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VENERDÌ 14 DICEMBRE 2012 5 Cultura Letti per voi Anna Folli L ' A M O R E E LA COLPA NEL ROMANZO DELLA ENRIGHT «IL VALZER DIMENTICATO» D a «Madame Bovary» in poi, l’adulterio è uno dei temi più sfruttati nella letteratura. Ep- pure «Il valzer dimenticato» di Anne Enright, dimostra ancora una volta che non è l’originalità del soggetto a ren- dere bello e coinvolgente un romanzo. Quando la trentenne Gina incontra per la prima volta Sèan ad una festa a casa della sorella, è innamorata di Conor, che sta per sposare. Eppure ricorderà per sempre quel rapido scambiarsi di sguardi che avrebbe finito per sconvol- gere la sua vita. Passeranno anni prima che tra loro accada davvero qualche co- sa. Con un racconto a ritroso, quando tutto si è già compiuto, Gina narra la storia del suo amore per Sèan. Ma la scrittrice irlandese che si era già fatta conoscere per «La veglia», con cui ha vinto da outsider il prestigioso Booker Prize, evita qualsiasi sentimentalismo. C’è tutto il corollario dei tradimenti nel romanzo della Enright: sensi di colpa, bugie, notti trascorse in auto fuori dalla casa dell’amante, lunghe attese di una telefonata che non arriva, struggente bisogno di avere accanto a sé la persona amata: «Tutte le cose normali che di- ceva mi ricordavano che non eravamo normali. Che eravamo normali solo per i cinque metri per sei di una camera d’albergo. Fuori, all’aria aperta, sarem- mo evaporati». Eppure nel romanzo della Enright non è soltanto la storia d’amore a contare. C’è un’Irlanda che, dopo gli anni del boom economico, sta precipitando nella crisi: «Si aveva la sensazione – scrive – che tutto il denaro del paese si fosse semplicemente vo- latilizzato, sembrava quasi di vederlo sollevarsi dai tetti come vapore». E c’è la misteriosa malattia di Evie, la figlia dodicenne di Sèan, «il bellissimo er- rore» che nella parte finale del roman- zo assume un’importanza fondamen- tale. Durante l’infanzia, è stata condan- nata a una via crucis di specialisti, fin- ché guarisce da sola e, forse, accetterà il nuovo legame del padre. Ma alla fine in Gina non c’è il trionfalismo di chi ha vinto: «Quando si arenò sulla mia so- glia alle due di notte – scrive la Enright - dopo chissà quale tempesta; quando infine si liberò di lei quella primavera e venne da me, non venne a vivere, ma soltanto a fuggire». Il valzer dimenticato Bompiani, pag. 273, 18,00 Mostra Opere a Alba alla Fondazione Ferrero fino al 27 gennaio Dall'avanguardia al vero Carlo Carrà, l'artista che da posizioni stilistiche e tematiche legate al futurismo e alla metafisica passò, con sensibilità classica, a una rinnovata attenzione per la realtà di Pier Paolo Mendogni H a attraversato la prima metà del Novecento la- sciando un segno profon- do nell’arte europea: Car- lo Carrà (1881-1966), pie- montese come l’insigne storico dell’arte Roberto Longhi, incontrato a Roma nel 1913 in una manifestazione del movi- mento futurista. Longhi aveva 23 anni, Carrà 32: il suo iniziale cammino d’ar- tista non era stato facile; orfano di ma- dre, a 12 anni aveva cominciato a lavo- rare a Valenza come garzone muratore con alcuni decoratori milanesi e nel con- tempo la sua passione per il disegno, per il quale era dotatissimo, lo portava a fre- quentare le scuole serali. Quando i de- coratori tornavano a Milano (1905), li seguiva e si iscriveva alle serali di Brera, frequentando nel tempo libero musei e gallerie, dove scopriva il divisionismo di Segantini e Previati. In occasione dell’al- lestimento dell’Esposizione Universale a Parigi (1900), vi si recava al seguito di un amico stuccatore che aiutava nel la- voro e ne approfittava per frequentare il Louvre e altri musei e conoscere la nuo- va pittura di Renoir, Cézanne, Monet, Gauguin; la curiosità lo spingeva a Lon- dra a scoprire la pittura di Turner e Con- stable. Tornato a Milano con una ricca esperienza internazionale, si iscriveva all’Accademia di Brera al corso di pit- tura di Cesare Tallone e intensificava le sue letture passando dai filosofi (Plato- ne, Tommaso Moro, Campanella) ai poeti (Poe, Leopardi). E verso la fine del primo decennio del secolo iniziava un percorso di una brillante vivacità che lo portava ad accostare i nuovi movimenti più significativi della cultura figurativa, interpretandoli però con autonomia e ricercando sempre un rapporto armo- nico tra forma e colore. Un percorso ef- ficacemente rappresentato attraverso una ottantina di opere - «molte delle quali vere e proprie icone dell’arte del '900» - nella splendida mostra antolo- gica allestita ad Alba alla Fondazione Ferrero (fino al 27 gennaio) a cura di Maria Cristina Bandera, come il ricco catalogo edito da 24 ore cultura. L’esor- dio è commovente: il suo primo disegno firmato è dedicato con affettuosa ma- linconia alla «strada di casa» che dovrà lasciare per il lavoro a Milano, dove è attratto dal divisionismo che frantuma in tessere gioiose un paesaggio del Biel- lese («Meriggio a Sagliono» 1908). A Mi- lano Carrà frequenta quegli artisti, co- me Russolo e Boccioni, che sostengono la necessità di un radicale rinnovamen- to della pittura in senso anticlassico e in grado di recepire i cambiamenti tecno- logici e sociali. In un incontro con Ma- rinetti nasce l’idea del Manifesto del Fu- turismo. Nei quadri si affrontano tema- tiche sociali e il divisionismo si allunga in pennellate filamentose che danno l’idea del movimento, come nella «Sta- zione di Milano» e soprattutto nel po- lemico «Movimento del chiaro di luna» con una Venezia sciabolata di luci elet- triche. Altra opera emblematica del Fu- turismo è l’esaltazione dinamica del tram in «Ciò che mi ha detto il tram» dove il divisionismo è ormai superato. Nel viaggio a Parigi, Carrà viene a con- tatto col cubismo analitico di Picasso e Braque che lui fonde col futurismo ne «La donna e l’assenzio» (1911), tema ca- ro a molti artisti, e nei «Ritmi di og- getti» in cui esalta la dinamicità. La ri- scoperta degli artisti del Tre e Quattro- cento col loro linguaggio semplificato mette Carrà in contrasto con gli altri fu- turisti che disconoscevano il passato; nasce in lui il «fortissimo desiderio di identificare la sua pittura con la storia dell’arte italiana». La forma ricompare, semplificata, con la sperimentazione dei collages cubo-futuristi («Il fiasco», «Composizione»). Con «La ballerina del San Martino» si avvicina al primitivi- smo parigino di Picasso e Modigliani. La guerra lo conduce come militare a Fer- rara dove incontra De Chirico, Savinio e De Pisis e si appassiona alla metafisica, creando vari capolavori tra cui «La mu- sa metafisica» dove recupera «i valori pittorici e prospettici della tradizione italiana» ponendo una ragazza con la racchetta da tennis al centro di una stanza definita con una simbolica spa- zialità come ritroviamo in «Penelope» (1917) in cui lo spazio si fonde con una forma plastica cubo-futurista. Tornato a Milano dopo la guerra, Carrà, che fre- quenta i maggiori poeti, artisti e musi- cisti, sente «nuovi impulsi» che lo por- tano ad uscire dalle introspezioni sog- gettive ed aprirsi alla natura, al vero. Opera emblematica di questa trasfor- mazione è il celebre «Pino sul mare» (1921), rappresentazione mitica della natura, definito da Longhi «impressio- nismo metafisico». L’atmosfera resta si- lenziosa nella «Marina a Moneglia» che si intride però di una più sciolta e lirica libertà espressiva. E’ questa la strada che l’artista percorrerà con coerenza creando opere indimenticabili come «L’attesa» (1926), immersa in una col- lina toscana di silenziosa tenerezza, gli azzurri paesaggi marini di Forte dei Marmi ancora deserta. Negli anni Tren- ta i suoi soggetti acquistano una solida plasticità, in consonanza col Novecen- tismo, e le sue tematiche si allargano an- che allo sport (calciatori, pugili). Il viag- gio nel Meridione (1936) gli fa ritrovare una sonora luminosità che avvolge i paesaggi e trova un’eco nelle opere suc- cessive fino alla delicatissima, impalpa- bile «Natura morta» terminata pochi giorni prima della sua scomparsa. «Non abbiamo altro in nostro potere che giustizia, verità, sincerità» Dalai Lama Profilo Tra i suoi dipinti indimenticabili «L 'attesa», «Pino sul mare» e «Donna sdraiata» Narrativa «Il capanno dell'impiccato» Enigmi in Sardegna nel nuovo giallo di Pietro Ronchini Dopo «Delitto al Maretto» l'autore parmigiano torna a una vicenda poliziesca Giuseppe Marchetti II Dopo «Delitto al Maretto» del 2011, il parmigiano Pietro Ronchini penetra ancora più a fondo nel tessuto del «giallo» con «Il capanno dell'impic- cato» che, pubblicato da Fidelo's Edi- trice, ci permette di capire meglio l'ar- te di questo narratore parmigiano che si scopre indagatore ancor prima di offrirsi come romanziere. Se attorno al «Delitto del Maretto», che ha avuto un meritato successo di lettori, si coagu- lava la memoria di un rito collettivo e di una complessa ricognizione dei sen- timenti e dei comportamenti umani, dentro il «Capanno» ambientato in Sardegna, si muovono due anime: la prima, è quella di Rocco Pietrini; la seconda, invece, è tutta riversata sui comprimari suoi di «detective auto- didatta». Nell'intreccio, il caso ci guadagna e la pasta del romanzo lievita portando la figura di Rocco a confrontarsi con quelle di Remedia, di Niccolò, del ca- pitano dei carabinieri Sorrentino, del maresciallo Dessena e di altri perso- naggi che compaiono sulla scena a vol- te come ombre (e qui il racconto sfu- ma) e a volte, invece, con netti profili (e qui il romando diventa narrazione acutamente psicologica). Ronchini, da abile fotografo quale è, non fa mai la foto in primo piano, tiene nascosti gli angoli, se possiamo espri- merci così, e ci somministra infiniti ritagli di particolari attraverso i suoi dialoghi ora tristi e dubbiosi, ora pia- cevolmente divertenti, ora quasi di- stratti rispetto al nucleo delle vicende e alle risposte degli interlocutori come ci viene narrato, ad esempio, nel ca- pitolo «Tutto accade a Ispinigoli» do- ve in qualche modo il narratore rias- sume a favor nostro gli estremi delle indagini e degli indagati. Occorre aggiungere anche che Ron- chini si porta dietro una sua partico- larissima e convinta quota di parmi- gianità, il suo istinto, infatti, gli sug- gerisce - specialmente quando fa agire e parlare il Folli - di non abbandonare mai il ricordo della sua città che non è affidato soltanto ai riferimenti al «Giornale di Parma», bensì ad un buon senso tutto locale, amabilmente furbo e disincantato, tipico della no- stra gente. Anche sotto questo aspetto «Il capanno dell'impiccato» è un rac- conto deliziosamente intriso di spa- valderia e di commozione, senza che la seconda mai prevalga o travolga la pri- ma. Il capanno dell'impiccato Fidelo's editrice, pag. 236, 14 Scrittore e fotografo Pietro Ronchini In esposizione Carlo Carrà, «Donna sdraiata». Arte «Michelangelo Assoluto», volume a cura di Alessandro Vezzosi con saggi di autorevoli studiosi Buonarroti, luce del Rinascimento Alberto Brambilla II Torna ogni giorno alla ribalta il nes- so fra storia e cultura, componente es- senziale dell’identità italiana. Che si è lentamente formata nei secoli e poi ha avuto come un’accelerazione improv- visa nei decenni formidabili che gli storici chiamano, non a caso Rinasci- mento. Le migliaia di turisti che quotidia- namente affollano i musei di Firenze o di Roma e che poi sciamano nei co- siddetti «centri minori», sono ancora oggi alla ricerca di quella luce, di quell’intuizione miracolosa che ha cambiato il mondo, unendo genio e bellezza. Tra i grandissimi di quel pe- riodo non si può non annoverare Mi- chelangelo Buonarroti, scultore, pit- tore, architetto, insomma: genio. Sono molti gli omaggi già tributati all’altis- simo artista, ma non è da meno il vo- lume «Michelangelo Assoluto» che per la ricchezza e l’originalità dei con- tenuti, l’autorevolezza degli studiosi coinvolti e lo spettacolare impianto iconografico si propone come impre- scindibile strumento per la conoscen- za di Michelangelo. Parliamo di un ve- ro e proprio monumento di carta in cui la qualità scientifica si coniuga con la leggibilità del testo, corredato da una ricchezza illustrativa che lascia sba- lorditi. Il volume è parte della presti- giosa collana «Rinascimento Subli- me», pubblicata dalla valorosa Casa editrice emiliana Scripta Maneant, e si avvale di un’autorevole introduzione di Carlo Pedretti e Claudio Strinati, che non si sono limitati a presentare i con- tenuti del libro, ma hanno indicato al- cuni punti nodali dell’opera del Buo- narroti, indicando alcuni inediti per- corsi di ricerca. L’analisi dell’intera opera michelangiolesca avviene su bi- nari molteplici, abilmente guidata dal curatore Alessandro Vezzosi, che ha privilegiato aspetti inediti o trascurati nella conoscenza dell’opera di Miche- langelo, della sua vita e della sua at- tualità. L’opera si avvale di specialisti della complessa materia, come Marina Mattei che nel suo saggio riconsidera tutte le opere dell’artista per compren- dere ed evidenziare i valori di Roma e della classicità che il Buonarroti in- terpretò nei contenuti e nei concetti, in termini di geniale innovazione. Gabriele Morolli svolge un’origina- le rivisitazione dell’architettura di Mi- chelangelo, soprattutto nel suo perio- do mediceo, che giunge a «novità for- mali assolute» e «all’inquietante gra- zia più risoluta». Lucilla Bardeschi Ciulich affronta invece l’affascinante e fondamentale percorso del pensiero e della scrittura poetica di Michelangelo, mentre Rab Hatfield si sofferma su alcuni momen- ti della vita pratica del sommo mae- stro, in specie sui suoi guadagni, re- stituendo così l’artista e l’uomo in tutta la sua umanità da un angolo di visuale insolito e pur tuttavia così significa- tivo. La documentazione fotografica, grazie all’utilizzo di eccezionali archivi come la Scala e quello dei Musei Va- ticani, compone uno spettacolare rac- conto visivo che documenta e insieme stimola la lettura, presentando quasi ad ogni pagina delle spettacolari im- magini, che consentono di interpre- tare nei dettagli opere complesse come la Cappella Sistina. Eccezionale anche il capitolo fotografico di Aurelio Amendola (significativamente intito- lato Il respiro della materia), che pro- pone un Michelangelo mai visto, di alta poesia. Ma sono questi solo alcuni pregi di un volume di grande formato davvero prezioso (per altro stampato in tira- tura limitata a 1999 esemplari), splen- dido anche nella sua veste esteriore, curata artigianalmente fin nei minimi particolari. Esso diventerà certamente uno strumento indispensabile per le Università, i Musei e gli istituti di ri- cerca, ma potrà diventare anche un regalo prezioso per i singoli studiosi, per gli amanti dell’arte e del bello. Un’idea interessante e stimolante per il prossimo Natale. Michelangelo Assoluto Scripta maneant, pag. 416, s.i.p. Cappella Sistina «La creazione di Adamo» (particolare).

Anna NEL ROMANZO Folli - Scripta Maneant...II Dopo «Delitto al Maretto» del 2011, il parmigiano Pietro Ronchini penetra ancora più a fondo nel tessuto del «giallo» con «Il capanno

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  • VENERDÌ 14 DICEMBRE 2012 5

    CulturaLetti per voi

    AnnaFolli

    L' A M O R EE LA COLPANEL ROMANZODELLA ENRIGHT«IL VALZERDIMENTICATO»

    Da «Madame Bovary» in poi,l’adulterio è uno dei temi piùsfruttati nella letteratura. Ep-

    pure «Il valzer dimenticato» di AnneEnright, dimostra ancora una volta chenon è l’originalità del soggetto a ren-dere bello e coinvolgente un romanzo.Quando la trentenne Gina incontra perla prima volta Sèan ad una festa a casadella sorella, è innamorata di Conor,che sta per sposare. Eppure ricorderàper sempre quel rapido scambiarsi disguardi che avrebbe finito per sconvol-gere la sua vita. Passeranno anni primache tra loro accada davvero qualche co-

    sa. Con un racconto a ritroso, quandotutto si è già compiuto, Gina narra lastoria del suo amore per Sèan. Ma lascrittrice irlandese che si era già fattaconoscere per «La veglia», con cui havinto da outsider il prestigioso BookerPrize, evita qualsiasi sentimentalismo.C’è tutto il corollario dei tradimenti nelromanzo della Enright: sensi di colpa,bugie, notti trascorse in auto fuori dallacasa dell’amante, lunghe attese di unatelefonata che non arriva, struggentebisogno di avere accanto a sé la personaamata: «Tutte le cose normali che di-ceva mi ricordavano che non eravamo

    normali. Che eravamo normali solo peri cinque metri per sei di una camerad’albergo. Fuori, all’aria aperta, sarem-mo evaporati». Eppure nel romanzodella Enright non è soltanto la storiad’amore a contare. C’è un’Irlanda che,dopo gli anni del boom economico, staprecipitando nella crisi: «Si aveva lasensazione – scrive –che tutto il denarodel paese si fosse semplicemente vo-latilizzato, sembrava quasi di vederlosollevarsi dai tetti come vapore». E c’èla misteriosa malattia di Evie, la figliadodicenne di Sèan, «il bellissimo er-rore» che nella parte finale del roman-

    zo assume un’importanza fondamen-tale. Durante l’infanzia, è stata condan-nata a una via crucis di specialisti, fin-ché guarisce da sola e, forse, accetterà ilnuovo legame del padre. Ma alla fine inGina non c’è il trionfalismo di chi havinto: «Quando si arenò sulla mia so-glia alle due di notte –scrive la Enright -dopo chissà quale tempesta; quandoinfine si liberò di lei quella primavera evenne da me, non venne a vivere, masoltanto a fuggire».�

    �Il valzer dimenticatoBompiani, pag. 273, €18,00

    Mostra Opere a Alba alla Fondazione Ferrero fino al 27 gennaio

    Dall'avanguardia al veroCarlo Carrà, l'artista che da posizioni stilistiche e tematiche legate al futurismoe alla metafisica passò, con sensibilità classica, a una rinnovata attenzione per la realtàdi Pier Paolo Mendogni

    Ha attraversato la primametà del Novecento la-sciando un segno profon-do nell’arte europea: Car-lo Carrà (1881-1966), pie-

    montese come l’insigne storico dell’arteRoberto Longhi, incontrato a Roma nel1913 in una manifestazione del movi-mento futurista. Longhi aveva 23 anni,Carrà 32: il suo iniziale cammino d’ar -tista non era stato facile; orfano di ma-dre, a 12 anni aveva cominciato a lavo-rare a Valenza come garzone muratorecon alcuni decoratori milanesi e nel con-tempo la sua passione per il disegno, peril quale era dotatissimo, lo portava a fre-quentare le scuole serali. Quando i de-coratori tornavano a Milano (1905), liseguiva e si iscriveva alle serali di Brera,frequentando nel tempo libero musei egallerie, dove scopriva il divisionismo diSegantini e Previati. In occasione dell’al -lestimento dell’Esposizione Universale aParigi (1900), vi si recava al seguito diun amico stuccatore che aiutava nel la-voro e ne approfittava per frequentare ilLouvre e altri musei e conoscere la nuo-va pittura di Renoir, Cézanne, Monet,Gauguin; la curiosità lo spingeva a Lon-dra a scoprire la pittura di Turner e Con-stable. Tornato a Milano con una riccaesperienza internazionale, si iscrivevaall’Accademia di Brera al corso di pit-tura di Cesare Tallone e intensificava lesue letture passando dai filosofi (Plato-ne, Tommaso Moro, Campanella) aipoeti (Poe, Leopardi). E verso la fine delprimo decennio del secolo iniziava unpercorso di una brillante vivacità che loportava ad accostare i nuovi movimentipiù significativi della cultura figurativa,interpretandoli però con autonomia ericercando sempre un rapporto armo-nico tra forma e colore. Un percorso ef-ficacemente rappresentato attraversouna ottantina di opere - «molte dellequali vere e proprie icone dell’arte del'900» - nella splendida mostra antolo-gica allestita ad Alba alla FondazioneFerrero (fino al 27 gennaio) a cura diMaria Cristina Bandera, come il riccocatalogo edito da 24 ore cultura. L’esor -dio è commovente: il suo primo disegnofirmato è dedicato con affettuosa ma-

    linconia alla «strada di casa» che dovràlasciare per il lavoro a Milano, dove èattratto dal divisionismo che frantumain tessere gioiose un paesaggio del Biel-lese («Meriggio a Sagliono» 1908). A Mi-lano Carrà frequenta quegli artisti, co-me Russolo e Boccioni, che sostengonola necessità di un radicale rinnovamen-to della pittura in senso anticlassico e ingrado di recepire i cambiamenti tecno-logici e sociali. In un incontro con Ma-rinetti nasce l’idea del Manifesto del Fu-turismo. Nei quadri si affrontano tema-tiche sociali e il divisionismo si allungain pennellate filamentose che dannol’idea del movimento, come nella «Sta-zione di Milano» e soprattutto nel po-lemico «Movimento del chiaro di luna»con una Venezia sciabolata di luci elet-triche. Altra opera emblematica del Fu-turismo è l’esaltazione dinamica deltram in «Ciò che mi ha detto il tram»dove il divisionismo è ormai superato.Nel viaggio a Parigi, Carrà viene a con-tatto col cubismo analitico di Picasso eBraque che lui fonde col futurismo ne«La donna e l’assenzio» (1911), tema ca-ro a molti artisti, e nei «Ritmi di og-

    getti» in cui esalta la dinamicità. La ri-scoperta degli artisti del Tre e Quattro-cento col loro linguaggio semplificatomette Carrà in contrasto con gli altri fu-turisti che disconoscevano il passato;nasce in lui il «fortissimo desiderio diidentificare la sua pittura con la storiadell’arte italiana». La forma ricompare,semplificata, con la sperimentazione deicollages cubo-futuristi («Il fiasco»,«Composizione»). Con «La ballerina delSan Martino» si avvicina al primitivi-smo parigino di Picasso e Modigliani. Laguerra lo conduce come militare a Fer-rara dove incontra De Chirico, Savinio eDe Pisis e si appassiona alla metafisica,creando vari capolavori tra cui «La mu-sa metafisica» dove recupera «i valoripittorici e prospettici della tradizioneitaliana» ponendo una ragazza con laracchetta da tennis al centro di unastanza definita con una simbolica spa-zialità come ritroviamo in «Penelope»(1917) in cui lo spazio si fonde con unaforma plastica cubo-futurista. Tornato aMilano dopo la guerra, Carrà, che fre-quenta i maggiori poeti, artisti e musi-cisti, sente «nuovi impulsi» che lo por-tano ad uscire dalle introspezioni sog-gettive ed aprirsi alla natura, al vero.Opera emblematica di questa trasfor-mazione è il celebre «Pino sul mare»(1921), rappresentazione mitica dellanatura, definito da Longhi «impressio-nismo metafisico». L’atmosfera resta si-lenziosa nella «Marina a Moneglia» chesi intride però di una più sciolta e liricalibertà espressiva. E’ questa la stradache l’artista percorrerà con coerenzacreando opere indimenticabili come«L’attesa» (1926), immersa in una col-lina toscana di silenziosa tenerezza, gliazzurri paesaggi marini di Forte deiMarmi ancora deserta. Negli anni Tren-ta i suoi soggetti acquistano una solidaplasticità, in consonanza col Novecen-tismo, e le sue tematiche si allargano an-che allo sport (calciatori, pugili). Il viag-gio nel Meridione (1936) gli fa ritrovareuna sonora luminosità che avvolge ipaesaggi e trova un’eco nelle opere suc-cessive fino alla delicatissima, impalpa-bile «Natura morta» terminata pochigiorni prima della sua scomparsa.�

    «Non abbiamo altro in nostro potereche giustizia, verità, sincerità»

    Dalai Lama

    ProfiloTra i suoi dipintiindimenticabili«L'attesa», «Pinosul mare» e «Donnasdraiata»

    Narrativa «Il capanno dell'impiccato»

    Enigmi in Sardegnanel nuovo giallodi Pietro Ronchini

    Dopo «Delitto al Maretto»l'autore parmigianotorna a una vicendapoliziesca

    Giuseppe Marchetti

    II Dopo «Delitto al Maretto» del 2011,il parmigiano Pietro Ronchini penetraancora più a fondo nel tessuto del«giallo» con «Il capanno dell'impic-cato» che, pubblicato da Fidelo's Edi-trice, ci permette di capire meglio l'ar-te di questo narratore parmigiano chesi scopre indagatore ancor prima dioffrirsi come romanziere. Se attorno al«Delitto del Maretto», che ha avuto unmeritato successo di lettori, si coagu-lava la memoria di un rito collettivo edi una complessa ricognizione dei sen-timenti e dei comportamenti umani,dentro il «Capanno» ambientato inSardegna, si muovono due anime: laprima, è quella di Rocco Pietrini; laseconda, invece, è tutta riversata suicomprimari suoi di «detective auto-didatta».

    Nell'intreccio, il caso ci guadagna ela pasta del romanzo lievita portandola figura di Rocco a confrontarsi conquelle di Remedia, di Niccolò, del ca-pitano dei carabinieri Sorrentino, delmaresciallo Dessena e di altri perso-naggi che compaiono sulla scena a vol-te come ombre (e qui il racconto sfu-

    ma) e a volte, invece, con netti profili (equi il romando diventa narrazioneacutamente psicologica).

    Ronchini, da abile fotografo quale è,non fa mai la foto in primo piano, tienenascosti gli angoli, se possiamo espri-merci così, e ci somministra infinitiritagli di particolari attraverso i suoidialoghi ora tristi e dubbiosi, ora pia-cevolmente divertenti, ora quasi di-stratti rispetto al nucleo delle vicendee alle risposte degli interlocutori comeci viene narrato, ad esempio, nel ca-pitolo «Tutto accade a Ispinigoli» do-ve in qualche modo il narratore rias-sume a favor nostro gli estremi delleindagini e degli indagati.

    Occorre aggiungere anche che Ron-chini si porta dietro una sua partico-larissima e convinta quota di parmi-gianità, il suo istinto, infatti, gli sug-gerisce - specialmente quando fa agiree parlare il Folli - di non abbandonaremai il ricordo della sua città che non èaffidato soltanto ai riferimenti al«Giornale di Parma», bensì ad unbuon senso tutto locale, amabilmentefurbo e disincantato, tipico della no-stra gente. Anche sotto questo aspetto«Il capanno dell'impiccato» è un rac-conto deliziosamente intriso di spa-valderia e di commozione, senza che laseconda mai prevalga o travolga la pri-ma.�

    �Il capanno dell'impiccatoFidelo's editrice, pag. 236, €14

    Scrittore e fotografo Pietro Ronchini

    In esposizione Carlo Carrà, «Donna sdraiata».

    Arte «Michelangelo Assoluto», volume a cura di Alessandro Vezzosi con saggi di autorevoli studiosi

    Buonarroti, luce del RinascimentoAlberto Brambilla

    II Torna ogni giorno alla ribalta il nes-so fra storia e cultura, componente es-senziale dell’identità italiana. Che si èlentamente formata nei secoli e poi haavuto come un’accelerazione improv-visa nei decenni formidabili che glistorici chiamano, non a caso Rinasci-mento.

    Le migliaia di turisti che quotidia-namente affollano i musei di Firenze odi Roma e che poi sciamano nei co-siddetti «centri minori», sono ancoraoggi alla ricerca di quella luce, diquell’intuizione miracolosa che hacambiato il mondo, unendo genio ebellezza. Tra i grandissimi di quel pe-riodo non si può non annoverare Mi-

    chelangelo Buonarroti, scultore, pit-tore, architetto, insomma: genio. Sonomolti gli omaggi già tributati all’altis -simo artista, ma non è da meno il vo-lume «Michelangelo Assoluto» cheper la ricchezza e l’originalità dei con-tenuti, l’autorevolezza degli studiosicoinvolti e lo spettacolare impiantoiconografico si propone come impre-scindibile strumento per la conoscen-za di Michelangelo. Parliamo di un ve-ro e proprio monumento di carta in cuila qualità scientifica si coniuga con laleggibilità del testo, corredato da unaricchezza illustrativa che lascia sba-lorditi. Il volume è parte della presti-giosa collana «Rinascimento Subli-me», pubblicata dalla valorosa Casaeditrice emiliana Scripta Maneant, e si

    avvale di un’autorevole introduzionedi Carlo Pedretti e Claudio Strinati, chenon si sono limitati a presentare i con-tenuti del libro, ma hanno indicato al-cuni punti nodali dell’opera del Buo-narroti, indicando alcuni inediti per-corsi di ricerca. L’analisi dell’interaopera michelangiolesca avviene su bi-nari molteplici, abilmente guidata dalcuratore Alessandro Vezzosi, che haprivilegiato aspetti inediti o trascuratinella conoscenza dell’opera di Miche-langelo, della sua vita e della sua at-tualità. L’opera si avvale di specialistidella complessa materia, come MarinaMattei che nel suo saggio riconsideratutte le opere dell’artista per compren-dere ed evidenziare i valori di Roma edella classicità che il Buonarroti in-

    terpretò nei contenuti e nei concetti, intermini di geniale innovazione.

    Gabriele Morolli svolge un’origina -le rivisitazione dell’architettura di Mi-chelangelo, soprattutto nel suo perio-do mediceo, che giunge a «novità for-mali assolute» e «all’inquietante gra-zia più risoluta».

    Lucilla Bardeschi Ciulich affrontainvece l’affascinante e fondamentalepercorso del pensiero e della scritturapoetica di Michelangelo, mentre RabHatfield si sofferma su alcuni momen-ti della vita pratica del sommo mae-stro, in specie sui suoi guadagni, re-stituendo così l’artista e l’uomo in tuttala sua umanità da un angolo di visualeinsolito e pur tuttavia così significa-tivo. La documentazione fotografica,grazie all’utilizzo di eccezionali archivicome la Scala e quello dei Musei Va-ticani, compone uno spettacolare rac-conto visivo che documenta e insiemestimola la lettura, presentando quasiad ogni pagina delle spettacolari im-

    magini, che consentono di interpre-tare nei dettagli opere complesse comela Cappella Sistina. Eccezionale ancheil capitolo fotografico di AurelioAmendola (significativamente intito-lato Il respiro della materia), che pro-pone un Michelangelo mai visto, dialta poesia.

    Ma sono questi solo alcuni pregi diun volume di grande formato davveroprezioso (per altro stampato in tira-tura limitata a 1999 esemplari), splen-dido anche nella sua veste esteriore,curata artigianalmente fin nei minimiparticolari. Esso diventerà certamenteuno strumento indispensabile per leUniversità, i Musei e gli istituti di ri-cerca, ma potrà diventare anche unregalo prezioso per i singoli studiosi,per gli amanti dell’arte e del bello.Un’idea interessante e stimolante peril prossimo Natale. �

    �Michelangelo AssolutoScripta maneant, pag. 416, s.i.p.

    Cappella Sistina «La creazione diAdamo» (particolare).