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1 Francesco Maria Cecchini ANGELI SULLA PELLE Clips history PDF - Versione in lingua italiana Suggerimenti per la lettura Questa versione in PDF richiede alcuni suggerimenti utili per la lettura. 1_La versione originale cartacea dal titolo Angeli sulla pelle.Clips History, [pubblicata da Gianfranco Varzi Editore, via Liguria, 06012 Città di Castello (PG), tel. 075./8512062] è, nella sua forma grafica, del tutto diversa da questa in PDF. Per averne una idea si veda la seguente pagina: http://angelisullapelle.altervista.org/angelirubrica/angeli_clips_asp.htm 2_Il testo è invariato e i vocaboli usati sono essi stessi immagini. E’ la parola che diventa immagine per interagire con il lettore ma sono necessari alcuni accorgimenti. a) Questo testo non è fatto per essere ‘capito’ ma per essere ‘sentito’. Non importa comprendere il significato delle parole. E’ indispensabile che le parole suscitino quelle immagini che emergono dal profondo fondo. b_ Il rispetto della punteggiatura deve essere rigoroso nel senso che, pur avendo ogni lettore un modo suo di leggere, i tempi dati alle virgole, ai punti alle righe bianche, debbono essere costanti come si farebbe con uno spartito musicale. Scelto il tempo questo deve essere mantenuto in ogni clip, anche se, per le varie clips. il tempo può essere cambiato. Se ad esempio in una qualsiasi clip, a scelta, alla virgola si attribuisce un secondo, al punto si debbono darne tre e per la riga bianca dieci secondi. Il tutto per ottenere l’effetto ritmo necessario per ‘sentire’. E’ normale che, se la lettura è corretta, ognuno può ascoltare la propria musica che viene dall’io. 3_Il termine ‘Predicato’ è quasi sinonimo di ‘Introduzione, Il termine Indicatore’ è quasi sinonimo di ‘Indice’. Nel testo originale a stampa i Pe- duncoli’ sono quasi sinonimo di ‘Note’ che non vengono indicate con i ume- ri ma con delle icone.

ANGELI SULLA PELLE · 20 Una stella del Carro ... Muore, si nega, ... Quando le emozioni rovesciano lo stupore del nuovo sui bassi fondali,

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Francesco Maria Cecchini

ANGELI SULLA PELLE Clips history PDF - Versione in lingua italiana Suggerimenti per la lettura Questa versione in PDF richiede alcuni suggerimenti utili per la lettura. 1_La versione originale cartacea dal titolo Angeli sulla pelle.Clips History, [pubblicata da Gianfranco Varzi Editore, via Liguria, 06012 Città di Castello (PG), tel. 075./8512062] è, nella sua forma grafica, del tutto diversa da questa in PDF. Per averne una idea si veda la seguente pagina: http://angelisullapelle.altervista.org/angelirubrica/angeli_clips_asp.htm 2_Il testo è invariato e i vocaboli usati sono essi stessi immagini. E’ la parola che diventa immagine per interagire con il lettore ma sono necessari alcuni accorgimenti. a) Questo testo non è fatto per essere ‘capito’ ma per essere ‘sentito’. Non importa comprendere il significato delle parole. E’ indispensabile che le parole suscitino quelle immagini che emergono dal profondo fondo. b_ Il rispetto della punteggiatura deve essere rigoroso nel senso che, pur avendo ogni lettore un modo suo di leggere, i tempi dati alle virgole, ai punti alle righe bianche, debbono essere costanti come si farebbe con uno spartito musicale. Scelto il tempo questo deve essere mantenuto in ogni clip, anche se, per le varie clips. il tempo può essere cambiato. Se ad esempio in una qualsiasi clip, a scelta, alla virgola si attribuisce un secondo, al punto si debbono darne tre e per la riga bianca dieci secondi. Il tutto per ottenere l’effetto ritmo necessario per ‘sentire’. E’ normale che, se la lettura è corretta, ognuno può ascoltare la propria musica che viene dall’io. 3_Il termine ‘Predicato’ è quasi sinonimo di ‘Introduzione, Il termine ‘ Indicatore’ è quasi sinonimo di ‘Indice’. Nel testo originale a stampa i Pe-duncoli’ sono quasi sinonimo di ‘Note’ che non vengono indicate con i ume-ri ma con delle icone.

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Indicatore 3 Predicato 5 Le Clips nella Storia 7 Non si incontreranno mai 9 Sulla pelle 11 La spina di Roccaporena 13 Con gli occhi rossi e le labbra nere 16 Fascismi individuali di massa 18 D – Day 20 Una stella del Carro 22 Norma Jean 24 L’altra faccia della Luna 26 L’otto ottobre sessantasette per il “Che” 28 Due anni compiuti in sé 30 Un angelo con il mitra 32 Rosa al femminile 34 La freccia e la sua impennatura 36 Copyright e autore

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Predicato Ci si prepari ad una sorta di gloriosa follia, ad una rivolta degli elementi, si lascino liberi nella loro corsa i neuroni intercity, se si vuole arrivare a capire qualcosa. Il tempo come frammento di memoria vissuto sulla pelle per sentire il moto ampio della musica che viene dall'io: Angeli sulla pelle: nella consapevolezza che ognuno ha di sé, per raccontare e immaginare il tempo attraverso la clips history e catturare l'ambivalenza dei ricordi, gli eventi della storia collettiva e le complessità delle vicende individuali. Immagini strofinate, stropicciate, strizzate, immagini vivide, anfetaminiche e affannate; si intrecciano e rimbalzano in un continuo seguirsi di gesto e parola. Affiorano per un ricordo improvviso, un cenno che le evoca, un qualunque motivo per recuperarne la memoria. Fiammata insurrezionale, storie orfane di freddo e accademico: da Santa Rita da Cascia ad Anna Frank, dal D-Day a Marilyn Monroe, dalla immagine sovietica dell'altra faccia della luna agli anni delle nuove lotte delle donne, dalla Grande guerra al sessantotto, dalla fine del "Che", mito della rivoluzione, a Mara Cagol, "angelo con il mitra". Quindici clips che, camminando sui Peduncoli e sul Predicato, prima che la riflessione sul testo diventi critica, sono orientate dall' Indicatore che le muove in tutte le direzioni. Un nuovo rapporto con chi è altro da sé nell' affascinante ambiguità del dubbio, nel messaggio segreto per incontrare solo colui al quale esso è rivolto. Una sorta di codice segreto, dai riflessi onirici, metaforici e virtuali per i tempi evocati. Una cosa è certa: dopo la lettura delle clips non si pensa più come prima, non si pensa più in maniera univoca. La chiave per affrontarle, è la disponibilità a mettere tutto in discussione, a verificare con i sensi, a interiorizzare la sostanza, a rifiutare le abitudine, a non sopravvalutare le proprie idee. Il linguaggio delle clips è il tentativo di forzare la parola per farle esprimere ciò che normalmente non si coglie. La parola si fa cosa, oggetto, non è più il rappresentare, il ricostruire un ambiente o una situazione: è, essa stessa, situazione prima che segno linguistico, elemento del vissuto riproposto senza la mediazione del linguaggio come convenzione. Ogni singola parte, nelle clips, è così parte del tutto che stringe la precedente e la assorbe: la parola si fa realtà, espressione, particella, tessera del mosaico. Con la clips history si è di fronte ad un linguaggio che si fa immagine così che esso non si compie in sé, ma necessita del supporto visivo dei sensi. Si trasforma in atto, azione corrente, in qualcosa

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d'altro. Muore, si nega, si raggela per poi rinascere diverso: oggetto, luce, melodia, profumo, fotografia, sogno. E' qui che prende forma la componente onirica delle clips: lingua del sogno che procede per immagini, prodotto visivo di un processo di conoscenza privo di una logica consequenziale spazio-tempo. Nel momento in cui si è nella lettura si ha la sensazione di sfogliare un album di fotografie sostenuto dalla forza rappresentativa della parola che frantuma sulla cosa perché se ne evidenzi ogni suo aspetto. Ma intanto è possibile iniziare a prendere il volo, stando bene attenti a non cadere per superare l'oblio e contemplare con un solo sguardo il ciclo indefinitivamente vasto del tempo-uno. Presenze invisibili, forniscono indicazioni per momenti di apparenti certezze, per dileguarsi subito dopo. Inutile cercarle: nulla possono insegnare. Tutte le strade sono libere e pronte per essere percorse. La meta è sconosciuta.

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Le Clips nella Storia Non esiste chi, nella consapevolezza della sua ultima possibilità di reazione, non sia in grado di collocare in un'unica impressione il proprio senso di sé, tutto, completo, sin dall'inizio; fotogrammi sparsi da ricomporre e da rimontare in sequenze verosimili si assiepano disorganicamente privi, di apparenti significati e contenuti, giunti al bivio. Quanto sta per compiersi si incolla agli strati precedenti del quotidiano che si è consumato e va per essere bruciato. Il domani si avvita, oggi, sulla griglia di componenti già percorse. Ai sogni delle lunghe veglie notturne è affidata la ricomposizione e la riduzione ad unità. Ma ciò accade in una qualche sfera più remota, molto prima della coscienza di sé. La storia è già altro avvistamento! L'infinitamente piccolo da puntare e fissare nell'infinitamente grande delle possibili narrazioni. Ma nelle dimensioni estese fuori dai limiti si perde ogni opzione possibile. Così, oscuro e non definito appare il punto nel quale ciò che è stato e ciò che sta divenendo si riassume in un momento unico. Marc Bloch, riflettendo sulle possibilità di sistema delle acquisizioni da percepire e impegnando una concreta ricostruzione di noi pensa che "la storia … anche indipendentemente da qualsiasi eventuale applicazione alla condotta pratica avrà il diritto di rivendicare il suo posto fra le forme di conoscenza veramente degne di sforzo, soltanto se ci permetterà una classificazione razionale e una progressiva intelligibilità, anziché una semplice enumerazione senza nessi e quasi senza limiti".1 Ma noi sappiamo che le intelligibilità che si maturano sui piani delle razionalità progressive si diluiscono fino a sbiadire del tutto negli impasti emotivi e nelle ritenute chiare voluttà del presente. Le immagini del tempo non trovano impressione sufficiente per essere restituite alle pulsioni individuali quando esse si muovono nel presente e spingono in avanti. Le costruzioni razionali della storiografia erette per spiegare, comprendere, più spesso per giustificare o condannare, non reggono all'urto delle maree che avanzano e si ritraggono in preda ai moti degli spazi scanditi dal tempo. Nelle pause elicoidali del movimento si alimentano l'interpretazione e l'ipotesi. Fioriscono i grafici delle probabilità e delle combinazioni come le radici rampicanti sui muri disabitati delle gioie e delle pene sofferte. Gli specialisti di professione si dileguano ai primi segni del nuovo che appare molto prima dell'assalto dirompente delle orde scomposte dei punti interrogativi e dei simboli dell' esclamazione.

1 Marc Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969, p. 28. Titolo originale: Apologie pou l’histoire ou métier d’historique, “ Cahiers des Annales”, Paris, Liìbrairie Armand Colin, 1949.

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Nel presente orientato nella direzione del divenire che trasforma e avvolge lo sviluppo, si sfaldano il rigore del metodo, la sapienza erudita, l'oggettività delle scienze umane, la simmetria geometrica dei simboli di valore e delle valutazioni di indirizzo. Il giudizio critico non sopravvive a brevi stagioni; nello sviluppo ogni cosa si scioglie come materia incandescente per solidificare, ancora una volta, in nuove forme e in mutati giudizi. Ma nell'esserci di ognuno di noi nidifica il punto di avvio per le costruzioni della memoria, come al fondo della rappresentazione onirica; in ogni senso, come riflesso della coscienza, fra gli spessori dei sentimenti e delle passioni che sibilano come venti in deserti assolati e boscaglie inesplorate. Raccontare il tempo solo in quanto già esaurito o nel momento nel quale esso si compie, risulta operazione insoddisfacente, così come non comprensibile apparirebbe colui il quale, rivolgendosi al proprio compagno di viaggio, gli celasse il volto, per nascondergli le dimensioni della propria vicinanza da lui. L'esserci è sempre individuale, momento del singolo, attivo nelle frantumazioni del giudizio critico, come le clips per riaccollare i frammenti delle intuizioni volatili e i giorni della consapevolezza. Nel collettivo, l'esserci è utopia, accarezzata in frammenti e divisa nel profondo di caldi umori tonali, da ricomporre nel fascino coattivo delle clips. Per una Clips History. Appunto.

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Non si incontreranno mai Quando le emozioni rovesciano lo stupore del nuovo sui bassi fondali, nauseanti e fangosi, del quotidiano, la ragione ulula sotto le piante di gelso e volge il capo sui, più facili, piani dell'analisi, dell'osservazione e del giudizio morale. Incapace di raccogliere le forze tempestose e le spirali vertiginose del passato, nei mille secoli perduti aldilà di ogni limite razionale possibile, l'interpretazione critica del presente si avvita sui vertici delle astrazioni sillogistiche, dominanti, e sulle menzogne delle logiche convenzionali. Così, sordo al richiamo delle libertà e delle passioni, impotente, scisso, deluso, sconfitto dalla solitudine, costretto ad amare con la sola forza del desiderio, il presente scivola, veloce, sul passato in successione cronologica, senza posare lo sguardo, senza toccare i capelli, senza dire una parola. Come il giorno, spenta la notte. Come la luce, riaccese le tenebre. Come l'odio cucito l'amore. Come il pensiero decimale, ordinate le grandezze crescenti, in rapporti costanti. Non si incontreranno mai. Tutto ciò che è stato. Tutto ciò che è. Rimasti, soli, a sera, divisi, separati, lontani, il giorno lento, posati ad arco, morbidi, curvi, nella penombra, a gòmene rimosse, a rinserrati passi. Risuona il maglio del fabbro. E, all'orizzonte, sulla linea del punto più estremo, dove sfuoca la prospettiva, i monotoni languori del ripetitivo, tendono gli artigli a ricondurre per mano i brani scomposti delle gioie e delle pene, sofferte, e precipitano gli equilibri delle pulsioni a frantumare i giorni che si preparano a tornare. La memoria sul viso stanco della fine, il sillogismo sulle anse del pensiero negativo, i ricordi tra i veleni dolciastri delle abitudini e le parole, crocefisse, con l'inchiostro dell'ipocrisia, sulla linfa di tronchi secolari, sulle trame fossili delle pergamene e sulle spore della polvere. Il carrettiere riordina i panieri per gli assi cigolanti del calesse, abbandonato tra cumuli di carte in rovina e volumi di foglie sporche, accucciate le fiabe, spogli i desideri, intimorita la fantasia, inumidite le passioni sui conati, glorificati, delle pure, asessuate, immagini della sapienza. I cortigiani dei palazzi di vetro narrano senza fede e senza amore le bandiere, le piume, le divise, le spade, i foderi, le sete, i luoghi e gli umori, i colori dell'oratore di turno, gli eroi collettivi, i presidenti, le altezze reali, i generali, i prelati, i notabili e i popolani, dopo il momento religioso notturno.

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E agli eredi del presente che è già morto, ognuno, il proprio sacco. Sul ventre tenue della mano, sulla fronte unta del caso. Con la bretella allacciata ai pantaloni, con le gonne sul ginocchio. Per non mancare i richiami del successo, per non perdere il passo e la falcata. Gelano le membra, irrigidisce il corpo. Ma la speranza si nasconde prima del tramonto con i suoni delle mezze ombre, tenere, rassicuranti, con le certezze che gli animali hanno di sé. Per continuare ancora. Continuare a comprendere, a lavorare, a desiderare, a sognare e a giocare, come sempre, come tutti, in ogni luogo, anche se è molto caldo o troppo freddo, o se la nebbia è ancora bassa, Anche se gli stolti e gli oratori, gli scrivani, e gli oracoli tradiscono gli inganni delle razionalità ufficiali. Anche se, i modelli, dalle gambe lunghe e i capelli gialli, verniciati per i nuovi birilli alla moda, cancellano il dubbio e la paura della solitudine. Anche se la guerra e la pace, coltivate nei campi di sterminio o al sud di un qualunque occidente, e la ricchezza, venerata nei templi dedicati alla fortuna, e l'intelligenza parassita delle élites, maturata nei luoghi della scienza e del culto, vomitano fumo e vanità dorate. Anche se l'incenso dell'ultima religione sul mercato, oscurato il cielo, punte le nuvole, accorciate le distanze della privazione e della rinuncia, scopre un qualche dio, indifferente, disposto ancora a credere. Una giovane donna saliva l' ultima nuvola fredda dei suoi pensieri. Il tuono scopriva i seni ma la giornata era calda e le farfalle dormivano nella valle dei pesci d'argento, irraggiungibili. Quello che sarebbe accaduto era scritto sulle labbra delle piccole gocce d' acqua, amiche del vento. Le lacrime che sarebbero state versate, erano già nel nido dell' uccello del paradiso. All'improvviso, come se fosse da annuncio lontano, tutti avvertirono il dolce tepore della pelle agitare il futuro.

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Sulla pelle E' possibile, che i percorsi della ragione, asserviti agli schemi del conoscere e sedotti dal principio di non contraddizione, siano costretti alla resa, come le foglie destinate a giacere, appesantite dalla pioggia dopo il temporale. E', possibile che le forme della logica, tornite nei secoli e fissate nel pensiero, si spoglino e si rivestano lentamente, mostrando brevi cesure e minuscole, ombre, adeguando la finezza della linea alle espressioni del gusto, esaltando lo stile, la nettezza del dire e la forza del persuadere. E', anche, possibile che la riflessione critica, plagiati i riflessi della memoria, non abbia occhi per vedere l'unità affettiva del tempo quando, esso, rappresentandosi come uno, e non rinunciando a occupare il presente, per guardarsi indietro e spingersi in avanti, si deforma e alleggerisce, fino a coincidere con l'ombra di sé. Nauseanti i banchetti offerti dalle morali civili, dalle credenze rituali e dallo spegnersi lento della coscienza di sé. Sterili il giudizio delle storie ufficiali, la cultura delle culture egemoni, l'enfasi, acida e amara, e le torbide bugie nel racconto che non conosce la parola e le sequenze reali nei tempi. Tutto ciò è possibile. In ogni momento. Il pagliaccio, rosso di gioia, vola il bianco del viso dipinto sui trampoli del giocoliere con le fruste del domatore sfibrato. Sulla palafitta fradicia del fiordo, le alghe corrodono i pensieri sui rastrelli esposti, a oriente, a essiccare il salmone e le lenze per le barche d'inverno. E, tuttavia, chiusi che siano i filtri censori, temibile che possa apparire la piena esposizione di sé, le immagini del profondo, le emozioni e i ricordi, emergono in superficie, sulla pelle, con la forza di sempre, anche se le labbra rifiutano il movimento e non armonizzano i suoni, anche se il viso ammorbidisce il tono, fino alla trasparenza totale del tratto, e le tempie pulsano come note scheggiate fuori dalle righe. Immagini, mobili e discrete, nervose e incerte, evocate per scoprire il volto e mostrare l'angoscia, fiorite nelle camere oscure dei limiti sofferti in silenzio, fuori dallo spettacolo e dallo scambio di stracci e sottovesti, a rappresentare le strutture biologiche dell' io, gli istinti della specie e le radici affettive del singolo. Assolutamente sole, eccitate e insicure, urlano linguaggi inconsueti per capire e per raccontare, per essere comprese e narrate ma anche per essere colte dalla mano leggera del punto di luce che esplora la notte. Non possono essere lette, non possono essere udite non possono essere composte dalle forme della razionalità, dalla perizia degli esperti e dalle curiosità del passante distratto dagli scenari improvvisati delle vanità. Inutili le opportunità dell' erudizione, poveri i dizionari della lingua e

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dalla decodificazione informatica, timide le espressioni dell'arte, della musica e della pittura! Estranea l'esperienza della scienza! Visibili, solo, con le uniche, piccole, certezze che ognuno ha di sé, conquistate, a forza e per inerzia, sulla pelle, nel clamore dei grandi accadimenti, nel movimento atono della malinconia, nei passi cadenzati della nostalgia, nelle ballate della fede e dei facili entusiasmi e nei fanghi sabbiosi delle giornate che sembrano scorrere troppo in fretta o che non passano mai. E ciò, non solo, per cogliere nelle immagini i turbamenti e le modificazioni di sé, o le affinità progredienti e le lontananze, per empatia, attrazione e repulsione, per simpatia e avversione, o per carpirne la voce, le sembianze, i movimenti, quando tremano, indecise, sulla pelle del compagno, affascinato per sangue e carne propri. Ma anche nel segreto lavoro degli archivi e nei luoghi della ricerca, fra le torture e l'oblio della polvere. Perché, nella parola scritta o nel punto esclamativo, nella correzione incerta o nella grafica del segno, si solidificano le cariche dirompenti dei moti e dei moduli affettivi, nel cuore delle stagioni per cui può essere, ancora, possibile tradurre il nuovo e l'antico in conoscenza e sapere. Sulla soglia di qualsiasi convivenza, le immagini del profondo, le emozioni e i ricordi, sulla pelle, si scoprono nei giacigli, caldi, dei custodi delle passioni che bruciano, per essere trafitte e possedute dalle voglie della narrazione e dalla violenza delle pagine della storia quando, segnate dal sapore delle cose e dai fatti, riposino insonni, nei resti dei muri abbandonati e nelle carte devastate dai ratti, a ripetere le stesse pause, a non logorare i tempi dell'attesa. Per fughe o rapimenti, come nelle sere di quiete, quando, cercano il padre, le figlie del gabbiano e, in lacrime, imprecano alla sorte per le ali abbattute, con i legni e le reti, tra le onde e nel vento, levatisi un giorno lontano d'inverno, e non sa tornare, a casa, sulla banchina del molo, arsa dall' acqua e dal sale e secca dagli umori del sole, rapita per altre dimore.

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La spina di Roccaporena Il chiostro, raccoglie l'attesa del ritorno. Scivolano le monache tra flebili fasci di luce grigia, con Rita, perduta e dimenticata, nell'orto.2 E l'ape si culla nelle labbra segnate della bimba e invoca la spina della rosa sulla fronte degli orizzonti tracciati dai vortici bruciati dello spirito. Celle di calce e pietra bianca, più povere di chi ha donato l'ultimo suo mantello, mute nel vortice che urla la certezza del limite. "Qui habet mandata mea et servat ea, ille est, qui diligit me. Qui autem diligit me, diligetur a Pater meo; et ego diligam eum, et manifestabo ei me ipsum".3 Sfibrato il laccio, precipitato dove la fine è cieca; le vergini ascoltano il profumo di monili mai raccolti e il vapore dei salmi sulle mani bianche con le offerte di sé che portano al confine. Prigionieri tra i tocchi muti della notte, i galli non cantano le albe addormentate del mattino sulla cresta orlata delle ginestre e il mulino non spinge sulle ansie e i sui veleni degli oscuri passaggi delle sfere. La meridiana batte le ore. "Quando poi la Santa videsi entro il sacro sospirato recinto; vide anche in un momento sparire dal suo fianco la gloriosissima scorta, San Giovanni, Agostino e Nicola, trovossi fra le tenebre soletta e abbandonata; ed ebbe a passarvi il restante della notte in'estasi di meraviglia e in un mar tempestoso di incerti e tumultuosi affetti".4 Precipita la deriva dei lidi ignoti alle tempeste, a raggiare, a fondere esalanti misticali deformi. Impresse, decomposte, inebrianti nella quiete folgorante per trarre i tempi, sconfitti all' ultimo giudizio. La cenere dei fuochi parentali a granulare sotto la Luna, nascosta tra le pietre degli usci domestici, fredda, raccolta sui resti inanimati di famiglie dissolte in destini compiuti tra le spinte del dovere, sacro, da portare nel ventre, nella mente, nelle vene, sulle vesti da rammendare anche quando i congiunti per sangue riposano e non odono le lacrime delle foglie umide del sacrificio, delle povertà e delle solitudini. La seta scivola sulle corde di fieno della cetra, sui singhiozzi imprecanti del liuto, sulle canzoni delle fiere nei mercati della festa, tra le spatole della criniera dei soldati mercenari, nelle croste dei Vangeli recitati per mestiere, nel cavo dei tempi difficili alla preghiera, dove servo ancora non è chi uccide nel cuore la madre,

2 Nel monastero delle suore agostiniane di Santa Maria Maddalena a Cascia, nel millequattrocentotredici. 3 “Chi ha I miei comandamenti e li osserva, mi ama; e chi mi ama ssarà amato dal padre mio, ed io l’amerò e mi manifesterò a lui” (Vangelo secondo S. Giovanni, XIV, 21). Vedi anche Lorenzo Maria Tardì, Vita di S. Rita da Cascia, Roma, Tipografia Vaticana, 1900, p.100 e Gerardo Bruni, Rita, la spina di Roccaporena, Roccaporena di Cascia, Opere di S. Rita, 1983. 4 Lorenzo Maria Tardì, Vita di S.Rita da Cascia, op. cit., p.91.

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dove la forgia prepara il ferro, sulle coste delle passioni che schiumano orditi e lingue di fango. I maschi ringhiano col pensiero saggio e mieloso degli anziani, con l'insana vigoria dei figli, col fetore della violenza degli amanti, nell' indifferenza dei culti e della gloria pietrificata dei princìpi, nelle bettole sedotte dal fumo e dalla congiura, nelle torri basse e quadrate, dove il ceppo del boia reclama la scure per le linfe del nuovo che schiudono alla cancrena e al delirio. Ringhiano l'ira e il rimorso sul collo di Paolo di Ferdinando nelle dimore guelfe e sugli spalti ghibellini. Assassinio per antiche faide sull' impervio passaggio degli Schioppi rusci alle Vigne di Collegiacone, vigila notturno sull'agguato il Corno minaccioso in piena, dimentico lo scoglio a Roccaporena. Asciuga la ferita dello sposo, Rita, e bruciano gli aromi dell'odio le vene di Gian Giacomo e Paolo Maria, allacciati alla vendetta con il fulmine che trafigge il perdono. E il monastero stringe l'evento sulla donna, sulla sposa, sulla madre. Nel sacro sospirato recinto. Per non tornare più, per restare ancora. I calici attendono oranti che il rito consumi le cere e la teca liberi i cristalli sul sarcofago dell'altare consacrato. "Fulcite me floribus, stipate me malis; quia amore langueo".5 Con i piedi nudi, le ginocchia fredde, gli occhi sui riflessi di nuovi ricordi e le labbra fisse sulla "parola" che resiste al vento, per ricevere il dono, per l'ultimo tratto di strada, sola, tra le immagini che alimentano i ritmi di una tenera e incomparabile rinuncia. Nei silenzi più lunghi degli immobili passaggi ad oriente delle stelle dove reale è l'impossibile follia dell'amore, violenta, accecante, dove il tepore freddo della speranza, sgrana i grumi maculati della paura. Assoluta, sconosciuta e vera, improvvisa e a lungo attesa, unica, vulnerabile alle ostinate pretese della fede. 5 “Ristoratemi con fiori, rinfrescatemi con mele, perché sto languendo d’amore” (Cantico dei Cantici, 2,5).Ibidem, p.147

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Con gli occhi rossi e le labbra nere Fuoriusciti dall'ottocento, vecchi e bianchi, giovani e ocra, sorpresi a cantare nelle banche e nella borsa, nelle direzioni anonime dell'industria, nelle ideologie maleodoranti del potere, nelle cattedrali profumate d'incenso, nei baccanali solenni e nelle saghe popolari, ricorrenti. Imbracciati i labari, gli scudi, le croci, le falci e l'ascia; raccolti i fiori, le perle e i petali di rosa, per la guerra e per la rivoluzione, le democrazie e i socialismi. Orientati su informatiche proiezioni prospettiche e programmati su carismi di consenso i volumi delle dimore non ritrovano i tempi del futuro, mentre i mercanti soddisfano le aggressioni del piacere. Sulla strada rotola la nenia di tutti i giorni alle prime ore e, poi, dopo, anche passata la notte, mentre, alla fessura dell'ultimo guado, una carovana brucia un cartone sul paese. Agosto millenovecentoquattordici. L'inutile strage prolifica nella spelonca delle libertà invocate dalla noia, si culla negli anfratti della giustizia operata nella cartapesta, lievita con i vocalizzi della pace urlata dai colori della polvere di gesso, si esalta quando i sensi sono tentacoli putrefatti nel corpo biologico dell'individuo e delle masse. L'Europa nella prima, grande, inutile strage con la feluca e le ghette a imbastire trame di seta, per filigrane di ipocrisia. Scintilla la mente tra feltri, tra sipari neutri e logore divise. L'oro non si oppone allo stagno e il potere non misura le sue braccia con gli occhi del consenso. Nelle strade di Parigi: "Era così semplice; bastava non opporre resistenza; bastava dire sì; bastava sostituire la difficile riflessione sugli eventi . . . con la cieca accettazione dell'immediato futuro . . . Che sollievo poter prendere a calci la coscienza!".6 Nelle strade di Vienna: "Estranei si rivolgevano amichevolmente la parola per strada, gente che si era evitata per anni si porgeva la mano, dovunque non si vedevano che volti fervidamente animati".7 Nelle strade di Berlino: "Finalmente si osava essere ciò che si era . . . si poteva, per la prima volta in quasi un quarto di secolo, riunirsi di cuore, con la coscienza alleggerita e senza tema di passar per traditori,

6 Jules Romains, Les hommes de bonne volonté, Paris, 1932-46, 27 voll., in Eric J.Leed, Terra di nessuno. Esperienze belliche e identità personali nella prima Guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1985, p.73. Titolo originale: No Man’s Land. Combat-Identity in World War I, Cambridge University Press, 1979. 7 Stefan Zweig, Il mondo di ieri, in Stefan Zweig, Opere scelte, a cura di L. Mazzucchetti, Milano, Mondatori,1961, 2 voll., p. 806. Titolo originale: Die Welt von gestern, Stockolm, 1942.

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tutti insieme a cantare il travolgente e commovente inno Deutschland, Deutschland, uber alles".8 E così a Londra e a Roma. Come nella festa dell'amore degli indiani Holi: "A questo punto . . . senza limite alcuno, pratiche sessuali d'ogni tipo presero il posto delle abituali compartimentazioni e differenze fra caste e famiglie separate; una libido sfrenata inondò tutte le gerarchie consolidate per età, sesso, casta, ricchezza e potere". 9 Alle spalle, le orme a lungo calpestate e le ultime basse lingue di fuoco. Palpitano flebili le anime asessuate delle utopie di massa evaporate. E il reduce sogna: "Non voglio più tornare a casa; mi piacerebbe vivere la vita lungo questa strada, scrutando il cielo . . . valutando le ore del giorno sull'intensità del fuoco d'artiglieria. La mia Germania comincia dove balenano le fiamme della battaglia e termina al capolinea del treno per Colonia. Non posso tornare a casa e riprendere la vecchia vita".10 Phillip Gibbs: "C'era qualcosa di storto. Essi vestivano di nuovo abiti civili e guardavano le loro madri e le loro spose più o meno allo stesso modo dei giovani che uscivano per andare al lavoro nei giorni di pace precedenti l'agosto del 1914. Ma non erano più gli stessi uomini: qualcosa s'era alterato in loro".11 E Robert Graves: "Nella maggior parte dei casi l'alterazione durava per quattro o cinque anni ancora; e furono numerosi i casi di soldati che, sforzatisi per evitare il collasso nervoso durante la guerra, cedettero malamente nel 1921 o 1922".12 Cadono le geometrie lucide da ripensare. Sugli strappi quotidiani, senza cielo e foglie, i colori a pastello non mediano la fatica e l'affanno, né lo scorrere acre degli insulti. Con gli occhi rossi e le labbra nere, cantano di nuovo la lotta di classe, gli scontri urbani e la terra ai contadini; nelle alcove muore la libertà delle donne. Cantano anche gli agrari e i "padroni", ipnotizzati dall' ordine, sui troni delle monarchie borghesi.

8 Citato in C. Schorske, German Social Democracy, 1905.-17, p. 390 e in Eric J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, op.cit., p. 72. 9 McKim Marriott, The Feastes of Love, in Krisha: Myths, Rites and Attitu des, a cura di M. Singer, Honolulu, 1966, p. 212. 10 Citato in H. Schulze, Freikorps und Republik, Boppard-am Rhein, 1969, p.56 e in Eric J.Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale, op.cit., p. 280. 11 Phillip Gibbs, Now Can Be Told, New York, 1929, pp. 547-548. 12 Robert Graves-A. Hodge, The long Weekend: A Social History of Great Britain 1919-1939, New York, 1963, p. 27

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Il presente è già fascista e nazionalsocialista e, per tutti, gioca la falce e la forbice sgalla.

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Fascismi individuali di massa Camicie nere e bandiere rosse, a grappoli e in processione. Nell'aria l'odore acre della rabbia, della rivolta, della rivalsa, della rivincita, dell'ordine e delle morali preformate, delle povertà e delle ricchezze ingombranti. "Un'atmosfera speciale di eccitazione e di delirio … In tale atmosfera le reazioni assumono un'ampiezza smisurata, il senso delle proporzioni è falsato, tutti i punti di riferimento sono soppressi. Lo choc psicologico diventa una necessità come gli stupefacenti per certe nevrosi; il delirio passa allo stato normale e acquista un'autonomia malefica".13 Non dorme la contrada, ammorbata, fissata a vite sul fianco della sera. Sull'altra riva del fiume, il ponte di chiatte appoggiato, la pace riposa tra arbusti bruciati e ipotesi incerte. Lacché in livrea, il cilindro la sera e i busti ancora legati in vita, a tornire esili linee di donna, il cappello di paglia al sole, i merletti, il seno piatto e i capelli à la garçonne per il charleston. Sulla via la berretta sgualcita del panettiere, il grembiule grigio del lavatoio, la gonna pesante e logora della filanda, i calzoni delle officine, ai passanti, senza cintura. E sui marciapiedi d'Europa i fascismi individuali di massa. Per gli anni venti la guerra non ha fuso il piombo e l'acciaio dei cannoni. I pugni sono chiusi e gli occhi, ancora rossi, fissano soluzioni da compiere e obiettivi da centrare. "Non si può ridurre il fascismo - così Tasca - alla psicosi di guerra, ma scrivendo la storia del fascismo si scrive contemporaneamente uno dei capitoli più impressionanti e più inquietanti della patologia sociale".14 Avanzano come ombre e come spettri, come modelli reazionari per le masse a nidificare nelle strutture caratteriali del singolo. Il pensiero dei liberi scivola melmoso, incapace di graffiare e di resistere alla piena. La filosofia e la poesia non sono mute. Dalle pieghe dell'inconscio emergono gli strati intermedi annunciati da bianchi tramonti, da sudari di sangue e da castelli di vetro in frantumi. Il lavoro, l'amore, il sapere sono morti nelle morali putrefatte dei corrotti. "Il fascismo - così Reich - è l'atteggiamento emozionale fondamentale dell'uomo autoritariamente represso dalla civiltà delle macchine e dalla sua concezione meccanicistico-mistica della vita".15

13 Angela Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari, Laterza, 1965, vol. II, p. 557. Prima edizione 1950. 14 Ibidem. 15 Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo, Milano SugarCo Edizioni, 1971, pp. 13, 14. Titolo originale: Die Massenpsychologie des Faschismus, 1953.

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Ai bordelli, ai maghi dell' amore, alle carezze lascive della femmina non più donna, il vuoto del sesso, sconfitto a brontolare come latta senza eco. Calano i sipari della repressione nelle fredde alcove. Melanconici si dileguano gli orgasmi domestici dopo il martello della peste mistica. Dalla sottile nausea di morte degli amplessi dovuti, ai giorni della fantasia e della immaginazione appassita. La gloria è roca, la fede biologica della razza un segno funesto, la prestanza virile della stirpe un presagio d' impotenza. I borghesi e i proletari, i fittavoli del palazzo e le spie del quartiere, i generali dell'ideologia e i fanti della critica militante danzano, in stanze strette e separate, gli stessi passi. Due in avanti, uno a destra, tre in dietro, uno a sinistra, senza battere le mani, con il capo rigido e lo sguardo fisso per leccarsi la coda. Ognuno con il suo fascismo e la lusinga delle frustrazioni rimosse. Per ognuno il suo fascismo e l'illusione dell'esercizio del dovere, di un ruolo indipendente da svolgere, di una missione decisiva da compiere. Ad ognuno il suo fascismo e la fede da esibire senza ricordare. Con i giorni che non possono essere contati. Giaculatorie e litanie. Nei santuari nani, di paglia e fango, a fine giornata, la cera consuma da secoli la voce roca del rito da invocare, la memoria dei sacri fasti antichi da celebrare. Tra vapori d'incenso per salmodiacono e pentagrammi di corone sulle canne dell' organo, per un fascio di note d'argento, per iniziare di nuovo nel futuro. Tornerà a salmodiare.

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D - Day A Saint Mère Eglise, ai ponti di Ranville, Oudemer e Benouville sul muschio delle trincee e dei crateri, muti. E' replica nel giorno più lungo. Se la banda suona, è solo il segno che è festa consacrata. E se i martelli spiano la campana, le gonne stringono sotto i seni e il fiocco pavoneggia intorno al collo. Si specchiano i fiori trinati e le foglie sgualcite sui passi nervosi di giovani donne in odore e di principi regnanti, con ago e filo tra le dita. Se non ci sono mai andati è solo perché non sanno di essere tornati. Come i gufi, quando all'alba fanno il verso al tuono e sbiecano le rane sulla soglia di ridicole acqueforti. Se non sono ancora partiti è solo perché non sanno di essere, già, arrivati. Come i vermi quando a sera, fanno il mimo in ribalta e spiano i lombrichi sulle tribune dei dibattiti di massa. La memoria ha un occhio solo ? La melassa domani sarà cognac. Giovanni ha i baffi lunghi. Sabrina ha gli orecchioni e l'itterizia. La guerra di Troia non si farà. Il braccialetto giova al tuo charme. I dadi sono sul tappeto. Il sole splende alto nel cielo. La serratura del cancello s'è guastata. La cagna di Edoardo ha avuto cinque bei cuccioli il sette gennaio. Dafne ammonisce. L'incendio all'agenzia di viaggi: non è necessario andarci. Les sanglots longs / Des violons / Des l'automne / Blessent mond coeur / D'un langueur / Monotone. Amo i gatti siamesi.16 Le nebbiose spiagge di Normandia squarciano all'orizzonte orde geometriche di navi da guerra e sui ponti la nostalgia misura i tempi all'impresa appena annunciata. "In giugno mio padre mi portava sempre a fare i campeggio sulle montagne azzurre. A caccia e a pesca tutto il giorno e di notte si dormiva sotto le stelle, senza neanche le coperte. Quando è che ti ha lasciato? Una settimana, due anzi. Magari feci male a scriverle così; sai, lei è una modella proprio di classe. Però sapessi che ore meravigliose che abbiamo passato insieme! E tu pensi che abbia un amico?".17 Tra il Vire e l'Orne, al tramonto, il Vallo Atlantico e la Festung Europa, infine, violati a Le Hamel e StAubin, a LionsurMère e Rivabella, a Vierville e Colleville. Fiamme e morti. Pioggia e vento. "Gli uomini, intirizziti, fradici, rattrappiti e indeboliti dal mal di mare così Stephen Webbe si muovevano goffamente nell'acqua per essere

16 Sono i messaggi speciali per gli amici dei paesi occupati diffusi da Londra a tutte le stazioni europee della BBC. Fra questi anche alcuni versi di Paul Verlaine, Chanson d’Automne, in “Poèmes saturniens”. 17 The Longest Day di K. Annakin, A. Marton, B. Wicki, G. Oswald, USA, 1962

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presi d' infilata dai mortai e dalle mitragliatrici".18 E poi Parigi, Roma, Berlino e le croci uncinate, i cavalli di Frisia, i Panzer e i bunker ossidati. La memoria si posa sul mantello frappato del vento, orbo, claudicante sui tornanti sterrati del passato e sulle piste resinose della noia, si può, per cogliere le briciole del becco giallo dei giorni. Nel tricorno del giullare i sogni e le illusioni non hanno volto né senso e quando, le ombre correggono i graffiti degli ultimi orsi polari, la parola si avvita su steli di marmo, biancastro, e la sabbia scivola il bronzo dei ferri abbattuti e delle emozioni, bruciate. E se le vergine si china per l'ultimo papavero di primavera tra fasci di serpi, nascosto, le lucertole intonano l'arpa e i fili spinati riposano, impotenti, senza rughe e nodi. Ai veterani, ai reduci, ai testimoni, alle intelligenze impazienti che sanno piangere le ore che non poterono essere vissute, ai giovani iniziati alle lunghe veglie invernali, ai cronisti maturati dalla narrazione degli anziani, si appella la coscienza per ribattere l' immobile suono dei giorni che non sono più. "Regina, tu mi chiedi di rinnovare un dolore / inesprimibile; mi ordini di dire come i Greci / abbian distrutto Troia, le sue ricchezze, il suo regno / degno di pianto, e narrarti tutte le cose tristi / che ho visto coi miei occhi ed alle quali tanto / ho preso parte! Chi potrebbe trattenersi / dalle lagrime a un tale racconto, fosse pure / soldato del duro Ulisse o Mirmidone e Dolope? / E già l'umida notte precipita dal cielo, / le stelle, tramontando, ci persuadono al [sonno".19 E i ricordi che non ricorrono mai? Il rito puro, della memoria è il pianto di uno solo che canta senza orchestra, folle di pentagrammi in rivolta. E quando un panno bianco scopre un nuovo monumento, gli avi delle generazioni travolte, in piedi sul filo di limiti eterni, dondolano e sbiancano ritorni, e ricordi, impossibili. 18 Stephen Webbe, Sbarco in Normandia, in “20° secolo. Storia del mondo contemporaneo”, Milano, Mondatori, 1976, p. 72. 19 Publio Virgilio Marone, Eneide,canto II, 5-14.

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Una stella del Carro La finestra oscurata fra le tegole, dei tetti di Amsterdam, chiama Kitty a invocare i lari, nel nido, preparato in fretta dal pellicano, per la tempesta, provvisori, raccolto il sogno di Mosè. E Frank, Van Daan e Dussel, Margot e Peter, sulla Prinsengracht, con la grande barca a vela e i tocchi della campana di Westertoren, con Elli e Miep.20 E i filari di ricordi a fiondare la rondine e il volo sghimbescio del cieco uccello notturno, impazzito ché il tuono sceglie la palude tarlata del profeta, in preghiera, sulle tavole sconnesse dell'odio, sui varchi impossibili della speranza. "La sera, a letto mi sembra di esser sola in un carcere, senza padre né madre. A volte vado errando per strada, oppure il nostro ricovero segreto è in fiamme, o vengono di notte per portarci via. Vedo tutte queste cose, come se le vivessi realmente col mio corpo, e ho l'impressione che mi debbano presto accadere".21 I teneri richiami della donna si annunciano sulle cesure germinali dei pollini incantati dell'adolescenza, sulle emozioni, precipitate, nel fondo trasparente dei ricordi, sugli orditi, tessuti coi bavagli ovattati del silenzio, nelle notti del Cancro e nei sogni, bruciati, a nudo. Le nuvole e i tocchi di lilla, grigio e bianco, spinte a raso, tra canali e ponti, tra mulini a vento, a pale spoglie, ritrovano le ore, battute dalla pioggia, e il campo del mietitore, nel taglio di brughiere marrone, deserte, sui capanni di torba, e sui prati, arancio, di inutili tulipani, assolati. I capelli e gli occhi, scuri, rifiutano le trecce e cadono sul collo, difficili alla piega, a spingere le labbra, sul taglio carnoso e disarmato, alla stupefatta coscienza di sé, teso a cogliere l'evento, adagiata sugli imprevedibili scenari delle rappresentazioni individuali e delle vicende collettive. Come, l'ippogrifo che, non sa dimenticare la rete, abbandonata sulla riva del fiume, e posa le ali su lievi e instabili folate di vento. "Eva è indisposta; oh! anch'io vorrei esserlo, sembra tanto importante! … .Dopo tutti gli spaventi di ieri, finalmente qualcosa di buono e … una speranza. Speranza nella fine, speranza nella pace".22 Perché le bambine non strappano il palo dall'occhio del coniglio di cartone? Quanti sono i barili d'aceto nelle garitte dei soldatini di stagno? Dove vanno d'estate le betulle se la neve non si scioglie a primavera? Con chi giocano le bambole di pezza nelle soffitte delle case abbandonate? Quando tornano i gomitoli di lana a colorare un nuovo inverno? A che serve il cilindro, il bastone e la coda del diavolo se non piove in giugno, la sera? Amsterdam è muta.

20 Il sei luglio millenovecentoquarantadue. 21 Il diario di Anna Frank, Torino, Eianudi, 1958, p. 113. La prima edizione è del 1954. 22 Anna riflette sul romanzo di Nico van Suchtelen da titolo Eva’s Jeugd (Ibidem, p. 46)e sulla caduta del fascismo nella seduta del 25 luglio 1943 del Gran consiglio (Ibidem, p. 96)

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Scucite le stelle gialle di David, a Bergen Belsen e Westerbork, come a Varsavia, Treblinka, Dachau, Mauthausen, Buchenwald, Auschwitz e Birkenau: Arbeit Macht Frei! Gli uomini liberi non strappano il filo spinato dei campi e le croci uncinate, segnate dalla morte, negli Einsatzgruppen, ringhiano sulla soluzione finale, per una Endlosung, totale, tombale.23 "Ricordati cosa ti fece Amalek nel tuo viaggio, quand'eri uscito dall'Egitto; come ti venne incontro e fece a pezzi i rimasti indietro delle tue schiere che stanchi s'eran fermati, mentre tu eri sfinito dalla fame e dalla fatica, e non ebbe timore di Dio".24 Sia cancellato il suo nome! " . . . Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d'invno. / Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via, / Coricandovi alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli . . . ".25. E, poi, resterà soltanto un'infinita pianura di cenere. E, i fantasmi abiteranno le foreste e le città prive di memoria. E, si potrà imprecare, cantare e piangere senza vergogna. E poi, ancora, quando tutto sarà consumato, sarà possibile volgersi, nuovamente, indietro. Un otre di vino e miele, un boccale, di perle in fila. E pensare con la zeta: zaino e, Zeno, zoccolo e, zaffiro, zanna e, zattera, zecca e, zigano, zizzania e, zagaglia, zampillo e, zefiro, zodiaco e, zecchino, zufolo e, Zwingli, zimarra e. All'osteria del laccio di rame la conta torna. E il cane non dorme questa sera.

23 A Bergen Belsen, Anna è morta nel marzo 1945, due mesi prima della liberazione dell’Olanda. La Gestapo aveva scoperto l’ “alloggio segreto” il 4 agosto 1944. Arbeit Macht Frei, il lavoro rende liberi; Endlosung, la soluzione finale; Einsatgruppen, le unità di azione speciale. 24 Vecchio Testamento, Deuteronomio, 25. Cfr. Solomon Grayzel, Storia degli Ebrei, Roma, Fondazione per la Gioventù Ebraica, 5724-1964. 25 Da “Se questo è un uomo” di Primo Levi

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Norma Jean Le dita incerte a cercare la pelle, bambina, tra le pieghe della solitudine, sui profili invecchiati delle morali collettive, sul volto di rimorsi muti, indecifrabili. Alle prime luci, anche dopo, caduto l'incanto, le immagini spogliano, goffe, un nuovo corpo, i desideri ricompongono le pause nauseanti del silenzio e caricano di pioggia i vertici stanchi della ragione con le parole mutilate dagli insulti quotidiani, al tratto, sulla superficie delle attese notturne. I seni bugiardi degli avi, il richiamo avaro degli inganni, i sorrisi regalati per logori stracci, sui fianchi, e i ricoveri violenti e desolati per emozioni mai provate martellano il buio opprimente dell'angoscia sul secreto delle ferite carnose, sul volto di orribili farfalle, sui giochi invecchiati tra le mani callose di femmine pelose. Ammiccanti nelle corrughe di labbra difficili allo stallo, impercettibili e gracili, piccoli sì!, filanti e pungenti, si scontrano e si ripetono rollanti nella sacca, a tracolla del compagno abbandonato, quando, incapace di uscire dalla gabbia di cartapesta delle iene vinte dal sonno, invita gli ottoni bassi della banda a intonare la marcia sulle ottave dominanti dei no!, secchi, esclusivi, laceranti, insensibili alla pena e al dolore. "Maggie: E come mi vedi tu? (E più forte di lei, un'esplosione) Perché... dì la verità... tu non hai avuto un po' di vergogna di me? Quentin: Ho visto quanto hai sofferto e la sofferenza scioglie ogni vergogna. Maggie: Allora è vero, ti sei vergognato di me!".26 Norma e Marilyn! 27 "Io sono più di due: sono tante persone. A volte queste persone mi sconvolgono. Vorrei essere soltanto io! Un tempo ero convinta di essere sul punto di impazzire, ma poi ho scoperto che certa gente che ammiravo era fatta nello stesso modo 28 . . . Non è Marilyn Monroe quella che sta nella vasca, è Norma Jean. Sto offrendo a Norma Jean un trattamento coi fiocchi, qualcosa di inconsueto: di solito doveva lavarsi nell'acqua già usata da sette o otto persone. Ora invece può fare il bagno in un'acqua trasparente e tersa come il vetro . . . Adesso la gente scalpita per vedermi ma io rammento i tempi in cui ero indesiderata. Quelle innumerevoli volte che nessuno voleva vedere la piccola cenerentola Norma Jean, neppure sua madre".29

26 Arthur Miller, Dopo la caduta, Milano, Mondatori, 1964, p. 125. Titolo originale: After the Fall, The Viking Press, Inc, New York, 1964. Nei ruoli di Quentin e Maggie, riconoscibili, lo stesso Arthur Miller e Marilyn Monroe. 27 Norma Jean nasce a Los Angeles il primo giugno millenovecentoventisei. 28 Anthony Summers, Marilyn Monroe. Le vite segrete di una diva, Milano, ompiani, 1986, p. 15. Titolo originale: Goddess.The secret lives of Marilyn Monroe, pubblicato a Londra nel 1958 da Victor Gollanez Ltd. Il volume, di pp. 405, contiene una ricca bibliografia e alcune fotografie di Norma Jean e Marilyn Monroe. 29 Maurice Zolotow, Marilyn Monroe, New York, 1960, pp. 152-153.

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Ogni volta. A Los Angeles e a Hollywood, le illusioni negli anni cinquanta, attendono che, ad ognuno, cali la sua, la propria, incerta icona del successo, svenduta la veste dell'aruspice, strappato il lauro e la corona. Architetture disegnate in fretta e corsie fluorescenti per le parole vetrificate e per i sogni nella valigia del venditore di stelle. Dove l'oro palpa l'opulenza dei forzieri di rame, decorate le celle, incediate le ultime canne e le ortiche, rimaste. Le magie di massa e le regie fabulanti dagli occhi di cristallo, spingono alla presa orgiastica, caricate le ansie e le piume, evocate e disposte nell'ordine delle gradualità del vero. Sguardi veloci sul collo delle macchine da presa, e il pallore accecante delle luci, bianche, della ribalta, e le pellicole su montanti di latta per gli schermi di forti dimensioni. Scariche, provvisorie, instabili, come le ossa della preistoria quando la terra è fredda, e il sangue raggela gli arti sui crateri. Bendate, nervose, eccitate come le orche quando attendono i delfini, ubriache di gelosia. "Hollywood è un posto dove per un bacio ti pagano mille dollari e per l'anima cinquanta centesimi. Lo so bene perché ho rifiutato abbastanza spesso la prima offerta, e la mia anima non è in vendita".30 Opaco e irriducibile, il vuoto, schiumoso, viscido, poroso, chiude gli spazi alle resistenze possibili, a lacerare i veli della mente, a dissipare le coltri spesse della noia, a graffiare le speranze, a plagiare le ore innocenti. Per le vele di un incauto destino, bruciano origine e unità, ricucita la frattura, inabissata la moltiplicazione, mancata la sapienza dei colori, prima dell'orizzonte, con le sagome delle alternative evanescenti, tra le quinte dell'ultima commedia con le ombre di acrobati ciechi, riversi, sui trapezi beffardi del caso.31 Con gli affetti incollati sulle tavole dei ricordi e con le bambole che ridono senza trecce e sottoveste! E nelle ore modulate al grigio, i tagli di cristallo piangono il fiore ché antico è, il passo nudo della nostalgia.

30 Antony Summers, Marilyn Monroe. Le vite segrete di una diva, op. cit., p. 47 31Marilyn Monroe muore a Los Angeles il quattro agosto millenovecentosessantadue in circostanze, non del tutto, ancora chiarite. Nel 1983, Gorge Cukor, che aveva diretto Marilyn in Let’s make love, (1960), e in Something’s got t ogive, (1962), rimasto incompiuto, ricordava così la sua morte. “ Fu una brutta faccenda il suo rifiuto peggiore. Potere e denaro. In fin dei conti era troppo inoocente”.

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L’altra faccia della Luna. Razzo cosmico a più stadi verso la Luna, stazione spaziale sovietica, per gli studenti di Mosca è Lunik, è Sputnik e Luna insieme. E, il sette ottobre millenovecentocinquantanove, un nuovo "mare", trecento chilometri il diametro, è il Mare di Mosca, sulla Baia degli Astronauti. Nell'emisfero sud, il cratere Lomonossov. E poi la catena "sovietica" e il Mare del Sogno. L'una molto simile all'altra! Meno crateri, meno montagne, minori scabrosità, alcun segno di vita. Un problema affascinante che si pone agli astronomi e ai geologi ? 32 "Un segreto antico quanto il mondo scrivono quello dell'altra faccia della luna, è stato svelato oggi, all' umanità dagli scienziati sovietici: da oggi sono a disposizione degli scienziati e del pubblico di tutti i paesi del mondo le fotografie prese dalla stazione spaziale sovietica".33 Ed altri: "Una delle maggiori imprese della tecnica in particolare della radioelettronica che ha permesso non solo la ripresa, ma lo sviluppo delle fotografie e quindi la loro trasmissione a terra, a circa mezzo milione di chilometri di distanza".34 La coscienza collettiva non registra le conquiste della scienza. La vita è già in proiezione sugli schemi del divenire a disegnare confini associativi, sparsi a grappolo, proprio e solo nel Mare del Sogno o a progettare città e villaggi a ridosso della Baia degli Astronauti. Il segno fotografico della tecnologia brucia l'incertezza del non noto e spinge la fantasia a operare riduzioni sul concreto delle potenzialità possibili. Vivere dove non esiste ancora la vita. Riprodursi fuori dall'atmosfera. In altri silenzi non terrestri e con diverse immobilità. Stazione interplanetaria automatica nell'orbita per l'altra faccia, millenovecentottantotto chilometri, scagliati verso il cielo, per una nuova e successiva spinta verso la terra; sistema di ripresa, e dati telemetrici e televisivi per il primo punto di spinta, ad intervalli, a ricevere, ad ascoltare, ad orientare al segno da terra. Due lenti, duecento e cinquecento millimetri per distanza focale; un occhio per l'insieme, l'altro a individuare il singolo, il particolare, all'appuntamento dopo il perilunio, alle diciassette ora di Mosca, il sei ottobre, per quaranta minuti, pellicole da trentacinque millimetri. 32 Gilbert Morvan, La faccia nascosta della Luna rivela meno crateri e meno montagne, in “Il Resto del Carlino”, 27 ottobre 1959; Armando Silvestri, Sulla faccia invisibile della Luna vi è un mare di 300 Km di diametro, in “Il Corriere della sera”, 27 ottobre 1959; La seconda faccia non è più un mistero, in “L’Avvenire d’Italia”, 28 ottobre 1959. 33 Henry Shapiro, Diffusa la fotografia della faccia segreta lunare, in “L’Avvenire d’Italia”, 27 ottobre 1959. 34 In “L’Unità”, 28 ottobre 1959.

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La guerra è "fredda", la politica gracchia, allucinata dalla ideologia, per ridurre, circoscrivere, dar forza al nulla e gonfiare l'impotenza e oscurare i sogni. A Occidente si sfilacciano gli amplessi fra scienza e religione, fra Uomo e Dio, rimbalzano inquietanti falsi interrogativi di gomma, di sempre, del passato. I cilindri di terracotta di Assurbanipal, a Ninive, cinquemila anni fa, per re Etan, a scalare la Luna. Da Cirano di Bergerac a Giulio Verne. Il notturno canto leopardiano alla "silenziosa, solinga, eterna, peregrina, pensosa, candida, giovinetta immortal" e "graziosa, diletta Luna". Anche per "nostra sorella Luna". Alla fine degli anni cinquanta, fra tecnologia, scienza, mito e poesia !

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L’otto ottobre sessantasette per il "Che" Una lega da Higueras, un'altra da Jaguey, due circa da Pucarà, milleottocento uomini di René Barrientos alla caccia dell'uomo. Una "vecchia" per il canalone e poi, il giorno dopo, il salto, la raffica e poi, il giorno dopo ancora, a Valle Grande per la fine. La "vecchia", forse, non ha parlato ma gli oppressi in Bolivia non hanno visto il Che vivo. Morto, molti hanno creduto che fosse da sempre bandito. "Si compiono oggi undici mesi annota il Che dall'inaugurazione della guerriglia, senza complicazioni, bucolicamente, fino alle dodici e trenta, quando una vecchia, che portava delle capre al pascolo, entrò nel canalone dove eravamo accampati e bisognò fermarla . . . Inti, Aniceto e Pablito . . . le danno cinquanta pesos raccomandandole che non dica assolutamente niente, ma ci sono poche speranze che mantenga la sua promessa".35 Ai flash e ai mass-media il suo corpo trafitto un trofeo da obitorio. Per la guerriglia, per le lotte armate, e per sempre un ricordo più pesante di una montagna. "Poche volte nella storia scrive Castro una figura, un nome, un esempio sono divenuti così universali con tanta rapidità e appassionante forza. E ciò perché il Che incarna nella sua forma più pura e disinteressata lo spirito internazionalista che caratterizza il mondo d'oggi e ancor più quello di domani".36 Mario Monje, capo del Partito in Bolivia, marxista-lennista e comunista. Per la rivoluzione con lui non ci sono le condizioni e il Che un visionario. Monje, un incapace, un ciarlatano, un manovriero o solo un comunista! E le idee del Che aquiloni senza vento per staccarsi e andare? Il Che "vide con assoluta chiarezza che le risorse morali sono la leva fondamentale della costruzione del comunismo nella società umana".37 Senza la rivoluzione, la droga e la paura. E i comunisti, ancora, senza rivoluzione, con l'opportunismo delle riforme.

35 Diario del “Che” in Bolivia, Milano, Feltrinelli, 1968, con Prefazione di Fidel Castro, p. 224. Titolo originale: Diario del Che en Bolivia, Habana, Istituto del Libro. 36 Ibidem, p. 10. 37 Fidel Castro, Orazione funebre per Ernesto Che Guevara, Milano, Feltrinelli, 1968, p. 28. Titolo originale: Discurso pronunciado para el comandante Fidel Castro Ruiz, en la velada solemne en memoria del comandante Ernesto “Che” Guevara, Plaza de la Revolution, 18 de octubre del 1967, “Ano del Vietnam Heroico”-Granma res. Rem., octubre 29 de 1967. 2) Comparecencia del comandante Fidel Castro, para informar al pueblo acerca de la muerte del comandante Ernesto “Che” Guevara por las emisoras de Radio y Televisiòn nacionales y por “Radio Habana Cuba”, octubre 15 del 1967, Istituto del Libro, Habana, 1967.

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I posters negli occhi scivolano rapidi come foglie bagnate dalla pioggia. Un basco e il viso che spinge lontano più forte del futuro. E il silenzio delle masse, lievitate nei consumi delle città, esala vapori felpati, a uccidere i ricordi. Agli eroi, a quelli che hanno creduto e donato, il segno del ricordo dei rimasti a coltivarne la memoria. "Lasciami dire - scrive il Che - a rischio di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d'amore. E' impossibile pensare a un rivoluzionario autentico privo di tale qualità".38 Sono tornati i corvi ma faranno ritorno anche le aquile. I carri armati ruggiscono nei silos delle fortezze dell'Ovest, a marcire, a inchiodare, cingolo su cingolo. A Est, le nenie della rivoluzione d'ottobre, liberano torbidi amplessi negli scaffali delle burocrazie del socialismo; la libertà è schiava e i popoli piangono i loro zar con la voce dei gulac. I tarli hanno rosicchiato i fucili di canna della rivoluzione ma la mente e il cuore non sono ancora spenti. Un ragazzo e un uomo con cent'anni aprono il petto per una nuova rivolta, alle soglie della politica, costruita per la rinuncia. Anche in Europa.

38 Ernesto “Che” Guevara, Il socialismo e l’uomo a Cuba. (A. Carlos Qujano, settimanale “Marcha”, Rincòn 577, Montevideo, Uruguay, Milano, Libreria Feltrinelli, 1969, p. 28. Si tratta di un articolo scritto per il settimanale uruguaiano “Marcha” e ripubblicato nella rivista “ Verde Olivo e nel giornale “revoluciòn”. Prima edizione italiana 1967.

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Due anni compiuti in sé Un millenovecentosessantotto per un altro millenovecentosessan-tanove a legare un flebile fascio di stagioni e a saettare tre, forse quattro, generazioni di uomini attoniti, svaniti. Togati a riccioli a pendolo, pergamene sul palmo a schermi elettronici a distanza ravvicinata per centrare la fantasia assopita, emersi da cattedre polverose per spiegare, far capire, interpretare, orientare, non mostrare di pestare il passo sulla direttrice dell'informazione da consumare come cultura, formazione, politica e storia. Così, a cascata, cadono i linguaggi che rodono le parole e il già accaduto si vuota nel presente che sta già accadendo. Non può resistere agli urti del tempo alcuna memoria lanciata sul domani nelle sue possibilità residue di lunga, media e breve durata. I linguaggi non raccontano ciò che è stato; essi risuonano come echi profondi nelle penombre della memoria. Questi due anni compiuti in sé per molti di noi sono stati i primi, per altri saranno stati anche gli ultimi. Ma non cadranno sulla verticale dell' intelligenza; e non premono alla coscienza con uguali qualità. Si può attendere il giudizio della "storia"? Quando esso potrà essere organato sarà, soprattutto, linguaggio e parole da misurare nuovamente. "Sul suo piano, quello della verità - così in Lefebre - si intersecano gli intrighi. Le idee hanno cominciato ad essere utili. A chi? In che maniera? Strategie coscienti? Manipolazioni? Le idee perdono ogni innocenza, diventano grovigli di vipere".39 Qualsiasi proiezione su un'onda, sia pure lunga, non stabilizza le fibrillazioni del contingente immediato. La coscienza che ognuno di noi ha di sé, è il vertice più alto della parabola delle nostre instabilità. Ma è, anche, un approdo realistico che dà la misura del nostro grado di consapevolezza del quale, tuttavia, e comunque, non si potrebbe, in alcun modo, essere privi. E' replica monotona il dovere di ricordare. E noi ricordiamo piazza Fontana, l'inverno del sessantanove; e gli uomini, lembi del maggio all'università, nella scuola e nelle strade, non della sola Europa, mentre avviamo alla memoria i mesi e i giorni dell'ultimo millenovecentottantanove cinese che sono prima del presente. Per Hegel la coscienza alimenta nel ricordo i punti delle esistenze precedenti.40 E, tuttavia, i ricordi deformano su piani sbilenchi ogni possibilità vissuta. La coscienza è sempre coscienza di un sé singolo, particolare,

39 Henri Lefebvre, La fine della storia, Milano, SigarCo Edizioni, 1972, p. 11. Titolo originale: La fin de l’histoire, Les Editions Minut, Paris, 1970. 40 Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Fenomenologia dello spirito, Firenze, La Nuova Italia, 1960, vol. I, p. 10. La prima edizione è de luglio 1933.

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incapace di restituire la coscienza di sé in una spettrografia plurima. Ciò che riteniamo di aver vissuto è solo una nuvola carica di nebbie che sovrasta la presenza del singolo. "Nella figura che novellamente appare - così in Hegel - nella prospettiva dello svolgimento la coscienza non trova espansione né specificazione di contenuto; ancor più le manca quel raffinamento formale, in virtù del quale le differenze vengono determinate e ordinate nelle loro salde relazioni".41 E si preannunciano le coincidenze idealistiche, della realtà, razionalità, sovrapposte. Autunno millenovecentosesan-tanove. All'esaurirsi della stagione che le convenzioni collettive, in Italia, hanno indicato "calda", il reale è precipitato e la razionalità nulla ha potuto nel recupero dialettico di una totale cesura. Quale razionalità potrà mai illuminare attraverso il legame consequenziale degli scatti | maggio sessantotto | autunno sessantanove | piazza Fontana |? La coscienza di sé individuale e collettiva, interrogate nell'insieme degli accadimenti, schizzano sulla tangente dei primi mesi del millenovecentosessantotto e, parabolicamente, ricadono sulla ellisse degli stessi primi mesi del millenovecentosessantanove. Due anni compiuti in sé nei ricordi quotidiani? Sì, nel senso della non incastonabilità di quel biennio policromo fra le maglie della catena delle cause; le stesse che arruginiscono quando, slegate dalla fantasia, appesantiscono gli arti della scienza e della cultura. Sì, anche, se per tutti e per ogni cosa va, per rileggere sorgenti e precedenti motivati. Nel gennaio sessantotto riposavano mute le rotture giunte a compimento e a precedere lo zero da cui ripartire. La previsione taceva sugli scenari pronti ad aprirsi e disposti a rapida chiusura fra le quinte. Gli storici e gli umanisti di professione, pasciuti dal ventesimo secolo, intanto, cantavano l'epopea degli anni sessanta che non erano più. Le ombre si dileguano al sorgere del giorno ma ogni madre sa ascoltare il passo dei suoi figli.

41 Ibidem.

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Un angelo con il mitra E in quei minuti.42 Il mitra muto tra le dita, scivola sui polsi e sugli arti gelati; l'ala piega l'arco e la spinta al volo. Margherita, Mara per i compagni, Vera da bambina ed ora, ancora Vera, nella borsa a tracolla da donna, abbandonato il tascapane. Margherita o Mara Cagol, ed ora, ancora Vera, e Perini, con il nome della via dov'era bambina. E dopo. Un mazzo di fiori rossi da quelli che l'hanno amata e, sui muri del metrò, a piazzale Loreto, i posters, per il ricordo di coloro che l'hanno pensata. Dai compagni di lotta un saluto: "Mara, un fiore è sbocciato! Che mille braccia si protendano per raccogliere il fucile!". 43 E dopo ancora. Fra le nenie democratiche degli antifascisti di professione biascicanti democrazia e libertà, le orazioni d'ufficio e di istituto: "Dobbiamo dire chiaramente che qualsiasi motivazione politica che i banditi vogliano conferire alle loro gesta folli e criminali, non trova alcuna rispondenza nella coscienza popolare, nelle tradizioni politiche e storiche della nostra gente . . .".44 Può accadere, osserva Benedetto Croce, che "le nuove esperienze a cui ci porta il corso delle cose e i bisogni nuovi che si accendono in noi, riscontrandosi e legandosi più o meno strettamente a quelli di un tempo, lo avvivano, quasi al modo che si narra di certi immagini di Cristi e di Madonne, le quali ferite dalle parole e dagli atti di qualche blasfematore e peccatore, spicciarono rosso sangue".45 Banditi per gesta folli e criminali? E i militi, sorpresi, dell' arma, caduti, nel fuoco imprevisto? Un contadino ha visto e rosicchiato un cardo. Al Belvedere di Arzello, la cascina Spiotta e il prigioniero, un sequestro per l' autofinanziamento. E' un uomo; per lo spumante, per i vini secchi astigiani; di cera, terreo, sgomento, forse, fisso, alla fine. Il sangue raggela e la carne è salata, per tutti. E lo spento "angelo col mitra", germoglio di trenta costellazioni di primavera, nell'abisso dell' ultimo Ariete notturno? E per Mara anche l'ultimo Giardino. Il dubbio annega la mente e inchioda il passo sulla riflessione politica impossibile, sui rancori delle ideologie sgonfiate, sulle speranze

42 Le ore 11, 30 del 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta d’Arzello Acqui. 43 Il messaggio delle Brigate Rosse, in “Corriere della sera”, 7 giugno 1975, p. 2 44 Vincenzo Tessandori, Br, imputazione banda armata, Milano, Garzanti, 1977, pp. 260-267 45 Benedetto Croce, La storia come pensiero e come azione, Bari, Laterza, 1966, p. 10. La prima edizione è del gennaio 1938.

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centrate nel futuro, sulle fedi vissute, sulle folate dei vaniloqui ufficiali. La giustizia dei poveri arabesca trame fitte e impossibili. Sociologia a Trento con il pugno alzato. Mara, una chitarra da conservatorio e una sposa benedetta dal prete per cantare la giustizia nella fede del credente. A Milano con il Collettivo politico metropolitano. Una maternità negata alla stagione delle lotte, con il pianto della donna e della sposa cristiana. . . . E quella che vedea i pensier dubi

ne la mia mente, disse: "I cerchi primi t' hanno mostrati Serafi e Cherubi.

. . . Quelli altri amor che dintorno gli vonno,

si chiaman Troni del divino aspetto, per ché 'l primo ternaro terminonno.

. . . L'altro ternaro, che così germoglia

in questa primavera sempiterna che notturno Ariete non dispoglia,

. . . In essa gerarcia son l'altre idee:

prima Dominazioni, e poi Virtudi; l'ordine terzo di Podestadi ée.

Poscia ne' due penultimi tripudi Principati e Arcangeli si girano; l'ultimo è tutto d'Angelici ludi".46

. . . Dal Giardino sono volati gli ultimi angeli col mitra; quasi a stormo sono entrati nella storia, tracalati nell'inconscio collettivo. La rivolta proletaria impingua i banchi del capitale e la classe operaia affila la spada dei crociati. Ad Occidente ma anche ad Est, e nel più largo Oriente. Nel Giardino non c'è luce per l' angelo con il mitra.

46 Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso, XXVIII, 97/127.

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Rosa al femminile Negli anni ottanta il femminile riproduce le sezioni colorate di un immaginario, articolato e scintillante, impresso nelle nostre pulsioni e nella creatività di ognuno di noi. Gioire, scrivere, piangere, giocare, lavorare, fare all'amore, legiferare, parlare o pregare, "al femminile", per aggiungere qualcosa, talvolta molto, alla quotidianità del presente. E, anche, momento reale e fantastico; le sue tonalità si perdono nel profondo, in contorni di difficile lettura; fruirne diviene esperienza emblematica da punteggiare con interrogativi di ogni genere. "Qualche volta, in sogno - scrive Elias Canetti - lui urtava e urtava la sua sottana finché Therese cadeva a terra. Allora gliela sfilava dai piedi. Improvvisamente si trovava in mano un paio di forbici e la tagliuzzava in pezzetti minutissimi … Una volta tagliuzzata la gonna, trovava i pezzi ancora troppo grandi: lei sarebbe forse riuscita a ricucirli insieme. Per questo, senza nemmeno alzare gli occhi ricominciava da capo. Poi rovesciava su Therese un sacco pieno di brandelli blu. Come era avvenuto che i brandelli erano finiti nel sacco?".47 Come a Karilsandunt! Dove la neve, d'inverno non fa cristallo fuori dall'uscio; dove, al fuoco della casa, raccolto in sé, per tutti, il pensiero non ricuce i tempi rimasti. E' possibile nei laboratori istituzionali, a mercurio e vetro, orientare in questa direzione il sensibile e le emozioni del contemporaneo? Sì. Anche. Eppure, ogni volta, le generazioni dei lunghi anni di piombo sono state chiamate a riaffermare le ragioni del loro volere essere libere di scegliere per non soccombere alle pressioni del ripetitivo. E, troppo spesso, sono state costrette a impegnare intelligenza e passione per non subire il richiamo del banale e del gusto di parte. Il femminile pulsa nei labirinti della razionalità la quale ha confini molto più "equivoci" di quanto abbiamo pensato o siamo stati abituati a ritenere nel chiuso dei santuari di velluto e dentro gli stilemi del già noto. E Sibilla Aleramo, una donna, lontano, all'orizzonte di più larghi confini, con il fantasma di antiche e nuove solitudini. Ed Emmeline, Sylvia e Christabel Pankhurts, "suffragette" per un grande suffragio. Per un germoglio di sorriso anticipato, per una calza di seta, per una noce fiorita all'alba.

47 Elias Canetti, Auto da fé, Milano, Adelphi Editore, 1981, p. 169.

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E l'antro è nella spada.

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La freccia e la sua impennatura Non ho alcun termine di riferimento per esemplificare il punto in cui, prima del futuro, le dimensioni del tempo si impennano in un vertice impossibile: il punto nel quale si possano visualizzare il passato e il presente per essere colti del tutto in un senso compiuto. Il bimbo sembra scomparire dal bastone che sostiene i passi dell'anziano. L'innamoramento cede alle pratiche quotidiane dell' amore così come il dolore risuona soffice e indistinto, ricomposta che sia la ferita o sature che divengano le emozioni di nuovi dolori. La ricchezza del danaro raggela lo spazio nelle forme di rigidi bilichi. Gli specchi delle povertà hanno dimensioni più aperte dello stesso tempo. Nebbie dense e profonde dopo il giorno, dopo la notte, a squarci sbilenchi di sole, accumulano le ore e gli anni, talvolta, per nascondere, più spesso per negare. Una capanna, un monumento, una torre merlata a proteggere il palazzo e le vie di cristallo, i nastri grigi d'asfalto e i percorsi selciati, ancora vivi, dopo le guerre, vuotata l'ampolla dell'odio, esauriti i calici della pace. Con lo stesso colore antico e consueto, nella penombra delle emozioni e nella solitudine dei ricordi caricati al futuro. Quando ad elastico si stirano i presepi e le sagome dei pastori orizzontano il sole all' ombra. Ciò che non è più è solo infinitamente piccolo; ciò che è, per il singolo, per il gruppo, per le moltitudini, per gli spazi coperti di rami e foglie, è, ancora, infinitamente piccolo. Ciò che siamo stati, venti, quaranta o cinquant'anni fa, non restituisce al presente le cariche emotive che sospingono in avanti. Ciò che è stato, consunti che siano i tempi reali, diviene proiezione di sé, come grafico a rappresentare l'accaduto, nel ricordo, nella parola scritta, nei segni materiali, ad occupare il presente. In un qualsiasi cimitero dei ricordi la nostra immagine del tempo si sbiadisce, si scolora fino a restituire a se stessa il più nero non ricordo. Le misure del passato richiamano alle tendenze del presente l'impossibilità di un salto già operato. Nelle ore che scorrono e nello spazio che dilata le forme e la stessa luce si agitano le sagome delle vicende vissute. Si intrecciano e si scollano i piani della pace e della guerra, i lacci dell'amore e dell'odio, le sofferenze dei deboli e la prepotenza dei forti, le ingiustizie della ricchezza e le inesauribili richieste dei poveri, la generosità degli umili e l'egoismo degli idioti. Vortici impressi nell'astratto delle costruzioni ideologiche e delle razionalità dell'a-priori, evanescenti. Contrasti alimentati nelle radici

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delle passioni e nel cristallino lucido dei sentimenti come nell'arcobaleno, passata la tempesta. Ritmi, cadenze e pause, offrono significati e senso per definire i contorni e i confini decifrabili della memoria. I nani sciamano felici nel deserto, avvolti nella solitudine del loro grande, quasi, eterno presente. Anche i giganti si specchiano come simboli, stupefatti e superflui, sui limiti di orizzonti ineguali e insicuri. E a mezza costa, pulsioni e razionalità, riflettono e fanno eco alle spinte del nuovo giorno già annunciato il quale chiede, come la freccia che trapassa lo spazio, la sua impennatura per equilibrare le ore.

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Copyright e autore Versione digitale in lingua italiana: Copyright © 2014 di Francesco Maria Cecchini. Versione originale cartacea: Angeli sulla pelle. Clips History, Città di Castello, Gianfranco Varzi Editore, 1999. Copyright © 1999 di Francesco Maria Cecchini. ISBN 88-900371-0-5. Il Predicato (Presentazione) è stato tratto, in larga parte, dai volumi AA., Clips History. Riflessi di parola, Urbino, Quattroventi, 1995 e Francesco Maria Cecchini, In ogni senso. Clips History, Quattroventi, 1992. Di Valter Toni sono la copertina, l’impostazione grafica e l’interpretazione visiva delle immagini.. Francesco Maria Cecchini ha insegnato Storia contemporanea nella Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Urino dal 1977 al 2009. Si è sempre dedicato a studi, per così dire, “ortodossi”. Fra le sue pubblicazioni: Murri e il murrismo, (Urbino, 1973); Il femminismo cristiano, (Rome, 1979); Romolo Murri, (Rome, 1982); Angelo Maria Ranuzzi. Lettere da Parigi. 1683-1687, (Rome, 1988). I suoi interessi, ora, sono rivolti alla Clips History, nata a Urbino, nel 1992, con la pubblicazione di In ogni senso.