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ANTEPRIMA "Io sono Max"

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Max è un terremoto. Inquieta, testarda, bella. Ha scoperto l’amore e il sesso con un’altra donna, e questa donna oggi la sta lasciando. Come fai ad andartene per una che conosci da tre giorni? Ma Lili se ne va, seguirà la sua cometa, e Max comincerà a franare. Dovrà lottare contro tutto: contro i fantasmi di ieri, le prime carezze e il corpo di Lili, l’irruenza di quell’amore che a vent’anni le ha stravolto la vita, e contro i fantasmi di oggi, la gelosia, le notti in bianco, i goffi tentativi per riconquistare qualcosa di irrimediabilmente perduto. Solo l'incontro con un’altra donna, Leo, miss Orlando, il fuoco nei capelli e un uomo per compagno, risveglierà in Max il coraggio di rischiare ancora. Riscoprendo il piacere sottile della seduzione, l’imbarazzo e lo stupore di un’altra prima volta. "Io sono Max" è proprio come la sua protagonista: un terremoto di ironia e sentimenti. Se tutti nella vita siamo stati Max, forse nessuno l'ha mai raccontato così.

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Absolutely Free Editore

I. W. Survive

romanzo

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Inventati un modo

in cui solo tu

mi chiameresti.

Inventatene uno

che ti imbarazzerebbe

usare in pubblico

(Go fish)

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Progetto editoriale:

Absolutely Free Editore

Grafica e impaginazione:

Nicoletta Azzolini

© Copyright, 2011

Editrice Absolutely Free - via Rocca Porena, 44 - 00191 Roma

E-mail: [email protected]

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,

compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico, non autorizzata

ISBN 978 - 88 - 97057 - 29 - 1

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«» Premessa

Breve telefonata tra l’autore e l’editore

Allora Max, lo firma o no questo libro?«È proprio necessario?».Sì, è necessario. «Non amo il mio vero nome».Se ne trovi un altro.«Va bene il titolo di una canzone?».Dipende dalla canzone.«I will survive».Gloria Gaynor?«Sì, io sopravviverò anche senza di te.I’ve got all my life to live,I’ve got all my love to give».L’accorciamo un po’?«I. W. Survive».

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Pinze

Baba dice: «In questi casi: pinze». Uhm. E sarebbe? «Sa-rebbe che la mattina vai allo specchio, ti prendi gli angoli dellabocca, e te li tiri su. Così. Sforzati, fingi, ma cazzo sorridi, da-vanti a lei. Ti ha mollato, no? E allora pinze pinze pinze». Gliamici. Uno pensa: potranno capire, aiutare. Chiedono solo diessere usati, veniamo noi a rincollarti il cuore. Nel caso mio civorrebbe del cemento a presa rapida, ma insomma. Nel casomio: sono stata appena lasciata. Da Lili. Dopo otto anni. La miafaccia è il funerale di John F. Kennedy.

«»

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Due vulcani

Prendi una come Baba. Io all'inizio non glielo volevo nean-che dire. Era una cosa mia. Mi schifava l'idea di dividerla conaltri. E poi davvero: quella non potrà mai capire. Cosa faccio, ledico: Baba, mi ha lasciata, voglio morire, aiutami. Come mini-mo quella mi trascina a giocare a tennis. Perché lei è così, è ge-nerosa, è esagerata, un panzer di ottimismo. Ma appunto, unpanzer. E io sono già un pezzo di asfalto, due strisciate di pneu-matici sul petto, cosa vuoi schiacciare ancora. Comunque. Sen'è accorta da sola, Baba. È successo al ristorante. Eravamo noitre. Io zitta, Lili zitta. Io a guardare la forchetta, Lili a guardarela forchetta. E panzer Baba che parlava, bla bla bla: «È pazze-sco. Cinquecento euro di multa per non aver pagato l'assicura-zione del motorino. Una stronza di vigilessa. Non esiste, non lapago, non esiste». E anch'io mi dicevo la stessa cosa: no, non esiste proprio.Non esiste che Lili mi lasci. Per una che conosce da tre giorni.Non esiste. Tre giorni. Non può farmi questo. Noi siamo unacosa bella. Noi. «Proprio una stronza. Le ho detto che me l'erodimenticata a casa, l'assicurazione. E lei lì a scrivere il verbale.Una stronza colossale». Stronza stronza stronza. Come hai po-

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tuto dirmi: «È finita. Qualcuno doveva prendere la decisione el'ho fatto io». È arrivato il cameriere. «Ragazze, che prendete? Avete fa-me?». Fame. A me ci vorrebbero due metri cubi di alkaseltzerper digerire questa roba che ho dentro. Ma appunto. Pinze pin-ze pinze. «Io tortellini». E poi Baba ha puntato la forchetta ver-so di lei: «Quest'anno non ci tiri il bidone come l'altra volta.Vieni anche te in montagna con noi, eh?». E Lili, non so com'è,è diventata rossa, e ha detto solo: «No, mi sa proprio che non civerrò». Sono bastate quelle parole per sbullonarle il cuore. Perfar capire tutto. Perché il senso era proprio quello. Niente saràpiù come prima. Qualche giorno fa avrebbe ringhiato: «Col ca-volo che vengo lassù a crepare di freddo. Come minimo a casatua il riscaldamento sarà rotto». No. Stavolta ha detto: mi saproprio che non ci verrò. E lì Baba, che pure stava ancora a frullarsi in testa la multaper il motorino, ha staccato il cingolato e ha fatto: alt. Col se-dere ha tirato indietro la seggiola, sì, mi pare abbia fatto pro-prio così, sì è accesa una marlboro light, ha sputato il fumoverso il soffitto, ha guardato prima me poi lei, e se n'è uscitacosì: «Avverto delle vibrazioni negative. Non so cos'è. Perònon mi piace. Mi sembrate due vulcani che stanno per esplo-dere. Non mi piace». Davvero, ha tirato fuori proprio questaroba qui dei vulcani. Babi è pazzesca. Cioè, non è che ti dice:bimbe, vi vedo giù, che succede? No, spara lì la cosa dei vul-cani. Bum. Un colpo, affondato. E noi come cretine, a guar-darci negli occhi, imbarazzate, eh, chissà, boh, forse, a fare zig

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zag con la forchetta sulla tovaglia. Cretine. Poi di scatto Lili ha chiesto il conto, si è infilata la giacca, eio mi sarei voluta aggrappare alle spalle di Baba, dirle tutto, in-fradiciarle il cappotto di lacrime e moccio. E invece. Ci siamomessi guanti, cappello, le sigarette le ho prese sì, qui c'è un pac-chetto, lascia tanto è vuoto, dio quanto ho fumato, accendino,grazie per la cena, ma di che, la prossima volta paghi tu, maquale cazzo di prossima volta, ma almeno non dirle queste co-se, allora domattina ti accompagno a pagare la multa, davverolo faresti?, davvero, pur di non stare con me la va ad accompa-gnare dai vigili alle otto di mattina, dai lo faccio volentieri, ecerto, allora ci vediamo alle otto qui all'angolo, occhei, buona-notte. Poi questa cosa qui ce la siamo dette, io e Baba. Poi, quandose n'è parlato. Lei c'è rimasta secca: «Cristo, Max, quante caz-zate ho detto quella sera». No panzer, non potevi sapere. «Nono, si vedeva che c'era qualcosa di strano. E io lì a parlare dimulte. Un'idiota. La perfetta idiota. Ma sai quando non ci pensialle cose. Cioè, ci pensi, ma insomma, mi pareva così assurdo.E ho anche detto quella storia dei vulcani». E mi è venuto daconsolarla. Io a lei. Io che ero uno stadio alla fine di un concertorock, solo cartacce e lattine vuote da spazzare. Luisa, quando l'-ha saputo, mi ha detto solo una cosa: «Mi dispiace, Max. Vorreifare tutto per rimettervi insieme. Ma non so come, non lo so». Intanto, il panzer d'ottimismo mi sta salendo le scale di casa.So che sarà un massacro, ma forse mi farà bene. Al telefono hadetto che ha già cenato, e comunque io in frigo non ho niente.

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Sono quattro giorni che mangio solo sigarette. «Se vuoi ci pos-siamo fare una tisana. Magari ti aiuta a dormire». Dormire, nonvoglio dormire. Voglio stare sveglia, per capire, farmi male macapire perché è successo, perché Lili mi è sparita così dalle ma-ni, un giorno, un venerdì, un guanto che scivola dalla borsa. Vo-glio sentire come reagisce il mio corpo alle fitte di dolore che dinotte mi scuotono, al freddo che mi sale per i piedi, per la schie-na, e mi si pianta lì nella pancia. «Ma devi dormire. Sennò nonne esci più. Intanto, domattina andiamo a giocare a tennis». Il panzer. Lo sapevo. «D'accordo, forse è presto. Però lo fare-mo. Io quando ho avuto un momento tremendo della mia vitami sono buttata sul tennis. È stata la mia salvezza». Non so chefaccia ho fatto, ma è lì che Baba ha capito che era ora di mollarela racchetta e tirare fuori il bisturi. Prendere la ferita, toglierciuna a una le schegge del piombo, spurgarla dai rancori, dai sen-si di colpa, per poi ricucirla, piano piano.

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Casa

«Allora, vuoi dirmi com'è andata?». È andata che quando ètornata da quel viaggio, non l'ho riconosciuta più. Era Lili, maera come avere davanti un’estranea, una che non sai più cosa lepassa dentro, cosa pensa, come sta. È una roba micidiale. Inten-do. Una persona con cui hai diviso tutto, ma proprio tutto. Poitorna da un viaggio, tre giorni, e ti ritrovi questa cosa che giraper casa e non sai cos'è. «Ti capisco perfettamente». Il panzer.Frena frena, è presto per capire. Non lo capisco neanch'io, nonancora, o forse non l'ho capito in tempo. «Ma è stata lei a dirte-lo, quella sera?». Quella sera. Ero così confusa, quella sera,piena di rancori. Due telefonate in tre giorni. Due. Lei che miaveva sempre chiamato anche sei, sette, dieci volte al giorno.Così, anche per non dirsi niente, solo per sentirsi. Due telefona-te in tre giorni. E c'ero rimasta così, difficile dire. Avrei dovutosaperle leggere. Perché mi aveva detto: «Ho visto delle perso-ne: abbiamo lavorato ad una sceneggiatura. Ora sono qui a leg-gere i giornali, qui a casa». Boh. Strano. E anche l'altra, fattadalla macchina, col cellulare: «Qui è grigio, piove. Sto andan-do a casa». Ora. Casa. Sapete cosa vuol dire casa? Io lo so. Casa è que-

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sta, è dove sono io, dove è lei, questa con il quadro di IngridBergman e Cary Grant sopra la cassapanca comprato insieme aCannes. Casa non può essere la casa di un'amica che ti ospitaper tre giorni. Mi spiego: dimmi che torni da Silvia, dimmi chesei lì a casa di Silvia e leggi i giornali. Mettilo quel cazzo di no-me. Cristo. Non dirmi casa e basta, perché così mi ammazzi. «Sono qui a casa». E io non capivo. Comunque. Quella sera.Lei lì, in silenzio, che non mi dice niente. Niente del viaggio, dicosa aveva fatto, di chi aveva visto. O forse sì, qualcosa mi hadetto. «Sono stata a teatro. E tu il lavoro?». Bene, normale, lesolite cose. Non avevo nessuna voglia di dividere i miei statid'animo con lei. Mi dico: io sono qua, è lei che viaggia su un'al-tra autostrada, lei metta la freccia e accosti. E invece. Io nellamia parte del letto, lei nella sua. In mezzo un vuoto enorme. Illibro appoggiato per terra, la luce che si spenge, neanche unaparola. Una lastra di ghiaccio quel letto. Schiena contro schie-na. Due vulcani pronti a esplodere. C'ha preso, il panzer. Neglianni vissuti insieme, non c'è mai stata una notte in cui io non ab-bia cercato lei, lei non abbia fiutato me, anche solo per sapereche c'ero, la mano che si allunga e trova quella roba calda e nonvuoi nient'altro che quella, sentirtela rannicchiarsi dietro laschiena, la sua gamba tra le tue, dai lo sai che così mi blocchi lacircolazione, sì scusami amore, ancora un po' però, ancora unpo', poi mi sposto. Non so se a Baba ho detto proprio così, mainsomma. «Lei zitta, tu zitta. E la mattina?». Era il mio giorno libero.L'avevo chiesto apposta in ufficio, per stare con lei. Cretina.

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Magari per passare tutto il giorno nel lettone. E intanto lei si al-za alle sette. Dico alle sette. Giorno libero. Alle sette. «Devoandare dal parrucchiere». Bene. Il parrucchiere. Benissimo. «Etu che fai, vai al cinema?». Mi alzo anch'io, a quel punto. So chemi sono sfilata il pigiama e l'ho piegato. «Sì, forse andrò al ci-nema. Non so cosa interessi a te di tutto quello che faccio. Nonlo so più». Mi sono avvicinata all'armadio, so che l'ho aperto,che mi sono lasciata ingoiare da quel buio, da quell'odore dicanfora, cercando un golf, uno qualunque, in quel buio. Ed èstato lì, in quell'esatto momento, non un altro, ma quello lì, conl'armadio aperto e quella mano che cercava nel mucchio di la-na, è stato lì che l'amore si è spento. «Io ti voglio ancora bene». Cinque parole. Io ti voglio ancora bene. Ce le ho qui a trapa-narmi la testa. Io ti voglio ancora bene. Il respiro che si tronca,la bocca che mastica ghiaia. Lei seduta sul letto, e io che lenta-mente, molto lentamente, vado in bagno, mi chiudo a chiave,apro il rubinetto e vomito nel water.

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Tisane

Lì, l'ho vista vacillare. Panzer Baba. Con questa storia delwater. Gli occhi le sono diventati sempre più rossi, due puntinispauriti, annegati. O forse erano i miei che io vedevo in lei.«Dai, prendiamoci questa tisana. Ti farà bene». Acqua su ac-qua. Tisane che diventano lacrime. Sì, un'altra tazza. Le tazzecomprate insieme a Londra. Lili che insisteva: «Dai, Max,prendiamole, sono così belle. Stanno bene in cucina, sono dellostesso blu». E io che dicevo sempre no a tutto, mortificando isuoi entusiasmi: «Ma siamo piene di tazze, non sappiamo ne-anche dove metterle. E poi in valigia si romperanno». E non miaccorgevo che a romperci eravamo noi. Anche le altre volte,quando lei proponeva: «Andiamo a cena fuori a provare quel ri-storante indiano?». Io frenavo: «Ma è sabato sera, sarà pieno,se non prenoti è un casino». Per me è sempre tutto un casino.Mai che una cosa mi venga facile. Enorme problema. Insor-montabile montagna. Battaglia inutile. Poi le tazze blu le hacomprate lo stesso. E aveva ragione perché sono davvero belle.«Sì, però ora non puoi stare lì a guardare tutto l'arredamento dicasa e dire questo l'abbiamo comprato insieme, questo anche,sennò è un inferno. Questa casa è tutta fatta di pezzi di voi. O

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traslochi, o cambi tutto. Bisogna essere pratici». Baba ha ragione, bisogna essere pratici. «Intanto: lei ora do-v'è?». Non lo so. È partita, ha preso due cose, le ha messe in va-ligia, e se n'è andata. «Ma ha detto che torna?». Sì, probabil-mente tornerà. Deve tornare. Almeno a prendersi i vestiti, i li-bri, a prendersi tutto, le lascio tutto. Le ho anche portato giù lavaligia, quando se n'è andata, per aiutarla. «Le hai fatto cosa?Vabbè, sei matta. Io le avrei tirato uno schiaffo e avrei sbattutola porta». Anche lei se l'aspettava, lo schiaffo. Me l'ha propriodetto. Ma a che sarebbe servito? «A te, ti avrebbe fatto bene».Ma ti pare che le metta le mani addosso? Dai, io non sono così.Ma forse sì, che cazzo, avrei dovuto farlo, magari l'avrebbescossa. O magari avrebbe pensato: dio che liberazione lasciarti.Anzi, ora che ci penso, una cosa così me l'ha proprio detta.«Cioè ti ha detto: che liberazione lasciarti? Non può essere cosìspietata, non è da lei». Io non so più chi è lei, non mi sorprende più niente. Peròdavvero: era lì che buttava nella sacca quelle quattro magliette,i calzini, poi si è voltata: ho pagato la bolletta dell'acqua, hochiuso i conti col bar, che altro?, ah sì, la macchina è parcheg-giata bene (così bene che ha preso tre multe di fila ndr), il bi-glietto del treno l'ho fatto, a posto. «Accidenti, hai sbrigato tut-te le pratiche, che efficienza», le ho detto io, ormai ridotta a unfascicolo archiviato. E lei: «Sì, mi sento come liberata».

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Mary

Essere pratici. Trovare una strategia. Niente lavoro per unpo'. Non ce la faccio, ho già provato: non ho la testa. Voglio di-re: il giorno dopo che mi ha lasciato, quello della mano che cer-ca il golf nell'armadio e io ti voglio ancora bene, insomma quelgiorno lì, mi hanno spedito a intervistare una prostituta nigeria-na. Esatto: una prostituta nigeriana. L'ho buttata giù dal letto amezzogiorno. Quando mi ha aperto la porta, aveva due occhiche parevano due frittelle di Das. Poveretta. Era rientrata dadue ore. Davvero sfatta di tutto. Non l'avevo mai vista prima,mi aveva dato il suo indirizzo un amico. Mary. Una perfettasconosciuta. Però abbiamo parlato. Non so chi di noi due fosse più a ter-ra. Io che ero stata appena mollata dall'amore della vita, o leiche per trenta euro tutte le sere si faceva allargare le gambe sulsedile delle macchine. Sì, perché è quello che le ho chiesto: di come lo faceva, conchi, quanto prendeva, cosa le chiedeva la gente, se la picchia-vano. Tutte e due a fumare, nel soggiorno di casa sua triste co-me un ambultorio della Asl, una mezza bottiglia di plastica co-me posacenere. Poi a un certo punto le ho chiesto, così all'im-

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provviso: «Senti Mary, ma tu te lo fai mettere nel culo?». Pazzesco a ripensarci. Ma le ho detto proprio così. Si vedeche ero proprio stravolta, stanca di girare intorno alle cose, alleparole. E Mary ha capito, e mi ha risposto: «No, nel culo no. Hopaura». Anch'io ho paura, Mary: di vivere senza di lei, di nonriuscire più ad amare nessuno. Lei almeno un'altra l'ha già tro-vata. Ma io, io non voglio nessuno, perché è lei che voglio. Allafine l'ho detto anche a Mary. Cioè: le ho detto che mi aveva la-sciato il mio fidanzato, se le dicevo che stavo con una donna,mi cappottava lì nell’ambulatorio. Fidanzato. Mi ha lasciatoper un'altra. «E questa com'è? Più giovane di te? Più bella dite?». No, è più vecchia, più brutta. «Allora vedrai che torna».Grazie Mary, lo spero. Ma non è così facile. La vita non funzio-na così. Come faccio a spiegartelo? Quasi non capisci l'italianoe schianti dal sonno. Come faccio a dirti che ora non vorrei es-sere in questo cazzo di posto qui, ma con lei, da qualche parte,qualunque parte, ma con lei, e che ora torno in ufficio e me la ri-trovo lì al telefono che fa l'amore con l'altra? Sai Mary, l'ho vi-sta stamattina. Era davvero al telefono con lei, parlava piano, ementre sono entrata nella stanza l'ho vista sorridere alla cornet-ta. Mary, avessi visto quel sorriso. Mi sono sentita una guardo-na. Per non farmi vedere piangere, sono uscita di scatto dallastanza e sono andata per le scale. È lì che ho incontrato Luisa emi sono afflosciata tra le sue braccia. Io che crollavo e lei chefaceva: «Ohi ohi, ohi ohi». Anche con Mary ci siamo messe a piangere. Mi ha accarez-zato la testa, non fare così, non fare così, con quelle mani color

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