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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
BIODIVERSITÀ ED EVOLUZIONE BIOLOGICA
ANALISI DELLA CONSISTENZA NUMERICA E
DELLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DEI BRANCHI
DI LUPO (Canis lupus) NELLA PROVINCIA DI
AREZZO
presso:
Centro Studi “I Stabbi”, Alpe di Catenaia
Relatore: Prof. GIOVANNI VAILATI
Correlatore: Prof. MARCO APOLLONIO
Correlatore: Dott. ANDREA GAZZOLA
Tesi di Laurea di:
SARA OCCHIPINTI
Matricola 702807
Anno Accademico 2007-2008
2
All’ombra dell’arcobaleno.
3
Ringraziamenti
Ringrazio il Professor Vailati e il Professor Apollonio per la disponibilità mostrata nei miei
confronti e la pazienza, oltre che per la possibilità che mi hanno offerto di avvicinarmi al
mondo dei selvatici che tanto mi incuriosiva fin da bambina.
Un grazie particolare va alla Provincia di Arezzo per il sostegno e la collaborazione
costante offerta durante il mio anno di tesi: Dott. Chianucci, Dott. Pedone, Dott. Mattioli,
Nicola Vignoli e Antonella Bosi.
Ringrazio tutti i cacciatori, in special modo Mirco Geri, e le guardie forestali per le
preziose segnalazioni.
Ringrazio tanto Claudia Capitani, Alessia Viviani, Marco Alboni e quanti altri hanno
raccolto tutti i dati sul lupo dal 1998 al 2005, senza non avrei potuto scrivere la mia tesi.
Ringrazio Alessia perché mi è stata vicina con affetto i primi periodi in cui mi sentivo un
po’ sola e mi ha fatto vedere i fenomeni sotto un’altra luce, quella della sua esperienza.
Ringrazio Andrea Gazzola, il mio correlatore, che è riuscito a farmi perdere la pazienza
nonostante la pietra dell’equilibrio, che mi ha insegnato che la fretta fa i gattini ciechi e che
la tenacia la vince su tutte (“bisogna fare una cosa per volta, farla morto di morto bene, col
tempo che ci vo’”). Inoltre, lo ringrazio per le fagiolate, la fontina a quintalate e gli
gnocchi ai quattro formaggi.
Ringrazio Paolo Bongi per l’aiuto che mi ha dato nella stesura dei risultati e il supporto
morale.
Ringrazio Manuela Donaggio ed Elisa Bertolotto per avermi sostenuto in svariati momenti
di tensione e per avermi portata al karaoke, Nadia Cappai perché ama e cura gli
“animalini”, cucina il cinghiale più buono del mondo e mi fa ridere.
4
Ringrazio le mie “cipi-cipi”, Barbara e la Passi, e ricordo loro che il castoro è un animale
monogamo, famiglia, lavoro e si svaga con l’hobby del trapano, che “chiudi quella porta o
sei fuori” e che senza di loro non sarebbe stato lo stesso.
Ringrazio la Rappona, Elisa Rappucci, che è stata al mio fianco dall’inizio alla fine di
questa avventura (DONNAVVENTURA), con cui ho condiviso gioie e dolori, mi sono
fatta le peggio cadute e le peggio risate, con cui ho imparato a vivere la notte, la solitudine
e a gestire i timori senza mai abbandonare l’obbiettivo.
Ringrazio il Gandelli, che nonostante tutto è stata una presenza costante e rassicurante nel
mio periodo di tesi e mi ha soccorso diverse volte.
Ringrazio Rachele Bernasconi che è unica per sensibilità e dolcezza.
Ringrazio tutto il gruppo del Professor Apollonio perché è unito e costituito da persone
molto in gamba che lavorano duro ma sono comunque capaci di divertirsi.
Ringrazio di cuore tutti i Professori del mio corso di laurea perché sono stati sempre molto
disponibili e mi hanno fatto appassionare ai temi che trattavano.
Ringrazio i miei amici DELLUNIMI (Edu, Nau, Torte, Bru, Tilde, Claudia, Dimi, David,
Vero, Lauretta, Peter, Silva, Sara, Pepe, Salvo, Paolino, Ros…) che hanno costituito la mia
vita degli ultimi sei anni e grazie ai quali sono scesa dalle nuvole ed ho cominciato a vivere
per davvero, in primo luogo Milano. Siete, grazie al cielo, mille e non riesco a scrivervi
tutti ma sappiate che siete per gran parte artefici di quello che sono ora.
Ringrazio le mie storiche migliori amiche, che dopo più di dieci anni sono ancora qui:
Camilla e Serena, con le quali sono giunta alle stesse conclusioni seppur a partire da
esperienze completamente diverse; Cecilia Granata con la quale ho condiviso momenti
forti e bellissimi; la Vero, perché con il suo esempio di forza, con sei f maiuscole, mi
impedisce di non percepire la vita come bella.
5
Ringrazio Luigi, che seppur presente da pochi mesi, è riuscito a pescarmi dall’apatia in cui
galleggiavo noncurante e a farmi rivivere la felicità dei bimbi. Non ci credevo proprio, ora
sì.
Ringrazio mia sorella, che è una delle perle presenti nella mia esistenza che risulterebbe
impoverita all’osso senza di lei.
Ringrazio i miei genitori perché ci sono sempre nel bene e nel male, perché mi hanno
insegnato non solo a vivere ma anche a stare al mondo e che nonostante la loro esperienza
mi hanno lasciata libera di intraprendere quello che mi piaceva, sempre, anche se talvolta
poteva sembrare sconveniente.
Ringrazio tutta la mia famiglia che è unita e numerosa: Zio Rino e Zia Gabriella, con i loro
gatti e la loro simpatica litigiosità, Zio Filippo e zia Concetta (la mia adorata CONCEPU,
senza la quale manco sta volta ce l’avrei fatta), le mie cugine Silvia e Francesca che, ormai
in fase “muliebre”, comunque continuano a starmi vicine.
Ringrazio i miei nonni perché senza di loro niente di tutto questo sarebbe stato possibile.
6
Riassunto
Il presente studio analizza alcuni aspetti della biologia del lupo (Canis lupus), quali la
determinazione della consistenza numerica e della distribuzione spaziale della specie nella
provincia di Arezzo, dal 1998 al 2007.
Tale indagine è frutto della collaborazione tra l’Università di Sassari e la Provincia di
Arezzo, che hanno avviato un progetto di ricerca volto al monitoraggio dello stato di
conservazione del lupo, individuato come obiettivo prioritario dalla Direttiva CEE 92/43
“Habitat”.
Tale studio è stato condotto con metodi non invasivi quali: la percorrenza mensile, a piedi,
di una rete di percorsi distribuiti uniformemente sul territorio provinciale; la rilevazione su
neve di piste di impronte (snow-tracking), per valutare il numero degli individui presenti e
raccogliere segni di presenza (escrementi, urine, raspate e campioni biologici) e il
monitoraggio mediante la tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling), per l’individuazione
dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) e per accertare l’avvenuta
riproduzione nei branchi. Infine, sono state raccolte le localizzazioni degli avvistamenti di
lupo e dei ritrovamenti degli esemplari morti.
Le localizzazioni di tutti i segni di presenza sono state effettuate con GPS e registrate su
supporto informatico, attraverso l’utilizzo di GIS.
Dallo studio è emerso che il numero di branchi monitorati in provincia varia da 8 a 14 e
che la densità media dei branchi di lupo è di 0,50,03 branchi/100 kmq.
Sebbene siano stati osservati branchi costituiti da 8 individui, la dimensione media del
branco è di 4 lupi. Il numero di lupi presenti annualmente sul territorio provinciale varia da
38 a 56 individui (462,5). Nel corso del periodo d’indagine, sia il numero di branchi che
il numero di lupi mostrano una tendenza positiva.
7
La tecnica dell’ululato indotto ha evidenziato un successo riproduttivo annuale dei branchi
che oscilla tra il 57% e l’83%.
Durante il periodo di studio sono stati rinvenuti 36 lupi morti, annualmente il numero di
esemplari recuperati varia da 2 a 6.
Analizzando le cause di mortalità degli individui rinvenuti, si è osservato che il
bracconaggio rappresenta il fattore più importante (39%), seguito dagli investimenti
stradali (36%). Nel 25% dei casi non è stato possibile risalire alle cause di morte. Le
differenti cause di mortalità non incidono diversamente su individui di sesso maschile e
femminile, al contrario i giovani sono soggetti in maggior misura agli investimenti stradali,
mentre gli individui adulti sono più soggetti ad episodi di bracconaggio.
L’analisi della distribuzione spaziale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites)
ha evidenziato una distanza media tra branchi limitrofi pari a 111651046 m. Le distanze
tra i rendez-vous sites di branchi contigui non sono variate significativamente durante
l’intero periodo d’indagine.
La dispersione dei siti di allevamento di ciascun branco è stata valutata misurando la
superficie del minimo poligono convesso (MPC) che inscrive le localizzazioni dei rendez-
vous sites. Tale superficie varia notevolmente da branco a branco ed in media è risultata
pari a 1269250 mq.
Da questo quadro emerge che la provincia di Arezzo ha una grande importanza per la
conservazione del lupo ed ospita una consistente popolazione vitale. Inoltre, la presenza di
alcuni settori idonei disponibili permette di ipotizzare un’ulteriore crescita demografica.
8
Sommario Introduzione 10
1 Biologia della Specie ................................................................................................... 14
1.1 Origini ................................................................................................................... 14 1.2 Classificazione e Tassonomia ............................................................................... 15 1.3 Distribuzione mondiale ......................................................................................... 17 1.4 Situazione italiana ................................................................................................. 19 1.5 Morfologia............................................................................................................. 22
1.5.1 Peso e dimensioni .......................................................................................... 23 1.5.2 Cranio ............................................................................................................. 24 1.5.3 Colorazione .................................................................................................... 26
1.6 Habitat ................................................................................................................... 27 1.7 Socialità ................................................................................................................. 28 1.8 Riproduzione, svezzamento e sviluppo dei piccoli ............................................... 32 1.9 Territorialità .......................................................................................................... 35
1.10 Dispersione ........................................................................................................ 38 1.11 Comunicazione .................................................................................................. 40
1.11.1 Marcatura odorosa ......................................................................................... 40 1.11.2 Comunicazione vocale ................................................................................... 43 1.11.3 Ecologia alimentare ....................................................................................... 46
2 Area di Studio .............................................................................................................. 50 2.1 Inquadramento geografico e morfologico ............................................................. 50
2.2 Uso del suolo ......................................................................................................... 53 2.3 Popolazione umana e aree urbanizzate ................................................................. 54
2.4 Aree destinate alla protezione della fauna ............................................................ 55 2.5 Distribuzione e consistenza degli ungulati selvatici ............................................. 59 2.6 Clima ..................................................................................................................... 63
3 Materiali e Metodi ....................................................................................................... 66
3.1 Transetti campione ................................................................................................ 67 3.1.1 Metodologia di campionamento .................................................................... 67 3.1.2 Archiviazione dei dati .................................................................................... 69
3.2 Rilevazione di piste su neve (snow-tracking) ....................................................... 70 3.2.1 La tecnica ....................................................................................................... 70 3.2.2 Metodologie di campionamento .................................................................... 72 3.2.3 Archiviazione dei dati .................................................................................... 73
3.3 Ululato indotto (wolf-howling) ............................................................................. 75 3.3.1 La tecnica ....................................................................................................... 75 3.3.2 Metodologie di campionamento .................................................................... 77 3.3.3 Archiviazione dei dati .................................................................................... 79
3.4 Efficienza delle tecniche utilizzate ........................................................................ 80
3.5 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia
di Arezzo dal 1998 al 2007 .............................................................................................. 81 3.5.1 Numero e densità dei branchi ........................................................................ 81
3.5.2 Numero di lupi e densità media dei branchi .................................................. 81 3.5.3 Successo riproduttivo dei branchi .................................................................. 82 3.5.4 Ritrovamento di lupi morti ............................................................................ 82
9
3.5.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites)
82 3.6 Test statistici.......................................................................................................... 83
4 Risultati ........................................................................................................................ 86
4.1 Efficienza delle tecniche utilizzate ........................................................................ 86 4.1.1 Segni di presenza lungo serie di transetti campione ...................................... 86 4.1.2 Tracciatura su neve (snow-tracking) .............................................................. 88 4.1.3 Tecnica di monitoraggio dell’ululato indotto (wolf-howling) ........................ 91
4.2 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia
di Arezzo dal 1998 al 2007 .............................................................................................. 92 4.2.1 Numero e densità dei branchi ........................................................................ 92 4.2.2 Numero dei lupi e dimensione media dei branchi ......................................... 94
4.2.3 Successo riproduttivo dei branchi .................................................................. 99 4.2.4 Ritrovamento lupi morti ............................................................................... 101 4.2.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites)
105
5 Discussione ................................................................................................................ 116 Bibliografia 125
10
Introduzione
Il lupo (Canis lupus) rappresenta, in tutto il mondo, una specie di indiscutibile importanza
naturalistica e di notevole interesse sociale. Dal punto di vista conservazionistico sono
numerosi i motivi che avvalorano la scelta di concentrare su questa specie studi di ricerca e
azioni di tutela.
Il lupo è definito come una “specie ombrello”, cioè una specie che, necessitando di ampi
spazi per sopravvivere, può garantire la conservazione di altre forme di vita che vivono
“accolte” sotto il suo ombrello protettivo. Inoltre, questo grande carnivoro è parte della
cultura e delle tradizioni di molte popolazioni. La conservazione del lupo, infatti, riveste
una notevole importanza culturale ed educativa; è una delle specie selvatiche di maggior
impatto emotivo sull’uomo, è fortemente presente nell’immaginario collettivo ed è stato
oggetto di attenzione in letteratura e nelle arti figurative. Il lupo rappresenta quindi un
simbolo, una “specie bandiera”, attorno al quale è possibile creare consenso e
sensibilizzazione nell’opinione pubblica, nei confronti della tematica ambientale.
La conservazione del lupo rappresenta una priorità in molti Stati europei dove la
sopravvivenza della specie è ancora minacciata (Promberger and Schröder, 1993).
In Italia, fino a metà del 1800, questo predatore era ampiamente diffuso sull’intera
penisola. Intorno al 1920 si è assistito alla scomparsa della specie sull’arco alpino
(Brunetti, 1984) e negli ’40 sul territorio siciliano. Dopo la seconda Guerra Mondiale, nel
periodo compreso fra gli anni ’50 e ’70, la popolazione di lupi arrivò alla soglia
dell’estinzione: erano sopravvissuti solo un centinaio di lupi nelle zone più inaccessibili
dell’Appennino e dell'area tirrenica (Cagnolaro et al., 1974).
Negli anni seguenti si è assistito all’aumento demografico del lupo in Italia, in particolar
modo sulla catena appenninica (Boitani e Fabbri, 1983; Pandolfi, 1983; Boitani e Ciucci,
1993; Francisci e Guberti, 1993).
11
Tale ripresa è in parte legata all’estrema plasticità comportamentale della specie che è
riuscita a sopravvivere alle nuove condizioni ambientali. La sua elevata adattabilità è anche
dovuta ad un’ecologia alimentare di tipo opportunistico e generalista. Il comportamento di
dispersione è un altro elemento che ha favorito il processo di ricolonizzazione. Inoltre, a
partire dagli anni ’70, il graduale abbandono da parte dell’uomo delle zone montane ed il
conseguente cambiamento degli indirizzi gestionali dell’ambiente e della fauna selvatica
hanno contribuito alla ripresa demografica e all’espansione dell’areale di presenza del
lupo.
Fino agli anni ’70 il lupo era definito “specie nociva”, pertanto ne veniva consentita
l’uccisone con qualsiasi mezzo. All’inizio degli anni ’70, il dibattito sulla conservazione
della specie portò all’emanazione, nel 1971, di un Decreto Ministeriale per la sospensione
della caccia al lupo per i due anni successivi, finiti i quali, un successivo D.M. del 1973
prolungava la sospensione per altri tre. Nel 1976 un nuovo Decreto Ministeriale ne
promulgò la protezione integrale, mettendo al bando anche l’uso delle esche avvelenate.
Con l’approvazione della Legge 968 del 27 dicembre 1977, il lupo non venne più
considerato come “specie nociva”, inoltre tale legge trasformò tutta la fauna selvatica da
“res nullius” a “res communitatis”, cioè “patrimonio indisponibile dello Stato”.
L’art. 2 della Legge 157 del 1992 colloca il lupo tra le specie sottoposte a particolare
tutela. Tale protezione è ribadita nella Convenzione di Berna (19 settembre 1979,
approvata in Italia con L. 503 del 1981); nella Direttiva Habitat (92/43/CEE, ratificata
dall’Italia nel 1997 con D.P.R. 357); nella convenzione di Washington (c.d. CITES, 1973,
recepita dall’Italia nel 1975 con L. 874, e poi con L. 150 nel 1992. Regolamento della CEE
n. 338/97)
Attualmente il lupo è incluso nella Lista Rossa delle specie minacciate dell’Unione
Internazionale per la Conservazione della Natura e delle Risorse Naturali (I.U.C.N.) come
specie vulnerabile.
12
Nonostante il lupo sia una specie protetta, la mortalità provocata dall’uomo risulta
piuttosto elevata e rappresenta in Italia il fattore principale che regola la consistenza delle
popolazioni locali (Ciucci e Boitani, 1998).
La predazione sul bestiame domestico crea posizioni di forte opposizione da parte del
mondo rurale, mentre il mondo venatorio vede nel lupo un pericoloso competitore.
La causa principale che provoca continui episodi di persecuzione nei confronti della specie
è sicuramente rappresentata dal conflitto che si viene a creare fra questo predatore e
l’attività zootecnica. Infatti, dall’analisi della distribuzione degli esemplari ritrovati uccisi
negli ultimi venti anni su tutto il territorio nazionale, Duprè (1996) ha riscontrato che la
maggior parte delle uccisioni di lupo è avvenuta nei luoghi in cui è più elevata la densità di
ovini.
Oggigiorno il lupo rappresenta una delle priorità conservazionistiche e gestionali del nostro
Paese. È necessario quindi avere una corretta visione del fenomeno affinché si trovino
soluzioni tali da ridurre le forti tensioni esistenti e quindi raggiungere una possibile
convivenza tra lupo e attività umane.
Una percezione del fenomeno può avvenire solo grazie ad un costante monitoraggio delle
aree. In tale contesto si inserisce l’attività del Centro Studi Casa Stabbi, che è il frutto di un
impegno “antico” della Provincia di Arezzo nel settore della tutela e corretta gestione della
fauna. La Provincia di Arezzo ha ricoperto un ruolo importante nel processo di
conservazione del lupo e dal 1998, con due anni di anticipo rispetto alla L.R. 56/2000, la
quale prevede il monitoraggio obbligatorio delle specie di interesse prioritario da parte
delle Province competenti per territorio, ha avviato una serie di indagini, in collaborazione
con dipartimenti universitari, con lo scopo di studiare la consistenza, la dinamica e la
struttura di popolazione del lupo nelle oasi di protezione della Provincia.
Il monitoraggio (definito come la misurazione ripetuta di una variabile nel tempo, dove le
variabili d’interesse sono rappresentate dai parametri critici relativi alla presenza e/o allo
13
status della specie nell’area di studio) del lupo è stato possibile grazie all’applicazione di
tecniche di ricerca non invasive quali: i percorsi per la ricerca di segni di presenza,
l’ululato indotto (wolf-howling), la rilevazione di piste su neve (snow-tracking), le analisi
genetiche su campioni biologici.
La presente ricerca ha come obiettivo quello di fornire lo stato delle conoscenze sulla
presenza del lupo nella provincia di Arezzo dal 1998 ad oggi, valutando la presenza e la
consistenza numerica della specie nelle differenti aree del comprensorio provinciale, il
successo riproduttivo dei branchi censiti, le cause di mortalità degli esemplari ritrovati
morti e le relazioni spaziali dei branchi monitorati.
I risultati ottenuti hanno consentito di delineare un quadro molto interessante che ha
confermato la grande importanza della provincia di Arezzo per il mantenimento di una
popolazione vitale di lupo.
14
1 Biologia della Specie
1.1 Origini
Matthew (1930) ha ipotizzato l’esistenza nel Terziario di un antenato comune per il lupo e
le sue specie preda (ungulati). Probabilmente entrambi si sono evoluti da un animale con
dieta generalista, caratterizzato da un alto grado di intelligenza e dalla capacità di
percorrere lunghe distanze con una corsa rapida. Successivamente si sono separate le due
grandi linee evolutive riferite a mammiferi a dieta carnivora e mammiferi a dieta erbivora.
Le prime testimonianze della presenza del gruppo dei carnivori si hanno in Nord America
circa 60 milioni di anni fa, con i Creodonti. Lo sviluppo di dentatura specializzata nel
tranciare carne (denti carnassiali) risale a 55 milioni di anni fa. Nel corso dei successivi
milioni di anni si evolse una grande quantità e varietà di carnivori, tra questi Miacis,
appartenente alla famiglia dei Miacidae, che aveva una morfologia simile agli attuali
membri dell’ordine dei carnivori.
La linea evolutiva degli Ursidi e dei Canidi si è separata tra i 30 e i 40 milioni di anni fa.
L’antenato dei Canidi, Cynodictis, presentava lo stesso numero di denti del lupo,
successivamente con Cynodesmus e Tomarctus, si affermarono le caratteristiche del lupo
attuale: arti più lunghi, zampa compatta e allungata, dito interno vestigiale nella zampa
posteriore e dito ridotto nella zampa anteriore. Cynodesmus aveva aspetto e proporzioni tra
quelle di un lupo e quelle di una volpe, con Tomarctus, evolutosi a posteriori (15 milioni
di anni fa), si affermarono le caratteristiche del lupo, la mole dell’animale era aumentata
rispetto a quella della volpe.
15
1.2 Classificazione e Tassonomia
Classe: Mammiferi
Sottoclasse: Placentati
Ordine: Carnivori
Famiglia: Canidi
Genere: Canis
Specie: Canis lupus Linnaeus, 1758
Il lupo (Canis lupus L., 1758) appartiene all’ordine dei Carnivori, famiglia dei Canidi,
genere Canis (Figura 1.1). Appartengono all’ordine dei Carnivori gli animali che si sono
adattati in modo più o meno specifico ad una dieta ricca di proteine animali. I carnivori
hanno una dentatura specializzata con lunghi canini e denti carnassiali trancianti, un
sistema digerente semplice e gli artigli solitamente affilati.
E’ considerato uno dei gruppi che presenta uno dei più alti gradi d’intelligenza e capacità
associative elevate (Matthew, 1930).
I caratteri morfologici principali che distinguono la famiglia dei Canidi dalle altre famiglie
dell’ordine sono: la fila dentale più lunga della metà della lunghezza condilo basale del
cranio, il numero elevato di denti (42), le lunghe code, gli arti digitigradi e le quattro dita
nell’arto posteriore (Toschi, 1965) .
Il genere Canis, oltre al lupo, include altre 6 specie selvatiche viventi, tra cui il coyote (C.
latrans Say, 1832), lo sciacallo dorato (C. aureus L., 1758), lo sciacallo della gualdrappa
(C. mesomelas Schreber, 1755), lo sciacallo striato (C. adustus Sundeval, 1847), lo
sciacallo del Siemen o lupo abissino (C. siemensis Ruppel, 1869) e il lupo rosso degli Stati
Figura 1.1 Lupo appenninico
(foto Graziano Capaccioli).
16
Uniti sud-orientali (C. rufus Bailey, 1905), sebbene la classificazione a livello di specie di
quest’ultima forma sia stata più volte messa in discussione. Il lupo è anche riconosciuto
come progenitore selvatico del cane domestico (C. familiaris L., 1758); fino a pochi anni
fa, il cane domestico era classificato come specie, ma, alla luce dei risultati attuali, si
considera una sottospecie domesticata di lupo (C.l. familiaris) (Wilson e Reeder, 1993).
Data la vastità geografica dell’areale di distribuzione originario del lupo, non deve
sorprendere la variabilità fenotipica del lupo (colorazione del pelo, peso, dimensioni) che si
riscontra tra i lupi che vivono in zone geograficamente ed ecologicamente differenti. Di
fatto, tale variabilità ha reso complessa e controversa la sistematica del lupo, soprattutto a
livello sottospecifico.
Furono riconosciute inizialmente circa 24 sottospecie di Canis lupus nel continente nord
americano e 8 in quello eurasiatico, sulla base di caratteristiche morfologiche, soprattutto
del cranio, e della distribuzione geografica (Mech, 1970). Negli ultimi anni, i risultati delle
ricerche sulla genetica molecolare e sulla morfometria, hanno consentito una revisione
della tassonomia. Novak (1983 e 1995) riconosce al massimo 5 sottospecie in Nord
America e non più di 6 nel continente eurasiatico. L’autore identifica le seguenti
sottospecie eurasiatiche: C.l. albus, nelle terre artiche, C.l. communis, nella tundra
siberiana, C.l. lupus, nell’Europa e nell’Asia centrale, C.l. cubanensis, nella regione
caucasica, C.l. pallipes, dell’Asia sud occidentale, C.l. arabs, nella penisola arabica.
Ad inizio secolo, era stata descritta la sottospecie Canis lupus italicus, sulla base di alcune
caratteristiche che lo differenziavano dalle altre sottospecie europee (Altobello, 1921): la
colorazione del mantello, la dentatura meno tranciante e la taglia più piccola. Tuttavia la
legittimità di tale assegnazione è stata in seguito dibattuta sulla base sia delle metodologie
utilizzate dall’autore, considerate essenzialmente descrittive ed inadeguate alla luce degli
attuali criteri tassonomici, sia del ridotto numero di esemplari analizzati (Boitani, 1981;
Boitani e Fabbri, 1983; Ciucci e Boitani, 1998). Attualmente la validità della specie
17
italicus non viene generalmente riconosciuta. A supporto di ciò, analisi su DNA
mitocondriale di lupi appartenenti a popolazioni eurasiatiche, compresa quella italiana, non
consentono di giustificare l’esistenza della sottospecie italicus (Randi et al., 2000).
1.3 Distribuzione mondiale
Secondo solo al leone (Panthera leo) del Pleistocene, il lupo rappresenta il carnivoro
terrestre selvatico che ha raggiunto, per lo meno in tempi storici, la distribuzione
geografica più estesa (Novak, 1983). L’areale pregresso della specie, infatti, si estendeva
dal 20N al 80N parallelo di latitudine, comprendendo l’intero continente nordamericano,
Messico incluso, e il continente eurasiatico con il Giappone. Tale distribuzione è definita
“oloartica circumpolare” (Figura 1.2).
In epoca recente la distribuzione del lupo si è drasticamente ridotta a causa della
persecuzione persistente dell’uomo. In Europa, alla fine del XVIII secolo, la specie era
presente ancora in tutti i Paesi fuorché Gran Bretagna e Irlanda. Durante il XIX secolo e in
particolare negli anni che seguirono il secondo conflitto mondiale, la persecuzione della
specie fu così intensa che il lupo si estinse in tutti i Paesi dell’Europa settentrionale e
centrale. Sebbene in alcune zone dell’areale di distribuzione il lupo continui a subire gli
effetti di una continua persecuzione antropica, in Nord America e in Europa, negli ultimi
venti anni, si è assistito ad una lenta ripresa della specie; si sono registrati, infatti, tentativi
di espansione e ricolonizzazione spontanea dell’areale pregresso tutt’ora in atto (Carbyn et
al.,1995).
Attualmente le aree continentali di distribuzione che ospitano il maggior numero di lupi
sono quelle settentrionali. Si osserva una progressiva riduzione e frazionamento scendendo
nelle fasce temperate.
18
In Nord America (Canada e Alaska), il lupo ha una distribuzione praticamente continua.
Negli USA settentrionali, il lupo è attualmente presente in alcune località grazie ad un
processo di ricolonizzazione spontanea (Wisconsin, Minnesota, Montana, Wyoming,
Michigan, Stato di Washington) e in seguito a reintroduzioni (Parco Nazionale di
Yellowstone e Idaho). E’ completamente assente nel resto degli Stati Uniti.
Attualmente il lupo è presente, con popolazioni più o meno ridotte, in Portogallo, Spagna,
Francia, Italia, Grecia, Paesi della ex Jugoslavia e Paesi Scandinavi, con una distribuzione
continua, invece, nell’Europa orientale. Nella Penisola Iberica vive la principale
popolazione di lupo dell’Europa occidentale (Ciucci & Boitani, 1998). In Germania si
registrano presenze di tipo erratico che stanno diventando stanziali al confine con la
Polonia.
Inizialmente, in Francia, il lupo si è stanziato nel Parco del Mercantour intorno agli anni
novanta e analisi di genetica hanno confermato che si è trattato di una ricolonizzazione ad
opera di esemplari della popolazione italiana (Taberlet et al., 1996; Scandura et al., 2001).
Attualmente sono presenti 11 aree in cui è confermata la presenza di un branco o di
individui indipendenti da almeno due anni consecutivi; la distribuzione di lupi in Francia
include ampiamente l’arco alpino francese al confine con il territorio Italiano (A.A.V.V.,
2001). In Svizzera, la popolazione di lupi è limitata a presenze occasionali e non è mai
stata confermata la presenza di un branco stabile (Weber, 2004). Per quanto riguarda la
gestione della specie, il lupo è considerato come specie protetta (convenzione di Berna
1979) ma sia la Francia che la Svizzera si sono dotate di piani di gestione che prevedono la
possibilità di abbattimento di individui particolarmente problematici. In Francia, per l’anno
2004, è stato previsto l’abbattimento di 4 lupi (Plan d’action sur le loup 2004). In Svizzera
nel biennio 2000-2001 sono stati abbattuti 3 lupi (Weber, 2004).
19
Fonte: Ciucci e Boitani 1998.
Figura 1.2 Areale originario (chiaro) e attuale (scuro) del lupo nel mondo.
1.4 Situazione italiana
Ampiamente diffuso sull’intera penisola fino alla metà del secolo scorso, il lupo venne
sterminato sulle alpi negli anni ’20 (Brunetti, 1984) e in Sicilia negli anni ’40, mentre in
Sardegna non è mai stato presente (Cagnolaro et al., 1974).
La distribuzione della specie, che appariva continua lungo la catena appenninica fino agli
anni ’50, subì un’ulteriore drastica riduzione durante il ventennio che seguì il secondo
conflitto mondiale (Cagnolaro et al., 1974).
A partire dagli anni ’70 si assiste, al contrario, ad una graduale espansione dell’area di
presenza osservatasi fino a quel momento, soprattutto lungo la catena appenninica (Boitani
& Fabbri, 1983; Pandolfi, 1983; Boscagli, 1985a; Boitani & Ciucci, 1993; Francisci &
Guberti, 1993).
20
Attualmente il lupo è distribuito lungo l’intera catena appenninica, dall’Aspromonte fino
alle Alpi Marittime, con ramificazioni nelle zone collinari tirreniche di bassa quota tra il
Lazio settentrionale e la Toscana centro-meridionale. Nella Figura 1.3 a) e b) sono
riportate le distribuzioni della specie in Italia nel 1974 (Cagnolaro et al., 1974) e nel 2001
(Scandura et al., 2001).
L’espansione della popolazione appenninica ha permesso il ritorno del lupo sull’arco
alpino. Il primo avvistamento confermato sulle Alpi è del 1987 nell’area del Col di Tenda
(nei pressi di Fontan); negli anni successivi la presenza si è consolidata sia in Francia che
in Italia. Sul versante italiano le prime segnalazioni della specie sono riconducibili all’area
della Valle Pesio e della Valle Stura, in provincia di Cuneo, nei primi anni ’90. In
provincia di Torino ed in Valle Po, le prime segnalazioni risalgono al 1994 ma la presenza
stabile di un branco di lupi è stata accertata nel 1997, documentata dalla riproduzione di
una coppia all’interno del Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand (A.A.V.V., 2001).
a) b)
Figura 1.3 Distribuzione della specie nel 1974 a) e nel 2001 b).
21
Le analisi genetiche condotte su 604 campioni fecali e 6 tessuti raccolti su tutto il territorio
regionale attestano che i lupi campionati in Piemonte appartengono alla popolazione
italiana di lupo (A.A.V.V., 2001). Il totale della popolazione di lupi insediata sulle Alpi
occidentali è oggi stimato in circa 40-50 esemplari, con circa una decina di unità
riproduttive. Di queste unità almeno 3-4 (forse 5) sono insediate sul versante italiano, dalla
valle Pesio fino al Parco del Gran Paradiso (A.A.V.V., 2001). In provincia del Verbano-
Cusio-Ossola, le analisi genetiche, condotte su alcuni campioni di escrementi raccolti tra
Novembre 2002 e Luglio 2003, hanno dimostrato la presenza di due individui distinti di
lupo. Uno di questi individui risulta provenire da un branco dell’area cuneese (A.A.V.V.,
2003). Nell’ arco alpino orientale non si hanno segnalazioni sicure di avvistamenti di lupi
in territorio italiano, anche se è possibile, alla luce delle tendenze demografiche attuali, una
colonizzazione in un prossimo futuro (Ciucci e Boitani, 1998). La tendenza demografica
positiva del lupo in Italia è la conseguenza di più fattori: da una parte, l’estrema plasticità
del lupo che è riuscito, nonostante la pressione umana, a sopravvivere e ad adattarsi alle
nuove condizioni ambientali, dall’altra, il graduale abbandono da parte dell’uomo delle
zone montane ed il conseguente cambiamento della linea di gestione dell’ambiente e della
fauna selvatica, avvenuto dopo gli anni ’70. L’attuazione di una serie di programmi rivolti
alla tutela ambientale, come l’istituzione delle aree protette, la reintroduzione ed il
popolamento di ungulati selvatici, hanno consentito al lupo di riappropriarsi, almeno in
parte, del proprio ambiente naturale. La definizione della legislazione specifica, finalizzata
alla conservazione della specie, ha le sue origini nel 1971, quando fu approvato un D.M., a
validità biennale, che prevedeva il divieto dell’esercizio venatorio a carico del lupo su tutto
il territorio italiano. Tale decreto è stato poi rinnovato nel 1973 con un D.M. a validità
triennale. Nel 1976, un nuovo D.M. accorda la protezione totale e vieta l’utilizzo di
bocconi avvelenati. La legge nazionale 968/77 e la successiva 157/92 hanno
22
definitivamente dichiarato il lupo specie pienamente e particolarmente protetta, condizione
ribadita ultimamente dal D.P.R. 357/97 (attuazione della direttiva 92/43/ CEE).
Pur essendo evidente la tendenza positiva della specie in Italia e pur essendo definito lo
status legale della specie, purtroppo si riscontra una continua persecuzione antropica a
livello locale, retaggio di tradizioni e convinzioni errate delle popolazioni rurali.
Nonostante vi siano leggi regionali che prevedono l’indennizzo totale o parziale dei danni
provocati dal lupo al patrimonio zootecnico, le uccisioni illegali continuano ad essere
alcune delle maggiori cause di mortalità del lupo.
1.5 Morfologia
Figura 1.4 Lupo appenninico.
23
1.5.1 Peso e dimensioni
Il lupo è uno dei membri di maggiori dimensioni della famiglia dei canidi.
Il peso di un individuo adulto varia secondo un gradiente latitudinale all’interno dell’areale
di distribuzione (regola di Bergman): i lupi che vivono in regioni settentrionali (Canada,
Siberia) hanno una mole maggiore (60-80 Kg), rispetto a quelli di latitudini inferiori. In
Italia, per esempio, il peso di un maschio adulto raggiunge in media i 25-35 Kg e non si
sono mai registrati casi superiori ai 45 Kg.
La femmina è inferiore (circa del 20%) rispetto al peso ed alla taglia del maschio.
In generale, considerando entrambi i sessi, un individuo in media è lungo 110-148 cm,
dalla testa alla base della coda, la quale misura 30-35 cm (meno di un terzo della lunghezza
del corpo), l’altezza al garrese varia tra i 50-70 cm (Ciucci & Boitani, 1998).
La corporatura è slanciata ma robusta: gli arti sono più lunghi rispetto a quelli degli altri
Canidi (Hildebrand, 1952), il torace è possente, i fianchi stretti, la testa ampia, il muso
ampio ed appuntito, il collo corto e robusto. Gli arti anteriori sembrano compressi nel
torace, hanno il gomito ruotato all’interno e le zampe all’esterno, ciò permette sia alla
zampa anteriore che a quella posteriore dello stesso lato di muoversi lungo la stessa linea.
Nell’insieme, questa conformazione consente un’andatura al trotto e, in generale, permette
l’acquisizione di movimenti agili e veloci. La postura del lupo è digitigrada, con cinque
dita negli arti anteriori, di cui uno non tocca terra, e quattro negli arti posteriori. Ogni dito
ha un polpastrello calloso e un’unghia robusta non retrattile e posteriormente è presente un
grosso cuscinetto plantare a forma lobata (Figura 1.5).
24
1.5.2 Cranio
La testa è ampia, con muso allungato terminante in un callo nasale nudo, occhi frontali e
pupilla rotonda. Le orecchie sono a forma triangolare, a base larga e misurano circa 10-11
cm. Il cranio è largo e massiccio caratterizzato da un lungo rostro, dalla scatola cranica
fortemente ossificata con ampie e robuste arcate zigomatiche e cresta sagittale
particolarmente sviluppata, in cui si inserisce la muscolatura dei massenteri e dei
temporali, particolarmente robusta. L’angolo orbitale (angolo acuto formato dalla
intersezione tra la retta tangente la sommità del cranio e quella tangente l’arcata
zigomatica) è un parametro di distinzione tra cranio del lupo e del cane (Figura 1.6).
Figura 1.5 Zampa di lupo.
25
Nella maggioranza delle razze canine, l’angolo misura tra i 53° e i 60°, ad eccezione delle
razze più primitive (es. pastore tedesco) che possiedono un angolo orbitale di 50°-52°. Nel
lupo, l’angolo misura dai 40° ai 45° conferendo al cranio un aspetto più schiacciato e
affusolato (Iljin, 1941).
La bulla timpanica è larga, convessa e sferica, a differenza di quella del cane che appare
più atrofizzata, piccola e compressa. La formula dentaria per un individuo adulto è I 3/3, C
1/1, P 4/4 e M 2/3, per un totale di 42 denti, la dentizione definitiva rimpiazza quella da
latte tra la 16a e la 26a settimana. I denti ferini (P4 e M1) sono particolarmente taglienti e
consentono la lacerazione di tendini e grossi pezzi di carne. La combinazione di un cranio
massiccio, muscoli potenti e dentizione forte sono prerogative fondamentali per un
predatore, come il lupo, che si nutre di prede di grandi dimensioni (Figura 1.7).
Figura 1.6 Cranio di lupo a) e di cane b).
26
1.5.3 Colorazione
All’interno dell’areale di distribuzione della specie, la colorazione del mantello è
estremamente variabile. La colorazione del mantello varia non solo tra le diverse
popolazioni ma anche all’interno delle stesse. Le tonalità predominanti sono il grigio-
fulvo, il nero, il bianco, il color crema, il marrone e l’argento.
Alcune colorazioni sono esclusive di determinate aree geografiche, con fasi
monocromatiche bianche e nere più frequenti alle latitudini più elevate. In Italia la
colorazione tipica è grigio-fulva, con tonalità tendenti al marrone-rossiccio nel periodo
estivo. Sono comunque presenti anche i lupi neri (Figura 1.8).
Figura 1.7 Dentizione di un esemplare
di lupo.
27
In Italia e in generale nelle regioni dell’Europa meridionale, il lupo presenta evidenti
bandeggi scuri, tendenti al nero, nella regione dorsale, sulla punta della coda, delle
orecchie e lungo gli arti anteriori. La regione ventrale e addominale è più chiara, tendente
al color crema. E’ caratteristica la mascherina facciale bianca.
Le caratteristiche e l’aspetto del mantello (lunghezza, spessore e lucentezza) possono
dipendere dallo stato di nutrizione e di salute dell’animale ma anche dalle condizioni di
muta. Il ricambio del pelo si verifica una volta l’anno, con caduta in primavera e ricrescita
del pelo invernale in autunno. Il mantello invernale appare più folto ed è caratterizzato da
una maggiore percentuale di “borra”, che consente l’isolamento termico e di “giarra”, che
copre quasi interamente la “borra” sottostante. Tale composizione consente al lupo di
sopportare le rigide temperature invernali, anche quelle delle regioni più settentrionali.
1.6 Habitat
Il lupo non ricerca habitat particolari come si può intuire dall’ampiezza geografica
dell’areale di distribuzione originario della specie: al suo interno, infatti, sono rappresentati
la maggior parte degli habitat presenti nell’emisfero settentrionale (Mech, 1970; Carbyn,
Figura 1.8 Lupo con mantello nero fotografato nell’area
delle Foreste Casentinesi (foto Graziano Tortelli).
28
1987). I maggiori fattori che limitano la sua distribuzione sono le persecuzioni dirette ed
indirette da parte dell’uomo, la disponibilità di prede, la distribuzione e la frammentazione
degli habitat naturali (Fuller, 1995).
In Italia, la specie è stata storicamente riscontrata in differenti tipi di habitat: dall’altezza
del mare alle più alte catene montuose (Cagnolaro et al., 1974). Attualmente si riscontra
ancora tale tendenza, benché in misura più ristretta (Ciucci e Boitani, 1998). Inoltre la
recente espansione lungo l’arco alpino ha incluso, nell’areale della specie, habitat presenti
ad altitudini maggiori rispetto a quelle appenniniche.
Sebbene, in Italia, la specie sia presente in una grande varietà di habitat, le zone montane,
ricche di foreste, relativamente intatte e immuni da interferenze umane, rappresentano i
capisaldi della distribuzione della specie nel territorio nazionale (Zimen e Boitani, 1975).
Sono proprio queste stesse zone, attraverso l’interazione di una serie di fattori ambientali
ed ecologici (Apollonio, 1996), che svolgono un ruolo critico nel facilitare ulteriori
processi di espansione dell’areale della specie e nel favorire la stabilizzazione del lupo in
aree nuove (Ciucci e Boitani, 1998; Corsi et al., 1999).
Tali ambienti vengono quindi definiti habitat ottimali e sono caratterizzati da uno scarso
impatto antropico.
Le uccisioni dirette, la distruzione e l’alterazione dell’habitat, la scarsità di specie preda e
la scarsità di spazi disponibili sono alcuni dei fattori, conseguenti ad elevata interferenza
antropica, che possono rendere l’habitat inospitale o determinare tassi di mortalità
insostenibili per le popolazioni di lupo locali.
1.7 Socialità
L’ organizzazione sociale del lupo si basa sul branco: un gruppo di individui che si
spostano, cacciano, si nutrono e si riposano assieme, in una libera associazione ma uniti,
29
l’uno con l’altro, da vincoli sociali (Mech, 1970). Il branco corrisponde essenzialmente ad
un’unità familiare che prende origine quando due individui di sesso opposto si incontrano
su un territorio idoneo e si riproducono (Rothman e Mech, 1979; Fritts e Mech, 1981) e la
sua coesione viene assicurata dai legami sociali esistenti tra i componenti del gruppo.
La tendenza all’aggregazione è stata interpretata, nel lupo ed in altri carnivori sociali, come
adattamento specifico al ruolo di predatori di grandi mammiferi (Bekoff e Well, 1980;
Zimen, 1976), anche se esistono testimonianze di predazioni su grossi ungulati da parte di
animali solitari (Cowan, 1974; Thurber e Peterson, 1993).
Secondo Mech (1970) esistono quattro fattori principali che influenzano la dimensione del
gruppo: (1) il numero minimo di lupi richiesto per localizzare e uccidere la preda, (2) il
numero massimo di lupi che la preda cacciata può sfamare, (3) il numero di altri membri
del branco con cui ogni individuo può stabilire legami sociali, (4) il grado di competizione
sociale che ogni individuo può sopportare.
Schmidt e Mech (1997) successivamente hanno proposto l’ipotesi della kin selection, per
interpretare la tendenza dei lupi a vivere nel branco: gli adulti investono sui figli attraverso
la condivisione del cibo in surplus e attraverso l’insegnamento, in modo da massimizzare
l’efficienza energetica nell’ereditarietà genetica. Questi autori basano la loro ipotesi su tre
considerazioni: (1) solitamente un branco è composto dalla coppia parentale con i figli del
1°-3° anno (Murie, 1944; Mech, 1970, Mech et al., 1998), (2) due individui dimostrano
maggior efficienza di caccia anche su grandi mammiferi, (3) i membri della coppia
acquisiscono più cibo per lupo rispetto ad un branco di 3-4 individui.
La disponibilità delle prede è un ulteriore fattore che interviene nella regolazione del
branco: influenza direttamente il tasso di sopravvivenza e di produttività e indirettamente
l’intensità della competizione tra i membri del gruppo (Zimen, 1976).
La dimensione del branco è in funzione della mortalità, della produttività e dell’età media
in cui gli individui entrano in dispersione.
30
Centinaia di osservazioni in natura in aree diverse hanno confermato la struttura sociale del
lupo: dei 5000 lupi segnalati in Alaska, circa il 91% era in compagnia di almeno un altro
lupo, in Minnesota, l’ 85% degli avvistamenti riguardava gruppi di due o tre animali, in
Finlandia e in Lapponia, il 72% e l’86% rispettivamente dei 311 e dei 984 lupi erano
avvistati non da soli.
La composizione media di ciascun branco è di circa 7 individui (Mech, 1970) e può variare
dai 2 ai 21 individui, anche se gruppi composti da più di 13 esemplari sono rari (Zimen,
1976). Sono riportati, comunque, casi eccezionali come quello di un branco segnalato in
Alaska che era composto da 36 individui (Rausch, 1967), mentre gruppi di 20-22 lupi
erano presenti sull’ Isle Royale nel Lago Superiore (Jordan et al., 1967). Si tratta ad ogni
modo di eventi eccezionali, lo stesso Rausch (1967) riporta che il 28% di 1357
avvistamenti erano branchi con al massimo 7 individui. In Italia, secondo le stime
disponibili, le dimensioni dei gruppi variano tra i 2 e i 9 individui (Apollonio e Mattioli,
2006; Gazzola et al., 2007).
I legami sociali sono fondamentali per la coesione del branco e si verificano durante il
corteggiamento e l’accoppiamento della coppia dominante, durante l’allevamento dei
piccoli da parte degli adulti e tra gli stessi cuccioli nelle prime settimane di vita (Figura
1.9).
31
Spesso il branco include, oltre alla coppia parentale, i giovani dei precedenti 1-3 anni
(Murie, 1944; Mech, 1970; Mech et al., 1998). Raramente si formano associazioni di più
famiglie (Murie, 1944; Mech et al., 1998). Eccezionalmente il branco accetta un lupo non
imparentato o parente di uno dei due riproduttori (Van Ballenberge, 1983; Mech et
al.,1998); talvolta un genitore può essere rimpiazzato da un lupo estraneo (Rothman e
Mech, 1979; Fritts e Mech, 1981). Il branco è un’unità stabile durante tutto il corso
dell’anno (Mech, 1970).
Studi condotti in cattività hanno descritto la struttura sociale del branco come una
gerarchia lineare di dominanza che interessa i componenti di entrambi i sessi (Rabb et al.,
1967; Zimen, 1976; Van Hoff et al., 1987), nella quale le relazioni individuali sono
regolate da una serie di comportamenti ritualizzati (Mech, 1970; Zimen, 1976). La
gerarchia sociale si traduce in differenze di ruoli all’interno del branco che si possono
manifestare in termini di iniziativa (spostamenti, caccia, difesa del territorio, etc.) e
Figura 1.9 Coppia di lupi appenninici.
32
privilegio (accesso al cibo, riproduzione, etc.). Attraverso la gerarchia di dominanza ed i
suoi meccanismi di mantenimento, l’aggressività dei singoli individui viene ritualizzata e
inibita e vengono invece assicurate l’intesa e l’integrazione funzionale tra i componenti del
gruppo. Il rango superiore è occupato da due individui di sesso opposto (coppia alfa), ai
quali gli altri individui di rango inferiore sono sottomessi.
Secondo Mech (1970 e 1999), il ruolo sociale degli individui non è permanente, anche un
subordinato può essere un potenziale riproduttore: nel momento in cui si riproduce diventa
automaticamente un individuo alfa. Tale ipotesi si contrappone all’idea della posizione
sociale innata, o definita precocemente, affermata da Fox (1975).
Frequentemente alcuni lupi vivono per un periodo una condizione solitaria: spesso si tratta
di vecchi individui che hanno perso il compagno, di lupi cacciati dal branco o di giovani
maturi sessualmente che si sono distaccati volontariamente dall’unità familiare alla ricerca
di un nuovo territorio e di un compagno per riprodursi (Messier, 1985a; Gese e Mech,
1991; Mech et al., 1998). I lupi solitari tendono a seguire a distanza il branco, cibandosi di
carcasse abbandonate (Harrington e Mech,1979).
1.8 Riproduzione, svezzamento e sviluppo dei piccoli
Il lupo raggiunge la maturità sessuale non prima del secondo anno di età, sebbene in
cattività siano stati riportati casi di femmine in grado di riprodursi all’età di 10 mesi.
Nel lupo esiste un solo ciclo riproduttivo (conseguenza dell’unico estro annuale
femminile), strettamente legato ai fattori climatico-ambientali e di latitudine. La latitudine
alla quale vivono le popolazioni di lupo condiziona il decorso della stagione degli
accoppiamenti, che si colloca in un periodo compreso tra la fine di gennaio e di aprile.
Secondo Mech (1970) esiste una correlazione marcata tra le alte altitudini e il ritardo del
33
periodo degli accoppiamenti. In Italia gli accoppiamenti hanno luogo nel periodo tra
febbraio e marzo.
Le potenzialità riproduttive dipendono dallo stato nutrizionale dell’animale (Bjoertje e
Stephenson, 1992).
L’estro della femmina dura in media dai 3 ai 5 giorni (Mech, 1974). Nel periodo invernale
è frequente trovare tracce su neve con le perdite della femmina che precedono di qualche
settimana la fase di estro.
Almeno tre settimane prima della nascita dei piccoli (Jordan et al., 1967; Fuller, 1989), la
femmina ricerca il luogo adatto dove partorire e realizza la tana (Jordan et al., 1967), dove
generalmente vi attende il parto (Young, 1944). Molte tane di lupo sono cavità naturali
ricavate da tronchi o anfratti di rocce, oppure possono essere utilizzate tane di altri
mammiferi abbandonate (volpe, istrice e tasso) (Figura 1.10).
Uno studio condotto in Minnesota da Ciucci e Mech (1992) ha rivelato che la scelta della
localizzazione della tana, all’interno del territorio, può dipendere dall’interazione di molti
Figura 1.10 Cuccioli in tana.
34
fattori: (1) dalla tradizione (una tana può essere utilizzata più volte dalla stessa femmina o
da femmine diverse) (Murie, 1944; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1983), (2) dalla
disponibilità e distribuzione delle risorse di cibo, (3) dall’influenza dei branchi vicini e (4)
dalla dimensione del territorio. La loro ricerca suggerisce una correlazione positiva tra la
posizione della tana e la dimensione del territorio: in territori vasti, essa tende ad essere
centrale in modo da minimizzare le distanze da e per la tana, in territori relativamente
piccoli, la sua localizzazione rispetto al centro è casuale. Spesso le tane sono situate in
zone isolate e prossime ai corsi d’acqua.
La gestazione dura circa 63 giorni e la femmina partorisce in media 6 cuccioli, con
variazione da 1 a 11 (Mech, 1974). La dimensione delle cucciolate, così come la
sopravvivenza dei cuccioli entro il primo anno di vita, sono direttamente proporzionali alla
disponibilità di prede, misurata come biomassa preda/lupo (Keith, 1983). Sebbene siano
riportati casi in cui 2 cucciolate sono state prodotte all’interno dello stesso branco (Canada
e Alaska) nella stessa stagione riproduttiva, la riproduzione è generalmente prerogativa del
maschio e della femmina dominanti: tramite meccanismi di controllo sociale viene ridotta
la possibilità che altri due individui si accoppino, benché fisiologicamente maturi. In tal
modo gli adulti che non si riproducono e i giovani di un anno sono disponibili ad aiutare la
coppia dominante nella cura della loro prole (cure alloparentali), aumentando in tal modo
le probabilità di sopravvivenza dei cuccioli.
I piccoli alla nascita sono sordi, ciechi e pesano circa 500 gr (Rutter e Pimlott, 1968). Per i
primi 23 giorni, i cuccioli si nutrono esclusivamente di latte materno; inseguito ricevono il
cibo predigerito e rigurgitato dalla madre e anche dagli altri componenti del branco
(maschio alfa e adulti ausiliari) (Mech et al., 1999). Dopo 40 giorni, i cuccioli cominciano
a nutrirsi da soli.
I cuccioli si allontanano definitivamente dalla tana dopo 7-8 settimane dalla nascita e
l’intera attività del branco si sposta in aree (rendez-vous sites) dove avviene la fase finale
35
dello sviluppo dei nuovi nati. Se non esistono elementi di disturbo, gli home sites (tane e
rendez-vous sites) possono essere utilizzati anche per più anni di seguito (Joslin, 1966).
L’abbandono dei rendez-vous sites avviene con il sopraggiungere dell’inverno, nel periodo
compreso tra settembre e ottobre (Murie, 1944; Joslin, 1966; Harrington e Mech, 1982b),
al momento in cui i giovani hanno maturato le capacità fisiche per seguire gli adulti negli
spostamenti.
I giovani hanno uno sviluppo fisico veloce: all’età di sei mesi hanno già acquisito il
fenotipo di un adulto ma l’accrescimento definitivo avviene ad un anno, con la fusione
delle ossa lunghe.
1.9 Territorialità
Il lupo quando preda specie stanziali è una specie territoriale ed ogni branco tende ad
occupare un territorio esclusivo dal quale eventuali conspecifici estranei vengono
attivamente estromessi (Mech, 1974).
Il territorio occupato da un branco comprende le aree di caccia e di spostamento (Mech,
1970). Questo è difeso mediante segnali di presenza acustici (che agiscono a favore della
distanza), come l’ululato (Harrington e Mech, 1979 e 1983) e olfattivi (che agiscono per un
tempo prolungato) (Peters e Mech,1975; Rothman e Mech,1979): tutto ciò consente di
ridurre al minimo l’incontro diretto con individui estranei. Gli incontri visivi con lupi di
territori limitrofi sono rari ma possono essere causa di scontri anche mortali. Tuttavia nei
periodi di scarsità di prede ed in condizioni di alta densità intraspecifica, le invasioni
territoriali possono essere frequenti e determinare alti tassi di mortalità (Mech, 1977).
Spesso i territori di branchi vicini possono sovrapporsi, si creano aree cuscinetto (buffer
zones) frequentate da entrambi i branchi in momenti diversi. Le marcature odorose
36
diventano, quindi, indicative dell’intervallo temporale trascorso dall’ultimo passaggio
(Mech, 1970 e 1994; Peters e Mech, 1975; Fritts e Mech, 1981).
Vicino alle buffer zones aumenta il livello di marcatura (Peters e Mech, 1975; Lewis e
Murray, 1993; Mech, 1994).
La dimensione del territorio può variare in funzione (1) della densità e distribuzione delle
prede, (2) della densità intraspecifica e (3) del livello di alterazione del paesaggio ad opera
dell’uomo.
In Nord America le dimensioni dei territori variano da 80 Kmq (Fuller, 1989) a oltre 2500
Kmq (Ballard et al., 1987), aumentando con la latitudine, in dipendenza dalle specie preda
principali e dalla loro densità (Carbyn, 1987).
In Minnesota, le dimensioni variano dai 64 ai 384 Kmq (Mech, 1973); in presenza di
un’ampia densità di lupi (1 lupo/25,6 Kmq), il territorio è ampio in media dai 125 ai 310
Kmq.
Casi eccezionali si riscontrano in quelle popolazioni di lupo che si nutrono principalmente
di specie migratrici: la tipologia del territorio stabile (inteso come area attivamente difesa)
non viene rispettato. In Ontario, per esempio, la dimensione del “territorio” è in funzione
degli spostamenti del cervo a coda bianca (Odocoileus virginianus); si verificano
variazioni dai 98,84 ai 1851,21 Kmq, con un valore medio di 480 Kmq (Cook et al., 1999).
Lo stesso fenomeno è riscontrato nel resto del Canada e in Alaska, dove esistono
popolazioni di lupo che compiono lunghi spostamenti, con escursioni extraterritoriali
rilevanti, seguendo le migrazioni delle specie preda (p. es. il caribou, Rangifer tarandus
caribou e il bisonte, Bison bison) (Carbyn 1981 e 1997).
Al contrario, in Europa centrale e nelle regioni del Caucaso, la dimensione ridotta degli
home range della specie (80-200 kmq) coincide con la distribuzione continua del cervo
(Cervus elaphus), la preda preferita del lupo nel territorio (Okarma et al., 1998).
37
La distanza degli spostamenti dipende dalla distribuzione delle prede; i lupi che vivono in
aree con una bassa densità di prede si spingono in zone extraterritoriali e presentano una
dimensione del territorio ampia e instabile nel corso dell’anno (Messier, 1985a, 1985b).
In alcune aree, caratterizzate da una forte antropizzazione e scarsità di prede selvatiche, i
lupi hanno sfruttato in modo opportunistico le risorse di origine antropica (rifiuti),
causando uno sconvolgimento delle attività svolte nel territorio (reso estremamente piccolo
e stabile nel corso dell’anno a causa della fonte di cibo fissa).
In Italia, in tali circostanze, i valori medi oscillano per l’Appennino centrale (Abruzzo) tra i
120-200 kmq (Boitani, 1982; Ciucci et al., 1997). Lo stesso fenomeno è stato riscontrato in
una popolazione di lupi arabici in Israele (60,3 kmq) (Heffner e Geffen, 1999).
L’utilizzo del territorio da parte del branco può variare durante l’anno in dipendenza del
ciclo biologico dell’animale e della distribuzione stagionale delle prede.
In Polonia si passa dai 99 kmq del periodo estivo ai 271 kmq in inverno (Okarma et al.,
1998); in Minnesota rispettivamente dai 230 kmq ai 267 kmq (Fritts e Mech, 1981).
Nel periodo primaverile-estivo l’attività del branco è centrata attorno agli home sites (il
sito della tana e i luoghi dei rendez-vous). I rendez-vous sono una sorta di punti di ritrovo
in cui i cuccioli, non ancora capaci di seguire gli adulti negli spostamenti, aspettano il loro
ritorno. Sono stati descritti (Josling, 1967) come aree semiaperte, caratterizzate da un
sistema di piste, giacigli e aree di attività, circondate da un fitta vegetazione e prossime a
fonti d’acqua. Possono essere utilizzati, in sequenza da luglio ad ottobre, fino ad 8 luoghi
di rendez-vous anche se, solitamente, è uno il preferenziale (Murie, 1944; Joslin, 1967;
Mech, 1970; Voigt, 1973, Harrington e Mech, 1982a, 1982b).
L’attività del branco è caratterizzata da movimenti radiali di individui singoli o in coppia
che si dipartono dall’home sites e che generalmente vi fanno ritorno dopo un giorno
(Murie, 1944; Joslin, 1967, Harrington e Mech, 1978b, 1982a, 1982b; Fritts e Mech, 1981;
Messier, 1985b; Ciucci et al., 1997; Okarma et al., 1998). Gli spostamenti avvengono
38
soprattutto di notte a partire dal tramonto e terminano all’alba, probabilmente correlati con
l’attività di foraggiamento delle specie preda e con le temperature più fresche del giorno
(Mech, 1970; Harrington e Mech, 1982a; Ciucci et al., 1997).
A partire da ottobre i piccoli sono in grado di seguire gli adulti e lasciano gli home sites.
Uno studio condotto in Minnesota (Harrington e Mech, 1982b) ha osservato che
l’abbandono non è definitivo ma graduale fino all’inverno. Anche due mesi dopo alcuni
individui si allontanano dal branco, ritornano all’home sites (di solito quello più utilizzato
nel periodo estivo) e vi trovano rifugio per giorni. Il forte legame al sito, luogo di
esperienza positiva per il lupo, è indipendente dalle risorse e dimostra un ruolo rilevante
della dinamica spaziale della specie. Da dicembre inizia la fase di coesione del branco, le
separazione diventano rare fino ad aprile (Harrington e Mech, 1982b) e l’attività diventa di
tipo nomadico.
In inverno il branco si muove, caccia e si riposa in posti occasionali all’interno del
territorio (Muriel, 1944; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1978b, 1979, 1982b; Okarma et
al., 1998). I lupi sono sempre attivi sia di giorno che di notte (Mech, 1970) ma nelle aree
con maggiore disturbo antropico l’attività si concentra nelle ore notturne (Ciucci et al.,
1997; Hefner e Geffen, 1999).
I lupi si spostano frequentemente lungo sentieri, strade forestali, linee spartifuoco e lungo
piste di altri animali (Thompson, 1952; Joslin, 1967; Mech, 1970; Peters, 1979). I lupi
sono spesso abitudinari e utilizzano tendenzialmente gli stessi sentieri anche per anni
(Mech, 1970).
1.10 Dispersione
Oltre gli individui che vivono in branchi territoriali, esiste una discreta proporzione di lupi
solitari e transienti che si muovono preferibilmente lungo i margini di territori già occupati
39
(Peters e Mech, 1975; Rothman e Mech, 1979) ma con incursioni occasionali elusive nei
territori adiacenti (Messier, 1985a). Questi sono animali che hanno abbandonato il
territorio natale per andare in dispersione.
Si definisce dispersione natale il movimento di un animale dal sito di origine a quello di
riproduzione, o al luogo dove si sarebbe potuto riprodurre nel caso in cui avesse scontrato
un compagno (Howard, 1960).
Secondo Gese e Mech (1991) i fattori che determinano la dispersione del lupo sono: (1) la
competizione per le risorse, soprattutto quando sono scarse; (2) la competizione per il
partner, elevata nel periodo riproduttivo per la maggiore aggressività del maschio
dominante nei confronti dei probabili competitori sub-adulti; (3) la necessità di impedire
l’imbreeding e favorire la dispersione dei “geni” parentali.
La dispersione è un processo dinamico e graduale, non necessariamente legato ad un
singolo evento ma caratterizzato da una serie di spedizioni solitarie extraterritoriali,
alternate al ricongiungimento con il branco (Van Ballenberghe, 1983; Messier, 1985a;
Gese e Mech, 1991). La loro durata può variare da pochi giorni (Fritts e Mech, 1981) ad
una settimana, a dodici mesi (Gese e Mech, 1991). La tendenza al rientro riflette,
probabilmente, il fallimento nel trovare un’area vagante e/o un compagno (Van
Ballenberghe, 1983), questo è particolarmente diffuso in ambienti saturi e con scarsità di
prede.
Solitamente la tendenza a lasciare il branco si manifesta nei giovani di 2-3 anni (Ballard et
al., 1987; Fritts e Mech, 1981; Peterson et al., 1984; Hefner e Geffen, 1999). Gese e Mech
(1991) riportano un età tra gli 11-12 mesi, una bassa percentuale di adulti dispersi e
nessuna differenza tra i sessi. Durante l’anno si verificano due picchi di dispersione: uno
tra febbraio-aprile e l’altro tra ottobre-novembre (Gese e Mech, 1991), il picco autunnale è
confermato in altri studi (Fritts e Mech, 1981).
40
Un lupo in dispersione può percorrere dagli 8 fino ai 354 km (Gese e Mech, 1991), sono
state riportate distanze di addirittura 670 e 886 km in Nord America (Van Camp e Glukie,
1979; Frits, 1983). Sembra che la saturazione del territorio aumenta la distanza percorsa
(Fritts e Mech, 1981).
Il successo della dispersione può dipendere: (1) dalla disponibilità delle prede; (2) dalla
disponibilità delle aree vaganti; (3) dall’incontro positivo con il compagno (Fuller, 1989);
(4) dall’esperienza; (5) dalla maturità sessuale. Solitamente i giovani inesperti si
allontanano molto dal territorio natale a seguito di numerosi fallimenti, gli adulti invece,
tendono a stabilirsi in aree limitrofe al luogo di origine e hanno un successo maggiore
(Gese e Mech, 1991).
1.11 Comunicazione
1.11.1 Marcatura odorosa
La marcatura odorosa è una forma di comunicazione olfattiva in cui il lupo lascia il suo
odore in una posizione strategica, ben visibile, in modo che altri lupi possano in seguito
ispezionarla (Mech, 1970). Kleiman (1966) definisce la marcatura odorosa quella che: (1) è
orientata verso particolari oggetti sconosciuti, (2) è stimolata da riferimenti del paesaggio
noti o da odori e oggetti sconosciuti, (3) è ripetuta frequentemente sullo stesso oggetto.
Informazioni olfattive possono essere lasciate attraverso: (1) l’urinazione (Peters e Mech,
1975; Asa et al., 1985a), (2) la defecazione (Peters e Mech, 1975; Vilà et al., 1994; Asa et
al., 1985a), (3) le secrezioni della ghiandola anale (solitamente rilasciate con le fatte ma
anche singolarmente) (Asa et al., 1985a, 1985b), (4) le raspature (rilascio di secrezioni
ghiandolari attraverso il raschiamento del terreno con le zampe sia anteriori che posteriori)
(Fox, 1975; Peters e Mech, 1975).
Urina: sono state osservate tre modalità, relative a posture differenti di minzione: (1) con
tre zampe a terra e una alzata (RLU), (2) con quattro zampe a terra leggermente divaricate
41
(SQU), (3) con una zampa flessa sotto il corpo (FLU) (Kleiman, 1966).
Le caratteristiche delle RLU evidenziano la funzione comunicativa rispetto alla semplice
eliminazione fisiologica: sono frequenti, caratterizzate da piccole quantità di urina, rivolte
soprattutto su oggetti verticali e depositate frequentemente lungo le strade e i sentieri in
punti strategici (p. es. incroci). Esse consentono un duraturo e prominente segnale, sia
olfattivo, sia visivo, soprattutto nel periodo invernale con copertura nevosa (Peters e Mech,
1975). Inoltre, osservazioni in cattività hanno rilevato che solo gli individui alfa urinano
con la postura RLU e FLU e che il comportamento è estremamente stereotipato (Woolpy,
1968; Asa et al., 1985b).
La marcatura con urina (RLU) assolve un ruolo importante nel mantenimento del territorio,
una frequenza di marcatura più elevata è riscontrata nelle zone di confine tra i branchi
(Peters e Mech,1975; Lewis e Murray, 1993). Harrington e Mech (1983) attribuiscono
questo fatto al fenomeno dell’ispezione e rimarcatura, stimolata in maggior misura se si
tratta di segni lasciati da individui estranei. Il tasso di marcatura, quindi, è più elevato nelle
buffer zones, perchè frequentate da lupi estranei di zone limitrofe. La variazione della
frequenza di marcatura nel territorio può essere anche in funzione del tempo trascorso dal
branco in determinate aree. Il tasso di marcatura, per esempio, può essere più elevato nelle
zone dove la densità delle prede è elevata, in quanto intensamente frequentate per l’attività
di caccia (Paquet e Fuller, 1990). La marcatura con urina (RLU) riveste un ruolo
fondamentale nella formazione e nel mantenimento del legame di coppia. Lo studio di
Rothman e Mech (1979), sulla marcatura odorosa nelle coppie di nuova formazione, rileva
nel periodo del corteggiamento e subito dopo la riproduzione, (1) un aumento del tasso
delle RLU, (2) un aumento della doppia marcatura (due urine sovrapposte compiute dai
membri della coppia), questa solitamente associata ad una mutua ispezione. Questo
comportamento sembra essere un rafforzamento del legame e consente la sincronizzazione
sia fisiologica sia comportamentale degli individui per il successo riproduttivo.
42
Successivamente quando la coppia è diventata stabile il tasso di marcatura diminuisce.
La marcatura con urina fornisce informazioni sul sesso, stato riproduttivo e stato di
dominanza (Asa et al., 1985a; Mech et al.,1987; Ryon e Brown, 1990).
La funzione della SQU è reputata per lo più solo escretiva (Peters e Mech, 1975), anche se
in alcuni autori permangono perplessità (Barrette e Messier, 1980; Paquet, 1991). I lupi
solitari depongono per lo più SQU al di fuori dei sentieri e hanno (1) un basso tasso di
marcatura, in conformità della natura elusiva che devono mantenere rispetto al branco, (2)
mostrano un comportamento ispettivo elevato che gli consente di evitare incontri
spiacevoli con il branco dominante (Rothman e Mech, 1979).
Da studi di animali in cattività, è stato osservato che la marcatura con urina può essere
utilizzata dal lupo per contrassegnare un nascondiglio di cibo ormai vuoto (Harrington,
1981).
Fatte: la marcatura fecale è ambigua e più volte è stata messa in discussione in quanto: (1)
non è caratterizzata da una postura stereotipata, (2) non è sempre fisiologicamente
disponibile, (3) la secrezione della ghiandola anale (ulteriore segnale olfattivo) è presente
solo nel 10 % degli escrementi (Asa et al., 1985a e 1985b) (Figura 1.11).
Figura 1.11 Escremento di lupo.
43
Peters e Mech, (1975) considerano marcature le fatte poste in punti strategici ben visibili,
quelle associate con urina o raspata effettuate dallo stesso individuo o quelle ritrovate in
alte concentrazioni accumulate nei mesi. La capacità dei lupi di deporre le fatte su oggetti
prominenti e in siti “ragionati”, e la frequenza con cui accade, suggeriscono un elevato
grado di controllo da parte del sistema nervoso centrale.
Le fatte ritrovate nei siti dei rendez-vous o vicino ad una preda avrebbero un significato
solo fisiologico (Peters e Mech, 1975). Vilà et al. (1994) propongono la marcatura fecale
come sostitutiva a quella con urina, nei periodi o nelle regioni (p.es. paesi mediterranei),
dove manca la copertura nevosa: la marcatura con urina sarebbe priva del messaggio visivo
e quindi di minore intensità rispetto alla fatta.
Secrezione della ghiandola anale: la secrezione della ghiandola anale è deposta nelle fatte
principalmente dal maschio alfa, anche se tutti gli individui del branco possono rilasciarla.
Si pensa che la secrezione non associata alla fatta sia sintomo di stress e debba essere
interpretato come segnale di allarme (Asa et al., 1985a e 1985b).
Raspate: la raspata è sia una marcatura visiva che odorosa, infatti, attraverso lo
strofinamento delle zampe, sono rilasciate sul terreno le sostanze secrete dalle ghiandole
del cuscinetto plantare. Osservazioni in cattività mostrano che solitamente la raspata è
compiuta dalla coppia alfa e si pensa che abbia una funzione comunicativa all’interno del
branco, probabilmente nel mantenimento dello stato di dominanza (Peters e Mech, 1975).
1.11.2 Comunicazione vocale
Joslin (1966) ha descritto quattro tipi di espressioni vocali nel lupo: (1) il ringhio (growl),
(2) l’abbaio (bark), (3) l’uggiolio (whimper), (4) l’ululato (howling). Theberge e Falls
(1967) suddividono l’uggiolio in due subcategorie: il guaito e il piagnucolio.
Le espressioni vocali rivestono ruoli fondamentali e specifici nella comunicazione tra gli
individui della specie. L’uggiolio, caratterizzato da una frequenza fondamentale che ha
44
massimo utilizzo intorno ai 3500 Hz, è spesso utilizzato in contesti non aggressivi tra gli
individui del branco, probabilmente è un mezzo per ridurre le distanze fisiche e sociali
(Harrington e Mech, 1978a).
Il ringhio (frequenza tra i 250-1500 Hz, con un massimo utilizzo attorno agli 880 Hz) è una
forma comunicativa che ristabilisce e aumenta le distanze, sia fisiche sia sociali
(Harrington e Mech, 1978a), associato frequentemente a posture di dominanza; è stato
descritto come un vocalizzo aspro e profondo, segnale di minaccia o allarme (Fox, 1975).
L’abbaio (frequenza tra i 320-904 Hz, con un massimo d’utilizzo attorno ai 500 Hz) è
piuttosto raro, può costituire la parte terminale di un ululato (Joslin, 1966; Voigt, 1973;
Peterson, 1974) o essere un segnale di localizzazione o sollecitazione (Rutter e Pimlott,
1968), o sintomo di tensione sociale (Boscagli, 1985c).
L’ululato è un suono continuo della durata di alcuni secondi (0,5-11sec), con una
frequenza fondamentale tra i 150-780 Hz e fino a 12 armoniche superiori (Theberge e
Falls, 1967), caratteristiche che garantiscono la comunicazione a lunga distanza (Joslin,
1967; Theberge e Falls, 1967; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1978a e 1978b). Le altre
vocalizzazioni sono udibili a distanze che non superano i 200 m (Joslin, 1966).
Udire un ululato spontaneo in natura è un evento raro: la maggior parte delle volte si
verifica di notte, tra il tramonto e l’alba, (in cattività: Zimen, 1971; in natura: Rutter e
Pimlott, 1968; Peterson, 1974), ma eccezionalmente anche di giorno (Joslin, 1966; Mech,
1970). Zimen (1971), in animali in cattività, ha riscontrato un incremento degli ululati
spontanei dall’autunno all’inverno, con un picco nella stagione riproduttiva. Nei primi
mesi estivi si osserva una riduzione e poi di nuovo un incremento, che raggiunge il
massimo valore in agosto. Gli studi condotti in natura con la tecnica dell’ululato indotto
(wolf-howling) hanno consentito di approfondire le caratteristiche sonore, il ruolo
comunicativo e l’andamento stagionale del tasso di risposta. Quest’ultimo ha confermato i
risultati osservati in cattività: Joslin ha interpretato la riluttanza degli adulti ad ululare nel
45
primo periodo estivo, come una forma di protezione nei confronti dei piccoli. L’incremento
successivo è determinato dalla forte tendenza dei piccoli a rispondere agli stimoli
(Harrington e Mech, 1979), visto che i cuccioli iniziano a vocalizzare in Luglio (Joslin,
1966; Mech, 1970).
Diversi autori hanno dimostrato la presenza di caratteristiche specifiche negli ululati che
consentono il riconoscimento individuale, (Theberge e Falls, 1967; Tooze et al., 1990) ed è
stata evidenziata la capacità dei lupi di riconoscere gli ululati familiari da quelli estranei
(Tooze et al., 1990).
L’ululato è una forma di comunicazione importante che riveste più ruoli nella vita sociale
del branco e tra i branchi: (1) ha un significato gregario all’interno del branco (Rutter e
Pimlott, 1968), l’ululato corale avviene solitamente dopo la cerimonia di gruppo durante la
quale si evidenzia un clima di distensione (Woolpy, 1968), (2) ha la funzione di coordinare
le partenze, le riunioni e i movimenti degli individui del branco all’interno del territorio (p
es. negli eventi di caccia), (3) è un meccanismo di controllo del territorio con il quale il
branco afferma la presenza-possesso a tempo reale, evitando gli incontri con i branchi
adiacenti (Harrington e Mech, 1978a, 1978b e 1979).
I lupi possono rispondere agli ululati registrati simulati (estranei al gruppo) con sei
comportamenti fondamentali, caratterizzati da un’aggressività crescente (Harrington 1987):
(1) ritiro silenzioso, (2) risposta e successivo allontanamento, (3) mantenimento della
posizione e allontanamento, (4) risposta dalla stessa posizione, (5) avvicinamento
silenzioso, (6) avvicinamento e risposta. L’avvicinamento rimane un evento piuttosto raro,
solitamente è il maschio alfa che cerca di informarsi sull’estraneo (sesso, taglia, numero di
individui) (Joslin, 1967; Harrington e Mech, 1979; Harrington, 1987).
Uno studio di Harrington e Mech (1983) ha evidenziato che l’ululato è meccanismo di
controllo territoriale indipendente dalla localizzazione da cui è emesso: il tasso di risposta,
non è influenzato dalla posizione del branco all’interno del proprio territorio ma dalla
46
distribuzione delle risorse sia sociali (cuccioli), sia ecologiche (prede). Il tipo di
comportamento adottato è in funzione della relazione costi-benefici; in presenza di una
preda o dei cuccioli, il branco, tende a rimanere nel luogo della risorsa e la difende
ululando, come segnale di avvertimento (Harrington e Mech, 1979). Se il grado del rischio
è elevato rispetto alla eventuale risorsa, è preferibile non segnalare la propria presenza e
allontanarsi in silenzio.
Il tasso di risposta ad ululati estranei è influenzato anche: (1) dalla dimensione del branco,
gruppi numerosi rispondono più frequentemente dei gruppi più piccoli, (2) dalla presenza
del maschio alfa, il quale è l’unico individuo che risponde singolarmente e che dà inizio
all’ululato corale, (3) dalla stagione biologica, infatti la stagione riproduttiva (febbraio-
aprile) determina un aumento della aggressività all’interno del branco e tra i branchi.
Questi fattori sono direttamente correlati con l’aumento del livello di aggressività che i lupi
hanno verso gli individui estranei (Harrington e Mech, 1979).
1.11.3 Ecologia alimentare
Il lupo è un predatore dotato di grande forza muscolare, abile e veloce nei movimenti ed
estremamente intelligente. L’elevata capacità d’adattamento ha consentito alla specie di
sopravvivere, di adeguarsi alle nuove situazioni e di sfruttare le risorse disponibili presenti
nei diversi contesti ambientali, comprese le aree antropizzate. Infatti, sebbene dal punto di
vista evolutivo il lupo possa essere considerato un predatore specializzato nella caccia di
prede di grosse dimensioni (Mech, 1970; Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e
Isakson, 1982; Peterson et al., 1984; Ballard et al., 1987; Jedrzejewski et al., 1992 e 2000;
Smietana e Klimek, 1993), da quello ecologico non può essere definito un ipercarnivoro
come i predatori della famiglia dei Felidi. La specie mostra un’ ecologia maggiormente
opportunistica, non necessariamente composta solo di carne ma che può includere in
diversa misura una varietà di altre categorie alimentari (frutta, rifiuti) (Castroviejo et al.,
47
1981; Boitani, 1982; Salvador e Abad, 1987; Meriggi et al., 1991; Patalano e Lovari,
1993).
L’ecologia alimentare del lupo appare complessa in quanto può variare: (1) da una dieta
prevalentemente a base di ungulati selvatici, in un ambiente naturale ottimale (Nord
America, Europa orientale e alcune aree dell’Europa occidentale), (2) ad una dieta
opportunistica composta da risorse di origine antropica (bestiame, rifiuti), frutta e
invertebrati, in aree denaturalizzate, con scarsa disponibilità di ungulati selvatici e un
maggior grado di antropizzazione (Italia, Israele, Spagna).
Il lupo, in origine, era un predatore generalista in grado di cacciare prede che variavano di
tre ordini di grandezza: dagli ungulati selvatici (p. es. cervo; alce, Alces alces) ai meso e
micromammiferi (p.es. lepre, gen. Lepus; castoro, Castor canadensis; lemmings, gen.
Lemmus). Anche se la presenza dei mesomammiferi (p.es. lepre) nella dieta è documentata,
solitamente queste categorie, in un ambiente con densità elevate di ungulati, sono di
minore importanza (Fritts e Mech, 1981; Ballard et al., 1987; Jedrzejewski et al., 1992,
Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et al., 1995; Okarma, 1995; Bertelli, 1998); diventano
una componente rilevante in determinate circostanze, per esempio quando diminuisce la
densità della specie preda principale o in un contesto con scarsità di risorse (es. tundra)
(Voigt et al. 1976). Poiché il lupo ha un areale molto ampio, le popolazioni che vivono in
aree geografiche diverse utilizzano le specie preda disponibili in loco: ad esempio in
Alaska, l’alce e il caribou; in Canada e negli Stati uniti, il cervo dalla coda bianca; in
Svezia, la renna (Rangifer tarandus tarandus) e l’alce; in alcune aree dell’Europa orientale
e in alcune regioni occidentali, il capriolo (Capreolus capreolus), il cinghiale (Sus scrofa)
e il cervo nobile. In condizioni naturali ottimali con una varietà e disponibilità di prede
selvatiche, la dieta del lupo si basa su una o due specie principali (Thompson, 1952; Mech,
1970; Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e Isakson, 1982; Peterson, 1974;
Ballard et al., 1987; Jedrzejewski, et al., 1992, Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et al.,
48
1995).
La misura in cui differenti specie preda sono rappresentate nella dieta dipende
essenzialmente dall’abbondanza relativa, dalla accessibilità e dalla fruibilità, intesa come
l’apporto di biomassa, in relazione all’energia ed al tempo impiegati per acquisirlo
(Huggard, 1993).
All’interno della specie sono maggiormente selezionati gli individui più facili da cacciare,
giovani o individui debilitati (Mech, 1970). In numerosi studi è confermata, nel periodo
estivo, la selezione degli individui giovani, più vulnerabili e facili da cacciare (Thompson,
1952; Mech, 1970; Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e Isakson, 1982;
Peterson et al., 1984; Ballard et al., 1987; Salvador e Abad, 1987; Jedrzejewski, et al.,
1992; Smietana e Klimek, 1993; Mattioli et al., 1995; Poulle et al., 1997; Bertelli, 1998).
La composizione della dieta riflette la variazione stagionale e annuale dell’accessibilità e
disponibilità della specie principale (Voigt et al., 1976; Fritts e Mech, 1981; Bjarvall e
Isakson, 1982; Peterson et al., 1984). Oltre ad essere un predatore, il lupo è solito nutrirsi
di carcasse dei animali sia selvatici sia domestici trovati nel territorio.
Da studi condotti in Nord America è stato calcolato che un lupo in natura consuma in
media 3-5 kg di carne al giorno (Mech, 1974; Carbyn, 1987), anche se in realtà gli eventi
di predazione si alternano frequentemente a lunghi periodi di digiuno.
In Italia l’ecologia alimentare del lupo appare diversificata e riflette l’accessibilità e la
disponibilità delle risorse presenti nelle varie realtà locali. Le prime indagini condotte negli
anni settanta nell’Appennino centrale, aree con scarsità di prede selvatiche, hanno
sottolineato, nella dieta del lupo, l’importanza dei rifiuti e delle altre categorie di origine
antropica. In Abruzzo il fenomeno dell’utilizzo delle discariche, come fonte alternativa di
cibo, sembrava trasformare il lupo da predatore ad un mangiatore di rifiuti (60-70%)
(Boitani, 1982), mentre in Umbria le specie domestiche rappresentavano il 90% delle
risorse alimentari (Ragni et al., 1985). Gli incrementi sulla densità locale degli ungulati
49
selvatici hanno confermato la comparsa e un aumento degli stessi nella dieta nelle
medesime aree (Ragni et al., 1985; Patalano e Lovari, 1993).
Nei contesti ambientali, caratterizzati dalla presenza di popolazioni vitali di ungulati
selvatici (Foreste Casentinesi, Appennino settentrionale, Alpi occidentali), si assiste al
ripristino di una condizione naturale originaria, in cui la dieta del lupo è costituita
prevalentemente da fauna selvatica (Matteucci et al., 1994; Ciucci, 1994; Mattioli et al.,
1995; Meriggi et al., 1996; Bertelli, 1998; A.A.V.V., 2001; Gazzola et al., 2005).
Si osservano situazioni intermedie laddove, contemporaneamente agli ungulati selvatici,
sono presenti altre categorie alimentari alternative, come bestiame domestico, rifiuti e
frutta (Meriggi et al., 1991, 1996; Patalano e Lovari, 1993, Boitani e Ciucci, 1996).
Secondo Meriggi et al. (1996) il lupo preda i domestici, sebbene più vulnerabili, solo
quando gli ungulati selvatici sono scarsi. Ipotesi confermata da Meriggi e Lovari (1996),
secondo i quali il rischio dell’intervento umano è troppo elevato quindi il lupo, in un
contesto ambientale naturale, preferirebbe predare ungulati selvatici.
Tuttavia Gazzola et al. (2005) rilevano che in estate, con la presenza dei greggi in
alpeggio, i domestici diventano una delle categorie principali, assieme agli ungulati
selvatici.
50
2 Area di Studio
2.1 Inquadramento geografico e morfologico
La Provincia di Arezzo si estende su una superficie di 323.000 ha circa, suddivisa in 39
comuni. Come recita il suo motto ‘’Intra Tevero et Arno’’, gran parte del territorio è
compreso nei bacini idrografici di rilievo nazionale dei fiumi Arno e Tevere, mentre
porzioni minori ricadono nel bacino idrografico del fiume Marecchia e Conca (comuni di
Badia Tedalda e Sestino), e porzioni minime interessano i bacini idrografici del fiume
Metauro e del fiume Ombrane.
Il territorio della provincia è collocato lungo la dorsale appenninica, ed è suddivisibile
grossolanamente dal punto di vista geografico in quattro grandi vallate principali, per
buona parte delimitate da confini naturali:
il Casentino, coincidente con l’omonimo sottobacino idrografico, che
comprende l’alto corso del fiume Arno fino all’altezza della confluenza
del canale maestro della Chiana;
il Valdarno superiore, costituito dal sottobacino del fiume Arno posto a
valle della confluenza della Chiana e fino al confine con la Provincia di
Firenze;
la Val di Chiana, individuabile nel territorio di alimentazione del canale
maestro della Chiana, dal confine con la Provincia di Siena fino alla
confluenza con l’Arno;
la Valtiberina comprendente la quota parte del bacino idrografico del
fiume Tevere, al quale si aggiungono per comodità anche le parti dei
bacini idrografici del fiume Marecchia e del fiume Foglia.
51
Il capoluogo di provincia è collocato quasi nel baricentro geografico, vicino al punto in cui
le acque del canale maestro della Chiana confluiscono in quelle dell’Arno, punto di
incontro di tre vallate (Figura 2.1).
Foreste Casentinesi Sasso di
Simone Vallesanta
A. Luna Catenaia
A. Poti
Arezzo
Lignano
Ambra e
Calcione
Chianti
Chiana
SAF
Arno
Arno
Tevere Pratomagno
Figura 2.1 La provincia di Arezzo.
52
L’orografia è caratterizzata da numerosi sistemi montuosi che sono in stretta relazione con
la distribuzione e la presenza del lupo. Il più importante è costituito dal tratto della dorsale
appenninica che divide la Provincia di Arezzo da quelle di Firenze, Forlì e Pesaro, e
rappresentato dal sistema montuoso del Falterona, di Camaldoli, dell’alta valle
dell’Archiano (Poggio Baralla) e del Corsalone, dell’alta valle del Tevere (Monte Nero e
Monte Zucca) e dall’Alpe della Luna (Figura 2.2).
Collegati alla dorsale appenninica, ma da essa distinguibili, vi sono alcuni importanti
sistemi montuosi secondari quali il massiccio del Pratomagno, l’Alpe della Catenaia, il
Sasso di Simone e Simoncello (Figura 2.3).
Figura 2.2 Alpe della Luna (foto Andrea Gazzola).
53
L’orografia della Provincia è completata dai restanti sistemi montuosi situati a maggiore
distanza dalla dorsale appenninica principale e perciò di minore altezza: i Monti del
Chianti e l’alta val d’Ambra, l’Alpe di Poti ed il sistema montano che divide la val di
Chiana dal bacino del Tevere e costituito dall’alta valle del Cerfone, del Nestore, della
Minima e Minimella, nei comuni di Arezzo, Castiglion Fiorentino e Cortona.
La maggior parte del territorio (57,1%) è situato ad una quota > 400 mt, ed il 7,4% è
situato sopra i 1000mt.
2.2 Uso del suolo
La prevalenza dei sistemi di paesaggio della collina e della montagna si associa ad una
elevata percentuale di aree boscate.
Dalla Carta Tecnica Regionale (C.T.R.) in scala 1: 10.000, le aree classificate come bosco
o macchia ammontano al 51,0% del territorio. Dato analogo è fornito dai dati
dell’Inventario Forestale Toscano (I.F.T.) in cui le formazioni boscate compresi gli
arbusteti occupano il 52,0% della superficie.
54
Sempre dai dati dell’IFT si ha che in Provincia di Arezzo le colture agrarie di tipo arboreo
(vite, olivo e frutteto) occupano il 7,0% della superficie, i pascoli ed i prati stabili il 9,5% e
gli altri coltivi il 25,8% .
Le aree boscate presentano una maggiore diffusione e continuità nelle aree dove sono
ubicati i principali sistemi montuosi, quali tutto il Casentino, il Pratomagno valdarnese,
l’alta valle del Tevere. Le aree colturali hanno la massima diffusione nella Val di Chiana e
nelle conche intermontane del basso casentino, del valdarno superiore, della piana di
Sansepolcro ed Anghiari. I pascoli ed i prati stabili hanno una maggiore diffusione nell’alta
valle del Tevere, del Marecchia e del Foglia, dove si alternano alle aree forestali creando
habitat molto favorevoli agli ungulati, sia selvatici che domestici.
In provincia di Arezzo è presente una netta prevalenza dei boschi di latifoglie (62,8%), tra
cui le specie più abbondanti sono il faggio (Fagus sylvatica), il castagno (Castanea sativa)
e le querce: cerro (Quercus cerris) e roverella (Quercus pubescens). Le conifere (Abies
alba, Pinus spp.) occupano il 5,5% delle aree boscate, mentre il 7,0% sono boschi misti fra
conifere e latifoglie.
Le aree classificate in rinnovazione, che ammontano al 17.0%, sono costituite in
prevalenza da boschi di latifoglie governati a ceduo.
2.3 Popolazione umana e aree urbanizzate
Dal rapporto annuale ISTAT 2006, la Provincia di Arezzo ha una popolazione di 335.550
abitanti residenti che vivono su una superficie di circa 3230 Kmq. La densità abitativa è
quindi di circa 100 abitanti/kmq, o se si preferisce di 1 abitante/ettaro.
Se facciamo riferimento alla classificazione ISTAT dei comuni in fasce altimetriche la
distribuzione della popolazione appare molto diversa tra i comuni montani e quelli
collinari.
55
Nei comuni classificati come collinari, dai dati dell’ultimo censimento del 2001, vive
l’83,4% della popolazione residente della Provincia a fronte di una superficie del 60,2%.
Di conseguenza , i comuni collinari presentano una densità di abitanti nel 2001 che è 3,3
volte superiore a quella delle aree montane, con 138 abitanti/Kmq rispetto a 42
abitanti/Kmq. Questo divario nel corso dei decenni si è rafforzato in conseguenza del
progressivo spostamento della popolazione tra queste aree: nel 1951 il rapporto tra le
densità di abitanti delle due aree era pari soltanto a 2,1.
Oltre alla densità abitativa si possono prendere in considerazione altri indicatori per
valutare il livello di antropizzazione del territorio, come la densità di infrastrutture stradali
e ferroviarie e quella degli insediamenti abitativi e produttivi.
La densità stradale media per la Provincia di Arezzo, considerando tutte le strade
carrozzabili di qualsiasi ordine, dalle autostrade alle strade forestali, è di 3,3km/kmq.
Nelle aree collinari c’è un terzo di strade in più rispetto alle aree montane e le strade
asfaltate sono più diffuse: la densità complessiva è pari a 3,8 km/kmq di cui 1,0 km/kmq di
asfaltate e 2,8 km/kmq di altre strade. In montagna i valori sono rispettivamente di 2,6
km/kmq, 0,8 km/kmq e 1,9 km/kmq.
2.4 Aree destinate alla protezione della fauna
La localizzazione ed estensione di aree destinate alla protezione della fauna è un fattore di
cruciale importanza ai fini di una efficace strategia di conservazione dei predatori in
generale e del lupo in particolare.
In Provincia di Arezzo queste aree occupano una superficie complessiva di circa 62.000
ha, ripartita tra le diverse tipologie quali: Oasi di protezione, Zone di Protezione, Zone di
protezione urbana, Zone di ripopolamento e cattura, Zone di rispetto venatorio, Riserve
naturali regionali e Parchi nazionali (Figura 2.4).
56
Più della metà di queste, circa 32.000 ha pari al 10% del territorio provinciale, sono ubicate
nei complessi montuosi ad elevato indice di boscosità che costituiscono aree di grande
interesse naturalistico per la loro elevata biodiversità e per lo scarso livello di impatto
antropico. In gran parte si trovano all’interno dell’area costituita dai comuni montani.
Di questo territorio fa parte il sistema delle oasi di protezione faunistica istituito dalla
Provincia di Arezzo che interessa 10.500 ha suddivisi nelle cinque oasi di Pratomagno,
Aree destinate
alla protezione
della fauna
Figura 2.4 Rete di aree protette nella provincia di Arezzo.
57
Alpe di Catenaia, Alpe della Luna, Alto Tevere e Monte Modina, con superfici comprese
tra 460 e 5370 ha.
Alle oasi si aggiunge il sistema delle Riserve naturali istituite dalla Regione, di cui fanno
parte le riserve del Sasso di Simone e dell’Alpe della Luna, Monte Nero, Monti Rognosi e
Bosco di Montalto che sono ubicate in aree collinari e montane a formare un sistema
complementare ed integrato con quello delle oasi di protezione.
Terza categoria sono le zone di protezione lungo le rotte di migrazione. Queste aree sono
di dimensioni più ridotte rispetto alle precedenti, ma hanno ugualmente una rilevante
importanza per la loro collocazione in una fascia altimetrica più bassa e soprattutto in
comuni caratterizzati da scarsezza di altri istituti di protezione. Tra queste, è importante
sottolineare il gruppo di zone del monte Lignano, Casteldernia, Sant’Egidio, Ranchetto,
Girifalco, Scopetone e Monte Dogana.
Il sistema di protezione della fauna è completato dalle aree protette statali, di cui la più
rilevante è il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi-Monte Falterona e Campigna che
si estende in Provincia di Arezzo per circa 13.770 ha sul medio ed alto versante
appenninico del Casentino.
Queste aree a cui a vario titolo esistono diversi livelli di tutela della fauna, formano già
oggi una rete di grande importanza per la conservazione della fauna vertebrata e del lupo in
particolare (Figura 2.5 e 2.6).
58
Figura 2.5 Oasi di protezione del Pratomagno.
Figura 2.6 Oasi di protezione di Catenaia.
59
2.5 Distribuzione e consistenza degli ungulati selvatici
Un fattore molto importante per la distribuzione potenziale dei carnivori in generale, e del
lupo in particolare, è la disponibilità di prede selvatiche. In questo paragrafo ci limiteremo
ad illustrare lo status degli ungulati selvatici nel territorio provinciale.
In provincia di Arezzo sono presenti cinque specie di ungulati selvatici, tutte appartenenti
all’ordine degli artiodattili, di cui quattro specie di ruminanti ed una specie di suiforme.
Tra i ruminanti sono presenti: il capriolo, il cervo, il daino (Dama dama) ed il muflone
(Ovis orientalis musimon). A questa specie si aggiunge il cinghiale.
Ciascuna di queste popolazioni ha avuto una storia diversa per origine ed evoluzione nel
tempo, che può essere descritta soltanto sommariamente.
Le specie più ampiamente distribuite ed abbondanti e che quindi caratterizzano
maggiormente la disponibilità trofica per il lupo nel territorio provinciale sono il capriolo
ed il cinghiale (Figura 2.7).
Figura 2.7 Cinghiale fotografato nell’Oasi
Alpe di Catenaia (foto Elisa Bertolotto).
60
La popolazione di capriolo attuale si è originata per progressiva dispersione di soggetti
provenienti dall’area delle Foreste Casentinesi. L’origine esatta di questo nucleo è
controversa: alcuni autori sostengono che il capriolo delle Foreste Casentinesi debba essere
considerato indigeno e che non si sia mai completamente estinto in quest’area (Crudele
1988). E’ tuttavia documentata l’immissione di alcuni soggetti di origine alpina in due
diverse occasioni, nel 1933 e nel 1950-51 (Crudele 1988). L’areale attuale di distribuzione
interessa l’81% della provincia. La popolazione ha praticamente colonizzato tutta la
superficie potenzialmente adatta alla specie, con recenti tentativi di insediamento anche in
aree marginali con copertura boscata o cespugliata assente o quasi, sia in Valdichiana che
nella pianura di Anghiari-Sansepolcro. La densità è variabile con un gradiente decrescente
dall’area appenninica ai Monti del Chianti e quelli di Cortona-Castiglion Fiorentino. La
consistenza totale in tarda primavera prima delle nascite è stimabile in 40.000 capi
(densità: 17,3 capi/100ha) (Figura 2.8).
Figura 2.8 Femmina di capriolo fotografata nell’Oasi Alpe di Catenaia (foto
Elisa Bertolotto).
61
Il cinghiale presenta una distribuzione praticamente sovrapponibile a quella del capriolo
anche se, in conseguenza ad una maggiore mobilità della specie e di aree vitali di maggiori
dimensioni, sono più frequenti episodi di dispersione in aree coltivate lontano dalle aree
boscate. Produrre stime attendibili per questa specie è molto difficile date le grandi
difficoltà di censimento. Tuttavia, sulla base delle statistiche disponibili per la Provincia di
Arezzo è stata stimata una consistenza media di circa 18.000 soggetti in maggio dopo le
nascite, relativa al periodo 2000-2004. Questo valore è una stima minima certa calcolata
sulla base dei dati conosciuti dei distretti di gestione che assommano a circa 1500 Kmq; la
consistenza complessiva è sicuramente più elevata ma di difficile valutazione a causa della
difficoltà di stima dei flussi esistenti tra territorio gestito e aree protette.
Il cervo è presente con una sola vera popolazione che interessa l’appennino nell’alta valle
del Casentino e del Tevere. L’area delle colline di Cavriglia-Castelnuovo dei Sabbioni è
interessata marginalmente da un nucleo di cervi che gravitano prevalentemente nelle
limitrofe province di Siena e Firenze, con erratismi per lo più stagionali nel versante
aretino.
La popolazione appenninica si è originata da reintroduzioni effettuate prima
dall’amministratore granducale Carlo Siemoni dopo il 1838 e successivamente reiterate
dopo il periodo bellico tra il 1950 ed il 1960 dall’Azienda di stato per le foreste demaniali
con 11 soggetti di provenienza alpina ed europea (Crudele 1988).
Dopo un lungo periodo iniziale, caratterizzato da un lento accrescimento che aveva portato
la popolazione a raggiungere circa un centinaio di esemplari, agli inizi degli anni ‘80
(Mazzarone 1986), nel 1989 si stimavano nella sola provincia di Arezzo circa 280 capi
distribuiti su circa 13.500 ha (Mazzarone et al. 1989). Nei 15 anni successivi la
popolazione ha raggiunto una consistenza di circa 1100 capi nel 2004 distribuita in
62
maniera non uniforme su un’area complessiva di circa 38000 ha. Le densità primaverili
variano a seconda dei settori da 0,9 a 6,5 capi/100 ha. L’espansione dell’areale prosegue,
anche se lentamente, verso il Pratomagno lungo una direttrice che tocca Gualdo e il passo
della Consuma, verso l’Alpe della Luna toccando il Monte Zucca e verso l’Alpe di
Catenaia.
Il daino è presente in buona parte del territorio della Provincia, con una distribuzione a
chiazze che deriva dalle modalità con cui questa specie è stata introdotta nel territorio. La
specie è stata immessa in un arco di tempo compreso tra gli anni ’50 e gli anni ’80 in
numerose località sia per iniziative di privati (aziende faunistiche venatorie) sia di enti
pubblici come il Corpo forestale dello stato. I centri di origine principali sono stati cinque a
cui si possono ricondurre le cinque principali aree di distribuzione attuale, precisamente :
Alto Casentino
Valdarno superiore e versante Pratomagno
Monti del Chianti
Alta valle del Tevere e Alpe della Luna
Alta valle del Cerfone-Minima e Minimella
Il daino è stato rilevato negli ultimi anni anche in numerose altre località a confermare il
processo di espansione in atto.
Nelle aree principali, dove vengono effettuati censimenti primaverili a vista nei distretti di
gestione e in alcune AFV, si stima una consistenza di circa 1240 capi corrispondente ad
una densità di 3,9 capi/kmq.
Nell’intera provincia, sulla base del rapporto all’osservazione tra capriolo e daino, si stima
che siano presenti ulteriori 350 capi per una consistenza complessiva di 1910 daini.
Nei primi anni ’90 esistevano in Provincia di Arezzo quattro colonie di muflone: Riserve
biogenetiche casentinesi, Pratomagno valdarnese, AFV Badicroce-Monte Lignano, Monti
63
del Chianti-Cavriglia. Le prime due si sono estinte e le restanti due sono in fase di forte
riduzione numerica, in particolare quella di Badicroce-Monte Lignano.
La causa più accreditata per questo pattern di dinamica di popolazione è proprio l’impatto
della predazione del lupo su una specie evolutasi in assenza di predatori, ed in contesto
ambientale come quello appenninico notevolmente diverso dall’optimum ecologico per la
specie.
Tutte le colonie sono state il frutto di operazioni di immissione operate da soggetti sia
pubblici che privati in concomitanza con le immissioni di daino.
L’areale di distribuzione appare in contrazione. La consistenza della colonia di Lignano ha
conosciuto un massimo di circa 280 capi nel 1997 per ridursi progressivamente a 150 capi
nel 2004, con un crollo sotto i 50 capi nel successivo 2005. Le densità corrispondenti sono
passate da 10 a 1,3 capi/kmq.
La colonia dei Monti del Chianti, analogamente a quanto visto per il daino, occupa un’area
transfrontaliera con le limitrofe province di Siena e Firenze.
Il numero di soggetti è oscillato da un massimo di 81 nel 1999 ad un minimo di 23 nel
2005, con densità di 18-5,1 capi/kmq.
2.6 Clima
I dati relativi alle tre stazioni termopluviometriche, poste rispettivamente a Stia (479 m s. l.
m.), Eremo di Camaldoli (1111 m s. l. m.) e Badia Prataglia (835 m s. l. m.), consentono
una buona caratterizzazione climatica dell’area di studio, in quanto la dislocazione
geografica delle tre stazioni permette di rappresentare le fasce altimetriche e le zone
fitoclimatiche presenti.
Per la Stazione di Stia, i dati relativi al periodo 1960-1973 evidenziano nelle fasce inferiori
un clima riferibile ai caratteri di tipo mediterraneo, caratterizzato da precipitazioni
64
concentrate nel periodo autunnale ed accentuata diminuzione tra maggio e settembre, non
si riscontrano comunque condizioni di aridità, in quanto il valore complessivo delle
precipitazioni annuali supera mediamente i 1000 mm con 118 giorni interessati da
precipitazioni. Le temperature massime si registrano nel periodo luglio-agosto con medie
intorno ai 21°C, le minime nel periodo invernale con medie intorno ai 4,5°C. La
temperatura media annuale ha un valore di 12,3°C.
Si manifesta un andamento climatico con caratteristiche di maggiore continentalità nelle
fasce altimetriche medio-alte dell’area di studio, rappresentate dai dati della Stazione di
Badia Prataglia (periodo di riferimento 1960-1984 per le precipitazioni). La media annuale
delle precipitazioni è di oltre 1600 mm, con un numero medio di giorni pari a 123 all’anno,
di cui 14 riguardanti nevicate. Lo spessore medio del manto nevoso è di 15,3 cm con una
persistenza al suolo di quasi 50 giorni/anno.
La Stazione dell’Eremo di Camaldoli (periodo di riferimento 1951-1984) è rappresentativa
delle quote più elevate. Le precipitazioni sono più concentrate nel periodo autunno-
invernale e si prolungano anche in primavera; la media annuale delle precipitazioni supera
i 1680 mm, con una media di 151 giorni/anno interessati, di cui 24,9 riguardano nevicate.
L’altezza media di riferimento della neve nel periodo suddetto è stata di 28,7 cm.
La temperatura media annua è stata di 8,2°C con minimi nei mesi invernali (gennaio-
febbraio, in media -3,8°C) e massime nel periodo estivo (luglio-agosto in media 18°C).
L’inverno 2006-2007 è stato anomalo: le temperature registrate tra gennaio e aprile 2007
dalla Stazione di Camaldoli erano nettamente più alte delle medie stagionali (Grafico 2.1)
65
Inoltre, le precipitazioni nevose sono state scarse e poco frequenti (Grafico 2.2).
Grafico 2.2 Altezza della neve al suolo da gennaio 2007 ad
aprile 2007 (Stazione climatica di Camaldoli).
Grafico 2.1 Andamento della temperatura da gennaio 2007 ad
aprile 2007 (Stazione climatica di Camaldoli).
66
3 Materiali e Metodi
Lo studio della popolazione di lupo della provincia di Arezzo è stato condotto
essenzialmente con metodi naturalistici quali: la ricerca dei segni di presenza attraverso la
percorrenza di transetti standard, la rilevazione su neve di piste d’impronte (snow-
tracking), l’individuazione e l’accertamento del successo riproduttivo dei branchi di lupo
attraverso la tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling) e la raccolta di ulteriori
informazioni (avvistamenti, lupi morti) provenienti dal Corpo di Polizia Provinciale, Corpo
Forestale dello Stato, dalla Comunità Montana nonché dai cacciatori.
Dal 2002 è stata distribuita un’apposita scheda ai cacciatori di selezione a cervidi e bovidi
per la segnalazione della presenza del predatore. Ciò ha consentito di approfondire le
conoscenze nelle aree non protette, soprattutto quelle poste a quote inferiori, più vicine alle
aree urbane. Per mezzo di un software GIS (MapInfo Professional 5.0), le localizzazioni di
tutti i segni di presenza sono state riportate su una mappa digitale.
Il periodo di studio, in cui sono stati collezionati i dati oggetto delle successive analisi,
inizia nell’estate del 1998 e termina nell’estate 2007. La mia partecipazione all’attività di
monitoraggio interessa gli anni 2006-2007 (ottobre-ottobre).
E’ importante ricordare che dal 2002, l’area all’interno del Parco Nazionale delle Foreste
Casentinesi, Monte Falterona e Campigna non è stata più oggetto di monitoraggio.
Inoltre, nella zona a sud della provincia, il monitoraggio è stato intrapreso a partire dal
2003 e nell’Alpe di Poti dal 2004, a seguito di informazioni occasionali.
67
3.1 Transetti campione
3.1.1 Metodologia di campionamento
In tale ricerca è stata individuata una rete di transetti che si evoluta nel corso degli anni di
studio, seguendo lo sviluppo del progetto di monitoraggio, con un aumento progressivo
della superficie monitorata. La rete si sviluppa principalmente lungo le dorsali principali e
secondarie dei massicci montuosi e, in particolare, interessa il sistema delle principali aree
protette.
I transetti sono costituiti da percorsi la cui lunghezza in media è di 12 km.
I transetti sono finalizzati al rilevamento dei segni di presenza della specie, quali:
escrementi, impronte, urine, raspate, peli, resti alimentari e, nei casi più fortunati,
l’osservazione diretta.
I segni di presenza più frequentemente rinvenuti sono gli escrementi. Per diminuire la
probabilità di errori nell’attribuzione dell’escremento, ossia di confondere le fatte di lupo
con quelle di altri animali simili, quali volpi o canidi di grossa taglia, sono stati considerati
più criteri di valutazione (Ciucci, 1994):
1. selezione positiva per escrementi con diametro uguale o superiore a 3 cm; si escludono
così escrementi di canidi di piccola taglia, rischiando però di escludere gli escrementi di
cuccioli di lupo, a meno che essi non vengano raccolti in vicinanza dei siti di tana e
allevamento (home-sites);
2. selezione positiva per escrementi con odore acre e intenso, dovuto alla secrezione della
ghiandola anale (Asa et al., 1985b); tale ghiandola è in parte o completamente atrofizzata
nei cani;
3. raccolta di escrementi solo in zone dove sia stata provata l’assenza di cani vaganti;
essendo presenti quotidianamente ricercatori nell’area di studio è stato possibile rilevare
l’eventuale presenza di cani vaganti. In caso di presenza, gli escrementi raccolti nell’area
dell’avvistamento vengono esclusi dalle analisi. Va precisato che i cani presenti sul
68
territorio sono per la maggior parte cani padronali, i cui escrementi sono facilmente
distinguibili per la diversa composizione. Tale distinzione risulterebbe difficoltosa nel caso
in cui fosse presente un cane di taglia medio-grande con abitudini alimentari simili al lupo;
4. selezione positiva per escrementi trovati in vicinanza di siti corrispondenti a
ritrovamenti precedenti;
5. selezione positiva per escrementi contenenti resti indigesti, quali peli, frammenti ossei,
unghie, cartilagini, ecc.;
6. selezione positiva per escrementi trovati in vicinanza di altri segni di presenza (piste di
impronte, urine, raspate, ecc.).
Per organizzare l’attività di monitoraggio, si è proceduto ad una divisione dell’area di
studio in settori, ricalcanti a grandi linee il mosaico territoriale dei branchi ricavato dai
precedenti anni di ricerca; all’interno di ciascun settore sono stati effettuati percorsi
standardizzati, ripetuti con cadenza mensile (Figura 3.1).
Figura 3.1 Rete di transetti effettuata nella provincia di Arezzo.
69
A tali transetti, si aggiungono dei percorsi che, invece, sono stati eseguiti in maniera
occasionale (individuati sulla base di informazioni occasionali), che interessano le zone
periferiche, al fine di individuare possibili aree di nuova colonizzazione della specie.
I percorsi seguono principalmente strade forestali e sentieri, frequentemente utilizzati dai
lupi nei loro spostamenti.
3.1.2 Archiviazione dei dati
Ad ogni escremento raccolto è stata associata una scheda compilata al momento della
raccolta e avente le seguenti voci: codice progressivo della fatta, data, stima della data di
deposizione, zona, località, coordinate del luogo, luogo di deposizione (sentiero, strada
sterrata, strada asfaltata, fuori sentiero), posizione del luogo di deposizione (centrale,
laterale, marginale e se lato esposto o lato coperto), substrato su cui è deposta, distanza
della fatta da variabili ambientali (incrocio, ecotono, crinale, valico, impluvio e carcassa,
quando presente), possibilità di analisi genetiche e parassitologiche sul campione (nel caso
di escrementi freschi) e rilevatore. Ogni fatta così catalogata, è stata raccolta mediante un
sacchetto di plastica trasparente, su cui è stato segnato un codice identificativo, e posta, in
breve tempo, in congelatore a -18°C in attesa delle analisi di laboratorio per lo studio della
dieta. Nel caso di escrementi freschi, la cui data di deposizione stimata fosse non superiore
ai 7 giorni, ne è stato prelevato un campione per le analisi genetiche e parassitologiche e
messo in congelatore sotto etanolo. Tutti i segni di presenza rilevati sono stati mappati con
un GPSmap 60CSx, riportati su una mappa digitale e le coordinate di ciascuno sono state
inserite in un database excel. Durante ogni percorso gli operatori annotavano i punti GPS
della tracciatura. I transetti sono stati infine riportati sul computer con file grafici, mediante
l’utilizzo del software GIS MapInfo Professional 5.0 e la disponibilità di cartine I.G.M.
70
1:10000 georeferenziate in formato digitale. Inoltre, è stato sempre registrato su un
database excel il calcolo dello sforzo chilometrico di monitoraggio eseguito.
3.2 Rilevazione di piste su neve (snow-tracking)
3.2.1 La tecnica
L’attività di tracciatura su neve (snow-tracking) è risultata, fin dalle prime applicazioni
degli anni ’50, una delle tecniche più produttive per il monitoraggio della specie, superata
poi dall’avvento della radiotelemetria (Rowan 1950; de Vos 1950; Thompson 1952;
Burkholder 1959; Pimlott et al. 1969), l’unico mezzo in grado di fornire informazioni
dettagliate su specie elusive come il lupo, ma anche più complesso e dispendioso dal punto
di vista economico.
Consiste nell’intercettare e seguire le tracce lasciate dai lupi sul terreno coperto dalla neve,
al fine principale di ricavare informazioni sulla presenza, distribuzione e consistenza
numerica della specie nell’area di indagine.
Se in Nord America lo snow tracking si è affiancato come supporto alla radiotelemetria, in
forte vigore già dai primi anni ’70, in Europa ha continuato ad essere la tecnica più
impiegata negli studi della specie, sia a larga che piccola scala.
Le caratteristiche dell’habitat alpino e appenninico rendono irrealizzabili le tecniche di
tracciatura aerea, applicate invece con successo in aree (Nord America, Canada, Alaska)
con minore copertura forestale, dove è addirittura possibile l’identificazione di individui e
branchi grazie alla loro diretta e ripetuta osservazione (Therberge and Strickland 1978;
Ballard et al. 1995).
Le tracciature su neve hanno alcuni assunti la cui maggiore o minore solidità si rispecchia
nella qualità e nell’affidabilità dei risultati, primo fra tutti quello che le tracce di lupo siano
differenziabili da quelle di cani medio-grossi; poiché questo non è possibile osservando la
singola impronta (Harris e Ream 1983) e non sempre le piste di cani sono ben distinguibili
71
da quelle di lupi (Boitani et al. 1995), diventa necessario un approccio che diminuisca al
massimo la possibilità di tracciare cani (Figura 3.2).
Un’altra fonte di errore che influenza l’attendibilità delle stime numeriche ricavate dalla
tracciatura dei lupi: con il terreno coperto da un alto strato nevoso, questi tendono a
camminare tutti nella stessa pista di impronte, generalmente quella di un dominante che
apre la strada, al fine di minimizzare lo sforzo durante gli spostamenti. Questo implica che
sia difficile contare con esattezza il numero di lupi all’interno di una pista e che sia
necessario sfruttare quei segmenti in cui gli animali si dividono per breve tempo (aperture
ad asola, a ventaglio); risulta quindi fondamentale seguire le impronte per distanze
sufficienti (>500m), in modo di avere un’alta probabilità di rinvenimento di tali aperture
(Boitani 1982; Ciucci e Boitani 1998), per minimizzare gli errori nelle stime numeriche dei
lupi tracciati.
Figura 3.2 Piste di impronte di lupo su neve.
72
Le tracciature possono inoltre includere gli spostamenti di individui in dispersione o
durante movimenti extraterritoriali temporanei, che non appartengono a branchi residenti
nelle aree in cui si è effettuato il campionamento (Ciucci 2001); questo crea un’altra
potenziale fonte di errore nella quantificazione numerica degli individui stanziati
all’interno di un territorio e di un branco.
Oltre ai principali obiettivi elencati, lo snow tracking offre anche altre possibilità di studio,
permettendo di rinvenire con maggiore facilità campioni biologici dei lupi, compresi anche
peli o resti di pasto. Gli escrementi rinvenuti sulle tracce non hanno valore solo ai fini
dell’analisi della dieta: a causa delle particolari condizioni di mantenimento e
dell’associazione a spostamenti e collegamenti all’interno dei diversi ambiti territoriali,
risultano di prima importanza nelle applicazioni delle tecniche genetiche non invasive,
adottate per sequenziare ed identificare differenti genotipi ed individui, definirne la
collocazione spazio-temporale e individuare così gli ambiti territoriali dei diversi branchi
residenti nell’area di studio (Lucchini et al., 2002; Scandura, 2005).
3.2.2 Metodologie di campionamento
Il monitoraggio è di tipo opportunistico: tutti gli operatori, a seguito di una nevicata, si
concentrano contemporaneamente su un settore, al fine di coprire uniformemente l’area di
interesse e rilevare il maggior numero possibile di informazioni. In tal senso si è seguito un
ordine di priorità dei settori di studio. La zona di primo interesse è l’Oasi di Protezione
Alpe di Catenaia in cui, studi paralleli sulla dieta e la genetica hanno richiesto la raccolta di
un cospicuo numero di escrementi freschi e campioni genetici. Gli altri settori sono stati
considerati della medesima importanza e campionati a partire, convenzionalmente, da
quelli più prossimi all’Oasi di Protezione Alpe di Catenaia fintanto che lo stato della neve
lo permettesse. Le sessioni di snow-tracking, interrotte a causa dello scioglimento della
neve, sono state riprese a partire dall’ultima zona monitorata nella sessione precedente, al
73
fine di giungere a conoscenza dell’arrangiamento spaziale e della consistenza numerica dei
vari branchi presenti.
Le uscite sono state organizzate secondo un calendario che tenesse conto delle condizioni
ambientali. Gli operatori di solito aspettano 24-36 ore dall’ultima nevicata per permettere
ai lupi di compiere ampi spostamenti sul territorio (Ciucci e Boitani 1999).
L’approccio all’attività di tracciatura ha seguito una modalità generale: si è proceduto con
le metodologie classiche, percorrendo a piedi (con eventuale aiuto di racchette da neve)
strade sterrate e mulattiere, o recandosi presso crinali al fine di ottimizzare la possibilità di
rinvenire gli spostamenti dei lupi; le tracce sono state poi seguite quando possibile (più
operatori, tracce visibili in entrambe i sensi, ecc.) sia nel senso di marcia (front) che in
quello opposto (back), ma prevalentemente solo in quest’ultimo, al fine di non disturbare
gli animali nelle loro eventuali aree di rifugio diurne.
3.2.3 Archiviazione dei dati
Ad ogni pista è stata associata una scheda identificativa, compilata al momento del
rinvenimento e avente le seguenti voci: codice progressivo, data, zona, località, stima
dell’età delle tracce, stima del numero di individui, comportamento generale
(perlustrazione, caccia, spostamento diretto), numero dei vari segni di presenza rinvenuti
sulla pista (fatte, urine, raspate, carcasse, peli, sangue, punti di sosta/rifugio), note e
rilevatore. Anche per ciascun segno di presenza è stata compilata un’apposita scheda
cartacea di tipologia simile a quella utilizzata per gli escrementi, già descritta nel paragrafo
3.1.2, con l’aggiunta, per le urine, della posizione di minzione (RLU, SQU), della
direzione di minzione (DU, NDU) e dell’associazione a fatte o raspate e per la raspate,
dell’associazione a fatte o urine. La scheda per i campioni biologici (peli e sangue)
presenta solo: codice progressivo, data, zona, località, coordinate, n° di campioni raccolti
(solo per i peli), n° di lupi per pista e rilevatore. I peli, raccolti mediante una pinzetta, sono
74
stati conservati in buste trasparenti di piccole dimensioni, i campioni di sangue, prelevati
con una paletta di plastica, messi in una provetta Eppendorf. Sia le bustine che le provette
erano contrassegnate da un codice identificativo e poste, in breve tempo, in congelatore a -
18°C, in attesa delle analisi genetiche (Figura 3.3).
Anche in questo caso, tutti i ritrovamenti sono stati localizzati con un GPSmap 60CSx,
riportati su una mappa digitale e inseriti con le proprie coordinate in un database excel.
Anche per le carcasse di ungulati consumati/predati dal lupo è stata compilata una scheda
che presenta: codice della carcassa, data, sessione di snow-tracking, località, zona,
coordinate, specie, età stimata, sesso, freschezza della carcassa, grado di consumo della
carcassa, parti della carcassa consumate, segni riconducibili al predatore, modalità di
predazione, parti prelevate, note e rilevatore. Le carcasse sono state a loro volta mappate e
Figura 3.3 Campione biologico di lupo (sangue) rilevato su neve.
75
le loro coordinate inserite nel database. L’esiguità di carcasse rinvenute negli anni di studio
non ha consentito di intraprendere studi in tal senso.
Durante ogni sessione gli operatori annotavano i punti GPS della tracciatura su neve.
Gli spostamenti compiuti dai lupi sono stati infine riportati sul computer con file grafici,
mediante l’utilizzo del software GIS MapInfo Professional 5.0 e la disponibilità di cartine
I.G.M. 1:10000 georeferenziate in formato digitale.
Inoltre è stato sempre registrato su un database excel il calcolo dello sforzo chilometrico
annesso ad ogni sessione e la quantizzazione dei km di tracce di lupi registrate.
3.3 Ululato indotto (wolf-howling)
3.3.1 La tecnica
La tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling) vide le sue prime applicazioni negli anni ’60,
in Nord America, condotte al fine di ottenere indici di presenza e stime a livello di branchi,
ma le prime valutazioni della sua affidabilità e delle condizioni ottimali di impiego
risalgono agli anni ’80 (Harrington e Mech 1982c; Fuller e Sampson 1988).
Anche in Italia è stata utilizzata per rilevare presenza e densità locale della specie
(Boscagli 1985a, Meriggi et al. 1995; Ciucci et al. 1997; Apollonio e Mattioli 2006) ed
effettuare censimenti a più larga scala (Boscagli 1985c).
La tecnica consiste nella riproduzione dell’ululato di un lupo, mediante registrazioni di
animali o imitazione umana; i lupi tenderebbero a rispondere ad entrambe, anche se da
alcuni studi risulterebbe una maggiore resa con l’imitazione vocale (Harrington e Mech
1978b), probabilmente a causa di alcune deformazioni del suono prodotte dagli apparecchi
elettronici (Therberge e Falls 1967).
La tendenza a rispondere dei lupi varia in base alla dimensione dei branchi e al grado di
associazione degli animali.
76
Nella comunicazione tra branchi diversi assume un forte significato nella difesa e nel
mantenimento del territorio, raggiungendo il massimo della frequenza durante il periodo
dell’accoppiamento e dell’allevamento della prole (Harrington e Mech 1979; Gazzola et
al., 2002), due momenti in cui i lupi difendono risorse di estrema importanza.
I lupi solitari e in dispersione, in movimento all’interno e tra i territori difesi dagli altri
branchi, tenderebbero a non rispondere per non rivelare a questi la propria presenza e
posizione, minimizzando il rischio di scontri che potrebbero risultare loro fatali
(Harrington e Mech 1979).
Sussistono diverse difficoltà pratiche nello stimare il numero delle voci del coro, raramente
realizzabili con precisione se gli individui non si uniscono ad esso in modo asincrono
(Harrington e Mech, 1982c).
La distinzione degli ululati dei singoli esemplari è possibile attraverso l’analisi dei
sonogrammi (Harrington e Mech, 1978b; Fuller e Sampson, 1988; Tooze et al., 1990).
Il solo utilizzo del wolf-howling è limitato per fornire stime di densità della specie
(Harrington e Mech 1982c); tale tecnica rimane comunque un mezzo di assoluta forza per
valutarne la presenza e, dove questa è stata documentata, per conoscere il numero dei
branchi e delle unità riproduttive (Crete e Messier 1987; Fuller e Sampson 1988).
Altra applicazione dell’ululato indotto è quella di individuare i nuclei riproduttivi e
localizzarne i siti di rendez-vous.
Infatti, è dimostrato che la tendenza a rispondere dei cuccioli è superiore di quella degli
adulti e già dopo le prime settimane di vita, sono in grado di unirsi al coro: questo rende i
branchi in cui è avvenuta riproduzione più facili da campionare (Harrington e Mech
1982c).
Un’importante informazione da tenere in considerazione nell’applicazione della tecnica è
legata, infine, alla differente capacità uditiva del lupo rispetto alla nostra; se l’orecchio
umano è in grado di percepire un ululato a distanze che variano tra i 2-5 km (Fuller e
77
Sampson 1988; Harrington e Mech 1982c), i lupi invece sono in grado di udire fino a 10
km.
3.3.2 Metodologie di campionamento
La tecnica degli ululati indotti è stata impegnata all’interno del progetto di ricerca
essenzialmente al fine di individuare i branchi all’interno dei quali era con certezza
avvenuta la riproduzione, confermando e definendo gli ambiti territoriali degli stessi: si
assume che i branchi siano unità distinguibili con certezza solamente quando vengano
identificati come differenti nuclei riproduttivi.
Una volta testimoniata la presenza di cuccioli, passo successivo è stato quello di
avvicinarsi il più possibile al sito di risposta, per individuare con maggiore precisione il
punto di provenienza delle risposte: questi, essendo punti di chiara importanza per i
branchi locali, non hanno un solo interesse biologico, ma acquistano un estremo valore
anche in termini di conservazione.
Per poter ottenere un corretto monitoraggio è stato condotto un censimento “a saturazione”
(Harrington e Mech, 1982b). L’intera area di studio è stata suddivisa in settori, ciascuno
dei quali interessato da un circuito lungo il quale venivano individuate le stazioni di
emissione-ascolto. Il numero di punti di emissione era influenzato dalla morfologia e dal
tipo di vegetazione del territorio da censire, in modo che il suono si diffondesse in tutto il
settore senza lasciare “zone d’ombra”. I siti di emissione sono stati scelti durante
sopralluoghi diurni; sono tendenzialmente punti panoramici, distribuiti nelle zone di
crinale, nella maggioranza dei casi raggiungibili con un fuoristrada. Il censimento è stato
effettuato da più equipaggi in contemporanea allo scopo di monitorare settori adiacenti e
permettere quindi l’eventuale localizzazione simultanea di branchi contigui.
Il wolf-howling è stato condotto durante le ore notturne, in quanto in questa fase è stata
osservata una maggiore tendenza da parte dei lupi a rispondere alle stimolazioni (Rutter e
78
Pimlott, 1968; Harrington e Mech, 1978b e 1979). Inoltre, di notte, si riducono i rumori
provenienti dall’ambiente circostante, soprattutto legati alle attività umane (Boscagli,
1985c).
La tendenza del lupo a rispondere alle stimolazioni varia durante l’anno; il periodo più
redditizio è tra luglio ed ottobre (Harrington e Mech, 1979; Gazzola et al., 2002).
Durante le uscite era indispensabile che le condizioni meteorologiche fossero ottimali; un
vento che supera i 12 km/ora può influenzare il tasso di risposta dei lupi e, insieme alla
pioggia, impedisce una buona percettibilità dell’operatore, creando un rumore di fondo
(Harrington e Mech, 1982c).
Ogni notte di lavoro, a ciascun equipaggio è stato assegnato un circuito lungo il quale
erano dislocate un certo numero di stazioni di emissioni da visitare (7-10 stazione/circuito).
In ogni stazione di emissione venivano eseguite due repliche di ululati, ognuna delle quali
era intervallata da tre minuti di silenzio, in cui gli operatori attendevano l’eventuale
risposta. Delle due emissioni, la prima era eseguita ad un volume più basso, per poter
aumentare la probabilità di risposta da parte dei lupi presenti in prossimità del punto di
emissione, e che altrimenti si sarebbero potuti intimidire (Harrington e Mech, 1982c).
Nelle emissioni è stata usata la registrazione di due lupi adulti dalla durata di 1 min. 40 sec.
La registrazione viene letta da un registratore che invia il segnale ad un amplificatore
lineare di 40 Watt di potenza. L’amplificatore è collegato ad una tromba esponenziale, la
quale presenta una risposta lineare alle frequenze incluse tra i 400 Hz ed i 3000 Hz,
possiede inoltre una elevata direzionalità di emissione (120° di copertura orizzontale e 60°
in verticale), garantendo una migliore prestazione rispetto ad un normale altoparlante
(Figura 3.4).
79
3.3.3 Archiviazione dei dati
Nel caso di risposta positiva, questa è stata registrata dagli operatori per mezzo di un
registratore professionale Marranz CP 430 stereo o di un M-Audio, collegati ad un
microfono direzionale con protezione antivento della Sennheiser (mod.K6p). Le risposte
ottenute sono state analizzate con un apposito software (Raven Pro Beta version) che
elabora il sonogramma associato alla traccia sonora (Figura 3.5).
Tale analisi consente di stimare il minimo numero di individui che compongono il coro e
Figura 3.4 Attrezzatura per l’emissione dell’ululato e per la registrazione dell’eventuale risposta:
registratore con amplificatore, M-audio con microfono e cuffia, batteria.
Figura 3.5 Esempio di sonogramma associato ad una registrazione effettuata durante
una sessione di wolf-howling.
80
di determinare la presenza dei piccoli nel branco e quindi il successo riproduttivo.
Per ogni sessione di wolf-howling è stata compilata un’apposita scheda nella quale sono
state annotate la posizione della stazione di emissione (coordinate UTM), la direzione e
l’ora dell’emissione (ora solare).
In caso di risposta sono state registrate l’angolo di provenienza, l’ora della risposta e
stimato il numero presunto di individui (adulti e cuccioli). Lo sforzo di monitoraggio
(numero di emissioni effettuate) e le risposte ottenute sono state archiviate in un database.
Queste ultime sono state riportate su supporto informatico (cartografia digitalizzata, scala
1: 10 000) ed elaborate grazie all’ uso del programma MapInfo Professional 5.0.
3.4 Efficienza delle tecniche utilizzate
L’efficacia delle tecniche impiegate è stata valutata attraverso l’utilizzo di particolari
indici:
Indice Chilometrico di Abbondanza (IKA): è stato calcolato dividendo il
numero di segni di presenza trovati per i chilometri effettuati nella ricerca.
Tasso di risposta: è stato calcolato dividendo il numero di risposte
ottenute per il numero di emissioni effettuate. Non sono state considerate le emissioni e le
risposte di “rafforzo”, ossia quelle avvenute dopo la prima risposta nella stessa notte di
lavoro poiché avrebbero inficiato il calcolo.
Tali analisi sono state condotte solo per gli ultimi anni d’indagine (2005-2007).
81
3.5 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in
provincia di Arezzo dal 1998 al 2007
3.5.1 Numero e densità dei branchi
La superficie potenziale della distribuzione del lupo, su cui è stata calcolata la densità dei
branchi, è stata stimata mediante la carta dell’uso del suolo della provincia di Arezzo IFT
(Inventario Forestale Toscano). La superficie considerata include le seguenti categorie
vegetazionali: 1) le praterie, i pascoli e i prati stabili; 2) i boschi; 3) rocce e greti; 4) i
cespuglieti.
Tale superficie ammonta al 61,9% del territorio provinciale (2000 kmq).
La densità dei branchi è riportata come numero di branchi su 100 kmq.
3.5.2 Numero di lupi e densità media dei branchi
Un settore è interessato dalla presenza di un branco quando gli operatori monitorano
costantemente (sia in estate che in inverno) la presenza di almeno due individui. La
presenza di un singolo individuo non è stata considerata indice di presenza stabile del lupo,
in quanto potrebbe trattarsi di individui in dispersione.
La dimensione media del branco è stata calcolata in estate, utilizzando i dati relativi al
wolf-howling.
La consistenza numerica della popolazione per anno è stata stimata considerando il numero
massimo di individui monitorati tra la stagione estiva e la seguente invernale: maggio
(anno x) - aprile (anno x +1). Tale intervallo temporale rappresenta l’anno biologico del
lupo in quanto le nascite si verificano in maggio, mentre verso la fine di aprile la femmina
riproduttrice entra nella tana.
82
3.5.3 Successo riproduttivo dei branchi
Per calcolare il successo riproduttivo di ogni branco, si è diviso, per ciascun nucleo
familiare, il numero di anni in cui era stata accertata la riproduzione (cioè monitorata la
presenza di cuccioli), per il numero di anni in cui ne era stata accertata la presenza.
Il successo riproduttivo annuale è stato calcolato dividendo, per ogni anno di studio, il
numero di branchi di cui era stata accertata la riproduzione, per il numero di branchi di cui
era stata accertata la presenza.
3.5.4 Ritrovamento di lupi morti
I lupi rinvenuti morti sono stati attribuiti ad un’area specifica in base al luogo di
ritrovamento, oltre che alle successive analisi genetiche condotte su campioni biologici
dell’esemplare (pelo, sangue e tessuto). Per ogni esemplare sono state registrate
informazioni morfo-biometriche e valutate le cause di morte. I fattori di mortalità registrati
durante l’indagine sono: incidenti stradali e bracconaggio (colpo d’arma da fuoco, laccio
ed avvelenamento). In alcuni casi non è stato possibile risalire alla causa di morte.
3.5.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites)
Nel corso dell’intero periodo d’indagine è stato valutato il grado di fedeltà dei singoli
branchi ai siti di allevamento dei cuccioli.
Per ogni branco è stata quindi calcolata la superficie del minimo poligono convesso (MPC)
che racchiudeva tutte le localizzazioni dei rendez-vous sites rilevate nei dieci anni di studio
(1998-2007).
Minimo Poligono Convesso (MPC): il più piccolo dei poligoni convessi che racchiude
tutte le localizzazioni ottenute per l’animale, l’MPC risulta essere tra i metodi più
tradizionali e utilizzati per la rappresentazione degli spazi vitali. Il metodo non necessita di
alcun assunto sulla distribuzione dei dati, è semplice ed immediato.
83
Per ogni anno, inoltre, è stata misurata la distanza tra i siti di riproduzione dei branchi
contigui. Nel caso in cui, per un singolo branco, fossero state rilevate più localizzazioni di
rendez-vous sites nella stessa estate, è stato utilizzato il centroide del MPC.
3.6 Test statistici
Test del chi-quadrato(2): definito anche come “test di bontà di adattamento”,
confronta esattamente la bontà della conformità (cioè l’accordo) tra la frequenza osservata
e quella attesa.
O = frequenza osservata
E = frequenza attesa
Con grado di libertà (gdl) dato da n-1, considerando n come il numero di categorie. Per
decidere la soglia di significatività del valore, il limite di significatività delle analisi è stato
posto ad α= 0,05.
Test di Wilcoxon: è un test non parametrico utilizzato per comparare le mediane di
due campioni appaiati. Utile per verificare, in presenza di valori ordinali provenienti da
una distribuzione continua, se due campioni statistici provengono dalla stessa popolazione.
Il test richiede il calcolo della statistica T, la cui distribuzione di probabilità è conosciuta.
In tale test, il valore di una osservazione viene sottratto all’altra nell’ambito di una coppia.
Le osservazioni devono quindi essere misure di una scala per intervalli. Poniamo quindi 2
ipotesi: l’ipotesi nulla (H0), afferma che non esiste una differenza delle mediane tra le due
serie di dati; l’ipotesi alternativa (H1), al contrario, afferma che esiste una differenza, senza
2=(O - E)
2/E
84
predire dove cada tale differenza. Il test di Wilcoxon per i dati appaiati quantifica sia la
direzione che l’ampiezza dei cambiamenti in una serie di coppie appaiate. Per stimare il
livello di significatività si consulta la tabella delle probabilità di distribuzione T. Quando T
è uguale o minore del valore critico nella tabella, con P=0,05, l’ipotesi nulla è rigettata.
Test di Fisher: è utilizzato per la verifica d’ipotesi nell’ambito della statistica non
parametrica in situazioni con due variabili nominali e piccoli campioni. Tale test è usato
per verificare se i dati dicotomici di due campioni, riassunti in una tabella di contingenza
2X2, sono compatibili con l’ipotesi nulla (H0): ossia che le popolazioni di origine dei due
campioni abbiano la stessa suddivisione dicotomica e che le differenze osservate con i dati
campionari siano dovute semplicemente al caso.
Test di Kolmogorov-Smirnov: è un test non parametrico che verifica la forma delle
distribuzioni campionarie. Confronta quindi una distribuzione osservata, variabile
aleatoria, con una distribuzione normale, calcolando la distanza tra la funzione cumulativa
teorica F0(x) e la funzione cumulativa empirica Fn(x). Se F0(x) e Fn(x) sono
“sufficientemente simili” si accetta l’ipotesi nulla (H0), cioè che le due funzioni sono
uguali, mentre la si rifiuta se le due funzioni sono dissimili. Come distanza si utilizza
l’operazione sotto descritta.
Dn= |Fn(x) - F0(x)|
Dn rappresenta la massima differenza in valore assoluto tra la funzione empirica Fn(x) e la
funzione teorica F0(X).
Test H di Kruskal-Wallis: E’ un test non parametrico di confronto tra mediane di
più variabili aleatorie indipendenti. E’ usato per piccoli campioni e richiede che le
osservazioni siano trasformate in ranghi. L’ipotesi nulla (H0) comprende solo
85
l’appartenenza dei n campioni alla stessa popolazione, mentre l’ipotesi alternativa dice che
almeno uno dei campioni non appartenga a tale popolazione. Una volta trasformati i dati in
ranghi, indipendentemente dall’appartenenza ai singoli gruppi, si calcola per ogni gruppo
la somma dei ranghi relativi con la formula sotto descritta.
Ri= ½ n(n + 1)
Il valore della statistica H viene calcolato come:
H=12/nT(nT + 1) R2
i /ni – 3(nT+ 1)
nT= numero totale delle osservazioni
ni= numero delle osservazioni appartenenti all’i-esimo gruppo
La statistica H segue la distribuzione del 2 con n – 1 gradi di libertà, purchè il numero di
ripetizioni per gruppo siano almeno 5. Se l’adattamento alla distribuzione del 2 non è
valido, è possibile ricorrere ad apposite tavole di valori critici di H.
Le analisi statistiche sono state effettuate utilizzando il programma SPSS 13.0.
86
4 Risultati
4.1 Efficienza delle tecniche utilizzate
La prima parte di analisi si basa su dati raccolti a partire dall’estate 2005; interessa, quindi,
l’inverno 2006-2007 per quanto riguarda il reperimento di segni di presenza lungo transetti
campione, gli inverni 2005-2006 e 2006-2007 per la tracciatura su neve (snow-tracking) e
le estati 2005, 2006, 2007 per quanto riguarda il monitoraggio mediante ululato indotto
(wolf-howling). Queste rilevazioni sono utili, in tale contesto, ai fini di rendere evidente
l’efficienza dei metodi utilizzati.
4.1.1 Segni di presenza lungo serie di transetti campione
Durante il periodo estivo sono stati effettuati dei sopralluoghi occasionali, in quanto
l’attività di ricerca principale è stata il monitoraggio con il wolf-howling.
Da ottobre-novembre, quando il censimento mediante ululato indotto inizia ad essere meno
efficace (a causa dell’abbandono dei rendez-vous sites), l’attività di monitoraggio
fondamentale è stata la raccolta dei segni di presenza tramite perlustrazione a piedi di
transetti.
Durante il periodo che va da ottobre 2006 a marzo 2007, sono stati effettuati 165 percorsi,
per un totale di 1414 km (vedi Tabella 4.1).
I percorsi comprendevano strade forestali e sentieri, distribuiti il più uniformemente
possibile all’interno dell’area di studio, così da rivelare i settori maggiormente frequentati
dalla specie (Figura 4.1).
Le zone di fondovalle, le più antropizzate, sono state escluse dal monitoraggio.
87
L’area monitorata si estende per una superficie di circa 1860 kmq, pari al 57,6% dell’intera
provincia di Arezzo; da tale superficie è esclusa gran parte della porzione aretina del Parco
Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (140kmq).
In Tabella 4.1 è riportato un indice di raccolta del numero di escrementi trovati per km di
transetti monitorati durante i 6 mesi di indagine (ottobre 2006-marzo 2007). È stato stimato
un IKA (Indice Chilometrico di Abbondanza) per gli escrementi.
Tabella 4.1 Segni di presenza da ottobre 2006 a marzo 2007.
anno n. uscite km percorsi n. escrementi n. escrementi/km
ottobre 06-marzo 07 165 1414 434 0,31
Legenda aree colorate:
Area in verde=Parco
Nazionale delle Foreste
Casentinesi
Aree in grigio chiaro=Oasi
di Protezione Faunistica
Figura 4.1 Distribuzione spaziale dei transetti monitorati durante il periodo invernale
(ottobre 2006-marzo 2007) sul territorio provinciale.
88
In Figura 4.2 viene riportata la distribuzione spaziale degli escrementi rinvenuti su scala
provinciale nell’inverno 2005-2006 e nell’inverno 2006-2007.
Figura 4.2 Distribuzione spaziale degli escrementi rinvenuti durante i due periodi di studio
invernali considerati (ottobre 2005-marzo 2006 e ottobre 2006-marzo 2007) in provincia di
Arezzo.
4.1.2 Tracciatura su neve (snow-tracking)
Come mostrato in Tabella 4.2, nell’inverno 2005-2006, in presenza di copertura nevosa,
sono state intercettate e seguite 25 piste di impronte di lupo per un totale di 92 km. La
lunghezza delle piste seguite varia da un minimo di 179 metri ad un massimo di 7,3
chilometri.
Legenda aree colorate:
Area in verde=Parco
Nazionale delle Foreste
Casentinesi
Aree in grigio chiaro=Oasi
di Protezione Faunistica
89
Tra la seconda metà di dicembre 2006 e la fine di gennaio 2007, sono state intercettate e
seguite 33 piste per un totale di 66 km. L’esiguità dei chilometri rinvenuti è dovuta alla
scarsezza di copertura nevosa presente al suolo.
Lungo le piste d’impronte, sono stati ritrovati 13 escrementi, 73 urine e 65 raspate per
l’inverno 2005-2006 e 10 escrementi, 45 urine e 35 raspate per l’inverno 2006-2007
(Tabella 4.2). Anche in questo caso è stato calcolato un IKA per ogni segno di presenza
(Tabella 4.2). La proporzione dei diversi segni di presenza rinvenuti seguendo le piste
d’impronte dei lupi su neve non differisce significativamente nei due inverni d’indagine
(Test del chi-quadrato: 2= 0,64 gdl=2 n.s.).
periodo
n.
piste
km
piste
n.
escrementi
n.
urine
n.
raspate
n.
escrementi/km
n.
urine/km
n.
raspate/km
Inverno
2005/06
25 92 13 73 65 0,14 0,79 0,71
Inverno
2006/07
33
66
10
45
35
0,15
0,68
0,53
Tabella 4.2 Segni di presenza rinvenuti sulle piste di impronte su neve.
Inoltre, è stato analizzato il grado di associazione degli animali seguiti lungo le piste su
neve. Come mostra il Grafico 4.1 a) e b), la maggior parte delle piste d’impronte di lupo
era lasciata da 2 individui, sia nell’inverno 2005-2006 che in quello 2006-2007 (48% e
40% rispettivamente). Il numero di lupi è variato da un minimo di 2 ad un massimo di 7
esemplari per l’inverno 2005-2006 e da un minimo di 1 ad un massimo di 5 per l’inverno
2006-2007. Il grado di associazione riscontrato nei due inverni è risultato differente (Test
del chi-quadrato: 2= 10,13 gdl=3 p< 0,05).
90
Grafico 4.1 Percentuale del numero di individui per pista, seguiti durante l’inverno 2005-2006 a) e l’inverno
2006-2007 b).
a)
b)
Inverno 05-06
48%
28%
12%
4%4% 4% 1 individuo
2 individui
3 individui
4 individui
5 individui
6 individui
7 individui
Inverno 06-07
30%
40%
21%
6% 3% 1 individuo
2 individui
3 individui
4 individui
5 individui
6 individui
7 individui
91
4.1.3 Tecnica di monitoraggio dell’ululato indotto (wolf-howling)
In Tabella 4.3, viene riportato lo sforzo di campionamento e le risposte ottenute dal
monitoraggio effettuato durante il periodo estivo, a partire dal 2005 fino al 2007,
applicando la tecnica dell’ululato indotto.
anno n. emissioni n. risposte
2005 573 30
2006 404 28
2007 629 24
Totale 1606 82
Tabella 4.3 Sforzo di campionamento e risposte complessive ottenute con l’attività di monitoraggio
dell’ululato indotto (estate 2005, 2006, 2007).
Come è possibile osservare, per l’anno 2005, sono state effettuate 573 emissioni e
collezionate 30 risposte, per l’anno 2006, 404 emissioni e 28 risposte, infine per l’anno
2007, 629 emissioni e 24 risposte.
In Tabella 4.4 vengono riportati lo sforzo annuale di lavoro (numero di emissioni), il
risultato ottenuto (numero di risposte) e il relativo tasso di risposta. Tale indice evidenzia
un elevato sforzo di ricerca a fronte di un limitato successo. Infatti, i valori annuali della
frequenza di risposta (R/E) oscillano tra il 2,3% e il 4,5%.
Durante i tre anni d’indagine non sono state riscontrate differenze significative del tasso di
risposta (Test del chi-quadrato: 2= 4,23 gdl=2 n.s.).
92
Tabella 4.4 Risultati della frequenza di risposta R/E (estate 2005, 2006, 2007).
4.2 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in
provincia di Arezzo dal 1998 al 2007
La seconda parte di analisi si basa su dati raccolti a partire dall’estate 1998 fino all’estate
2007. Tali stime hanno permesso di analizzare la consistenza numerica e la distribuzione
della popolazione di lupo nella provincia di Arezzo. E’ importante ricordare che dal 2002,
l’area all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e
Campigna, dove erano presenti due branchi in maniera stabile, non è stata più oggetto di
monitoraggio (le informazioni su Camaldoli dopo il 2001 sono state fornite dal Corpo
Forestale dello Stato). Inoltre, nella zona a sud della provincia, i branchi recentemente
stabiliti sono stati monitorati a partire dal 2003 e il branco presente nell’Alpe di Poti a
partire dal 2004.
4.2.1 Numero e densità dei branchi
Per osservare come varia temporalmente la consistenza numerica e la densità della
popolazione di lupo nella provincia di Arezzo, sono stati utilizzati i dati collezionati
mediante l’utilizzo delle differenti tecniche già descritte (wolf-howling, snow-tracking, e
anno n. emissioni n.risposte R/E
2005 564 15 0,027
2006 396 18 0,045
2007 599 14 0,023
Totale 1559 47 0,030
93
informazioni occasionali). Tuttavia, le metodologie applicate non consentono di valutare il
numero degli individui in dispersione.
La Tabella 4.5 mostra il numero di branchi monitorati per ciascun anno di studio e la
relativa densità annua. Come si può osservare, i branchi di cui è stata accertata la presenza
variano da un minimo di 8 nel 2005, ad un massimo di 14 nel 2004. La media è di 10,8
branchi censiti sui 10 anni di studio. La densità rappresenta una stima minima del numero
dei branchi presenti in un dato anno biologico, rapportato alla superficie oggetto di
monitoraggio, 2000 kmq. La provincia di Arezzo, rappresenta un luogo favorevole alla
presenza del lupo (0,40-0,70 branchi/100 kmq, con una media di 0,540,03
branchi/100kmq) e sembra ancor oggi soggetta ad evoluzione del popolamento (vedi
Grafico 4.3 b) nel paragrafo seguente)
anno
n. branchi
monitorati
densità annua
(n. branchi/100kmq)
1998 10 0,50
1999 9 0,45
2000 10 0,50
2001 12 0,60
2002 10 0,50
2003 13 0,65
2004 14 0,70
2005 8 0,40
2006 13 0,65
2007 9 0,45
Media ES 10,8 0,540,03
Tabella 4.5 Numero di branchi monitorati annualmente, nel periodo di studio e relativa densità.
94
4.2.2 Numero dei lupi e dimensione media dei branchi
Dal 1998 al 2007, è stato stimato il numero minimo di individui presenti, per ciascuna zona
monitorata in cui è stata supposta la presenza di un branco. Nelle estati, tale stima è stata
registrata mediante la tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling) e grazie ad osservazioni
dirette di esemplari della specie; negli inverni, mediante tracciatura di piste su neve (snow-
tracking), integrate da osservazioni dirette (Tabella 4.6 a e b). Come si può osservare dalla
Tabella 4.6, il numero di individui per branco varia da 2 a 8 individui. I branchi di cui sono
state stimate le maggiori dimensioni, nel corso degli anni di studio, sono quelli del Sasso di
Simone e dell’Alpe della Luna Nord, con numero stimato massimo di 8 individui, e quelli
di Camaldoli, della Vallesanta, dell’Alpe della Luna Sud e infine del Pratomagno Centro,
con 7 individui. Gli anni nei quali si sono registrati i numeri più elevati di individui di
lupo, stimati nella provincia, sono stati il 2001 (45 individui in estate e 40 in inverno) e il
2004 (44 individui in estate e 40 in inverno).
95
Tabella 4.6 Numero minimo di individui stimati annualmente per branco nel corso degli anni di studio
(1998-2007), nel periodo estivo a) e nel periodo invernale b).
Zone estate
1998 estate
1999 estate
2000 estate
2001 estate
2002 estate
2003 estate
2004 estate
2005 estate
2006 estate
2007
Saf 5 4 3 4 0 4 0 0 0 0
Camaldoli 4 5 4 4 0 4 0 0 0 7
Vallesanta 2 4 3 4 5 3 6 4 5 7
Catenaia 4 5 4 4 4 4 4 3 5 2
Alpe di Poti 0 0 0 0 0 0 1 4 3 3
Lignano 0 0 0 0 1 4 4 0 4 6
Consuma 0 0 0 2 6 1 0 0 5 0
Pratomagno Nord 0 3 4 4 0 0 0 0 0 0
Pratomagno Centro 4 0 0 4 4 2 5 4 4 2
Pratomagno Sud 0 5 1 4 5 4 6 6 3 0
Sasso di Simone 4 0 4 2 4 3 3 1 8 2
Alpe della Luna
Nord 5 0 5 4 3 5 4 5 0 3
Alpe della Luna Sud 0 4 1 7 5 4 5 2 3 5
Alto Tevere 0 3 3 2 2 0 2 0 0 0
Chianti 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
Ambra-Calcione 0 0 0 0 0 4 4 0 0 1
Totale numero di
lupi 28 33 32 45 39 42 44 29 40 38
Zone inverno
1998/99 inverno
1999/2000 inverno
2000/01 inverno
2001/02 inverno
2002/03 inverno
2003/04 inverno
2004/05 inverno
2005/06 inverno
2006/07
Saf 4 5 2 0 0 1 4 0 0
Camaldoli 4 5 4 3 0 4 6 0 4
Vallesanta 3 3 3 2 4 4 2 4 3
Catenaia 2 3 3 4 6 5 5 6 3
Alpe di Poti 0 0 0 0 0 0 2 0 0
Lignano 0 0 0 0 0 5 3 0 0
Consuma 0 0 0 0 0 0 0 0 0
Pratomagno
Nord 0 4 3 3 2 2 2 0 5
Pratomagno
Centro 0 0 0 5 6 2 4 7 3
Pratomagno Sud 4 4 4 4 3 2 3 0 3
Sasso di Simone 4 0 0 4 2 1 0 3 0
Alpe della Luna
Nord 3 2 5 8 4 2 5 5 1
Alpe della Luna
Sud 4 3 6 7 5 4 3 0 0
Alto Tevere 3 5 4 0 2 2 0 0 2
Chianti 0 0 0 0 0 0 0 1 4
Ambra-Calcione 0 0 0 0 0 3 1 0 0
Totale 31 34 34 40 34 37 40 26 28
a)
b)
96
Sulla base di questi dati è stato possibile affermare che la consistenza numerica totale della
popolazione di lupo in provincia di Arezzo non varia significativamente dall’estate
all’inverno, nel corso degli anni di studio (Wilcoxon: Z=1,904 p=0,057 n.s.) (Grafico 4.2).
Outliers are hidden
0 1 2
stagione
30
35
40
45
nu
mer
o l
up
i
Legenda delle stagioni:
1= estate
2= inverno
Grafico 4.2 Variazione del numero totale di lupi presenti in
provincia di Arezzo in estate (arancione) e in inverno (azzurro),
durante l’intero periodo di studio (estate 1998-estate 2007).
97
Sebbene il numero di branchi sia elevato, il numero di lupi che vanno a comporre un
branco è limitato. Infatti, pur essendo stati osservati più volte branchi di 8 esemplari, in
media, ogni anno, vengono rilevati 4 individui (Tabella 4.7).
Tabella 4.7 Dimensione media dei branchi in estate per ciascun anno di studio.
Infine, si è voluto investigare come varia l’andamento temporale del numero totale di lupi
presenti nella provincia e il numero totale di branchi, nel corso dei 10 anni di studio. Come
mostrato dal Grafico 4.3 a) e b), sebbene sia la consistenza numerica della specie, sia il
numero di branchi presenti nella provincia di Arezzo oscillino nel tempo, la tendenza
dell’andamento del numero di lupi è positiva come quella del numero di branchi.
anno
n. branchi censiti in
estate
dimensione media
del branco in estate
(n. lupi/branco)
1998 7 4
1999 8 4
2000 8 4
2001 12 4
2002 9 4
2003 11 4
2004 10 4
2005 7 4
2006 9 4
2007 9 4
98
y = 0,6667x - 1289,2
0
10
20
30
40
50
60
70
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
anno
nu
mero
di
lup
i
y = 0,1091x - 207,65
0
2
4
6
8
10
12
14
16
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
anno
nu
mer
o m
ax b
ran
chi
mon
itora
ti
Grafico 4.3 Variazione della consistenza numerica della popolazione di lupo a) e del numero di branchi b)
presenti negli anni di studio (1998-2007), in provincia di Arezzo.
a)
b)
99
4.2.3 Successo riproduttivo dei branchi
Come si può osservare nella Tabella 4.8, il numero di branchi di lupo, di cui è stata
accertata la riproduzione (contraddistinti dal numero 1) in provincia di Arezzo, è oscillato
da un minimo di 6, nel 1998, ad un massimo di 10 nel 2001.
Riproduzione/Zone estate
1998 estate
1999 estate
2000 estate
2001 estate
2002 estate
2003 estate
2004 estate
2005 estate
2006 estate
2007
Saf 1 1 0 1 0 0 0 0 0 0
Camaldoli 1 1 1 1 0 1 0 0 0 1
Vallesanta 0 1 1 1 1 1 1 1 1 1
Catenaia 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
Alpe di Poti 0 0 0 0 0 0 0 1 1 1
Lignano 0 0 0 0 0 1 0 0 1 1
Consuma 0 0 0 1 1 0 0 0 1 0
Pratomagno Nord 0 1 1 1 0 0 0 0 0 0
Pratomagno Centro 1 0 0 1 1 0 1 1 1 0
Pratomagno Sud 0 1 0 1 1 1 1 1 1 0
Sasso di Simone 1 0 1 0 0 1 1 0 1 0
Alpe della Luna Nord 1 0 1 1 1 1 1 1 0 1
Alpe della Luna Sud 0 1 0 1 1 0 1 0 1 1
Alto Tevere 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0
Chianti 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
Ambra-Calcione 0 0 0 0 0 1 1 0 0 0
Totale 6 7 7 10 7 8 8 6 9 7
Tabella 4.8 Branchi di cui è stato accertato il successo riproduttivo nel corso dell’indagine (1998-2007).
Sulla base di questi dati si è voluto investigare il successo riproduttivo di ogni branco
presente nella provincia di Arezzo, stimato sugli anni in cui è stata accertata la presenza dei
branchi medesimi (Grafico 4.4). I branchi che hanno avuto un successo riproduttivo pari al
100% sono stati quelli di Catenaia, di Camaldoli, della Consuma e di Ambra e Calcione. I
branchi del Chianti (0%) e dell’Alto Tevere (13%) hanno rivelato il minor successo
riproduttivo.
100
0
20
40
60
80
100
120
Saf
Cam
aldo
li
Val
lesa
nta
Caten
aia
Alp
e di
Poti
Lignan
o
Con
sum
a
Prato
mag
no N
ord
Prato
mag
no C
entro
Prato
mag
no S
ud
Sasso
di S
imone
Alp
e de
lla L
una Nord
Alp
e de
lla L
una Sud
Alto
Tev
ere
Chi
anti
Am
bra-
Calci
one
branchi
success
o r
ipro
du
ttiv
o (
%)
Grafico 4.4 Percentuale del successo riproduttivo di ogni branco della provincia di Arezzo sugli anni di
monitoraggio dei branchi medesimi.
Infine, si è voluto calcolare il successo riproduttivo nella provincia di Arezzo per ogni
anno di studio, come percentuale di branchi di cui è stata accertata la riproduzione sul
totale dei branchi monitorati il medesimo anno. (Grafico 4.5). Come si evince dal Grafico
4.5, sebbene le percentuali del successo riproduttivo oscillino negli anni tra il picco
massimo del 2001 (83%) e il picco minimo del 2004 (57%); la tendenza del successo
riproduttivo, nel tempo, è piuttosto stabile.
101
y = 0,2303x - 390,98
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
anno
success
o r
ipro
du
ttiv
o (
%)
Grafico 4.5 Successo riproduttivo nella provincia di Arezzo, per anno, sui branchi monitorati nel medesimo
anno.
4.2.4 Ritrovamento lupi morti
E’ stata, inoltre, effettuata un’analisi sulle cause di mortalità registrate negli anni di studio.
Nel periodo compreso tra l’Aprile 1998 e l’Aprile 2007, sul territorio della provincia di
Arezzo sono stati recuperati 36 lupi morti, con un massimo di 6 ritrovamenti negli anni
2002 e 2003 ed un minimo di 2 negli anni 1999, 2001 e 2004 (Grafico 4.6). La linea di
tendenza che accompagna l’andamento del numero di lupi morti, ritrovati negli anni, è una
retta.
102
y = 3,6
0
1
2
3
4
5
6
7
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
anno
nu
mero
lu
pi
mo
rti
Grafico 4.6 Numero individui ritrovati morti dall’Aprile 1998 all’Aprile 2007.
Gli esemplari trovati morti sono distribuiti in misura relativamente omogenea all’interno
della provincia, con maggior concentrazione nell’Alpe della Luna Nord e Sud, in Catenaia
e nell’Alto Tevere.
L’età dei lupi trovati morti è stata accertata in 31 individui. Tra questi, il 58% era inferiore
all’anno di età; la proporzione tra giovani e adulti non differiva significativamente dalla
proporzione giovani/adulti osservata in estate nella popolazione (test chi-quadrato: 2=0,72
gdl=1 n.s.). Il sesso degli esemplari rinvenuti è stato accertato in 30 casi. Tra questi il 53%
era di sesso maschile, non è stata riscontrata nessuna differenza significativa tra la
proporzione di maschi e femmine rinvenuti morti (test chi-quadrato: 2=0,03 gdl=1 n.s.).
I casi di mortalità, dei quali sono state accertate le cause, erano completamente dovuti a
fattori antropici, sia volontari (bracconaggio), che involontari (investimenti) (Grafico 4.7).
Il bracconaggio include morti avvenute per avvelenamento, colpo d’arma da fuoco e
laccio.
103
Casi di mortalità naturale non sono stati registrati nel periodo di studio; inoltre, il 25%
delle morti è avvenuto per cause sconosciute.
Grafico 4.7 Incidenza delle differenti cause di mortalità in 36 lupi trovati morti dal 1998 al 2007.
Inoltre, si è voluto analizzare come le differenti cause di morte impattino su individui
giovani (sotto l’anno di età) e adulti (sopra l’anno di età) e di sesso maschile e femminile
(Grafico 4.8 a e b). Come si può osservare dal Grafico 4.8, i fattori di mortalità non
sembrano influire differentemente sulle classi di sesso come confermato dalla statistica
(test di Fisher: psesso=0,5 n.s), al contrario sembrano influire diversamente sulle classi di
età, siamo infatti al limite della significatività (test di Fisher: petà=0,060 n.s.).
39%
25%
36%
BracconaggioIgnotaIncidente stradale
104
0
2
4
6
8
10
Bracconaggio Incidente stradale
cause di mortalita'
nu
mer
o l
up
i m
ort
i
Maschi
Femmine
0
2
4
6
8
10
Bracconaggio Incidente stradale
cause di mortalita'
nu
mer
o l
up
i m
ort
i
Giovani
Adulti
Grafico 4.8 Cause di mortalità in relazione alle classi di sesso a) e alle classi di età b).
b)
a)
105
In ultima analisi, considerando due intervalli temporali (periodo di caccia: agosto-marzo;
periodo di non caccia: aprile-luglio), abbiamo testato che la percentuale di lupi adulti
rinvenuti morti nel primo periodo supera di gran lunga quello del secondo (test chi-
quadrato: 2 =7,314 gdl=1 p<0,01), non sono stati considerati i giovani nell’analisi
statistica perché nel periodo di non caccia sono appena nati e tendenzialmente non
abbandonano la tana. (Grafico 4.9).
0
2
4
6
8
10
12
14
16
Caccia No caccia
periodo
nu
mer
o l
up
i m
ort
i
(Giovani(<12 mesi
(Adulti(>12 mesi
Indeterminati
Grafico 4.9 Lupi ritrovati morti (suddivisi in classi di età) nei due intervalli temporali considerati, periodo di
caccia e periodo di non caccia.
4.2.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites)
Per effettuare questo tipo di analisi, ci siamo avvalsi delle informazioni rinvenute mediante
il wolf-howling e le osservazioni dirette di adulti con cuccioli.
Sovrapponendo tutte le localizzazioni collezionate nelle estati di studio (estate 1998-estate
2007), abbiamo ottenuto, un’area, per ciascun branco, che descrive il più piccolo dei
poligoni convessi che le racchiude, ovvero il MPC (Figura 4.4). Non è stato possibile
106
creare i MPC per il branco del Chianti, perché non è mai stata accertata la riproduzione,
invece per il branco dell’Alto Tevere e per quello di Ambra e Calcione, per insufficienza di
localizzazioni (per creare un poligono ne servono almeno tre).
Come è possibile notare in Figura 4.3, tali superfici variano sensibilmente; l’area di minori
dimensioni è quella relativa al branco della Saf, la più vasta, invece, è quella relativa al
branco dell’Alpe della Luna Nord.
Figura 4.3 Rappresentazione grafica MPC dei branchi.
Le dimensioni di questi poligoni variano da un minimo di 62 mq (Saf) ad un massimo di
2613 mq (Alpe della Luna Nord), con una media di 1269 mq250 mq (Tabella 4.9), inoltre
la distribuzione delle superfici non si discosta da una distribuzione normale (Kolmogorov-
Smirnov: 0,182 p=0,2 n.s.)(Grafico 4.10).
Legenda MPC:
1=Pratomagno Sud
2=Pratomagno Centro
3=Pratomagno Nord
4=Consuma
5=Saf
6=Camaldoli
7=Vallesanta
8=Catenaia
9=Alpe di Poti
10=Lignano
11=Alpe della Luna Sud
12=Alpe della Luna Nord
13=Sasso di Simone
107
branco dimensione MPC
(mq)
Saf 62
Pratomagno Nord 92
Camaldoli 307
Sasso di Simone 606
Alpe di Poti 871
Pratomagno Centro 1244
Consuma 1252
Pratomagno Sud 1272
Lignano 1293
Alpe della Luna Sud 1778
Vallesanta 2505
Catenaia 2606
Alpe della Luna Nord 2613
MediaES 1269250
Tabella 4.9 Dimensione degli MPC dei branchi (mq).
108
Grafico 4.10 Distribuzione delle superfici degli MPC (mq) dei branchi.
In seguito, abbiamo stimato le distanze, in metri, tra i centroidi dei MPC dei branchi
contigui (Figura 4.4). Non è stato possibile calcolare le distanze Consuma-Saf, Alto
Tevere-Sasso di Simone e Alto Tevere-Alpe della Luna Sud, per assenza di localizzazioni
in contemporanea negli anni di studio (1998-2007).
d im e ns ion e M P C
0
50 0
1 00 0
1 50 0
2 00 0
2 50 0
3 00 0
(mq)
109
Figura 4.4 Distanze(m) tra i centroidi dei MPC dei branchi contigui.
Come mostra la Tabella 4.10, le distanze tra branchi adiacenti variano da un minimo di
4349 m, tra il branco dell’Alpe della Luna Nord e Sud; ad un massimo di 18631 m, tra il
branco di Catenaia e quello dell’Alpe di Poti, con un valore medio di 11165 m 1046 m.
Legenda delle distanze:
1= Pratomagno Sud-Pratomagno
Centro
2= Pratomagno Centro-Pratomagno
Nord
3= Pratomagno Nord-Consuma
4= Saf-Camaldoli
5= Camaldoli-Vallesanta
6= Vallesanta-Catenaia
7= Catenaia-Alpe di Poti
8= Alpe di Poti-Lignano
9= Alpe della Luna Nord-Alpe della
Luna Sud
10= Alpe della Luna Nord-Sasso di
Simone
11= Alto Tevere-Vallesanta
110
branchi contigui distanza tra i centroidi di
MPC adiacenti(m)
Alpe della Luna Nord-Alpe della Luna Sud 4349
Consuma-Saf 6640
Alpe della Luna Sud-Alto Tevere 9023
Pratomagno Sud-Pratomagno Centro 9346
Vallesanta-Catenaia 9410
Alpe di Poti-Lignano 9586
Saf-Camaldoli 10042
Pratomagno Nord-Consuma 10160
Pratomagno Centro-Pratomagno Nord 10573
Alpe della Luna Nord-Sasso di Simone 12867
Alto Tevere-Vallesanta 13301
Alto Tevere-Sasso di Simone 15118
Camaldoli-Vallesanta 17267
Catenaia-Alpe di Poti 18631
Media ES 111651046
Tabella 4.10 Distanze (m) tra i centroidi di MPC contigui.
In base alle misurazioni delle distanze tra i siti di allevamento dei cuccioli, calcolate
annualmente, è stato possibile verificare, come descritto dal Grafico 4.11, che le distanze
tra i branchi adiacenti non variano significativamente nel corso degli anni (Kruskal-Wallis:
9,671 p=0,378 n.s.).
111
Grafico 4.11 Confronto tra le distanze di branchi contigui per ciascun anno di studio.
Inoltre, è emerso che il confronto tra le distanze di branchi adiacenti non varia
significativamente (Kruskal-Wallis: 18,262 p=0,051 n.s.) (Grafico 4.12). Ogni box-plot
rappresenta l’insieme delle distanze di 2 branchi contigui, misurate nei 10 anni di studio.
Outliers are hidden
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
anno
5000
10000
15000
20000
25000
dis
tan
za (
met
ri)
112
Outliers are hidden
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
branchi contigui
5000
10000
15000
20000d
ista
nza
(m
etri
)
Grafico 4.12 Confronto tra distanze di branchi adiacenti.
Legenda dei branchi contigui:
1= Pratomagno Sud-Pratomagno Centro
2= Pratomagno Centro-Pratomagno Nord
3= Pratomagno Nord-Consuma
4= Saf-Camaldoli
5= Camaldoli-Vallesanta
6= Vallesanta-Catenaia
7= Catenaia-Alpe di Poti
8= Alpe di Poti-Lignano
9= Alpe della Luna Nord-Alpe della Luna Sud
10= Alpe della Luna Nord-Sasso di Simone
11= Alto Tevere-Vallesanta
113
Infine, si è voluta correlare la dimensione dei MPC di ciascun branco con il successo
riproduttivo corrispondente e con il numero di lupi ritrovati morti nell’area che ricalca
approssimativamente il territorio di quel branco (Tabella 4.11).
branco
dimensione
MPC (mq)
successo
riproduttivo (%)
mortalità (%)
Camaldoli 62 100 3
Alto Tevere 92 13 15
Lignano 307 75 3
Alpe della Luna Sud 606 60 15
Sasso di Simone 871 56 3
Pratomagno Nord 1244 43 0
Ambra e Calcione 1252 100 6
Pratomagno Centro 1272 75 6
Alpe di Poti 1293 75 6
Alpe della Luna Nord 1778 89 12
Vallesanta 2505 90 9
Catenaia 2606 100 12
Pratomagno Sud 2613 78 3
Saf - 75 0
Consuma - 100 6
Chianti - 0 3
Tabella 4.11 Confronto della dimensione di MPC(mq), con il successo riproduttivo(%) e la mortalità(%) per
ciascun branco monitorato su tutto il periodo di studio.
114
Sulla base di tali dati, si è voluta investigare la possibile relazione tra queste variabili.
Come mostrato dal Grafico 4.13 a) non sussiste nessuna correlazione tra la dimensione
dell’MPC e il successo riproduttivo del branco corrispondente (Kruskal-Wallis: 3,769
p=0,152 n.s.), né tantomeno tra la dimensione dell’MPC e la mortalità registrata nel
territorio del branco relativo (Kruskal-Wallis: 1,454 p=0,483 n.s.) (Grafico 4.13 b).
Outliers are hidden
0 1 2 3
successo riproduttivo (%)
500
1000
1500
2000
2500
dim
ensi
on
e M
PC
a)
Legenda del successo
riproduttivo (%):
1= tra 25-50%
2= tra 50-75%
3= tra75-100%
115
Grafico 4.14 Dimensioni degli MPC (mq) in relazione al successo riproduttivo (%) dei branchi
corrispondenti a) e in relazione alla mortalità (%) delle territorio dei branchi relativi b).
Outliers are hidden
0 1 2 3
lupi morti (%)
500
1000
1500
2000
2500
dim
ensi
on
e M
PC
b)
Legenda dei lupi morti
(%):
1= tra 0-5%
2= tra 5-10%
3= tra 10-15%
116
5 Discussione
In Italia è stato possibile seguire, nel corso degli anni, l’influenza dei grandi mutamenti
sociali ed economici sulla situazione demografica e distributiva del lupo.
Il predatore, sino alla seconda metà del Settecento, era diffuso su tutto il territorio italiano.
In seguito, il progressivo incremento della popolazione umana influì in maniera
preponderante sulla probabilità di sopravvivenza del predatore selvatico.
L'uomo e le sue attività modificarono intensamente gli habitat occupati dal predatore: i
boschi di pianura furono i primi ambienti naturali ad essere sfruttati e profondamente
intaccati; questo portò di conseguenza ad una drastica riduzione degli ungulati selvatici
(prede naturali del lupo) che popolavano tali ambienti.
Tale fenomeno non ebbe proporzioni e conseguenze simili in tutti i settori dell’Italia. La
Pianura Padana rappresenta il settore dove per primo il lupo scomparve. Infatti, sebbene la
specie continuò ad essere segnalata per tutta la seconda metà del settecento, alla fine del
secolo, era ridotta a pochi esemplari. Le ultime uccisioni registrate nella pianura lombarda
(provincia di Milano e di Pavia) sono del 1811-1820 (Oriani, 1993), mentre quelle della
pianura piemontese (provincia di Novara e di Torino) risalgono al 1820-1830.
Le aree prealpine ed alpine continuarono ad ospitare il lupo sino alla fine del
diciannovesimo secolo. La scarsità di prede selvatiche costrinse il lupo a rivolgere la
propria attenzione verso gli animali domestici innescando così un inevitabile ed intenso
conflitto con l'uomo. Il lupo venne intensamente perseguitato e sterminato su tutto l'arco
alpino: nel 1923 fu abbattuto uno degli ultimi lupi in provincia di Cuneo.
L’areale agli inizi del ‘900 era limitato ai settori montuosi della catena appenninica
dall’Emilia Romagna alla Calabria, ma la spietata persecuzione ad opera dell’uomo lo
portò ad una ulteriore contrazione.
Sebbene le uccisioni dirette abbiano contribuito al suo declino, il continuo incremento
della popolazione umana, la conseguente scomparsa dei requisiti ecologici indispensabili
117
alla sua sopravvivenza in gran parte del territorio e lo sterminio degli ungulati selvatici (le
sue prede naturali) sono i fattori più importanti che ne hanno determinato la riduzione
numerica.
Anche nella restante porzione della penisola la specie si è progressivamente rarefatta fino
a raggiungere il minimo storico intorno agli anni ’70: sopravvivevano non più di 100
esemplari localizzati quasi esclusivamente nelle regioni appenniniche più impervie e
inaccessibili (Zimen e Boitani, 1975).
La presenza del lupo nella provincia di Arezzo in quegli anni è stata oggetto di opinioni
contrastanti. Per Cagnolaro e collaboratori (1974), la specie non si è mai estinta
completamente ma ha mantenuto un piccolo contingente costituito da individui isolati o
piccoli gruppi, mentre per altri ricercatori, non era più presente nel tratto dell’Appennino
tosco-romagnolo ma sopravviveva al di sotto dei Monti Sibillini (Zimen e Boitani, 1975).
Questi nuclei relativamente isolati sono sopravvissuti sfruttando risorse di origine
antropica (rifiuti nelle discariche) (Ragni et al., 1985) e modificando le proprie abitudini
alimentari; infatti, per la scarsità di prede selvatiche, sono stati costretti a predare animali
domestici incrementando così l’ostilità degli allevatori nei loro confronti.
Nel Luglio 1971 è stato emanato un decreto ministeriale speciale, con validità biennale,
che prevede il divieto di attività venatoria a carico del lupo su tutto il territorio nazionale.
Tale divieto fu rinnovato nel 1973 con un decreto a validità triennale e infine, nel 1976, la
specie fu dichiarata legalmente protetta e sono state rese illegali le esche avvelenate, i
lacci, le trappole, ecc.. la legge nazionale 968/77 e la successiva 157/92 hanno
definitivamente dichiarato il lupo specie pienamente e particolarmente protetta, condizione
ribadita dall’ultimo D.P.R. 357/97 (attuazione della direttiva 92/43/CEE). A partire da quel
momento, in concomitanza anche all’aumento demografico delle prede naturali soprattutto
cinghiale e capriolo, la situazione è andata gradualmente migliorando portando la specie ad
un’espansione geografica e numerica.
118
Il processo di colonizzazione, avvenuto negli anni successivi, è in parte dovuto al diffuso
fenomeno di abbandono della montagna e della collina da parte della popolazione umana e
alla conseguente naturalizzazione di molte aree, nonché alla ricomparsa e al successivo
incremento delle popolazioni di ungulati selvatici; come anche alla realizzazione di una
rete di aree protette.
Il segreto della sopravvivenza di questa specie risiede inoltre nell’elevata adattabilità
(ecologia alimentare di tipo opportunistico e spiccata prolificità) e di una notevole capacità
di dispersione che caratterizzano questa specie.
Un’indagine condotta nei primi anni ‘80, evidenziava un’espansione dell’areale di
distribuzione del lupo (Boscagli, 1985a). In quel periodo la specie era già presente sulla
gran parte dei rilievi appenninici: Appennino tosco-emiliano e tosco-romagnolo, Toscana
centro-meridionale (Maremma), Monti Sibillini (Marche sud-occidentali e Umbria) e
Monti della Laga (Lazio-Abruzzo), Umbria meridionale e Monti Reatini (Lazio), Monti
del Tolfa (Lazio), gruppo del Velino-Sirente fino al Gran Sasso (Abruzzo), Massiccio della
Maiella, Parco Nazionale d’Abruzzo, Monti Simbruini e catena delle Mainarde (Abruzzo,
Lazio, Molise), alto Molise, Catena dei Monti del Matese (Molise, Campania, Puglia),
Monti Piacentini (Campania), Monti Raparo, Sirno-Papa (Basilicata occidentale),
Massiccio del Pollino e catena costiera (Basilicata sud-occidentale, Calabria settentrionale)
e infine Monti della Sila e Aspromonte (Calabria).
In provincia di Arezzo, alla fine degli anni ’80, la presenza di branchi di lupo era stata già
documentata lungo la dorsale appenninica (dal monte Falterona fino all’Alpe della Luna)
(Apollonio comm. pers.) e nei successivi anni tale presenza si concretizzò ulteriormente
(Mattioli et al., 1995).
119
Dal presente studio emerge che la popolazione di lupo residente nella provincia di Arezzo,
è pressoché stabile da dieci anni a questa parte. Infatti, il numero di branchi monitorati è
oscillato tra gli 8 e i 14 con una densità media di 0,5 0,03 branchi ogni 100 kmq.
In generale la dimensione media dei branchi monitorati in estate è stata di 4 lupi, sebbene
siano stati osservati branchi costituiti da 8 individui.
Durante l’intero periodo d’indagine, il numero di lupi annualmente presente sul territorio
provinciale è oscillato tra 38 e 56 individui (media ES: 46 2,5). Durante il corso dello
studio è stata registrata una lieve tendenza positiva del numero di lupi.
La dimensione del branco in Italia varia considerevolmente da settore a settore.
Nei settori di recente colonizzazione come le Alpi Occidentali e in particolare in Valle di
Susa (provincia di Torino) sono stati registrati valori elevati: fino a 9 lupi (Gazzola et al.,
2007). In un settore dell'Appennino settentrionale (Orecchiella, provincia di Lucca), la
dimensione media di un branco di lupi monitorato dal 1990 al 1999 era di 3,7 lupi (Ciucci
e Boitani, 1999b).
Valori estremamente ridotti rispetto a quelli riscontrati sulla restante porzione della catena
appenninica sono stati rilevati nel Parco Nazionale del Pollino (Liccioli, 2004). Infatti, la
dimensione media invernale dei branchi è di 2,6 lupi.
Anche in Europa viene evidenziata una certa variabilità: la dimensione media dei branchi
varia da 2 a 7 individui (Okarma et al., 1998: Poulle et al., 1997).
Nel Parco Nazionale del Mercantour, in Francia, il valore medio è di 4,9 lupi per branco
(Poulle et al., 1997), mentre in Polonia, nella foresta di Bialowieza, si sono riscontrati
valori tra i 4,0 e i 5,3 individui per branco (Jedrzejewska et al., 1996; Okarma et al., 1998;
Jedrejewski et al., 2000).
In uno studio condotto in Slovacchia, la dimensione media dei branchi è di 5,7 esemplari
(Findo e Chovancová, 2004), mentre nelle porzioni più orientali dell’Europa si riscontra un
120
aumento della dimensione del branco: infatti sia in Georgia che in Russia, in media sono
presenti 7-8 lupi per branco (Kudaktin, 1979; Kaleckaya e Filonov, 1987).
In Nord-America si riscontra una maggiore misura del grado di aggregazione. Infatti, la
composizione media di ciascun branco è di circa 7 individui (Mech, 1970) e può variare
dai 2 ai 21 individui, anche se gruppi composti da più di 13 esemplari sono rari (Zimen,
1976). Tuttavia, sono riportati casi eccezionali come quello di un branco segnalato in
Alaska composto da 36 individui (Rausch, 1967) e gruppi di 20-22 lupi presenti sull’Isle
Royale nel Lago Superiore, Stato del Michigan (Jordan et al., 1967). Si tratta ad ogni modo
di eventi eccezionali, lo stesso Rausch (1967) infatti riporta che il 28% dei 1357
avvistamenti riguardavano branchi con al massimo 7 individui.
La dimensione dei gruppi di individui che cacciano sembra avere un effetto positivo sul
successo di caccia di diverse specie di carnivori predatori africani quali: i leoni, le iene e i
licaoni.
Al contrario nei lupi, non è stata evidenziata nessun tipo di correlazione tra successo di
caccia e grandezza del branco, persino su prede di grandi dimensioni come l’alce (Sand et
al., 2006).
Infatti, se in passato la tendenza all’aggregazione nel lupo e in altri carnivori sociali, è stata
interpretata come adattamento specifico al ruolo di predatori di grossi mammiferi (Bekoff e
Wells, 1980; Zimen, 1976), attualmente l’ipotesi più accreditata è quella della kin
selection: gli adulti investono sui figli attraverso la condivisione del cibo in surplus e
attraverso l’insegnamento, in modo da massimizzare l’efficienza energetica
nell’ereditarietà genetica (Schmidt e Mech 1997).
La disponibilità delle prede rappresenta un fattore fondamentale che interviene nella
regolazione del branco, influenzando direttamente il tasso di sopravvivenza e di
121
produttività dell'unità familiare e indirettamente l’intensità della competizione tra i membri
del gruppo e il tasso di dispersione (Zimen, 1976). Inoltre nei settori maggiormente
antropizzati, le uccisioni dirette operate dall'uomo potrebbero costituire un fattore
regolatore della dimensione del branco (Boitani e Ciucci, 1993).
La provincia di Arezzo ospita una comunità di ungulati selvatici ricca e diversificata. Sono
infatti presenti ben 5 differenti specie: capriolo, cinghiale, cervo, daino e muflone.
Nell’insieme la densità media è estremamente elevata (844 individui/100kmq). Simili
considerazioni possono essere fatte per la densità di biomassa di ungulati selvatici
disponibile al lupo: 812 kg/kmq (Capitani, 2005; Apollonio e Mattioli, 2006).
Tali condizioni ecologiche fan sì che la disponibilità di prede selvatiche non rappresenti
attualmente un fattore limitante per la crescita demografica del lupo nella provincia di
Arezzo (Capitani, 2005).
L’elevato successo riproduttivo dei branchi, monitorato nel corso della presente indagine, è
sicuramente relazionato all’elevata disponibilità trofica. Ogni anno, infatti, è stata accertata
la presenza di nuovi nati nella maggior parte dei branchi monitorati. Il successo
riproduttivo medio annuale dei branchi è stato infatti del 70%.
Il numero di lupi presenti annualmente è variato da 38 a 56 individui (media ES: 46
2,5), mostrando una lieve tendenza positiva nel corso del decennio d’indagine (1998-
2007). Come termine di confronto, è interessante riportare la situazione lupo in Regione
Piemonte (area di nuova colonizzazione da parte del lupo).
Dal Rapporto annuale del Progetto Lupo Piemonte (A.A.V.V., 2007), emerge che, dal
1999 al 2007, il numero complessivo di lupi presenti è aumentato da 28 a 44 individui.
Nonostante il numero di lupi e di branchi presenti in Piemonte è paragonabile a quello
della provincia di Arezzo, la superficie piemontese monitorata è nettamente più ampia a
quella aretina.
122
Il drastico incremento numerico di lupi, riscontrato negli ultimi anni in Piemonte, è
riconducibile al fatto che attualmente la Regione rappresenta un’area di nuova
colonizzazione. Per contro, in provincia di Arezzo, la presenza del lupo è ormai
consolidata da almeno 30 anni e nell’ultimo decennio la specie ha quasi raggiunto la sua
capacità portante. In questa ottica le variazioni demografiche della popolazione di lupo in
provincia di Arezzo sono probabilmente influenzate in misura maggiore dalla mortalità
individuale che dalla formazione di nuovi branchi.
Nel presente studio sono state analizzate le diverse cause di morte dei 36 lupi rinvenuti nei
10 anni di studio. Il bracconaggio rappresenta il fattore più importante (39%) seguito dagli
investimenti stradali (36%). Purtroppo nel 25% dei casi non è stato possibile risalire alle
cause di morte. Non è stata evidenziata una differente mortalità tra gli esemplari maschi e
femmine. Le diverse cause di mortalità non influiscono significativamente neanche sulle
classi di età, anche se in questo caso siamo molto vicini alla soglia di significatività. Tale
risultato potrebbe avvicinarsi al recente studio di Lovari et al. (2007), secondo cui gli
individui adulti sono più soggetti ad episodi di bracconaggio mentre i giovani sono soggetti
in maggior misura agli investimenti stradali a causa della loro maggior inesperienza e della
limitata conoscenza del territorio.
Nella presente ricerca, le cause di morte note sono completamente attribuibili all’uomo
(75%). L’analisi effettuata da Guberti e Francisci (1991) sulle cause di mortalità del lupo
in Italia dal 1984 al 1990 evidenzia che il 78% dei decessi è il risultato della diretta
persecuzione umana. Il più recente studio effettuato da Lovari et al. (2007) mostra tuttavia
che, in questi ultimi 30 anni, la specie è sopravvissuta al pericolo dell’estinzione
nonostante le pesanti perdite afflitte al predatore.
Nonostante l’elevato numero di decessi rinvenuto durante gli anni d’indagine, la stabilità
della popolazione di lupi nella provincia di Arezzo non sembra aver subito alterazioni
rilevanti (Apollonio e Mattioli, 2006).
123
La pressione operata dall’uomo sulla popolazione di lupo non sembra aver influito
significativamente sulla distribuzione spaziale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-
vous sites).
I siti di allevamento dei cuccioli si trovano generalmente nel centro del territorio del
branco. Tale posizione risulta favorevole poiché consente ai lupi di minimizzare la distanza
di spostamento tra un qualsiasi punto del proprio territorio e il rendez-vous site (Ciucci e
Mech, 1992). Inoltre è stato osservato, che in queste aree il disturbo antropico (presenza
umana, densità di strade) è grandemente ridotto e la vegetazione è più fitta (Ciucci et al.,
1997; Capitani et al.,2006).
Se non vi sono fonti di disturbo i siti di allevamento dei cuccioli possono essere riutilizzati
anno dopo anno. Inoltre, un branco può avere uno o più rendez-vous sites nella stessa
stagione (Schmidt et al., 2007), tuttavia ve ne è sempre uno preferito (Makridin, 1959;
Mech e Packard, 1990). Il forte impatto antropico può grandemente influenzare il
riutilizzo, da parte del branco, del medesimo sito di allevamento dei cuccioli (rendez-vous
sites).
Nel presente studio, infatti, la dispersione dei siti di allevamento di ciascun branco è stata
valutata misurando la superficie del minimo poligono convesso (MPC) che inscrive le
localizzazioni dei rendez-vous sites. Tale superficie varia notevolmente da branco a branco
ed in media è risultata pari a 12,70,2 kmq, tuttavia la dispersione dei siti appare ridotta e
focalizzata a settori tradizionali.
Inoltre, la distribuzione dei siti di allevamento dei cuccioli appare strettamente associata
alle aree in cui il divieto di caccia è totale (Apollonio e Mattioli, 2006; Capitani et al.,
2006). In tal senso, è importante sottolineare l’importanza del mantenimento e della
corretta gestione di una rete di aree protette. Tale rete, infatti, contribuisce al mantenimento
di una popolazione vitale di lupo fornendo protezione e stabilità ai siti di riproduzione.
124
Un altro parametro che conferma la stabilità dei rendez-vous sites è la distanza che
intercorre tra i siti di allevamento dei cuccioli di branchi contigui. Infatti, nella presente
analisi le distanze si sono mantenute stabili nell’arco dell’intero periodo d’indagine. La
distanza media tra branchi limitrofi osservata è di 11,2 1,1 km.
Risultati simili sono stati ottenuti sia nel Minnesota (Fuller e Sampson, 1988) sia in
Polonia (Theurkauf et al. 2003), dove l’ordine di grandezza era di 10-15 km.
Tale fenomeno aggiunto alla distribuzione omogenea dei siti di riproduzione sul territorio
disponibile, suggerisce che potremmo trovarci in una situazione prossima alla saturazione
dell’ambiente.
In conclusione è possibile affermare che la provincia di Arezzo ricopre un’importanza
strategica per la conservazione del lupo, in quanto ha contribuito e contribuisce al
mantenimento della vitalità e diffusione della popolazione di lupi in Italia: non solo
rappresenta un’area con una densità elevata del predatore, ma rappresenta anche un centro
importante di diffusione della specie (Scandura et al., 2001; Apollonio et al., 2004;
Capitani 2005; Capitani et al., 2006).
Tale affermazione viene ulteriormente confermata da recenti studi genetici: i lupi di tale
porzione appenninica presentano caratteristiche intermedie fra quelli dell’Abruzzo e gli
individui neo-insediati sulla dorsale alpina (Scandura et al., 2001; Apollonio e Mattioli,
2006).
125
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