12
Periodico bimestrale stampato in proprio della Comunità LA SORGENTE [email protected] mese di LUGLIO - AGOSTO anno 2016 La via del perdono, come “compimento” della Divina Misericordia Il perdono in genere ŶoŶ ğ uŶ atto iŵŵediato, faĐile, spoŶtaŶeo, ŵa ğ l’esito di uŶ luŶgo lavoƌo. E più ğ gƌave l’offesa ƌiĐevuta, più tempo è necessario per perdonare. Per ogni coppia in particolare è un cammino da percorrere, anche se spesso è doloroso. E’ Đoŵe uŶ viaggio la Đui destiŶazioŶe fiŶale ğ la speƌaŶza di ƌiĐoŶĐiliaƌsi. Il perdono può essere concesso anche se non è stato richiesto e può riguardare anche persone che non si incontre- ranno più nella propria vita, anche perché potrebbero essere decedute. Non sempre Đ’ğ ďisogŶo Đhe l’offeŶsoƌe sap- pia Đhe ğ stato peƌdoŶato, peƌĐhĠ il peƌdoŶo ğ uŶ atto pƌivato e lo si può ĐoŶĐedeƌe aŶĐhe se l’altƌo ŶoŶ Ŷe ğ a ĐoŶo- scenza e perfino nel caso Đhe l’altƌo ŶoŶ sia d’aĐĐoƌdo. Ma proviamo a percorrere insieme le tappe principali di questo cammino. IŶdagare il cuore per ricoŶoscere l’offesa, come si fa per pulire una ferita: occorre aprire, eliminare le sporĐizie, disiŶfettaƌe… ğ dolo- rante. Occorre confrontarsi con la rabbia in modo da lasciarla andare senza alimentarla. Il perdono cristiano è possibile solo a coloro che at- tiŶgoŶo iŶ Cƌisto la sapieŶza della CƌoĐe e l’eŶeƌgia dello “piƌito “aŶto. Quando il perdono si trascina o non si realizza, è la relazione con Cristo che è debole o malata. Prendiamo anche coscienza che vengono inve- stite elevate eŶeƌgie psiĐhiĐhe peƌ faƌ fƌoŶte all’offesa. PeŶsiaŵo ĐoŶ quale forza il rancore che proviamo ci condiziona e quanto questo sin- tomo influenzi la nostra vita quotidiana. Decidere di perdonare e affrontare il cambiamento. Il perdono non va confuso con la timidezza o la debolezza morale. Chi perdona ri- tiene che la scelta più giusta sia far cessare il risentimento che si prova peƌ l’altƌo; iŶoltƌe esseƌe disponibili a considerare la possibilità del perdono non significa necessariamente dimenticare, ma fare in modo Đhe l’offesa ƌiĐevuta ŶoŶ pƌovoĐhi più doloƌe, peƌ sĠ e peƌ l’altƌo. RiĐoŶosĐeƌe i pƌopƌi eƌƌoƌi, se Đe Ŷe soŶo, può faĐilitaƌe l’aŵŵissioŶe del torto da paƌte dell’offeŶsoƌe e peƌŵette all’offeso uŶa ŵeŶo tƌauŵatiĐa aĐĐettazioŶe del peƌdoŶo. “iĐuƌa- mente questo è un buon punto di partenza per reimpostare la relazione su basi più solide, che prevedano un codice di maggiore rispetto reciproco. Infine Impegnarsi a perdonare comporta la liberazione da un nemico in- teƌŶo, Đostituito dall’odio. Esso, Đoŵe l’aŵoƌe, ğ uŶ seŶtiŵeŶto ŵolto foƌte, Đƌea dipeŶdeŶza e ƌiĐhiede ŵolte eŶeƌgie peƌ esseƌe sosteŶuto. E’ di Ŷotevole aiuto Đhiedeƌe al Padƌe Celeste di iŶdiĐarci la via che corrisponde al- la sua volontà e alla Vergine Maria di intercedere per potere giungere al vero perdono e alla liberazione dalla dipeŶdeŶza dell’offesa. Raggiungere il perdono e accettare la sfida. Una volta presa la decisione, per alleggerire il cammino è utile ƌidefiŶiƌe l’iŵŵagiŶe dell’offeŶsoƌe assuŵeŶdo il suo puŶto di vista, ĐoŶsideƌaŶdo la sua stoƌia peƌsoŶale, val u- tando le pressioni a cui è soggetto anche lui, riconoscendo il suo intrinseco valore umano. Aiuta ancora accetta- re la sofferenza e assimilarla come una necessità del crescere umano, sapendola persino offrire per un bene più grande. La potenza della Croce di Gesù libera e guarisce. Diamo tempo alla nostra ferita di rimarginarsi, ma dia- mo anche tempo alla grazia di Dio di lavorare. Non sono i sentimenti feriti che devono ispirare il nostro agire, ma ciò che abbiamo scelto per amore di Cristo.

anno La via del perdono, - sangiuseppemelitops.it fileOccorre divenire consapevoli che non s iamo soli ... o µ} o o[]v }v }X La riconciliazione implica il coraggio di scommettere

  • Upload
    lynhi

  • View
    225

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

Periodico bimestrale stampato in proprio

della Comunità LA SORGENTE

[email protected]

mese di LUGLIO - AGOSTO anno 2016

La via del perdono,

come “compimento” della Divina Misericordia

Il perdono in genere o u atto i ediato, fa ile, spo ta eo, a l’esito di u lu go lavo o. E più g ave l’offesa i evuta, più tempo è necessario per perdonare. Per ogni coppia in particolare è un cammino da percorrere,

anche se spesso è doloroso. E’ o e u viaggio la ui desti azio e fi ale la spe a za di i o ilia si. Il perdono può essere concesso anche se non è stato richiesto e può riguardare anche persone che non si incontre-

ranno più nella propria vita, anche perché potrebbero essere decedute. Non sempre ’ isog o he l’offe so e sap-

pia he stato pe do ato, pe h il pe do o u atto p ivato e lo si può o ede e a he se l’alt o o e a o o-

scenza e perfino nel caso he l’alt o o sia d’a o do. Ma proviamo a percorrere insieme le tappe principali di questo cammino.

I dagare il cuore per rico oscere l’offesa, come si fa per pulire una ferita: occorre aprire, eliminare le spor izie, disi fetta e… dolo-rante. Occorre confrontarsi con la rabbia in modo da lasciarla andare senza alimentarla. Il perdono cristiano è possibile solo a coloro che at-ti go o i C isto la sapie za della C o e e l’e e gia dello “pi ito “a to. Quando il perdono si trascina o non si realizza, è la relazione con Cristo che è debole o malata. Prendiamo anche coscienza che vengono inve-stite elevate e e gie psi hi he pe fa f o te all’offesa. Pe sia o o quale forza il rancore che proviamo ci condiziona e quanto questo sin-tomo influenzi la nostra vita quotidiana.

Decidere di perdonare e affrontare il cambiamento. Il perdono non va confuso con la timidezza o la debolezza morale. Chi perdona ri-tiene che la scelta più giusta sia far cessare il risentimento che si prova pe l’alt o; i olt e esse e disponibili a considerare la possibilità del perdono non significa necessariamente dimenticare, ma fare in modo he l’offesa i evuta o p ovo hi più dolo e, pe s e pe l’alt o.

Ri o os e e i p op i e o i, se e e so o, può fa ilita e l’a issio e del torto da pa te dell’offe so e e pe ette all’offeso u a e o t au ati a a ettazio e del pe do o. “i u a-mente questo è un buon punto di partenza per reimpostare la relazione su basi più solide, che prevedano un codice di maggiore rispetto reciproco. Infine Impegnarsi a perdonare comporta la liberazione da un nemico in-te o, ostituito dall’odio. Esso, o e l’a o e, u se ti e to olto fo te, ea dipe de za e i hiede olte e e gie pe esse e soste uto. E’ di otevole aiuto hiede e al Pad e Celeste di i di arci la via che corrisponde al-la sua volontà e alla Vergine Maria di intercedere per potere giungere al vero perdono e alla liberazione dalla dipe de za dell’offesa.

Raggiungere il perdono e accettare la sfida. Una volta presa la decisione, per alleggerire il cammino è utile idefi i e l’i agi e dell’offe so e assu e do il suo pu to di vista, o side a do la sua sto ia pe so ale, valu-

tando le pressioni a cui è soggetto anche lui, riconoscendo il suo intrinseco valore umano. Aiuta ancora accetta-re la sofferenza e assimilarla come una necessità del crescere umano, sapendola persino offrire per un bene più grande. La potenza della Croce di Gesù libera e guarisce. Diamo tempo alla nostra ferita di rimarginarsi, ma dia-mo anche tempo alla grazia di Dio di lavorare. Non sono i sentimenti feriti che devono ispirare il nostro agire, ma ciò che abbiamo scelto per amore di Cristo.

Infine evitare di raccontare ad altri il male ricevuto vuol dire preservarsi dalla maldicenza e da quella particolare

forma di vendetta che è la rivincita verbale ed emotiva. La prudenza, guidata dalla carità, ci suggerirà di aprire il

nostro cuore a chi sappiamo essere operatore di pace, in Cristo.

Divenire consapevoli e riconciliarsi con se stessi. Solo di chi è capace di riconciliarsi con se stesso sarà ca-pace di riconciliarsi anche con gli altri. Satana cercherà di alimentare il risentimento attraverso la prostrazione, facendoci sentire falliti, e facendoci dubitare della promessa di perdono da parte di Dio. Nella parabola del Pa-dre Misericordioso, il fratello maggiore non voleva entrare perché sentiva vanificato tutto il suo impegno ad es-se e stato elle egole e o apiva l’a o da za d’a o e del pad e; se za e de se e o to, o ius iva a perdonarsi e trasferiva la colpa al padre. Occorre divenire consapevoli che non siamo soli, siamo inseriti in una ete di elazio i da a oglie e o e suppo to; isog a di hia a si l’a o e s isu ato di Dio e a oglie lo, o e

un dono!

Rico ciliarsi, aprire il cuore all’i co tro. La riconciliazione implica il coraggio di scommettere sulle persone, sulla elazio e o lo o, sulla fidu ia e sull’a o e. E’ a he is hioso, pe h può a he su ede e he hi ha of-feso s’i igidis a, ifiuta do il pe do o offe to. “e di o all’alt o he i ha ferito, ciò non deve essere in alcun

odo u a i ost a za, e sì u ’i fo azio e, affi h sappia o e il suo o po ta e to si iflette su di e. U ’alt a uestio e se si deve di e all’alt o he lo si pe do a. A volte si ili di hia azio i di pe do o so o u ’a usa, o p odu o o al u a i o iliazio e, e sì e do o il disa o do più p ofo do. E’ p ude te aspet-ta e il o e to e l’u o e giusto, fissa do u i o t o, o e oppo tu ità e o o e p etesa. Pa la do o or-e ost a e i te esse a uello he di e l’altro, senza mettere nulla per scontato, anzi esprimendo quello che si è o p eso dei suoi se ti e ti. E’ utile pa la e del futu o evita do di fa e p o esse he o si posso o a te-

nere. Se ci si vuole veramente riconciliare, occorre capire che i suoi sentimenti sono i "suoi" sentimenti, che tu sia d'accordo o meno. Dimostrare di avere ragione o torto è meno importante di dimostrare di tenerci a qualcu-no e su questo si può ricostruire una nuova relazione. Il perdono è sempre u ’espe ie za importante nei raporti interpersonali e particolarmente nella vita coniugale.

Tutto ricomincia e si rigenera. Ti a o vuol dire Ti offro l’a ore del Padre che ho i e!!!

Questo è stato il tema degli Esercizi Spirituali di quest’anno della Comunità, in-

sieme ad altri amici che si sono aggregati. E siccome le cose belle bisogna passarle,

ne proponiamo una sintesi per offrire, ai lettori che non sono stati presenti,

un’opportunità di meditazione.

Io amo la calabria rubrica a cura di Rosaria e Basilio.

DESIDERIO DI COMUNIONE

“Padre santo, custodisci nel tuo nome colo-

ro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi.” (Gv 17,11) E’ questo il desiderio di Gesù, espresso nella preghiera dell’ultima cena, per i cristiani di allora e di oggi, perché figli dello stesso

Padre e fratelli nel suo nome: essere uniti

all’interno dell’esperienza ecclesiale, pur senza mortificare la ricchezza delle diver-

se peculiarità, per essere segno di concor-

dia e di amore reciproco per l’umanità da sempre lacerata da divisioni, lotte, guerre,

stermini di interi popoli. Il desiderio di Ge-

sù, è stato purtroppo, lungo i secoli, tradito

da noi cristiani e ha prodotto, all’interno della Chiesa di Cristo, lacerazioni profonde

che tuttora perdurano.

Il Suo desiderio di unità è stato ed è, per

grazia divina, nel cuore di tanti pontefici,

che sono stati protagonisti di coraggiosi e

significativi gesti pubblici, ispirati sicura-

mente dal profondo amore per Dio e per il

suo progetto di pace per il mondo; accanto

ad essi tanti santi e tante anime semplici,

per niente rassegnate al perpetuarsi di di-

visioni e inutili dispute teologiche, che con-

tinuano a pregare e a spendere la propria

vita perché possiamo essere, in Cristo, una

cosa sola.

E’ in questo contesto che acquista rilievo

l’esperienza dell’ Eremo dell’Unità a Gera-

ce, guidato da suor Mirella Muià ed in

particolare il suo libro, da poco pubblicato,

“Dall’Eremo – lettera ai fratelli delle Chiese

d’Oriente”.

E’ proprio nella nostra Calabria che nasco-

no segni di riconciliazione nei confronti di

fratelli da cui da secoli siamo separati.

Ne riportiamo di seguito alcuni cenni, pre-

si dalle pagini iniziali, invitando tutti ad

una lettura completa del testo.

Lettera ai fratelli delle Chiese d’Oriente

“Penso al giorno che ho iniziato a scrivere

una lettera ai fratelli delle chiese orientali, come se fossero amici e conoscenti persi di

vista per tanto tempo. Per scrivere bisogna destinare. A volte i destinatari sono pre-

senze familiari, o anche solo immaginate come tali – ma in questo caso, non lo sono.

Dall’inizio infatti scrivere è stato per me come gettare una corda nel vuoto, senza

sapere se ci sarà qualcuno che ne afferrerà

il lembo, tenendola come un passaggio

sull’abisso. Ho scritto così – anzi, direi: ho scritto per questo. Ho desiderato gettare la

corda della condivisione, come quando ci si trova a mensa con degli sconosciuti, una

mensa tanto vasta da coincidere con il ma-re che separa questa costa della Calabria

jonica dalle coste greca, turca, siriaca, pa-lestinese, egiziana ... le sponde da cui, secoli

fa, sono approdati qui i monaci perseguita-ti, come i migranti di oggi, e hanno trovato

rifugio sui monti e nelle grotte. Questo è stato per loro un paesaggio familiare, con

le asprezze calcaree e rocciose, gli anfratti, e le macchie della vegetazione sulle rive

dei torrenti e sui monti. Sprazzi di deserto, di oasi, di giardini irrigati, di pietra. Que-

sti padri, qualunque fosse il motivo della persecuzione da cui fuggivano, hanno ri-

trovato qui le grotte e le cime da cui veni-vano, segnandone le pareti di pietra con

croci siriache, copte, bizantine. La condivisione richiede qualcosa da con-

dividere. Questa è la materia della vita

quotidiana fatta di preghiera, lavoro, ac-

coglienza. Il lavoro e l’accoglienza non hanno bisogno di essere raccontati, e la

preghiera, nella sua essenza più intima, è segreta e spesso senza parole.

Così il tutto già scritto, in risonanza con la lettura quotidiana della Bibbia, è approda-

to in questo luogo, confluendo nel solco già preparato: questa lettera ai fratelli delle

chiese orientali.

Non ho smarrito in questi anni il senso del

luogo e della storia: sono a mensa, una mensa grande come tutto questo mare Jo-

nio, e porto con me le briciole del pane di questi ultimi anni della mia vita. Lo porto

perché credo che su questa mensa sarà tra-sformato in comunione da Colui che chia-

ma da tempo tutti quelli che come me si affacciano a questo orizzonte.

Non avrei questa speranza, se sapessi di consegnarlo così com’è nelle mani di altri

commensali, uomini e donne come me,

spesso svuotati di speranza, e soprattutto segnati dalle ferite della reciproca diffi-

denza. Ma ho questa ferma fiducia perché lo porto nelle mani di Colui che moltiplica

spezzando e distribuendo, e più spezza più distribuisce. Questa è infatti la moltiplica-

zione: quello che per me, per noi, è una se-parazione, una sottrazione, una frattura, è

in verità chiamato a diventare, nel segno

scandaloso della divisione, ciò che unisce e

vivifica insieme tutte le membra sparse sulla terra...” Penso a voi nei vostri monasteri “Mi siedo e prendo il quaderno per scrive-

re, perché penso a voi, fratelli e sorelle or-todossi, nei vostri monasteri, e questo mi

spinge a scrivervi. Sono le undici, è ora di lavoro. Io ho lasciato i pennelli per il qua-

derno, e questo non è certamente un lavo-

ro. Ma è una fatica, quella di sempre, quel-

la che tende con tutte le forze a stabilire un contatto, un dialogo, una relazione che

non c’è. (...) Forse tu, fratello o sorella che stai lavo-

rando nel tuo monastero, sei tra quelli che mi chiamano eretica. Forse anche per te e i

tuoi fratelli noi cattolici di occidente siamo eretici.

Non torniamo indietro ad esaminare la

storia, perché non sapendo farlo con cuore puro ne saremmo nuovamente scandaliz-

zati. Ma consideriamo soltanto questo: non vi è eresia in chi professa il credo degli

apostoli. Se si tratta poi di qualche parola su cui inciampiamo non possiamo ignora-

re, oggi, che la diversità dei linguaggi ci ha portati ad accusarci reciprocamente solo

perché non abbiamo capito che una stessa parola aveva significati diversi sulle due

sponde, e abbiamo chiamato questa diver-sità “eresia”. Ma guardiamo il Signore che viene. Nella sua luce siamo illuminati a misura della

nostra compassione per i nemici. E il nemico è spesso colui che non com-

prendo e che non mi comprende. L’unico comandamento di Gesù è quello dell’amore e l’unica nostra credibilità è quella dell’a-more. Non abbiamo oggi e non avremo al-

tro da confessare un giorno. Quando vi è indurimento nelle ostilità,

quando vi è risentimento e rifiuto di per-

dono, non vi è soltanto rifiuto dei fratelli e

negazione della consanguineità: vi è rifiuto dell’amore trinitario. Il Signore ci ha insegnato a pregare do-nandoci il Padre Nostro. In esso ci racco-

manda il perdono come ancora di salvezza per noi. Vi sono state e vi sono sempre fra

noi figure luminose di perdono e di amore dei nemici. Prego incessantemente lo Spiri-

to Conso-latore perché

purifichi la nostra me-

moria e faccia dilagare come un fuoco il loro

esempio e il loro mes-saggio, che è puro van-

gelo, nient’altro che van-gelo.”

(Le foto si riferiscono al Monastero di Bivongi )

In occasione dell’imminente festa, pubblichiamo alcune

note particolari sulla vita di…

San Gaetano Catanoso

Parroco, padre, riparatore. Gaetano Catanoso è nato a Papisca di Chorio

(RC) il 14 febbraio 1879. I suoi genitori erano

proprietari terrieri e il ragazzo crebbe in una

famiglia ricca di fede e di figli.

In Seminario, i superiori temono che non ar-

rivi all’altare, ma lui, stupendo tutti, cresce in

modo così brillante che dirà di se stesso: "An-

che l’asinello ce l’ha fatta". È ordinato sacer-

dote a Reggio Calabria il 20 settembre 1902.

E’ così contento quel giorno che esclama: "O parenti, e amici chiamati a prender parte

alla mia festa, pregate il Cuore di Gesù che mi

renda santo".

Giura di non commettere mai alcun peccato

deliberato né mortale né veniale e di stare al-

la presenza di Dio ogni istante della sua vita.

Nel 1904, a soli 25 anni, è parroco a Pentidat-

tilo, un piccolo borgo sull’Aspromonte, dove rimarrà fino al 1921. E’ innamorato di Dio e,

dopo aver celebrato ogni S. Messa, centro della sua giornata e della sua vita, trascorre gran parte

del suo tempo in chiesa, in adorazione a Gesù Eucaristico.

Confessa a lungo, ogni giorno, e presto si rivela un ottimo Direttore Spirituale: non vengono sol-

tanto i parrocchiani al suo confessionale, ma molti dei dintorni e da lontano, anche molti confra-

telli sacerdoti. Si dedica con amore di padre alla sua gente, ai bambini e ai ragazzi, agli anziani,

ai malati, ai più poveri. Istruisce i giovani con una scuola serale gratuita, chiama i fedeli a pren-

der parte alla S.Messa, in modo consapevole e fervoroso. E’ inviato a predicare missioni e a con-

fessare in altre parrocchie della diocesi e fuori diocesi. Diventa la guida di tanti sacerdoti, di reli-

giosi e di suore, di anime consacrate.

Nel 1915, quando già gode fama di santità, inizia a stampare un periodico per i consacrati: "L’ora eucaristica sacerdotale". Nel 1918, incontra don Luigi Orione, che si era distinto per la sua carità

durante il terremoto di Messina e Reggio Calabria, e s’infiamma di nuovo zelo apostolico.

Nell’agosto 1843, Papa Gregorio XVI a Roma ha istituito la Confraternita del Volto Santo di Gesù,

al fine di riparare le offese contro di Lui, soprattutto la bestemmia. Così il 27 ottobre 1845, nasce a

Tours il movimento della riparazione al Volto Santo di Gesù. Don Gaetano ne viene a conoscenza

e nel 1918 si iscrive al sodalizio dei Missionari del Santo Volto di Tours.

L’anno seguente erige nella sua parrocchia la Confraternita del Santo Volto: "Uniamoci nella de-

vozione al Volto Santo, per riparare i nostri peccati, in primo luogo la bestemmia e la profana-

zione della festa, per la conversione dei peccatori. Vogliamo diventare anime riparatrici, contri-

buire al trionfo della Chiesa, partecipare alle sublimi ricompense promesse da Nostro Signore".

Come Veronica per Gesù. Dal 1921 è parroco di S.Maria della Purificazione a Reggio Calabria. Nella sua parrocchia realiz-

za un centro irradiante di vita eucaristica, divulgando con ogni mezzo l’amore al Volto Santo di Gesù, adorato nella Santissima Eucaristia, sua presenza reale e Sacrificio al Padre, servito nei

fratelli più poveri. Continua la sua itineranza di predicatore per la diocesi e per la Calabria. At-

torno a lui nasce un vasto sodalizio di anime.

È cappellano delle carceri e dell’ospedale di Reggio, Direttore Spirituale del Seminario diocesano,

poi canonico penitenziere in Cattedrale. Nelle sue predicazioni attraverso l’Aspromonte, incontra numerosi ragazzi che non possono realizzare la loro vocazione sacerdotale per mancanza di mez-

zi: don Gaetano dal 1921 fa nascere l’Opera “Vocazione per i chierici poveri” e ne conduce diversi

al sacerdozio. Nel medesimo tempo, progetta un’altra grande opera. Nel 1934, benché già minato nella salute, ma indomabile per il suo amore a Dio e per il suo zelo per la salvezza delle anime,

fonda una famiglia religiosa votata alla preghiera riparatrice, all’evangelizzazione e all’assistenza della gioventù, a cominciare dall’infanzia, degli anziani, raggiungendo paesi sper-

duti di montagna, privi di strade e abbandonati sotto ogni aspetto.

Nascono così le Suore Veroniche del Santo Volto di Gesù, perché "come la Veroni-

ca asciugò il Volto piagato di Gesù sulla via del Calvario, esse lo adorino, e lo

amino perdutamente nell’Eucaristia e gli asciughino le lacrime e le piaghe nei più poveri e nei più soli". Tutti ormai lo chiamano "Padre": è davvero il Padre delle anime, dei sacerdoti, dei consacrati e

anche dei peccatori. Lo leggono con attenzione sul suo bollettino “Il Volto Santo” da cui imparano la sua spiritualità e il suo stile di vita. Lo ascoltano nella sua predicazione semplice e ardente.

Trovano consolazione e coraggio dalla sua affezione alla Madonna, da lui amata e seguita soprat-

tutto nel messaggio da Lei rivelato a La Salette, nel 1846, con l’invito forte alla conversione dal peccato, alla riparazione dei peccati dell’umanità, al ritorno continuo a Dio. Anche i suoi Arcivescovi, da quello che lo ha ordinato a Mons. Giovanni Ferro, giunto in diocesi

nel 1950, lo guardano con ammirazione e venerazione, come guida e Padre Spirituale amabile e

autorevolissimo: sarà Mons. Ferro ad approvare il 25 marzo 1958, le Suore Veroniche e ad acco-

gliere l’ultimo progetto di don Gaetano: la costruzione del Santuario del Volto Santo che dovrà di-

ventare, secondo le sue parole, "il centro dell’adorazione perpetua e della riparazione contro la be-

stemmia e la profanazione della festa".

Tabernacolo vivente. La sua predicazione, i suoi scritti sono un mare di luce e di amore, più splendente del mare che

circonda la sua terra. "Se vogliamo adorare il Volto Santo di Gesù e non solo la sua immagine,

questo Volto noi lo troviamo nella divina Eucaristia, dove nel Corpo e nel Sangue di Gesù, si na-

sconde il Volto di Nostro Signore, sotto il bianco velo dell’Ostia santa". "Non lasciate passare un giorno senza aver parlato del Volto Santo. Fate comprendere il dovere della riparazione e la vo-

stra parola sia come il lievito che fermenta la farina". "Amate Gesù Sacramentato. Non lo dimen-

ticate mai. Non lo lasciate solo nel Tabernacolo, andate a visitarlo. Non è l’immagine di Nostro Signore, come l’immagine di un santo, ma è la realtà: Gesù vivo in Corpo, Sangue, Anima e Divi-

nità. Andate, parlate con Gesù, discorrete con Gesù, vivete di Gesù, consolate Gesù, fate tutto con

Gesù, allora porterete Gesù alle anime". "Pregate la Madonna. Quando la Madonna si volle mani-

festare afflitta e amareggiata, comparve con il Rosario in mano. Non dimenticate Lourdes, La Sa-

lette, Fatima. La Madonna parla anche di grandi castighi e chiede preghiere e penitenza. Conso-

liamo il Cuore della Mamma. Amate la Madonna e nella vostra vita sarete felici".

Nella sua lunga vita, le difficoltà e le umiliazioni non gli sono mai mancate, ma lo sostiene una

fede eroica nel Signore Gesù, ogni giorno più amato e vissuto fino all’identificazione con Lui: "Non scoraggiatevi, il Signore ci vuole tanto bene, le sofferenze passano, il premio per il Cielo ri-

mane. Coraggio e avanti nel Signore".

P.Gaetano Catanoso va incontro a Dio al sorgere del 4 aprile 1963, giovedì della Passione del Si-

gnore. Chi lo conosce, lo definisce una luce che brillava, la bontà in persona, un tabernacolo viven-

te di Dio. "Lo trovavo sempre con il Rosario in mano", dirà di lui il suo Arcivescovo Mons. Ferro.

La sua fama di santità dilaga, confermata dalla prodigiosa guarigione di una Suora, avvenuta il

giorno stesso della sua morte.

Nel 1997 Papa Giovanni Paolo II lo iscrive tra i beati, e Papa Benedetto XVI lo proclama santo.

Il bambino partito sull’asino per farsi prete, è giunto alla gloria degli altari e ad una straordina-

ria irradiazione di Verità e di luce sul nostro tempo: anche oggi, più che mai, siamo assetati di

Dio e cerchiamo il Volto Santo di Gesù, il Figlio suo, nostro Salvatore, unico Salvatore.

Ubaldo

nei mesi di luglio e agosto 2016 festeggiano…

il compleanno: sabato 9 lug Ascenzio lunedì 11 lug Chiara

mercoledì 13 lug Daniela lunedì 1 ago Mimmo

martedì 2 ago Mario A. giovedì 25 ago Rosellina

martedì 30 ago Sara

l’onomastico: giovedì 7 lug don Claudio , Claudio V.R. e Claudia Durante

sabato 9 lug Letizia venerdì 22 lug Sr Maddalena

lunedì 8 ago Mimmo e Mimma giovedì 11 ago Chiara A.

martedì 23 ago Rosellina

l’anniversario di matrimonio: venerdì 8 lug Giuseppe e Letizia (11 anni)

venerdì 8 lug Stefano e Lucia (10 anni)

sabato 16 lug Basilio e Rosaria (42 anni)

mercoledì 3 ago Ubaldo e Rita (33 anni)

lunedì 8 ago Mimmo e Mimma (20 anni)

l’anniversario di sacerdozio: giovedì 30 giu don Pierre e don François (4 anni)

sabato 2 lug don Nino R. (11 anni)

piccole note sulla vita dei santi… rubrica a cura di Ubaldo

6 luglio S. Maria Goretti Emblema: palma. Patrona di Latina. Protettrice delle ragazze. Vergine e martire, nasce a Corinaldo (AN) nel 1890 e muore a Latina nel 1902. Alla morte del padre Maria dovette accudire ai suoi fratelli, dato che la madre doveva an-dare a lavorare i campi. Questa vita portò la bimba a maturare alla svelta. Maria non ebbe né giochi né scuola, rimase analfabeta, ma seppe le cose rivelate ai piccoli e nascoste ai sapienti. Sollecitava i fratellini a recitare le preghiere del mattino e il rosario la sera: la religiosità vissuta tra le pareti domestiche che don To i o Bello hia e à La hiesa del g e iule .

Mentre si trovava a casa da sola a cucire la camicia del giovane Alessandro Serenelli, si vi-de apparire il giovane che la invitò ad entrare in casa. Visto il rifiuto di Maria, la trascina

dentro e tenta di mette le le a i addosso; Ma ia si dife de g ida do: Alessa d o he fai? Così vai all’i fe o . E alle g ida di aiuto il giova e gli i fie is e olpi di pu te uolo al ve t e. All’ospedale i edi i te ta o u i utile in-tervento chirurgico. Prima di morire il suo pa o o le hiede se può pe do a e il suo assassi o e Ma ia ispo de “i, pe a o e di Gesù lo pe do o e voglio he ve ga vi i o a e i Pa adiso . Nel giu ileo del 9 sa à p o la ata “a ta, i uell’o asio e il Papa la defi ì pi ola e dol e martire della purezza .

14 luglio S. Camillo De Lellis Patrono dell’A bruzzo. Protettore dei malati, infermieri e ospedali. Nato a Bucchianico nel 1550, muore a Roma nel 1614. Camillo, un gigante di forza, di coraggio, di carità, di dolcezza, era il secondo figlio, atteso per molto tempo, dei nobi-li Giovanni de Lellis e Camilla de Compellis. Fu un fanciullo vivace e irrequieto, imparò a leggere e a scrivere allorché a tredici an-ni gli morì la madre. Alle cure del padre, militare di carriera negli eserciti spagnoli, cominciò a frequentare le compagnie dei soldati, imparandone linguaggio e pa ssa-tempi, fra i quali il gioco delle carte e dei dadi. Preparatosi anche nel mestiere, men-t e si stava a uola do ell’ese ito della Lega sa ta , improvvisamente gli morì il pad e Giova i, ol uale doveva i a a si. All’eve to luttuoso seguì la o pa sa di una dolorosa ulcera purulenta alla caviglia destra, forse da osteomielite. Ciò costrinse Ca illo a e a si a Ro a pe il suo t atta e to all’ospedale San Giacomo degli Incu-rabili. Fu congedato nel 1574, perse ogni suo avere al gioco e fu accolto dai Cappuc-

cini di San Giovanni Rotondo. Le buone parole di un frate di quel convento e la grazia del Signore trasformavano il cuore e la vita di quello sbandato ormai quasi venticinquenne e nel febbraio 1575 avvenne la conversione. La piaga, che intanto si andava estendendo alla gamba, lo riportò al San Giacomo di Roma, dove, con ben altro spiri-to rispetto al primo ricovero, cominciò, più che a pensare a se stesso, a rendersi conto dello stato di abbandono e di miseria in cui si trovavano i malati, alla mercé di un personale indifferente e insufficiente. Si mise a servire i suoi compagni sofferenti e lo faceva in maniera così delicata e diligente che gli amministratori lo p o osse o espo sa ile del pe so ale e dei se vizi dell’ospedale. I ta to Ca illo t ovava il te po pe studia e e el 1584 veniva ordinato sacerdote a S.Giovanni in Laterano. In quel tempo esisteva a Roma il grande ospedale o arci-spedale di Santo Spirito, che Papa Innocenzo III aveva fondato nel 1204 come Hospitium Apostolorum e che proprio Sisto V aveva provveduto a rinnovare e ad ingrandire. Qui prese ben presto servizio Camillo con i suoi compagni e per ventotto anni egli ebbe ogni attenzione per quei malati, nei quali spesso contemplava misticamente Gesù Cristo stesso. Egli riuscì anche ad esigere che le corsie fossero ben arieggiate, che ordine e pulizia fossero costanti, che i pa-zie ti i evesse o pasti saluta i e he i alati affetti da alattie o tagiose fosse o posti i ua a te a. L’ul e a della caviglia non lo abbandonò mai e, dopo la comparsa di patologia renale e gastrica, egli morì il 14 luglio 1614. I suoi re-sti mortali restano sepolti nella piccola chiesa di Santa Maria Maddalena a Roma. Don Camillo de Lellis da Bucchianico venne beatificato nel 1742 e proclamato santo quattro anni dopo da Papa Be-nedetto XIV. Leone XIII lo dichiarò nel 1886 patrono degli infermi e degli ospedali; Pio XI lo proclamò patrono degli infermieri nel 1930 e Paolo VI, qualche decennio più tardi, protettore particolare della Sanità Militare Italiana.

26 luglio SS. Gioacchino e Anna La madre della Vergine, è titolare di svariati patronati quasi tutti legati a Maria; poiché portò nel suo grembo la speranza del mondo, il suo mantello è verde, per questo in Bretagna, dove le sono devotissimi, è invocata per la raccolta del fieno. Poiché custodì Maria come gioiello in uno scrigno, è patrona di orefici e bottai; protegge minatori, falegnami, carpentieri, eb anisti e tornitori. Poichè insegnò alla Vergine a pulire la casa, a cucire, tessere, è patrona dei fabbricanti di scope, dei tessitori, dei sarti, dei fabbricanti e commercianti di tele per la casa e biancheria. È soprattutto patrona delle madri di famiglia, delle vedove, delle partorienti; è invo-ata ei pa ti diffi ili e o t o la ste ilità o iugale. Il P otova gelo di sa Gia o-o a a he Gioa hi o, sposo di A a, e a u uo o pio e olto i o e a itava

vicino a Gerusalemme, nei pressi della fonte Piscina Probatica. Un giorno, mentre stava portando le sue abbondanti offerte al Tempio, come faceva ogni anno, il g a sa e dote Ru e lo fe ò di e dogli: Tu o hai il di itto di fa lo pe p i o, pe h o hai ge e ato p ole . Gioa hi o ed A a e a o sposi he si a ava o verame te, a o aveva o figli e o ai, data l’età, o e av e e o più avuti.

Secondo la mentalità ebraica del tempo, il gran sacerdote scorgeva nella sterilità la maledizione divina su di loro. L’a zia o i o pasto e, pe l’a o e he po tava alla sua sposa, o voleva t ova si u ’alt a do a pe ave e u fi-glio; pe ta to addolo ato dalle pa ole del g a sa e dote si e ò ell’a hivio delle dodi i t i ù di Is aele pe ve ifi a-re se quel che diceva Ruben fosse vero. Una volta constatato che tutti gli uomini pii ed osservanti avevano avuto figli, sconvolto non ebbe il coraggio di tornare a casa e si ritirò in una sua terra di montagna e per quaranta giorni e qua-a ta otti suppli ò l’aiuto di Dio f a la i e, p eghie e e digiu i. A he A a soff iva pe uesta sterilità; a ciò si ag-

giu se la soffe e za pe uesta fuga del a ito; ui di si ise i i te sa p eghie a hiede do a Dio di esaudi e la lo o i plo azio e di ave e u figlio. Du a te la p eghie a le appa ve u a gelo he le a u iò: A a, A a, il “i-g o e ha as oltato la tua p eghie a e tu o epi ai e pa to i ai e si pa le à della tua p ole i tutto il o do . Così av-venne e Anna partorì. Gioacchino portò di nuovo al tempio con la bimba, i suoi doni: dieci agnelli, dodici vitelli e cen-to capretti senza macchia. I pii genitori, grati a Dio del dono ricevuto, crebbero con amore la piccola Maria, che a tre anni fu condotta al Tempio di Gerusalemme, per essere consacrata al servizio del tempio stesso, secondo la promes-sa fatta da entrambi, quando implorarono la grazia di un figlio. Il culto di Gioacchino e di Anna si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente (anche a seguito delle numerose reli-quie portate dalle Crociate); la prima manifestazione del culto in Oriente, risale al tempo di Giustiniano, che fece co-struire nel 550 circa a Costantinopoli una chiesa in onore di S.Anna. Artisti di tutti i tempi hanno raffigurato Anna

uasi se p e i g uppo, o e A a, Gioa hi o e la pi ola Ma ia oppu e seduta su u a alta sedia o e u ’a ti a matrona con Maria a i a a a to, o a o a ella posa t i ita ia , io o la Mado a e o Gesù a i o, osì da indicare le tre generazioni presenti.

7 Agosto S. Gaetano da Thiene Patronato: fiducia nella Provvidenza. Nacque a Vicenza dalla nobile famiglia dei Thiene nel 1480 e morì a Napoli nel 1547. Laureatosi a Padova in materie giuridiche a soli 24 anni, si dedicò allo stato ecclesiastico, senza però farsi ordinare sacerdote, perché non si sentiva degno; fondando nel contempo nella tenuta di famiglia, a Rampazzo, una chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, che è anco-ra oggi la parrocchia del luogo. Prese ad assistere gli ammalati dell’ospedale di “a Gia o o, s’is isse all’O ato io del Divi-no Amore, associazione che si riprometteva di riformare la Chiesa partendo dalla base, il tut-to alternandolo con il lavoro in Curia. Nel settembre 1516, a 36 anni, accettò di essere ordi-

ato sa e dote, a solo a Natale di uell’a o, volle ele a e la prima Messa nella Basilica di Santa Maria Maggiore.

In una lettera scritta a suor Laura Mignani, a cui era legato da filiale devozione, Gaetano confidò che durante la cele-brazione della Messa, gli apparve la Madonna che gli depose tra le braccia il Bambino Gesù; per questo egli è raffigu-ato ell’a te e elle i agi i devozio ali o Gesù Ba i o t a le a ia. Ritornato nel Veneto, nel 1520 fondò al-

la Giude a i Ve ezia l’Ospedale degli I u a ili. Instancabile nel suo ardore di apostolato e di aiuto verso gli altri, ritornò a Roma e nel 1523 insieme ad altri tre com-pag i, hiese ed otte e dal papa Cle e te VII, l’auto izzazio e a fo da e la Co g egazio e dei Chie i i Regola i detti poi Teatini, con il compito specifico della vita in comune e al servizio di Dio verso gli altri fratelli. Le costituzioni

dell’O di e fu o o e a ate solo el . I suoi hie i i o devo o possede e ie te e o posso o ea he hie-de e l’ele osi a, devo o a o te ta si di iò he i fedeli spo ta ea e te off o o e di ua to la P ovvide za a da ai suoi figli; o le pa ole di Gesù se p e p ese ti: Ce ate p i a il eg o di Dio e la sua giustizia e tutte ueste ose vi sa a o date i aggiu ta . Nel pe vole e del papa Cle e te VII, si t asfe ì, el Vi e ea e di Napoli, sta ile dosi p i a all’Ospedale degli Incurabili, fondato in quel tempo dalla nobile spagnola Maria Lorenza Longo, insieme ad un convento di suore di lausu a, dette le T e tat , istituzioni ancora oggi felicemente funzionanti; e poi nella Basilica di S. Paolo Maggio-

re posta nel cuore del centro storico di Napoli, nella città greco-romana. La sua attività ultifo e si espli he à a Napoli fi o alla o te; fo dò ospizi pe a zia i, pote ziò l’Ospedale degli Incurabili, fondò i Monti di Pietà, da cui nel 1539 sorse il Banco di Napoli, il più grande Istituto bancario del Mezzo-giorno; suscitò nel popolo la frequenza assidua dei sacramenti, stette loro vicino durante le carestie e le ricorrenti epidemie come il colera, che flagellarono la città in quel periodo, peraltro agitata da sanguinosi tumulti. L’ope a he più l’aveva assillato ella sua vita, e a se za du io la ifo a della Chiesa, al o t a io del o te po a-

eo Ma ti Lute o, ope ò la sua ifo a dal asso ve so l’alto, fo a do il le o e dedi a dosi all’apostolato f a i po-veri, i diseredati e gli ammalati, specie se abbandonati. Egli venne beatificato il 23 novembre 1624 da papa Urbano VIII e canonizzato il 12 aprile 1671 da papa Clemente X. San Gaetano da Thiene è la testimonianza di quanto la Chiesa nei secoli, attraverso i suoi figli, sia stata sempre all’ava gua dia e o olto a ti ipo sul pote e lai o, el ealizza e, i ve ta e e gesti e ope e di assiste za i tutte le sue fo e pe il popolo, spe ie dove ’ soffe e za. E o osì i Mo ti di Pietà pe giusti p estiti ed elargizioni, l’istituzio e degli ospedali, o fa ot ofi, ospizi, le osa i, e . a ui ie i o e oggi i gove a ti più avveduti e o ostili, hanno dato il loro consenso o il prosieguo, anche se a distanza a volte di molto tempo.

15 Agosto SS. Maria Assunta

29 agosto S. Sabina martire Pat o a di Ro a. “’i vo a pe fa ve i e o essa e la pioggia. Santa Sabina è una martire del II secolo che trova ancor oggi, come per tutti i martiri, luo-ghi a lei dedicati, dove la si invoca come p otett i e. Olt e la Basili a dell’Ave ti o a Ro a, a lei è dedicata anche la comunità parrocchiale della Chiesa arcipretale di Trigoso (risalente ai primordi del Cristianesimo in Liguria, quasi certamente del VII sec.) antico borgo nelle vicinanze di Sestri Levante, ridente cittadina sul mare, la invoca e la festeggia come sua Pa-trona e chiede, con umile e devoto affetto, la sua intercessione sulla parrocchia e sulle fa-miglie. La implora di ottenere dal Signore il dono della preghiera, della vigilanza, della mor-tificazione e della fermezza e perseveranza nella fede e nel bene, ad imitazione della Sua Vita che fu segno della totale appartenenza a Dio. A lei è dedicato uno dei cinque altari, in stile barocco genovese. Possa Santa Sabina indicare a tutti la via della salvezza che trovia-

o solo i C isto e el a ti io uotidia o , che non è necessariamente quello vissuto da Santa Sabina, ma è il saper accettare non solo le nostre debolezze, limiti ed imperfezioni, ma soprattutto quelle di coloro che ci stanno accanto e che spesso vorremmo cambiare a nostro piacimento, non cercando tanto il volere di Dio ma il nostro, possibilmente vivendo una vita comoda e senza problemi. Gesù stesso però ci dice che per essere suoi discepoli bisogna prendere ogni giorno la propria croce e seguirlo.

Papa Francesco, come commento alla parabola del Buon Samaritano

"Gesù lo ripete a ciascuno di noi: «Va’ e anche tu fa’ così», fatti prossimo del fratello e della sorella che vedi in dif-ficoltà. “Va’ e anche tu fa’ così”. Fare opere buone, non solo dire parole che vanno al vento. Mi viene in mente quella canzone: “Parole, parole, parole”. No. Fare, fare. E mediante le opere buone che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto. Domandiamoci – ognuno di noi risponda nel proprio cuore – domandiamoci: La nostra fede è feconda? La nostra fede produce opere buone? Op-pure è piuttosto sterile e quindi più mor-ta che viva? Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Sono di quelli che selezionano la gente se-condo il proprio piacere?

Queste domande è bene farcele e farcele spesso, perché alla fine saremo giudicati sulle opere di misericordia. Il Signore po-trà dirci: Ma tu, ti ricordi quella volta sulla strada da Gerusalemme a Gerico? Quell’uomo mezzo morto ero io. Ti ricordi? Quel bambino affamato ero io. Ti ricordi? Quel migrante che tanti vogliono caccia-re via ero io. Quei nonni soli, abbandona-ti nelle case di riposo, ero io. Quell’ammalato solo in ospedale, che nes-suno va a trovare, ero io. Ci aiuti la Vergine Maria a camminare sulla via dell’amore, amore generoso ver-so gli altri, la via del buon samaritano. Ci aiuti a vivere il comandamento prin-cipale che Cristo ci ha lasciato. E’ questa la strada per entrare nella vita eterna."