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ANCORA UN MOMENTO DI RIFLESSIONE SULLA POLITICA ITALIANA DI TEODERICO, RE DEI GOTI EODERICO re degli Ostrogoti rappresenta una figura eminente nel T panorama storico-culturale dell’Occidente all’indomani della dis- soluzione del vecchio Impero (1) . Per tal motivo, in più di un’occasio- ne, ci si è soffermati a trattare dell’Italia ostrogota (2) e in particolare (1) Sulla figura e l’attività politica di Teoderico la bibliografia è molto ampia; mi limite- rò quindi a citare gli studi più noti e più importanti: P. LAMMA, Teoderico, Brescia 1951; W. ENSSLIN, Theoderich der Große, München 1959 2 ; J. MOORHEAD, Theodoric in Italy, Oxford 1992; Teoderico il grande e i Goti d’Italia, « Atti del XIII Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo », Spoleto 1993; B. SAITTA, La ‘‘ civilitas ’’ di Teodorico: rigore amministra- tivo, tolleranza religiosa e recupero dell’antico nell’Italia ostrogota, Roma 1994; A. CARILE, Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente, Ravenna 1995; T. SARDELLA, Società, Chiesa e Stato nell’età di Teodorico, Papa Simmaco e lo scisma laurenziano, Messina 1996; A. GIOVANDITTO, Teodorico e i suoi Goti in Italia: 454-526, Milano 1998; A. COLLACI, Teodorico il Grande, Mi- lano 2001. (2) Sul regno ostrogoto in Italia si vedano i seguenti studi: O. BERTOLINI, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, « Storia di Roma », Istituto Nazionale di Studi Romani, Bologna 1941, pp. 45-94; T. S. BURNS, The Ostrogoths, Wisbaden 1980; IDEM, A history of the Ostro- goths, Bloomington, Indiana, 1984; F. GIUNTA, Gli Ostrogoti in Italia, in Magistra Barbaritas. I barbari in Italia, a cura di G. Pugliese Carratelli, Milano 1984, pp. 53-96; H. WOLFRAM, Sto- ria dei Goti, Roma 1985 2 (trad. it.); P. HEATHER, Goths and Romans 332-489, Oxford 1991; IDEM, The Goths, Oxford 1996; Teoderico il grande e i Goti d’Italia, cit. Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla società e alla cultura gota e ai problemi connessi all’insediamento si ve- da: CH. PIETRI, Aristocratie et société cléricale dans l’Italie chrétienne au temps d’Odoacre et de Théoderic, in « Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École Française de Rome, Antiqui- té », XCIII/1 (1981), pp. 417-467; B. LUISELLI, La società dell’Italia romano-gotica, in « Atti del VII Convegno Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo », Spoleto 1982, pp. 49-116; IDEM, Teodorico e gli Ostrogoti tra romanizzazione e nazionalismo gotico, in « Romanobarbari- ca », XIII (1994-1995), pp. 75-98; S. GASPARRI, Le tradizioni germaniche nell’Italia dei Goti, in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, cit., pp. 201-226; P. AMORY, People and Identity in Ostrogothic Italy (489-534), Cambridge 1997; V. EPP, Goten und Römer unter Theoderich dem Großen, in Migration und Integration. Aufnahme und Eingliederung in historischen Wan- del, M. Beer, M. Kintzinger, M. Krauss (Hrsg.), Stuttgart 1997, pp. 55-74; P. HEATHER, The Historical Culture of Ostrogothic Italy, in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, cit., pp. 317-

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tesi su germani e romani

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ANCORA UN MOMENTO DIRIFLESSIONE SULLA POLITICA ITALIANA

DI TEODERICO, RE DEI GOTI

EODERICO re degli Ostrogoti rappresenta una figura eminente nelT panorama storico-culturale dell’Occidente all’indomani della dis-soluzione del vecchio Impero (1). Per tal motivo, in più di un’occasio-ne, ci si è soffermati a trattare dell’Italia ostrogota (2) e in particolare

(1) Sulla figura e l’attività politica di Teoderico la bibliografia è molto ampia; mi limite-rò quindi a citare gli studi più noti e più importanti: P. LAMMA, Teoderico, Brescia 1951; W.ENSSLIN, Theoderich der Große, München 19592; J. MOORHEAD, Theodoric in Italy, Oxford1992; Teoderico il grande e i Goti d’Italia, «Atti del XIII Congresso internazionale di studisull’Alto Medioevo», Spoleto 1993; B. SAITTA, La ‘‘ civilitas ’’ di Teodorico: rigore amministra-tivo, tolleranza religiosa e recupero dell’antico nell’Italia ostrogota, Roma 1994; A. CARILE,Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente, Ravenna 1995; T. SARDELLA, Società, Chiesa e Statonell’età di Teodorico, Papa Simmaco e lo scisma laurenziano, Messina 1996; A. GIOVANDITTO,Teodorico e i suoi Goti in Italia: 454-526, Milano 1998; A. COLLACI, Teodorico il Grande, Mi-lano 2001.

(2) Sul regno ostrogoto in Italia si vedano i seguenti studi: O. BERTOLINI, Roma di frontea Bisanzio e ai Longobardi, «Storia di Roma», Istituto Nazionale di Studi Romani, Bologna1941, pp. 45-94; T. S. BURNS, The Ostrogoths, Wisbaden 1980; IDEM, A history of the Ostro-goths, Bloomington, Indiana, 1984; F. GIUNTA, Gli Ostrogoti in Italia, in Magistra Barbaritas.I barbari in Italia, a cura di G. Pugliese Carratelli, Milano 1984, pp. 53-96; H. WOLFRAM, Sto-ria dei Goti, Roma 19852 (trad. it.); P. HEATHER, Goths and Romans 332-489, Oxford 1991;IDEM, The Goths, Oxford 1996; Teoderico il grande e i Goti d’Italia, cit. Per quanto riguardagli aspetti relativi alla società e alla cultura gota e ai problemi connessi all’insediamento si ve-da: CH. PIETRI, Aristocratie et société cléricale dans l’Italie chrétienne au temps d’Odoacre et deThéoderic, in « Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École Française de Rome, Antiqui-té », XCIII/1 (1981), pp. 417-467; B. LUISELLI, La società dell’Italia romano-gotica, in «Attidel VII Convegno Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo», Spoleto 1982, pp. 49-116;IDEM, Teodorico e gli Ostrogoti tra romanizzazione e nazionalismo gotico, in «Romanobarbari-ca », XIII (1994-1995), pp. 75-98; S. GASPARRI, Le tradizioni germaniche nell’Italia dei Goti,in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, cit., pp. 201-226; P. AMORY, People and Identity inOstrogothic Italy (489-534), Cambridge 1997; V. EPP, Goten und Römer unter Theoderichdem Großen, in Migration und Integration. Aufnahme und Eingliederung in historischen Wan-del, M. Beer, M. Kintzinger, M. Krauss (Hrsg.), Stuttgart 1997, pp. 55-74; P. HEATHER, TheHistorical Culture of Ostrogothic Italy, in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, cit., pp. 317-

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del ruolo assunto da Teoderico nella definizione di un potere germa-nico in ambito peninsulare, dando speciale risalto ai momenti dellapolitica teodericiana rivolta ai rapporti con il senato romano e conl’Impero di Bisanzio, non omettendo di trattare aspetti più stretta-mente connessi al contesto socio-culturale inerente il sistema di rap-porti interculturali venutosi a formare in considerazione dell’incontrotra elemento romano ed elemento germanico (3): aspetto invero chia-ve, questo, nella formazione dei cosiddetti regni romano-germanici,che tanta importanza hanno assunto nel loro ruolo di rappresentantie in qualche misura di successori del potere imperiale, senza dimenti-care la funzione storica quasi ancestrale da essi incarnata nella costi-tuzione di un’identità culturale e linguistica di tipo europeo (4).

Pur tuttavia, nonostante le ricerche e gli studi di cui abbiamofatto cenno, si è ritenuto utile tornare qui a discutere in maniera piùspecifica di alcuni momenti dell’attività di Teoderico allo scopo diripensare meglio un programma di governo concreto e più distinta-mente legato alle realtà e alle necessità politiche locali. Per questo,anzitutto, intendiamo conferire spazio a un esame della politica mili-

353; G. TABACCO, Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, Torino 20003,pp. 76-92.

(3) Sul problema dei rapporti fra Romani e popolazioni germaniche si rimanda ai se-guenti studi: I Goti in Occidente, «Settimane di Studio del centro italiano di Studi sull’AltoMedioevo », III, Spoleto 29 marzo - 5 aprile, Spoleto 1956; E. DEMOUGEOT, La formation del’Europe et les invasions barbares, 2, De l’avènement de Dioclétien (284) à l’occupation germa-nique de l’Empire Romain d’Occident (début du VI e siècle), Paris 1979, vol. II; B. LUISELLI,Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo germanico, Roma 1992; Incontri dipopoli e culture tra V e IX secolo, «Atti delle V giornate di studio sull’età romanobarbarica»,Benevento 9-11 giugno 1997, Napoli 1998; Strategies of Distinction. The Construction ofEthnic Communities, 300-800, edited by W. Pohl-H. Reimitz, Leiden-Boston-Köln 1998; W.POHL, Le origini etniche dell’Europa. Barbari e Romani tra antichità e medioevo, Roma 20002;Società multiculturali nei secoli V-IX: scontri, convivenza, integrazione nel Mediterraneo occi-dentale, «Atti delle VII Giornate di Studio sull’Età Romanobarbarica», Benevento 31 mag-gio - 2 giugno 1999, Napoli 2001; The Transformation of Frontiers. From Late Antiquity tothe Carolingians, edited by W. Pohl, I. Wood, H. Reimitz, Leiden-Boston-Köln 2001; W.POHL, Die Völkerwanderung, Stuttgart 2002; Regna and gentes: the Relationship between LateAntique and Early Medieval Peoples and Kingdoms in the Transformation of the RomanWorld, edited by H.-W. Goetz, F. Jarnut, W. Pohl, Leiden 2003; M. ROUCHE, Romanité,Germanité, Chrétienté durant le haut Moyen Âge, Lille 2003.

(4) Si fa qui riferimento agli studi più recenti, e in particolare: M. ROUCHE, Les racinesde l’Europe. Les sociétés du haut Moyen Âge (568-888), Saint-Amand-Montrond (Cher) 2003;F. PRINZ, Da Costantino a Carlo Magno. La nascita dell’Europa, ed. it. a cura di M. P. Scialdo-ne, Roma 20042; in ultimo rimando al testo di B. LUISELLI, La formazione della cultura euro-pea occidentale, Roma 2003.

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tare e diplomatica condotta dal re goto nell’intento di rafforzare iconfini del nuovo regno, cui ha fatto seguito un piano di riassesta-mento e di riorganizzazione giuridica delle strutture e delle ammini-strazioni locali, accompagnato da un programma di riordinamentourbanistico; in questo nuovo sistema di fattori un ruolo di primariaimportanza ha giocato – come sempre in questi secoli – la Chiesa,nei confronti della quale Teoderico ha voluto, inizialmente almeno,operare secondo un principio di rispetto e di incontro reciproco,convinto di riuscire ad avvalersi dell’intervento ecclesiastico sia sul-l’asse dei rapporti con Bisanzio sia su quello altrettanto importantedella gestione delle numerose e distinte situazioni territoriali italiane,ove grande influenza aveva l’elemento religioso. In ultimo abbiamoinvece proposto un’analisi più specifica delle vicende italiane chehanno fatto da sfondo agli ultimi atti di governo dell’Amalo, al finedi proporre uno studio della politica gota più completo e forse piùrealisticamente vicino alle speranze, alle scelte e alle esigenze di unre germanico operante nel VI secolo.

È allora utile in questo intento tornare a riflettere inizialmentesulla posizione assunta dal Goto nei confronti dell’Impero, notandocome, sin dai primi momenti della sua ascesa al potere, Teoderico sifosse reso conto che mai avrebbe potuto sostituirsi all’imperatored’Oriente e che il suo compito primario era quello di rappresentarel’istituzione imperiale esistente sul piano politico gestionale e su quel-lo religioso. Nonostante questo iniziale presupposto, pur tenendo fe-de ai giuramenti fatti all’imperatore, Teoderico maturò il convinci-mento di poter realizzare in Occidente e precisamente nella penisolaitaliana il progetto di un nuovo soggetto politico che fosse romano egermanico, vincolato certo all’Impero ma dotato di una propria auto-nomia governativa e legislativa. Per concretizzare tale disegno, l’Ama-lo tentò con ogni mezzo di rafforzare il suo potere in Occidente, po-nendo al centro dei suoi interessi la penisola italiana con le sue pro-paggini più estreme, come le terre settentrionali, orientali e insulari alsud, che meglio potevano garantire stabilità militare al regno, e inol-tre perseguendo una politica di concordia e di rispetto nei confrontidell’elemento romano e della Chiesa, sicuro, in tal modo, di riuscire agettare più solide basi alla realizzazione dei suoi piani (5).

(5) Sui temi relativi al rapporto con l’imperatore romano d’Oriente e al desiderio dicreare in Italia un potere autonomo e sostitutivo rispetto a quello bizantino, si fa qui riferi-

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Nell’intento di rispettare questo suo programma, una volta at-tuato lo stanziamento sul territorio italiano, l’Amalo si preoccupò inprimis, anche avvalendosi della struttura comitale, di rafforzare iconfini settentrionali e meridionali con l’occupazione militare dellaDalmazia, della Pannonia, del Veneto, della Liguria e quindi dellaSicilia, e in seguito mirò a consolidare i vincoli di fedeltà con le al-tre popolazioni germaniche, Vandali, Franchi, Burgundi, Eruli (6). Intal modo Teoderico credeva di aver costruito una solida catena di-fensiva, che gli permettesse di controllare a settentrione il limiteestremo dei suoi possedimenti italiani, evitando così possibili incur-sioni da parte di altre popolazioni germaniche e impedendo inoltreche altri nemici, conosciuti o meno, potessero trovare facile accessonel territorio peninsulare; viceversa, sul fronte meridionale, l’occu-pazione militare della Sicilia permetteva ai Goti di controllare ancheil Mediterraneo. A testimonianza di questo interesse da parte delGoto nel limitare l’ingresso di navi straniere e potenzialmente nemi-che nel mare interno, possono tornare utili alcune lettere contenutenell’ampia raccolta delle Variae di Cassiodoro, ove lo stesso re dàdisposizioni al suo praefectus praetorio Abundanzio perché vengaapprontata in tempi stretti una flotta navale che abbia scopo com-merciale e, possiamo presumere, anche militare (7).

La rete di alleanze costruita dall’Amalo permetteva al regno digodere di una certa tranquillità; per tal motivo, è possibile supporreche Teoderico avesse in mente di dare al territorio da lui controlla-to, e sul fronte di terra e sul mare, un capacità bellica difensiva chelo ponesse in una condizione di maggior sicurezza soprattutto nei ri-guardi di un ‘‘nemico ’’ che pian piano andava sempre più concre-tizzandosi: ossia l’Impero di Bisanzio.

mento agli studi di P. LAMMA, cit., pp. 37 ss. e L. GATTO, Le frontiere orientali italiane e ilVeneto nella politica estera di Teoderico, in «Romanobarbarica », XIV (1996-1997), pp. 163-223; inoltre cfr. A. CARILE, Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente, Ravenna 1995; G.WIRTH, Zu Justinian und Theoderich, in Panchaia: Festschrift für Klaus Thraede, Hrsg. M.Wacht, Münster 1995, pp. 251-260.

(6) Sulla politica di conquista e di alleanze attuata da Teoderico nei territori del Nord,cfr. E. DEMOUGEOT, cit., pp. 808-820; L. GATTO, Le frontiere orientali italiane, cit.

(7) A tal proposito si vedano le lettere di Cassiodoro, Var., V, 16-20 e gli studi di: E.STEIN, Histoire du Bas-Empire. De la disposition de l’empire d’occident à la mort de Justinien(476-565), éd. par J.-R. Palanque, Paris-Bruxelles-Amsterdam 1949, p. 259 e L. CRACCO RUG-GINI, Economia e società nell’«Italia annonaria». Rapporti fra agricoltura e commercio dal IVal VI secolo d.C., Bari 19952, pp. 548-552.

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In definitiva, il potenziamento dei confini italiani e del Mediter-raneo garantiva al re una qualche sicurezza politica, sostenuta paral-lelamente da un piano di riorganizzazione amministrativa cui eglidiede vita sin dai primi tempi del suo governo. Pur mantenendo sal-de e attive le strutture locali romane, Teoderico volle delegare ilcontrollo di esse a dignitari goti fidati, istituendo la figura del ‘‘ co-mes ’’ cui – è più che noto – affidò la sorveglianza delle città italia-ne (8). I comites, collocati per singulas civitates, rispondevano nelleloro funzioni a due esigenze primarie nell’amministrazione generaledel regno: l’una legata alla necessità di rafforzare il potere centrale eall’esigenza di costituire un’organizzazione destinata a regolare la vi-ta degli Ostrogoti stanziati in Italia; l’altra dettata dalla volontà dipromuovere e rispettare una politica di integrazione fra elementogermanico ed elemento romano, rappresentando il comes un puntodi incontro e di riferimento per entrambi. Al comes erano affidaticompiti anche nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, sferamolto difficile da gestire e che aveva notevole peso sulla bilancia deirapporti fra Goti e Romani.

D’altra parte, per definire esattamente il campo di competenzedestinate ai comites e agli altri funzionari del regno, Teoderico ema-nò una serie di formule (9), tra le quali, senza dubbio, spicca per im-portanza la Formula comitivae Gothorum per singulas civitates, capi-tolo fondamentale nell’ambito del disegno politico promosso dall’A-malo (10): con questa normativa infatti egli desiderava rispondere in

(8) Uno studio approfondito sulle funzioni e l’importanza civile del comes resta sempreL. GATTO, Figura e funzione del Comes. Momento di raccordo e di convivenza fra Goti e Ro-mani, in Società multiculturali nei secoli V-IX, cit., pp. 127-142; inoltre K. TABATA, I comitesgothorum e l’amministrazione municipale in epoca ostrogota, in Humana Sapit. Études d’anti-quité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini, Bibliothèque de l’antiquité tardive, 3, a cura di J.M. Carrié e R. Lizzi Testa, Turhout 2002, pp. 67-78.

(9) Molte sono le Variae relative ai comites e alle loro funzioni nell’ambito del regno go-to, per lo più racchiuse nei libri VI e VII dell’opera cassiodorea; in particolare tre sono leformule che tendono a precisare con una certa esattezza i campi di pertinenza di questi fun-zionari: la Formula Comitivae provinciae (Var. VII, 1), la Formula comitivae Gothorum persingulas civitates (Var. VII, 3) e la Formula Comitivae diversarum civitatum (Var. VII, 26).

(10) Magni Aurelii Cassiodori Variarum Libri XII, in CCL XCVI, cura et studio A. J.Fridh, Turnholt 1973, Var. VII, 3, pp. 262-263: «Cum deo iuvante sciamus Gothos vobi-scum habitare permixtos, ne qua inter consortes, ut assolet, indisciplinatio nasceretur, neces-sarium duximus illum sublimem virum, bonis nobis moribus hactenus comprobatum, ad voscomitem destinare, qui secundum edicta nostra inter duos Gothos litem debeat amputare, si

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maniera più adeguata alla necessità di garantire anzitutto una giusti-zia equa ai suoi sudditi e poi di concretizzare anche il suo piano dicomunione interculturale.

In realtà, con la suddetta formula, Teoderico assicurava sì ilmantenimento e il rispetto da parte dei Goti delle normative impe-riali, ma allo stesso tempo destinava il controllo e l’applicazione diesse a funzionari germanici, conservando per sé piena libertà di det-tar legge al suo popolo. Egli aveva, perarltro, preso coscienza delfatto che sotto il profilo giuridico si erano venuti a creare due diver-si campi di pertinenza cui corrispondevano due popoli piuttostoben distinti, il romano e il germanico. Nei confronti dei cives delvecchio Impero, il re si presentava pertanto quale esecutore dellapolitica bizantina, sostituto in toto dell’imperatore d’Oriente, in fun-zione del quale egli disponeva della vita e della sorte giuridica deisuoi sudditi, valendosi dei mezzi legislativi che lo stesso Impero ave-va a lui trasmesso.

Così Teoderico patricius e magister militum praesentalis ammini-strava la giustizia avvalendosi del cospicuo corredo di leggi romanesempre rispettate dal senato e dal popolo di Roma, ma in quanto redei Goti egli pretendeva di operare anche quale responsabile primodel regno ostrogoto e quale alto funzionario di un popolo con pro-prie tradizioni e proprie consuetudini; in questo senso, la Formulacomitivae Gothorum distingueva Romani e Goti di fronte al diritto,ma assicurava pure a entrambi, e soprattutto al popolo ostrogoto, la

quod etiam inter Gothum et Romanum natum fuerit fortasse negotium, adhibito sibi pru-dente Romano certamen possit aequabili ratione discingere. inter duos autem Romanos Ro-mani audiant quos per provincias dirigimus cognitores, ut unicuique sua iura serventur etsub diversitate iudicum una iustitia complectatur universos. Sic pace communi utraeque na-tiones divinitate propitia dulci otio perfruantur. scitote autem unam nobis in omnibus ae-quabiliter esse caritatem: sed ille se animo nostro amplius commendare poterit, qui legesmoderata voluntate dilexerit. non amamus aliquid incivile: scelestam superbiam cum suis de-testamur auctoribus. violentos nostra pietas execratur. in causa possint iura, non brachia.nam cur eligant quaerere violenta, qui praesentia probantur habere iudicia? ideo enim emo-lumenta iudicibus damus, ideo tot officia diversis largitatibus continemus, ut inter vos nonsinamus crescere quod possit ad odium pertinere. Unum vos amplectatur vivendi votum,quibus unum esse constat imperium. audiat uterque populus quod amamus. Romani vobissicut sunt possessionibus vicini, ita sint et caritate coniuncti. vos autem, Romani, magno stu-dio Gothos diligere debetis, qui et in pace numerosos vobis populos faciunt et universamrem publicam per bella defendunt. itaque destinato a nobis iudici vos convenit oboedire, utquicquid pro conservandis legibus censuerit, modis omnibus impleatis, quatenus et nostroimperio et vestrae utilitati satisfecisse videamini».

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garanzia di una giustizia equa in quanto personale (11). Il re, in talmodo, teneva fede ai patti con Bisanzio non allontanandosi maitroppo dal rispetto dovuto alle istituzioni romane ed esimendosi daldettare legge al popolo di Roma in modo troppo prescrittivo, purrimanendo anzitutto giudice e re della sua gente (12).

Allo stesso tempo egli si era pure reso conto che ai Goti e aiRomani si aggiungeva, di fronte alla legge e di fronte allo stato, unterzo ordine, ossia quello dei fedeli, dei religiosi, di tutti coloro chein qualche modo gravitavano intorno alla sfera ecclesiastica, i qualiriconoscevano nel pontefice romano l’unica e vera guida spirituale,cui fare riferimento non solo per la soluzione di questioni legate allamateria di fede, bensì anche per dirimere controversie di altra natu-

(11) Le Variae di Cassiodoro attestano ovunque la ferma intenzione da parte di Teoderi-co e dei suoi successori di guidare il popolo romano e goto secondo due distinte visioni poli-tiche rispondenti una alle leggi romane e alla autorità superiore di Bisanzio, l’altra alle esi-genze di un popolo le cui abitudini e la cui storia erano legate più a una tradizione orale chea una precisa normativa scritta, benché le fonti ci forniscano testimonianze certe dell’avvenu-ta raccolta e codificazione scritta da parte di Teoderico di leggi gote, chiamate ‘‘belagines ’’:Iordanes, Get. XI, 69, 3-6: «Nam ethicam eos erudiens barbaricos mores compescuit: physi-cam tradens, naturaliter propriis legibus vivere fecit, quas usque nunc conscriptas ‘belagi-nes ’ nuncupant » (F. GIUNTA, A. GRILLONE, Iordanis De origine actibusque Getarum, in« Fonti per la Storia d’Italia», CXVII, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1991,p. 32); ENNODIUS, Panegyricus XX, 87: «Nam indomita inter acies ingenia lex coercet: sum-mittunt praeceptis colla post laurea set calcatis hostium cuneis, quibus arma cesserint, decre-ta dominantur» (Panegirico del clementissimo re Teoderico, a cura di S. Rota, Roma 2002, p.224); Excerpta Valesiana 14 (60): «Sic gubernavit duas gentes in uno romanorum et gotho-rum . . . Ut etiam a romanis Traianus vel Valentinianus, quorum tempora sectatus est, appel-laretur, et a gothis secundum edictum suuum, quo ius (quod eis) constituit, rex fortissimusin omnibus iudicaretur » (Excerpta Valesiana, Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Roma-norum Teubneriana, recensuit J. Moreau, Lipsiae 1968, p. 17); in ultimo voglio citare il pas-so delle Variae cassiodoree dove si fa ulteriormente riferimento alle leggi dei Goti: « . . . advos comitem destinare, qui secundum edicta nostra inter duos Gothos litem debeat amputa-re » (Var. VII, 3 ed. cit., p. 262). Uno studio particolare sulle sopravvivenze culturali gote inItalia è stato offerto da G. RESTELLI, Sopravvivenze della cultura gotica in Italia, in «Rendi-conti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Classe di Lettere e Scienze morali e stori-che », CXV (1981), pp. 207-264 (spec. p. 226).

(12) Il racconto dell’Anonymus Valesianus fa riferimento a una promessa fatta da Teode-rico ai cittadini di Roma di mantenere inalterato il loro corpus giuridico («deinde veniens in-gressus Urbem venit ad senaatum et ad Palmam, populo adlocutus se omnia, deo iuvante,quod rettro principes Romani ordinaverunt inviolabiliter servaturum promittit»: ExcerptaValesiana, 12 [66] ed. cit., p. 19), promessa che egli si peritò di rispettare come risulta da unalettera delle Variae di Cassiodoro: «Delectamur iure Romano vivere quos armis cupimus vin-dicare, nec minor nobis est cura rerum moralium quam potest esse bellorum. quid enim pro-ficit barbaros removisse confusos, nisi vivatur ex legibus? » (Var. III, 43, 1 ed. cit., p. 126).

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ra nate in seno alla Chiesa. Gli stessi cittadini dell’Impero, per abi-tudine e per necessità, erano soliti rivolgersi alle istituzioni religioselocali onde trovare facili e veloci soluzioni alle loro contese, in alter-nativa alla più lenta e spesso disorganizzata burocrazia imperiale egota. La Chiesa di Roma, d’altronde, aveva raggiunto già allora unacapacità e un potere d’intervento in campo civile abbastanza elevatoe soprattutto era riuscita a costituire un’organizzazione interna mol-to forte; pertanto, attraverso una presenza diramata quasi in tutte lezone settentrionali e centrali della penisola, il vicario di Cristo pote-va gestire la situazione delle diocesi tramite il vescovo metropolita oaltro delegato papale, appositamente inviato in caso di necessitàpresso le zone territoriali più o meno lontane da Roma. Rispetto al-l’amministrazione centrale rappresentata a Roma dal papa, esisteva-no dunque varie realtà locali nell’ambito delle distinte province delregno, nelle quali vero portavoce di Roma era il vescovo a cui i fe-deli ricorrevano in caso di necessità (13).

(13) Sulla formazione di uno stato della Chiesa nell’alto Medioevo e sul potere crescentedei vescovi in questi secoli, cfr. C. MAGNI, Ricerche sopra le elezioni episcopali in Italia duran-te l’alto Medioevo, Roma 1928; S. MOCHI ONORY, Vescovi e città (sec. IV-VI), Bologna 1933;E. CASPAR, Geschichte des Papstums, Tübingen 1933, voll. I-II; A. P. FRUTAZ, Le sedi vescoviliin Italia nei secoli V e VI, in Histoire de l’Église depuis les origines jusqu’à nos jours, a cura diA. Fliche, V. Martin, Torino, 1941, vol. IV; G. LE BRAS, Histoire du Droit et des Institutionsde l’Église en Occident, Paris 1955; W. ULLMANN, Il papato nel Medioevo, Roma-Bari 1975; C.G. MOR, Sui poteri civili dei vescovi dal IV al secolo VIII, I poteri temporali dei Vescovi in Ita-lia e in Germania nel Medioevo, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico», III (1979),pp. 7-33; F. LANZONI, Le diocesi d’Italia dalle origini al principio del secolo VII (a. 604), Mo-dena 1980 (I ed. 1927); P. G. CARON, Natura giuridica del sistema dei rapporti fra Stato eChiesa nell’Impero romano e nell’Impero bizantino, in Studi in onore di Cesare Sanfilippo, Mi-lano 1982, vol. II, pp. 63-75; G. ARNALDI, L’approvvigionamento di Roma e l’amministrazionedei «Patrimoni di S. Pietro» al tempo di Gregorio Magno, in «Studi Romani», XXXIV(1986), pp. 25-39; IDEM, Le origini del Patrimonio di San Pietro, in G. ARNALDI, P. TOUBERT,D. WALEY, J.-C. MAIRE VIGUEUR, R. MANSELLI, Comuni e signorie nell’Italia nordorientale ecentrale: Lazio, Umbria e Marche, Lucca, Torino 1987, pp. 3-151; IDEM, Le origini dello Statodella Chiesa, Torino 1987, pp. 29-53; O. CONDORELLI, Ordinare-Iudicare: ricerche sulle pote-stà dei vescovi nella Chiesa antica e altomedievale (secoli II-IX), Roma 1987; G. VISMARA, Lagiurisdizione civile dei vescovi (secoli I-IX), Milano 1995; IDEM, La giurisdizione civile dei ve-scovi nel mondo antico. La giustizia nell’Alto Medioevo (secoli V-VIII), Spoleto 1995; Cristia-nesimo e istituzioni politiche: da Costantino a Giustiniano, a cura di E. Dal Covolo, R. Uglio-ne, Roma 1997; G. CRIFO, La Chiesa e l’Impero nella storia del diritto, ibidem, pp. 171-196; F.MARAZZI, I «patrimonia Sanctae Romanae Ecclesiae» nel Lazio (secoli IV-X). Struttura ammi-nistrativa e prassi gestionali, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1998 (NuoviStudi Storici XXXVII); P. DELOGU, Solium imperii-urbs ecclesiae. Roma fra la tarda antichità

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Osservando la situazione italiana più criticamente, non possiamonon renderci conto di quanto, in questo preciso memento storico, lapresenza vescovile, al di là delle estese competenze e degli uffici ot-tenuti nei secoli precedenti per volontà degli stessi imperatori cri-stiani, avesse un valore sociale e allo stesso tempo civile assai eleva-to, in considerazione del fatto che, di fronte all’evolversi degli eventipolitici che certo non avevano affatto favorito le situazioni locali,unica guida per i poveri e per la gente comune rimanevano propriocoloro che si erano sempre dimostrati presenti e vicini ai più impel-lenti bisogni del popolo di fedeli. Soprattutto per quanto riguarda iterritori settentrionali e meridionali, più lontani dall’influenza direttadella Chiesa romana, non era determinante, ai fini di una sicurezzapersonale, comprendere cosa la Chiesa fosse divenuta in quanto isti-tuzione, ma piuttosto cosa essa realmente rappresentasse per il po-polo, il quale, sfiduciato ormai dal senato, dalle istituzioni civili, dal-lo stesso Impero, più attento ai grandi conflitti politici-territoriali ealle grandi controversie teologiche che agli interessi dei sudditi, tro-vò nelle istituzioni ecclesiastiche un elemento di continuità rassicu-rante circa il proprio destino.

Teoderico, dunque, possedette l’intuito di comprendere che sa-rebbe risultato vano il tentativo di opporsi al progressivo accresci-mento del potere dei vescovi, e preferì piuttosto avvalersi del loroaiuto per raggiungere più facilmente i suoi scopi, nel desiderio ulti-mo di mantenere, con il potere, la pace e la concordia all’internodel regno (14). L’Amalo si fece così responsabile di una politica di al-largamento dei poteri vescovili, che si accrebbero in proporzione al-la volontà del sovrano di mantenere buoni rapporti con la Chiesa di

e l’alto Medioevo, in Sedes regiae (ann. 400-800), a cura di G. Ripoll, J. M. Gurt, A. Chavar-ria, Barcellona 2000, pp. 83-108.

(14) Per quanto riguarda la politica religiosa di Teoderico si rimanda ai seguenti studi:O. BERTOLINI, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, cit., pp. 71-82; G. B. RICOTTI, Osser-vazioni su alcuni punti della politica religiosa di Teoderico, in I Goti in Occidente, cit., pp.173-226; T. F. X. NOBLE, Theodoric and the Papacy, in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia,cit., pp. 395-423; S. ROTA, La Chiesa di Roma di fronte ai barbari (V-VIII secolo), in La Comu-nità Cristiana di Roma. La sua vita e la sua cultura dalle origini all’alto Medio Evo, a cura diL. Pani Ermini, P. Siniscalco, Città del Vaticano 2000, pp. 139-170; T. SARDELLA, Società,Chiesa e Stato nell’età di Teodorico, cit.; in particolare ritengo utile citare un recente contri-buto di B. Luiselli relativo all’arianesimo dei Goti: B. LUISELLI, Dall’arianesimo dei Visigoti diCostantinopoli all’arianesimo degli Ostrogoti d’Italia, in «Rendiconti dell’Accademia Nazio-nale dei Lincei, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche », XVI/1 (2005), pp. 5-30.

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Roma e alla necessità di controllare un territorio vasto e di varia con-figurazione come quello italiano. I vescovi delle province italiane ot-tennero quindi compiti piuttosto precisi sia nell’ambito del controllodella vita cittadina che sul piano dell’impegno giurisdizionale (15), cam-po in cui la Chiesa ebbe, per volontà del re, un’esclusiva prerogativasu tutti coloro che, religiosi o laici, erano legati al vescovo. Il re ger-manico vedeva probabilmente in queste concessioni la possibilità diconquistare per sé il favore del popolo romano e soprattutto l’amici-zia del clero, che grande influenza aveva sui fedeli e sugli abitanti delregno.

E sempre in ambito locale e cittadino, Teoderico, a una riorga-nizzazione delle amministrazioni, finalizzata al potenziamento e alconsolidamento del potere centrale, fece seguire di pari passo unapolitica di riordinamento urbanistico in tutte le città italiane, e inspecial modo a Roma, sede del senato e del papa, e a Ravenna, sededella corte e del re dei Goti (16).

Il disegno politico teodericiano assumeva allora una sua formae una sua consistenza, tanto che, assicuratosi una certa serenità e

(15) Sul potere di intervento dei vescovi in ambito giurisdizionale la bibliografia è moltoampia, pertanto ci limiteremo in questa sede a citare alcuni dei contributi più importanti: G.VISMARA, Episcopalis audientia. L’attività giurisdizionale del vescovo per la risoluzione dellecontroversie private tra laici nel diritto romano e nella storia del diritto italiano fino al secolonono, Pubblicazioni del Sacro Cuore, Serie II, LIV, Milano 1937; V. BUSEK, Episcopalis au-dientia, eine Friedens- und Schiedsgerichtsbarkeit, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung fürRechtsgeschichte-Kanonistische Abteilung», XXVIII (1939), pp. 453-492; G. MASI, L’udien-za vescovile nelle cause laiche da Costantino ai Franchi, in «Archivio Giuridico», Serie LIV/2(1939), pp. 86-191; W. SELB, Episcopalis audientia von der Zeit Konstantins bis zur Nov.XXXV Valentinians III, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte-Kanonisti-sche Abteilung», LXXXIV (1967), pp. 162-217; G. LOMBARDI, L’emergere dell’ordinamentogiuridico della Chiesa nel contesto sociale del mondo romano, in «Studia et Documenta Histo-riae et Iuris », XLIV (1978), pp. 1-8; M. R. CIMMA, L’episcopalis audientia nelle costituzioniimperiali da Costantino a Giustiniano, Torino 1989; G. CRIFO, A proposito di episcopalis au-dientia, in Institutions, société et vie politique dans l’Empire romain au IV e siècle ap. J.-C., éd.par M. Christol et al., Roma 1992 («Colléction de l’École française de Rome», CLIX),pp. 397-410; G. VISMARA, La giurisdizione civile dei vescovi, secoli I-IX, cit.; G. PILARA, Sui tri-bunali ecclesiastici nel IV e V secolo: ulteriori considerazioni, in «Studi Romani», LII (2004),pp. 353-378; sull’amministrazione della giustizia in età gota si veda G. VISMARA, Romani eGoti di fronte al diritto nel Regno ostrogoto, in I Goti in Occidente, cit., pp. 409-463; IDEM,L’episcopalis audientia, cit., pp. 122-133; IDEM, Il diritto nel Regno dei Goti in Italia, in« Studia et Documenta Historiae et Iuris», LVIII (1992), pp. 1-33.

(16) Sull’azione di riordinamento urbanistico ed edilizio attuata da Teoderico si veda inparticolare L. GATTO, Ancora sull’edilizia e l’urbanistica nella Roma di Teodorico, in «Roma-nobarbarica », XII (1992-1993), pp. 311-380 (con ampia bibliografia sull’argomento).

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un’apparente sicurezza sotto il profilo giuridico e militare, non rima-neva all’Amalo che affermarsi anche sul piano dei rapporti con l’ele-mento romano rappresentato nell’Urbe dal senato e dal clero. Magli eventi che fecero da sfondo al lungo periodo di regno e che, sindai primi momenti della sua ascesa al potere, mostrarono con evi-denza la realtà di una situazione politica assai controversa, fecerosubito percepire al goto Teoderico le enormi difficoltà che avrebbeincontrato per ottenere un concreto riconoscimento da parte dellegrandi forze interne alla città dei papi.

Per prima cosa Teoderico dovette intervenire in campo ecclesia-stico nell’intento di appianare le divergenze nate in seguito al gravescisma – uno dei primi che colpirono l’Urbe proprio nei secoli incui si dette luogo alla prima organizzazione della Chiesa – destinatoa dividere la Chiesa di Roma tra una fazione del clero favorevole al-l’elezione pontificia del diacono Simmaco e una che appoggiava in-vece il presbitero Lorenzo. Di fronte al prolungarsi dello scisma,Teoderico spinse i vescovi riuniti in concilio a prendere una decisio-ne. Il giorno 23 ottobre 502, durante la quarta seduta di un sinodoiniziato già da un anno, i vescovi conciliari, non potendo assolverein contumacia Simmaco, introdussero per la prima volta la formulagiuridica della ingiudicabilità del papa («papa a nemine iudicatur»),un principio che in avvenire si sarebbe rivelato di grande importan-za per la vita della Chiesa e del papa. Venne così decretata la rein-tegrazione di Simmaco al soglio pontificio e l’allontanamento di Lo-renzo da Roma. Lo scisma, chiamato in seguito ‘‘ laurenziano ’’, pro-seguì con alterne vicende fino al 506, anche se di fatto si arrestò so-lo con la morte di Simmaco nel 514 (17). Teoderico intervenne, quin-di, in una seconda fase, per imporre il rispetto delle decisioni delconcilio: i laurenziani dovettero restituire a Simmaco i tituli di cui sierano appropriati e insieme a questi il papa ottenne la reintegrazio-ne dei pieni poteri pontifici. Inoltre il re goto assunse alla praefectu-

(17) Per quanto riguarda lo «scisma laurenziano» cfr. R. CESSI, Lo scisma laurenziano ele origini della dottrina politica della Chiesa di Roma, in «Archivio della Società Romana diStoria Patria», XLII (1919), pp. 5-229; A. ALESSANDRINI, Teoderico e papa Simmaco durantelo scisma laurenziano, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», LXVII (1944),pp. 153-207; T. SARDELLA, Società, Chiesa e Stato nell’età di Teodorico, cit.; EADEM, Simmaco,in Enciclopedia dei Papi, I, Roma 2000, pp. 464-473; Il papato di san Simmaco (498-514). Attidel Convegno Internazionale di Studi, Oristano 19-21 novembre 1998, Cagliari 2000.

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ra praetorio il fedele amico di Simmaco, Fausto, dando a tutti sento-re che la piena concordia tra re, Senato e Chiesa di Roma fosse allo-ra restaurata.

L’intervento di Teoderico aveva però dimostrato che la situazio-ne interna era ben lontana dal trovare una soluzione pacifica e dalraggiungere una tranquillità che potesse considerarsi duratura. Il se-nato si era rivelato un’arma debole, troppo soggetto alle influenzedelle potenti famiglie cittadine, dalle quali uscivano quasi tutti i suoimembri; quest’ultimi poi vedevano nell’assemblea lo strumento piùadatto a far prevalere i rispettivi interessi. Inoltre, era altrettantoinevitabile il graduale delinearsi di una rivalità e di un contrasto diinteressi fra l’antica aristocrazia senatoria romana e la nascente ari-stocrazia gota, in considerazione anche del fatto che il re, come ave-va già dimostrato, pensava di accogliere di fatto anch’essa nelle filedel Senato. I rapporti tra i Goti e i Romani andarono così ulterior-mente a deteriorarsi, evidenziando sempre di più la necessità daparte dei senatori di trovare più concreti appoggi in Oriente e, al-l’opposta parte, una volontà regia di impedire qualsiasi ritorno al-l’Impero.

A tutto ciò doveva aggiungersi la difficile situazione religiosa,che se fino a questo momento aveva in qualche modo favorito Teo-derico e i Goti d’Italia, basandosi su un distacco apparentementenetto tra Roma e Bisanzio, cominciava a configurarsi ora, di frontealla pacificazione tra le due Chiese, quale motivo incontrovertibile eprimario di crisi. Infatti in seguito all’invio di una delegazione apo-stolica a Bisanzio da parte del successore di Simmaco, Ormisda(514-523), tra il marzo 519 e il luglio 520, si erano riaperte le tratta-tive religiose tra Oriente e Occidente, e lo ‘ scisma acaciano’, cheaveva per lungo tempo contribuito a mantenere lontane le due gran-di capitali dell’Impero, sembrava ormai quasi giunto al suo termine (18).

Naturalmente, la ripresa di più normali rapporti tra papato ro-mano e imperatore bizantino finì per condizionare ancor più negati-vamente quel sistema di valori che – bene o male – aveva fino ad al-lora assicurato una certa armonia tra Bisanzio e Ravenna. Intorno al-l’anno 523, Giustino, ormai pronto a riconoscere e accettare i termi-

(18) Per quanto concerne lo ‘ scisma acaciano’ si veda O. BERTOLINI, cit., pp. 80-86; W. H.C. FREND, The Rise of the Monophysite Movement, Cambridge 1972, pp. 143-254; A. GRILL-MEIER, Jesus der Christus im Glauben der Kirche, 2/1, Freiburg-Basel-Wien 1986, pp. 279-358.

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ni del concilio calcedonese – motivo di controversia tra le due chie-se che aveva portato, solo quarant’anni prima, alla promulgazionedell’editto dell’Henotikon e allo scisma che ne derivò –, nella fermaintenzione di mantenersi fedele ai patti con Roma, emanò un edittodi persecuzione contro gli eretici e segnatamente contro gli ariani.

Non possiamo essere certi che tale editto abbia subito conosciu-to effettiva applicazione in Occidente ma con la sua pubblicazionesi rese evidente un cambiamento di volta nella politica religiosaorientale destinato a porre in condizione di crisi tutti coloro che,monofisiti o ariani, si erano precedentemente allontanati dalla fedeortodossa romana (19).

A tal proposito possediamo alcune testimonianze relative a unacampagna antiereticale inaugurata da questo imperatore. Nella Hi-storia Romana lo storico longobardo Paolo Diacono parla in propo-sito di una persecuzione perpetrata contro gli ariani nell’anno sestodel regno di Giustino (523/524):

At vero in Orientis partibus, dum adhuc eo tempore per loca singola Arrianahaeresis vigeret, Iustinus ardore ortodoxae fidei omnimodis satagere coepit, uthaereticorum nomen extingueret, statuitque, ut ubique eorum ecclesias catholicareligione consecraret (20).

L’esistenza di un editto di questo tipo è poi accertata dal CodexJustinianus ove una legge antiariana è datata all’anno 527 e attribui-ta agli imperatori Giustino e Giustiniano (21). In ultimo si aggiunge lavoce del Liber che alla vita Iohannis così riferisce:

Eodem tempore Iustinus imperator vir religiosus summo ardoris amore reli-gionis Christianae voluit haereticos extricare. Nam summo fervore christianitatishoc consilio usus est, ut ecclesias Arrianorum catholicas consecraret (22).

(19) Vedi in proposito B. LUISELLI, Dall’arianesimo dei Visigoti, cit., p. 27.(20) Pauli Historiae Romanae Libri XI-XVI, MGH AA II, recensuit et adnotavit H.

Droysen, Berolini 1979, XVI, 8, p. 318.(21) Cfr. CJ I, 5, 12. I Goti sono però esclusi in quanto foederati dell’Impero: «Conside-

rantes autem, quod Gothos saepe devotis foederatis adscripsimus, quibus neque indoles ne-que vita praeterlapsa tales animos imposuit, de severitate nonnihil eis remittere decrevimuset foederatos eos fieri honoirbusque decorari permittimus, quemadmodum nobis visum fue-rit » (Corpus Iuris Civilis, II, Codex Iustinianus, recognovit et retractavit P. Krueger, Berolini1954, I, 5, 12[17], p. 54).

(22) Le ‘‘Liber Pontificalis ’’, texte, introduction et commentaire par L. Duchesne, I, Pa-ris 1884, v. Iohannis, LV, 87, p. 275.

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La nuova situazione comportò in ogni modo l’accrescimento diun’intolleranza religiosa che rese praticamente impossibili i contattitra regno goto e corte imperiale; ma soprattutto mise in una con-dizione difficile, agli occhi di Teoderico, quanti in precedenza, se-natori e aristocratici, avevano appoggiato una politica filo-bizanti-na. Si inaugurò così il periodo dei processi contro i personaggi piùinfluenti del momento, Boezio, Simmaco, Albino, accusati di tradi-mento alla corona regia. Dice il Liber Pontificalis: «hereticus rexTheodericus . . . exarsit et voluit totam Italiam ad gladium extingue-re » (23).

Nell’autunno del 523 un certo Severo, di stretta osservanza teo-dericiana, riuscì a mettere le mani su alcune lettere che Albino e al-tri suoi amici del Senato avevano indirizzato all’imperatore d’Orien-te Giustino, dove, senza reticenze, il senatore romano presentavapotenti dichiarazioni di consenso all’orientamento della politica reli-giosa avviata dal monarca bizantino. Immediatamente Severo fecetrasmettere tali missive, accompagnate da precisa denuncia, al reTeoderico. Boezio nella sua qualità di magister officiorum tentò, for-se prevedendone le dure conseguenze, di soffocare la cosa. Il re, pe-rò, ne fu informato da uno degli alti funzionari della cancelleria ra-vennate, il referendarius Cipriano, in carica per quell’anno.

Un testo anonimo del VI secolo, il noto Anonymus Valesia-nus (24), ci fornisce informazioni utili a ricostruire alcune fasi del pro-cesso; testimonianza che trova riscontro con quanto affermato daBoezio nel suo ultimo lavoro, ovvero nel De consolatione Philoso-phiae. La fonte anonima accusa il re Teoderico di cercare ogni moti-vazione per colpire i romani e il senato: «Post haec coepit adversusRomanos rex subinde fremere inventa occasione» (25); e, per l’esattez-za, occasione propizia agli occhi del Goto per tentare di indebolirela forza dell’antica assemblea, fu offerta dal lungo processo che siaprì proprio con le accuse di Cipriano: «Cyprianus, qui tunc refe-rendarius erat, postea comes sacrarum et magister, actus cupiditate,

(23) Liber Pontificalis I, v. Iohannis, LV, 87, p. 275.(24) Per un’analisi accurata di questa fonte anonima si veda W. BRACKE, L’Anonimus Va-

lesianus II, Bologna 1992, inoltre G. ZECCHINI, L’Anonimo Valesiano II: genere storiografico econtesto politico, in Teoderico il Grande e i Goti d’Italia, cit., pp. 809-818.

(25) Excerpta Valesiana, 85, ed. cit., p. 24.

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insinuans de Albino patricio, eo quod litteras adversus regnum eiusimperatori Iustino misisset» (26); allo stesso modo narra Boezio: «NeAlbinum consularem virum praeiudicatae accusationis poena corri-peret, odiis me Cypriani delatoris opposui» (27). Teoderico, allora,convocò a Verona il consistorium e invitò il patrizio Albino a discol-parsi. Questi di fronte al tribunale del re negò ogni addebito (28).Boezio, chiamato a far parte del consiglio, convinto della sua posi-zione di forza, prese le difese del convenuto, chiamando in causa sestesso e l’intero senato: «Tunc Boethius patricius, qui magister offi-ciorum erat, in conspectu regis dixit: ‘‘Falsa est insinuatio Cypriani,sed si Albinus fecit, et ego et cunctus senatus uno consilio fecimus;falsum est, domine rex ’’ » (29). Il magister officiorum voleva, forse, ri-chiamare in tal modo l’integrità del senato, affermando come unila-terale la volontà di ciascun membro della sacra assemblea e negandoche mai alcun senatore avrebbe voluto assumere un atteggiamentoanticostituzionale (30). Così, se di fronte al regio concistoro le accusecontro Albino fossero state giudicate legittime, non solo la sua per-sona ma tutto il Senato romano sarebbe stato giudicato colpevole dilesa maestà. Purtroppo le parole di Boezio, troppo convinto di nonpoter essere colpito, data la sua posizione di forza, il suo nome e leprove di lealtà conferite in passato al re goto, si rivelarono impru-denti. Teoderico aspettava per l’appunto l’occasione giusta per rea-gire contro il Senato di Roma, che evidentemente acquisiva semprepiù posizioni per lui scomode e troppo vicine alla corte imperiale. Ilsovrano, infatti, ne trasse subito motivo per estendere l’istruttoria almagister officiorum e all’intero Senato. Boezio fu sospeso dalla carica

(26) Excerpta Valesiana, 85, ed. cit., pp. 24-25.(27) Anicii Manlii Severini Boethii Philosophiae Consolationis Libri Quinque, CCL

XCIV, edidit L. Bieler, Turnholt 1957, I, 4, 14, p. 8.(28) Cfr. Excerpta Valesiana, 85, ed. cit., p. 25.(29) Excerpta Valesiana, 85, ed. cit., p. 25.(30) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 20-22. 32: «At cuius criminis arguimur summam quaeres.

Senatum dicimur salvum esse voluisse. Modum desideras? Delatorem, ne documenta defer-ret, quibus senatum maiestatis reum faceret, impedisse criminamur . . . Meministi, inquam,Veronae cum rex avidus exitii communis maiestatis crimen in Albinum delatae ad cunctumsenatus ordinem transferre moliretur, universi innocentiam senatus quanta mei periculi secu-ritate defenderim» (ed. cit., pp. 9-10).

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e senza indugi fu aperto un procedimento volto ad accertarne le re-sponsabilità. Cipriano produsse tutta la documentazione necessariaad incriminare il suo superiore. Dallo stesso Boezio sappiamo altresìche l’incartamento istruttorio fu accresciuto da presunte lettere doveil magister officiorum esprimeva aspirazioni di libertà per i Romani:« Nam de compositis falso litteris, quibus libertatem arguor sperasseRomanam, quid attente dicere? Quorum fraus aperta patuisset, sinobis ipsorum confessione delatorum, quod in omnibus negotiismaximas vires habet, uti licuisset. Nam quae sperari reliqua libertaspotest? Atque utinam posset ulla» (31). Inoltre, furono condotti testi-moni per rafforzare le accuse contro i due patricii (32), nei confrontidei quali Boezio avrebbe prodotto valide accuse di indegnità mora-le, riconoscendoli quali colpevoli di reati comuni e indegni di invali-dare un’accusa con la loro inattendibile testimonianza:

Quibus autem deferentibus perculsi sumus? Quorum Basilius olim regio mi-nisterio depulsus in delationem nostri nominis alieni aeris necessitate compulsusest. Opilionem vero atque Gaudentium cum ob innumeras multiplicesque fraudesire in exsilium regia censura decrevisset cumque illi parere nolentes sacrarum sesemedium defensione tuerentur compertumque id regi foret, edixit, uti, ni intrapraescriptum diem Ravenna Urbe decederente, notas insigniti frontibus pelleren-tur. Quid huic severitati posse astrui videtur? Atquin eo die defrentibus eisdemnominis nostri delatio suscepta est. Quid igitur, nostrane arte sita meruerunt an il-los accusatore iustos fecit praemissa damnatio? Itane nihil fortunam puduit si mi-nus accusatae innocentiae, at accusantium vilitas? (33).

Per di più, dei tre testi, due erano con buona probabilità parentistretti di Cipriano, come sembra trasparire da alcuni passi delle Va-riae di Cassiodoro, dove Opilione è chiamato fratello del referenda-rius (34) e il senatore Basilio cognato di Opinione (35).

Nonostante la situazione creatasi fosse tutt’altro che veramentelesiva per gli imputati, il re prestò tuttavia fede alle testimonianze e

(31) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 26-27, ed. cit., p. 9.(32) Excerpta Valesiana, 86: «Tunc Cyprianus haesitans non solum adversus Albinum

sed et adversus Boethium, eius defensorem, deducit falsos testes» (ed. cit., p. 25).(33) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 15-19, ed. cit., p. 8.(34) Cfr. CASSIOD. Var., VIII, 16, 17.(35) Cfr. CASSIOD., Var., VIII, 16, 2; 17, 5.

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ai capi di accusa prodotti contro i due patrizi (36), rifiutando persinodi ascoltare le loro difese (37). Il re e la corte erano evidentementeconvinti che una soluzione drastica avrebbe potuto mettere fine oquantomeno incutere timore nei senatori o in chiunque altro avessevoluto opporsi alla volontà regia. All’accusa, impugnata dagli avver-sari di Boezio, al principio del processo, di ambitus dignitatis peraver tentato di mettere a tacere la cosa al suo nascere, si aggiunsecosì sul tavolo del tribunale l’accusa più grave di laesa maiestas, cherese inevitabile il prosieguo delle indagini da concludersi con unacondanna certa. Sappiamo, inoltre, dallo stesso Boezio che a questeimputazioni se ne aggiunse un’altra ancora di natura dottrinale, le-gata proprio allo studio della filosofia che gli comportò l’accusa disacrilegium:

Cuius dignitatem reatus ipsi etiam qui detulere viderunt; quam uti alicuiussceleris ammixtione fuscarent, ob ambitum dignitatis sacrilegio me conscientiampolluisse mentiti sunt. Atqui et tu insita nobis omnem rerum mortalium cupidi-nem de nostri animi sede pellebas et sub tuis oculis sacrilegio locum esse fas nonerat . . . Praeterea penetral innocens domus, honestissimorum coetus amicorum,socer etiam sanctus et aeque ac tu ipsa reverendus ab omni nos huius criminis su-spicione defendunt. Sed o nefas! Illi uero de te tanti criminis fidem capiunt atquehoc ipso videbimur affines fuisse maleficio quod tuis imbuti disciplinis, tuis insti-tuti moribus sumus (38).

(36) Excerpta Valesiana, 86-87: «Rex dolum Romanis tendebat et querebat quem ad mo-dum eos interficeret: plus credidit falsis testibus quam senatoribus. Tunc Albinus et Boe-thius ducti in custodia ad baptisterium ecclesiae» (ed. cit., p. 25).

(37) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 36: «Nunc quingentis fere passim milibus procul muti at-que indefensi ob studium propensius in senatum morti proscriptionique damnamur» (ed.cit., p. 10).

(38) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 37-38. 40-41, ed. cit., pp. 10-11. Nelle Variae di Cassiodorocompare una lettera del re Teoderico a Boezio dove questi loda il suo collaboratore per lavasta conoscenza da lui acquisita nel campo delle scienze: «Hoc te multa eruditione sagina-tum ita nosse didicimus, ut artes, quas exercent uulgariter nescientes, in ipso disciplinarumfonte potaueris. Sic enim atheniensium scholas longe positus introisti, sic palliatorum chorismiscuisti togam, ut graecorum dogmata doctrinam feceris esse romanam. Didicisti enim, quaprofunditate cum partibus speculatiua cogitetur, qua ratione actiua cum sua diuisione disca-tur: deducens ad romuleos senatores quicquid cecropidae mundo fecerant singulare. Tran-slationibus enim tuis Pythagoras musicus, Ptolemaeus astronomus leguntur itali: Nicoma-chus arithmeticus, geometricus Euclides audiuntur Ausonii: Plato theologus, Aristoteles logi-cus quirinali uoce disceptant: mechanicum etiam Archimedem latialem siculis reddidisti. Etquascumque disciplinas uel artes facunda graecia per singulos uiros edidit, te uno auctore

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Pertanto, se all’inizio dell’istruttoria Boezio aveva potuto ritene-re o sperare che il senato sarebbe stato concretamente solidale conla sua posizione, giunto il processo, per così dire, a una via senza ri-torno, la sacra assemblea dei patrizi romani decise di abbandonarealla loro sorte ormai negativamente scontata i due presunti rei, Albi-no e Boezio, considerando vano e pericoloso ogni intervento in lorofavore. Boezio con queste parole commenta la scelta dei senatori ro-mani: «An optasse illius ordinis salutem nefas vocabo? Ille quidamsuis de me decretis, uti hoc nefas esset, effecerat» (39), e subito dopo:« Sed fas fuerit nefarios homines, qui bonorum omnium totiusquesenatus sanguinem petunt, nos etiam, quos propugnare bonis sena-tuique viderant, perditum ire voluisse. Se num idem de patribusquoque merebamur?» (40).

Boezio e Albino furono tradotti in arresto a Pavia, dove si riunìil consistorium per dare azione legale ed esecutività alla sentenza dimorte. Il re Teoderico preferì tuttavia evitare il troppo gravoso cari-co di una tale responsabilità e affidò la sentenza al praefectus UrbisRomae, Eusebio, richiamato in Pavia a tale scopo (41). Questi, assistitoda un iudicium quinquevirale, come era previsto dalla legge romanaper le cause de capite senatorum (42), pronunciò contro l’autorevolepersonaggio la condanna di morte e la confisca dei beni; a Teoderi-co spettò così soltanto l’ultimo compito di ratifica della sentenza,che non ebbe immediato adempimento ma fu prorogata, come si ri-tiene, al giorno 23 ottobre dell’anno 524.

In attesa del giudizio, nel segreto confino in cui consumò i suoiultimi giorni, Boezio nelle dolenti pagine del De consolatione Philo-sophiae, vero testamento spirituale del senatore, affidò l’ultima suadifesa al giudizio dei posteri:

Sibi semper mentiens imprudentia rerum merita non potest immutare necmihi Socratico decreto fas esse arbitror vel occuluisse veritatem vel concessisse

patrio sermone Roma suscepit» (Var. I, 45, 3-4, ed. cit., pp. 49-50). Sui capi di accusa nelprocesso contro Boezio vedi O. BERTOLINI, cit., pp. 89-90 e W. BRACKE, cit., pp. 57-61.

(39) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 23, ed. cit., p. 9.(40) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 31-32, ed. cit., p. 9: «rex vero vocavit Eusebium, praefec-

tum urbis, Ticinum et inaudito Boethio protulit in eum sententiam».(41) Excerpta Valesiana, 87, ed. cit., p. 25.(42) Motivo per cui taluni hanno voluto ritenere che il processo fosse stato istruito a Ro-

ma e non a Pavia o a Ravenna; vedi W. BRACKE, cit., p. 52, e n. 139, p. 54 e n. 147.

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mendacium. Verum id quoquo modo sit, tuo sapientiumque iudicio aestimandumdelinquo. Cuius rei seriem atque veritatem, ne latere posteros queat, stilo etiammemoriaeque mandavi (43).

Infine, secondo il racconto dell’Anonymus, Boezio « in agro Cal-ventiano, ubi in custodia habebatur, misere fecit occidi. Qui acceptachorda in fronte diutissime tortus, ita ut oculi eius creparent, sicsub tormenta ad ultimum cum fuste occiditur» (44). Con buona pro-babilità, medesima sorte toccò anche ad Albino, benché notizie si-cure non siano giunte a noi sul suo conto. Sicuramente poco tempodopo fu istruito anche il processo contro il senatore Simmaco, ilquale, per aver pianto pubblicamente il cognato, fu accusato di averpartecipato alla cospirazione contro il re e la corte e fu condannatoanch’egli alla decapitazione (45).

Anche uno storico come Procopio di Cesarea, che in più diun’occasione si mostrò piuttosto favorevole alla politica del re ostro-goto, non giudicò positivamente i suoi ultimi atti di governo e inparticolar modo i processi intentati contro i senatori romani, consi-derando ingiusto l’atto ed esprimendo la sua evidente contrarietà inquesti termini:

« ®H te o¿ Q e u d er i c o v l og wı m en tur a n n o v , e¢r g wı d e b a s i l e uv a’ l h q hv twn e’n ta ut hı t hıt i m hı t o e’x a’ r c hv hu’ d o k i m h k ot w n o u’ d e n ov h©s s o n , e¢r w v t e a u’ t o u e¢n te Got q o i v k a i’ I t a l i wt a i v p o l uv h¢k m a s e , k a i t a ut a a¢ p o t o u a’ n q r w p e io u t r op o u . ‘ E t er w n g areçt e r a e’n ta iv po l i t e ia i v a’ e i a i¿r o u m en w n t hn e’f e s t ws a n a’ r c hn xu m b a in e i a’ r e-

(43) BOETH., Phil. Cons., I, 4, 24-25, ed. cit., p. 9.(44) Excerpta Valesiana, 87, ed. cit., p. 25.(45) Sulla morte per decapitazione subita dai senatori Simmaco e Boezio abbiamo un’ul-

teriore testimonianza nella vita Iohannis del Liber Pontificalis: «Theodoricus rex hereticustenuit duos senatores praeclaros et exconsules, Symmachum et Boetium, et occidit interfi-ciens gladio» (Liber Pontificalis I, v. Iohannis, LV, 88 V, p. 276); e così pure nella HistoriaRomana di Paolo Diacono leggiamo: «Theodericus rabie suae iniquitatis stimulatus Symma-chum exconsulem ac patricium et Boethium senatorem et exconsulem catholicos viros gladiotrucidavit » (PAUL. DIACO., Hist. Rom., XVI, 9, ed. cit., p. 219). La decapitazione secondo ildiritto romano era la pena capitale riservata ai senatori mentre diversa sorte toccava al popo-lo: cfr. Ulpiani Digesta XLVIII, 19, 8, 1-3: «Vita adimitur, ut puta si damnatur aliquis, utgladio in eum animadvertatur. sed animadverti gladio oportet, non securi vel telo vel fusti vellaqueo vel quo alio modo. proinde nec liberam mortis facultatem concedendi ius praesideshabent. multo enim vel veneno necandi. divi tamen fratres rescripserunt permittentes libe-ram mortis facultatem. Hostes autem, item transfugae ea poena adficiuntur, ut vivi exuran-tur. Nec ea quidem poena damnari quem oportet, ut verberibus necetur vel virgis interema-tur, nec tormentis: quamvis plerique dum torquentur deficere solent» (Corpus Iuris Civilis, I,Digesta, recognovit Th. Mommsen et retractavit P. Krueger, Berolini 1954, p. 865).

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s k e i n m en e’n twı p a r a u t ik a o i©v a£ n e’n h¿ d o n hı t a p r a s s om e n a h®ı , lu p e in de w© n thvg n wm h v a’ p ’ e’n a n t ia v c w r hs e i e n . ºE t h d e e’p i b i o uv e¿p t a k a i t r i ak o n t a e’t e l e ut h s e ,f o b e r ov men to iv po l e m io i v g e g o n wv aç p a s i , p oq o n d e a u¿ t o u p o l un ti n a e’v to uvu¿ p h k oo u v a’ p o l i p wn . ’ E t e l e ut h s e d e t r op wı t o i wı d e . S um m a c o v k a i B o et i o v , o¿t o ut o u g a m b r ov , e u’ p a t r id a i m en to a’ n ek a q e n h¢s t h n , p r wt w d e b o u l hv thv‘ R w m a iw n k a i u¿ p at w e’g e n es q h n a¢ m f w . f i l o s o f ia n d e a’ s k hs a n t e k a i d i k a i o s un h ve’p i m e l h s a m en w o u’ d e n ov h©s s o n , p o l l o iv te a’ s t wn ka i x en w n c r hm a s i t hn a’ p o -r ia n i’a s a m en w k a i d ox h v e’p i m eg a c w r hs a n t e a¢ n d r a v e’v fq on o n t o uv po n h r o t a-t o u v e’p h g a g et h n . O i©v dh s u k o f a n t o us i Q e u d er i c o v a’ n a p e i s q e iv aç t e n e w t er o i vp r ag m a s i n e’g c e i r o un t e t w a¢ n d r h t o ut w e¢k t e i n e k a i t a c r hm a t a e’v to d h m os i o na’ n ag r a p t a e’p o i hs a t o » (46).

Tornato a Ravenna, Teoderico, « tractans non ut dei amicus, sedlegi eius inimicus », volle, come suo primo impegno, premiare quantiavevano favorito questa sua svolta politica antisenatoriale e antiim-periale. Promosse Cipriano al grado di comes sacrarum largitionum erichiamò il senatore Cassiodoro a rivestire la carica di magister offi-ciorum, che era stata fino ad allora di Boezio.

La presenza di una figura di spicco quale Cassiodoro, nonostan-te tutto rimasto lealmente vicino al Goto, fu importante e necessarianell’evolversi degli eventi che dall’anno 523 condussero il regno diTeoderico a una lenta ma inesorabile fine (47). Cassiodoro, infatti, riu-

(46) Procopii Caesariensis Opera Omnia, recognovit J. Haury, Vol. II, De bellis Libri V-VIII, Lipsiae 1963, De bello Gothico, I, 1, 29-34, p. 9. Per l’edizione italiana si veda PROCO-PIO DI CESAREA, Le guerre: persiana, vandalica e gotica, a cura di M. Craveri, Torino 1977, p.346: «Se pure Teodorico, in apparenza, fu un usurpatore, in realtà fu un vero sovrano, noninferiore a chiunque altro si sia più nobilmente distinto in tale carica fin dal principio; perciòcrebbe sempre di più tra i Goti e gli Italiani l’affetto per lui, cosa assai rara tra le abitudiniumane . . . Teodorico, che regnò trentasette anni, quando morì, era non solo divenuto temibi-le per tutti i nemici, ma lasciò grande rimpianto di sé fra i sudditi. La sua morte avvenne nelmodo seguente. C’erano due nobili di antico lignaggio, Simmaco e suo genero Boezio, ch’e-rano tra i più ragguardevoli membri del senato romano, e ambedue consoli. Siccome si occu-pavano di filosofia e conoscevano la giurisprudenza come nessun altro e soccorrevano congenerosi donativi molti bisognosi, sia tra i concittadini che tra i forestieri, si erano acquistatiuna grande rinomanza, e questo fatto mosse all’invidia alcune persone meschine. Costoro licalunniarono presso Teodorico, il quale si lasciò convincere, mandò a morte i due personag-gi con l’accusa che stavano preparando una rivoluzione e fece confiscare le loro sostanze, in-camerandole nel pubblico tesoro».

(47) Sull’importante contributo di Cassiodoro alla politica italiana dei re goti si vedano iseguenti studi: L. SCHMIDT, Cassiodor und Theoderich, in «Historisches Jahrbuch», XLVII(1927), pp. 727-729; O. BERTOLINI, cit., pp. 97-132; A. MOMIGLIANO, Cassiodorus and the Ital-ian Culture of His Time, in «Procedings of the British Academy», IV (1955), pp. 207-245;IDEM, Cassiodoro, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXI, Roma 1978, pp. 444-504; J. J.

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scì a frenare il re dai suoi continui tentativi di avversare il senatocon la violenza; e tale elemento è per noi altamente significativo purse non va dimenticato l’inestimabile contributo che egli ha saputooffrire alla storia della dominazione gota con la sua raccolta di epi-stole e di atti regi contenuti nelle Variae: un’opera che ha sfidato iltempo e che integralmente ci ha fornito un resoconto esatto edesaustivo sui vari emendamenti e sui vari atti di governo operati daTeoderico e dai suoi successori, cui egli stesso partecipò come con-sigliere ed esecutore della volontà dei vari reggenti (48). Ma l’influenzadi Cassiodoro non poteva essere sufficiente a rendere forza a unapolitica ormai per troppi motivi indebolitasi e pur degeneratasi inun’atmosfera di sospetto e di intimidazione.

Infatti, in campo religioso, la crisi, apertasi all’indomani dellacomposizione dello scisma acaciano, prendeva una piega assai peri-colosa, mentre si inaspriva sempre più la politica di intolleranza av-viata in Oriente dall’imperatore Giustino. Così Teoderico, pur diavversare Bisanzio, continuò nella sua dura opposizione verso quantinell’ambito del senato e del clero non erano sfavorevoli alla causaimperiale. Lo stato della questione ci spinge anzi ad avanzare persi-no l’ipotesi che la condanna contro Boezio avesse pur un larvatofondamento anticattolico, e che il processo nascondesse di fatto per-sino motivazioni di carattere religioso (49).

O’DONNELL, Cassiodorus, Berkeley-Los Angeles-London 1979; Flavio Magno Aurelio Cassio-doro, «Atti della settimana di studi» a cura di S. Lenza, Cosenza-Squillace 19-24 settembre1983, Soveria Mannelli 1986; S. KRAUTSCHICK, Cassiodorus und die Politik seiner Zeit, Bonn1989; Cassiodoro. Dalla corte di Ravenna al Vivarium di Squillace, Atti del Convengo Interna-zionale di Studi, Squillace 25-27 ottobre 1990, Soveria Mannelli 1993; J. MOORHEAD, Cassio-dorus on the Goths in Ostrogothic Italy, in «Romanobarbarica », XVI (1999), pp. 241-259; S.CHRISTENSEN, Cassiodorus and the Making of a History of the Goths, in «Analecta Romana»,XXVI (1999), pp. 173-177.

(48) Sul significato e l’importanza politica delle Variae si veda R. MOROSI, L’attività delpraefectus praetorio nel regno ostrogoto attraverso le Variae di Cassiodoro, in «Humanitas »,XXVII-XXVIII (1975-1976), pp. 71-93; L. VISCIDO, Studi sulle Variae di Cassiodoro, SoveriaMannelli 1987; V. A. SIRAGO, I Goti nelle Variae di Cassiodoro, in Flavio Magno Aurelio Cas-siodoro, cit., pp. 179-205; F. DE MARINI AVANZO, I vescovi nelle Variae di Cassiodoro, in Attidell’Accademia Romanistica Costantiniana, VIII convegno internazionale, Napoli 1990, pp.249-260; A. GIARDINA, Cassiodoro politico e il progetto delle Variae, in Teoderico il Grande e iGoti d’Italia, cit., pp. 45-76; L. TARTAGLIA, Elementi di ideologia politica nelle Variae di Cas-siodoro, in «Filologia antica e moderna», V-VI (1994), pp. 59-69.

(49) Contro quanto sostiene Procopio che considera l’evento semplicemente da un pun-to di vista politico: «o i©v dh s u k o f a n t o us i Q e u d er i c o v a’ n a p e i s q e iv aç t e n e w t er o i v p r ag m a s i n

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Grazie all’intervento del nuovo magister officiorum Cassiodoro,l’impulso antiecclesiastico del re fu però parzialmente affievolito; l’a-bile senatore tentò di spingere il Goto verso una più oculata politicadi incontro con la Chiesa romana, il cui alto rappresentante fu invi-tato a prendere le parti del regno di fronte all’imperatore Giustino,nel tentativo di difendere la posizione degli Ostrogoti presso Bisan-zio e mitigare le misure adottate contro gli eretici. Perché la cosaavesse immediato svolgimento, il papa Giovanni I (523-526) fu co-stretto da Teoderico a partire subito per l’Oriente (50).

L’Anonymus Valesianus ci trasmette una breve sintesi dei fattiimportanti e drammatici avvenuti in quei pochi mesi:

Rediens igitur rex Ravennam, tractans non ut dei amicus sed legi eius inimi-cus, immemor factus omnis eius beneficii et gratiae, quam ei dederat, confidens inbrachio suo; item credens quod eum pertinesceret Iustinus imperator, mittens etevocans Ravennam Iohannem sedis apostolicae praesulem et dicit ad eum: ‘‘ am-bula Constantinopolim ad Iustinum imperatorem, et dic ei inter alia, ut reconci-liatos in catholica restituat religione ’’. Cui papa Iohannes ita respondit: ‘‘quodfacturus es, rex, facito citius; ecce in conspectu tuo adsto. Hoc tibi ego non pro-mitto me facturum, nec illi dicturus sum. Nam in aliis causis, quibus mihi iniun-xeris, obtinere ab eodem, annuente deo, potero ’’. Iubet ergo rex iratus navem fa-bricari et superinpositum eum cum aliis episcopis, id est Ecclesiam Ravennatem etEusebium Fanestrem et Sabinum Campano et alios duos, simul et senatoresTheodorum, Importunum, Agapitum et alium Agapitum (51).

Il papa partì alla fine dell’anno 525 da Ravenna per Bisanzio,accompagnato da cinque vescovi e quattro senatori. Per la primavolta un vescovo romano attraversava il mare diretto ad Oriente e lo

e’g c e i r o un t e t w a¢ n d r e t o ut w e¢k t e i n e k a i t a c r hm a t a e’v to d h m os i o n a’ n ag r a p t a e’p o i hs a t o »(Bell. Goth., I, 1, 34, ed. cit., p. 9).

(50) Cfr. in proposito H. LOWE, Theoderich der Große und Papst Johann I, in «Histori-sches Jahrbuch», LXXII (1952), pp. 83-100.

(51) Excerpta Valesiana, 88-90, ed. cit., pp. 25-26. La prima edizione del Liber Pontifica-lis tende a confermare questa versione: «Tunc Iohannes venerabilis papa egressus, cum fletuet mugitu ambulavit, et viri religiosi et consules et patricii Theodorus, Inportunus, Agapituset alius Agapitus, hoc accipientes in mandatum legationis ut redderentur ecclesias hereticisin parte Greciarum » (Liber Pontificalis, I [Première Édition], v. Iohannis, LV, 12-17, p. 104).Anche Teofane nella sua Chronographia racconta del viaggio a Bisanzio di Giovanni I pertrattare la causa degli ariani (C. DE BOOR ed., Thophanis Chronographia a. 6016, Lipsiae1883, vol. I, p. 169). Vedi sull’argomento O. BERTOLINI, cit., pp. 91-93; E. DEMOUGEOT, cit.,pp. 826-827; W. BRACKE, L’Anonimus Valesianus II, cit., pp. 63-64.

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faceva in qualità di ambasciatore di un re germanico e per di più ri-tenuto eretico.

Il viaggio si dimostrò, in verità, più semplice del previsto e Gio-vanni I fu accolto straordinariamente bene: Giustino compì il solen-ne atto di omaggio dell’adoratio e, inginocchiatosi di fronte al vica-rio di Cristo, si tolse la corona che da lui, e non dal patriarca cuispettava tale privilegio, fu riposta sul capo. Così nel racconto del Liber:

Qui dum introissent omnes suprascripti cum Iohanne papa Constantinopo-lim, occurrerunt eis a miliario XII in honore apostolorum, desiderantes post bea-tum Silvestrum papam temporibus Constantini meruissent partibus Greciae vica-rium sancti Petri suscipere. Et Iustinus Augustus adoravit beatum Iohannem, decuius manibus coronatus est (52).

Ma presso la corte imperiale Giovanni, nonostante le formali ac-coglienze, non ottenne risultati positivi per la causa ostrogota chel’imperatore non avrebbe voluto né potuto per nessun motivo favo-rire: «Sed Deus, qui fideles cultores suos non deserit, cum prosperi-tate perduxit. Cui Iustinus imperator venienti ita occurrit ac si beatoPetro: cui data legatione, omnia repromisit facturum praeter recon-ciliatos, qui se fidei catholicae dederunt, Arrianis restitui nullatenusposse », dice l’Anonymus Valesianus (53). Così non appena i reducidalla missione furono sbarcati a Ravenna, il re li chiamò a colloquioper conoscere i risultati della delegazione, ma, di fronte alle sconfor-tanti parole del vescovo, egli dimostrò apertamente il suo malcon-

(52) Liber Pontificalis, I (Première Édition), v. Iohannis, LV, 15-21, p. 104; nella secondaedizione del Liber: «Tunc Iustinus Augustus, dans honorem Deo, humiliavit se pronus etadoravit beatissimum Iohannem papam . . . Iustinus imperator tamen gaudio repletus est quiameruit temporibus suis vicarium beati Petri apostoli videre in regno suo: de cuius manibuscum gloria coronatus est Iustinus Augustus» (v. Iohannis, LV, 87 III-88 IV, p. 275). Un’altratestimonianza in merito al successo ottenuto dal papa Giovanni I presso la corte di Bisanzioci è data da Marcellino Comes: «Iohannes Romanae ecclesiae papa LI anno Petri apostolo-rum pontificumque praesulis quadringentesimo octogensimo quinto sessionis eius, Theodori-co rege sese . . . pro Arrianis suae caerimoniae reparandis, solus dumtaxat Romanorum sibi-met decessorum urbe digressus constantinopolim venit. Miro honore susceptus est: dexterdextrum ecclesiae insedit solium diemque domini nostri resurrectionis plena voce Romanisprecibus celebravit» (Marcellini V.C. Comitis Chronicon XV. III, in Chronica Minora [saec.IV.V.VI.VII], MGH AA XI, 2, edidit Th. Mommsen, Berolini 1894, p. 102).

(53) Excerpta Valesiana, 90-91, ed. cit., p. 26. Di diverso avviso sembra essere il biografodel Liber che tende invece a sopravvalutare gli esiti ottenuti tanto da affermare: «IustinusAugustus . . . omnem concessit petitionem» (Liber Pontificalis, I [Première Édition], v. Iohan-nis, LV, 23-24, p. 104).

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tento per quanto poco essi avevano ottenuto presso l’imperatored’Oriente, e pose sotto stretta sorveglianza i delegati e Giovanni I, ilquale, già malato alla partenza da Roma e prostrato dalle fatiche dellungo viaggio, non sopravvisse che pochi giorni, spirando il 18 mag-gio 526.

Le fonti non parlano di una morte violenta, che certo non èpossibile provare, ma attestano la volontà del Goto di punire il papae i suoi compagni che erano contravvenuti agli accordi stabiliti aRoma prima della partenza. Di questo medesimo avviso si mostraperaltro la biografia di papa Giovanni del Liber, che narra i fatti ac-caduti all’arrivo della delegazione in Italia con una certa indignazio-ne, persino ingenua, nei confronti del re:

Suscepti sunt a rege Theoderico cum dolo et grande odio Iohannes episcopusetiam et senatores viros inlustres religiosus suscepit, quos itaque cum tanta indi-gnatione suscipiens, gladio eos voluit punire, sed metuens indignatione Iustini Au-gusti orthodoxi, non fecit: tamen in custodia omnes cremavit, ita ut beatus Iohan-nes papa in custodia adflictione maceratus deficiens moreretur. Qui vero defun-ctus est Ravenna cum gloria XIV kl. iun., in custodia regis Theoderici (54).

Anche il racconto di Paolo Diacono non si discosta molto da questaversione, e attesta tuttavia con piglio politico più consapevole:

Iohannes vero pontifex revertens a Constantinopoli dum cum his cum quibusierat, profectus ad Theodericum Ravennam fuisset, Theodericus ductus malitia,quod eum Iustinus catholicae pietatis defensor honorifice suscepisset, eum simulcum sociis carceris afflictione peremit (55).

E così pure l’Anonymus Valesianus ci offre la sua versione dei fattisenza discostarsi troppo dalle precedenti testimonianze:

Revertens igitur Iohannes papa a Iustino, quem Theodericus cum dolo susce-pit et in offensa sua eum esset iubet. Qui post paucos dies defunctus est (56).

L’Anonymus tuttavia non si ferma qui. Infatti passa subito a descri-vere il funerale del papa rappresentato come la morte di un martire,lasciando con ciò intravedere, sia pur larvatamente, che la fine di

(54) Liber Pontificalis, I (Première Édition), v. Iohannis, LV, 3-11, p. 106.(55) PAUL. DIACO., Hist. Rom., XVI, 10, ed. cit., p. 219.(56) Excerpta Valesiana, 93, ed. cit., p. 26.

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Giovanni I potesse considerarsi una sorta di martirio voluto ferma-mente dall’Amalo.

Ergo euntes populi ante corpusculum eius. Subito unus de turba adeptusdaemonio cecidit et dum pervenisset cum lectulo, ubi latus erat, usque ad homi-nem, subito sanus surrexit et praecedebat in exsequias. Quod videntes populi etsenatores coeperunt reliquias de veste eius tollere. Sic cum summo gaudio populideductus est corpus eius foris civitatem (57).

L’episodio scatenò immediatamente – e anche in ciò potremmoravvisare la reazione di chi sapeva bene cosa si celasse dietro un even-to luttuoso e inqualificabile – la reazione popolare, dando vita a unaserie di disordini e di agitazioni sviluppatesi tra la folla dei fedeli. E,come conseguenza immediata di ciò, nacquero i primi seri contrastitra la fazione aristocratica filo-gota, che spingeva per un distacco net-to dalla corte imperiale, e i suoi avversari che, all’opposto, avallavanoun più misurato avvicinamento alla posizione dell’ortodossia bizanti-na. Il conflitto sfociò quasi subito in modo più aperto e grave in oc-casione dell’elezione del nuovo successore di Pietro. Teoderico, infat-ti, intervenne di forza nelle trattative e costrinse i senatori a trovareun punto di incontro affinché il nuovo eletto fosse vicino al suo parti-to, e Cassiodoro, ancora una volta, con alto senso politico, temendoche la vittoria della fazione intransigente dei cattolici avrebbe com-portato un’immediata repressione da parte della corte regia, appoggiòil re con la partecipazione del suo partito. Ne uscì eletto alla fine Fe-lice IV. La prima edizione del Liber Pontificalis interpreta l’ordina-zione di questo vescovo come dettata dalla volontà del re goto: «Fe-lix . . . ordinatus est ex iusso Theoderici regis» (58).

(57) Excerpta Valesiana, 93, ed. cit., pp. 26-27. Anche Gregorio Magno nei suoi Dialogiparla delle capacità miracolose del vescovo, riferendoci dei prodigi compiuti da questo du-rante il viaggio verso Bisanzio (Dial. III, 2). Nella seconda redazione della vita Iohannis delLiber, il vescovo è chiamato martyr (cfr. Liber Pontificalis, I, v. Iohannis, LV, p. 278, n. 15);così pure Gregorio di Tours ci ricorda una leggenda tramandata oralmente nei secoli a pro-posito del suo martirio (Gregorii Episcopi Turonensis Liber in gloria martyrum 39, MGHSrm, I, 2, ediderunt W. Arndt et Br. Krusch, Hannoverae 1885, p. 513); inoltre, in un’iscri-zione a lui dedicata si legge l’espressione victima Christi, e secondo il racconto Giovanni fuinterrato a Ravenna, quindi nel 526 le sue reliquie traslate a Roma nella basilica di San Pie-tro: «[Iohannis] corpus translatum est de Ravenna et sepultus est in basilica beati Petri, subdie VI Kal. Iun., Olybrio consule » (Liber Pontificalis, I, v. Iohannis, LV, 89, VIII, p. 276).

(58) Liber Pontificalis, I (Première Édition), v. Felicis, LVI, 24-25, p. 106. Una lettera in-viata da Cassiodoro in nome del successore di Teoderico, Atalarico, ci informa sulla questio-

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456 GIANLUCA PILARA

Inoltre, se prestiamo fede alla narrazione dell’Anonymus Valesia-nus, Teoderico, prima di morire, compì un ultimo atto di scellera-tezza; diede ordine infatti a un tale Symmachus scolasticus Iudaeus dioccupare le chiese cattoliche come rappresaglia contro l’imperatoreGiustino (59). Ma pochi giorni dopo, il 30 agosto 526, prima che aves-se adempimento tale nefando crimine, il destino volle fermare Teo-derico, non rex sed tyrannus, privandolo della vita: «Qui non patiturfideles cultores suos ab alienigenes opprimi, mox intulit in eum sen-tentiam arriani, auctoris religionis eius, fluxu ventris incurrit et dumintra triduo evacuatus fuisset eodem die quo se gaudebat ecclesiasinvadere simul regnum et anima amisit» (60). La sua morte fu giudica-ta dalle fonti come una punizione divina per la azioni indegne com-piute da questo negli ultimi anni del suo regno contro la fede e lagiustizia civile (61).

ne dell’elezione di Felice IV in maniera chiara: «Gratissimum nostro profitemur animo,quod gloriosi domni avi nostri respondistis in episcopatus electione iudicio. oportebat enimarbitrio boni principis oboediri, qui sapienti deliberatione pertractans, quamvis in aliena reli-gione, talem visus est pontificem delegisse, ut nulli merito debeat displicere, ut agnoscatis il-lum hoc optasse praecipue, quatenus bonis sacerdotibus ecclesiarum omnium religio pullula-ret. recepistis itaque virum et divina gratia probabiliter institutum et regali examinatione lau-datum » (Var. VIII, 15, 1 ed. cit., p. 318).

(59) Excerpta Valesiana 94, ed. cit., p. 27: «Igitur Symmachus scolasticus Iudaeus, su-bente non rege, sed tiranno, dictavit praecepta die quarta feria, septimo kalend. Septembr.,indctione quarta, Olybrio consule, ut die dominico adveniente Arriani basilicas catholicasinvaderent ».

(60) Excerpta Valesiana 95-96, ed. cit., p. 27. Il racconto dell’Anonymus si conclude conun riferimento al mausoleo edificato da Teoderico stesso per la sua sepoltura, volontà che fuin ultimo rispettata dal nipote e successore al regno Atalarico: «Ergo antequam exhalaret,nepotem suum Athalaricum in regnum constituit. Se autem vivo fecit sibi monumentm ex la-pide quadrato, mirae magnitudinis opus, et saxum ingens, quod superponeret, inquisivit»(Ibidem, p. 27). Sul monumento ravennate si vedano i seguenti studi: S. FERRI, Ancora sulmausoleo di Teoderico, in IDEM, Opuscula. Scritti vari di metodologia storico-artistica, archeo-logia, antichità etrusche e italiche, filologia classica, Firenze 1962, pp. 541-547; N. BORGHERO,Il Mausoleo di Teoderico a Ravenna (Problemi e interpretazioni), in «Felix Ravenna», XLI(1965), pp. 5-68; G. PAVAN, Appunti per il mausoleo di Teoderico, in «Felix Ravenna»,CXIII-CXIV (1977), pp. 241-255; W. GADDONI, Il Mausoleo di Teoderico, Imola 1987; R.SANTILLO, Il «saxum ingentem» a Ravenna a copertura del mausoleo di Teoderico: problemi esoluzioni, in «Opuscula Romana», XX (1996), pp. 105-133.

(61) Liber Pontificalis, I, v. Iohannis, LV, 89 VI, p. 276: «Post hoc factum, notu Dei om-nipotentis, XCVIII die postquam defunctus est beatissimus Iohannes in custodia, Thederi-cus rex hereticus subito interiit et mortuus est»; PAUL. DIACO., Hist. Rom., XVI, 10, ed. cit.,p. 219: « Hanc eius inmanissimam crudelitatem mox animadversio divina secuta est; nam no-nagesimo octavo post hoc facinus die subita morte defunctus est, cuius animam solitarius

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ANCORA UN MOMENTO DI RIFLESSIONE SULLA POLITICA ITALIANA DI TEODERICO 457

In conclusione, al di là della nostra ricostruzione di eventi bennoti e sui quali poco di nuovo potrebbe aggiungersi, con questa ri-flessione, abbiamo inteso rilevare meglio come Teoderico, consciodella posizione assunta dagli Ostrogoti stanziati in Italia nei con-fronti della cultura e della società romana e delle difficoltà insitenella convivenza fra popoli ed etnie così lontane e diverse fra loro,abbia voluto perseguire, fino a quando gli fu consentito dalla situa-zione direttiva, la strada della tolleranza e della concordia – elemen-to che più volte è stato messo in rilievo anche grazie alle importantitestimonianze offerte dalla raccolta delle Variae cassiodoree –, dimo-strandosi solidale al suo iniziale piano di governo, radicato intorno aprecise finalità: amicizia con il senato, pace con il popolo romano,cui si aggiungeva obbligatoriamente la volontà di mantenere unostato di reciproca intesa con l’imperatore d’Oriente. Egli infatti siera reso conto che solo queste condizioni avrebbero permesso a luidi regnare e alla sua gente di sopravvivere; questo fu pertanto il te-stamento formale che Teoderico trasmise al nipote e ai dignitari delregno prima di morire, con la speranza che tale sua volontà fosse ri-spettata (62). La situazione tuttavia mutò in senso autoritario quandole circostanze imposero al Goto di assumere un più severo piglionei confronti dell’Impero e dei Romani, ben al di là – a quel chepare e che le fonti ci fanno comprendere – dei convincimenti e del-l’iniziale volontà teodericiana.

Il re dei Goti insomma in tutto il primo periodo del suo regnoaveva avuto la maturità e l’intelligenza di comprendere che quantopiù solidale fosse stata la sua politica e quella dei suoi successori alsuddetto disegno, tanto più la presenza gota avrebbe potuto conti-

quidam apud Liparam insulam vir magnae virtutis aspexit inter Iohannem papam et Symma-chum patricium deduci et in Vulcani ollam, quae ei loco proxima erat, demergi». Cfr. O.BERTOLINI, cit., pp. 93-94; E. DEMOUGEOT, cit., pp. 828-829; W. BRACKE, cit., pp. 70-72.

(62) Si legga in proposito il passo dei Getica di Iordanes: «Sed postquam ad senium per-venisset et se in brevi ab hac luce recessurum cognosceret, convocans Gothos comites genti-sque suae primates, Athalaricum infantulum adhuc vix decennem, filium filiae suae Amala-suenthae, qui Eutharico patre orbatus erat, regem constituit, eisque in mandatis ac si testa-mentali voce denuntians ut regem colerent, senatum populumque Romanum amarent princi-pemque Orientalem placatum semper propitiumque haberent post deum» (Get., LIX,303,7-304,14, ed. cit., p. 125). Vedi anche Var. VIII, 5,1. Per quanto riguarda il periodo digoverno dei successori di Teoderico si veda in particolare: O. BERTOLINI, cit., pp. 97-186; L.GATTO, Storia di Roma nel Medioevo, Politica, religione, società, cultura, economia e urbanisti-ca, Roma 20032, pp. 94-108.

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nuare a operare in Occidente. Tuttavia, nonostante i suoi tentatividi consolidare il potere regio e di costituire una forza centrale, ro-mana e germanica, che riuscisse a controllare la penisola e le suepropaggini più estreme, Teoderico dovette fare i conti con una real-tà che andava oltre i suoi intendimenti e le sue possibilità di inter-vento pacifico. L’Italia – volente o nolente – aveva ormai ridisegnatola sua mappa politica intorno a tre forze preponderanti e antiteti-che: la corte gota, che mirava a conservare una propria autonomiarispetto al senato e alla forza imperiale, il senato, sempre più teso ariavvicinare all’Occidente la nuova capitale dell’Impero, e ultima laChiesa di Roma, che nella figura del suo vescovo assumeva un ruolosempre più consistente e sempre più importante nella sua funzionedi moderatrice e di mediatrice fra le due parti in lotta.

E proprio questa nuova realtà politica, al limite, finì per porreTeoderico in una posizione di estrema incertezza, vivificatasi in se-guito alla riapertura dei rapporti tra Bisanzio e Roma, successiva allacomposizione dello scisma acaciano, e soprattutto alla nuova politicaantieretica avviata da Giustino e perseguita poi dal successore Giu-stiniano. Teoderico pertanto si sentì minacciato, vedendo immedia-tamente svanire i suoi progetti di una politica unitaria, se non an-timperiale, tutta italiana o germanica. Egli immaginava prossimo unintervento bizantino sul suolo italiano – convinzione che doveva di-mostrarsi vera di lì a pochi anni – e temeva per l’integrità del regnoe per la sicurezza della sua gente. Pur consapevole dello stato di su-bordinazione in cui si trovava il popolo germanico in Italia nei con-fronti dell’autorità dell’imperatore bizantino, l’Amalo finì allora pervedere sempre quest’ultimo come un avversario; tuttavia sapeva be-ne che una guerra fra Goti e Bizantini avrebbe portato alla fine delsuo governo e del suo popolo, ed era suo preciso compito evitarlacon ogni mezzo. Solo per questo, il re goto a un certo punto si tro-vò nella condizione di dover agire con forza contro quanti, auspi-cando un ritorno all’Impero, minacciavano di favorire la causa bi-zantina a svantaggio del regno, aprendo così il lungo periodo deiprocessi che tanto discredito gettarono sulla figura di Teoderico; al-lo stesso tempo, cancellando qualunque esitazione nei confronti del-la Chiesa, operò con determinazione a far sì che il pontefice romanoassumesse un ruolo importante nel favorire la pace con l’Oriente.

Ma inutili si rivelarono gli sforzi del re e vana l’azione modera-trice del papa e del magister officiorum Cassiodoro: infatti il popolo

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ANCORA UN MOMENTO DI RIFLESSIONE SULLA POLITICA ITALIANA DI TEODERICO 459

e il senato di Roma continuarono a mantenere una sensibile distanzada coloro che ritenevano barbari e conquistatori, tentando con forzadi riavvicinarsi all’Impero, roccaforte ultima della romanità. La posi-zione dei Goti si era resa dunque gradualmente più incerta, e taledebolezza portò il sovrano a operare energicamente e decisamenteper tentare di curare le piaghe inferte dall’Impero. Pertanto dopoaver creduto fortemente nella possibilità di ottenere una reale defi-nizione e un riconoscimento formale di un potere germanico goto,quegli dovette mutare rotta politica e intendimenti compromettendodefinitivamente la vittoria della causa gota e della società occidenta-le. Contro le sue speranze infatti si infranse la politica nonché il re-gno dei suoi successori, i quali giunsero non solo alla sconfitta defi-nitiva della causa germanica ma anche al totale dissolvimento dellapresenza ostrogota nella penisola.

La storia di Teoderico e dell’età gota è quindi un drammaticointreccio tra la formazione di un disegno politico e l’impossibilità diuna sua traduzione in azione concreta e duratura. Ma i propositi diquel re tornarono con maggior determinazione alla fine del VI seco-lo con i Longobardi e con ancor maggiore capacità realizzatrice siripresentarono nel progetto carolingio. Forse i Goti non ebberotempo sufficiente per portare avanti con successo e concretezza po-litica il loro programma e senza dubbio, soprattutto nella figura delloro capo, si mostrarono troppo avanti per i loro tempi, ma avviaro-no una trasformazione lenta e di lunga durata.

GIANLUCA PILARA

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STUDI ROMANI

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ANNO LIII - NN. 3-4 LUGLIO-DICEMBRE 2005

S O M M A R I O

S A G G I E ST U D I

ROBERTO GIORDANI: Aur(eliae) Petronillae filiae dulcissimae: qualche considerazionesulla leggenda di Petronilla presunta figlia dell’apostolo Pietro (con 4 tavv. f.t.) . 411

GIANLUCA PILARA: Ancora un momento di riflessione sulla politica italiana di Teoderico,re dei Goti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 431

FABRIZIO CONTI: Gregorio Magno e gli Anglosassoni. Considerazioni sullo sviluppo diuna strategia missionaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 460

BARTOLOMEO AZZARO: La Sapientia dello Studium Urbis di Roma (con 10 tavv. f.t.) . 482CARLO LA BELLA: Lastre tombali quattrocentesche. Appunti sulla fortuna romana della

tomba Crivelli di Donatello (con 10 tavv. f.t.) . . . . . . . . . . . . 497ELEONORA PLEBANI: Una fonte narrativa per la storia di Ferentino. La Istoria di Am-

brogio Cialini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 519CARMELA CAPALDI: Dicerie Albani (con 4 tavv. f.t.) . . . . . . . . . . . . 529MARCELLO VILLANI: Palazzo Maffei-Marescotti. Nuove acquisizioni (seconda parte: 1836-

1908) (con 10 tavv. f.t.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 545GIOVANNI RITA: Per una (nuova) storia della «Sapienza » di Roma . . . . . . . 573

S T O R I O G R A F I A E ST O R I A

MARCO BUONOCORE: Mommsen ~ Seeck: un rapporto non facile. A proposito dell’aucto-ritas senatoria del 336/7 d.C. (CIL, VI, 1708 = 31906 = 41318) . . . . . . 596

GIULIANO CRIFO: Discorsi su Mommsen e il diritto . . . . . . . . . . . . 616ANDREA GIARDINA: Una nota su Theodor Mommsen, Cassiodoro e la decadenza . . 629MARIO MAZZA: Mommsen e la Tarda Antichità: due (brevi) tesi per più ampia discussione 638

N O T E E IN T E R V E N T I

MARIA F. CARNEA: Libertà e politica in santa Caterina da Siena . . . . . . . . 665SANGIULIANO [GIULIANO SANTANGELI] : Da Belli a Pasolini: l’antilingua come epica e de-

nuncia paradossale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 686

R E C E N S I O N I

FABRIZIO CONTI: Gli storici classici nella biblioteca latina di Niccolò V di M. ALBANESE;GIANLUCA PILARA: L’organizzazione della difesa di Roma nel Medioevo di A. ESPO-SITO; EUGENIO RAGNI: Lo Zibaldone di Giuseppe Gioachino Belli. Indici e strumen-ti di ricerca di S. LUTTAZI; MANUELA MARTELLINI: Translatio imperii e translatiostudii. Sopravvivenza ed attualizzazione del tema nella Letteratura italiana tra la fi-ne del Settecento e la prima metà dell’Ottocento di G. MINARDI ZINCONE; ELEONO-RA PLEBANI: Raffaello Morghen e la storiografia del Novecento a cura di L. Gatto,E. Plebani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 697

R A S S E G N E B I B L I O G R A F I C H E

MICHELE COCCIA: Lingua e letteratura latina — JOHN THORNTON - UMBERTO ROBERTO:Storia romana — GIANLUCA PILARA: Storia medievale . . . . . . . . . 718

M E M B R I D E L L ’ I S T I T U T O S C O M P A R S I

RINO AVESANI: Giulio Battelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 744

C R O N A C H E

PIETRO SAMPERI - IOLE CARLETTINI - ANTONIO GRIMALDI - LIVIO CIAPPETTA: Vita cultu-rale — DARIO REZZA - SERENA DI NEPI - MARIO CIGNONI - ABDUL HADI PALAZZI:Vita religiosa — MARIA D’ALESIO: Mostre d’arte — GIOVANNI ANTONUCCI: Il tea-tro — RAOUL MELONCELLI: La musica . . . . . . . . . . . . . . . 749

Vita dell’Istituto Nazionale di Studi Romani: Assemblee dei Membri — L’LXXX annoaccademico dei Corsi — Iscrizione all’Istituto per il 2006 — Nuove pubblicazioni— Il Centro di Studi Ciceroniani — Il Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli(LA REDAZIONE) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 786