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Matricola n. 0000359196
ALMA MATER STUDIORUM
UNIVERSITA' DI BOLOGNA
FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA IN CONSULENTE DEL LAVORO E DELLE
RELAZIONI AZIENDALI
MODELLO ORGANIZZATIVO E TUTELA DELLA SALUTE NEGLI
ACCORDI FIAT
Tesi di laurea in Diritto della sicurezza del lavoro
Relatore Presentata da Prof.ssa Patrizia Tullini Francesco Capurso
Sessione II
Anno Accademico 2010/2011
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INDICE
CAPITOLO 1: INTRODUZIONE .................................................................................................. 5
Paragrafo 1.1: obiettivo ................................................................................................................. 5
Paragrafo 1.2: gli accordi di stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e Mirafiori ............................. 6
Paragrafo 1.3: questione di legittimità delle clausole derogatorie inserite negli accordi di stabilimento Fiat Pomigliano d’Arco e Mirafiori ............................................................................. 9
Paragrafo 1.4: analisi delle deroghe adottate in Fiat ................................................................... 12
CAPITOLO 2: OGGETTO DELL’INDAGINE. CATENA DI MONTAGGIO E SISTEMA ERGO-UAS ADOTTATI IN FIAT ........................................................................................................................ 19
Paragrafo 2.1: organizzazione turni di lavoro in catena di montaggio Fiat ................................... 19
Paragrafo 2.2: organizzazione del lavoro e metodologia Ergo-UAS .............................................. 21
Paragrafo 2.3: caratteristiche della metodica Ergo-Uas adottata in Fiat ...................................... 24
Paragrafo 2.4: lavorare alla catena di montaggio Fiat, testimonianze dei lavoratori ................... 33
CAPITOLO 3: RISCHI DELLA METODICA ERGOUAS PER LA SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO 39
Paragrafo 3.1: scenario del rischio ............................................................................................... 39
Paragrafo 3.2: dati sull’andamento infortunistico ........................................................................ 43
Paragrafo 3.3: rischio specifico da stress lavoro-correlato............................................................ 49
Paragrafo 3.4: risposta individuale allo stress .............................................................................. 51
Paragrafo 3.5: indicazioni normative sulla valutazione dello stress lavoro-correlato .................... 62
Paragrafo 3.6: ripercussioni dello stress lavoro-correlato sulla produttività aziendale ................. 71
Paragrafo 3.7: precedente giurisprudenziale importante ............................................................. 74
CAPITOLO 4: CORREZIONE E RIPROGETTAZIONE DEL LAVORO .............................................. 79
Paragrafo 4.1: possibili interventi per ridurre i rischi sulla salute dei lavoratori. .......................... 79
CAPITOLO 5: ALTERNATIVE AL SISTEMA ERGO-UAS PER LA SALVAGUARDIA DEL BENESSERE DEI LAVORATORI. PARERI AUTOREVOLI ....................................................................................... 85
Paragrafo 5.1: intervista a Luciano Pero, docente di Organization Theory and Design presso il MIP – Politecnico di Milano ......................................................................................................... 85
Paragrafo 5.2: effetti positivi del coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro ... 87
CAPITOLO 6: CONCLUSIONI .................................................................................................. 97
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CAPITOLO 1: INTRODUZIONE
Paragrafo 1.1: obiettivo
Analisi dell'organizzazione del lavoro su catena di montaggio negli stabilimenti
Fiat di Pomigliano d‟Arco e Mirafiori e valutazione delle implicazioni, sulla salute
e sicurezza dei lavoratori, connesse all‟applicazione del sistema Ergo-UAS,
metodica di analisi della serie MTM (Method Time Measurement) nata negli
USA, dove è stata sviluppata presso la Westinghouse Electric nel 1946 e utilizzata
in Germania da alcune case automobilistiche (fra cui la Mercedes) dagli inizi del
2000.
La valutazione partirà dal presupposto che in Europa la salute del lavoratore è
tutelata nella sua definizione più ampia statuita dall'Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS), quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale,
non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità”.
Il nostro ordinamento sancisce l'intangibilità e l'indisponibilità assolute del diritto
alla sicurezza e alla salute dei lavoratori, in base agli artt. 32 e 41 Cost. nonché ai
sensi dell'articolo 2087 del codice civile. In particolare, secondo la previsione
codicistica, l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte
quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori.
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Paragrafo 1.2: gli accordi di stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e Mirafiori
In Fiat sono stati sottoscritti accordi aziendali, in deroga alla contrattazione
collettiva nazionale di settore, ma anche in deroga alle norme stabilite dal d.lgs.
66/2003 in tema di riposo giornaliero e settimanale.
Ulteriori deroghe, inserite in relazione al diritto di sciopero e al diritto di tutela
della salute in caso di malattia, sollevano dubbi di contrasto con principi
costituzionalmente garantiti (artt. 32 e 39 Cost.).
In questo modo, con il benestare delle rappresentanze sindacali, fatta eccezione
che per la Cgil, sono stati adottati accordi di fabbrica che hanno introdotto una
disciplina che si discosta in diversi punti dalla contrattazione nazionale,
modificando alcune norme contrattuali.
Ecco alcuni esempi di norme contrattuali inserite negli accordi di Fabbrica Italia
di Pomigliano d‟Arco del 15 giugno 2010 e nel successivo accordo Mirafiori del
23 dicembre 2010:
La quota di straordinario cui l'azienda può fare ricorso, senza preventivo
accordo sindacale, per esigenze produttive di avviamenti, recuperi o punte di
mercato, passa da 80 ore annue pro capite a 120 ore.
Per riportare il sistema produttivo dello stabilimento alle migliori condizioni
degli standard internazionali di competitività, si opererà, da un lato, sulle
tecnologie e sul prodotto e dall'altro lato, sul miglioramento dei livelli di
prestazione lavorativa con le modalità previste dal sistema WCM (World Class
Manufacturing) e dal sistema ERGO-UAS.
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Le soluzioni ergonomiche derivanti dall'applicazione del sistema Ergo-UAS
permettono, sulle linee a trazione meccanizzata, un regime di tre pause di 10
minuti ciascuna, fruite in modo collettivo nell'arco del turno di lavoro, che
sostituiscono le attuali due pause di 20 minuti ciascuna.
Con l'avvio del nuovo regime di pause, i 10 minuti di incremento della
prestazione lavorativa nell'arco del turno, per gli addetti alle linee a trazione
meccanizzata e per gli addetti alle linee "passo-passo", saranno monetizzati
…………
Per contrastare le "forme anomale di assenteismo" (per tali intendendosi le
assenze giustificate come malattia in occasione di eventi non riconducibili a
forme epidemiologiche, quali "astensioni collettive dal lavoro", manifestazioni
esterne, messa in libertà per causa di forza maggiore o per mancanza di
forniture), le parti, nel caso in cui la percentuale di assenteismo sia
"significativamente superiore alla media", individuano quale modalità efficace
la non copertura retribuita a carico dell'azienda dei periodi di malattia correlati
al periodo dell'evento.
Per i periodi previsti a metà retribuzione dal C.C.N.L. Metalmeccanici
l'azienda integrerà il trattamento di malattia fino all'80% della retribuzione
globale netta.
Tutte le clausole sono correlate e inscindibili tra loro.
Il mancato rispetto degli impegni assunti dalle OO.SS. firmatarie e/o dalla RSU
o comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate...
liberano l'azienda dagli obblighi derivanti dall‟accordo, nonché da quelli
derivanti dal CCNL Metalmeccanici in materia di contributi sindacali e
permessi sindacali retribuiti per i componenti degli organi direttivi delle
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OO.SS. ed esonera l‟azienda dal riconoscimento delle condizioni di miglior
favore rispetto al CCNL Metalmeccanici contenute negli accordi aziendali in
materia di permessi sindacali aggiuntivi per i componenti della RSU.
I comportamenti individuali e/o collettivi dei lavoratori idonei a violare, “in
tutto o in parte e in misura significativa”, le clausole dell‟accordo producono
per l‟azienda gli stessi effetti liberatori di quanto sopra indicato.
Le parti convengono che le clausole dell‟accordo integrano la
regolamentazione dei contratti individuali di lavoro al cui interno sono da
considerare correlate e inscindibili, sicché la violazione da parte del singolo
lavoratore di una di esse costituisce infrazione disciplinare di cui agli elenchi
degli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari conservativi e ai
licenziamenti per mancanze, e comporta il venire meno dell‟efficacia nei suoi
confronti delle altre clausole.
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Paragrafo 1.3: questione di legittimità delle clausole derogatorie inserite negli accordi di stabilimento Fiat Pomigliano d’Arco e Mirafiori1
Si conviene che, in gran parte, l’impianto degli accordi Fiat, relativamente
all’orario di lavoro, si assesti nei confini della normativa italiana e perfino del
CCNL, pur estendendo al massimo i limiti della derogabilità2. Ma probabilmente
alla stessa conclusione deve pervenirsi per i punti invero più discussi nel dibattito
politico-sindacale e dottrinale, vale a dire la clausola sull’assenteismo e quella
cd. di responsabilità.
Proprio su questi punti gli accordi sono stati oggetto, non solo di differenti
valutazioni di opportunità, ma perfino di fortemente discordanti valutazioni
giuridiche, arrivando addirittura a prefigurare una loro possibile invalidità per
violazione di norme costituzionali.
È vero che l’accordo di Pomigliano, non solo segna un regresso nelle tutele dei
lavoratori, nel nome della tanto invocata flessibilità, ma ci si chiede se,
addirittura, arrivi a minare le garanzie costituzionali.
Chi ha risposto positivamente, ha dato una risposta emotiva e non meditata. Certo
non può dirsi “incostituzionale” la clausola relativa all’assenteismo, con la quale
si prevede che, «per contrastare forme anomale di assenteismo che si verifichino
in occasione di particolari eventi non riconducibili a forme epidemiologiche,
quali, in via esemplificativa ma non esaustiva, astensioni collettive dal lavoro,
manifestazioni esterne, messa in libertà per causa di forza maggiore o per
mancanza di forniture, le Parti […] individuano quale modalità efficace la non
1 Mariella Magnani, Ordinario di Diritto del lavoro, Università di Pavia.
2 V. in proposito le riflessioni di V. BAVARO, Contrattazione collettiva e relazioni industriali nell’”archetipo”
FIAT di Pomigliano d’Arco, in QRS, 2010, n.3.
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copertura retributiva a carico dell’azienda nei periodi di malattia correlati al
periodo dell’evento». Una copertura retributiva non imposta dalla legge ma
prevista dai contratti collettivi nazionali che mai hanno avuto il coraggio di
rimuoverla, sia pure parzialmente. Si potrà affermare che il lavoratore veramente
malato ne farebbe ingiustamente le spese ma, mentre il suo trattamento non ne
sarebbe complessivamente intaccato, enormi sarebbero le ricadute positive per
l’intero sistema. Peraltro, l’applicazione del meccanismo “sanzionatorio” non è
ineluttabile, essendo stata prevista la costituzione di una commissione paritetica,
«per esaminare i casi di particolari criticità a cui non applicare quanto sopra
previsto».3
Non è poi “incostituzionale” la c.d. clausola di responsabilità, su cui subito si è
concentrata l’attenzione, essendosi ravvisata in essa addirittura una violazione
del diritto di sciopero. Va innanzitutto chiarito che l’accordo, a sostegno dei
compromessi raggiunti, adotta, accanto alle clausole di inscindibilità e di
risoluzione espressa, altri meccanismi giuridici diretti a rafforzare l’effettività
delle regole attraverso un apparato sanzionatorio produttivo di costi diretti in
capo anzitutto ai soggetti collettivi, ma anche in capo ai singoli. Con riguardo
alla clausola di responsabilità essa vuole fondare e rendere effettivamente
sanzionabile l’impegno dei sindacati ad astenersi da “comportamenti idonei a
rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del piano”, in
primis dalla proclamazione (o anche dalla semplice indifferenza nei confronti) di
scioperi “contro” l’accordo, attraverso la previsione di una penalizzazione
economica per quanto riguarda la trattenuta dei contributi sindacali e i permessi
sindacali previsti dal contratto (sia nazionale sia aziendale).
3 V., sulla clausola e sui problemi interpretativi che essa solleva, E. BALLETTI, La questione “assenteismo”
nell’accordo FIAT 15 giugno 2010, relazione al Seminario di Bertinoro, 15-16 ottobre 2010.
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Si tratta di obblighi di tregua in capo alle associazioni sindacali con la
predeterminazione delle conseguenze in caso di inadempimento. Per i singoli
lavoratori, dispone invece l’art. 15 (Clausole integrative del contratto individuale
di lavoro). Prevedendo che la violazione, da parte dei medesimi, delle disposizioni
contenute nell’accordo costituirà infrazione disciplinare, essa sembra ascrivibile
al capitolo dell’adempimento inesatto o parziale della prestazione lavorativa, più
che a quello dell’esercizio del diritto di sciopero. Ma va chiarito che, anche se si
ritenesse contenere un impegno di tregua riferito ai singoli, il contrasto con l’art.
40 Cost. sarebbe tutt’altro che scontato.
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Paragrafo 1.4: analisi delle deroghe adottate in Fiat4
In tutti gli altri numerosi paesi in cui la Fiat opera, dagli USA al Brasile, dalla
Polonia alla Serbia, le condizioni di lavoro possono essere assoggettate al solo
contratto aziendale: possono, cioè, essere negoziate interamente nel luogo stesso
di lavoro e quindi adattate punto per punto alle esigenze specifiche del singolo
piano industriale. Anche in Germania, paese nel quale il sistema delle relazioni
industriali è sempre stato imperniato sulla contrattazione collettiva nazionale di
settore, oggi è consentito e largamente praticato che la singola impresa contratti
le condizioni di lavoro al proprio livello; e in tal caso è soltanto il contratto
aziendale ad applicarsi, non quello nazionale. Di fatto in Germania il contratto
collettivo nazionale funge da rete di sicurezza e da benchmark: la contrattazione
nei luoghi di lavoro è costretta a confrontarsi con lo standard nazionale, pena il
rischio di perdita di consensi tra i lavoratori, ma è giuridicamente libera di
discostarsene, per sperimentare forme diverse di organizzazione e inquadramento
professionale del lavoro, di distribuzione dei tempi di lavoro, di struttura delle
retribuzioni, ivi compresa la ripartizione tra zoccolo fisso e parte variabile in
funzione della produttività e/o della redditività aziendale.
Cinque anni fa, quando ancora le vertenze odierne di Pomigliano e di Mirafiori
erano di là da venire, la Fiat annunciò la chiusura dello stabilimento Alfa Romeo
di Arese. Fu proprio questo nostro sistema di relazioni industriali imperniato sul
principio della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale a
contribuire in modo decisivo a impedire che quello stesso stabilimento si
candidasse per l’insediamento in Italia della produzione della Micra coupé da
4 Pietro Ichino – Ordinario di diritto del lavoro, Università statale di Milano, La deroga di Marchionne, 2011
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parte della Nissan5. Questo non perché la Nissan intendesse pagare retribuzioni
inferiori ai minimi previsti dal contratto nazionale dei metalmeccanici: al
contrario, il suo piano industriale prevedeva livelli di produttività che avrebbero
consentito retribuzioni molto più alte. Il problema era che quel piano prevedeva
un’organizzazione del lavoro - la cosiddetta lean production - incompatibile con il
sistema di inquadramento professionale previsto dal nostro contratto nazionale, e
un sistema di determinazione delle retribuzioni basato sulla performance review
individuale (pur con l’assistenza del sindacalista di fiducia del lavoratore)
anch’esso incompatibile con la struttura della retribuzione stabilita dal nostro
contratto nazionale. Così stando le cose, o CGIL, CISL e UIL erano tutte e tre
d’accordo per la deroga (e non lo erano), oppure la deroga non si poteva
pattuire. E, infatti, la trattativa non fu neppure aperta. Il punto è che in Italia oggi
quasi tutti considerano la “deroga” al contratto collettivo nazionale come
sinonimo di “peggioramento delle condizioni di lavoro”, “rincorsa al ribasso”,
“concorrenza tra poveri”, “dumping sociale”. Ma le cose non stanno così: la
deroga al contratto collettivo nazionale può anche consistere in una modifica
della disciplina dei tempi di lavoro che consente all’impresa di sfruttare meglio
gli impianti e ai lavoratori di guadagnare di più; o nell’introduzione di una
franchigia in materia di trattamento di malattia che consente di sradicare un
abuso diffuso del relativo diritto, dannoso per i lavoratori stessi prima e più che
per l’impresa; oppure ancora in una diversa struttura della retribuzione,
funzionale a un aumento di produttività di cui saranno i lavoratori per primi a
beneficiare; e gli esempi di scostamenti dalla disciplina nazionale potenzialmente
vantaggiosi anche per i lavoratori potrebbero moltiplicarsi all’infinito. Questa
5 Pietro Ichino, A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005
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possibilità di migliorare le condizioni di lavoro proprio attraverso la deroga al
contratto collettivo nazionale è tanto più estesa quanto più il contratto nazionale è
vecchio e quanto maggiore è il volume normativo in esso contenuto; il nostro
contratto metalmeccanico è per nove decimi ancora quello scritto nel 1972 -
quando nelle aziende non soltanto non c’erano i pc e internet, ma neppure le
fotocopiatrici e i fax - ed è estremamente pervasivo: consta di centinaia di
disposizioni, che coprono ogni possibile aspetto del rapporto di lavoro. “Forse -
scrive Luciano Gallino su Repubblica del 4 dicembre 2010 - il problema per la
Fiat [...] è il contratto stesso. Troppo ingombrante, troppo complicato, troppo
lungo, con le sue 136 pagine di testo. La competitività esige che non solo la
produzione sia snella, ma lo siano pure i contratti”. Ma non è tanto un problema
di snellezza: è un problema di flessibilità, di adattabilità. Cambiare il contratto
nazionale è operazione lunga, complessa, suscettibile di essere compiuta soltanto
a determinate scadenze e con il consenso di numerosi altri attori; solo il contratto
aziendale consente un adattamento rapido e autogestito dalle due sole parti
interessate nel luogo di lavoro.
Identificare le clausole di un contratto collettivo nazionale con i diritti
fondamentali è scorretto: questi sono contenuti nella Costituzione e nelle grandi
convenzioni internazionali, che sono le sole fonti di regole assolutamente
inderogabili. I contratti collettivi nazionali sono diversi da settore a settore: basta
questo per escludere che le loro disposizioni possano assurgere al rango di tutele
fondamentali. L’errore della Fiom sta nell’aver denunciato l’accordo di
Pomigliano come un attentato alla legge e alla Costituzione, cioè come uno
scambio tra lavoro e diritti fondamentali. L’accordo di Pomigliano deroga al
C.C.N.L. dei metalmeccanici, ma non viola alcuna norma di legge e tanto meno di
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Costituzione o di convenzione internazionale. Si può ovviamente dissentire sulla
mia proposta di una piena derogabilità del contratto nazionale da parte di un
contratto aziendale stipulato da una coalizione sindacale che ne abbia i requisiti
di rappresentatività e radicamento territoriale; purché sia chiaro che solo di
questo si tratta: di modifica di disposizioni contrattuali e non di rinuncia a diritti
fondamentali. Certo, è ben possibile che la deroga al contratto nazionale stipulata
per un’azienda o stabilimento sia destinata a rivelarsi dannosa per i lavoratori.
Ma non si può, per paura dell’innovazione cattiva, sbarrare le porte anche a
quella buona. A meno che il vero scopo sia quello di proteggere le imprese
nazionali in un tessuto produttivo un po’ sonnacchioso dalle più dinamiche
imprese straniere (questo potrebbe spiegare la tiepida e perplessa accoglienza
delle proposte di Marchionne da parte dell’apparato di Confindustria). Forse
proprio questo è l’errore più grave in cui è caduto fin qui il movimento sindacale
italiano: col difendere la regola generale della rigida inderogabilità dello
standard fissato al livello centrale ha protetto l’imprenditoria indigena contro
l’imprenditoria più innovativa che poteva irrompere dall’esterno a turbare il
nostro tran tran nazionale. Per altro verso, non è mai prevedibile dove e come sia
destinata a presentarsi l’innovazione buona. Se non vogliamo chiudere ad essa il
nostro tessuto produttivo, abbiamo bisogno di un sindacato “intelligenza
collettiva dei lavoratori” che sia capace di valutare il piano industriale
innovativo e l’affidabilità di chi lo propone; e che, se la valutazione è positiva,
sappia guidare i lavoratori nella scommessa comune con l’imprenditore su quel
piano, negoziandone il programma di attuazione a 360 gradi. Dovremmo per
questo mandare il contratto collettivo nazionale in soffitta? Niente affatto: esso
ben può - come in Germania - conservare la funzione di benchmark e di disciplina
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applicabile per default, laddove manchi una disciplina collettiva negoziata da una
coalizione maggioritaria a un livello più prossimo al luogo di lavoro: questo è
l’assetto del sistema della contrattazione collettiva previsto nel mio disegno di
legge n. 1872/2009. E chissà che in questo modo, oltre agli investimenti di
Marchionne, non riusciamo ad attirare anche quelli di molte altre multinazionali,
che finora la vischiosità del nostro sistema di relazioni industriali ha contribuito a
tenere alla larga dall’Italia. Quale che sia la scelta dei lavoratori italiani,
sarebbe comunque il caso che la sinistra politica e quella sindacale smettessero di
gridare alla ”arroganza” e al “ricatto padronale” quando Marchionne pone
condizioni per dislocare i suoi investimenti in Italia invece che altrove. Per un
verso, se abbiamo come interlocutore (di questo calibro) solo lui e non anche altri
come Nissan, Ford, Volkswagen o Volvo, dobbiamo prendercela soltanto con le
nostre chiusure e non certo con lui né con gli altri che si tengono alla larga
dall’Italia. Ma, soprattutto, dobbiamo finalmente abbandonare l’idea che la
sottoscrizione del contratto collettivo, da parte di un’impresa o di un’associazione
di imprese, sia un obbligo. Un contratto è veramente tale solo se la sua
stipulazione è veramente libera. Corollario fondamentale del principio
contrattualistico è la possibilità che, nel caso di insuccesso della negoziazione,
alla stipulazione del contratto non si arrivi affatto. Prima di protestare contro le
condizioni poste da Marchionne per firmare un contratto con noi, quindi,
faremmo bene a chiederci perché nessun’altra multinazionale dell’automobile sia
neppure disposta ad aprire una trattativa per venire a produrre da noi.
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Leggendo le opinioni espresse dai giuslavoristi Mariella Magnani e Pietro Ichino,
emerge che le deroghe adottate in Fiat possano ritenersi pienamente legittime sotto
il profilo giuridico.
L'analisi tecnico-giuridica, tuttavia, non si estende anche alle possibili
ripercussioni sulla salute dei lavoratori destinatari delle conseguenze derivanti
dall'applicazione di queste deroghe.
Il dott. Ichino, nel sottolineare giustamente le criticità del sistema sindacale
italiano, si auspica che anche in Italia si diffonda un sistema di rappresentanza
sindacale come quello tedesco. Ma, quello che manca negli accordi di stabilimento
Fiat è proprio la peculiarità che contraddistingue il sistema contrattuale teutonico,
cioè il diretto coinvolgimento dei lavoratori nella gestione delle aziende.
Quello che secondo il mio modesto parere degrada questi accordi di stabilimento
Fiat, non sono le deroghe alla legge e alla contrattazione collettiva nazionale, ma
le modalità con cui sono stati adottati, vale a dire senza contemperare le esigenze
legittime dei lavoratori.
Concordo con il professor Ichino quando afferma che "Un contratto è veramente
tale solo se la sua stipulazione è veramente libera”, ma allo stesso tempo mi
chiedo se anche il referendum con cui gli accordi di stabilimento Fiat sono stati
approvati siano il frutto di una scelta veramente libera dei lavoratori.
La tutela della salute è imprescindibile da qualsivoglia esigenza di mantenimento
della produttività, e non può essere derogata o compromessa neppure laddove il
rischio sia la chiusura dell'azienda. Il management aziendale possiede le
competenze per organizzare e per escogitare le migliori modalità di
organizzazione del lavoro, senza intaccare minimamente la salute dei lavoratori.
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Se in Italia dovesse "passare" l'idea che le esigenze produttive possano legittimare
deroghe che comportino, anche indirettamente, conseguenze negative sulla salute
e sicurezza dei lavoratori, significherebbe non solo violare nei fatti il precetto
sancito dall'articolo 41 della Costituzione, ma soprattutto imboccare una strada
contraria rispetto a quella che un paese con 1000 morti l‟anno sul lavoro ha il
dovere di intraprendere.
Chi affronta il tema della tutela della salute nei luoghi di lavoro non può sottrarsi
ad un senso di disagio, constatando che il concetto o l'idea di "prevenzione" nei
luoghi di lavoro assomiglia alla classica tela di Penelope, mentre il diritto alla
salute, di rango costituzionale, reclama di essere tutelato a tutto campo, senza
compromessi o cedimenti.6
6 L. Montuschi, Incontro di studio su “Lavoro e salute”, Consiglio Superiore della Magistratura, Roma 2-4 maggio
2007.
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CAPITOLO 2: OGGETTO DELL’INDAGINE. CATENA DI MONTAGGIO E SISTEMA ERGO-UAS ADOTTATI IN FIAT
Paragrafo 2.1: organizzazione turni di lavoro in catena di montaggio Fiat
Negli stabilimenti Fiat di Pomigliano d‟Arco e Mirafiori, il testo degli accordi
aziendali prevede che la produzione si realizzerà con l‟utilizzo degli impianti per
24 ore giornaliere e per 6 giorni la settimana, comprensivi del sabato, con uno
schema di turnazione articolato a 18 turni settimanali.
L‟attività lavorativa degli addetti alla produzione e collegati (quadri, impiegati e
operai), a regime ordinario e ferma la durata dell‟orario individuale contrattuale,
sarà articolata su tre turni giornalieri di 8 ore ciascuno a rotazione, secondo i
seguenti orari:
primo turno dalle ore 6.00 alle ore 14.00, con la mezzora retribuita per la
refezione dalle ore 13.30 alle ore 14.00;
secondo turno dalle ore 14.00 alle ore 22.00, con la mezzora retribuita per la
refezione dalle ore 21.30 alle ore 22.00;
terzo turno dalle ore 22.00 alle ore 6.00 del giorno successivo, con la
mezzora retribuita per la refezione dalle ore 5.30 alle ore 6.00.
La settimana lavorativa avrà pertanto inizio alle ore 6.00 del lunedì e cesserà alle
ore 6.00 della domenica successiva. Lo schema di orario prevede il riposo
individuale a scorrimento nella settimana. L'articolazione dei turni avverrà
secondo lo schema di turnazione settimanale di seguito indicata: 1-3-2.
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Con lo schema di turnazione: 1-3-2, le parti hanno inteso derogare a quanto
previsto dal d.lgs. n. 66/2003 in tema di riposo giornaliero e settimanale (per es.,
qualora si termini il 2° turno del sabato alle 22,00 e si riprenda al 1° turno del
lunedì alle 6 del mattino).
Il 18° turno, cadente tra le ore 22.00 del sabato e le ore 6.00 del giorno successivo,
sarà coperto con la retribuzione afferente la festività del 4 novembre e/o con
una/due festività cadenti di domenica (sulla base del calendario annuo), con i
permessi per i lavoratori operanti sul terzo turno maturati secondo le modalità
previste dall‟accordo 27 marzo 1993 (mezzora accantonata sul terzo turno per 16
turni notturni effettivamente lavorati pari a 8 ore) e con la fruizione di permessi
annui retribuiti (P.A.R. contrattuali) sino a concorrenza.
Le attività di manutenzione saranno invece svolte per 24 ore giornaliere nell‟arco
di 7 giorni la settimana per 21 turni settimanali. L‟attività lavorativa degli addetti
(quadri, impiegati e operai) a regime ordinario, sarà articolata su 3 turni strutturali
di 8 ore ciascuno, con la mezzora retribuita per la refezione nell‟arco del turno di
lavoro a rotazione e con riposi individuali settimanali a scorrimento. L‟orario di
lavoro giornaliero dei lavoratori addetti al turno centrale (quadri, impiegati e
operai) va dalle ore 8.00 alle ore 17.00, con un‟ora di intervallo non retribuito. Per
i quadri e gli impiegati addetti al turno centrale si conferma l‟attuale sistema di
flessibilità dell‟orario di lavoro giornaliero (orario in entrata dalle ore 8 alle ore 9
calcolato a decorrere dal primo dodicesimo di ora utile).
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Paragrafo 2.2: organizzazione del lavoro e metodologia Ergo-UAS
Secondo quanto indicato negli accordi aziendali Fiat di Mirafiori e Pomigliano
d‟Arco, per riportare il sistema produttivo degli stabilimenti alle migliori
condizioni degli standard internazionali di competitività, si opererà, da un lato,
sulle tecnologie e sul prodotto e, dall‟altro lato, sul miglioramento dei livelli di
prestazione lavorativa con le modalità previste dal sistema WCM e dal sistema
Ergo-UAS.
Il sistema Ergo-Uas è finalizzato sia alla misurazione dei tempi e dei metodi di
lavoro, sia alla valutazione del sovraccarico biomeccanico relativo a tutto il corpo,
prendendo in considerazione il carico statico e dinamico, le applicazioni di forza,
le vibrazioni e la movimentazione manuale dei carichi e, conseguentemente, le
condizioni in cui si svolgono le operazioni, i cicli di lavoro e le posture degli
addetti. Il sistema di analisi Ergo-Uas si avvale di una metodologia mista, che
unisce uno strumento specifico di "metrica" del lavoro (metodica Uas, della serie
Mtm, misurazione tempi e metodi), basato sulle comuni valutazioni tempi e
metodi, con uno più prettamente ergonomico (una lista di controllo, per la
valutazione del rischio muscolo-scheletrico, denominata Eaws, European
assembly worksheet), che fornice un indice di rischio secondo una classificazione
semaforica (verde: basso; giallo: medio; rosso: elevato).
In Germania, per le postazioni di lavoro risultanti in codice rosso si pone
l'indicazione della loro revisione, mentre è previsto un salario accessorio nel caso
di codice giallo. In Italia, con l'accordo Mirafiori, ci si orienta verso il salario
accessorio anche in caso di codice rosso, invece di procedere alla riduzione del
rischio.
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I metodi per l'analisi dei rischi muscolo-scheletrici sono basati sui risultati delle
ricerche della scienza medica – come il metodo Ocra, raccomandato dalle norme
tecniche internazionali e cui fa riferimento il D.lgs. 81/2008 per la
movimentazione manuale dei carichi – e finalizzati a individuare numero e durata
delle azioni tecniche allo scopo di analizzarne la frequenza nell'unità di tempo.
L'analisi Mtm è volta, invece, a individuare il metodo di lavoro e i relativi
movimenti elementari al fine di determinare il tempo necessario per compiere
un'azione.
Sempre secondo quanto indicato negli accordi, le soluzioni ergonomiche
migliorative, derivanti dall‟applicazione del sistema Ergo-UAS, permetteranno,
sulle linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo, un regime
di tre pause di 10 minuti ciascuna, fruite in modo collettivo, nell‟arco del turno di
lavoro, in sostituzione delle attuali due pause di 20 minuti ciascuna. Sui tratti di
linea meccanizzata denominati "passo-passo", in cui l‟avanzamento è determinato
dai lavoratori mediante il cosiddetto "pulsante di consenso", le soluzioni
ergonomiche migliorative permetteranno un regime di tre pause di 10 minuti
ciascuna, fruite in modo collettivo o individuale a scorrimento, sulla base delle
condizioni tecnico-organizzative, in sostituzione delle attuali due pause di 20
minuti ciascuna. Per tutti i restanti lavoratori diretti e collegati al ciclo produttivo
le soluzioni ergonomiche migliorative permetteranno la conferma della pausa di
20 minuti, da fruire anche in due pause di 10 minuti ciascuna in modo collettivo o
individuale a scorrimento. Con l‟avvio del nuovo regime di pause, i 10 minuti di
incremento della prestazione lavorativa nell‟arco del turno, per gli addetti alle
linee a trazione meccanizzata con scocche in movimento continuo e per gli addetti
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alle linee "passo-passo" a trazione meccanizzata con "pulsante di consenso",
saranno monetizzati in una voce retributiva specifica denominata "indennità di
prestazione collegata alla presenza".
L‟importo forfettario, da corrispondere solo per le ore di effettiva prestazione
lavorativa, con esclusione tra l‟altro delle ore di inattività, della mezzora di mensa
e delle assenze la cui copertura retributiva è per legge e/o contratto parificata alla
prestazione lavorativa, per tutti gli aventi diritto, in misura di 0,1813 euro lordi
ora. Tale importo è onnicomprensivo ed è escluso dal TFR, dal momento che, in
sede di quantificazione, si è tenuto conto di ogni incidenza sugli istituti legali e/o
contrattuali e pertanto il suddetto importo forfettario orario è comprensivo di tutti
gli istituti legali e/o contrattuali.
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Paragrafo 2.3: caratteristiche della metodica Ergo-Uas adottata in Fiat
A questo punto è opportuno fare una disamina tecnica sulla metodica Ergo-Uas
adottata in Fiat.7
Come indicato nella documentazione tecnica pubblicata sul sito Internet della
SNOP - Società nazionale degli operatori della prevenzione negli ambienti di
lavoro (associazione con finalità scientifiche e culturali e con l'obiettivo di
promuovere conoscenze e attività tese al miglioramento dello stato di salute dei
lavoratori nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro), il sistema Ergo-Uas integra una
metodologia per l‟analisi “tempi e metodi” (Uas) con una checklist per la
valutazione del rischio muscolo scheletrico (Eaws).
Per definire i tempi da assegnare a un lavoratore per compiere una determinata
fase di lavoro si procede nel modo seguente:
1. Si determina il “tempo base” attraverso l‟analisi con il sistema Uas
2. Si assegna un “fattore di maggiorazione” del “tempo base” in
considerazione dei risultati ottenuti con l‟analisi del rischio ergonomico (la
checklist Eaws).
7 Francesco Tuccino, ergonomo. L'organizzazione del lavoro in Fiat e gli effetti sulla salute dei lavoratori. Tempi e
metodi di lavoro secondo il sistema Ergouas.
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Determinazione del “tempo base” con il sistema Uas
Il sistema Uas è una metodologia che:
scompone una fase lavorativa nelle operazioni elementari (ad es. prendere,
piazzare, avvitare, ecc);
individua la sequenza di operazioni (il metodo) che garantisce il maggior
livello di produttività;
determina i tempi per eseguire le singole operazioni sulla base di una tabella a
“tempi predeterminati” (la tabella Uas).
Nella tabella di calcolo del sistema Uas, sulla base di una serie di parametri
(distanza, peso dell‟oggetto, livello di difficoltà dell‟operazione, ecc), si
assegnano i tempi dei singoli gruppi di operazioni; i tempi sono calcolati in
un‟unità di misura chiamata Tmu (27,8 Tmu = 1 secondo).
Per “prendere e piazzare”, ad esempio, un oggetto che pesa meno di 1 kg, con
presa e piazzamento difficoltosi a una distanza di 60 cm, la tabella Uas assegna un
tempo di 80 tmu (2,8 sec).
Per avere un‟idea della velocità con cui sono eseguite le operazioni sulle linee di
montaggio, si può considerare un compito molto semplice: “avvitare 4 dadi su un
pezzo”.
Si tratta di un compito molto diffuso nelle fasi di lavoro del settore manifatturiero
e, in particolare, nel comparto per la produzione di mezzi di trasporto (ad esempio
nelle fasi: montaggio ruote, montaggio pannelli, alette parasole, parti del
cruscotto, ecc).
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Nell‟analisi sarà fatto un confronto tra le differenti modalità di calcolo dei tempi:
la modalità definita dall‟Accordo Fiat-sindacati del 1971.
la modalità di calcolo con il sistema ErgoUas
Per rendere ancora più comprensibili le caratteristiche del lavoro “in linea” si farà
un confronto tra gli standard di velocità delle operazioni previste dalle tabelle
UAS (la parte “tempi-metodi” di ErgoUas) e quelli previsti dalle metodologie per
l‟analisi dei rischi muscolo-scheletrici (Ocra, ecc.) che si basano sui risultati delle
ricerche della scienza medica.
Descrizione delle operazioni previste per il lavoratore nel compito “avvitare 4 dadi
su un pezzo”:
1. afferrare una manciata di dadi e posizionarli sul piano di lavoro (con la
mano sinistra)
2. posizionare 4 dadi e avvitarli (con 4 avvitamenti), uno per volta (con la
mano destra)
3. riporre i dadi eccedenti (con la mano sinistra)
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Calcolo dei tempi con la metodica ErgoUas
A. Calcolo del tempo Base
Secondo i parametri della Tabella Uas il lavoratore, per avvitare 4 dadi, compie
20 azioni con la mano destra e 2 con la mano sinistra; per compiere queste
operazioni il sistema Uas assegna al lavoratore un tempo Base di 14.5 sec (405
Tmu).
B. Calcolo del “fattore di maggiorazione” del tempo Base
Per la definizione del tempo “reale” da assegnare al lavoratore, al tempo Base
si aggiunge un “fattore di maggiorazione” (come valore in % sul tempo base)
tenendo conto sia di fattori tecnico-organizzativi (problemi tecnici, ad es.
difettosità nel filetto dei dadi, ecc.) che di fattori di rischio ergonomico (ad es.
patologie all‟apparato muscolo-scheletrico: colonna vertebrale, braccia, ecc.).
Il sistema ErgoUas assegna un “fattore di maggiorazione” tecnico-
organizzativo standard dell‟1% del tempo Base.
Il “fattore di maggiorazione” ergonomico, per il nostro esempio dei 4 dadi,
risulta zero (perché i dadi sono leggeri e il lavoratore non applica della forza
per posizionare e avvitare i dadi).
C. Calcolo del tempo finale assegnato al lavoratore:
Il tempo finale assegnato al lavoratore, quindi, si ottiene con il seguente
calcolo: Tempo Base (14.5 sec) + 0.14 sec ( 1% di 14.5) + 0 sec.(“f. magg.”
ergonomico) = 14.64 secondi.
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Calcolo dei tempi con la metodica definita dall’Accordo Fiat-sindacati del 1971
A. Calcolo del tempo Base:
secondo le tabelle MTM-TMC = 14.5 sec
B. Calcolo del “fattore di maggiorazione” del tempo Base:
Soglia minima di “fattore di maggiorazione” ergonomico (prevista per
compensare, al di là del rischio di patologie, la “fatica” del lavoro ripetitivo) =
1 sec. (7% di 14.5).
C. Calcolo del tempo finale assegnato al lavoratore:
14.5 sec. (tempo Base) +1 sec. (“f. magg.”) = 15.5 secondi.
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Confronto del calcolo dei tempi tra la metodologia definita dall’Accordo
Fiat-sindacati del 1971 ed ErgoUas
Con la metodologia ErgoUas si ottiene una riduzione di circa il 6% del tempo
finale assegnato al lavoratore (da 15.5 sec. a 14.64 sec.) che, di conseguenza,
corrisponde ad aumento del 6% della velocità dei ritmi di lavoro.
Proiettando quest‟aumento della velocità dei ritmi di lavoro in un‟intera fase di
lavoro di 70 sec. (la durata media di una fase di lavoro sulle linee di montaggio
Fiat) si ottiene una riduzione del tempo finale assegnato di 4.2 sec. (6% di 70 sec).
La riduzione del tempo finale assegnato al lavoratore, per compiere una fase di
lavoro, corrisponde a un “guadagno” per la Fiat di circa 27 minuti di lavoro in più
con lo stesso salario (6% di 450 min.).
In media, quindi, con ErgoUas la Fiat ottiene, in un turno di lavoro e per ogni
lavoratore, un aumento del 6% della velocità dei ritmi di lavoro e circa 27 minuti
di lavoro in più con lo stesso salario.
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Confronto dei tempi base assegnati da Uas con i tempi standard della
metodologia Ocra (ricerca medica).
Per avere un‟idea della velocità dei tempi per compiere questo compito (avvitare 4
dadi) si può fare un confronto con i tempi standard previsti dalla metodologia
OCRA, raccomandata dalla Norma ISO 11228/3, e dall‟allegato 33 del D.lgs.
81/08, per la valutazione del rischio di patologie muscolo-scheletriche agli arti
superiori.
La metodologia Ocra considera come velocità di lavoro standard, per evitare i
rischi di patologie, quella di 30 azioni al minuto.
Calcoliamo adesso la frequenza az/min per il compito prima descritto
(avvitamento 4 dadi) per il braccio destro.
Bisogna premettere che, in questo caso, le 20 azioni Uas corrispondono a 26
azioni “tecniche” calcolate secondo il metodo Ocra.
Il calcolo della frequenza az/min si compie con la seguente formula:
N° azioni effettuate *60/durata ciclo.
Nell‟esempio abbiamo: 26*60/14.5 = 107 azioni al minuto.
Il tempo base standard previsto dalla metodologia Uas, quindi, è di circa 3.5
volte superiore rispetto a quello previsto dalle metodologie per il calcolo dei
rischi per la salute dei lavoratori (107 azioni al minuto contro 30 az/min).
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Con la metodica Ergouas sembrano riaffiorare i concetti svolti da Taylor al tempo
dei primi tentativi di organizzazione scientifica del lavoro e di cronometraggio.
Taylor mirava alla riduzione dei tempi di lavorazione, mediante l‟eliminazione di
tutti i tempi passivi, cioè di tutti i tempi non strettamente necessari per
l'esecuzione dei singoli movimenti, dopo che questi movimenti erano stati studiati
come i movimenti più semplici e rapidi per l'esecuzione del lavoro.
Era perciò da ritenersi che se una volta si poteva svolgere una fase lavorativa
elementare in un tempo minimo, doveva sempre essere possibile eseguirla in quel
tempo minimo, o per lo meno tendere a raggiungere quel tempo. E, poiché una
lavorazione è costituita da una somma di fasi lavorative elementari, doveva essere
possibile eseguire quella lavorazione in un tempo pari alla somma dei tempi
minimi rilevati per quelle singole fasi, o perlomeno tendere a raggiungere un
tempo pari a quella somma.
Ogni aumento rispetto a un tale tempo, doveva attribuirsi: o all‟esecuzione
scorretta dei movimenti (e cioè all'inserzione di movimenti inutili), o a un
rilassamento del ritmo di lavoro.
Queste conclusioni sono però errate e non tengono conto dei caratteri concreti del
lavoro umano.
Il lavoro umano, come del resto ogni manifestazione biologica, è per sua natura
soggetto a oscillazioni, per cui i tempi di esecuzione, di un'operazione ripetuta più
volte, presentano variazioni più o meno ampie.
Non esiste ad esempio, in un gruppo omogeneo di individui umani, una statura
minima, una minima acuità visiva, o un minimo tempo di reazione, ecc.,
suscettibili di incidentali aumenti; ma esistono invece una statura, un‟acuità
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visiva, un tempo di reazione, ecc. medio o normale, attorno al quale si
distribuiscono, con scostamenti in più o in meno, i vari valori effettivi.8
Da un punto di vista soggettivo la fatica è il senso di pena che accompagna il
lavoro umano, quando il lavoro stesso superi un dato livello di capacità
individuale, e quando esso sia protratto oltre un dato limite.
Da un punto di vista obiettivo, la fatica invece è senz'altro la diminuzione di
rendimento che si determina nel lavoro umano, in funzione dello sforzo
precedentemente esercitato, sia per l‟intensità sia per la durata di un tale sforzo.
Ne è un caso tipico la diminuita contrattilità di un singolo muscolo o fascio
muscolare, in seguito a una successione di contrazioni, in funzione della rapidità
di quella successione e dell‟intensità delle contrazioni stesse; ma ogni altra forma
di lavoro, manuale o mentale, presenta fenomeni del tutto analoghi. Soltanto la
fatica in senso obiettivo è direttamente ed esattamente misurabile. Sussiste
naturalmente una certa correlazione fra fatica soggettiva e fatica obiettiva, poiché
la fatica soggettiva è avvertita come senso dell‟impossibilità di perdurare nello
sforzo imposto dal lavoro, e cioè come bisogno di riposo. Tuttavia quando il senso
di fatica si produce in forma esplicita e intensa, le possibilità di rendimento sono
già assai fortemente compromesse, mentre si possono avere, e si hanno senz'altro
normalmente, abbassamenti nel livello del rendimento, senza che soggettivamente
si avverta fatica, e talora senza che neppure la diminuzione del rendimento sia
soggettivamente notata.9
8 Psicologi in fabbrica, la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, 1980, Cesare Musatti. Cap. 2 par. II,
tempo minimo e tempo medio. 9 Psicologi in fabbrica, la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, 1980, Cesare Musatti. Cap. 2 par. VII, il
cosiddetto effetto stancante.
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Paragrafo 2.4: lavorare alla catena di montaggio Fiat, testimonianze dei lavoratori
Secondo la Fiat, l'adozione del sistema Ergo-Uas sarà in grado non solo di
aumentare la produzione ma anche di ridurre l'affaticamento fisico dei lavoratori
al punto da permettere una riduzione delle pause precedentemente previste.
Evidentemente, i lavoratori che giornalmente sono impegnati sulle catene di
montaggio hanno una diversa opinione sul loro stato di affaticamento fisico
dovuto all'attività lavorativa ripetitiva svolta in Fiat, come risulta dal testo di
un‟intervista pubblicata sulla rivista telematica mensile “Casablanca” di Graziella
Proto a una lavoratrice Fiat di nome Mary, operaia da catena di montaggio:
«La catena di montaggio non si ferma mai, si ferma solo quando ci sono i cambi
collettivi. Si cammina sempre. Noi lavoriamo camminando. Camminiamo assieme
alla linea e facciamo la nostra lavorazione. Chilometri e chilometri al giorno.
Camminare, camminare, camminare lavorando. Camminare, camminare,
camminare per un’ora e mezza e ritorni alla tua postazione.
I dieci minuti di pausa, stabilita dall’ASL diventano una specie di salvavita. Sono
fondamentali per continuare a lavorare.
All’inizio arrivi a casa e ti sembra che cammini tutto, il pavimento, le pareti… se
ti sdrai sul letto e chiudi gli occhi per rilassarti, sembra che tutto cammini…, poi
negli anni ti abitui a questo sistema…, ma i primi tempi sono tremendi.
Voglio riposarmi perché il mio corpo ha bisogno di quei dieci minuti di riposo
fisiologico per riprendere a lavorare. Sono vitali assieme alla pausa mensa che
vorrebbero spostare a fine turno. Il problema non è solo lavorare per sette ore e
mezzo senza mangiare, quanto il fatto di un’interruzione fisiologica. Interrompi
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trenta minuti per il pranzo e poi riprendi a lavorare con maggior efficienza,
efficacia, presenza.
Non è un caso che a stabilire questa tipologia di intervalli sia stata l’ASl dopo
aver verificato che troppi lavoratori si ammalavano per lo stress. Una situazione
difficile da capire se non si vive. E’ veramente dura, credetemi».
Chi fa un lavoro sa che cosa lo aiuta a riuscire, sa quali difficoltà incontra, ha le
sue opinioni su che cosa si potrebbe fare per migliorare la sua riuscita e le sue
condizioni.10
Il lavoro mette alla prova la calma, la pazienza. Esige concentrazione,
costanza, per prendere e tenere il ritmo.
È possibile riuscire solo se si è in buona salute e resistenti: sono impegnati e
coordinati, occhi, mani, piedi; ci si sporca; c'è il rumore.
Se si è affaticate da oneri casalinghi, se si è in salute precaria o soggette a ciclici
disturbi di efficienza, la riuscita è compromessa. I temperamenti poco attivi,
flemmatici si trovano a disagio. La statura idonea sta entro certi limiti: soprattutto,
le braccia non devono essere troppo corte. Ci vuole buona vista.
La mano deve essere leggera, sensibile, veloce. Le mancine sono controindicate.
Al rumore ci si abitua. Il senso del pericolo è attenuato dall'abitudine.11
10
Psicologi in fabbrica, la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, 1980, Cesare Musatti, i colloqui di
gruppo.
11
Psicologi in fabbrica, la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, 1980, Cesare Musatti, le qualità
richieste dal lavoro secondo le operaie.
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Descrizione della giornata tipo di Stefano Birotti, operaio e rappresentante
sindacale Fiom Cgil, addetto alla catena di montaggio della Fiat Auto di
Pomigliano d‟Arco12
:
"sveglia al massimo alle 5.00, ma questo vale solo per i "fortunati" che abitano
nelle vicinanze, mentre la maggior parte dei lavoratori è costretta ad alzarsi dal
letto alle quattro o anche alle tre del mattino per raggiungere per tempo con
l'autobus, il treno o l'auto lo stabilimento.
E questo perché alle 6.00 la catena di montaggio parte.
È bene spiegare che ci troviamo all'interno di capannoni molto grandi, dove
lavorano su un solo turno circa ottocento persone. Raggiunta la propria
postazione di lavoro, l'addetto alla linea dovrà compiere, per ogni vettura che gli
passa davanti, diverse operazioni che gli sono assegnate a seconda delle vetture
che in quella giornata l'azienda intende produrre. Al ritmo di circa 1,2 minuti a
vettura, avviterà, inserirà tappi, stenderà cablaggi e, quindi, monterà
guarnizioni, pannelli, fari, sedili, plance, vetri, ruote e quant'altro c'è in un'auto,
senza mai fermarsi.
Quanto vi ho appena descritto è riassunto in una sola parola: "ciclo di lavoro", e
cioè l'insieme delle ripetitività delle azioni che il lavoratore deve svolgere, vi
posso assicurare, a ritmi e cadenze alienanti che in molti casi sono motivo di
fattori patologici dovuti allo stress.
Non sto qui a soffermarmi sulle difficoltà in cui ci s’imbatte, piuttosto
frequentemente, per ognuno di questi singoli montaggi, ma invece voglio cercare
di rappresentare l'angosciante quotidianità della "catena di montaggio".
Al minimo intoppo: una punta dell'avvitatore consumata, un foro storto, uno
12
Pomigliano non si piega, storia di una lotta operaia raccontata dai lavoratori, 2011. Lavorare in Fiat a
Pomigliano. Una giornata operaia
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starnuto, un leggero prurito, si può compromettere la riuscita di una delle singole
operazioni. Quello che ne consegue, da parte della direzione, è un provvedimento
disciplinare per il lavoratore che pur mettendoci il massimo dell'impegno, in
questa difficile situazione, mette a rischio il suo operato con punizioni che vanno
dalla detrazione salariale alla sospensione dal lavoro, fino al licenziamento.
Alle 8.40 c'è la prima sosta di 20 minuti (notare che si tratta ancora delle due
pause di 20 minuti che con l'adozione del sistema ErgoUas si riducono a tre pause
da 10 minuti ciascuna), durante la quale il lavoratore si recherà al gabinetto, poi
prenderà un caffè e una bottiglietta d'acqua nelle aree predisposte, poi si
accenderà una sigaretta, se fuma, in un'altra area riservata all'aperto, perché,
giustamente, all'interno dei reparti è vietato fumare, e prima che riparta la
catena, alle nuove spaccate, si dovrà trovare sul proprio posto di lavoro, per non
trovarsi in difficoltà nel ricominciare a svolgere le sue mansioni.
Voglio però sottolineare che, essendo un'area molto vasta, i bagni, la zona caffè e
l'aria fumatori sono tutte distanti dal posto di lavoro di circa tre/quattro minuti
l’una dall'altra ed in caso d'affollamento il lavoratore o sarà costretto ad
accelerare o dovrà rinunciare a una delle tre esigenze e aspettare la successiva
sosta, che avverrà alle 11.30 durante i 30 minuti di pausa mensa (notare che con
l'adozione del sistema ErgoUas la pausa mensa è stata spostata a fine turno).
Vi lascio immaginare l'ansia che ogni giorno di lavoro si può accumulare in ogni
operaio addetto alla catena di montaggio Fiat.
La stessa cosa accade durante la pausa pranzo o cena. C'è però da aggiungere
che qui le distanze per arrivare nelle sale mensa sono ancora maggiori, tant'è
vero che molti colleghi ci rinunciano, e ne consegue un aumento del disagio di
cui credo di aver reso, almeno in minima parte, l'idea.
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Poi alle 12.30 c'è la seconda sosta di 20 minuti, dove si ripete tutto ciò che vi ho
appena raccontato. Infine alle 14 avviene il cambio turno, cioè squadre di
lavoratori del secondo turno sostituiscono, diciamo al volo, quelli del primo
senza che la catena si fermi, e così via, si ricomincia da capo.
È il ritorno a casa, contrariamente a quello che accade per molti altri lavoratori
che svolgono, diciamo così, mestieri più rilassanti, non lascia molti spazi
entusiasmanti alla vita sociale e al tempo libero: non si ha voglia di fare sport
perché si è stanchi, non si ha voglia di uscire perché si è nervosi, e figuriamoci di
fare shopping con i soldi che bastano a malapena ad arrivare alla fine del mese.
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CAPITOLO 3: RISCHI DELLA METODICA ERGOUAS PER LA SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO
Paragrafo 3.1: scenario del rischio
Come indicato dall‟Inail, il problema della tutela della salute dei lavoratori sta
subendo mutazioni collegate alle nuove metodologie lavorative e ad
un‟organizzazione del lavoro che “mostra una sempre maggiore vivacità ed una
necessità quasi febbrile di adattarsi ai mutamenti delle logiche politiche e di
mercato che si manifestano con frequenza quasi quotidiana.
Flessibilità, riorganizzazione e downsizing, prolungamento dell’orario di lavoro
reale, sono solo alcuni dei fattori che stanno influenzando profondamente il
mondo del lavoro, soprattutto nei contenuti e nelle modalità di relazione tra i suoi
attori.
Inevitabilmente, i rischi stessi seguono o addirittura precorrono queste
trasformazioni, sfuggendo talvolta all’analisi degli strumenti tradizionali
impiegati per il loro monitoraggio e controllo.
Lo spostamento sempre maggiore, soprattutto nei paesi avanzati, della produzione
dai beni di consumo a quella dei servizi, probabilmente si riflette in una
modificazione sostanziale dei rischi aziendali. Emergono (e non solo per
differenza) i rischi trasversali ed i loro effetti sulla psiche, rispetto ai tradizionali
rischi chimici, fisici e biologici.
Nuove forme contrattuali di lavoro, introducendo maggiore esigenza di
flessibilità, potrebbero indurre situazioni di maggiore ansia legata
all’organizzazione ed ai rapporti di lavoro” 13
13 Articolo pubblicato su www.inail.it – Sala stampa 2011 - patologia psichica da stress.
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Non a caso, con il D.M. 81 del 9 aprile 2008, pubblicato sulla G.U. 169 del 21
luglio 2008, sono state approvate le nuove tabelle delle malattie professionali
dell'industria e dell'agricoltura, che, fra le altre innovazioni, hanno visto
l'introduzione delle malattie muscolo scheletriche causate da sollecitazioni
biomeccaniche, a seguito di movimenti ripetuti e/o posture incongrue, dell'arto
superiore, del ginocchio, nonché l'ernia discale lombare da esposizione a
vibrazioni o da movimentazione manuale dei carichi.
L‟inserimento di queste tipologie di malattie professionali nelle tabelle Inail, la
dice lunga sulla reale pericolosità che lavorazioni ripetitive, come quelle svolte in
catena di montaggio, possono arrecare nel lungo periodo alla salute dei lavoratori,
sia sotto il profilo dello stress lavoro-correlato, sia per quanto concerne le
patologie muscolo scheletriche che generalmente colpiscono i lavoratori addetti
alla catena di montaggio.
Non per altro, i casi di malattie professionali riconosciute dall‟Inail procedono con
un costante incremento, in controtendenza rispetto agli infortuni che, nonostante la
situazione sia ancora molto grave, diminuiscono. Bisogna assolutamente evitare
che esigenze produttive ed estrema competitività tra aziende concorrenti, si
realizzino a scapito della salute e sicurezza dei lavoratori.
È lo stesso legislatore a riconoscere come usuranti le mansioni svolte dai
lavoratori addetti alla cosiddetta "linea catena" all'interno di un processo
produttivo in serie, contraddistinto da un ritmo collegato a lavorazioni o a
misurazione di tempi di produzione con mansioni organizzate in sequenza di
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postazioni, con cadenze brevi determinate dall'organizzazione del lavoro o dalla
tecnologia.14
L'attività dei lavoratori addetti alla catena di montaggio, già di per sé considerata
usurante, lo diventa ancor più e in maniera esponenziale laddove si svolga di
notte.
Come ogni altro animale, gli esseri umani hanno un ritmo biologico chiamato
ritmo circadiano, controllato da un "orologio biologico" che opera su base
giornaliera. Questo ritmo influenza la temperatura corporea, lo stato di veglia,
l'appetito, la secrezione di ormoni, oltre agli orari di sonno ed altro.
In senso stretto, i ritmi circadiani sono endogeni benché possano essere modulati
da stimoli esterni come la luce solare e la temperatura. La prima oscillazione
endogena circadiana fu osservata nel 1700 dallo scienziato francese Jean-Jacques
d'Ortous de Mairan che notò che i modelli di 24 ore nei movimenti delle piante
continuavano anche quando queste venivano isolate dagli stimoli esterni.
In particolare il lavoro a turni, comprendente il turno notturno, causa una
desincronizzazione dei ritmi circadiani con ripercussioni psico-biologiche e con
effetti negativi sulla salute nel breve e nel lungo termine.1516
Gli studi di cronobiologia hanno messo in evidenza che la desincronizzazione dei
ritmi circadiani, di cui il più importante è certamente il ritmo del cortisolo,
comporta la maggior incidenza di patologie della sfera psichica e di quella
digestiva.1718
14
Art. 1, 3° comma, lettera c), legge n. 247 del 2007. 15
Folkard,S. , Spelten E. , Totterdell P., Barton J. , The use of survey measure to assess circadian variations in
alertness. Sleep 1995 June Vol 18-5, 355-361 .
16
Costa G., The impact of shift and night work on health. Appl. Ergon. 1996, 27: 9-16
17
Costa G. , Lavoro a turni e salute, Medicina del Lavoro , 1999 ; 90,6 : 739-751 .
Pagina 42 di 101
L‟organizzazione del lavoro notturno dovrebbe individuare le modalità di
rotazione oraria o di turno meglio tollerate dalla maggioranza dei lavoratori, per
evitare l‟alterazione prolungata e persistente dei ritmi circadiani e concedere
adeguato riposo notturno e sufficiente integrazione nella vita familiare e sociale.
18
Costa G., The impact of shift and night work on health. Appl. Ergon. 1996, 27: 9-16
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Paragrafo 3.2: dati sull’andamento infortunistico
In merito all‟andamento delle malattie professionali nel contesto nazionale, dopo
un primo triennio (2004-2006) di sostanziale stabilità intorno ai 26.700 casi, si è
assistito ad una crescita di circa 2.000 casi (+7,4%) nel 2007 e a un ulteriore
incremento di circa 1.000 casi (+3,2%) nel 2008, anno in cui sono pervenute
all‟Inail 29.939 denunce. Nel 2009 le denunce complessive sono state 34.646 con
4.707 casi in più (+ 15,7%).
Nell‟Industria e Servizi, si concentra il 91,4% delle malattie professionali con
4.493 casi, nella gestione Agricoltura il 7,6% con 376 casi.19
Per un‟analisi sintetica delle patologie, tabellate e non, che colpiscono i lavoratori,
è sufficiente restringere il campo a meno di 20 tipi, rappresentanti comunque quasi
il 90% di tutti i casi. L‟ipoacusia e sordità si conferma come prima malattia
professionale per numero di denunce, con un‟incidenza che però diminuisce di
anno in anno, passando dal 30% del totale nel 2004 (circa 7.500 casi), al 20% nel
2008 (circa 5.700 casi). Sono infatti altre le patologie emergenti, in particolare
quelle che colpiscono l‟apparato muscolo-scheletrico: le denunce per tendiniti
(oltre 4.000 nel 2008) e le affezioni dei dischi intervertebrali (circa 3.800) hanno
fatto registrare negli ultimi anni, sistematicamente, tassi d‟incremento annuo a due
cifre, più che raddoppiando la loro consistenza numerica nell‟ultimo quinquennio;
significative anche le denunce per artrosi (circa 1.900 casi) e per sindrome del
tunnel carpale (circa 1.500 casi). All‟arretramento di una malattia “tradizionale”
come l‟ipoacusia, corrisponde dunque un‟escalation di altre malattie professionali
da agente fisico, in particolare quelle che comportano sovraccarico biomeccanico
19
Rapporto Inail annuale regionale 2009 Emilia-Romagna.
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e i cosiddetti Ctd (Cumulative trauma disorders - patologie muscolo-scheletriche)
causati da movimenti ripetuti e posture incongrue o scorrette.
Indispensabile, pertanto, il continuo aggiornamento di specifiche iniziative in tema
di sicurezza sul lavoro, in particolare sul versante ergonomico, per far fronte
all‟evoluzione delle tecniche produttive e organizzative del mondo del lavoro.
Restano comunque ancora oggi significative l‟asbestosi (circa 600 casi l‟anno),
patologia che - avvisano gli esperti - ha periodi di latenza di anche 40 anni (il
picco di manifestazione è stimato intorno al 2025) e la silicosi (quasi 300 casi nel
2008), caratterizzata fortunatamente da una tendenziale contrazione nel corso del
quinquennio.
Un‟attenzione particolare è stata rivolta recentemente alle malattie professionali di
natura psichica. La congiuntura economica sfavorevole, nuove realtà contrattuali e
l‟introduzione di forme di flessibilità ma anche di precarietà lavorativa, hanno
contribuito a innescare in alcuni casi malesseri e disagi psicologici per taluni
lavoratori, disturbi conclamatisi in quelle che sono vere e proprie malattie
professionali, raggruppabili in un‟unica definizione: “disturbi psichici lavoro-
correlati”. I dati rilevati per tale patologia sono ancora da considerare, in una certa
misura, sottostimati, sia per la difficoltà di distinguere, in fase di denuncia e prima
codifica, la specifica patologia psichica, sia in virtù di confronti con quanto
registrato al riguardo da altri organismi e osservatori. In generale comunque i
“disturbi psichici lavoro-correlati”, hanno avuto una consistenza, nell‟ultimo
quinquennio, pari a circa 500 casi denunciati l‟anno, di cui larga parte individuati
specificatamente come “mobbing”.
Tali patologie si concentrano soprattutto nelle attività dei Servizi (piuttosto che in
quelle industriali) e tra i dipendenti dello Stato. Da un punto di vista procedurale,
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l‟INAIL codifica da tempo tali disturbi ma in più nel 2003, con la Circolare n. 71
del 17/12/2003, ha emanato anche specifiche disposizioni per la gestione e
trattazione delle patologie da “costrittività organizzativa”, assegnandogli due
codici specifici della classificazione nosologica “M”, “144-Disturbo
dell‟adattamento cronico” e “145-Disturbo post traumatico da stress cronico” (va
detto che tale circolare è stata annullata da una sentenza del TAR (Tribunale
Amministrativo Regionale) nel 2005, con ricorso dell‟Istituto rigettato da parte del
Consiglio di Stato nel marzo 2009: sinteticamente, il TAR ha ribadito come per
tale patologia vada sempre dimostrata, con rigore, l‟esistenza della causa di
lavoro, contestandone la considerazione in via automatica e presuntiva; in realtà
l‟INAIL con detta circolare si era limitata a dare semplicemente indirizzi operativi
alla trattazione).20
20
Inail - Rapporto Annuale Analisi dell‟andamento infortunistico 2008.
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Dal rapporto Inail annuale regionale 2009 svolto in Emilia Romagna, sono emersi
interessanti elementi nell‟ambito della ricerca sulla mortalità infortunistica nella
regione. Si è voluto anche indagare se gli infortuni mortali tendano ad accadere
maggiormente in un giorno particolare della settimana (per verificare ad es. se una
concausa del rischio possa essere la maggiore stanchezza accumulata negli ultimi
giorni lavorativi della settimana) o in una particolare fascia oraria (ad es. durante
le prime 4 ore di un normale turno di lavoro o durante le ultime 4).
Tabella 5: Infortuni mortali riconosciuti Regione ER 2008 per giorno di accadimento.
Giorno numero casi
mercoledì 10
venerdì 9
martedì 7
lunedì 5
giovedì 5
sabato 4
domenica 2
ì 10
La tabella evidenzia come il giorno della settimana in cui è accaduto il maggior
numero di eventi sia il mercoledì, con 10 casi, subito seguito dal venerdì con 9
casi, dato quest‟ultimo che sembra confermare la tendenza riscontrata anche a
livello nazionale ad una maggior propensione ad infortunarsi nell‟ultimo giorno
lavorativo della settimana.
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Da notarsi che il 14,2% degli eventi mortali è accaduto in giorni tradizionalmente
non lavorativi come il sabato (4 eventi) e la domenica (2 eventi)
Per quanto concerne l‟ora ordinale degli eventi, i dati evidenziano come la
maggior parte dei mortali sia accaduta nelle seconda metà della giornata lavorativa
(tra la 5° e l‟8° ora di lavoro) con 24 casi (57,1%), mentre 16 casi sono avvenuti
durante le prime 4 ore di lavoro (38,1%). Il fatto poi che altri 2 eventi siano
accaduti rispettivamente alla 9° e alla 10° ora di lavoro (4,8%) induce a supporre
che in questo caso il fattore “stanchezza” possa avere avuto un peso quale
concausa di mortalità sul lavoro.
I giorni della settimana in cui si è verificato il maggior numero di eventi mortali in
itinere risultano essere i primi tre: lunedì, martedì e mercoledì (rispettivamente
con 8 eventi i primi due e 7 il terzo).
Un dato più interessante emerge invece dall‟indagine se prevalgano i casi di
itinere mortali in cui il lavoratore stava andando al lavoro o stava tornando a casa
dal lavoro.
I dati evidenziano come sia di gran lunga prevalente il numero dei casi in cui il
lavoratore stava andando al lavoro (quasi il 70% degli itinere), contro il 32% dei
casi in cui il lavoratore tornava dal lavoro.
Queste evidenze inducono ad ipotizzare che un fattore di rischio determinante,
nella causalità di questi incidenti, possa essere la fretta e l‟ansia di arrivare in
orario sul posto di lavoro, magari in situazioni di orari poco flessibili (l‟esame
delle inchieste ispettive evidenzia anche come in molti di questi casi la
responsabilità del sinistro fosse da ricondursi a qualche comportamento
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imprudente del lavoratore o a una perdita di controllo del mezzo da parte dello
stesso), mentre gli stessi dati fanno supporre che, almeno nell‟anno considerato,
abbia inciso di meno la presumibile stanchezza accumulata in una giornata di
lavoro da chi fa ritorno a casa, forse compensata da una guida più tranquilla per
l‟assenza di orari rigidi da rispettare.
Anche questi dati evidenziano uno stretto collegamento esistente tra
l‟organizzazione dell‟orario di lavoro e gli infortuni. Turni troppo stancanti ovvero
assenza di flessibilità nell‟orario di lavoro, portano i lavoratori a subire
sollecitazioni stressanti che ricadono sulla lucidità e sulla prontezza nell‟affrontare
il percorso casa-lavoro e viceversa.
Sarebbe opportuno fare in modo che anche le esigenze dei lavoratori possano
essere considerate nella definizione dell‟articolazione dell‟orario di lavoro in
azienda.
Purtroppo, negli accordi di Pomigliano d‟Arco e Mirafiori, le esigenze di
flessibilità dell‟orario di lavoro a favore dei lavoratori addetti alle linee di catena
di montaggio sono state schiacciate dalle esigenze di massimizzazione della
produzione di autoveicoli. La flessibilità in entrata negli stabilimenti Fiat è
concessa solo ai lavoratori che non sono addetti alla catena di montaggio, vale a
dire quadri e impiegati addetti al turno centrale, che possono iniziare la loro
attività lavorativa in maniera flessibile dalle 8 alle 9 del mattino.
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Paragrafo 3.3: rischio specifico da stress lavoro-correlato
Secondo l‟agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, lo stress legato
all'attività lavorativa rappresenta una delle sfide principali con cui l'Europa deve
confrontarsi nel campo della salute e della sicurezza. Questa condizione interessa
quasi un lavoratore su quattro e dagli studi condotti emerge che una percentuale
compresa tra il 50% e il 60% di tutte le giornate lavorative perse è dovuta allo
stress. Ciò comporta costi enormi in termini di disagio umano e pregiudizio del
risultato economico.
Lo stress sul lavoro può colpire chiunque, a qualsiasi livello. Può interessare
qualsiasi settore e aziende di ogni dimensione. Lo stress influisce sulla salute e la
sicurezza delle singole persone, ma anche sulla salute delle imprese e delle
economie nazionali.
Lo stress è il secondo problema di salute legato all'attività lavorativa riferito più
frequentemente e colpisce il 22% dei lavoratori dei 27 Stati membri dell'UE (dati
del 2005). È probabile che il numero di persone che soffrono di patologie legate
allo stress provocato o peggiorato dall'attività lavorativa aumenti in futuro. I
cambiamenti in corso nel mondo del lavoro sottopongono i lavoratori a pressioni
sempre maggiori: si pensi al ridimensionamento delle imprese e
all'esternalizzazione delle mansioni, al maggior bisogno di flessibilità in termini
di impiego e competenze, all'accresciuto ricorso ai contratti a tempo determinato,
alla più marcata precarietà del lavoro e all'intensificazione dell'attività lavorativa
(con un carico di lavoro più intenso e un aumentato livello di pressione), nonché
allo scarso equilibrio tra lavoro e vita privata.
Lo stress può essere per le persone fonte di malattia e disagio, in ambito sia
lavorativo che familiare. Lo stress, inoltre, può mettere in pericolo la sicurezza
Pagina 50 di 101
sul luogo di lavoro e contribuire all'insorgere di altri problemi di salute legati
all'attività lavorativa, quali i disturbi muscolo scheletrici, nonché incidere in
misura massiccia sul risultato economico di un'organizzazione.
Ridurre lo stress legato all'attività lavorativa e i rischi psicosociali non è solo un
imperativo morale, bensì anche un dovere giuridico. Lo stress influisce altresì
fortemente sulla redditività. Nel 2002 il costo economico annuale dello stress
legato all'attività lavorativa nell'UE a 15 è stato calcolato pari a 20 miliardi di
euro.21
Non è da escludere che la massimizzazione della produttività ottenuta applicando
in Fiat la metodologia Ergo-Uas, porti nel breve periodo ad un aumento nella
produzione di autovetture e ad un incremento del fatturato, ma determini nel lungo
periodo una crescita dei casi di malattia professionale da stress lavoro-correlato
che, oltre a minare la salute dei lavoratori, andranno a ripercuotersi sulla finanza
pubblica.
21
Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro. Sito Internet www.osha.europa.ue/it.
Pagina 51 di 101
Paragrafo 3.4: risposta individuale allo stress
L‟individuo può ben adattarsi ad affrontare un‟esposizione alla pressione a breve
termine, cosa che può anche essere considerata positiva, ma ha una maggiore
difficoltà a sostenere un‟esposizione prolungata a una intensa pressione. Inoltre i
singoli individui possono reagire differentemente ad una stessa situazione oppure
possono reagire diversamente a situazioni similari in momenti diversi della
propria vita.
Il risultato finale della prestazione lavorativa deriva ed è mantenuto dalle
conoscenze dichiarative e procedurali e dalle skills della persona, dal suo stato
psicofisiologico più o meno ottimale (ad esempio, essere in buona salute, ben
riposato, senza effetti di farmaci o stimolanti ecc.), ma anche dal modo con cui è
progettata e può procedere l'interazione del lavoratore con la catena di montaggio.
Il ruolo del lavoratore (della sua expertise, ma anche della sua efficienza
psicofisica e delle motivazioni) risulta decisivo, anche perché devono essere
interpretate rapidamente e con cura le diverse informazioni di ritorno soprattutto
di carattere percettivo-visivo, che sono filtrate e mediate da differenti dispositivi.
Sia nel caso in cui vi siano carenze nelle caratteristiche della persona sia in quello
in cui siano presenti incertezze nel tipo di interazione lavoratore-macchina, ci si è
chiesti come si possa mantenere un buon livello di prestazione di fronte ai diversi
ostacoli provenienti anche dalle condizioni di esecuzione e dalle interferenze
ambientali. Essi, infatti, possono operare distraendo il lavoratore degli obiettivi
primari, riducendo l'attivazione (e la motivazione) nel corso del tempo, stimolando
stati emozionali controproducenti e determinando un notevole affaticamento.
Pagina 52 di 101
Questa possibile situazione introduce il costrutto di carico di lavoro mentale che
non riguarda semplicemente l‟”essere pieni di impegni" e il "dover fare troppe
cose contemporaneamente", ma il costo complessivo che il lavoratore paga per
mantenere un buon livello di prestazione. Nel concetto di carico di lavoro si
considerano vari elementi: il tipo di richieste imposte dal compito (ad esempio,
complessità, frequenza), il livello di prestazione raggiunta (grado di precisione,
eventuali errori), il livello di sforzo del lavoratore e le sue percezioni di sentirsi
sovra o sotto carico. Egli ha a disposizione una quantità limitata di risorse mentali
e quando le richieste sono sproporzionate, in eccesso o troppo basse, sperimenta
una condizione rispettivamente di sovraccarico o di sottocarico che influenza
negativamente la prestazione e, a lungo andare, diviene antecedente della fatica e
un ulteriore fattore stressante. In concreto, però, il carico di lavoro e le sue
variazioni dipendono dall'interazione tra le richieste obiettive del lavoro e le
abilità, skills e risorse cognitive e motivazionali dell'individuo.22
Da notare che sulla definizione del carico di lavoro e degli effetti sulla fatica
esistono le norme standard EN-ISO 10075-1, 2, 3 (International Standard
Organisation) che considerano, oltre all'impegno cognitivo, le esperienze umane
che riguardano la sfera emozionale e quella sociale, coinvolte in ogni attività
lavorativa. Di ciò si dovrebbe tenere conto nella corretta progettazione del
lavoro.23
Negli accordi Fiat di Pomigliano d‟Arco e Mirafiori, invece, si parte dal
presupposto che il lavoratore addetto alla catena di montaggio sia in grado di
22
Introduzione alla psicologia del lavoro, Sarchielli e Fraccaroli, 2010, cap. VI, par. 5 variazioni della prestazione. 23
Ente Nazionale di Unificazione: www.uni.com
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offrire "il rendimento di un uomo mediamente ben allenato, che conosce bene il
lavoro e che dà un costante rendimento senza stancarsi".
Nell‟organizzare l‟attività lavorativa, il datore di lavoro deve considerare le
potenzialità ma anche i limiti che i lavoratori hanno nello svolgimento delle loro
mansioni, soprattutto quando l‟attività produttiva è organizzata su turni o, in ogni
caso, laddove possano potenzialmente emergere situazioni di stress legato alla
prestazione lavorativa.
Il decreto legislativo n. 81/2008 prevede all'articolo 28, primo comma, che la
valutazione dei rischi deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei
lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi
particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, nonché quelli
connessi alle differenze di genere, all‟età, alla provenienza da altri Paesi e quelli
connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la
prestazione di lavoro.
Il legislatore, quindi, parte dal presupposto che un rischio si configura in maniera
diversa a seconda non solo del contesto organizzativo in cui il lavoratore opera ma
anche e, soprattutto, in relazione alle caratteristiche soggettive del prestatore di
lavoro.
Il sistema Ergo-Uas, invece, nella determinazione dei tempi di lavoro sulla catena
di montaggio, presuppone che ad operare ci siano dei lavoratori con caratteristiche
mediamente uguali, in controtendenza rispetto alla consapevolezza del legislatore
dell‟esistenza di lavoratori con caratteristiche individuali differenti che
determinano inevitabilmente una determinazione del rischio diversa da un
lavoratore all'altro.
Pagina 54 di 101
In particolare, vanno valutate le differenze individuali nel modo di lavorare
imputabili all'età o al genere, al grado di esperienza posseduta, alla formazione
ricevuta, alle competenze professionali, alle motivazioni e all'impegno personale a
coinvolgersi nel lavoro, al grado di assunzione diretta delle responsabilità nel
risolvere problemi contingenti, ai livelli di fatica raggiunti, allo stato
psicofisiologico (si pensi, ad esempio, agli effetti dei ritmi veglia-sonno), ai
riflessi delle relazioni esterne al lavoro (ad esempio, il clima delle relazioni
familiari) ecc.24
La "psicologia dei tempi lavorativi" mette in risalto le conseguenze negative di
una inadeguata organizzazione temporale delle attività che non rispetti i ritmi
biologici e psicologici, la disponibilità di risorse cognitive ed emotive da parte del
lavoratore, le sue aspettative, esigenze personali e familiari, motivazioni e
competenze, sottolineando decrementi nelle prestazioni e aumenti della fatica, del
carico mentale, degli errori e dei rischi di strain.25
Il modello organizzativo Ergo-Uas definisce i tempi di riposo di una fase
lavorativa sulla base del calcolo dell'indice di rischio di patologie muscolo
scheletriche. Si tratta di un'analisi tecnica effettuata senza il contributo dei
lavoratori, ma sostanzialmente basata sull'analisi dei movimenti che i lavoratori
effettuano in catena di montaggio, per limitare i movimenti dannosi per la salute
(piegare la schiena, applicare forza con le mani, sollevare pesi, eseguire
movimenti ripetitivi delle braccia, ecc.) assegnando un fattore di riposo più
24
Argentero et al. 2008. 25
Fraccaroli e Sarchielli, 2002.
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elevato; se, invece, i movimenti a rischio sono poco significativi, il sistema Ergo-
Uas riduce il fattore di riposo.
Il rilievo generale fatto dagli operai addetti alle linee della catena di montaggio è
la fatica nervosa che il lavoro provoca, nei vari effetti individuali e nei vari gradi
di spossatezza, tensione, inquietudine, depressione, irritabilità, ecc. In particolare,
tra i fattori di stress risulta il ritmo uniforme obbligato che non consente
compensazioni tra i tempi di lavoro sulle singole macchine. Ciò ha una doppia
conseguenza:
non ci si può permettere di indugiare su una macchina per risolvere un intoppo
o riguardare il lavoro: la macchina successiva che avanza dà al tempo e al
ritmo di lavoro una stretta cornice spaziale;
non sono possibili adattamenti col ritmo spontaneo personale, col ciclo
biologico e psicologico di efficienza individuale (giornaliero e su archi più
lunghi di tempo) e con i giorni in cui l'efficienza è compromessa da disturbi
dello stato di salute. Ci si riferisce a disturbi non invalidanti, come ad esempio
un normale raffreddore, che di solito non portano a un'assenza dal lavoro.
La standardizzazione del lavoro sulla catena avviene con la riduzione dei
movimenti superflui, di cui alcuni sono uno spreco di energia, ma altri
rappresentano un necessario e comunque distensivo riposo fisico e psichico.
Già dall'indagine fatta nel 1961 nello storico stabilimento Olivetti di Ivrea, dove
era utilizzata la catena di montaggio e dove vennero adottate delle misure di
standardizzazione dei movimenti al fine di eliminare quelli superflui e stancanti
per i lavoratori, emerse che la diminuzione dello sforzo muscolare (per i tecnici
organizzatori era uno degli scopi dell'ulteriore suddivisione del lavoro) risultò,
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anche in base a esperimenti successivi, meno significativa del previsto. Era
evidente per esempio che il vincolo del ritmo uniforme obbligato determinava
posture più irrigidite, meno armoniche (ci fu anche chi chiese di tornare ad altre
mansioni per potersi "muovere" di più), o posture esprimenti ansia, il che
comportava una spesa energetica maggiore di quanto mostrasse l'apparenza
gestuale.26
Gli studi dimostrano che il mancato coinvolgimento dei lavoratori nella
progettazione dei luoghi di lavoro e nell‟organizzazione del lavoro, incide
negativamente sulla motivazione dei lavoratori e, a sua volta, la mancanza di
motivazione sul luogo di lavoro rappresenta uno dei fattori determinanti dello
stress lavoro-correlato. Oltre agli approcci già ampiamente diffusi della sicurezza
della medicina, della biomeccanica e dell'ergonomia, dell'economicità e
dell'efficienza, sarebbe necessario anche un approccio centrato sulla motivazione
dei lavoratori.
Secondo le strategie ottimali di job design, il posto di lavoro, l'articolazione delle
mansioni, la divisione dei compiti e gli stili di supervisione possono essere
strutturate in modo da massimizzare alcune qualità dell'impiego, per esempio
intervenendo su aspetti quali la varietà nelle capacità richieste, l'identità del
compito, la significatività del compito, l'autonomia (discrezionalità nello
svolgimento del compito), il feedback. 27
26
Psicologi in fabbrica, la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, 1980, Cesare Musatti. Inchiesta sulle
linee transfer di montaggio. 27
Hackman e Oldham, teoria delle caratteristiche lavorative JCM (Job Characteristics Model), 1980.
Pagina 57 di 101
Del resto, un lavoratore che si sente coinvolto nell‟organizzazione del suo lavoro è
sicuramente una risorsa per la produttività aziendale, riesce a rispondere più
efficacemente alle richieste dell‟organizzazione e trova nella sua attività un equa
compensazione delle energie psicofisiche.
Laddove, invece, si impongano ritmi di lavoro usuranti, metodologie
organizzative che non contemperino le esigenze aziendali con quelle dei
lavoratori, si possono instaurare meccanismi di stress e frustrazione che, oltre a
determinare conseguenze psicofisiche negative per la salute dei lavoratori,
producono un rallentamento nella produttività del lavoro.
Ci sono situazioni stressanti che possono essere considerate comuni a più soggetti,
quali la precarietà dei contratti di lavoro, le ristrutturazioni aziendali e gli orari di
lavoro con ritmi variati e altre individuali ovvero che si manifestano in singoli
individui per le caratteristiche personali con cui affrontano l‟attività lavorativa e i
problemi dell‟esistenza, non è concepibile generalizzare prendendo come
riferimento l‟ideale di un uomo mediamente ben allenato, che conosce bene il
lavoro e che dà un costante rendimento senza stancarsi.
In situazioni lavorative disfunzionali protratte nel tempo, possono originarsi a
carico dei lavoratori sintomi che possono interessare la sfera psichica, quali
fenomeni di ansia, paura, ossessione, ipocondria, isteria, paranoia, cinismo,
depressione, aggressività, psico-astenia, bassa autostima.
Emerge in modo chiaro la stretta connessione esistente tra organizzazione
dell'attività lavorativa e rischio da stress lavoro-correlato. Il lavoro a turni, ad
esempio, è identificato come un potenziale fattore oggettivo di rischio, poiché il
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lavoratore è tenuto a svolgere la sua attività in differenti momenti della giornata,
talvolta anche in orario notturno.
Esistono poi anche altri fattori potenziali che possono essere portatori di rischio da
stress lavoro-correlato, in relazione alle mansioni svolte da determinate categorie
di lavoratori, a causa della ripetitività, della scarsa gratificazione; in altri casi,
rischi di stress possono essere determinati dal clima presente negli ambienti di
lavoro, dall'atteggiamento vessatorio perpetrato da superiori o colleghi nei
confronti di lavoratori che presentano caratteristiche soggettive più deboli; ancora,
casi di stress lavoro-correlato possono emergere come effetto di una scarsa
comunicazione, ovvero a causa di una comunicazione che non permette ai
lavoratori di esprimere le loro sensazioni e i loro pareri sul lavoro che dovranno
andare a svolgere.
La regolazione di dimensioni motivazionali quali la fedeltà, l'impegno e la
dedizione verso l'organizzazione da parte dei lavoratori, rappresenta un'area non
sancita formalmente che costituisce l'oggetto del cosiddetto “contratto
psicologico”. Nonostante il suo carattere non scritto, spesso implicito, il contratto
psicologico crea delle importanti conseguenze sul piano dei comportamenti
organizzativi, delle scelte individuali e dell'implicazione motivazionale al lavoro.
Valutazioni positive circa il rispetto del contratto psicologico e degli obblighi
reciproci si possono tradurre in impegno, fiducia, senso di appartenenza e
implicazione organizzativa, più elevata soddisfazione lavorativa. I dipendenti
ricambiano la percezione di violazione del contratto riducendo il coinvolgimento,
Pagina 59 di 101
l'impegno e la fiducia nei confronti dei superiori, adottando comportamenti di
ritirata e manifestando l'intenzione di lasciare l'organizzazione.28
Negli accordi Fiat di Mirafiori e Pomigliano d‟Arco, per contrastare le "forme
anomale di assenteismo" (per tali intendendosi le assenze giustificate come
malattia in occasione di eventi non riconducibili a forme epidemiologiche, quali
"astensioni collettive dal lavoro", manifestazioni esterne, messa in libertà per
causa di forza maggiore o per mancanza di forniture), le parti, nel caso in cui la
percentuale di assenteismo sia "significativamente superiore alla media",
individuano quale modalità efficace la non copertura retribuita a carico
dell'azienda dei periodi di malattia correlati al periodo dell'evento.
Con questo accordo la Fiat non mostra alcun interesse nell'andare a valutare i
motivi che portano i lavoratori ad adottare queste “forme anomale di
assenteismo”, ma si limita a minacciare una riduzione della copertura retributiva.
Numerose ricerche hanno evidenziato risposte preoccupate e critiche per
l'intensificazione del lavoro e le sue condizioni di pericolosità e per l'aumento di
stress percepito dai lavoratori come conseguenza dei nuovi contesti organizzativi,
dei modi di lavorare e delle forme contrattuali che li regolano.
Mentre da un lato sono richiesti al lavoratore: coinvolgimento, partecipazione e
maggiori carichi di impegno motivazionale (e di lavoro). Dall'altro lato le aziende
hanno diminuito la stabilità del posto di lavoro, i percorsi di carriera lineari e i
tradizionali benefits attraverso vere e proprie strategie di ridimensionamento
aziendale.
28
Toderi e Guglielmi, 2003.
Pagina 60 di 101
La fatica riscontrata in operai di montaggio, i quali svolgono un lavoro di modesto
impegno muscolare, non è purtroppo misurabile adeguatamente in contesti
fisiologici o psicologici (il tasso di escrezione renale di catecolamine, che è
risultato una misura fedele dello stress emozionale, non si presta purtroppo a
valutazioni fuori delle privilegiate condizioni di esperimento). Tale fatica è
tuttavia chiaramente deducibile dalle conseguenze nelle condizioni neuropsichiche
e nel comportamento.
Ma, mentre il protettivo campanello d'allarme della fatica muscolare si impone più
facilmente all'ascolto, l'affaticamento mentale ha un'insorgenza più subdola e
insidiosa, ed è eliminabile con più difficoltà. Più volte è accaduto di esaminare
operai che si erano imposti di proseguire il lavoro in condizioni di affaticamento
nervoso cronico, finché il medico curante o lo specialista chiamato in causa aveva
detto loro che il disturbo di cui soffrivano non era puramente funzionale ed
esprimeva uno stato di usura. Abbiamo incontrato operai nuovi assunti che non
volevano ammettere a se stessi di lavorare in tensione e di "farcela" con difficoltà
(anche se di qualcuno era noto che cominciasse il lavoro prima dell'orario) finché
si è avuto il collasso (per uno con crisi lipotimica sul posto di lavoro). In tali casi
il bisogno di connotare positivamente a ogni costo la condizione di lavoro,
accompagnato - appunto in operai nuovi assunti - dal bisogno di costituirsi
un'immagine professionale rassicurante, e non controllato da sufficienti capacità
di valutazione critica, ha consentito ai soggetti di inibirsi la rappresentazione
della propria crisi finché l'organismo ha ceduto.29
29
Psicologi in fabbrica, la psicologia del lavoro negli stabilimenti Olivetti, 1980, Cesare Musatti, la fatica nervosa
sulle linee di montaggio.
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Le cause prevalenti delle varie manifestazioni della fatica sono collegabili alla
struttura dei compiti, ai vincoli del contesto tecnico, organizzativo e sociale in cui
si lavora, al tipo di distribuzione del lavoro, dei suoi tempi, delle pause, ai periodi
di riposo e alle possibilità di ottenere ristoro dal sonno.
Pertanto, sia le prospettive di correzione sia e, soprattutto, le possibilità di
prevenzione del rischio di eccessiva fatica si collegano a una valida progettazione
(o riprogettazione) del lavoro. Ciò anche per rendere meno rilevante il ruolo dei
fattori personali che pur intervengono nel differenziare le risposte individuali al
carico lavorativo. In tal senso le linee di intervento riguardano, tra le altre cose, il
miglioramento nella distribuzione delle pause durante la giornata lavorativa (ad
esempio, aumento delle pause brevi rispetto a quelle lunghe che hanno un minore
effetto compensatorio).30
30
Introduzione alla psicologia del lavoro, Sarchielli e Fraccaroli, 2010, cap. VI, par. 3.5 linee di prevenzione della
fatica mentale.
Pagina 62 di 101
Paragrafo 3.5: indicazioni normative sulla valutazione dello stress lavoro-correlato
Per la valutazione dei rischi psicosociali legati allo stress lavorativo vigono
diverse norme:
a) art. 11 d.l. 151/01 Testo Unico disposizioni legislative in materia di tutela e
sostegno maternità (prevede la valutazione dei rischi tra i quali quelli alla
lettera G dell'allegato C “fatica mentale”);
b) d.m. 27/04/04 elenco malattie per le quali è obbligatoria la denuncia; lista II
"malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del
lavoro";
c) d.l. 38/00, art. 55 "danno biologico" ("lesione dell'integrità psicofisica,
suscettibile di valutazione medico-legale, della persona");
d) Codice civile art. 2087 ("adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che,
secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie
a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro");
e) per quanto riguarda aspetti di natura preventiva, ad esempio il d.p.c.m.
24/03/04 "misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo
nelle pubbliche amministrazioni".
Il quadro è stato di recente arricchito dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81,
Testo Unico sulla sicurezza, con il quale è stato istituzionalizzato l'obbligo per i
datori di lavoro di implementare la valutazione dei rischi per la sicurezza dei
lavoratori analizzando anche lo stress lavoro correlato, secondo i contenuti
dell‟Accordo Europeo dell‟8 ottobre 2004 e sulla base delle indicazioni elaborate
Pagina 63 di 101
dalla commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro
(articolo 6, comma 8, lettera m-quater, d.lgs. 81/2008).
In attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 6, comma 8, lettera m-quater, e
dell'articolo 28, comma 1-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e
successive modificazioni e integrazioni, la commissione consultiva permanente
per la salute e sicurezza sul lavoro di cui all'articolo 6 del medesimo
provvedimento ha approvato, alla riunione del 17 novembre 2010, le indicazioni
per la valutazione dello stress lavoro correlato.
Lo stress lavoro-correlato viene descritto dall'articolo 3 dell'Accordo Europeo
dell'8 ottobre 2004 - così come recepito dall'Accordo Interconfederale del 9
giugno 2008 - quale "condizione che può essere accompagnata da disturbi o
disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che
taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o
aspettative riposte in loro" (art. 3, comma 1). Nell'ambito del lavoro tale
squilibrio si può verificare quando il lavoratore non si sente in grado di
corrispondere alle richieste lavorative. Tuttavia non tutte le manifestazioni di
stress sul lavoro possono essere considerate come stress lavoro-correlato. Lo
stress lavoro-correlato è quello causato da vari fattori propri del contesto del
contenuto del lavoro.
La valutazione del rischio da stress lavoro-correlato è parte integrante della
valutazione dei rischi e viene effettuata (come per tutti gli altri fattori di rischio)
del datore di lavoro avvalendosi del Responsabile del Servizio di Prevenzione e
Protezione (RSPP) con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e
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previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza
(RLS/RLST).
È, quindi, necessario preliminarmente indicare il percorso metodologico che
permetta una corretta identificazione dei fattori di rischio da stress lavoro-
correlato, in modo che da tale identificazione discendano la pianificazione e
realizzazione di misure di eliminazione o, quando essa non sia possibile, riduzione
al minimo di tale fattore di rischio.
A tale scopo, va chiarito che le necessarie attività devono essere compiute con
riferimento a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, compresi dirigenti e
preposti. La valutazione prende in esame non singoli ma gruppi omogenei di
lavoratori (per esempio, per mansioni o partizioni organizzative) che risultino
esposti a rischi dello stesso tipo secondo una individuazione che ogni datore di
lavoro può autonomamente effettuare in ragione della effettiva organizzazione
aziendale (potrebbero essere, ad esempio, i turnisti, i dipendenti di un
determinato settore oppure chi svolge la medesima mansione, etc.).
La commissione permanente ha indicato anche quale deve essere la metodologia
che il datore di lavoro deve seguire nella valutazione del rischio da stress lavoro
correlato.
La valutazione si articola in due fasi: una necessaria (la valutazione preliminare);
l'altra eventuale, da attivare nel caso in cui la valutazione preliminare rilevi
elementi di rischio da stress lavoro-correlato e le misure di correzione adottate a
seguito della stessa, dal datore di lavoro, si rivelino inefficaci.
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La valutazione preliminare consiste nella rilevazione di indicatori oggettivi e
verificabili, ove possibile numericamente apprezzabili, appartenenti quantomeno
a tre distinte famiglie:
1. Eventi sentinella, quali ad esempio: indici infortunistici; assenze per
malattia; turnover; procedimenti e sanzioni; segnalazioni del medico
competente; specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei
lavoratori. I predetti elementi sono da valutarsi sulla base di parametri
omogenei individuati internamente all'azienda (es. andamento nel tempo
degli indici infortunistici rilevati in azienda).
2. Fattori di contenuto del lavoro, quali ad esempio: ambiente di lavoro e
attrezzature; carichi e ritmi di lavoro; orario di lavoro e turni;
corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e i requisiti professionali
richiesti.
3. Fattori di contesto del lavoro, quali ad esempio: ruolo nell’organizzazione;
autonomia decisionale e controllo; conflitti interpersonali al lavoro;
evoluzione e sviluppo di carriera; comunicazione (es. incertezza in ordine
alle prestazioni richieste).
In questa prima fase possono essere utilizzate liste di controllo applicabili anche
dai soggetti aziendali della prevenzione, che consentano una valutazione
oggettiva, complessiva e, quando possibile, parametrica dei fattori di cui ai punti
I, II e III che precedono.
In relazione alla valutazione dei fattori di contesto e di contenuto di cui sopra
(punti II e III dell'elenco) occorre sentire i lavoratori e/o il RLS/RLST. Nelle
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aziende di maggiori dimensioni è possibile sentire un campione rappresentativo di
lavoratori. La scelta delle modalità tramite cui sentire i lavoratori è rimessa al
datore di lavoro, anche in relazione alle metodologie di valutazione adottata.
Ove dalla valutazione preliminare non emergano elementi di rischio da stress
lavoro-correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, il datore di
lavoro sarà unicamente tenuto a darne conto nel documento di valutazione del
rischio (DVR) e a prevedere un piano di monitoraggio.
Diversamente, nel caso in cui si rilevino elementi di rischio da stress lavoro-
correlato tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla
pianificazione ed all'adozione degli opportuni interventi correttivi (ad esempio,
interventi organizzativi, tecnici, procedurali, comunicativi, formativi, etc.). Ove
gli interventi correttivi risultino inefficaci, si procede, nei tempi che la stessa
impresa definisce nella pianificazione degli interventi, alla fase di valutazione
successiva (c.d. valutazione approfondita).
La valutazione approfondita prevede la valutazione della percezione soggettiva
dei lavoratori, ad esempio attraverso differenti strumenti quali questionari, focus
group, interviste semi-strutturate, sulle famiglie di fattori/indicatori di cui
all'elenco sopra riportato. Tale fase fa riferimento ovviamente ai gruppi omogenei
di lavoratori rispetto ai quali sono state rilevate le problematiche. Nelle aziende
di maggiori dimensioni è possibile che tale fase di indagine venga realizzata
tramite un campione rappresentativo di lavoratori.
Nelle imprese che occupano fino a cinque lavoratori, in luogo dei predetti
strumenti di valutazione approfondita, il datore di lavoro può scegliere di
utilizzare modalità di valutazione (es. riunioni) che garantiscano il
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coinvolgimento diretto dei lavoratori nella ricerca delle soluzioni e nella verifica
della loro efficacia.
L‟art. 28 del d.lgs. 81/08 prevede la necessaria analisi del rischio stress lavoro-
correlato e l'obbligo per le aziende di predisporre nel documento di valutazione
dei rischi anche la parte dedicata ai rischi psicosociali: "Il datore di lavoro adotta
specifiche misure per identificare i fattori di rischio stress lavoro-correlato
(antecedenti) e valutarne la priorità così da ridurre la frequenza e l'entità del
danno da stress lavoro-correlato (prevenzione e protezione)”.
Il "ciclo di controllo" per la gestione del rischio psicosociale che è applicabile
anche ai rischi di natura psicosociale correlabili con lo stress lavorativo, include
sia la valutazione dei fattori di rischio in senso stretto sia elementi di gestione
(prevenzione, correzione, monitoraggio ecc.). Esso si articola in una serie di fasi31
che prevedono il preventivo coinvolgimento e consenso di tutti gli stakeholders
(dirigenza, lavoratori e loro rappresentanti, medico competente e tecnici della
prevenzione, esperti con competenze necessarie sul tema dello stress, se non
presenti in azienda) sin dall'inizio e lungo l'intero processo (processo ciclico di
gestione del rischio psicosociale).
31
www.osha.europa.eu/it/topics/riskassessment.
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"Tale ciclo di controllo si esplicita in un processo logico di diagnosi e intervento
che prevede:
Fase 1
Individuare i pericoli e le persone a rischio. Individuare quali fattori sul
luogo di lavoro sono potenzialmente in grado di arrecare danno e
identificare i lavoratori che possono essere esposte ai pericoli.
Fase 2
Valutare e attribuire un ordine di priorità ai rischi. Valutare i rischi esistenti
(secondo la gravità, il grado di probabilità e di severità di eventuali danni
ecc.) e classificarli in ordine di importanza.
Fase 3
Decidere le azioni preventive. Identificare le misure adeguate per eliminare
o controllare i rischi.
Fase 4
Intervenire con azioni concrete. Mettere in atto misure di protezione e di
prevenzione attraverso un piano di definizione delle priorità.
Fase 5
Controllo e riesame. La valutazione dei rischi dovrebbe essere
periodicamente rivista per essere mantenuta aggiornata".32
32
www.ordpsicologier.it/public/genpags/bigs/documentobuonepratichestrsslavorocorrelato.pdf
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Tab. 1 - ISPESL - Fattori di rischio stressogeni
CONTESTO LAVORATIVO
CULTURA ORGANIZZATIVA
Scarsa comunicazione, bassi livelli di sostegno per la risoluzione di problemi e lo sviluppo personale, mancanza di definizione degli obiettivi
organizzativi
RUOLO NELL’ ORGANIZZAZIONE
Ambiguità e conflitto di ruolo, responsabilità di altre persone
SVILUPPO DI CARRIERA
Incertezza / blocco della carriera, insufficienza / eccesso di promozioni, bassa retribuzione, insicurezza dell’impiego, scarso valore sociale
attribuito al lavoro
AUTONOMIA DECISIONALE/CONTROLLO
Partecipazione ridotta al processo decisionale, carenza di controllo sul lavoro (il controllo, specie nella forma di partecipazione, rappresenta
anche una questione organizzativa e contestuale di più ampio respiro)
RELAZIONI INTERPERSONALI SUL LAVORO
Isolamento fisico o sociale, rapporti limitati con i superiori, conflitto interpersonale, mancanza di supporto sociale
INTERFACCIA FAMIGLIA/LAVORO
Richieste contrastanti tra casa e lavoro, scarso appoggio in ambito domestico, problemi di doppia carriera
CONTENUTO DEL LAVORO
AMBIENTE DI LAVORO E ATTREZZATURE
Condizioni fisiche di lavoro, problemi inerenti l’ affidabilità, la disponibilità, l’idoneità, la manutenzione o la riparazione di strutture ed attrezzature di
lavoro
PIANIFICAZIONE DEI COMPITI
Monotonia, cicli di lavoro brevi, lavoro frammentato o inutile, sottoutilizzazione, incertezza elevata
CARICO/RITMI DI LAVORO
Sovraccarico o sottocarico di lavoro, mancanza di controllo sul ritmo, alti livelli di pressione temporale
ORARIO DI LAVORO
Lavoro a turni, orari di lavoro rigidi, imprevedibili, eccessivamente lunghi o che alterano i ritmi sociali
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Procedere alla valutazione dello stress correlato al lavoro significa valutare il peso
che i suddetti elementi hanno nell‟impatto con le persone e la loro ricaduta nella
quotidianità lavorativa.
Il D.lgs. 81/2008 attribuisce un peso fondamentale alla informazione (art. 36) e
alla formazione (art. 37) dei lavoratori sui rischi sulla salute e sicurezza sul lavoro
connessi alla attività dell‟impresa. Ciascun lavoratore ha il diritto di ricevere
un‟adeguata informazione sui rischi specifici cui è esposto in relazione all‟attività
svolta e sui rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni.
È evidente che l‟organizzazione del lavoro adottata in Fiat con gli accordi di
stabilimento di Pomigliano d‟Arco e Mirafiori presenta diversi elementi di
criticità che dovranno essere valutati per scongiurare rischi da stress lavoro-
correlato. In questi accordi manca fra l'altro qualsiasi riferimento o considerazione
riguardo ai temi del rischio organizzativo e dello stress lavoro-correlato, grave
inadempienza agli obblighi di informazione e formazione dei lavoratori.
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Paragrafo 3.6: ripercussioni dello stress lavoro-correlato sulla produttività aziendale
Riconosciuto tra le cause di malattia più comunemente riferite dai lavoratori, lo
stress lavoro-correlato colpisce anche nell'unione europea più di 40 milioni di
persone, ovvero circa il 22% dei lavoratori. 33
Secondo l'agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, lo stress è il
secondo problema di salute legato all'attività professionale e interessa quasi un
lavoratore europeo su quattro. Deriva anche da questo la volontà del legislatore
italiano, come previsto dal testo unico 81/2008 sulla sicurezza, di rendere
obbligatoria per le aziende la misurazione del livello di stress dei propri
dipendenti.
Dopo un attento screening aziendale sul rischio da stress lavoro-correlato, i
risultati ottenuti dovrebbero essere due: da una parte, una migliore salute mentale
e fisica dei lavoratori e, dall'altra, un maggior profitto in termini aziendali. Meno
assenze per stress, dunque, anche per una maggiore produttività.
Secondo uno studio canadese del Centre for Addiction and Mental Health (Camh),
pubblicato sull‟International Journal of Occupational and Environmental
Medicine, e condotto su 2737 persone: "a lungo termine queste attività di
screening aziendale sui rischi da stress da lavoro-correlato potrebbero portare a
risparmiare, solo in Canada, qualcosa come 17 miliardi di dollari".34
33
Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro. 34
Inail, sala stampa 2011. Ricerca e tecnologie della sicurezza.
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L‟Inail partecipa attivamente alla costruzione di una cultura della sicurezza al fine
di migliorare la tutela della salute dei lavoratori principalmente attraverso l'attività
di formazione e informazione ai lavoratori, ai datori di lavoro e alle altre figure
coinvolte nel sistema. Inoltre, finanzia progetti di ricerca scientifica e mette a
disposizione per le piccole e medie imprese fondi per la prevenzione. È molto
interessante notare che le richieste per il finanziamento, pur riguardando a
tutt'oggi per la maggior parte l'acquisto di attrezzature, vede un 20% finalizzato
all'adozione di modelli organizzativi responsabili e un restante 6% per la
formazione. Questi ultimi due dati sembrano far emergere la consapevolezza
anche da parte datoriale dell'importanza di una buona organizzazione del lavoro e
della consapevolezza dei rischi. Vuol dire che le aziende stanno realmente
introiettato la cultura della sicurezza.35
Gli effetti stress lavoro correlato si ripercuotono anche sulle aziende, o meglio,
sulla produttività aziendale, pertanto “pensare” allo stress lavoro correlato come a
un problema solo del lavoratore è un errore che può costare caro sia in termini
economici sia in termini legali, visto, per altro, che la legge (d.lgs. 81/2008)
dispone anche delle sanzioni civili e penali per i datori di lavoro inadempienti.
Il frequente assenteismo, per esempio, determina inevitabilmente un calo della
produttività aziendale, ma anche da un punto di vista qualitativo l‟azienda subisce
un arresto.
Tra gli effetti dello stress lavoro-correlato sui lavoratori vi è anche quello della
disattenzione che, a sua volta, è causa di infortuni sul lavoro.
35
Marta Clemente, dirigente della sovraintendenza medica Inail.
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Studi e ricerche sul fenomeno dello stress sono sempre più frequenti e soprattutto
questa tematica viene sempre più spesso menzionata nei documenti ufficiali. Ad
esempio, secondo quanto si legge in un rapporto messo a punto dalla
Commissione Europea in una valutazione sull‟esito dell‟accordo tra le parti
sociali, negli stati membri circa il 50% o 60% delle assenze sul lavoro sono dovute
a problematiche legate allo stress.
Il rapporto non si limita solo a calcolare la percentuale approssimativa di giorni di
lavoro persi per lo stress ma fa anche un calcolo delle possibili perdite
economiche a cui l‟impresa va in contro. Ad esempio, in Francia le assenze da
stress causano una perdita pari ad almeno 2-3 milioni di Euro, in Gran Bretagna la
cifra raggiunge quotazioni astronomiche arrivando a poter sfiorare i 10 milioni.
Cifre enormi che non possono non mettere in allarme il sistema economico ma che
allo stesso tempo fanno riflettere sull‟aumento dello stress lavoro correlato e su
quanto questa malattia professionale sia sempre più presente nelle tematiche
inerenti la salute dei lavoratori.
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Paragrafo 3.7: precedente giurisprudenziale importante
In tema di stress lavoro-correlato non va, inoltre, sottovalutato un precedente
giurisprudenziale importante, rappresentato dalla sentenza n. 3970 del 21 aprile
1999, della Cassazione sezione lavoro - Pres. Sommella - Rel. Mercurio - P.M.
(Conf.) Nardi - Ric. Inail - Res. Cucchiara.
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha considerato risarcibile come
infortunio sul lavoro l'incidente capitato ad un impiegato che, al termine del turno
di lavoro, era stato investito da una macchina mentre si recava di corsa verso
l'autobus che avrebbe dovuto riportarlo a casa. I giudici di legittimità hanno
confermato la sentenza del Tribunale di Firenze che, accogliendo la domanda
della moglie dell'uomo, finito in coma irreversibile, aveva condannato l'INAIL a
risarcire il fatto come infortunio sul lavoro. Il Tribunale aveva ritenuto che l'uomo
fosse "in una condizione psicologica connessa ai tempi ristretti che lo inducevano
ad affrettare il tragitto e ad attraversare la strada senza l'accortezza necessaria", e
che era "altamente probabile" che la sua attenzione fosse menomata a causa del
lungo turno di lavoro svolto; i giudici avevano anche ricordato gli studi statistici
secondo i quali il maggior numero di infortuni si verificano al termine dell'orario
di lavoro.
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Secondo le indicazioni Inail36
, sono oggetto della copertura assicurativa tutti i
comportamenti del lavoratore che sono in rapporto finalistico-strumentale con le
prestazioni lavorative, nonché quelli rispondenti ad esigenze essenziali della
persona il cui soddisfacimento è condizionato dalle circostanze di tempo e di
luogo imposte dal lavoro.
Si è visto, inoltre, che la maggiore o minore entità del rischio che quei
comportamenti implicano non è rilevante, in quanto anche azioni con il “grado
minimo di rischio” (come camminare o prendere l‟autobus) rientrano nella
protezione assicurativa.
Se ne deduce che rischio estraneo al lavoro, o ad esso collegato solo
marginalmente, è principalmente quello derivante da condotte che il lavoratore
pone in essere per ragioni riconducibili unicamente a sue autonome scelte ed
iniziative.
Si tratta, “in definitiva” (per usare l‟espressione della stessa Cassazione), del
rischio elettivo che, secondo una massima costantemente ripetuta, è il rischio
scaturito da una scelta arbitraria del lavoratore il quale, mosso da impulsi
personali, crei ed affronti volutamente una situazione diversa da quella inerente
l‟attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso fra
lavoro, rischio ed evento.
In tema di occasione di lavoro la giurisprudenza, sia costituzionale (sentenza n.
462/89) che di legittimità, ha delineato un insieme di principi che possono ormai
considerarsi consolidati.
36
Inail, Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, 1999.
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In base a tali principi, l‟ambito di applicazione della tutela può essere definito per
una duplice via:
- in positivo, nel senso che nella protezione assicurativa rientrano tutti gli infortuni
conseguenti al rischio, anche ambientale, cui i lavoratori sono esposti in ragione
dello svolgimento della loro attività produttiva, ed a ciò che ad essa è connesso od
accessorio, senza necessità dei caratteri della normalità, tipicità e prevedibilità;
- in negativo, nel senso che la protezione assicurativa si arresta di fronte ad
infortuni conseguenti ad un rischio estraneo al lavoro o avente con questo un
collegamento meramente marginale, quando cioè intervengono fattori od attività
del tutto indipendenti dall‟ambiente, delle macchine o persone costituenti le
condizioni oggettive dell‟attività lavorativa.
All‟interno di questo quadro generale di principi fondamentali che devono
ritenersi acquisiti, continuano peraltro a sussistere alcuni dubbi interpretativi
principalmente legati al preciso significato da attribuire alla nozione di rischio non
tutelato in quanto estraneo all‟attività lavorativa.
Infatti, mentre la giurisprudenza è univoca nell‟affermare che il rischio generico
(oltre, naturalmente, a quello elettivo) è estraneo alla copertura assicurativa, non
altrettanta univocità è dato registrare nell‟applicazione di questo principio ai
singoli casi concreti, con riguardo soprattutto alla individuazione di quelle
situazioni in cui il rischio, ancorché generico, viene aggravato da ragioni
lavorative e si trasforma, perciò, in rischio lavorativo meritevole di tutela.
Sulla nozione di rischio generico aggravato, in effetti, coesistono nella
giurisprudenza della Suprema Corte due linee interpretative. Accanto alla
impostazione tradizionale, secondo la quale il rischio generico è assicurativamente
protetto solo in presenza di intensità o di frequenza, un incremento, con
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conseguente aumento delle probabilità che l‟infortunio accada, si sta affermando
un altro e più estensivo filone interpretativo, secondo il quale il rischio generico
deve ritenersi aggravato dal lavoro, e quindi assicurativamente coperto, se ed in
quanto è affrontato necessariamente per finalità lavorative, senza bisogno di
ulteriori elementi specificanti.
Quest‟ultimo indirizzo, assegnando esclusiva rilevanza alla riconducibilità della
condotta del lavoratore alle esigenze ed alle finalità lavorative, sottrae importanza
all‟accertamento del maggiore o minore grado di rischiosità che quella condotta
implica e finisce, così, per valorizzare il lavoro in sé e per sé considerato in quanto
espone il lavoratore al rischio e, in definitiva, costituisce esso stesso fattore
occasionale di rischio tutelato.
Si tratta di una linea interpretativa che di recente ha acquisito consistenza e
complessiva coerenza logico-sistematica, essendosi ripetutamente manifestata sia
per gli infortuni in attualità di lavoro che per quelli in itinere, e che sembra
destinata ad assumere il carattere della definitività.
A questo più recente ed estensivo orientamento della Suprema Corte l‟Istituto
ritiene di doversi uniformare.
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CAPITOLO 4: CORREZIONE E RIPROGETTAZIONE DEL LAVORO
Paragrafo 4.1: possibili interventi per ridurre i rischi sulla salute dei lavoratori.
Il concetto di soddisfazione lavorativa è considerato da molto tempo uno degli
esiti lavorativi significativi e ricercati dal lavoratore e nello stesso tempo una delle
variabili capace di influenzare numerose condotte lavorative.
La soddisfazione lavorativa deriva dalla mancanza di discrepanze tra le percezioni
del lavoro attualmente svolto (della sua natura, qualità ecc.) e alcuni stati
psicologici come i bisogni, i valori, le aspettative, le credenze su ciò che si ritiene
giusto e corretto. In concreto, ciò significa che la soddisfazione deriva da un
confronto tra ciò di cui le persone avrebbero bisogno, e ciò che le persone
desiderano, sono interessati a ottenere, si aspettano di ottenere o riterrebbero
giusto e corretto ottenere dal lavoro.
Il lavoro è una situazione di scambio concreto di energie, di tempo, di impegni in
cui gioca un ruolo centrale la contropartita materiale offerta dall'organizzazione.
Si sono osservati legami diretti con i comportamenti altruistici e di cittadinanza
organizzativa, con la riduzione dei tassi di assenteismo, di turnover e legami tra
fattori di personalità e comportamenti anomali e controproducenti, mediati (cioè
ridotti) dal livello di soddisfazione.
Secondo il modello Demand-Control (Karasek e Theorell, 1990) lo Scientific
Management di Taylor che realizzò la suddivisione estrema del lavoro con
assegnazione ai lavoratori di compiti semplici e standardizzati al fine di
massimizzare produttività e con l‟attribuzione di compiti (progettati dal
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management) che assecondavano esigenze della macchina a cui il lavoratore era
assegnato - quest‟ultimo doveva limitarsi a riprodurli nel modo più fedele
possibile - ottennero come conseguenza l‟erosione definitiva del controllo dei
lavoratori sul processo produttivo e l‟isolamento (scientifico) del lavoratore, per
prevenire il formarsi di gruppi sociali al lavoro con possibile resistenza ai piani del
management.
Tutto questo provocò tre conseguenze:
– Meno controllo: sottrazione al lavoratore della possibilità di prendere
decisioni sugli aspetti di organizzazione del proprio lavoro, ad es. per
apportare migliorie con aumento di esperienza;
– Maggiore pressione: riduzione al minimo dei momenti di „stacco‟
dall‟attività, che facilitavano rilassamento psicologico da pressione della
produzione;
– Isolamento (indebolimento della rete delle relazioni lavorative): per
evitare il formarsi di gruppi sociali al lavoro.
Minor controllo, più elevata pressione (psicologica), isolamento… furono
inizialmente considerati come costi tollerabili in cambio del maggiore salario
garantito dallo Scientific Management e di una diminuzione del carico fisico di
lavoro (grazie all‟automazione), ma le conseguenze del modello tayloristico
risultarono chiare solo a lungo termine, con l‟emergere di forme di alienazione e
con l‟accentuarsi del fenomeno dello stress lavoro-correlato e delle sue
conseguenze.
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Secondo il modello Demand-Control (Karasek e Theorell, 1990), lo stress è il
risultato di due dimensioni:
1. le richieste fisiche e psicologiche (mentali), ma sono le psicologiche ad
essere particolarmente nocive;
2. il grado di controllo disponibile, cioè la possibilità di influenzare
l'organizzazione del proprio lavoro.
La condizione lavorativa caratterizzata da elevate richieste e basso controllo,
identifica i cosiddetti High-strain-job, lavori che determinano elevata pressione e
limitano l'esperienza del controllo: tradizionalmente le catena di montaggio. In
questi lavori la sequenza comportamentale per l'esecuzione del compito è
rigidamente costretta e provoca maggiore stress.
Elevate richieste conducono ad esaurimento, in particolare se accoppiate a scarso
controllo, in quanto la performance adattiva è soggetta a costrizioni esterne.
La pressione esterna provoca una reazione da stress, con liberazione di energie
psicofisiche, ma per lo scarso controllo l'energia mobilizzata si trasforma in
tensione psicologica residua (residual psychological strain), trasformazione
dovuta a impossibilità di scarica costruttiva (active problem solving) del
potenziale di azione liberato, in quanto le risposte comportamentali sono
rigidamente costrette dal ruolo. In pratica, la scarica costruttiva impedita o
limitata dalla ridotta libertà di azione e l‟esposizione prolungata a job strain,
provoca la malattia.
In definitiva, secondo il modello Demand-Control (Karasek e Theorell, 1990),
nella catena di montaggio vi è un'evidenza oggettiva di stress per i lavoratori,
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tuttavia, nel caso in cui il carico di lavoro non possa essere diminuito, è possibile
intervenire su altre leve che vadano ad alleggerire il carico di stress sopportato dai
lavoratori. Questi interventi possono, ad esempio, focalizzarsi sulla maggiore
autonomia offerta ai collaboratori oppure su un maggior supporto sociale verso
gli stessi, altri interventi possono realizzarsi anche attraverso la concessione di
pause adeguate che possano ristabilire, almeno in parte, l'equilibrio psicofisico dei
lavoratori sottoposti allo stress della catena di montaggio. Fare uno “stacco”
dell‟attività lavorativa è funzionale all‟allentamento della pressione, non è una
semplice perdita di tempo, del resto, il D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, all‟art. 15,
lettera d), richiede il rispetto dei principi ergonomici nell‟organizzazione del
lavoro, nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella
definizione dei metodi di lavoro e produzione, in particolare al fine di ridurre gli
effetti sulla salute del lavoro monotono e di quello ripetitivo.
Con gli accordi di stabilimento di Pomigliano e Mirafiori, invece, le pause
concesse agli operai addetti alla catena di montaggio sono state ridotte, creando
un ulteriore aggravio di stress a carico dei lavoratori.
Non tutte le condotte che minacciano l'armonia della vita organizzativa sono
classificabili come comportamenti controproduttivi. Il rifiuto di fare straordinari
oltre una certa soglia o a svolgere mansioni dequalificanti non annoverate nel
contratto stipulato, la resistenza all'introduzione di nuove tecnologie che possono
compromettere la salute, non possono essere considerate condotte
controproducenti poiché non sono messe in atto, prioritariamente, per intaccare
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legittimi interessi organizzativi, bensì per tutelare diritti dei lavoratori
potenzialmente lesi dalle scelte aziendali.37
Lo stesso dicasi per le azioni collettive di protesta fino allo sciopero nelle sue
varie forme che, invece, esprimono l'esistenza di conflitti tra interessi divergenti
e, pur essendo lesive degli interessi aziendali, rientrano nell'ambito dei diritti di
autotutela sindacale riconosciuti anche dalle leggi. Molte condotte
controproduttive, infatti, possono essere considerate come espressione di una
protesta (individuale e collettiva) per contrastare situazioni lavorative ingiuste o
di strumentalizzazione e sfruttamento dei lavoratori. Recenti analisi critiche,
insistono su questa interpretazione mettendo in evidenza anche le ragioni positive
di queste manifestazioni comportamentali che potrebbero essere erroneamente
etichettate solo come disfunzionali.38
37
Balducci e Fraccaroli (2008) 38
Kelloway e colleghi (2010)
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CAPITOLO 5: ALTERNATIVE AL SISTEMA ERGO-UAS PER LA SALVAGUARDIA DEL BENESSERE DEI LAVORATORI. PARERI AUTOREVOLI
Paragrafo 5.1: intervista a Luciano Pero, docente di Organization Theory and Design presso il MIP – Politecnico di Milano
Partendo dal presupposto che la salute e sicurezza dei lavoratori non può essere in
alcun modo derogata, ci si interroga se esistano possibili alternative che
mantengano la produttività aziendale della Fiat agli stessi livelli, se non migliori,
rispetto all‟attuale sistema di lavorazione a catena di montaggio che adotta la
metodica ErgoUas.
Sicuramente i rischi di peggioramento per lo stato psicofisico dei lavoratori
evidenziati dagli studi e, soprattutto, dalle testimonianze dei lavoratori che
giornalmente si recano in catena di montaggio, impongono una seria riflessione
sulla necessità di intervenire a tutela della salute dei lavoratori, del resto è la legge
ad imporre che sul luogo di lavoro sia garantito il benessere dei lavoratori, inteso
nel senso più ampio.
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Secondo Luciano Pero, docente di Organization Theory and Design presso il MIP
– Politecnico di Milano dal 1990, l‟organizzazione del lavoro richiede
necessariamente condivisione tra esigenze aziendali ed esigenze dei lavoratori.
La battaglia sugli accordi di stabilimento in Fiat andava condotta sulla possibilità
di una maggiore partecipazione dei lavoratori alla progettazione del posto di
lavoro, in particolare sulla dimensione delle mansioni e sulla condivisione del
lavoro in generale. La ricomposizione aumenta infatti la produttività e riduce gli
sprechi. Inoltre il miglior modo per battere l’assenteismo è la partecipazione, non
le minacce o le ritorsioni. Se volete che gli operai siano più presenti bisogna che
siano coinvolti maggiormente nella gestione del lavoro.
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Paragrafo 5.2: effetti positivi del coinvolgimento dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro
Orari di lavoro flessibili, stabiliti in base alle esigenze dei dipendenti, straordinari
aboliti, stipendi medi di 1600 euro al mese e una mensa dove un pasto costa 30
centesimi.
Sembra un‟utopia, ma è quello che in realtà accade in un‟azienda di Caselle di
Selvazzano nella provincia di Padova. Si tratta della filiale italiana della
multinazionale tedesca ZF, dove si producono componenti per navi di lusso e per
trasporto commerciale.
I circa 360 dipendenti partecipano attivamente alla gestione dell'orario di lavoro,
con la collaborazione dei sindacalisti interni, riuscendo ad adattare al meglio i
tempi della fabbrica a quelli delle proprie vite.
I dipendenti della società tedesca con sede a Friedrichshafen possono decidere non
soltanto se lavorare per il primo turno (dalle 6 alle 14) o per il secondo (dalle 14
alle 22), ma hanno anche la facoltà di modificare l'orario di entrata in azienda di
tre ore. Possono cioè decidere di arrivare alle 9, invece che alle 6, lavorando per le
successive otto ore, con una pausa pranzo che varia, sempre in base alle necessità
individuali, dalla mezzora all'ora. L'orario chiamato “a menu”, che viene stilato
ogni otto settimane cercando di soddisfare le esigenze di tutti, prevede anche la
settimana “a carico maggiorato” (con lavoro aggiuntivo il sabato mattina oppure
con un'ora in più al giorno), “ridotto” (35 ore in cinque giorni, con la riduzione di
un'ora media giornaliera o il salto del venerdì pomeriggio) e “normale” (otto ore
per cinque giorni). Questo sistema valorizza anche i contratti part-time che
riescono ad essere inseriti con efficacia nel sistema produttivo.
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Del resto, la stessa Fiat all'articolo 11 dell'accordo di Pomigliano d‟Arco,
sottolinea l‟interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale e il
conseguente rischio che possa inficiare lo spirito che lo anima.
La vita dei dipendenti della ZF di Caselle di Selvazzano è cambiata nel 2001, in
seguito ad un accordo tra sindacati e direzione. La richiesta di flessibilità di orari
dell'azienda, motivata dalle esigenze del mercato internazionale, costringeva i
lavoratori a straordinari continui e stancanti e aveva portato un malumore diffuso
tra i dipendenti. Messe alle strette da un voto nettamente contrario dell‟assemblea
dei lavoratori, le Rappresentanze sindacali di base (Rsu) hanno dovuto aguzzare
l‟ingegno e con un colpo di fantasia e di coraggio hanno cambiato modello di
riferimento per gli orari e la flessibilità. Come spiega Luciano Pero, docente del
Mip Politecnico di Milano, “i sindacalisti hanno capito che la flessibilità non si
poteva affrontare con lo straordinario o con le ennesime eccezioni al sistema
degli orari standard, ma programmando il lavoro in modo flessibile e conciliando
le esigenze dei dipendenti con quelle dell’impresa attraverso sistemi manageriali
evoluti.
Se si lasciassero liberi i team di lavoro di decidere l’attribuzione delle mansioni, i
risultati sarebbero sorprendenti: troverebbero sicuramente soluzioni migliori di
quelle di adesso, le mansioni sarebbero ricomposte maggiormente, ci sarebbero
meno sprechi, le aziende guadagnerebbero in produttività, gli operai farebbero
meno fatica, e l’intera industria italiana andrebbe meglio. Per questo ritengo che
il principale difetto degli accordi di Pomigliano d’Arco e di Mirafiori stia nel
fatto che non è prevista una partecipazione diretta dei lavoratori alla
progettazione della nuova fabbrica.
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Quello che veramente manca, è la partecipazione dei lavoratori nella definizione
dell’organizzazione del lavoro. Ma questa forse potrà realizzarsi una volta che la
fabbrica comincerà effettivamente a funzionare.
D’altronde anche secondo il Wcm i lavoratori devono partecipare al
miglioramento produttivo. Per cui mi sarei aspettato che i sindacati firmatari, ma
anche quelli che non hanno firmato, chiedessero in cambio di questi sacrifici -
perché i sacrifici indubbiamente ci sono - una maggiore partecipazione. Si
potrebbe addirittura contrattualizzare il Wcm, che ha tutto un capitolo sul
miglioramento continuo che prevede la partecipazione non solo di tecnici di
fabbrica e specialisti, ma anche di tutti i lavoratori. Purtroppo l’impresa e i
sindacati vedono la contrattazione come un ulteriore vincolo alla organizzazione
produttiva. La contrattazione invece nel caso del Wcm può essere un’opportunità
sia per l’impresa che per i sindacati, con un sicuro guadagno in produttività e in
qualità. Taiichi Ohno39
insisteva molto su questo punto. Da noi invece pare non si
voglia capire che se i lavoratori partecipano alla definizione del processo
produttivo si otterranno dei benefici di cui potranno godere tutti gli attori:
l’azienda, il cliente e il sindacato. Molte imprese adottano esattamente questo
principio: la produttività in più va per un terzo a ridurre i prezzi (beneficio del
cliente), per un terzo all’impresa, che può investire e fare profitti, per un terzo ai
lavoratori sotto forma di premio.
Per un milione di metalmeccanici il coinvolgimento nell’organizzazione del
lavoro di fatto è enorme: l’artigiano e la piccola impresa già oggi coinvolgono il
lavoratore, gli affidano responsabilità gestionali importanti come la qualità, la
39
Taiichi Ohno è stato un ingegnere giapponese specializzato in meccanica, è considerato il padre del sistema di
produzione attuato nell‟azienda automobilistica Toyota: il Toyota Production System, noto anche come Lean
Production (produzione snella).
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commessa, il tempo, il rapporto col cliente, col fornitore. E’ una cosa comune in
tutte le piccole e medie fabbriche. Bisogna strutturare meglio questa
partecipazione dal basso all’organizzazione del lavoro, con più coraggio da parte
di tutti, dei sindacati e degli imprenditori. Se non c’è una forte partecipazione dal
basso non c’è innovazione, e l’industria continuerà a declinare. Per non
declinare, l’industria italiana ha bisogno di investimenti in innovazione, nuovi
prodotti e nuove tecnologie, che vuol dire soldi, ricerche, applicazione e brevetti:
cose che non si vedono all’orizzonte.
L’altra gamba del miglioramento è però la partecipazione.
Va strutturata quella partecipazione informale, sui generis, che oggi è richiesta
nella piccola impresa. Oggi si dà per scontato, ad esempio, che l’operaio italiano
insegni all’operaio immigrato come si fonde, come si aggiusta la macchina,
eccetera; tutto è dato per scontato, non strutturato, non remunerato e, peggio
ancora, non riconosciuto. Invece bisogna stabilire dei sistemi reciproci di
garanzia, ad esempio attraverso le commissioni congiunte aziende-sindacati sulle
forme di partecipazione dei lavoratori all’innovazione e all’organizzazione. Se i
lavoratori partecipano all’innovazione organizzativa non c’è bisogno di Ergo
Uas, te lo trovano loro il sistema innovativo. Se poi imparano pure ad usare
l’Ergo Uas, tanto di guadagnato.
La partecipazione dal basso può già essere realizzata dappertutto, non ci sono
limiti. Basta fare accordi nei contratti nazionali, locali, aziendali, che stabiliscano
le forme di partecipazione dei lavoratori e demandino a commissioni congiunte
azienda-sindacati, azienda-Rsu, la definizione di percorsi formativi. Due-tre
giorni all’anno dovrebbero essere obbligatori per tutti i lavoratori industriali
italiani, cioè per cinque milioni di persone, se vogliamo sostenere la
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competizione. Lo stesso vale per gli orari di lavoro. Uno dei pochi vantaggi
dell’industria italiana è la flessibilità produttiva, che è nata in Italia negli anni
Ottanta nell’industria tessile e abbigliamento per fronteggiare un mercato a
dimensione mondiale, ma segnato da picchi stagionali molto forti: un mercato
variabile, difficilmente prevedibile. Già all’epoca l’industria dell’abbigliamento si
era data, anche contrattualmente, tutta una serie di clausole (ad esempio gli orari
modulari, gli orari flessibili, la possibilità di cambio turni, eccetera), che hanno
consentito ai distretti industriali e alla grande impresa di competere
efficacemente sui mercati mondiali. Questa flessibilità produttiva è realizzata in
parte attraverso macchine e impianti tecnicamente flessibili, in parte attraverso la
modifica degli orari, che è normalmente imposta ai lavoratori con straordinari,
ore in più, ore di flessibilità, cambio turno, inserimento di nuovi turni, nei periodi
di punta; e invece uso di ferie, festività, recuperi, banca ore e quant’altro, nei
periodi di bassa stagione.
Si possono predefinire i modi in cui l’azienda può chiedere al lavoratore di fare
più ore, ad esempio il sabato mattina, un’ora in più di straordinario, la notte, il
turno. Dopodiché il lavoratore ha anch’egli a disposizione le forme in cui può
chiedere di lavorar di meno; uno, per dire, può prendersi giornate intere di
permesso, non lavorare il venerdì pomeriggio, ridurre di un’ora lavorativa tutti i
giorni. Fare una programmazione di questo genere è possibile. Funziona così:
l’impresa dichiara, con un certo anticipo (da uno, due a sei mesi) i suoi
fabbisogni di lavoro, per figure professionali e per reparto; i lavoratori
aderiscono a questo fabbisogno, programmandosi a loro volta per quel periodo;
dopodiché si vede se c’è un matching. L’esperienza dimostra, nei pochi casi in cui
questo sistema viene applicato, che facendo girare informalmente il fabbisogno e
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dichiarandolo, al 70-80% si trova chi fa il lavoro. Quel 20-30% che manca può
essere recuperato trovando dei volontari. Al limite l’impresa può far valere un
certo numero di ore che può comandare, il famoso “straordinario comandato”.
Più o meno in tutti gli accordi aziendali o nazionali esiste una quota comandata.
Anche in Fiat ci sono i famosi sabati obbligatori. L’accordo Merloni prevedeva
sei sabati; l’accordo Occhialeria prevede 96 ore annue. Alla rovescia, i lavoratori
possono a loro volta chiedere quando riprendere le ore fatte in più, cercando di
posizionarle nei periodi di bassa stagione e minimizzandole nei periodi di alta
stagione.
Gli “orari a menù” hanno l’ambizione di combinare un gioco a somma positiva
fra esigenze del lavoratore ed esigenze dell’impresa, perché se l’orario è meno
imposto, più condiviso, almeno parzialmente negoziato, con più libertà per il
singolo, la libertà dell’impresa di avere più flessibilità è garantita. Dove è stata
fatta questa esperienza, come alla ZF di Selvazzano (Padova), i risultati sono stati
straordinari perché quando una quota parte dell’orario è scelta dal lavoratore, si
crea un senso di responsabilità del proprio lavoro; crolla l’assenteismo, in quanto
la gente si sente legata a un patto, per cui cerca di andare a lavorare anche se ha
qualche difficoltà; migliora il funzionamento del sistema organizzativo aziendale;
e scompaiono gli straordinari, che tra l’altro creano confusione.
Un sistema a menù dà più ordine alla produzione, ne riduce i costi e ne aumenta
la qualità, rafforza l’adesione dei lavoratori, fa crescere la fiducia reciproca fra
lavoratori e impresa e si potrebbero realizzare premi di risultato più elevati. Già
oggi esistono sistemi a menù molto informali, nella piccola e media impresa,
laddove, ad esempio, ci si accorda sulle ferie secondo l’andamento delle
commesse. D’altronde è vero che le imprese vorrebbero poter comandare negli
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orari ma sotto sotto cercano sempre l’accordo dei lavoratori. Si tratterebbe anche
qui di dare più scientificità, più formalizzazione, più efficacia, a un meccanismo
che attuato informalmente fa fatica a funzionare.
Nel 2001 la ZF ha stilato un accordo straordinario, realizzando in pieno quello
che a me sembrava un’utopia. È un sistema bellissimo, anche dal punto di vista
tecnico, di programmazione della produzione. In sostanza grazie a un sistema
computerizzato programmano contemporaneamente le commesse, gli ordini, il
flusso dei materiali, la lavorazione delle macchine e l’orario di lavoro delle
persone, partendo non dall’orario dato, ma dai desiderata dei lavoratori.
Attraverso diverse simulazioni raggiungono l’ottimo nella pianificazione della
produzione sincronizzando lavoratori, macchine, commesse. Con risultati
stupefacenti. La loro capacità di consegnare puntualmente la commessa è
diventata infatti leggendaria, perché in una situazione molto complicata riescono,
con diversi mesi di anticipo, ad azzeccare esattamente il giorno di consegna della
commessa.
Alla ZF si è realizzato un cambiamento che ha portato benefici anche alla
multinazionale: il costo del lavoro, infatti, è diminuito del 30% rispetto a prima.
“Ma il fatto ancora più interessante - continua Pero - è che alla ZF, per superare
il modello storico di orario standard, si è dovuto accelerare il processo di
innovazione. Infatti, è stato necessario aumentare la polivalenza degli operai
incentivando il loro apprendimento nell’uso di molte macchine, cambiare
l’organizzazione del lavoro con i team e la rotazione, migliorare il sistema di
programmazione degli orari e delle commesse, acquisendo capacità di rispetto dei
tempi di consegna e di affidabilità dei tempi stimati a preventivo”.
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Un risultato, questo, che ha permesso all'azienda di essere competitiva con i
concorrenti a livello mondiale.
La flessibilità gestita a favore dei lavoratori, infatti, ha portato risultati rilevanti:
l‟assenteismo si è ridotto drasticamente, la puntualità di consegna è cresciuta, la
qualità è migliorata per effetto dell‟organizzazione più ordinata e della crescita
professionale, i costi di produzione sono stati contenuti”. Il modello della ZF è più
vicino ai sistemi del Nord Europa (dove orari a menu, banche ore e part-time sono
la normalità) più che a quelli mediterranei. “Anche se a differenza di quel che
accade in Danimarca, Olanda e Svezia, dove l'organizzazione del lavoro è basata
su una precisa volontà sociale, in quest'azienda si è arrivati a un cambiamento
per questioni di mercato. Cercando la soluzione a un problema, si è riusciti a
trovare e applicare un'organizzazione virtuosa del lavoro, che sarebbe certamente
replicabile in altre imprese. Ma per farlo servono lungimiranza e coraggio e
queste, purtroppo, nel nostro Paese sono virtù ancora rare”.
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Emerge chiaramente che il coinvolgimento dei lavoratori nell'organizzazione del
lavoro si realizza anche attraverso il contemperamento delle loro esigenze con
quelle aziendali.
In questo modo, bilanciando lo squilibrio che viene a crearsi con la richiesta di
prestazioni lavorative sempre più intense, si possono attenuare le conseguenze
negative, sia in termini di tutela della salute sia in termini di produttività.
Fortunatamente, il caso emblematico della ZF di Selvazzano (Pd) non è destinato
a restare isolato, perché cominciano a farsi strada ulteriori accordi aziendali, in
linea con questa nuova concezione di organizzazione del lavoro “consapevole”
della necessità di condividere le esigenze dei lavoratori.
Ikea Italia, in data 1 luglio 2011 ha sottoscritto un'ipotesi di accordo per il rinnovo
del contratto integrativo aziendale, introducendo il premio di partecipazione
"a scelta". Con l'integrativo siglato da azienda e sindacati (Filcams Cgil, Fisascat
Cisl e Uiltucs Uil), la multinazionale svedese introduce la possibilità di scegliere
due diversi premi di partecipazione e affida la scelta ai lavoratori, reparto per
reparto, gruppo per gruppo o negozio per negozio.
L'aspetto innovativo dell'accordo è rappresentato dal sistema del premio di
partecipazione che sviluppa un maggior coinvolgimento dei lavoratori attraverso
un nuovo parametro che vede la diretta responsabilità del singolo lavoratore nel
miglioramento del livello di servizio offerto dall'azienda.
A livello di punto vendita, con i rappresentanti sindacali, vengono scelti gli
obiettivi, poi vengono definite le regole di funzionamento. Il sistema prevede che
l'azienda indichi in maniera trasparente quante persone sono necessarie in servizio
nelle diverse fasce orarie, mentre il lavoratore in maniera volontaria sceglie il
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proprio orario tra quelli proposti. Tutto questo, secondo Elisa Giovanna Chioda
(labour relations, compensation and benefit di Ikea Italia), “comporterà il
miglioramento della soddisfazione dei bisogni dei clienti ed anche di quelli dei
lavoratori”40
.
L'approccio ad un'organizzazione del lavoro che consideri anche le esigenze dei
lavoratori rappresenta un segnale di lungimiranza da parte di aziende che puntano
ad una permanenza sul mercato ai massimi livelli. Diversamente, laddove
l'organizzazione del lavoro punti in maniera miope, solo ed esclusivamente alla
massimizzazione quantitativa della produzione, probabilmente si assisterà a
risultati positivi nel breve periodo, ma inevitabilmente si conosceranno le
conseguenze nel medio-lungo termine, quando incominceranno a venire a galla gli
effetti di un'organizzazione del lavoro poco consapevole del fatto che la
soddisfazione del lavoratore rappresenta uno dei principali presupposti del profitto
di un'azienda.
40
All‟Ikea il premio è “a scelta”. Cristina Casadei, il Sole 24 Ore, 6 luglio 2011.
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CAPITOLO 6: CONCLUSIONI
Dall‟analisi delle caratteristiche del modello organizzativo e della metodica
ErgoUas adottata in Fiat emergono chiaramente numerosi punti critici che
implicano conseguenze negative sulla salute e sicurezza dei lavoratori.
Queste criticità producono effetti dannosi per l‟apparato muscolo-scheletrico a
causa, principalmente, della ripetitività dei movimenti eseguiti per molte ore
consecutive dai lavoratori addetti alla catena di montaggio, ma riguardano anche
danni da stress lavoro-correlato.
Ad oggi, l‟unico risultato raggiunto in Fiat con l‟adozione del sistema ErgoUas è
rappresentato dall‟aumento della velocità dei ritmi di lavoro. Non ci sono ancora
evidenze e dati che avvalorino la tesi della Fiat sul presunto miglioramento delle
condizioni di salute dei lavoratori addetti alle catene di montaggio.
Inoltre, l‟intervento punitivo sulle assenze per malattia introdotto dagli accordi di
stabilimento, potrebbe provocare una remora per i lavoratori a denunciare il
proprio stato di malessere fisico, falsando i dati delle assenze per malattia.
Negli accordi Fiat di Pomigliano d‟Arco e Mirafiori manca qualsiasi riferimento o
considerazione riguardo ai temi del rischio organizzativo e dello stress lavoro-
correlato. L‟aggravante è rappresentata dal fatto che la lavorazione alla catena di
montaggio rappresenta oggettivamente uno dei principali fattori di rischio per lo
stress correlato al lavoro.
Probabilmente, se l‟azienda ascoltasse le richieste dei lavoratori e le denunce di
criticità sull‟organizzazione del lavoro, sarebbe possibile adottare misure che
vadano perlomeno a compensare gli sforzi degli operai, controbilanciandoli, ad
esempio, con pause più congrue ovvero con attività alternative che
“interrompano” la ripetitività della mansione.
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Anche il semplice ascoltare le esigenze dei lavoratori, cercando di trovare
soluzioni condivise, rappresenta la forma di prevenzione primaria per eccellenza,
per evitare o diminuire i rischi professionali, come stabilito dal D.Lgs. 81/2008,
Testo unico della sicurezza.
Modulare carichi di lavoro in modo che siano in linea con le capacità e le risorse
dei lavoratori, progettare lavori che abbiano significato/senso, stimolino e diano
opportunità di utilizzare abilità possedute, definire chiaramente i ruoli e le
responsabilità, dare la possibilità ai lavoratori di “dire la propria” quando si
prendono decisioni o si implementano azioni che influenzano il loro lavoro.
Attraverso queste semplici azioni è possibile adottare un processo virtuoso di
collaborazione all‟interno di una organizzazione consapevole.
Emerge con forza la necessità di instaurare un processo di comunicazione tra la
direzione aziendale e i lavoratori. L‟unico modo che ritengo possa aiutare a
migliorare la situazione è iniziare una nuova forma di relazioni aziendali con cui
riaffermare lo spirito di leale collaborazione e buona fede che la legge pone alla
base dell‟obbligazione contrattuale lavorativa.
A monte delle valutazioni sulle criticità del sistema ErgoUas adottato in Fiat,
appare evidente che il d.lgs. 81/2008, completato con le indicazioni per la
valutazione dello stress lavoro-correlato, metta in discussione la legittimità stessa,
ai fini della tutela della salute dei lavoratori, della lavorazione in catena di
montaggio. Questo perché la catena di montaggio rappresenta il principale fattore
scatenante dello stress lavoro-correlato. Adottare un sistema, come ErgoUas,
etichettandolo come la risoluzione dei danni che la catena di montaggio provoca ai
lavoratori, rappresenta solo un palliativo per far finta di guarire una malattia
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incurabile.
Nel 2011, a distanza di oltre cent‟anni dallo sviluppo della teoria tayloristica,
bisogna elaborare un nuovo modo di concepire l‟organizzazione del lavoro se non
si vuole ritornare a condizioni lavorative che nel nostro paese erano state
considerate ormai superate. L‟esempio della multinazionale ZF e delle altre grandi
aziende che ne stanno seguendo l‟esempio, dimostra che un cambiamento è
possibile, occorre solo prendere definitivamente coscienza del fatto che il
lavoratore non può essere considerato solo l‟appendice di una macchina.
Vorrei concludere, infine, con una frase dell‟ing. Adriano Olivetti, in onore della
sua memoria, sperando che nascano ancora dei veri imprenditori come lui.
"Nel lavoro intelligente e scrupoloso dei nostri ottocento operai, nello studio
metodico e incessante dei nostri quindici ingegneri, c’è la certezza di progresso
che ci anima. La lealtà dei nostri lavoratori è il nostro attivo più alto".
Pagina 101 di 101
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