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Anna Marmodoro Potenza, materia e forma nella metafisica di Aristotele 1 In this paper I investigate Aristotle’s power ontology, and of it argue for a new interpretation of his hylemorphism and theory of the four causes. In questo articolo proporrò una nuova interpretazione della metafisica di Ari- stotele, argomentando che gli elementi fondamentali nella sua ontologia sono i po- teri o le disposizioni (dunameis), mentre tutto il resto è metafisicamente derivativo rispetto a quelli. Nella mia lettura, i poteri di Aristotele sono puri, cioè non hanno una base categorica o inerte 2 . Da questo tuttavia non segue che per Aristotele un potere è mera potenzialità. Un’ontologia in cui tutto fosse, o fosse riducibile a mera potenzialità, sarebbe un’ontologia dove non c’è niente di reale. Questo è un prezzo che altre ontologie contemporanee si trovano a dover pagare, come discuterò più avanti, ma non quella di Aristotele. Un’altra importante differenza tra la teoria dei poteri puri di Aristotele e altre varianti contemporanee è che queste ultime sono ontologie relazionali, in cui l’attualizzazione 3 di un potere in potenza è essa stessa un potere in potenza, numericamente diverso da quello originario 4 . Al contrario, l’ontologia di Aristotele non è relazionale. Da un lato, per Aristotele un potere in potenza e la sua attualizzazione sono numericamente lo stesso potere. Dall’altro, sebbene i poteri aristotelici dipendano ontologicamente da altri poteri per la loro attualizzazione, essi non sono collegati a questi ultimi attraverso relazioni poliadi- che. Anche di questo discuterò più avanti. 1 I risultati presentati in questo articolo sono parte della ricerca condotta dall’Autrice nell’ambito del progetto Power Structuralism in Ancient Ontologies, finanziato dall’European Research Council. Una versione piu’ estesa di questo articolo sarà pubblicatata in inglese in K. Engelhard e M. Quante [a cura di], The Handbook of Potentiality, Springer 2013. Le citazioni dalle opere di Aristotele si basano sulle traduzioni di G. Reale, L. Ruggiu, M. Zanatta, A. Russo. 2 Ciò è in contrasto con le concezione secondo cui un potere ha una base categoriale (ad esempio, B. Ellis, “Causal Powers and Categorical Properties”, in A. Marmodoro [a cura di], The Metaphysics of Powers: Their Grounding and Their Manifestations, Routledge, 2010), o ha una natura allo stesso tempo qualitativa e disposizionale (ad esempio, J. Heil, From an Ontological Point of View, Oxford University Press, Oxford 2003). 3 In quello che segue, uso i termini ‘attivazione’ e ‘attualizzazione’ come sinonimi. 4 Cfr. ad esempio A. Bird, Nature’s Metaphysics, Oxford University Press, Oxford 2007.

Anna Marmodoro Potenza, materia e forma nella … News POTENZA, MATERIA E FORMA NELLA METAFISICA DI ARISTOTELE 83 Nel mondo così come lo concepisce Aristotele ogni cambiamento comporta

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Anna MarmodoroPotenza, materia e forma nella metafisica di Aristotele1

In this paper I investigate Aristotle’s power ontology, and of it argue for a new interpretation of his hylemorphism and theory of the four causes.

In questo articolo proporrò una nuova interpretazione della metafisica di Ari-stotele, argomentando che gli elementi fondamentali nella sua ontologia sono i po-teri o le disposizioni (dunameis), mentre tutto il resto è metafisicamente derivativo rispetto a quelli. Nella mia lettura, i poteri di Aristotele sono puri, cioè non hanno una base categorica o inerte2. Da questo tuttavia non segue che per Aristotele un potere è mera potenzialità. Un’ontologia in cui tutto fosse, o fosse riducibile a mera potenzialità, sarebbe un’ontologia dove non c’è niente di reale. Questo è un prezzo che altre ontologie contemporanee si trovano a dover pagare, come discuterò più avanti, ma non quella di Aristotele. Un’altra importante differenza tra la teoria dei poteri puri di Aristotele e altre varianti contemporanee è che queste ultime sono ontologie relazionali, in cui l’attualizzazione3 di un potere in potenza è essa stessa un potere in potenza, numericamente diverso da quello originario4. Al contrario, l’ontologia di Aristotele non è relazionale. Da un lato, per Aristotele un potere in potenza e la sua attualizzazione sono numericamente lo stesso potere. Dall’altro, sebbene i poteri aristotelici dipendano ontologicamente da altri poteri per la loro attualizzazione, essi non sono collegati a questi ultimi attraverso relazioni poliadi-che. Anche di questo discuterò più avanti.

1 I risultati presentati in questo articolo sono parte della ricerca condotta dall’Autrice nell’ambito del progetto Power Structuralism in Ancient Ontologies, finanziato dall’European Research Council. Una versione piu’ estesa di questo articolo sarà pubblicatata in inglese in K. Engelhard e M. Quante [a cura di], The Handbook of Potentiality, Springer 2013. Le citazioni dalle opere di Aristotele si basano sulle traduzioni di G. Reale, L. Ruggiu, M. Zanatta, A. Russo.

2 Ciò è in contrasto con le concezione secondo cui un potere ha una base categoriale (ad esempio, B. Ellis, “Causal Powers and Categorical Properties”, in A. Marmodoro [a cura di], The Metaphysics of Powers: Their Grounding and Their Manifestations, Routledge, 2010), o ha una natura allo stesso tempo qualitativa e disposizionale (ad esempio, J. Heil, From an Ontological Point of View, Oxford University Press, Oxford 2003).

3 In quello che segue, uso i termini ‘attivazione’ e ‘attualizzazione’ come sinonimi.4 Cfr. ad esempio A. Bird, Nature’s Metaphysics, Oxford University Press, Oxford

2007.

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Alcuni dei poteri fondamentali per Aristotele sono in potenza, altri in atto. Quelli in atto sono poteri che stanno attivamente esercitando la loro potenza; essi non cessano di essere potenti quando sono attivati, e la loro potenza non è d’altra parte riducibile a mera potenzialità. Per Aristotele un soggetto s può avere un po-tere p nel senso in cui uno ha la capacità di imparare giocare a scacchi; oppure nel senso in cui uno ha acquisito la capacità di giocare a scacchi ma non sta giocando a scacchi in questo momento; e infine nel senso in cui uno sta giocando a scacchi in questo momento. Per Aristotele sia nel primo che nel secondo caso il potere in questione conserva la propria potenza (il potere è potente perché è capace di pro-durre, o sta producendo, cambiamento); ma non in tutti i casi conserva la propria potenzialità. Questa è una terza importante differenza tra la concezione aristotelica dei poteri e quelle contemporanee, che identificano la potenza di un potere con la sua potenzialità5.

Aristotele teorizza una differenza di ruolo tra poteri attivi e poteri passivi; un potere attivo in qualche modo ‘agisce’ su un potere passivo6. Aristotele parla dell’azione del potere attivo su quello passivo in termini di trasmissione della for-ma del potere attivo, ad esempio il caldo, al corrispondente potere passivo. Questa però non deve essere intesa come una descrizione letterale; non ha senso supporre che quando un potere attivo agisce su un potere passivo esista un meccanismo fisico per la trasmissione della forma del potere attivo a quello passivo. Parlare di trasmissione della forma è un modo di descrivere figurativamente la causazione, come se il potere passivo ricevesse la forma del potere attivo (anche se nulla viene realmente trasferito dall’agente al paziente)7. Come vedremo, ciò che accade non è una trasmissione, ma un’attivazione del potere passivo da parte di quello attivo8.

5 Cfr. ad esempio B. Ellis (Scientific Realism, Cambridge University Press, Cambridge 2001, p. 127). In aggiunta, Bird (op. cit.) e S. Mumford, Dispositions, Oxford University Press, Oxford 1998.

6 Nella maggior parte dei casi, Aristotele concepisce ciascun potere come al tempo stes-so attivo e passivo, poiché ciascuno dei poteri opera sull’altro. Tuttavia la differenza tra i due ruoli è metafisicamente importante, come spiegherò più avanti.

7 Anche la percezione, che è un caso di causazione, è intesa come ricezione della forma senza la materia attraverso l’organo sensorio. Nell’interpretazione secondo cui non vi è alcun cambiamento nell’organo di senso, la ricezione della forma è da intendersi come l’attivazione dell’organo senso (quando ha luogo la coscienza percettiva). La questione non sarà oggetto di trattazione nel presente articolo.

8 Nella fisica contemporanea, per spiegare come le particelle elementari agiscano le une sulle altre si pongono alcune particelle virtuali come vettori di forza. Le particelle elementari esercitano ciascuna delle forze l’una sull’altra per via di uno scambio di tali particelle virtuali – ad esempio, i bosoni di gauge. Si potrebbe pensare che, con l’introduzione di particelle virtuali allo scopo di veicolare le forze da particella a particella, ad esempio, la forza elettromagnetica e la forza debole, la fisica contemporanea risolva il problema della efficacia causale sostituen-do l’efficacia causale con un’aggiunta a o una sottrazione da la costituzione delle particelle (ad esempio, più, o meno, forza debole), piuttosto che con l’interazione tra le particelle. Ma ci sono ragioni per pensare che le cose non stiano effettivamente così. Anche le particelle virtuali di tipi diversi interagiscono tra loro. Ad esempio, nel Modello Standard i vettori bosone si appaiano ai fermioni, e i bosoni W con un fotone o un bosone Z0 (J. P. Couchman, “Trilinear Gauge Boson Couplings and W-Pair Production”, in A measurement of the triple gauge boson couplings and W

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Nel mondo così come lo concepisce Aristotele ogni cambiamento comporta l’attivazione reciproca dei poteri attivo e passivo, dovuta al semplice ‘contatto’ tra poteri che sono ontologicamente interdipendenti, come ad esempio ciò che può riscaldare e ciò che può essere riscaldato. Questi poteri sono proprietà monadiche; come vedremo, la loro reciproca dipendenza ontologica non è un ‘ponte di colle-gamento’ tra un potere attivo e un potere passivo.

Per Aristotele il passaggio dei poteri fondamentali in natura dalla potenza all’at-to è il ‘generatore cosmico’ della creazione e del cambiamento. Questo ha impli-cazioni importanti – che discuterò in seguito – per la nostra comprensione dell’ile-morfismo di Aristotele. Per anticipare brevemente le mie conclusioni, argomenterò che i costituenti ultimi dei composti ilemorfici non sono materia e forma, tenuti insieme da relazioni connettive; i costituenti ultimi sono poteri interdipendenti che sono reciprocamente attivati.

1. La potenzialità per il cambiamento

Per Aristotele, c’è un senso primario di potenzialità da cui gli altri sensi sono derivati. Potenzialità in senso primario è la capacità di produrre cambiamento:

Tutte le potenzialità conformi a una stessa specie sono, tutte quante, in un certo senso principi, e sono dette potenze in relazione a quella che è potenza in senso primario e che è principio di mutamento in altra cosa o nella medesima cosa in quanto altra.9 (Me-tafisica 1046a9-10, i corsivi sono miei)

Parlare di una causa in termini di fonte originaria del cambiamento richiedereb-be ovviamente relativizzazione rispetto al contesto; Aristotele ne è consapevole, come si evince dalla successiva discussione della materia e dall’introduzione del concetto di materia prossima:

Quando diciamo che un essere non è una determinata cosa ma che è fatto di una certa cosa (per esempio l’armadio non è legno, ma è fatto di legno, nè il legno è terra, ma fatto di terra, e, a sua volta, la terra, se deriva in questo modo da altro, non è quest’altro, ma fatta di quest’altro), appare evidente che quest’ultimo termine è sempre in potenza (in senso proprio) quello che immediatamente segue. Per esempio, l’armadio non è fatto di terra né è terra, ma è di legno; il legno è, infatti, armadio in potenza, e come tale è la materia dell’armadio. (Metafisica, 1049a18-23, corsivi miei)

boson polarisation in W-pair production at LEP2, PhD Thesis, University College London, 2000). Tali accoppiamenti tra particelle virtuali hanno luogo per effetto di bosoni di gauge su bosoni di gauge di tipo diverso. Tale effetto primitivo tra le forze è ciò che anche Aristotele ha posto come un assunto nella sua teoria della causalità.

9 La specificazione secondo cui il cambiamento è nella cosa stessa come se fosse altra, è volta ad includere entità complesse che hanno la capacità di produrre un cambiamento in una propria parte o nella propria totalità, ad esempio un’atleta che allena se stessa.

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Come dice Aristotele, la terra non è potenzialmente un armadio, perché nella serie di mutamenti dalla terra al legno all’armadio vi è una fase intermedia tra la terra e l’armadio. Pertanto, ciò che nel presente contesto è in senso stretto poten-zialmente armadio è il legno, nonostante quest’ultimo derivi dalla terra, e l’arma-dio derivi di conseguenza dalla terra. Conseguentemente, l’origine o causa di un cambiamento è la sua causa immediata, piuttosto che una che la preceda.

Un secondo tipo di potenzialità che Aristotele include nella sua ontologia è la capacità di subire un cambiamento:

Infatti, c’è una potenza di patire, la quale è, nel paziente medesimo, il principio di mutamento passivo ad opera di altro o di sé in quanto altro. (Metafisica, 1046a11-13)

Alcuni termini del linguaggio ordinario, quali ad esempio ‘fragilità’, o ‘malleabi-lità’, o ‘flessibilità’, ecc., selezionano esattamente capacità o poteri di questo tipo, cioè passivi. Per Aristotele, l’essere in grado di cambiare è una capacità o un potere non meno di quanto lo sia l’essere in grado di produrre un cambiamento:

In un senso, la potenza del fare e patire è unica: una cosa ha potenza e perché possie-de essa stessa la capacità di patire ad opera di altra e perché un’altra cosa può patire ad opera di essa. Invece in un altro senso le potenze sono diverse. Infatti, l’una si trova nel paziente (in effetti, è in virtù del possesso di un certo principio, ed è perché la materia stessa è un tal principio, che il paziente patisce nei diversi casi ad opera di agenti diversi: il grasso è combustibile e ciò è comprimibile in questo dato modo può essere compresso in siffatto modo, e similmente negli altri casi); l’altra invece si trova nell’agente, come ad esempio il caldo e l’arte di costruire. (Metafisica, 1046a19-28)

Aristotele concepisce i poteri passivi come fonti originative del cambiamento (1046a11-13, a23). Pensare che la fonte originativa del cambiamento sia il potere di produrre un cambiamento è per noi naturale, ma non altrettanto pensare che fonte originativa del cambiamento sia una capacità di subire un cambiamento. Nondimeno, Aristotele intende entrambi i poteri attivi e passivi come fonti ori-ginative di cambiamento, gli uni perché cambiano qualcos’altro, gli altri perché subiscono un cambiamento.

La distinzione tra poteri attivi e passivi contribuisce alla determinazione delle condizioni in cui avviene il cambiamento. Queste condizioni sono parte della de-finizione di un potere. La definizione di un potere specifica: di che tipo sia quel potere, ossia che tipo di cambiamento può provocare o subire; l’occasione in cui il potere in questione può provocare o subire il cambiamento che lo definisce; il modo in cui il potere può provocare o subire cambiamento; e tutte le altre condi-zioni che devono avere luogo affinché il potere eserciti la sua potenza. Quando tutte le condizioni stabilite nella definizione sono soddisfatte, compreso il venire in contatto dei poteri attivo e passivo, allora necessariamente quello attivo agisce su quello passivo:

Ora, poiché ciò che ha potenza, ha potenza per qualcosa di determinato, in un tempo determinato e in una maniera determinata (e con tutte le altre circostanze che

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rientrano necessariamente nella definizione), e poiché alcuni esseri sono capaci dim-muovere secondo ragione e le loro potenze sono razionali, mentre altri esseri sono privi di ragione e le loro potenze sono irrazionali … ebbene, nel caso di queste ultime potenze [quelle che sono in esseri privi di ragione: ad esempio il fuoco] allorché agen-te e paziente si incontrino conformemente al loro potere, necessariamente, l’uno agi-sce e l’altro patisce. Infatti, tutte le potenze irrazionali, singolarmente prese, possono produrre uno solo dei contrari. (Metafisica, 1047b35-1048a8, traduzione leggermente modificata, il corsivo è mio)

La necessità in questione è una necessità naturale, derivante dalla natura dei po-teri stessi quando sono soddisfatte tutte le condizioni menzionate nella definizione della loro natura. Aristotele non parla di leggi di natura. Tuttavia, è chiaro dalla normatività espressa nel passo appena citato che le definizioni dei poteri determi-nano le condizioni la cui soddisfazione sono istanze delle leggi di natura.

2. Poteri attivi e passivi

Dobbiamo ora esaminare e cercare di comprendere come un potere attivo agi-sce su un potere passivo. Come ho già accennato, Aristotele descrive l’azione del potere attivo su quello passivo in termini di trasmissione della forma da un potere all’altro:

Il motore trasmetterà sempre una certa forma, o sostanza o qualità o quantità; e questa forma sarà principio e causa del movimento, quando essa muove; ad esempio, l’uomo in atto genera un uomo da ciò che era prima uomo in potenza. (Fisica, 202a9-12, traduzione leggermente modificata)

La forma trasmessa può essere una forma sostanziale, come nel caso della trasmissione della forma di un essere umano dallo sperma ai fluidi mestruali, nella generazione di un embrione; o una qualità, come ad esempio calore, o peso, ecc. Ma che cosa significa dire che la forma del potere attivo viene trasmessa al potere passivo? Aristotele è alla ricerca di un modo per spiegare il cambiamento. Nell’esempio riportato sopra, la generazione di un nuovo essere umano è spie-gata in termini di trasmissione della forma di un essere umano, che è il principio e la causa del mutamento. In termini generali, la forma trasferita è la forma che determina il fine (telos) della potere in questione, che sia il potere di un genitore di procreare un essere umano, o il potere di un pittore di creare un dipinto su tela. Generare un essere umano e creare un dipinto su tela sono i fini che defi-niscono i poteri in questione di un genitore e di un pittore rispettivamente. La spiegazione aristotelica della causalità in termini di trasferimento di una forma dal potere attivo a quello passivo non deve considerarsi una descrizione lettera-le. Aristotele non sta reificando la forma come se fosse essa stessa un agente di cambiamento. Il genitore trasferisce i propri movimenti (non una forma-homun-culus!) per mezzo dello sperma ai fluidi mestruali, come Aristotele dice esplici-

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tamente.10 Allo stesso modo, non c’è una forma-di-statua letteralmente trasferita dallo scultore al marmo; lo scultore trasferisce la forma della figura che ha in mente al marmo attraverso i movimenti delle mani e dello scalpello. Anche se per ipotesi volessimo leggere le parole di Aristotele come se dicessero che, letteral-mente, esiste una forma (reificata, immateriale) che è trasmessa dal potere attivo a quello passivo, ciò non fornirebbe nessuna spiegazione di come abbia luogo la causazione; sarebbe solo un passaggio aggiuntivo nella catena causale e non una spiegazione della causazione.

3. Lo Stimolo

Nel descrivere quello che chiameremmo oggi lo stimolo per l’attivazione di un potere, Aristotle parla di due gruppi di condizioni. Da una lato, ci sono le condi-zioni relative al momento, la situazione, le condizioni esterne che rendono possibi-le l’attivazione di un potere; Aristotele le riassume in Metafisica, 1048a1-2. D’altro lato, Aristotele descrive lo stimolo che innesca l’attività causale dei poteri che si trovano nelle giuste circostanze in termini di ‘contatto’ tra i poteri:

L’agire su un mobile in quanto tale è infatti muovere; e questo movimento il motore lo produce per contatto, di modo che il motore, nello stesso tempo che muove, subisce il movimento. (Fisica, 202a5-9)

Il contatto è dunque la condizione innescante, mentre tutte le altre condizioni citate nella definizione di un potere sono quelle che rendono possibile che l’azione causale abbia luogo. Cosa intende Aristotele per contatto?

Si dicono in contatto le cose le cui estemità sono assieme. (Fisica, 226b23)

Sono dette trovarsi insieme le cose che sono in un singolo luogo primario.11 (Fisica, 226a21-23)

Il contatto tra motore e mobile implica la coincidenza locale (o per lo meno prossimità) delle estremità del motore e del mobile. Ebbene, una volta ottenuto il contatto, l’operazione del motore sul mobile è di qualcosa di ulteriore, o si riduce al contatto tra i due poteri in questione? In termini generali, Aristotele reifica la relazione di causazione, come se fosse un ‘ponte’ o una connessione tra il motore e il mobile, oppure no?

10 Cfr. Aristotle, La generazione degli animali II.2-3. 11 Aristotele definisce il luogo come «il limite immobile interno del contenente». (Fisica,

212a20-21).

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4. Proprietà monadiche versus relazioni

Aristotele non ammette relazioni nella sua ontologia. Il motivo è questo. Sap-piamo dalle Categorie (capitolo 1) e dalla Metafisica (libro VII, capitolo 4) che per Aristotele anche le proprietà accidentali (ad esempio, essere pallido, essere caldo) hanno essenze e definizioni. Ma se una relazione tra due cose, ad esempio Marco “è padre di” Pietro, fosse una singola proprietà poliadica, dovrebbe appartenere a due soggetti, perché per Aristotele gli accidenti non possono esistere per sè.

Di conseguenza, o la proprietà poliadica “essere padre di” apparterebbe a Pie-tro senza essere vera al suo riguardo; o la proprietà poliadica avrebbe due nature diverse, il che è incompatibile con l’essere una proprietà unica12.

Alla luce di queste considerazioni, per Aristotele le relazioni sono riducibili a proprietà monadiche – proprietà monadiche di un particolare tipo, le proprietà pros ti (proprietà ‘dirette verso qualcosa’). Aristotele scrive:

Sono dette relative le cose di questo genere: tutte quelle che, ciò che sono, sono dette esserlo di altre cose o, qualunque altro ne sia il modo, in relazione a un’altra cosa. Ad esempio, maggiore, ciò che è, è detto di un’altra cosa – infatti è detto maggiore di qualcosa – e doppio è di un’altra cosa che è detto ciò che è; e in questo stesso modo si comportano anche quante altre cose sono di questo genere. (Categorie, 6a36-b3)

Cosa sono le proprietà pros ti – le proprietà dirette verso qualcosa? Aristotele spiega:

Tutte le cose relative sono dette in rapporto a cose correlative. Ad esempio, lo schia-vo è detto schiavo di un padrone, e il padrone è detto padrone di uno schiavo. (Catego-rie, 6b28-30)

La relazione tra correlativi non è una relazione linguistica o semantica. Si tratta di una relazione ontologica di interdipendenza, come Aristotele afferma chiaramente:

Si esplichi infatti lo schiavo di un uomo …e si elimini dell’uomo il suo essere padro-ne: lo schiavo non sarà detto più, infatti, in relazione a un uomo: giacché, non essendoci il padrone, non c’è neppure schiavo... E queste cose si eliminano anche reciprocamente. Se infatti non vi è il doppio, non vi è il mezzo; e se non vi è il mezzo, non vi è un doppio. E lo stesso vale anche per tutte le altre cose del medesimo genere. (Categorie, 7b6-22)

La direzionalità dei relativi è quindi il modo in cui Aristotele descrive la loro dipendenza ontologica. Come non vi è alcuna connessione poliadica che lega una specie al suo genere, a dispetto della loro interdipendenza ontologica, per Ari-stotele non vi è similmente alcuna connessione poliadica che colleghi un relativo all’altro. Una specie è ontologicamente dipendente dal suo genere, ma non esiste

12 Aristotele non fa distinzione tra relativi e relazioni, a mio giudizio perché né i relativi, né le relazioni (asimmetriche) possono essere singole proprietà poliadiche dotate ciascuna di una singola natura che appartiene a (è vera di) entrambi i termini correlati.

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alcuna entità che li tenga insieme; lo stesso vale per i relativi, anche se la loro in-terdipendenza ontologica è di natura diversa rispetto a quella genere-specie. E lo stesso vale per il rapporto tra materia e forma, e quello tra soggetto e proprietà, rispetto ai quali Aristotele chiarisce che non v’è alcuna entità (poliadica) che ne determini l’unificazione13.

L’ultima citazione riportata sopra è importante per comprendere la nozione ari-stotelica di dipendenza ontologica dei relativi. Dicendo che ciascun relativo porta l’altro ‘alla distruzione’, egli descrive chiaramente una dipendenza esistenziale.

5. La dipendenza del motore dal mobile

Il motivo per cui nella sezione precedente si è esaminata la trattazione aristo-telica di relativi e relazioni è che Aristotele considera le cause come relativi. Nel libro V della Metafisica Aristotele spiega il termine ‘relativo’ o ‘relazione’ nel modo seguente:

(1) Relative [pros ti] si dicono, in un senso, le cose che stanno tra loro come il doppio rispetto alla metà, e il triplo rispetto alla terza parte ... e quello che eccede rispetto a quello che è ecceduto. (2) In un altro senso, si dicono relative le cose che stanno fra loro come ciò che può riscaldare rispetto a ciò che può essere riscaldato, o ciò che può taglia-re rispetto a ciò che può essere tagliato, e in generale l’agente rispetto al paziente. (3) In un altro senso ancora, relative si dicono le cose che stanno tra loro come il misurabile rispetto alla misura, o come il conoscibile rispetto alla scienza, e il sensibile rispetto alla sensazione. (1020b26-31)

Esempi di causazione quali il riscaldare e l’essere riscaldati sono qui inclusi tra i relativi come il doppio e il mezzo, ed essi sono collettivamente classificati sotto la descrizione dell’essere attivi e passivi. Ne consegue che in generale, per Aristotele, il motore e il mobile, vale a dire i poteri attivi e passivi nelle interazioni causali, sono impegnati in una relazione causale che, secondo la sua teoria delle relazioni, coinvolge due proprietà monadiche piuttosto che una poliadica, e ontologicamen-te interdipendenti.

Si è già osservato come Aristotele spieghi la dipendenza ontologica tra relativi in termini di una dipendenza esistenziale; ad esempio, non c’è schiavo se non c’è padrone. Ne segue che non v’è motore (in atto) senza che vi sia un mobile. Ma può esservi un motore in potenza, anche se non c’è niente che sia potenzialmente mo-vibile? Può un coltello avere la capacità di tagliare in un mondo in cui non esiste alcunché che possa essere tagliato? Si è già visto che la definizione di un potere include il fine verso cui il potere tende: ciò che il potere è in grado di produrre (Metafisica, 1047b35-1048a8). Ma se non vi è nulla che possa essere affetto in que-sto modo, come può esservi un potere la cui natura consiste nel produrre quell’ef-fetto? Aristotele fa sua una versione del Principio di Pienezza, vale a dire, che ciò

13 Cfr. Metafisica 1045b8-16; b21-22.

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che può, accadrà14. Ne consegue che che il fine di ogni potere in potenza debba essere realizzabile. Perciò non potrebbe esservi alcun motore, neanche in potenza, in un mondo dove non ci fosse niente di muovibile. In conclusione, la dipendenza ontologica tra poteri attivi e passivi si applica tanto al loro stato potenziale quanto a quello attivato.

6. L’e!etto del motore sul mobile

In che modo il potere attivo produce un effetto sul potere passivo? Che cosa intende Aristotele quando dice che il motore agisce o opera sul mobile? Come dobbiamo intendere l’attività che ha luogo quando i poteri causali sono efficaci? Egli spiega che

L’agire su un mobile in quanto tale è infatti muovere; e questo movimento il motore lo produce per contatto, di modo che il motore, nello stesso tempo che muove, subisce il movimento. (Fisica, 202a5-9)

Si è osservato che la definizione di un potere menziona le varie condizioni che devono aver luogo affinché il potere sia attivato. Se sussistono queste condizioni, quando vi è contatto, il potere è attivato, producendo un cambiamento nel potere passivo. (Nella maggior parte dei casi, un agente movente è esso stesso a sua volta mosso dal contatto con ciò che è mosso, come ad esempio nel caso in cui si eserciti una pressione contro una superficie dura.) Si è poi rilevato come Aristotele dichiari in aggiunta che

Il motore apporterà sempre una forma, o sostanza o qualità o quantità; e questa for-ma sarà principio e causa del movimento, quando essa muove; ad esempio l’uomo in atto genera un uomo da ciò che prima era uomo in potenza. (Fisica, 202a9-12)

Come abbiamo visto, Aristotele parla di trasferimento della forma in modo metaforico; il contatto tra agente e paziente o motore e mobile non genera il tra-sferimento di qualcosa, ma piuttosto il verificarsi di un cambiamento. Aristotele scrive:

Dunque, tutte quelle cose che sono capaci di agire e di patire, o di muovere e di es-sere mosse, sono in potenza non sotto ogni aspetto, ma solo in quanto esse sono in uno stato particolare e in prossimità le une alle altre. Sicché quando esse sono in contatto, l’una muove, l’altra è mossa; e quando capita loro di trovarsi in una certa situazione, l’una è ciò che muove, l’altra ciò che è mossa. (Fisica, 251b1-4)

14 Cfr. S. Makin, Aristotle: Metaphysics Book Ə, Clarendon Press, Oxford 2006, p. 84.

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Quando l’agente e il paziente soddisfano le rispettive condizioni e sono l’uno in prossimità dell’altro nel modo richiesto, la potenza passiva subisce l’effetto della potenza attiva:

Ciò che ha la capacità di essere caldo, viene necessariamente riscaldato, quando ciò che produce calore sia presente e prossimo ad esso. (Sulla generazione e la corruzione, 324b7-9)

È nella natura dei poteri che essi interagiscano in questo modo, quando le condi-zioni abilitanti siano soddisfatte e il contatto fra essi inneschi il cambiamento. Ari-stotele descrive la natura di un agente come avente un principio di movimento:

Sembra, invero, che il motore sia ciò in cui risiede il principio del movimento (di fatti il principio è la prima tra le cause). (Sulla generazione e la corruzione, 324a26-28)

Il ‘contatto’ è quindi per Aristotele un fattore chiave per l’efficacia causale. Esso implica un tipo di prossimità o adiacenza locale, e viene a significare in un contesto causale l’innescarsi del cambiamento, dove c’è un ‘toccarsi’ tra i poteri in questione anche in situazioni in cui il contatto non è fisico:

Una cosa, se muove essendo essa stessa immobile, esercita un contatto sul mobile, senza, però, subire alcun contatto da parte di questo: infatti noi siamo soliti dire che una persona che ci affligge ‘ci tocca’, senza che, però, noi tocchiamo lei. (Sulla generazione e la corruzione, 323a31-33).

7. I poteri fondamentali in natura

Aristotele mira a una spiegazione razionale del mondo che giunga fino al fon-damento ultimo della realtà. Le qualità elementari sono quattro; le combinazioni sono quattro, e sono assegnate come proprietà ai corpi semplici, cioè fuoco, aria, acqua e terra. (Sulla generazione e corruzione 330a30-b4) Nell’assegnare le proprie-tà fondamentali che caratterizzano questi elementi, Aristotele restringe i candidati alle contrarietà tangibili (329b6-9), e a quelle fra queste che sono poteri (329b20-21). Egli si impegna quindi nell’analisi di un elenco di poteri contrari appartenenti a ciò che è tangibile, e conclude che sono tutti riducibili a quattro poteri primari fondamentali:

Resta dunque chiarito che tutte le altre differenze risalgono alle prime quattro, men-tre queste prime quattro non risalgono ad altre che siano in numero più ristretto ... Ne-cessariamente quindi, le differenze fondamentali sono queste quattro. (330a24-29)

Tali poteri fondamentali sono caldo, freddo, umido e secco. I quattro elementi semplici sono costituiti dai quattro poteri fondamentali:

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Il fuoco è caldo e secco, l’aria è calda e umida... l’acqua è fredda e umida, la terra è fredda e secca. (330b3-5)

Non ci sono ulteriori proprietà fondamentali possedute da tutti gli elementi semplici in aggiunta alle due potenze contrarie di ciascuno. Gli elementi semplici possono trasformarsi reciprocamente l’uno nell’altro acquisendo o perdendo i loro poteri – come descritto in 331b14-24.

In sintesi, al livello fondamentale della realtà ci sono quattro tipi di poteri, i quali non esistono separati, ciascuno per se stesso, ma costituiscono gli elementi semplici unendosi in coppie. Gli elementi semplici, terra, acqua, aria e fuoco, sono separabili e fondamentali15. Ogni elemento ha due contrarietà, e quando esse en-trano in contatto la loro interazione determina la sopraffazione di una sull’altra.

Aristotele distingue: la materia sottostante, le proprietà contrarie, e il composto delle due, vale a dire gli elementi semplici:

Noi, invece, affermiamo che una materia dei corpi sensibili c’è, ma non ha esistenza separata, bensì è sempre accompagnata da una contrarietà e che da essa si generano i co-siddetti ‘elementi’; ma su questi argomenti abbiamo discusso con maggior precisione in altri trattati. Tuttavia, poiché è anche questo il modo in cui i corpi primari sono derivati dalla materia, anche su questi corpi noi dobbiamo fare le nostre precisazioni, conside-rando come principio e originaria la materia, la quale però, non ha esistenza separata, ma fa da sostrato ai contrari (difatti né il caldo fa da materia al freddo, né questo fa da materia al caldo, ma il sostrato fa da materia a entrambi), sicché in primo luogo vanno poste come principio il corpo potenzialmente sensibile e in secondo luogo vanno poste come principi le contrarietà – ad esempio caldo e freddo – e solo in terzo luogo vanno posti come principi fuoco e acqua e gli altri cosiddetti ‘elementi’ Questi ultimi infatti cangiano l’uno nell’altro … mentre le contrarietà non cangiano l’una nell’altra. (Sulla generazione e la corruzione, 329a28-b2)

I poteri fondamentali non sono soggetti a modifiche, non più di quanto lo siano ad esempio i numeri – per il fatto che l’alterazione qualitativa di una proprietà o di un numero (se fosse possibile) conferirebbe loro una diversa identità; le proprietà ed i numeri sono quello che sono, e tutto quello che sono, in maniera essenziale16. Ma i composti che derivano dalla materia e le proprietà, vale a dire la terra, o l’aria, ecc., sono soggetti a modifiche.

15 Essi sono separabili almeno in via di principio, giacché in natura non si trovano gli ele-menti nella loro forma pura, ma solo loro commistioni. Cfr. Generazione e corruzione, 330b21-23.

16 È opportuno specificare ulteriormente questa affermazione. Con riferimento a Sulla generazione e la corruzione, 328a28-33 e 327b25-26, Aristotele non assume che le contrarietà stesse mutino nelle mescolanze, senza essere distrutte. A mutare senza essere distrutte sono le cose che sono mescolate, e sono quindi le loro nature complesse che in qualche modo persistono pur essendo compromesse – in modo paragonabile al modo in cui la natura di una sostanza per-siste, in maniera progressivamente compromessa, mentre una sostanza va deteriorandosi quando la durata della sua vita volge al termine.

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Poiché le proprietà stesse non cambiano, ciò che sta cambiando quando si ve-rifica un cambiamento è l’entità qualificata da una proprietà, per via dell’acquisi-zione di una nuova proprietà in sostituzione di quella precedente. Così, quando il caldo è sostituito dal freddo, ciò che cambia è ciò che è caldo, non la proprietà di essere caldo, che va persa.

Se si pensano le proprietà come poteri nella materia si capisce perché Aristotele adotti un linguaggio impostato in termini di particelle, indicativo di componenti che non cambiano, ma si trasformano (Sulla generazione e la corruzione, 331b14-24). Egli sta prendendo in considerazione il congiungersi degli elementi semplici, in questo caso dell’acqua e del fuoco, asserendo a tale proposito che il freddo dell’acqua e il secco del fuoco sono distrutti (phtharďnai), mentre il calore del fuoco e l’umido dell’acqua restano (leipetai). Deitticamente indicati, i poteri nella materia sono i costituenti che vengono a costituire il nuovo elemento semplice, in questo caso l’aria; e così via.

Ho esaminato in dettaglio l’immutabilità dei poteri fondamentali, cioè le contra-rietà, per via del fatto che essa è un tratto comune tra le contrarietà e gli atomi (De-mocritei). Oltre all’immutabilità vi è un’altra importante somiglianza tra i poteri fondamentali e gli atomi: i poteri fondamentali non sono costituiti da ulteriori ele-menti, come gli atomi. Non vi sono elementi costitutivi dei poteri fondamentali, e quindi non ci sono ulteriori elementi che costituiscono gli elementi semplici – aria, acqua, terra e fuoco – oltre ai loro poteri fondamentali. In considerazione del fatto che per Aristotele nella natura fisica tutto è costruito su quattro elementi semplici e sulle mescolanze tra essi, tutto ciò che esiste in natura per Aristotele deriva dai poteri fondamentali. Come abbiamo visto, i poteri sono dipendenti l’uno dall’altro per il loro completamento/realizzazione/attivazione17. Aristotele riduce le relazio-ni in termini di proprietà monadiche che sono ontologicamente dipendenti l’una dall’altra. Pertanto, il quadro che emerge è che per Aristotele il livello più basilare della realtà è quello delle proprietà monadiche, i poteri primari, composti in quat-tro elementi (acqua, aria, fuoco, terra), e organizzati in una struttura di reciproca interdipendenza ontologica18.

8. I poteri attualizzati

È necessario indagare a questo punto se il mondo aristotelico dei poteri sia un mondo di mera potenzialità. Il problema da affrontare è se l’ontologia dei poteri aristotelica sia vincolata alla posizione che tutto ciò che è o può essere è potenziale, e che il cambiamento è semplicemente un passaggio da uno stato potenziale del

17 Nel seguito impiegherò i termini ‘compimento’, ‘attivazione’ e ‘realizzazione’ di un potere in maniera intercambiabile, per riferirmi al venire ad essere del fine che definisce la natura del potere.

18 Ho discusso ulteriormente il livello fondamentale dei poteri nelle trasformazioni degli elementi nel mio articolo “Reciprocity without symmetry in causation”, J. Jacobs (a cura di), Putting Powers to Work, Oxford University Press Oxford (di prossima pubblicazione).

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mondo ad un altro stato siffatto. Questa è una difficoltà che molte ontologie con-temporanee si trovano a fronteggiare, e che è talvolta indicata come il problema dell’always packing, never travelling19. David Armstrong (A World of States of Af-fairs, Cambridge University Press, Cambridge 1997, p. 80), a seguito di C.B. Mar-tin (‘The Need for Ontology: Some Choices”, in «Philosophy», 68 (266) (1993), p. 68), formula il problema nel modo seguente:

Se tutte le proprietà fossero poteri puri, i particolari sembrerebbero continuamente impegnati a rifare le valigie preparandosi a mutare proprietà, senza però mai intrapren-dere un viaggio dalla potenza all’atto.

Molti filosofi contemporanei sostengono che la manifestazione di un potere è un altro potere; da ciò deriva il problema. Aristotele invece distingue l’attivazione di un potere dalla realizzazione del fine del potere. Il fine di un potere è dato nella sua definizione:

Ciò che ha potenza, ha potenza per qualcosa di determinato, in un tempo determi-nato e in una maniera determinata (e con tutte le altre circostanze che rientrano necessa-riamente nella definizione). (Metafisica, 1047b35-1048a2)

Per Aristotele, alcuni poteri hanno un fine che è un’attività, altri hanno un fine che è un processo. I primi sono i poteri il cui fine si realizza istantaneamente, come ad esempio il potere di vedere; in ogni istante, si vede e si è visto; Aristotele li chiama ‘attività’ (energeia, praxis). I secondi sono i poteri il cui fine è realizzato a stadi in un processo, come ad esempio il potere di costruire una casa; quando si sta costruendo una casa non si è costruita una casa; Aristotele li chiama ‘cambiamenti’ (o movimenti, kinesis). I cambiamenti hanno un naturale punto di completamen-to, quando il fine del processo è raggiunto, come il completamento della casa; le attività non hanno un naturale punto di completamento, come ad esempio nel caso del vedere. Pertanto, un potere può realizzare il proprio fine attraverso un cambiamento o attraverso un’attività; i cambiamenti e le attività sono i due modi in cui vengono attualizzati i poteri (Metafisica, 1048b18-36). La differenza tra at-tività e mutamenti è che nel mutamento inizio e fine sono diversi tra loro, sicché il completamento della realizzazione del fine richiede diverse fasi in un processo; nell’attività l’inizio e la fine sono invece gli stessi, in una realizzazione continua del fine. Poiché il cambiamento non ha ancora raggiunto il suo punto finale mentre sta avendo luogo, esso può pensarsi come un potere che è in corso di attualizzazione, che è il modo in cui esso è teorizzato da Aristotele. In altre parole, il cambiamento è reale per via del fatto che le sue varie fasi di realizzazione stanno avendo luogo; al tempo stesso, però, esso non è completamente realizzato, in quanto non ha an-cora raggiunto il suo fine. In questo senso, un cambiamento è un attuale processo in corso, che realizza le sue restanti fasi potenziali (Fisica 201a9-18). È importante

19 La denominazione di argomento del ‘always packing, never travelling’ si deve a G. Molnar, Powers: A Study in Metaphysics, Oxford University Press, Oxford 2003, p. 173.

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distinguere tra l’attivazione di un potere e il completamento del processo della sua realizzazione. Per usare la terminologia di Armstrong, un potere compie il “viaggio dalla potenza all’atto” quando è attivato, e rimane in atto durante il suo “viaggio” dall’inizio del processo di realizzazione del suo fine al suo completamento. Il po-tere di costruir case diventa pertanto attuale quando esso è attivato all’inizio del processo di costruzione di una casa, e continua ad essere in atto finché non siano completate tutte le fasi di costruzione della casa. Così, mentre nelle attività il fine è raggiunto non appena sia attuata l’attività, nel caso dei mutamenti ci sono due fini: l’attualità del processo stesso durante il suo aver luogo, e l’attualità del fine raggiunto al termine di tale processo (Metafisica,1050a24-27).

Pertanto, l’attualità di una potenza deve intendersi come l’attivazione del pote-re. È quando il potere sta attivamente facendo quello che è per sua natura capace di fare che esso si attualizza. Esso esiste prima che questo avvenga, ma in uno stato potenziale. Così l’attualità di un potere, sia esso per un’attività o per un processo, è l’attivazione del potere.

«Infatti, in potenza (nel senso primario del termine) è ciò che ha la capacità di passare all’atto: chiamo, per esempio, costruttore colui che ha la capacità di costruire, veggente colui che ha la capacità di vedere, e visibile ciò che può esse-re veduto». (Metafisica 1049b12-15)

(Si noti che l’attualità del risultato derivante da un cambiamento, ad esempio una casa, è qualcosa di diverso dal cambiamento stesso). I poteri per le attività e i poteri per i cambiamenti possono così essere in potenza o, quando siano attivati, in atto.

Un potere in potenza è lo stesso potere del potere che è in atto, cioè attivato. La differenza tra il potere in potenza e in atto non è una differenza numerica. Di conse-guenza, i poteri aristotelici non sono relazionali; non sono diretti verso un altro po-tere che ne è la loro manifestazione, come molti filosofi contemporanei pensano20.

Ma c’è una diversa ‘relazionalità’ nell’ontologia aristotelica dei poteri, dovuta alla interdipendenza tra essi, vale a dire tra i poteri attivo e passivo. Questa relazio-nalità è intrinseca ai poteri giacché specificata nella definizione del potere, che pre-cisa le condizioni in virtù di cui un potere può essere attivato. Queste condizioni comportano l’appaiamento di ciascun potere con il rispettivo potere correlativo, per la loro realizzazione reciproca. Così, il potere di costruire una casa dipende per la sua attivazione dalla presenza di materiale edificabile, che sarà soggetto ai cam-biamenti prodotti dalla costruzione della casa. L’attualità del potere di costruire una casa è l’attività di costruzione, ma perché questa attività abbia luogo è essen-zialmente richiesto qualcosa di esterno alla stessa potenza, cioè la disponibilità di

20 Cfr. ad esempio Bird (op. cit.), capitoli 5 e 6; S. Psillos, “What Do Powers Do When They Are Not Manifested?”, in «Philosophy and Phenomenological Research» 72:1 (2006), pp. 137-156, e la mia discussione del suo articolo in A. Marmodoro, “Do powers need powers to make them powerful? From Pandispositionalism to Aristotle”, «History of Philosophy Quarterly», 26:4 (2009), pp. 337-352.

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materiali in possesso del potere dell’essere costruiti. Questa dipendenza essenziale che ciascun potere nel suo essere attivato ha nei confronti di condizioni esterne (ad esempio, dal suo potere correlativo) è ciò che rende i poteri aristotelici parte di un rete strutturata di poteri21.

L’unicità numerica tra un potere potenziale e il suo stato attivato – la sua mani-festazione – mostra che i poteri aristotelici in atto sono ancora poteri. Un potere in atto non diventa inerte, non perde la sua potenza tramutandosi in una proprietà categorica. Ad esempio, una volta attualizzato il potere del vedere esercita il vede-re, e similmente il potere di costruire una volta attualizzato esercita il costruire. In realtà, lungi dall’essere inerti i poteri attivati sono massimamente potenti mentre esercitano la loro potenza.

La potenza di un potere prima e dopo l’innescarsi della sua attività è una que-stione diversa dal problema se una potenzialità si conservi nel suo essere attualizza-ta (come ad esempio nel caso della potenzialità di risolvere esercizi di matematica). Il primo problema è se la potenza del potere sia essenzialmente legata alla capacità di essere innescato posseduta dal potere – una capacità che va perduta quando si verifica l’innesco e il potere è attualizzato; oppure in alternativa, se la potenza non sia legata all’essere innescata, ma sia esibita, verificatosi l’innesco, per tutto l’arco dell’esercizio del potere, fin tanto che il potere è attivato. Molti metafisici contemporanei sembrano considerare la capacità di essere innescato come l’unico carattere distintivo della potenza – o almeno, essi trattano l’esercizio di un potere nel momento in cui esso sta producendo un cambiamento, come istantaneo, privo di durata22. Al contrario, v’è motivo di ritenere che Aristotele teorizzasse che la potenza di un potere si manifesti sia nella sua potenzialità per l’attivazione, sia nel suo esercizio mentre essa produce un cambiamento:

Una cosa è capace di muovere in quanto può muovere, mentre quando essa è in atto, é motore. Ma motore è ciò che può operare su ciò che è mobile. (Fisica 202a16-18, il corsivo è mio)

Ciò dimostra che per Aristotele un potere è potente in atto, mentre è in fase di esercizio. Questa è la soluzione che l’ontologia aristotelica dei poteri è in grado di dare all’argomento dell’‘always packing, never travelling’. Quella di Aristotele non è un’ontologia che contiene mera potenzialità, perché i poteri continuano ad essere potenti mentre sono in atto. I poteri in atto sono il fondamento di tutto ciò che c’è in natura. I poteri in potenza si fondano sui poteri attivati. Non occorre quindi intro-durre nell’ontologia proprietà categoriali allo scopo di fondare i poteri in potenza; sono i poteri in atto a fornire questo supporto.

L’attualità di un potere è la sua attivazione, che produce un’attività (ad esempio il vedere) o un cambiamento (ad esempio la costruzione di una casa). L’attivazione

21 La realtà è quindi una rete strutturata di poteri; in contrapposizione a un aggregato di poteri privo di connettività interna.

22 Cf. ad esempio C.B. Martin, The Mind in Nature, Oxford University Press, Oxford 2008, p. 51.

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di un potere richiede il suo potere correlativo (che sia attivo o passivo), ed entram-bi i poteri sono proprietà monadiche interdipendenti. Si è osservato in precedenza che ciò che innesca l’attivazione di poteri correlativi è il contatto tra di loro, quan-do si verifichino le altre condizioni relative a tali tipi specifici di potere. Pertanto, l’attualizzazione reciproca di due poteri è l’attivazione di due proprietà monadiche che dipendono l’una dall’altra; ciascuna di esse è soggetta a una transizione dalla potenza all’atto, pur restando la stessa proprietà monadica.

9. La quattro cause

Nella Fisica e nella Metafisica Aristotele elabora la propria teoria delle quattro cause: la causa materiale, la causa formale, la causa finale e la causa efficiente. Le quattro cause sono i principi esplicativi di ciò che sono le sostanze, atti a fornire una comprensione scientifica della natura e della composizione di ogni sostanza. Nella nostra indagine ci si è finora concentrati sulle cause efficienti, su motore e mobile. Seguiremo ora Aristotele nell’esame degli altri tre tipi di causa, osservando cosa esse abbiano in comune, in quanto cause, con le cause efficienti.

Nel libro IX della Metafisica Aristotele applica la trattazione in termini di poten-za e atto elaborata a proposito delle cause efficienti alla spiegazione degli altri due principi dell’essere: materia e forma (cause finali e formali). Una volta raggiunto questo risultato, potenza e atto diventano i principi massimamente fondamentali dell’essere su cui deve poggiarsi la metafisica della natura secondo Aristotele.

Aristotele introduce la discussione nel libro IX della Metafisica tracciando a grandi linee le questioni di ricerca che intende studiare:

E poiché l’essere viene inteso nel significato di essenza, o di qualità, o di quantità e, in un altro senso, l’essere viene inteso secondo la potenza e l’atto e secondo l’attività, dobbiamo trattare anche della potenza e dell’atto. E, in primo luogo dobbiamo trattare della potenza nel suo significato più proprio, ancorché non sia quello che più serve allo scopo che intendiamo perseguire ora; infatti, le nozioni di potenza e di atto vanno oltre i significati che sono relativi al solo movimento. Ma, dopo aver detto di questi significati, deluciderei anche gli altri, là dove tratteremo dell’atto. (1045b32-1046a4)

È nella seconda metà del libro IX, nei capitoli 6-10, che Aristotele estende la discussione di potenza e atto dalle cause del cambiamento alla materia e alla forma, e attraverso la forma a tutti i tipi diversi di essere. Aristotele non offre qui analisi concettuali di potenza e atto. Piuttosto, egli utilizza molteplici esempi di diversi tipi, costruendo attraverso di essi un’analogia tra il senso primario della potenza e dell’atto e i loro sensi estesi. Quello principale è il senso in cui la potenza e l’atto si applicano alla causazione efficiente, relativo al dominio del cambiamento, che Aristotele ha spiegato nei capitoli 1-5 del libro IX e in altre sue opere. Le analogie che egli pone sono le seguenti:

Dopo aver trattato della potenza considerata in rapporto al movimento, dobbiamo ora definire l’atto e determinarne l’essenza e le proprietà. Procedendo in queste analisi, risulterà più chiaro, ad un tempo, anche l’essere in potenza, in quanto diciamo che è in

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potenza non solo ciò che per natura può muovere altro oppure che può essere mosso da altro (sia semplicemente sia un determinato modo), ma diciamo che una cosa è in poten-za anche in un altro significato: ed è proprio per ricercare questo significato che abbiamo trattato anche gli altri ... Ciò che vogliamo dire diventa chiaro per induzione nei casi particolari: infatti, non bisogna cercare definizione di tutto, ma bisogna accontentarsi di comprendere intuitivamente certe cose mediante l’analogia. E l’atto sta alla potenza come ad esempio chi costruisce sta a chi può costruire, chi è desto a chi dorme, chi vede a chi ha gli occhi chiusi ma ha la vista e ciò che è ricavato dalla materia alla materia e ciò che è elaborato a ciò che è non è elaborato. (1048a25-b4)

La materia di cui Aristotele sta parlando in questo passo può essere intesa sia come la materia da cui si ricava una sostanza, come i tronchi di legno da cui è rica-vata una nave, sia come la materia che esiste in astratto senza la forma della nave. Più avanti, Aristotele spiega che:

Inoltre, la materia è in potenza perché può giungere alla forma; e quando, poi, sia in atto, allora essa è nella sua forma. (1050a15-16)

La forma è qualsiasi tipo di ente che possa rientrare nelle categorie dell’essere, e che possa spiegare una generazione e una distruzione o un’alterazione. Chiaramen-te la materia è nella forma nel senso che essa è ‘in-formata’ dalla forma; la forma viene cioè istanziata in quella materia.

Una caratteristica importante dei poteri è che essi possono passare da uno stato di potenzialità a uno di attualità. Aristotele non fa menzione del fatto che questa caratteristica non si applica alla materia. Né i tronchi di legno di cui è fatta la nave, né il legno che costituisce la nave, passano dalla potenza all’atto nel modo in cui lo fanno i poteri che sono cause efficienti. In effetti, Aristotele dichiara che il senso esteso di potenza e atto è diverso da quello primario, ma non specifica quale sia l’aspetto differenziante. Questa caratteristica differenzia tuttavia in modo impor-tante la potenzialità del legno della nave, ad esempio, dalla potenzialità del fuoco. Dunque cosa è che la materia e la forma, che sono entrambi casi di potenzialità, hanno in comune con le cause efficienti? Cosa permette ad Aristotele di parlare di potenza e atto in relazione alle quattro cause in generale?

L’aspetto che le quattro cause hanno in comune è la loro incompletezza, che Aristotele introduce nel capitolo 6 del libro IX. Egli se ne serve per distinguere il cambiamento dall’attività:

Di questi processi, i primi bisognerà denominarli movimenti, i secondi, invece, atti-vità. Infatti, ogni movimento è incompleto – così, ad esempio, il processo del dimagrire, dell’imparare, del camminare, del costruire. Questi processi sono movimenti, e sono palesemente incompleti: non è possibile, infatti, che uno cammini e abbia camminato nel medesimo tempo, uno costruisca ed abbia costruito, che divenga e che sia divenuto, riceva movimento e l’abbia ricevuto: queste sono cose diverse. Invece, uno ha visto e vede nel medesimo tempo, e, anche, pensa ed ha pensato. Chiamiamo, pertanto, attività quest’ultimo tipo di processo e movimento l’altro. (1048b28-34, traduzione leggermente modificata)

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Aristotele spiega l’incompletezza del cambiamento come un esempio dell’in-completezza della potenzialità:

Il movimento sembra essere un certo atto, benché incompiuto. La ragione di ciò dipen-

de dal fatto che ciò che è in potenza – e di cui il movimento costituisce l’atto, – è incom-

pleto. (Fisica�����E�������WUDGX]LRQH�OHJJHUPHQWH�PRGL¿FDWD�23

Questa è la fondamentale concezione aristotelica della potenzialità: l’incomple-tezza. Sarebbe difficile esagerare l’importanza di questo principio nella metafisica di Aristotele. Essa è infatti una nozione che ci permetterà di comprendere aspetti fondamentali del suo sistema, e in particolare alcuni aspetti che risultano controin-tuitivi dal punto di vista contemporaneo.

L’incompletezza spiega il ‘dinamismo’ associato alla nozione di potenzialità. Ari-stotele spiega il concetto di incompletezza di un processo come incompletezza nel raggiungimento di un obiettivo raggiungibile nel tempo:

Poiché delle azioni che hanno un termine nessuna è di per sé fine, ma tutte tendono al raggiungimento del fine, come ad esempio il dimagrire che ha come fine il dimagri-mento; e, poiché gli stessi corpi, quando dimagriscono, sono i movimento in questo modo, ossia non sono ciò in vista di cui ha luogo il movimento, ne consegue che queste non sono azioni, o almeno non sono azioni perfette, perché appunto, non sono fini. Invece, il movimento nel quale è contenuto anche il fine è anche azione. Per esempio, nello stesso tempo uno vede e ha veduto, conosce e ha conosciuto, pensa e ha pensato, mentre non può imparare ed avere imparato, né guarire ed essere guarito. (1048b18-25)

È facile capire l’incompletezza di un processo che ha diversi stadi di sviluppo, mentre non ha raggiunto il fine. Anche se si arresta il processo a metà, esso può rimanere incompleto, dal momento che la completezza è quella che si ottiene nel tempo. È invece più difficile capire l’incompletezza quando ciò che è incompleto non può essere osservato, ma si ha accesso ad esso solo mediante astrazione. Tale è il caso dell’incompletezza costituzionale, ad esempio quella della materia e della forma in una sostanza, che in natura non si trovano mai nel modo in cui si trova una casa costruita a metà, ma sempre come composti di materia e forma24. Non-dimeno, la concezione aristotelica della potenzialità richiede che si comprenda l’incompletezza delle sostanze quando le si pensi prive di uno dei loro principi costitutivi.

Considerando il suo sistema in modo globale, si riscontra che Aristotele adopera la nozione di potenzialità in relazione a due casi: per il processo di cambiamento, sia esso una generazione o un’alterazione, e per la costituzione di un ente. Nel caso

23 Lo stesso rilievo si trova espresso nella Metafisica, 1066a22-23. Cfr. anche Fisica, 257b9.

24 La materia, come il marmo per una statua o i pezzi di legno per una casa, non è ciò che rimane quando si astrae la forma della statua o della casa, giacché i blocchi di marmo e le assi di legno hanno forme loro proprie, persino se si pensassero come privazioni (in quanto non-sostanziali). La materia che resta è un’entità astratta.

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del cambiamento, il processo può essere osservato nel suo svolgersi nel tempo mentre viene completato, raggiungendo i suoi stadi di sviluppo. Ma nel caso della costituzione, entità incomplete come la materia costituente e la forma devono es-sere concettualizzate tramite astrazione dei principi che compongono l’ente. Nel caso della generazione, l’incompletezza può essere compresa nel tempo piuttosto che mediante astrazione, come l’incompletezza della forma di un bambino. Ulte-riori casi – e casi possibilmente paradigmatici – di enti costituzionalmente incom-pleti sono le cause efficienti che si sono esaminate in precedenza. Esse esistono in modo incompleto come poteri in natura; sono completate costituzionalmente dal contatto con i poteri loro correlati nelle giuste circostanze, fase questa nella quale sono attualizzati venendo attivati nell’esercizio della loro potenza. Il potere del calore è così potenzialmente riscaldante, essendo incompleto per mancanza della forma del riscaldare, ma esso giunge a essere attualmente informato dalla forma del riscaldare una volta a contatto con un oggetto riscaldabile. I poteri causali ef-ficienti non sono osservabili nel loro stato incompleto, potenziale; il motivo è che l’osservazione è interazione causale, e questa attiva i poteri.

Nel caso dell’incompletezza costituzionale di materia e forma di una sostanza (il tema a cui è dedicata la seconda metà del libro IX della Metafisica), la materia e la forma possono pensarsi come poteri – non perché esse siano dinamiche nel senso di poter determinare un cambiamento; bensì perché il loro stato costituzionale quando le si consideri di per se stesse è uno stato di incompletezza (una materia priva di forma, o una forma priva della materia), e in quanto tale è uno stato che manca di completamento. È possibile comprendere l’incompletezza della materia o della forma di una sostanza astraendo i corrispettivi costituenti della sostanza; per esistere in natura, le corrispettive entità astratte di materia e forma necessitano di un completamento25.

Sulla scorta della nozione di incompletezza costituzionale, si sposta il punto focale dell’indagine sul potere di mutamento: dall’essere il cambiamento una capa-cità primitiva nelle cose (ad esempio, tra gli opposti), si passa ad una spiegazione del cambiamento come alimentato dalla dipendenza reciproca tra gli elementi co-stitutivi della realtà, l’uno dall’altro. L’incompletezza costituzionale della potenziali-tà è la chiave della concezione aristotelica della dipendenza ontologica. È il motivo per cui un potere dipende da un potere correlativo nel ricevere la sua forma e il suo cambiamento26; è la ragione per cui la materia dipende dalla forma per essere istanziata, o un padrone da un schiavo per esistere, ecc. In tutti i casi, un elemento (concreto o astratto) è legato ad un altro elemento per via della necessità di ciascu-no di completarsi costituzionalmente con l’altro.

25 Ci sono sensi secondari di mancanza, come ad esempio la mancanza di forma nel caso di un oggetto quale un mucchio informe di bronzo, la cui forma è una privazione; non estenderò tuttavia la discussione a questo ambito.

26 Sebbene non vi sia nulla di fisico trasmesso tra i poteri, la ricezione della forma del potere attivo da parte del potere passivo indica la corrispondente incompletezza metafisica dei poteri, che è esibita come efficacia del potere attivo su quello passivo.

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L’incompletezza è la chiave per comprendere la causalità finale aristotelica in un modo che evita le critiche che essa ha ricevuto dalla filosofia moderna, perché, si dice, ammette backwards causation. Nella concezione aristotelica della causazione finale27, così come propongo di intenderla, il fine ultimo non è reificato in modo da essere operativo in maniera efficiente, a ritroso, su un ente o un processo che è esso stesso diretto verso il suo fine ultimo. Piuttosto, il fine ultimo rappresenta il tipo di incompletezza che appartiene all’entità o al processo. L’incompletezza è relativa ad una presente nell’ente o nel processo stessi, o nel loro ambiente. Ad esempio, il fine di un embrione è lo stato di maturo essere umano verso cui esso tende; l’embrione è sviluppato in relazione a tale stato in maniera incompleta; tuttavia, nei movimenti che lo sperma sta trasferendo all’embrione (derivanti dai movimenti del genitore) esiste una capacità di mutamento e sviluppo dell’embrione in un essere umano maturo. In Metafisica IX Aristotele afferma che:

Infatti, anche la natura appartiene allo stesso genere cui appartiene la potenza; per-ché anch’essa è principio di movimento, ma non in altro, bensì nella cosa stessa in quan-to tale. (1049b8-10)

Il fine ultimo rappresenta così l’aspetto sotto il quale l’entità o il processo aventi questo fine sono incompleti; la loro incompletezza è relativa ad una capacità pre-sente per il fine ultimo, a prescindere se questa capacità sia la loro natura, o nel loro ambiente28.

Nella sua discussione di potenza e atto, Aristotele considera diversi tipi di enti che sono potenziali e possono essere attualizzati. Il tipo primario sono potere in potenza. Si è osservato che un potere in potenza è incompleto rispetto alla forma dell’attività verso cui è diretto, la quale viene a essere posseduta dal potere in atto una volta attivato. L’attivazione di tale potere è un’istanza di causazione efficiente.

Ulteriori tipi di entità esaminati da Aristotele nella sua discussione di potenza e atto sono la materia costituente, e la forma da cui essa è informata in una sostanza. Esse sono potenziali in un senso diverso rispetto a quello in cui la potenzialità si applica al mutamento:

Non tutte le cose si dicono in atto nello stesso modo, ma solo per analogia... alcune cose, infatti, sono dette in atto come movimento rispetto a potenzialità, altre come so-stanza rispetto a qualche materia. (Metafisica, 1048b4-6)

Questo diverso senso di attualità e potenzialità si applica alle cause non-efficien-ti. Ciò che è comune tra questo senso analogo di potenzialità e il senso in cui sono

27 Ad esempio, che ogni generazione avviene in vista di un fine (cfr. Metafisica, 1050a7-9).

28 Parlando in generale, possono esserci modi diversi – e persino arbitrari – in cui qualco-sa di incompleto possa essere completato. La teleologia aristotelica seleziona uno di questi modi come descrivente il tipo di incompletezza che appartiene a un ente, o a un processo, sulla base delle capacità sistematicamente occorrenti che sono presenti nell’ente o nel processo allo scopo di completare gli enti o i processi di quel tipo, qualora nulla lo prevenga.

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potenziali le cause efficienti, è che tutto ciò che è potenziale è caratterizzate da un qualche tipo di incompletezza. La materia può così pensarsi come potenziale:

La materia è in potenza perché può giungere alla forma; e quando, poi, sia in atto, allora essa è nella sua forma. (Metafisica, 1050a15-16)

Interpretata in chiave costitutiva, questa affermazione ci dice che la materia di una sostanza, considerata in astratto senza la sua forma, è potenziale perché è in-completa, in quanto priva della forma. Essa è attivata quando ha la sua forma, co-stituendo così una sostanza. Anche la materia originaria di una sostanza (piuttosto che la materia astratta che costituisce la sostanza), considerata come tale, è poten-ziale; così è ad esempio nel caso di un embrione che si sviluppa in un essere umano. L’incompletezza dell’embrione consiste nella mancanza in esso della forma di un essere umano. Poiché l’embrione è un particolare concreto, in contrapposizione alla materia astratta di una sostanza, il senso in cui esso manca della forma propria di un essere umano è diverso dal senso in cui ne sono prive la carne e le ossa come entità astratte. L’embrione è nondimeno la materia originaria da cui viene generato l’essere umano, e come tale è potenzialmente l’essere umano che diventerà. Pertan-to, la materia come potenziale, sia essa una materia originaria o astratta che giunge ad essere nella sua forma una volta in atto, è un’istanza di causalità materiale.

Analogamente la forma, considerata in astrazione come non realizzata nella materia, è anch’essa incompleta, e quindi in uno stato potenziale, in quanto può realizzarsi nella materia. Non si deve pensare che il fatto che Aristotele parli della forma come di un’attualità sia in conflitto con lo stato di potenzialità della forma; non lo è più di quanto lo stato di un mutamento che è in atto lo sia con il suo stato di potenzialità (Fisica 201a10-11). Il senso in cui una forma è una attualità è compatibile con il suo essere in potenza, se la si considera astrattamente come non realizzata nella materia; la forma è una attualità, perché essa rappresenta ciò che una sostanza è, come indicato nella definizione della sostanza, sia che la forma sia realizzata nella materia sia che essa non lo sia; mentre la forma è in atto giacché essa è realizzata nella materia. La forma come potenziale, che viene ad essere nella sua materia una volta in atto, è quindi un’istanza di causazione formale o causazione finale:

E, così, se si domanda: perché questo dato materiale, per esempio mattoni e pietre, sono una casa. È evidente, dunque, si ricerca la causa; e questa è in alcuni casi, la causa finale (così, per esempio, nel caso della casa oppure del letto); in alcuni casi, invece, essa è la causa motrice prossima. Anche questa, infatti, è una causa. La causa motrice si ricer-ca quando si tratti di spiegare il generarsi e il corrompersi delle cose, mentre l’altra causa si ricerca anche quando si tratti di spiegare l’essere delle cose. (Metafisica, 1041a26-32)

Le quattro cause comportano tutte una qualche forma di incompletezza meta-fisica, che rende conto del loro stato potenziale, e che spiega in cosa consista per ciascuno di essi il raggiungimento dell’attualità. Vi sono differenze significative tra le quattro cause, e in particolare tra quelle che comportano un cambiamento, e quelle che comportano l’astrazione dalla costituzione delle sostanze. Per ciascu-

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na, vi sono differenze corrispondenti nei vari tipi di incompletezza; esse risiedono nel dipendere da fattori interni o esterni per il loro completamento; nell’essere la completezza conseguita mediante un cambiamento o mediante costituzione, nel richiedere uno sviluppo o un’astrazione, e così via. Ma ciò che è significativo per comprendere il ruolo di cause che le caratterizza è che per ciascuno dei casi vi è un senso in cui si verifica un’incompletezza metafisica, che fonda una potenza, e che spiega il loro ruolo causale. Nel sistema di Aristotele, tutti i principi fondamentali dell’essere devono quindi considerarsi come istanze di un certo tipo d’incompletez-za, e quindi di potenza, con le loro corrispondenti interdipendenze ontologiche.

Anna MarmodoroUniversity of Oxford

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Anna Marmodoro è Official Fellow in Filosofia dal 2011 presso la University of Oxford, Corpus Christi College. Dopo essersi laureata in filosofia all’Universi-tà di Pisa, ha conseguito il dottorato all’University of Edinburgh. I suoi interessi coprono la filosofia antica e medievale, metafisica, filosofia della scienza, filosofia della percezione e filosofia della religione. Diverse le sue pubblicazioni tra cui tre curatele e vari articoli in riviste internazionali; è in corso di pubblicazione una mo-nografia. Ha inoltre ricevuto fondi di ricerca dalla Templeton Foundation (2012); dall’European Research Council (2010), e dal Leverhulme Trust (2008). Attual-mente dirige un gruppo di ricerca nel Dipartimento di Filosofia della University of Oxford, che comprende numerosi ricercatori, e collaboratori internazionali; il gruppo è finanziato dai fondi di ricerca menzionati.