di un vizio, perdona
ogni singolo gioco di sguardi
mi chiedevi il perché di tutto questo
il mio amore non basta al pianto che riaffiora
(.)
raccogliere e riordinare le cose per natura e dolore, la
tranquillità di un sonno senza paura mentre il lembo di un
sottile sorriso scaturisce la calma e le mani forti a
sollevare e distendere chiarezza, sprigionare la limpidezza
dell'acqua e ammalarsi di bellezza riconquistata con un
morso di pane o con le rughe di un viso che crede anche
sporco di lacrime e terra, fatti come una preghiera e lega
forte il cuore con ancoraggi estremi, dove la terra è una
calma che si appoggia al sole di una speranza
qui a pochi passi nel dopo
ricordo ogni spicchio di sole
nell'acqua bevuta dal viso
gesto perfetto
che rimedia la mia solitudine
nei miei resti d'aria calda
un sole abbarbicato al collo
e quei visi perdurano
d'ansie spinose che ricompongono
tutti i miei moti rivoluzionari
farsi di una parola
che come pietra-carne
incide la pelle
con quella voce che è lamento
preparo agosto nelle tasche
nel cuorum di parole che centellino
al cospetto del vento che urla da nord
mi sovrappongo a quella mano
che leva la polvere e schiude una rosa
concimata a lacrime e dolore
Restano
questa veglia che non trascina le tende
e rende la voce una conchiglia di mare
a raccontare un ricamo che il vento riporta
nei lenti di questo luglio così lontano
dalle mani secche di sale
allo sguardo lucido di un ritorno alla terra
di quel giorno di gennaio che con la neve sulle porte,
hai riabbracciato tuo padre,
ciondolando scherzosa, le gambe stanche
dalle nuvole bianche
resta l'impronta sul materasso,
quella voce che mi coccolava negli anni,
resta il sorriso in quelle mille fotografie
gelosamente tenute sotto le tovaglie di lino
restano gli occhiali, tolti poco prima del buio
a ciò che non si colmerà mai
1.
vorrei raccogliere in fondo alla pelle
la tua carezza come una forma liquida
specificare al tempo che non sei pioggia
ma nutrimento, il miracolo per la mia voce
2.
c’è questa casa spenta
dai muri riempiti di cucchiai e neve
e ci troveranno dentro un carillon
3.
barcollano briciole
così dalle ciglia
e tutto questo che resta
non ha luce
4.
ritornami agli occhi
così nella carne
di una carezza strappata
a questo impasto di fango
5.
il viaggio sfinisce
nella croce di rose
e nella carta che bagno
Anni
si preparava il viso al tuo perpetuo abbandonarmi
da quel giorno ci sono cose sospese, raggrumate al petto
un tonfo di legna nel cuore dell’inverno e tace ormai il
fuoco
la tua assenza non la governo, non ha briglie né lacci
stretti
è un volo che schianta uva acerba sugli occhi
quanto una lacrima possa pesare, lo sa solo Dio
lo sguardo di oggi e domani, avrà due sedie in meno da
guardare
e così negli anni a venire.
lettera ad una madre
ha il bordo liso la gonna che hai cucito anni fa, velluto
rosso e fiori ocra che ti ho pregato fino alle lacrime per
averlo e tu madre sartina piegata nel buio fra una carezza
ed un punto sbagliato hai cucito quel sogno bambina
mani così morbide le tue, così belle e libere in volo nel
crescermi accudendo cadute e baciando ginocchia
sbucciate oggi porto piccoli scrigni pieni di pietruzze e
sole, anche nelle lacrime condite con il sale
alle tue gambe la notte in un pianto stesa nelle labbra e ti
sentivo così forte nella fragilità di un nord dalle lame
lunghe, tu donna e figlia del sud, che amava la terra e il
mare che sgambettava sulle spiagge, le tue e le mie, le
nostre che erano albe sormontate da castelli in aria e
bellezza
e poi sentirsi al freddo di un abbaglio che fiocca e spreme
una preghiera in quell'ultimo sguardo velato, nella
sconosciuta stanza di una preghiera raggiunta a forza di
dai io sono tua figlia, sono la rabbia che non eri tu, quel
sogno lasciato dentro le valige che restano sepolte nel
cuore, sono il dolore che hai lasciato andando oltre, sono
le mani che mancano, sono e siamo noi persi in avampassi
che sono il cuore di un inverno che non passa, siamo
fermi al tuo sorriso a ciò che venne a prenderti perché di
respiri ne avevi dati troppi
AUGURI MAMMA E NONNA
(14/15 Agosto)