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1 Adolfo Noto Pierre de Coubertin Il progetto politico dell’olimpismo Appunti di Storia delle idee politiche e sociali Teramo Anno Accademico 2013/2014

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Adolfo Noto

Pierre de Coubertin

Il progetto politico dell’olimpismo Appunti di Storia delle idee politiche e sociali

Teramo Anno Accademico 2013/2014

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Pierre de Coubertin. Il progetto politico dell’olimpismo Indice L’idea olimpica tra gli antichi e tra i moderni p. 3 Politica e sport p. 9 La pace olimpica di Luigi Mastrangelo p. 13 Da Olimpia al Nuovo Mondo (brani scelti) p. 16 Università d’oltreoceano p. 17 Strumento di pace p. 30 Principi e simboli olimpici p. 50

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L'IDEA OLIMPICA TRA GLI ANTICHI E TRA I MODERNI.

La questione dell'opposizione tra gli antichi e i moderni, tra la civiltà classica greca e latina e quella contemporanea, rappresenta un topos ormai remoto della cultura europea. Da Petrarca e dall'affermazione degli studi umanistici, la riscoperta della cultura classica ha fornito una pietra di paragone impietosa per ogni polemica di natura letteraria, filosofica, politica. Con indubbia vittoria degli antichi sui moderni, almeno fino a quando Benjamin Constant nel suo famoso Discorso sulla libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni del 1819 non dimostra l'impossibilità di riproporre nel contesto storico moderno la democrazia diretta della polis.

Lo sport non è rifuggito dunque da questo schema classico dunque, se alla fine dello stesso diciannovesimo secolo la fondazione del CIO ha consentito di riproporre una nuova, complessa, cosmopolita versione dell'olimpismo greco.

Lo spirito che animò gli antichi giochi agonali sin dalle loro origini si espresse in forme e funzioni connesse con i culti divini ed eroici e, sul piano sociale e ideologico, con il ceto aristocratico e con l'ideale agonistico dell'eccellenza fisica e del primato sull'avversario. Nel desiderio di eccellere e conseguire la gloria del primato, l'atleta greco non rifuggiva da astuzie di ogni genere, conformemente a quella norma che Pindaro, il celebre cantore delle vittorie agonali (V sec. a.C.), nell'ode per Melisso di Tebe, vincitore nel pancrazio (Istmica 4,67), perentoriamente enuncia: "Con ogni mezzo bisogna annientare il nemico".

Quello che potremmo definire lo sport dell'antichità (seppure impropriamente come vedremo), si presenta nella forma dell'agòn epitàphios, o gara funebre, come appannaggio esclusivo dell'aristocrazia guerriera. Solo più tardi esso si afferma in una forma autonoma e istituzionalizzata, che comporta l'allenamento e la specializzazione atletica, serbando sempre il suo carattere marziale.

Non è un caso che il ginnasio, in origine fondato per scopi militari, in sintonia con i modi di vita aristocratici, abbia ricevuto un notevole impulso nel VI sec., che è stato con ragione definito "l'età dell'organizzazione atletica" .

L'importanza dei giochi, che ben presto divennero un'occasione irrepetibile di incontro di tutti i Greci, manifestazione unica del loro nazionalismo, fu compresa da illustri uomini politici, che provvidero con leggi a organizzare e integrare l'attività atletica nel quadro globale delle attività della polis.

Quattro furono le manifestazioni agonistiche di carattere nazionale. I giochi Olimpici, connessi con il mito di Pèlope, che sconfisse Enòmao nella corsa dei carri, l'uccise e ne prese in sposa la figlia Ippodamia. Si riteneva che essi traessero origine dai giochi funebri presso la tomba dell'eroe . Furono istituiti nel 776 a.C. a Olimpia, nel Peloponneso, e si svolgevano ogni quattro anni, tra la fine di luglio e l'inizio di agosto, e il loro prestigio unitamente al carattere periodico fece sì che l'Olimpiade, ovvero il quadriennio intercorrente tra due agoni olimpici, divenne un punto di riferimento essenziale della cronologia degli antichi.

E' opportuno inoltre rilevare che il dogma ritenuto antico dai moderni di una 'pace olimpica', come momento di comunione e fratellanza fra i popoli, si fonda su una falsa immagine di ciò che fu realmente la tregua olimpica cioè una reciproca assicurazione di tutte le città appartenenti alla comunità olimpica di garantire agli atleti e agli spettatori la possibilità di recarsi nel luogo della festa senza difficoltà. Una norma di ordine eminentemente pragmatico, senza alcuna aspirazione etica.

Gli altri tre celebri agoni panellenici furono i giochi Pitici, Istmici e Nemèi, nella leggenda collegati anch'essi alle celebrazioni funebri rispettivamente del drago Pitone a Delfi, di Melicerte-Palémone all'Istmo, di Ofelte-Archémoro a Nemèa, sull'Istmo di Corinto.

Insieme ai giochi Olimpici, i giochi Pitici, Ismici e Nemèi costituivano un ciclo (perìodos), e la gloria maggiore che un atleta potesse conseguire era ovviamente quella di classificarsi vincitore in tutti come accadde per Milone di Crotone). Ma oltre a questi famosi giochi cosiddetti stephanìtai, o 'della corona', v'erano in Grecia numerosissimi altri agoni locali. Ogni città ne aveva almeno uno, e Atene e Sparta più d'uno.

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Il ritratto dell'atleta che concorre ai giochi panellenici, quale emerge dai canti di vittoria (epinici) di Pindaro e Bacchilide (V sec. a.C.), è in generale quello del giovane e valente aristocratico che dedica evidentemente la maggior parte del suo tempo agli allenamenti e alle gare. Già ricco di famiglia, egli acquista privilegi, onori e anche vantaggi materiali in virtù delle vittorie sportive.

Intimamente legato nel suo nascere e poi nel suo declino all'aristocrazia, l'epinicio, soprattutto con Pindaro e Bacchilide, documentano con chiarezza, nella complessa articolazione formale degli elementi costitutivi, quali la lode, le sentenze morali, il riferimento alle vicende mitiche, e nella composita natura dei metri-ritmi portanti del canto, il carattere maestoso e solenne dei festeggiamenti e l'indubbia importanza sociale e politica che l'evento della vittoria veniva ad assumere in un contesto che poteva di volta in volta essere la patria del vincitore, di fronte al pubblico dei familiari e dei concittadini, oppure, più prestigiosamente, la sede stessa dei giochi, davanti al vasto uditorio panellenico. In quello stesso secolo, il VI, nel quale gli agoni sportivi ricevettero un nuovo assetto e una forma istituzionalizzata, sotto l'impulso della nuova economia cittadina, rifiorita con l'espansione coloniale sulla costa del Mediterraneo e con le possibilità di scambio aperte dalla circolazione monetaria, anche la figura del poeta assume un nuovo ruolo, un alto rilievo sociale connesso con la sua funzione elogiativa e celebrativa di prìncipi e città. E fu soprattutto in coincidenza dell'affermarsi dell'agonalità atletica come uno dei momenti più significativi della vita sociale e politica, che questo tipo di poesia ebbe la sua massima fioritura: in essa (oltre che naturalmente nelle arti figurative) le aristocrazie greche ed i principi sovrani ravvisarono un insostituibile mezzo di persuasione al servizio del proprio prestigio e potere politico.

La poesia insomma è il necessario elemento di mediazione tra l'impresa degna di memoria e la gloria che essa merita .

Tra il VI e il V sec. a.C. il conflitto tra oligarchia e democrazia diviene più aspro e violento per risolversi, nella guerra del Peloponneso, con il trionfo definitivo di quest'ultima. Un processo evolutivo che investì anche, com'è ovvio, il fenomeno dell'atletismo, producendo anzi in esso mutamenti tanto più radicali, se si pensa a quanto strettamente legato esso fosse nel suo nascere alla classe aristocratica ormai entrata in una fase di irreversibile crisi. Aumenta il numero degli atleti specializzati; il professionismo, di fatto presente già nel VI secolo proprio all'interno della cerchia aristocratica, diviene sempre più spinto, mentre l'atletismo, in virtù dei sostanziosi vantaggi materiali e sovvenzioni statali destinate agli atleti vincitori, si trasforma gradualmente in un vero e proprio mestiere redditizio, che consente un afflusso sempre maggiore di atleti appartenenti ai ceti inferiori.

Una graduale ma irreversibile 'democratizzazione' dello sport. La vittoria si laicizza, nel senso che si attenua quel carattere religioso e sacrale che l'aveva

caratterizzata nel passato. Né l'atleta fu più celebrato con quei tratti mitici ed eroici della poesia pindarica.

Il numero crescente degli atleti in lizza e le inevitabili degenerazioni conseguenti alla mutata situazione di promiscuità sociale dei concorrenti valsero all'attività agonistica critiche sempre più aspre da parte di poeti e filosofi, gli intellettuali dell'antichità, volte a colpire quegli aspetti di corruzione e scandalo, ovvero i favoritismi e gli onori eccessivi tributati agli atleti di professione, che del resto ancora oggi in modo molto simile non di rado si osservano nel mondo dello sport. Emblematico in tal senso il ritratto non certo lusinghiero che degli atleti delinea proprio Euripide in un suo dramma satiresco, l'Autòlico (fr. 282 Nauck ): "finché sono giovani girano pieni di boria, quasi fossero l'ornamento e la gloria della città, ma poi da vecchi vanno vagando come mantelli scoloriti". E tuttavia l'agonismo antico seppe comunque conservare intatti quegli ideali arcaici (e aristocratici) di virtù, coraggio, bellezza e gloria che gli atleti professionisti dell'età ellenistica e romana vollero significativamente recuperare dal passato: poiché senza la gloria, afferma perentorio Solone nel tardo dialogo di Luciano, Anacarsi (36, 22 sg.), la vita degli uomini è nulla.

Gli uomini e le donne sotto ogni sole hanno sempre giocato, cosicché oltre l'homo faber è sempre stato accompagnato dall'homo ludens e il gioco è sempre stato (per citare Huizinga) base e fattore di cultura. Dal 394 al 1896, da quando cioè l'Imperatore Teodosio sopprime i giochi olimpici

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a quando ad Atene si svolge la prima Olimpiade moderna i giochi, sotto altra variegatissima veste, hanno continuato ad esistere.

Ma è con Pierre De Coubertin (1863-1937) che i Giochi olimpici sono divenuti un un epifenomeno della cosiddetta età delle masse, ritagliandosi uno spazio autonomo fra i giochi rurali e urbani pre-moderni e lo sport moderno di origine inglese e legato ai processi di diffusione dell'industrialismo e all'impiego (dopo il tempo del lavoro) del tempo libero (leisure time secondo l'intraducibile, in italiano, espressione inglese, oppure loisir in francese)

'Olimpismo moderno', 'idea olimpica', 'neo-olimpismo', talvolta anche 'spirito olimpico': sono i nomi che il barone Pierre de Coubertin adopera per designare il complesso di idee che hanno guidato la sua ispirazione nel proporre, e realizzare, il ripristino dei Giochi olimpici.

Il successo delle Olimpiadi moderne viene sovente racchiuso nelle parole pronunciate dal vescovo di Pennsylvania alla cerimonia religiosa di apertura dei Giochi di Londra del 1908, nella chiesa londinese di San Paolo: "L'importante in queste Olimpiadi, è meno di vincere, che di partecipare".

Coubertin riprende, invece, quelle parole, ma ampliandone e quasi alterandone il senso, ne fa la base del riconoscimento di una performance senza ricompensa.

O, ancora, spesso si riduce, d'altra parte, il barone ad uno strenuo difensore a sostenitore del dilettantismo. Non si tiene così conto del forte richiamo realistico alla storia, fissato nel documento che istituisce i Giochi nel Congresso CIO del 1894:

"Il ripristino dei Giochi olimpici sulle basi ed alle condizioni conformi alle necessità della vita moderna".

E, sul tema specifico del dilettantismo, l'intervista, dopo i Giochi di Berlino del 1936: "Ah, quale vecchia e stupida storia è quella del dilettantismo olimpico! Ma leggete il famoso giuramento del quale io sono l'autore felice e fiero. Dove trovate mai che esso esiga dagli atleti entrati nello stadio olimpico la professione di fede di un dilettantismo assoluto che io sono il primo a riconoscere impossibile? Col mio giuramento non chiedo che una cosa: la lealtà sportiva che non è appannaggio dei soli dilettanti. E' lo spirito sportivo che mi interessa e non il rispetto della ridicola concezione inglese che permette solo ai milionari di sacrificarsi allo sport... Tale dilettantismo, non sono io che l'ho voluto, sono piuttosto le Federazioni Internazionali che l'hanno imposto. Non è dunque più un problema olimpico".

Falsi miti, dunque, spiegabili con la portata del fenomeno, con le sue molteplici implicazioni - oltre che sociali e culturali, direttamente politiche, al di là di ogni pretesa e ricercata neutralità. Tendenti a cristallizzare la figura del fondatore delle Olimpiadi moderne in una concezione semplicistica e tutta concentrata sulla esaltazione di una separata religio athletae.

Forte di una buona base di cultura classica, appresa presso i Gesuiti, si dedicherà agli studi di scienza politica e di storia. Tocqueville è il grande punto di riferimento, ma Taine e Frédéric Le Play, costituiscono un vivente, essenziale faro per scoprire la dimensione sociale, storica ed internazionale della cultura e dei suoi aspetti materiali. L'attenzione alla famiglia, ai processi formativi nella loro più ampia estensione, diventano così il nucleo della riflessione sulla necessità politica di una riforma pedagogica. Lo spirito che lo muove è quello della mortificazione di Sédan da cancellare.

Nei soggiorni di studio in Inghilterra e negli Stati Uniti individua l'importanza e il ruolo dello sport nella società moderna. Un modello, in particolare, lo colpisce: quello rappresentato nella società e nella pedagogia inglese dall'Headmaster di Rugby, Thomas Arnold, codificatore ed organizzatore dell'introduzione programmatica - con precisi scopi educativi - della competizione sportiva nelle public schools. Niente come lo sport gli sembra poter garantire un ordinato sviluppo di società sempre più competitive e in presenza di acuti conflitti sociali. Sport e democrazia liberale gli appaiono un connubio ideale, altrimenti la società rischia l'oppressione o il disordine. Beninteso, la priorità spetta sempre alla riforma pedagogica e morale - con il loro sfondo politico - , lo sport è soltanto uno strumento, ma del tutto decisivo nella società moderna. Lo esprime con chiarezza nel discorso per il XX anniversario della ripresa dei Giochi olimpici del 1914: "Il mondo moderno ha

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un mezzo migliore di celebrare il suo (dello sport) culto, aderendo affatto semplicemente alle sue dottrine. Non pensate tuttavia che io voglia presentare tale adesione come una necessità permanente che si afferma attraverso le diverse età. Poiché ho sempre insistito sul fatto che lo sport deve essere l'obbediente servitore della cultura intellettuale e della cultura morale, non aspettatevi mai che mi ricreda su questo punto. Soltanto capita che in determinate epoche la cultura intellettuale e la cultura morale non hanno servitore migliore dello sport, di modo che diviene desiderabile che esse facciano di lui per qualche tempo il maggiordomo della loro casa. Sia che si tratti di consolidare tra muscolo e pensiero un equilibrio sempre instabile e spesso rotto, o anche di reagire contro le conseguenze di esagerazioni contraddittorie che si alternano in seno a civiltà raffinate, è sicuro che il tempo presente ha bisogno di sport. Ed io rendo grazie al cielo del fatto che avendo intravisto questa verità, trent'anni fa, nei miei primi percorsi di rischiaratore (éclaireur), io abbia potuto sacrificare tutto per impegnarmi a farlo trionfare".

"Nessuna cosa nella storia antica mi aveva reso più sognatore di Olimpia. Questa città di sogno... innalzava senza sosta dinanzi al mio pensiero di adolescente i suoi colonnati ed i suoi porticati; ancora prima di pensare ad estrarre dalle sue rovine un principio rinnovatore, io mi ero impegnato nello spirito a ricostruire, a fare rivivere la sua figura lineare. La Germania aveva riesumato quello che rimaneva di Olimpia; affinché la Francia riuscisse a ricostruirne gli splendori. Da qui al progetto meno brillante, ma più pratico e più fecondo, di ripristinare i Giochi, non c'era grande distanza, soprattutto quando era scoccata l'ora in cui l'internazionalismo sportivo sembrava chiamato a giocare di nuovo il suo ruolo nel mondo".

Pure, de Coubertin non manca mai di segnalare la precisa caratterizzazione storica e la profonda differenza di espressione e di significato tra l'antica concezione dello sport e quella moderna, sin dai primi interventi, nel 1894, anno in cui comincia a parlare in qualche passaggio di 'Olimpismo moderno', che dopo un decennio diventerà espressione usuale. Il 'ritorno alla vita greca', alla 'vita primitiva', è considerato un puro, irrazionale, finanche opportunistico vagheggiamento; perché - sostiene decisamente de Coubertin - "La verità è che vi è per gli uomini del XX secolo impossibilità assoluta di ritornare, sia pure parzialmente, alla vita primitiva, ammesso che realmente ne provino il desiderio".

Dunque, le Olimpiadi vanno riprese perché lo sport è uno strumento essenziale della vita moderna. Importante è lo spirito, la filosofia generale, non la piatta e sterile riproduzione di rituali e modelli dell'antica Olimpiade. Di qui la duttilità, la grande apertura sempre dichiarata da de Coubertin in relazione ai regolamenti, all'introduzione di nuove discipline, degli sport di squadra, delle donne, allo stesso dilettantismo. Preme innanzi tutto adeguarsi ai tempi e alla dimensione internazionale del fenomeno. Quello che va salvaguardato piuttosto è il principio, va sviluppata anche concretamente una visione dello sport. Dello sport in generale, de Coubertin offre questa definizione: "Lo sport è il culto volontario e abituale dell'esercizio muscolare intensivo appoggiato sul desiderio di progresso e che può spingersi fino al rischio. Dunque cinque nozioni: iniziativa, perseveranza, intensità, ricerca di perfezionamento, disprezzo del pericolo eventuale. Queste cinque nozioni sono essenziali e fondamentali". Sforzo ed euritmia, disciplina e rischio, eccesso: questa la filosofia della pedagogia olimpica.

Nel discorso in qualità di Presidente del CIO per la seduta di apertura della XVIII sessione planetaria, tenuta nell'agosto 1920 al municipio di Anversa, de Coubertin afferma: "La portata filosofica della questione sta nel fatto che lo sport poggia su una curiosa e feconda combinazione di uguaglianza e disuguaglianza. Un record sportivo è un limite che l'uomo raggiunge mediante la collaborazione delle forze di cui la natura lo ha dotato e di quelle che la forza del suo carattere ha saputo sviluppare in sé stesso. La sua posizione sociale, il nome o il patrimonio lasciatogli dai genitori non rivestono alcuna importanza. Che egli sia principe o artigiano è indifferente, perché non servirà a fargli guadagnare nel salto neppure un metro né gli allungherà neppure di 50 cm. il percorso che egli è in grado di coprire in un determinato tempo come corridore, o come nuotatore o vogatore. Ma tali forze, la natura le ha ripartite tra gli uomini in maniera assai ineguale e i casi della vita contribuiscono ad accrescere ulteriormente l'ineguaglianza di distribuzione. In tal modo

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vengono a coesistere l'annullamento delle distinzioni sociali create dagli uomini e l'affermazione dei capricci aristocratici della natura. Così, nella pratica degli sport, vengono posti in germe i principì che costituiscono da base e da punto di partenza di ogni forma democratica razionale".

"Lo sport appare come una sorta di incarnazione della democrazia, poiché è per eccellenza la scuola dove sono fianco a fianco la collaborazione e la concorrenza, questi due pilastri essenziali delle società democratiche, senza il cui appoggio esse rischiano di sprofondare nella debolezza. Realizzando, secondo i voti della giustizia, l'uguaglianza del punto di partenza, nella misura in cui è possibile, lo sport insegna il rispetto delle ineguaglianze fatali generate dallo sforzo.

Lo sport apporterà il suo contributo alla riedificazione filosofica che si impone sulla base di un'intesa tra l'azione e la rassegnazione, di un accordo tra la volontà individuale intensiva e lo spirito di sacrificio verso i superiori interessi collettivi. Non c'è un giocatore di football che non comprenda ciò che io dico laddove per caso qualche filosofo vi rimanesse ancora insensibile".

Competizione, agonismo, fair play e internazionalismo saranno i valori atletici di riferimento per la nuova cultura olimpica

"Citius, altius, fortius", con l'inevitabile contraddizione rispetto all'importanza della partecipazione. Il valore dell'agonismo è del resto connesso anche allo sport antico, e richiamato nel famoso motto omerico: "Essere il migliore e superare gli altri". Con la riproposizione del motto di Giovenale Mens sana in corpore sano in una con un accento finalizzato non tanto o non solo al prevalere sugli altri, ma a riconoscere, attraverso l'individuazione dei limiti fisici, fin dove è possibile spingere se stessi.

Si tratta - spiega Coubertin della trasposizione dal piano muscolare al piano morale di un principio essenziale della disciplina e dell'autodisciplina moderna: conoscere sé stessi, saper comportarsi, vincere se stessi. Il socratico “conosci te stesso” viene esteso al piano della competizione e dell'agonismo moderno.

Lo sportivo moderno viene così a manifestare la differenza - radicale, come peraltro profonde sono le analogie - all'atleta antico. Si ricordino le cinque nozioni essenziali e fondamentali richiamate nella Pédagogie sportive, ma fin dal 1892 affermate come le 'qualità morali' del bravo giocatore di football: "l'iniziativa, la perseveranza, il giudizio, il coraggio, la padronanza di sé stessi".

Ma lo 'spirito' dello sport moderno è anche di costituire una "scuola di cavalleria" . Un altro dei valori essenziali dell'olimpismo moderno è infatti il fair play, quel complesso di regole - formali ed informali - che sono in definitiva le vere e proprie 'regole del gioco' sportivo. Ma si tratta di regole in senso strettamente giuridico, dunque compiutamente formalizzate in appositi regolamenti, e regole di costume morale, in questo senso 'cavalleresche', la cui inosservanza non è perciò sanzionabile.

L'internazionalismo e la ricerca della pace attraverso la comunicazione dei popoli, costituiscono infine un altro valore essenziale olimpico. Fin dalla data del primo congresso ufficiale per la ripresa dei Giochi, nel 1894, democrazia ed internazionalismo appaiono strettamente legati. "L'atletismo moderno - afferma Coubertin - ha due tendenze sulle quali attiro la vostra attenzione: diviene democratico ed internazionale... La sana democrazia, il saggio e pacifico internazionalismo penetreranno nel nuovo stadio e vi manterranno questo culto dell'onore e del disinteresse che permette all'atletismo di fare opera di perfezionamento morale e di pace sociale nel mentre fa opera di sviluppo muscolare" .

L’olimpismo è un filone dell'educazione fisica diverso, almeno in parte, dallo sport. Esso assume i tratti dell'attività fisica praticata in Inghilterra tra gli anni Quaranta e Settanta dell'Ottocento e affonda le sue radici in alcuni concetti chiave del vittorianesimo: l'idea di virilità, il darwinismo sociale, il fair play, il self-goverrnement, la cura del corpo, la competizione spinta all'estremo. Questa concezione (su cui si fonda lo sport moderno) divulgata nelle publics school da Thomas Arnold e diffusasi negli anni tra il 1850 e il 1870 per opera degli allievi del rettore di Rugby e dei muscular christians, è assunta interamente da Coubertin e trasmessa nell'idea olimpica. De Coubertin vi aggiunge altri connotati: il cosmopolitismo (da lui definito "internazionalismo"), la

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democrazia, il pacifismo, il riferimento formale ai Giochi olimpici antichi, il culto dell'onore e del disinteresse, la modernità, l'euritmia. Lo sport, invece, segue un'altra strada, è legato più ad espressioni quale il loisir, le scommesse, oltrechè la pratica fisica. Lo sport non è uno strumento per raggiungere altri obiettivi, è un fine in sé (ideologia di se stesso secondo Rusconi), mentre l'olimpismo è un mezzo per ottenere determinati risultati soprattutto di natura pedagogico-sociale ed in ultima istanza etici. Non fondati (questi fini) su un impianto culturale utopistico, ma su un robusto retroterra a carattere liberale-democratico, capace di interpretare al meglio le sfide imposte dalla avanzante età delle masse.

Il passaggio progressivo dell’occidente industrializzato da pratiche sportive non agonistiche a quelle competitive trovò una data cardine nelle olimpiadi ateniesi svoltesi dal 5 al 15 aprile del 1896 e una formalizzazione culturale nell’ideologia coubertiniana.. La rinascita del mito classico, integrato dalla moralità del moderno fair play, («Levo il mio calice all’idea olimpica» aveva detto il barone francese nell’aula magna della Sorbona) sancì la dialettica tra agonismo come punto d’incontro di modernizzazione e nazionalizzazione e partecipazione come struttura portante della democratizzazione e non più prerogativa di una classe o parte sociale.

La gara olimpica diventava competizione tra nazioni, in perfetta sintonia con la tendenza delle società a nazionalizzarsi.

Si verificavano quindi due dinamiche opposte e complementari: la ricerca nazionale alla dimensione sportiva, che per ogni nazione aveva naturalmente modi e tempi diversi, e la tendenza alla universalizzazione, in senso strutturale e in senso geografico, dell’evento sportivo.

Il consolidarsi delle identità nazionali e il processo di modernizzazione del singolo paese passavano sia attraverso il permanere di specifiche tradizioni locali e regionali sia attraverso il processo di uniformità, standardizzazione e universalizzazione delle regole del gioco.

A questo processo partecipò anche il nostro paese. A cominciare dalle scuole che finalmente aprirono le aule e le palestre alle attività sportive, ai confronti agonistici, ad una ginnastica che, grazie all’impegno teorico e pratico del fisiologo torinese Angelo Mosso, cominciò a liberarsi dell’artificiosità e della ripetitività del modello tradizionale di Emilio Baumann.

Il rinnovamento che investì gli ambienti della ginnastica ma anche quelli sportivi in genere, finora espressione della cultura secondo-ottocentesca di stampo positivistico, era incoraggiata dalla reazione neoidealistica di un nuovo liberalismo che propugnava maggiore libertà in tutti i campi.

Oggi è drammaticamente legittima la domanda circa il conflitto, tra la portata e lo sviluppo dello sport-spettacolo, la concezione dello sport come di una industria dell’entertainment ed il permanere dei valori dello sport olimpico. la consapevolezza che un esito negativo comporterebbe anche un ruolo diverso dello sport in genere: non più strumento essenziale dell'epoca moderna, ma sua manifestazione puramente 'ideologica', puro e semplice spettacolo. Di valori, dunque, non ci sarebbe, semplicemente alcun bisogno. Su questa eventualità, su tale sfida, si svolgerà la storia dei Giochi olimpici dei prossimi decenni. Certo per accogliere una sfida di tale portata, occorre una classe dirigente sportiva e olimpica adeguata, capace cioè di governare l'universo collettivo e sociale dello sport e del movimento olimpico, conscia del proprio ruolo e decisa a fare i conti, conoscendola, con la propria grande storia.

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POLITICA E SPORT

Sul finire del Novecento, dopo la fine dei regimi totalitari, la capacità autonoma che lo sport ha assunto di coagulare energie economiche e sociali, oltre che di assurgere a linguaggio universale, forma espressiva globalizzante, ha raggiunto proporzioni notevoli. In questa temperie, lo sport ha dimostrato un processo di trasformazione che è insieme una riconferma di quel ruolo culturale che le ideologie politiche totalitarie hanno tentato invano di monopolizzare1.

Quindi lo sport potrebbe essere inteso come uno dei campi di relazioni in cui il 'politico', secondo la nota definizione schmittiana, si manifesta (sottraendosi ad ogni legame con il diritto), soprattutto per la capacità di riprodurre continuamente il dualismo amico/nemico2; ma anche come luogo di esercizio della ricomposizione delle dialettiche oppositive di esclusione-inclusione, opportunità di comprensione critica dei conflitti, occasione di intreccio e confronto tra più linguaggi culturali. In definitiva esso rappresenta il momento in cui il nemico cessa di essere hostis e diventa avversario, cioè, come affermava Luciano Russi nell’ultimo suo scritto di sport, “etimologicamente altro verso cui muovere, non nemico da rimuovere”3.

Pierre de Coubertin4 è stato il primo ad avvertire con consapevolezza il ruolo delle attività sportive nella società di massa. Forte di una buona base di cultura classica, appresa presso i Gesuiti, negli anni universitari si era dedicato agli studi di scienza politica e di storia. L'attenzione alla famiglia, ai processi formativi nella loro più ampia estensione, rappresentavano il nucleo della sua riflessione sulla necessità politica di una riforma pedagogica. Niente come lo sport avrebbe potuto garantire un ordinato sviluppo di società sempre più competitive e soggette ad acuti conflitti sociali. Sport e democrazia liberale apparivano ai suoi occhi un connubio ideale contro l'oppressione o il disordine.

Lo studio dei testi coubertiniani5, consente di individuare un intento politico alla base dell’idea olimpica moderna e aiuta a comprendere quanto profondo sia il nesso indissolubile fra politica e sport.

Coubertin aveva studiato, infatti, presso l’Ècole libre de Sciences Politiques, una giovane università privata6, fondata nel 1872 da Émile Boutmy con un gruppo di industriali e intellettuali che meditava sul modo di far ripartire il paese dopo la disfatta della guerra con la Prussia del 1870. Vi si tenevano corsi innovativi, con conferenze in luogo delle lezioni tradizionali, allo scopo di tenere un più stretto legame con la realtà. Coubertin nutre in questo ambiente (i cui numi ispiratori

1 Sul rapporto fra sport, ideologie e politica (intesa in senso aristotelico), oltre al classico J. HOBERMAN, Politica e sport. Il corpo nelle ideologie politiche dell’800 e del 900 (ed. orig. Austin University Press, Austin 1984), Il Mulino, Bologna 1988, si vedano L. RUSSI, La democrazia dell’agonismo. Lo sport dalla secolarizzazione alla globalizzazione, Libreria dell’Università, Pescara 2003 e il più recente Lo sport dopo le ideologie. Il calcio ultima ideologia?, a cura di G. Sorgi, Guaraldi, Rimini 2009, interessante riflessione collettanea sulle vecchie tesi di G. VINNAI, Il calcio come ideologia. Sport e alienazione nel mondo capitalista, Guaraldi, Bologna 1970 (ed. orig. Europaische Verl., Frankfurt am Main 1970). 2 Cfr. C. SCMITT, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972, in particolare il capitolo dedicato al concetto di politico (scritto nel 1932) alle pp. 101-165. 3 L. RUSSI, Premessa, in Giochi e sport in Abruzzo, ESA, Pescara 2009, p. 13. 4 Sulla cui biografia intellettuale rimando al libro più importante uscito in Italia, A. LOMBARDO, Pierre de Coubertin. Saggio storico sulle Olimpiadi moderne 1880-1914, Rai-Eri, Roma 2000. 5 Cfr. la ricca nota bibliografica di S. BARSOTTI, Rassegna bibliografica degli scritti di Pierre de Coubertin, in Religio athletae. Pierre de Coubertin e la formazione dell’uomo per la società complessa, a cura di R. Frasca, Società Stampa Sportiva, Roma 2007, pp. 119-179. L’edizione su cui abbiamo lavorato è P. DE COUBERTIN, Textes choisis, 3 voll., Comité International Olimpique Lausanne, Weidmann, Zurich - Hildesheim - New York 1986. Di scritti coubertiniani in italiano vi è solo P. DE COUBERTIN, Memorie olimpiche, Mondadori, Milano 2003. 6 Divenuta nel 1945 Institut d’études politiques de Paris, la famosa Sciences Po fucina della classe dirigente francese e tappa preliminare per accedere all’École Nationale d’Administration (ENA).

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erano François Guizot e Hippolyte Taine) la sua passione per il pensiero, la teoria politica, la dimensione sociale, storica ed internazionale della cultura e dei suoi aspetti materiali. Sono molte le letture indotte dagli studi universitari: Montaigne, Rousseau, ma soprattutto Alexis de Tocqueville, Auguste Comte, Fréderic La Play e lo stesso Taine7.

Il risentimento antiprussiano per la terribile sconfitta del 1870 a Sédan (in attesa della Révanche), favorisce la diffusione di un’anglofilia nutrita dalle letture di John Locke, Herbert Spencer, John Stuart Mill, Charles Darwin. Inoltre l’ottocentesco mito del “progresso”, espressione della incrollabile fiducia nello sviluppo industriale, sta pericolosamente lasciando terreno alla paura della “decadenza”, che, nell’ultimo scorcio del secolo, nel paese del Re Sole, della Rivoluzione e di Napoleone si collega alla pena per il ridimensionamento (sempre dopo il 1870) della tradizionale e rassicurante grandeur che aveva accompagnato le vicende culturali e politiche francesi fino ad allora per almeno due secoli. Al titanico scontro tra civiltà e barbarie che si accompagna alle trasformazioni sociali in atto, si risponde con degli incroci scivolosi fra scienze medico-biologiche e scienze dell’uomo che produrranno percorsi intellettuali nefasti che oggi conosciamo come pseudoscientifici, dalla fisiognomica di Cesare Lombroso fino al dramma della eugenetica nazista8. Certo, cultura del corpo, igiene medica, società e ruolo dello stato trovano un modo di intrecciarsi fra loro inedito rispetto al passato9.

Di Taine (1828-1893), autore nel 1872 delle Notes sur l’Angleterre10, Coubertin trattiene l’ammirazione per l’Inghilterra, e l’attenzione per la psicologia.

Da Le Play (1806-1882), ingegnere, economista, sociologo, Coubertin viene influenzato per la elaborazione delle dinamiche sociali e politiche, nel rapporto fra stato e società. Le Play, che si considerava un economista sociale, studiava le conseguenze della rottura degli equilibri antropologici prodotta dall’industrializzazione crescente. Promotore di un movimento denominato Union de la paix sociale (cui aderirà lo stesso Coubertin), elaborò una propria dottrina antiliberale e antisocialista, ispirata al cattolicesimo, segnata da una concezione della famiglia come primo nucleo della aggregazione sociale di ispirazione bodiniana, la sua concezione paternalista e organicista di uno stato, in cui l’equilibrio sociale sarebbe stato garantito da una struttura corporativa, sarà fonte d’ispirazione per le destre, francese ed europee, del Novecento11. Per conto suo Coubertin (che non abbandonerà mai i suoi principi liberal-democratici) riprese da Le Play l’idea che una nazione non si compone tanto di individui quanto di famiglie, e che dall’equilibrio dei rapporti sociali dipende la saldezza dello stato. Comunque se la famiglia è alla base di tutto, di conseguenza, la questione dell’educazione diventa centrale e dunque viene alimentata la sua attenzione pedagogica.

In ambito sociale, poi, Coubertin distingueva fra carità e dovere sociale. La carità, per il Barone, conforta, il dovere sociale innalza; la carità aiuta l’uomo a sopportare la miseria, il dovere sociale tende a impedire che vi si cada. Certo questo significa che la risoluzione dei problemi legati al miglioramento della vita materiale dei diseredati dipende comunque dall’atteggiamento delle classi dirigenti, non dal grado di autotutela, autodifesa e progettualità delle classi inferiori. Insomma egli innesta la questione sociale in un filone culturale ancora pienamente liberale, senza prevedere il protagonismo e la soggettività delle masse, come invece inclinavano a fare, ovviamente, le correnti

7 Cfr. A. LOMBARDO, Pierre de Coubertin, cit., pp. 30-52. 8 Alcune pagine preziose, per la sintesi mirabile, di una studiosa che molto si è occupata di storia delle idee nella Francia del XIX secolo sono quelle di R. POZZI, La decadenza del pensiero francese dell’Ottocento, in C. CASSINA, Parole vecchie, parole nuove. Ottocento francese e modernità politica, Carocci, Roma 2007, pp. 18-153. 9 Seppur riferito esclusivamente al nostro Paese, cfr. l’ormai classico G. BONETTA, Corpo e nazione. L’educazione ginnastica, igienica e sessuale nell’Italia liberale, Franco Angeli, Milano 1990. 10 H. TAINE, Notes sur l’Angleterre, deuxième édition revue et corrigée, Librairie Hachette, Paris 1872. 11 Il metodo di studio utilizzato da Le Play per individuare i bilanci comparabili di famiglie tipo, fu largamente seguito contribuendo ad approfondire l’indagine economica sul consumo. Cfr. F. LE PLAY, La réforme sociale in France, Henri Plon, Paris1864 e l’Organisation de la Famille, Téqui, Paris 1871. Oltre all’Union de la paix sociale, egli fu promotore della Societé internationales des études pratique d’économie sociale, che dal 1881 si diede un proprio organo a stampa, la “Réforme sociale”.

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socialiste in grande ascesa. Il fine coubertiniano è comunque la pace sociale per raggiungere la quale anche lo sport può rappresentare un ottimo mezzo.

Fondamentale sarà la lettura di Tocqueville (1805-1859), perché, oltre a ispirarne lo sguardo attento alla democrazia americana, provvede anche a sganciarlo dal milieu legittimista, nostalgico della monarchia, cui è ancora legata la sua famiglia.

A proposito del suo viaggio in America, dove si era recato nel 1889 per quattro mesi su incarico del Ministro della istruzione pubblica, egli scrive in un manoscritto inedito del 1936: “Quale guida meravigliosa per iniziare lo studio del Nuovo Mondo! Non solo Tocqueville aveva compreso la società che si edificava dall’altra parte dell’Atlantico, ma egli aveva presente la sua evoluzione futura. Ponderato nei suoi giudizi, avendo delle grandi leggi dell’evoluzione storica una concezione magnifica, non temendo le novità, senza tuttavia inebriarsi come si fa ai giorni nostri, egli percepiva sia i dettagli sia l’insieme. Fra coloro che mi hanno insegnato a scrivere di storia, io lo ritengo il più illuminante. Nello stesso tempo egli mi iniziò ad una più completa comprensione degli Stati Uniti, e ciò non faceva che aumentare il mio desiderio di percorrere il loro vasto territorio”12.

Il risultato sono 379 pagine dedicate al rendiconto del suo viaggio, nell’America del Nord, finalizzato a studiare sul posto, come gli era stato richiesto dal ministro dell’Istruzione pubblica Armand Fallières, la struttura pedagogica delle università canadesi e statunitensi13.

Il compito istituzionale affidato a Coubertin (che gli produce l’ebbrezza di un parallelismo con la missione che Tocqueville aveva svolto quasi sessant’anni prima)14 era quello di studiare il sistema pedagogico delle università americane in rapporto all’introduzione della cultura fisica. L’interesse veniva generato dal fatto che, per il Francese, l’educazione americana rappresentasse “un campo di battaglia” dove la pedagogia tedesca e quella inglese si affrontavano. Erano presenti i due sistemi di educazione fisica agli antipodi: i giochi liberi inglesi e la ginnastica tedesca. Ma, dice Coubertin, per il fatto stesso che gli sport inglesi sono liberi, essi possono coesistere con la ginnastica che, al contrario è caratterizzata dall’intolleranza e dalla estrema rigidità di regolamenti e disciplina. L’America è terra di libertà e di uguaglianza, di potere sociale democratico che consente di imporre le gerarchie del merito e con esse di preparare i ragazzi al ruolo di cittadini in un paese libero. Ma l’entusiasmo per l’esperienza americana non impedisce certo a Coubertin di cercare e trovare le contraddizioni proprie della democrazia già descritte da Tocqueville. Chicago, per esempio, meritoriamente non mostra più ai suoi occhi nessun segno dello spaventoso incendio che l’aveva distrutta nel 1871, a dimostrazione delle straordinarie risorse morali e di intrapresa dei suoi abitanti; ma nello stesso tempo non è con apprezzamento che indica il fulcro della città nel “palazzo reale” in cui regna incontrastato sua maestà il denaro, cioè la borsa.

Ad ogni modo ardore, energia, patriottismo, sono virtù che esprimono la forza travolgente di un paese che presenta un avvenire brillante. Recepisce, Coubertin da Tocqueville, l’idea che la democrazia americana si fondi su un movimento continuo degli uomini democratici, che “Amano il potere, sono però inclini a disprezzare e a odiare colui che lo esercita, e gli sfuggono facilmente dalle mani proprio per la loro piccolezza e la loro stessa mobilità”15. Tocqueville infonde una concreta fiducia in un futuro garantito da un “timore salutare, che fa vegliare e combattere, e non quella sorta di terrore fiacco e improduttivo che abbatte e li snerva”16.

12 Cit. in L. CALLEBAT, Pierre de Coubertin, Fayard, Paris 1988, p. 19.

13 P. DE COUBERTIN, Universités Transatlantiques, Paris, Librarie Hachette, 1890. L’esposizione si sviluppa su nove capitoli (In mare; Intorno a New York; La Nuova Inghilterra; Canada britannico e Canada francese; Dal Nord al Sud; Louisiana, Florida, Virginia; Washington, Baltimora; Un libro, un congresso e un battello; Conclusioni), i cui temi si distribuiscono in sezioni di lunghezza differente a secondo del soggetto trattato.

Le citazioni qui utilizzate (in traduzione di chi scrive) sono tratte da P. DE Coubertin, Textes choisis, Comité International Olimpique Lausanne, Weidmann, Zurich - Hildesheim - New York 1986, t. I, pp. 113-139. 14 Come noto Tocqueville si era recato, con il suo amico e collega magistrato Gustave de Beaumont, in America nel 1831 su incarico del Ministero della Giustizia, per studiare il sistema penitenziario statunitense. Il risultato, oltre al resoconto sulle prigioni, furono i due volumi della Democrazia in America (Gosselin , Paris 1835, 1840). 15 A. DE TOCQUEVILLE, La Democrazia in America, a cura di N. Matteucci, Utet, Torino 1968, p. 824. 16 Ibidem.

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Dal canto suo, il realismo progettuale del quale è impregnata l’idea coubertiniana di olimpismo, essendo totalmente non ideologico, si innerva di una volontà d’azione destinata a contrastare i pericoli insiti nell’immobilismo e a trovare nella dialettica fra conflitto e dinamismo un motore di sviluppo sociale.

Coubertin era nato nel 1863, ha solo trentuno anni quando si tiene nel 1894 il Congresso istitutivo dei Giochi olimpici moderni, un’idea alla quale lavorava ormai da due anni. Questo significa che gli anni giovanili di formazione daranno l’impronta a tutta la concezione coubertiniana dell’olimpismo e dunque un forte vitalismo proprio della sua età, lo proietterà oltre i rigori della ginnastica tedesca, ma anche della domesticazione dell’irruenza giovanile propria degli sport vittoriani17.

L’olimpismo coubertiniano alfiere di un internazionalismo venato da aspirazione pacifiste18, è in realtà la dimostrazione del compimento del processo di nazionalizzazione delle masse, e del radicamento del nazionalismo politico nella cultura europea. Nell’epoca d’oro, a cavallo fa Otto e Novecento, dei movimenti e delle correnti di pensiero sviluppati dal processo di affrancamento della cultura moderna da ogni forma di trascendenza religiosa, della loro affermazione come religioni secolari (socialismo, positivismo, superomismo, modernismo, nazionalismo e, appunto, olimpismo)19, la necessità di un rapporto più stretto fra l’individuo, le masse e lo stato, favorì uno slittamento dell’idea di nazione verso la preminenza della volontà di potenza e di supremazia. Si affermò così un nazionalismo come identificazione della nazione con il predominio dello stato, con il passaggio dal principio ideale alla realtà concreta. In questa precipitazione storica il nazionalismo, fenomeno complesso, polivalente e contraddittorio, si caricò di aspettative e miraggi, di primati reali e obiettivi immaginari, di desideri reazionari e di volontà egemoniche.

In questo il finalismo politico insito nel neo-olimpismo coubertiniano, è assai diverso dalla concezione anglosassone dello sport. Infatti, mentre l’affermazione degli sport inglesi è segnata da un tratto privatistico, una manifestazione della evoluzione della morfologia sociale, del protagonismo della società civile, l’olimpismo teorizzato da Pierre de Coubertin , figlio del mutato clima del tempo, con l’ansia di coinvolgere le strutture dello Stato, di inserire l’atletismo come punto qualificante di una nuova concezione degli equilibri sociali, si affermerà, e la sua diffusione sarà travolgente, grazie alla sua caratteristica più innovativa, quella di presentarsi come un vero e proprio, complessivo, progetto politico.

17 Un perfetto coetaneo di Coubertin era Gabriele D’Annunzio, che al vitalismo improntò tutta la sua produzione artistica. Cfr. L. RUSSI, L’agonista. Gabriele D’Annunzio e lo sport, Esa, Pescara 2008. 18 Cfr. L. MASTRANGELO, Coubertin facitore di pace. Lo spirito olimpico e la tregua sportiva nella Berlino hitleriana, in “Trimestre”, a. XXXX, nn. 1-4, pp. 193-208. 19 Per orientarsi su un tema enorme della storia novecentesca come il nazionalismo, cfr. H. U. WEHLER, Nazionalismo. Storia,forme, conseguenze, Bollati Boringhieri, Torino 2002. Si vedano ovviamente i classici lavori di G. MOSSE, La nazionalizzazione delle masse, Il Mulino, Bologna 1975; ID., L’uomo e le masse nelle ideologie nazionaliste, Laterza, Bari 1982. Cfr. inoltre E. J. HOBSBAWM, Nazioni e nazionalismi, Einaudi, Torino 1991. Per l’Italia, F. GAETA, Il nazionalismo italiano, Laterza, Bari 1981, A. D’ORSI (a cura di), I nazionalisti, Feltrinelli, Milano 1981.

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LA PACE OLIMPICA di Luigi Mastrangelo Nell’ottobre del 1937 il premio Nobel per la pace viene assegnato a Edgar Algernon Robert

Gascoyne Cecil, dal 1923 presidente della Società delle Nazioni, carica che manterrà fino al termine della seconda guerra mondiale, quando sarà nominato presidente onorario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Non mancano intellettuali, in prevalenza ma non solo francesi, che sostengono l’assegnazione del prestigioso riconoscimento a un altro autorevole personaggio, già in lizza nell’edizione del 1920 e del 1928, il cui improvviso decesso, avvenuto il 2 settembre 1937 durante una passeggiata nel Parc des Eaux-Vives a Ginevra, impedisce di dare seguito all’iniziativa.

Dodici anni prima, il 28 maggio 1925, ultima giornata di lavori della sua XXI sessione, Coubertin perdeva la presidenza del Comitato Internazionale Olimpico, ricoperta dal 1896, superato (con sei voti contro undici) dal belga Henri de Baillet Latour, pagando dazio alla sua perdurante ostilità all’atletismo femminile e ai giochi invernali: nel primo biennio di vita dell’organismo, dando prova di estrema prudenza politica, si era come è noto accontentato del segretariato, lasciando che fosse un greco, Demetrius Vikelas, a presentare ad Atene le prime Olimpiadi dell’era moderna.

Il distacco dalla sua creatura aprì la scena a una nuova stagione nella quale, venuti finalmente meno gli estenuanti impegni di natura istituzionale, l’intellettuale ebbe finalmente la possibilità di tornare a dedicarsi, oltre che a un’intensa attività convegnistica e pubblicistica, all’approfondimento e alla conseguente matura esposizione delle sue idee politiche e sociali, consistenti in un articolato progetto di costruzione della pace attraverso la pratica sportiva, la cui vocazione internazionalistica poteva fungere da naturale argine ai tracimanti nazionalismi. L’Olimpismo avrebbe potuto essere spiegato attraverso una più ampia riflessione, svincolata dalle contingenze dell’organizzazione diretta degli eventi.

Coubertin, già nel suo commiato dalla presidenza del C.I.O., si era mostrato pienamente consapevole della nuova missione: “Voglio poter dedicare il tempo che mi resta ad affrettare quanto posso un’urgente impresa: l’avvento di una pedagogia produttrice di chiarezza mentale e di calma critica”.

Di questa aurea senectus che, negli studi su Coubertin, non emerge compiutamente nella sua importanza (probabilmente perché oscurata dal fulgore del trentennio precedente), sono testimonianza una lunga serie di scritti che ritornano su temi già affrontati e ne espongono di nuovi con profondità concettuale e brillantezza di espressione. Dall’8 dicembre 1931 al 27 marzo 1932 presero vita i Memoires Olympiques, prima in forma di articoli autonomi e poi come volume20, che rappresentarono il più prezioso compendio all’Olimpismo i cui postulati, inevitabilmente, stridevano con gli avvenimenti politici di Germania del 1933, e in particolare con i contenuti di un libro contemporaneo pubblicato a Monaco di Baviera, il Mein Kampf di Adolf Hitler.

Berlino, per opera dei membri tedeschi del C.I.O. Theodor Lewald, Karl von Halt e Carl Diem, aveva ottenuto l’assegnazione dei Giochi Olimpici del 1936 che, secondo il giornale ufficiale nazista, non sarebbero stati “affare da negri” né tanto meno da (mezzi)ebrei, salvo naturalmente il caso che fossero così valenti sul piano tecnico, come Helene Mayer, da poter ambire a un successo sportivo che, invece, sarebbe stato considerato totalmente tedesco.

Il rapporto tra il governo nazionalsocialista e il Comitato olimpico internazionale è stato oggetto di un lungo dibattito, non essendo condivisa la conclusione di John Lucas secondo la quale la dialettica si risolse a favore del movimento sportivo: la riflessione fu intensa soprattutto negli Stati

20 Pubblicato a Losanna nel 1932, è stato tradotto da Maria Luisa Frasca in italiano nel 2003 (Oscar Mondadori, Milano 2003, pp. 208) in un’edizione che si avvale dei saggi introduttivi di Gaetano Bonetta, Franco Cambi e Rosella Frasca.

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Uniti, dove ci si chiedeva insistentemente se la partecipazione sarebbe stata più un tradimento che non un ossequio all’Olimpismo.

Coubertin (che programmaticamente aveva scelto, dal 1915, come sede per il C.I.O. e per se stesso, la neutrale Svizzera21) si rese conto di dover intervenire in prima persona per ribadire il senso profondo della competizione sportiva e dell’incontro olimpico, che il comitato organizzatore tedesco, su pressione del governo, sembrava chiaramente intenzionato a mistificare.

Il 23 giugno 1934, con un messaggio scritto a Losanna, Coubertin si era rivolto ai giovani americani, ribadendo la correlazione tra educazione e pace, sia tra gli individui, sia tra le nazioni.

Ma fu il 1935 a rivelarsi un anno fondamentale nell’attività di Coubertin che, ultrasettantenne, non si tirò indietro di fronte a una missione complessa, nel contempo ideologica e diplomatica: pubblicò, tra gli altri, Lo sport è costruttore di pace, e, il 4 agosto, fece diffondere a Berlino un radiomessaggio sui “fondamenti filosofici dell’Olimpismo moderno”, vegliando costantemente sulla capitale tedesca fino alla chiusura dei Giochi che commentò con un nuovo messaggio, questa volta manoscritto22, rassicurato dalla capacità degli atleti di superare pregiudizi e limitazioni, dimostrata dal tetramedagliato Jesse Owens sulla pista di gara. Il Barone ringraziò sentitamente il popolo tedesco e persino il suo governo, ribadendo però, in un fondamentale articolo intitolato L’Olympisme et la politique, l’indipendenza del movimento olimpico e la sua estraneità alle guerre della politica.

Nel discorso berlinese del ’35, determinante anche nella risoluzione di un altro problema interpretativo, quello riguardante la cosiddetta “tregua olimpica”, Coubertin affermò che sarebbe stato “persino contento se nel bel mezzo della guerra le armate nemiche interrompessero per un momento le loro battaglie per celebrare i giochi della forza fisica in modo leale e cavalleresco”. Riferendosi alla realtà del suo tempo, sempre più propensa all’aggressività belligerante, il Barone evitava accuratamente espressioni come sospensione generale o addirittura annullamento dei conflitti: nel costante paragone metaforico con la realtà greca, richiamava a una “interruzione momentanea”, quella che effettivamente si realizzava nel mondo ellenico e che riteneva l’obiettivo più realisticamente auspicabile dimostrando, anche in questo senso, una concretezza difficilmente conciliabile con la sua immeritata fama di idealista.

Coubertin, profondo conoscitore delle fonti riguardanti l’agonismo antico, sapeva bene che le fonti greche avevano utilizzato il termine tecnico ekecheiria, e non eirene, ossia il corrispondente del nostro “pace”, a indicare una realtà di concordia e reciproca benevolenza tra diverse popolazioni e all’interno delle singole comunità.

L’ekecheiria (letteralmente, momento in cui ci si astiene dall’usare le mani) è un istituto di portata ben più limitata, circoscritto a finalità eminentemente pratiche, e inquadra la situazione pubblica di “inviolabilità” riconosciuta a persone e merci in caso di passaggio attraverso un determinato territorio, in qualche maniera simile a quella che oggi dovrebbe essere garantita alle associazioni umanitarie impegnate nell’aiuto alle popolazioni nei territori in guerra. L’ekecheiria, non era un ideale ma una convenzione: essa non provocava alcuna sospensione della guerra, bensì l’organizzazione dei giochi nonostante la guerra”.

Nel 1889, intervenuto alla Sorbona al Congresso della Lega della Pace, Coubertin aveva incentrato la sua relazione sulla possibilità che l’educazione scolastica potesse incidere sulla propensione alla pace e alla solidarietà dei futuri adulti attraverso l’introduzione della pratica sportiva nei vari curricula, da attuare con un particolare accorgimento: ad arbitrare le gare tra studenti avrebbero dovuto essere preposti gli stessi studenti, in modo che potessero acquisire coscienza dei limiti e delle regole avendo deputato, sulla scorta dell’esperienza formativa inglese, al capitano, leader riconosciuto e condiviso, la composizione dei disaccordi.

21 P. DE COUBERTIN, La cérémonie de Lausanne, in “Bullettin du Comité International Olympique”, n. 2, Lausanne 1915, p. 2 e Lettres Olympiques I: L’Olympisme à Lausanne, in “Gazette de Lausanne”, 14 ottobre 1918, n. 282, p. 2 22 P. DE COUBERTIN, TC, II, p. 519-20. Sull’impegno degli atleti per una pace “vigorosa e consapevole” era stato incentrato anche il discorso d’apertura (Le Sport Suisse, vol. 32, 22 luglio 1936, p. 1, ora in TC, II, p. 578-9).

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Allo sport universitario era specificamente dedicata la decima lettera olimpica, in cui si sottolineava come il crescente processo di americanizzazione della società imponesse agli europei di adeguarsi, evitandone le esagerazioni, al sistema accademico degli Stati Uniti nel quale era stato riservato uno spazio rilevante allo sport.

Nel 1927, alla conferenza all’Accademia di Atene, aveva spiegato come fosse la conoscenza della storia a poter salvaguardare la pace internazionale, essendo la disciplina preposta a ricostruire le cause delle guerre., a patto di non cicoscriverla esclusivamente alla cultura occidentale, ma aprendola a uno sguardo globalizzante: “Facciamo fronte a due fatti: il mondo è unito. Accettiamo una situazione che non poteva non accadere. Siamo cresciuti abituati a valutare le cose e i popoli per mezzo di una specie di quarta dimensione: la dimensione europea. Dobbiamo abbandonare questa usanza, e dobbiamo imparare da ora in poi a usare quelle misure che sono condivise da tutti gli uomini”.

Il Barone, dunque, si dimostrò sempre un convinto assertore di come l’evento sportivo potesse essere un vettore di straordinaria efficacia di una visione politica internazionalistica, per la costruzione di una pace intesa non come la citata ekecheirìa degli antichi greci, considerata solo come obiettivo concretamente realizzabile nel breve periodo, ma in senso positivo e assertivo, realmente irenistico, come alto momento di socialità e di confronto.

Non fu caso che la sua prima iniziativa nell’ambito del congresso olimpico di Praga del 192523, appena lasciata la presidenza del C.I.O., era stata la creazione, dell’Union Pédagogique Universelle (U.P.U.), con la contestuale istituzione di una pubblicazione di pedagogia sportiva a carattere internazionale24. Nell’ambito dei lavori, di particolare importanza risultò la sesta risoluzione25, riguardante la collaborazione con le università: “Il Congresso considera come assolutamente necessario che le più alte istituzioni scolastiche si occupino delle questioni dell’educazione fisica tanto sul piano pratico che sul piano scientifico”.

Lo sport è costruttore di pace rappresentò, dunque, l’ultimo anello di una lunga catena di scritti e iniziative che, da varia angolazione, illustrarono, fin dall’edizione inaugurale del 1896, l’ambizioso progetto, politico prima che sportivo, di Coubertin: “Ogni quattro anni i Giochi olimpici restaurati danno l’occasione alla gioventù mondiale di un incontro felice e fraterno nel quale si cancellerà a poco a poco questa ignoranza in cui vivono i popoli per quel che concerne gli uni e gli altri: ignoranza che acutizza gli odi, aumenta i malintesi e precipita gli avvenimenti nel senso barbarico di una lotta senza mercé”.

Coubertin rimase coerente nella convinzione che la pratica sportiva potesse migliorare la capacità cognitiva e relazionale, fornendo, attraverso la dialettica tra “muscoli” e “disciplina”, gli strumenti per un autogoverno della persona finalizzato al coscienzioso riconoscimento del proprio limite, presupposto imprescindibile all’affermazione della pax olimpica26, posta come fine istituzionale del C.I.O. ai sensi degli articoli 2 e 3 della carta olimpica, secondo i quali l’olimpismo è una filosofia di vita, che esalta e unisce in un assieme equilibrato le qualità del corpo, della volontà e dello spirito e che intende sancire l’alleanza dello sport con la cultura e l’educazione, allo scopo di diffondere un nuovo stile di vita fondato sulla gioia dello sforzo, sul valore educativo del buon esempio e sul rispetto dei principi etici universali. Il fine che l’olimpismo si propone è pertanto di porre lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’uomo, per incoraggiare la formazione d’una società pacifica, che abbia come obiettivo la salvaguardia della dignità umana, ponendo in essere azioni concrete volte a favorire la pace.

23 N. MÜLLER, Cents ans de Congrès Olympiques 1894-1994, C.I.O., Lausanne 1994, pp. 132-133. 24 I numeri del Bureau International de Pédagogie Sportive, pubblicato a Losanna, vanno significativamente dal 1926 al 1937. 25 N. MÜLLER, Cents ans cit., p. 139. 26 P. DE COUBERTIN, Memorie cit., p. 117.

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Da Olimpia al Nuovo Mondo. Brani scelti*

* Estratti da P. DE COUBERTIN, Textes choisis, Comité International Olimpique Lausanne, Weidmann, Zurich - Hildesheim - New York 1986.

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UNIVERSITÀ D’OLTREOCEANO Pierre de Coubertin dedica 379 pagine al rendiconto del suo viaggio in America del Nord per

studiare sul posto la struttura pedagogica delle università, su richiesta di Armand Fallières, allora ministro dell’Istruzione pubblica, il risultato è Universités Transatlantiques, Paris, Librarie Hachette, 1890. La sua esposizione si sviluppa su nove capitoli principali: In mare; Intorno a New York; La Nuova Inghilterra; Canada britannico e Canada francese; dal Nord al Sud; Louisiana, Florida, Virginia; Washington, Baltimora; Un libro, un congresso e un battello; Conclusioni. Questi temi si distribuiscono in sezioni di lunghezza differente a secondo del soggetto trattato.

Gli stralci che presentiamo mostrano le reazioni di Coubertin in un paese nuovo, in cui opera un intreccio di influenze diverse: l’analisi degli avvenimenti lo porta a cercare la linea pedagogica che li pervade. La rappresentazione di questo nuovo mondo influenza il suo giudizio. Ma egli va oltre, Coubertin recepisce tutto ciò che gli si presenta innanzi provando a svilupparlo secondo una prospettiva mondiale, con tutte le conseguenze pratiche che ne discenderanno per la realizzazione successiva.

1.10 Intorno a New York

IV Quattro anni di studi, gli eating clubs, i dormitori, le innumerevoli associazioni,

atletiche, letterarie ecc., l’eccessiva indipendenza dei giovani, ecco cosa colpisce immediatamente; ed è così più o meno dappertutto, dal nord al sud, dall’est all’ovest: Le università americane portano spesso impropriamente il nome di collegio; al contrario si designano i collegi sotto il nome di schools: Quanto alle public schools, nome dato in Inghilterra ai principali collegi del paese, vengono così chiamate in America le scuole primarie. L’insegnamento primario d’oltreoceano è conosciuto; è stato molto studiato, in Europa, negli ultimi anni, dunque non me ne occuperò. La missione che il Ministro dell’istruzione pubblica mi ha affidato riguardava solo l’insegnamento secondario e superiore, meno conosciuto e, forse, più degno di esserlo. Vi è tuttavia, una linea di continuità tra le scuole primarie e l’università costituita dalle high schools, di cui ora parlerò. Si potrebbero paragonare ai meno avanzati fra i ginnasi tedeschi, che sono delle scuole primarie superiore di un genere particolare. Ma, considerando quanto sia importante per l’educazione l’età compresa fra gli undici e i diciassette anni, si deplora dalla maggior parte dei pedagoghi americani che gli Stati Uniti siano così ricchi di università, ma per contro siano dotati di pochi collegi. Nelle high schools la preoccupazione principale è quella di preparare gli alunni per l’esame d’ingresso alle università, cosa che non può offrire, né dal punto di vista morale, né dal punto di vista intellettuale un risultato completo, con una base ben solida.

Comunque alcuni collegi già esistono, altri vengono fondati sempre più di frequente, ed è possibile prevedere i tempi in cui questa lacuna sarà colmata. La distensione dei vecchi rancori anglo-americani vuol pur dire qualcosa, così come il rapido e quasi eccessivo sviluppo dei giochi inglesi. È certo che, dopo la guerra di Secessione, gli Stati Uniti sono usciti integri da una spaventosa lotta fratricida, hanno acquisito fiducia in loro stessi, hanno constatato che formavano una nazione solida, e il timore di lasciarsi corrompere adottando idee e costumi stranieri, a poco a poco scompare. Allora il football, il rowing e, in modo generale, tutti gli esercizi all’aria aperta hanno fatto irruzione nel Nuovo Mondo e, nello stesso tempo, i pedagoghi hanno rivolto lo sguardo alla Gran Bretagna per attingervi i principi di riorganizzazione, principi che avrebbero prodotto dei risultati ancora migliori, se le idee tedesche non si fossero messe di traverso, gettando disordine e seminando germi cattivi. L’educazione americana è un campo di battaglia dove la pedagogia tedesca e la pedagogia inglese si affrontano; questo non solamente perché i tedeschi formano nell’Unione un partito molto potente, ma soprattutto perché, dopo

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trent’anni, l’élite della giovinezza finisce per completare i suoi studi nelle università tedesche.

Quei pochi collegi che esistono qua e là e quelli che vengono fondati attualmente, fuggono all’influenza tedesca, e le sane idee pedagogiche espresse dal grande Arnold vi agiscono con vigore. Princeton ha la buona fortuna di possedere al suo fianco, sotto la sua ala, i collegi di Lawrenceville (Lawrenceville schools), dove si formano forti generazioni di studenti che le assicureranno, per l’avvenire, una enorme superiorità sulle altre università sue rivali.

1.11 La Nuova Inghilterra (III, VI, XII)

III È lui stesso che si incarica di farmi fare conoscenza con Cambridge, prima che gli

spiegassi cosa ero venuto a fare in America aveva già il cappello in testa e un piano da propormi. Tutto è stabilito! Andiamo a vedere la biblioteca, i campi di gioco, i laboratori, le collezioni e finiremo con il ginnasio. Nel frattempo noi saluteremo il famoso albero ai piedi del quale Georges Washington prese, nel 1775, il comando dell’esercito.

Quel giorno in effetti vedemmo molti giovani dedicarsi al football, al tennis, allenarsi alla corsa, e vedemmo anche delle carcasse antidiluviane e innumerevoli conchiglie. L’albero di Washington si mostrava nell’aspetto venerabile che conviene alla sua età, ricoperto di muffe biancastre sulla corteccia e dedito alla pulizia minuziosa dei vegliardi che hanno cura di sé. Quanto al ginnasio, ci attendeva uno spettacolo molto pittoresco.

Viene chiamato Hemenway Gymnasium, dal nome dell’antico studente che ha donato 50.000 franchi per costruirlo. L’interno è colmo di funi ed attrezzature. Il giorno cominciava a calare e la luce elettrica non era ancora accesa. In questo semi crepuscolo si scorgevano vestiti di jersys senza maniche che si libravano da fermo in contorsioni inesplicabili; nello stesso tempo stridori di pulegge, rumori di ferraglie e di ruote insufficientemente ingrassate provenivano da ogni angolo. Al centro solamente alcuni saltatori si esercitavano a superare una barra posta sempre più in alto. Ma cosa facevano gli altri? Impossibile dirlo al primo colpo d’occhio. Me ne rendevo conto invece poco a poco. Movevano le braccia o le gambe, sollevavano testa e spalle, spingevano ginocchia o … tutto quello che volete, piedi sapientemente abili che scivolavano tra linee precise. Era il trionfo della ginnastica locale. L’uno ci indicava un inizio di malformazione della sua anca sinistra, l’altro sapeva che il mignolo della mano destra era alla vigilia di diventare mezzo millimetro superiore di quello della mano sinistra, e un terzo aveva ricevuto delle notizie allarmanti sulle dimensioni di un suo avambraccio. Allora lavoravano coscienziosamente, il primo per convincere la sua anca, il secondo per ristabilire l’equilibrio fra i mignoli, il terzo ad aumentare il suo avambraccio! Tutto questo per quale fine? …Per arrivare semplicemente a somigliare all’uomo normale. Io chiedevo dunque di vedere l’uomo normale e prendemmo una piccola scala a chiocciola che portava all’ufficio del Dr. Sargent.

Di colpo mi ritrovai in quella che ritengo fosse la commissione di reclutamento. Un magnifico gabinetto di lavoro s’apriva davanti a me, riempito di statuette antiche, incisioni, fotografie, libri e documenti e sulla soglia della porta tre o quattro giovani completamente nudi attendevano, a braccia conserte, che il loro nome venisse chiamato. Il Dr Sargent si alzò dalla sua scrivania e ci tendeva graziosamente la mano. Uno dei suoi collaboratori procedeva a un esame, egli lo interruppe e lo fece iniziare daccapo al fine di darmi un idea esatta del suo metodo e dei suoi principi. Lo studente misurò all’inizio le sue forze con una specie di dinamometro, poi si determinò la potenza del suo fiato con l’aiuto di uno spirometro, e in seguito l’esaminatore posò sul cuore un piccolo apparecchio tondo il cui condotto di gomma finiva nell’orecchio del dottore. Furono poi prese 58 misure, dalla pianta dei piedi fino al vertice della testa, e le 58 cifre annunciate ad alta voce e ripetute da uno scrivano – proprio come da un sarto – che le trascriveva nelle caselle di

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un modello stampato che mi fu consegnato per ricordo. E non era tutto: si chiedeva all’esaminato del padre e della madre, dei nonni, di quale malattie erano morti, a quale fra questi somigliasse di più. Inserivano in archivio le indicazioni relative al battito del cuore, allo sviluppo del fegato, al ritmo della respirazione; si informavano se si raffreddasse facilmente e se sanguinava dal naso. Poi si rivestiva e prima di andarsene pagava l’importo per i “diritti d’esame”.

Allora il dottore mi fece vedere i grandi registri in cui erano racchiusi gli albori di una scienza nuova, l’antropometria, e io pensai alla gioia degli antiquari dell’anno 2000 che avrebbero frugato in questi vecchi libri; quanto ai ritratti di famiglia essi saranno allora rimpiazzati dai fogli antropometrici degli avi e si inviteranno gli amici a osservare un documento ingiallito e incorniciato d’oro: “Ecco il mio trisavolo - si dirà – Guardate quanto erano potenti i suoi bicipiti!” Il Dr. Sargent ha ricostruito l’uomo normale, con un po’ di rischio calcolato, e vi traccia con un grafico la curva delle vostre malformazioni, cioè quello che voi siete rispetto all’uomo normale. Noi vediamo intanto delle curve celebri! Quelle di Henlan il vogatore, di Sullivan il famoso boxeur. In breve, sul corpo dello studente esaminato abbiamo constatato la “depressione prodotta dallo studio a tavolino”.

Dopo una nuova visita al ginnasio in cui un impiegato manovrava gli apparecchi fin quando il dottore non me ne avesse spiegato il meccanismo, siamo entrati nella sala dei trofei, debordante di bandiere, coppe, medaglie conquistate dai diversi collegi. Vi era anche il ritratto degli atleti con le date delle loro vittorie! Ma come era regolamentato tutto questo? I giochi sono nelle mani di direttori che li organizzano dispoticamente; … si direbbe una scuderia di cavalli; c’è l’allevatore che passa le bestie più belle all’allenatore.

Dal giorno in cui gli Americani si sono dati ai giochi inglesi, essi vi hanno apportato l’ardore eccessivo che li caratterizza, scadendo presto nell’esagerazione. Per la squadra che a una certa data deve lottare contro un’altra alla presenza di una folla immensa ed entusiasta, non c’è sacrificio che non si debba accettare. Tutto è organizzato per la preparazione di questi uomini, sui quali New York, Albany, Boston ecc. scommettono somme favolose; gli altri studenti sono lasciati al di fuori; esclusi dal campo di football, dal boat-house, perché essi ostacolerebbero i campioni. E così che si svilupparono i ginnasi: creati come compensazione per quelli che non potevano pretendere di difendere l’onore delle loro università nei tornei atletici; e nello stesso tempo se ne servirono per fortificare sistematicamente e formare in maniera irreprensibile il corpo dei campioni. L’attività ginnastica e gli esami periodici qui non sono ancora obbligatori, ma lo sono in numerose altre università.

Andando via quella sera dall’ Hemenway Gymnasium le mie idee erano confuse: Avevo visto, certamente, delle cose curiose e interessanti; ma ne avevo visto altre ridicole: L’idea finale, il totale delle buone e delle cattive impressioni, sottratte le une dalle altre, non l’avevo ottenuta.

Adesso so bene cosa pensare, e il mio giudizio e netto e preciso. Tutto questo non è educazione, è allevamento.

VI

Quando ho due o tre ore libere, prendo il tramway elettrico che porta a Cambridge e me ne vado a guardare gli studenti, a discutere con quelli che conosco, osservare il loro portamento e i loro sguardi. Quando si tratta di ragazzi di quattordici, quindici o anche sedici anni e volete sapere come sono educati è molto semplice: guardateli giocare, ascoltateli rivolgersi ai loro insegnanti e indagate su come curano la loro pulizia; questo triplice criterio è ancora il migliore che io conosca, non fallisce mai. Ma per degli uomini dell’età di questi ci vogliono maggiori dettagli e osservazioni più ampie.

Il viale alberato è il centro della vita universitaria; da lì è possibile vedere quasi tutti i dormitori, dalle finestre aperte fuoriescono i gemiti di pianoforti martirizzati e i miei ricordi volano verso i “quadrangoli” di Oxford e Cambridge; quanto è più grande qui la libertà! Quando arriverà la notte rudi portieri non redarguiranno i ritardatari e cancelli

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pesanti non chiuderanno fuori gli studenti fino all’indomani. Chi s’informa di loro? Non sono per niente conosciuti.; si conoscono appena gli uni con gli altri, di gruppo in gruppo.

Ieri ho pranzato in un eating club; i commensali, poco numerosi, non si somigliavano per niente; ce n’erano di biondi e di bruni, asciutti e incerti, eleganti e malvestiti; uno dei miei vicini sognava una esistenza di lavoro e attiva, l’altro la pace, grandi alberi e una sedia a dondolo; per dirla diversamente, il primo voleva salire le scale della vita e l’altro indugiare sui pianerottoli.

Uno dei miei amici uscito da Harvard dopo soli due anni, mi ha mosso dei rilievi sulle somme che vi ha speso; egli appartiene a un assai piccolo nucleo di aristocratici, che non sanno bene su cosa fondare le loro pretese nobiliari e le affermano grazie ad un esclusivismo feroce; se voi non potete collegare il vostro nome a qualche pari d’Inghilterra, e ostentare sulla vostra vettura uno scudo nobiliare, gettate almeno denaro dalle finestre; non conterete nulla se non riuscite a entrare nella loro cerchia. Del resto non è per niente interessante, la loro cerchia! Vi si compiono mille eccentricità, vi si fanno mille sciocchezze per imporsi in un qualunque modo ad un popolo che non ha aristocrazia e conosce appena il significato della parola. A Boston ha ancora un po’ di presa; ma altrove non c’è niente da sperare. I giovani signori, obbligati ad assecondare l’opinione pubblica, si fanno allora avvocati per compiacenza, alfine di darsi un contegno in società.

Harvard mi sembra un caos, un’imitazione confusa e un po’ maldestra delle università inglesi; non è veramente americana né per atmosfera né per tendenze; vi sono forze vive perdute in questa massa vorticosa dove non si forma alcuna corrente. In breve l’Università è l’immagine della Nuova Inghilterra: un paese che non è senza analogia con la Francia degli inizi di Luigi XVI. È come se si vivesse la fine di un’epoca, con le sue incertezze, le sue contraddizioni, le sue malizie … si finisce per dipendere da quelle condizioni, soprattutto in America; spesso non sono altro che dei luoghi di passaggio; ma chi va alla ricerca dell’America nella Nuova Inghilterra è esposto al rischio di tornarsene in Europa senza aver compreso niente!

Dopo il pranzo, siamo andati a inscrivere il nostro nome sul registro dell’Hasty Pudding Club; questa società deve la sua strana denominazione ad un pudding compatto che si deve inghiottire in pochi secondi; al suo interno si danno delle rappresentazioni, si pratica la caricatura con molto brio e non senza talento. In seguito abbiamo incontrato il cordiale professor Cohn, che insegna la letteratura francese e la fa amare. Lo opprimo con domande di ogni genere, alle quali risponde con una estrema cortesia; egli attira la mia attenzione sul problema dell’assenza di basi negli studi americani; si sanno male le cose, vi è desiderio di apprendere, ma mancano le conoscenze umanistiche per sostenere l’edificio. Quelli che da noi praticano questi studi con odio e sarcasmo dovrebbero venire qui per rendersi conto del vuoto che lascia la loro assenza. I collegi fondati sul modello di Lawrenceville porteranno rimedio a questo stato di cose.

XIII

Ho trascorso venti ore a Lenox, località alla moda, situata a quattro ore da Boston; vi sono delle montagne molto suggestive, graziose passeggiate e le persone agiate vi possiedono delle ville. Piccoli appezzamenti di terreno costano molto cari, ciononostante non è sufficiente avere il denaro necessario per stabilirsi in questo luogo, bisogna farsi ammettere. I bravi americani vi si concedono il piccolo piacere di giocare con i costumi aristocratici; si informano con gravità delle ascendenze dei nuovi venuti e dei loro parenti e confabulano per decidere se conviene riceverli; queste pretese stridono talmente in America, che non ci si può trattenere dal riderne. Infatti, voi troverete nelle migliori famiglie un’ignoranza pressoché assoluta riguardo alle loro origini; si conoscono i propri genitori, si sa pressappoco chi sono i propri nonni, per il resto si cade dalle nuvole. Questo non impedisce agli abitanti di Lenox di prendersi sul serio; giudicare l’America da Lenox è come giudicare l’Inghilterra dalla Camera dei pari!

Da lì ho raggiunto la piccola città di Amherst dove abita il padre della scuola antropometrica, il Dr. Htchcock. L’università di Amherst fu fondata nel 1821 e 47 studenti

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si presentarono il giorno dell’apertura dei corsi, ora sono 360. Il consiglio d’amministrazione è composto da 10 laici e 7 ecclesiastici; il diritto di colmare i vuoti causati da morte o dimissioni nel consiglio appartiene agli ex allievi. L’immissione di ex allievi nel governo universitario non è una delle minori particolarità del sistema americano; da parte mia ne vedo numerosi vantaggi; le università sono di norma solidamente sostenute e difese; la routine non prende il sopravvento; l’emulazione è mantenuta viva. Infine dal punto di vista sociale, non si guadagna molto forse a far parte di un gruppo i cui membri possono andare avanti nella vita sostenendosi gli uni con gli altri? Amherst è andata anche oltre, associando al governo gli stessi allievi. La Facoltà divide il potere tra un Senato composta da 4 senior, 3 junior, 2 sophonores e 1 freshman, delegati dalle loro rispettive promozioni. È davanti a questi giovani senatori che viene posta ogni questione inerente “il buon ordine e il decoro”. Essi la trattano alla loro maniera e la firma del presidente rende le loro decisioni esecutive. Questo sistema, da quando è in uso, ha pienamente soddisfatto i suoi ideatori.

I 360 studenti appartengono quasi tutti al Massachussets e agli Stati vicini: qualcuno viene dall’Ovest; 5 sono stranieri; il Sud non è rappresentato che da due Virginiani. Io apprendo queste cose ruzzolando giù a rotta di collo in una vettura inconsistente per il lungo tragitto che scende verso la pianura, perché Amherst è situata su di una collina i cui edifici slanciati coronano a meraviglia; oggi è giorno di festa atletica: si corre, si salta, si vincono dei premi, è il Fall Meeting, la riunione di autunno. Ma il buon Dr. Htchcock, lo si capisce, ha molto meno simpatia per gli sport che non per i graziosi esercizi di braccia e di gambe che si compiono quattro volte a settimana nel suo ginnasio, al suono del piano … perché è uno di quelli che credono nella musica. I professori di ginnastica negli Stati Uniti, credono o non credono affatto nella musica. Nel primo caso, si rallegrano di vedere gli allievi ondulare come dei burattini seguendo la melodia, e di sentire, all’accordo finale e il tac di tutti i talloni che ricadono a terra. Il Dr. Htchcock è l’incarnazione del buon umore e della buona salute; la sua fede profonda nel suo sistema finisce per rendere la sua persona simpatica. È ormai un vegliardo, giunto alla fine: ha persuaso numerosi discepoli che il corpo di un uomo si “costruisce” come una casa, che la ginnastica razionale e regolamentata è il rimedio universale contro tutte le malattie, e che bisogna lasciarsi prendere tutte le misure per quindici giorni per “conoscere se stessi”. Quanto al ruolo morale dell’atletismo, non si può dire che lo disconosca, non ne dubita affatto. Ma che profumo materialista promanano gli opuscoli che mi ha dato! Invano il nome di Dio si incontra qua e là senza motivo; l’impressione che se ne trae è quella di un ideale distorto, di una educazione elementare, di un materialismo incosciente, ma completo.

Il programma dei corsi non offre qui alcuna particolare novità, da un lato le lettere, dall’altro le scienze, con una collegamento minimo fra di loro, in maniera che quelli bravi nel scrittura di un tema sappiano almeno fare un’addizione e che i computisti non prendano Régulus per un imprenditore di lavori pubblici; questi programmi sono completi, ben redatti, e gli studenti di Amhrest sembrano dei buoni lavoratori. Hanno poche distrazioni, la città è piccola e le vie appena segnate si perdono presto nella campagna.

In albergo siamo serviti a tavola da donne che Max O’ Rell ha molto spiritosamente chiamato “duchesse”, con questa differenza, che non vi sono al mondo duchesse così altezzose, così screanzate e così assolutamente insopportabili. I loro modi bruschi, l’aria disgustata, gli sguardi insolenti e le beffe incessanti, fanno di queste cameriere americane un incubo per il viaggiatore quando, lasciando le grandi città, si avventura nelle borgate di quel genere; allora non gli resterà che sperare con tutte le sue forze nel giorno in cui la scienza moderna permetterà di rimpiazzare le duchesse con un sistema silenzioso e obbediente.

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1.13 Dal Nord al Sud (XI, XIII)

XI Il lago Michigan corre furiosamente lungo gli argini di legno che contengono le spiagge

sabbiose, le onde riempiono l’orizzonte. Da lontano si vede solo il canale che segna l’ingresso del tunnel sottomarino che Chicago ha costruito per avere acqua potabile, perché questa massa liquida, che la tempesta scuote, è di acqua dolce; questi flutti formidabili non sono quelli di un oceano. Appena realizzata questa idea ci si chiede se la “Regina della Prateria” non sia stata traslocata in riva al mare.

Oggi non è più così facilmente traslocabile come al tempo in cui l’incendio la divorò. “Chicago è bruciata - mi dice un testimone - quando avevo otto anni, non restò niente, niente! …”. Avevo, in un certo senso potuto vedere attraverso il ricordo, quella catastrofe incredibile, sovrumana. Ebbene Chicago non somiglia affatto ad una città che è bruciata per intero diciannove anni fa; le sue strade immense sono costeggiate da palazzi dalle potenti fondamenta, dai pilastri di marmo; tutto ha l’aria di essere forte, solido, definitivo, in modo da forgiarle un passato e delle memorie storiche al punto che per un po’ ti chiedi dove sia la strada che conduce palazzo reale. Del resto un palazzo reale c’è, dove regna incontrastata Sua Maestà il Denaro. È il Board of Trade, la “”Borsa”; ci avevano raccomandato di visitarla per osservarne l’agitazione. In realtà ci addentriamo in un percorso infernale e ci troviamo di fronte a uno spettacolo impressionante. Se pur è così più o meno in tutti i grandi centri d’affari, da nessuna parte il quadro risulta così grandioso. Questo Board of Trade con le sue colonne ciclopiche e alte finestre a vetrata, ha l’aspetto di un tempio, di un palazzo esotico e gli occhi vagano alla ricerca di un idolo, il grande lama, il trono …

E, intorno al sovrano, c’è la corte, con il codazzo di favoriti e cortigiani le cui minime gesta interessano il pubblico, le minime parole sono riportate e i minimi pensieri sono prosciugati. Un giornale americano interessa sempre i suoi lettori parlando loro dei ricchi del momento, soprattutto rendendo note le cifre dei loro redditi. Il milionario è il modello, l’ideale; esso costituisce per i giovani ciò che era Orlando nel medio evo o Lauzun sotto Luigi XIV. Credono che abbia una sorta di potere misterioso e, quando il fato lo schiaccia, vi è come uno stupore generale, tradotto recentemente da un reporter in testa ad un articolo che descriveva una catastrofe, con delle parole curiosamente filosofiche: “Un milionario bruciato vivo! Tutti i suoi milioni non lo hanno potuto salvare!”

Di questo deperimento morale, di questo marciume, la società in cui il denaro esercita un tale impero, non dovrebbe recarne l’impronta, secondo la logica europea? Ebbene no! La società di Chicago ama le belle cose, vibra al contatto dei sentimenti nobili, cura la sua formazione morale e nello stesso tempo il suo arricchimento; cresce, in una parola. Leggete il libro di M. de Varigny, sulle Grandi fortune negli Stati Uniti, fa scorrere davanti ai vostri occhi i principali milionari del secolo, descrive i loro inizi difficili, la loro ostinazione, le loro vite agitate, e, quando arriva il momento del trionfo, in cui l’uomo fa la sua fortuna, il modello è sempre lo stesso: un po’ scettico, autoritario, burbero, ma donatore generoso, soccorritore degli sfortunati, fondatore di scuole, ospedali o musei. Questo è il milionario americano.

Ce n’è uno, preso fra questi, il cui nome è universalmente conosciuto: Pullman, il costruttore e, credo, l’inventore dei famosi vagoni letto che da lui prendono il nome di Pullman cars. Non si è accontentato di fare una fortuna colossale e di occupare 5000 operai nelle sue fabbriche, tutto ciò che, per migliorare la loro sorte, poteva essere suggerito dalla filantropia più aggiornata e più sensibile, egli l’ha fatto.

La protezione che egli esercita somiglia a quella che eserciterebbe da noi un grande industriale che s’ispirasse agli stessi principi, vi è solamente questa differenza: non si chiede niente all’operaio in cambio di quel che viene fatto per lui ed egli è trattato da eguale, come si conviene tra cittadini americani …Questo insediamento di lavoratori si

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trova a tre quarti d’ora di strada dal centro della città. Si attraversa per raggiungerlo dei vasti spazi disabitati, ma non importa! È ancora Chicago! Grazie a questo sotterfugio un po’ ridicolo, si arrivano a contare 1.500.000 abitanti, mentre in realtà non sono più di 900.000, cosa già considerevole per una città così giovane.

Arrivati a destinazione incontriamo diverse fabbriche, fonderie con i loro altiforni, il metallo incandescente e il rumore dei pesanti pistoni, le falegnamerie dove i vagoni si costruiscono scivolando lentamente sui binari da un operaio all’altro, i laboratori di ebanisteria, di verniciatura, di tappezzeria, di biancheria, perché quando i vagoni escono dall’officina tutto viene finito qui e non resta che montare gli interni. Poi visitiamo la banca, le scuole, il teatro, la biblioteca, le chiese dei differenti culti. Quanto alle abitazioni, ve ne sono di tutte le dimensioni e di tutti i prezzi. L’operaio non arriva mai a possederle, combinazione ben preferibile a quella di diventare poco a poco proprietario della propria dimora di cui, in Europa, si conoscono tutti gli inconvenienti, ma l’affitto si abbassa, credo, in cinque anni, e alla nascita di ogni figlio; è un premio alla moralità e alla stabilità. M. Pullman ha anche creato una associazione atletica le cui medaglie sono molto richieste. Molti operai ne fanno parte … In Inghilterra pure, gli operai formano delle associazioni atletiche, fanno canottaggio e giocano a cricket. Questo dimostra che i più duri lavori manuali non sostituiscono lo sport, e le persone che non vedono nello sport che il movimento fisico possono rendersi conto di quanto un lato della questione sfugga loro.

XIII Chicago si illumina: l’elettricità azzurrina o gialla brilla da tutte le parti.; si cena con la

musica negli alberghi e i teatri aprono le loro porte. È l’ora del riposo per l’uomo occupato che i colloqui, gli appuntamenti, gli affari hanno trattenuto tutto il giorno chiuso tra le mura delle attività, egli ha calcolato, computato, ragionato ed eccolo ora che esce dalla nuvola di polvere nella quale ha vissuto durante il giorno; egli dà un ultimo sguardo ai suoi scartafacci, licenzia un ultimo visitatore, ascolta un’ultima lamentela e, constatando allegramente che ha esaurito i suoi impegni, va a rilassarsi ad una tavola lussuosa, a qualche spettacolo gaio, a qualche festa brillante. Sua moglie, anche lei, ha trascorso la sua giornata nell’impegno quotidiano; si è occupata dei figli, della casa, delle sue opere e, ai visitatori che si presentavano ha fatto rispondere con questa semplice frase che, da noi, risulterebbe scorretta: Mrs.*** begs to be excused. Vi prega di scusarla, non ha il tempo di chiacchierare con voi, ella non è libera. E se resta un po’ di tempo libero, sarà occupata con la lettura delle riviste, dei giornali, per tenersi al corrente degli avvenimenti e delle novità. Ella gioisce di questa vita che ama, la fortuna le arride, sa che domani potrebbe cessare, e non ne è turbata. La cameriera che presta i suoi servizi è una sua eguale, non ne dubita e non se ne stupisce. Raramente, nelle preghiere, chiede qualcosa a Dio, gli rende omaggio perché crede, ma il suo buonumore non è coinvolto da questa idea. Il marito condivide questo modo un po’ platonico di credere, egli sa che ha una missione da compiere in questo mondo e questa missione la definisce in tre motti: essere onesto, caritatevole e fare gli affari; un mezzo per rendere contento Dio.

Dopo tutto anche questo è un ideale! Solo che noi Europei fatichiamo a comprenderlo. La Grecia ha cercato la perfezione dell’individuo nell’armonia delle sue diverse facoltà. Il medio evo ha praticato l’ascetismo, cioè l’anima ha asservito il corpo, suo supposto nemico. In seguito è comparso l’ideale militare, e ora è l’attivismo che domina. Insomma che si combatta contro le cose, contro gli uomini, contro i fatti o contro se stessi, è sempre una lotta e la lotta è nobile.27

27 In una città americana in cui ho trascorso due settimane, sono stato guidato i primi giorni da un Francese stabilitosi nel paese per via del suo matrimonio. “Pranzeremo all’Union Club, mi disse una mattina, come da programma, poi il mio amico William ci farà vedere i suoi cavalli da corsa che sono al Padiglione della caccia, fuori città”. Prima di pranzare all’Union Club andammo a prendere l’amico William. Egli vendeva cotone di Madapolam in una piccola via piena di negozi, di reclame e di movimento. L’ingresso sembrava uguale a tutti gli ingressi; il nome di William and C.s

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1.14 Louisiana, Florida, Virginia (IV, VIII)

IV M. Paul Tulane nella stipula del suo atto di donazione ha specificato che egli aveva a

cuore l’educazione dei Bianchi; non aveva bisogno di dirlo; i giovani negri che avessero osato chiedere l’iscrizione avrebbero passato un assai cattivo quarto d’ora. Nel nord, Neri e Bianchi sono sullo stesso piano; si vedono delle numerose scuole miste e il pregiudizio razziale va declinando sepre più velocemente. Ma qui sussiste con tutta la sua forza. I negri hanno i loro caffè, i vagoni riservati nelle ferrovie, i loro posti al teatro. Dappertutto devono cedere il passo ai Bianchi, anche in chiesa! Hanno la maggioranza e potrebbero, se volessero, opporsi a questa vergognosa separazione; ma sono svogliati, disuniti e molto timidi. La schiavitù li ha lasciati sottomessi ai loro vecchi padroni, e senza dubbio ci vorrà del tempo perché il sentimento dell’uguaglianza possa unire gli uni agli altri.

Per quel che ne so, la questione negra preoccupa a buon diritto gli uomini di Stato americani e fornisce loro l’occasione, di tanto in tanto, di partorire progetti eccentrici. Un senatore ha proposto di ricondurli in Africa: “È la loro patria d’origine - ha detto – quale gloriosa missione per loro di apportare ai loro fratelli rimasti nella barbarie, la civiltà che essi hanno appreso da noi”! Spero che il faceto senatore abbia trovato qualcuno che gli abbia riso in faccia, in ogni caso i negri hanno riso amaro al pensiero di questa “gloriosa missione”. Di fronte ai Neri, i Bianchi credono di potersi permettere tutto; imbrogliano alle elezioni nello spoglio delle schede e non temono di vantarsene apertamente. In caso di controversia, il Nero ha sempre torto; gli si rivolge come ad un cane e ognuno fa del suo meglio per ricordargli in maniera esplicita la sua inferiorità, inferiorità mai provata. Dopo tanti anni di asservimento, non è sorprendente che l’intelligenza sia lenta ad aprirsi. Nelle scuole i piccoli negri apprendono a meraviglia e testimoniano di una grande facilità di lavoro. Poi questo percorso si arresta subitaneamente e non vanno più aldilà di un certo limite, ma questo limite avanza poco a poco. In Europa del resto, abbiamo molti esempi, nelle nostre scuole, di allievi negri che riportano i primi premi e passano brillantemente gli esami. Aggiungerei che sovente questi allievi, per il loro carattere amabile e la loro vivacità, si sono fatti amare dai loro compagni divenendo i favoriti. Il fatto è che sono simpatici, simpatici anche quando sporchi e ubriachi alle volte si sono seduti vicino a me nei treni americani. Certo avrei preferito come vicini del negri ben messi.

VIII

Nella carrozza che ci riporta a Jacksonville c’è una donna di circa quarant’anni, vestita con eleganza; il suo viso è leggermente colorato, così leggermente che all’inizio non me ne sono accorto. Ma nel momento in cui il treno comincia a muoversi il conducente le parla all’orecchio; lei fa segno di no, il conducente insiste e alza la voce e subito tutti comprendono il motivo della controversia. Questa donna ha un po’ di sangue negro nelle vene, il suo benessere, la sua distinzione non la mettono al riparo dalla legge. Deve trasferirsi nel vagone riservato ai negri, che è anche quello dei fumatori, sporco e scomodo. Lei protesta, allora il conducente chiama il suo collega e andando per le spicce, la prendono da sotto le braccia e a peso morto la trascinano fino all’altra carrozza. Davanti a questa scena ignobile gli Americani che sono lì sghignazzano volgarmente. Se gli Stati del Sud sono così stupidi da mantenere questa ingegnosa legislazione, c’è da credere che

era in caratteri d’oro; l’interno era vasto, in forma di galleria, con dei grandi banconi, molti impiegati, qualche acquirente e delle pile inverosimili di tutti i madapolam esistenti sulla faccia della terra. A destra, entrando, si trovava la cassa, seduto, su una sedia mobile molto alta, un giovane di circa trent’anni, elegantemente vestito, dall’aria distinta, distribuiva ricevute, levò gli occhi ci salutò con un sorriso e continuò a seguire i suoi impegni, senza mancare di dire al mio compagno, fra due ricevute: “Superba giornata ieri! Il mio cavallo ha saltato magnificamente”. L’immagine di quel cavallo da gara che saltava tra banconi e pile di madapolam mi restò a lungo impressa nello spirito.

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finiranno per pagarla cara. A meno che il governo federale non si decida a intervenire e a dare loro la frusta come a ragazzi discoli.

1.15 Washington e Baltimora (VI)

VI Si farebbero volentieri molti chilometri intorno alla terra per avere il piacere di

incontrare Mgr. Keane; tutti quelli che lo conoscono vantano il fascino della sua parola e dei suoi modi. Ma il suo modernismo porterebbe il terrore nello spirito di molti dei cattolici d’Europa. Egli rispetta il passato, ama il presente, crede nell’avvenire; è un saggio. Rispetta il passato perché è molto colto e sa studiare ogni epoca dal giusto punto di vista … e Dio sa quanti ne siano mutati, di punti di vista! Ama il presente perché constata con gioia il bene che avanza ogni giorno intorno a lui. Ha fede nell’avvenire perché è Americano fino alla cima dei capelli e nulla lo spaventa … Mio Dio! La vita attuale è una caccia alla volpe. Quelli che non sanno montare bene a cavallo temono costantemente di cadere. La velocità li mette in una posizione scomoda e gli ostacoli li scuotono rudemente spiazzandoli, mentre gli altri, quelli ben messi sulle loro montature e perfettamente sicuri, superano i medesimi ostacoli con estrema facilità. I cattolici degli Stati Uniti sembrano appartenere a quest’ultima categoria, sono buoni cavalieri e non hanno paura di niente. Si parla molto di loro in questo momento. Hanno appena celebrato il centesimo anniversario dell’insediamento ufficiale del culto cattolico e del vescovo Carroll, che fu amico di Washington. Erano 40.000 allora, oggi sono 10 milioni. Le feste per il centenario religioso hanno coinciso con l’inaugurazione dell’università di Washington, e una sorta di concilio laico si è riunito a Baltimora per discutere diverse questioni legate al problema della stampa e della propaganda.

L’idea di fondare una grande università cattolica in questo paese viene da molto lontano. I concili nazionali28 l’hanno discussa in più riprese, quello del 1884 l’ha adottata. Miss Mary Gwendoline Caldwell, il cui nonno era direttore di teatro e il padre fabbricante di gas alla Nouvelle-Orléans, donò 300.000 dollari (1.500.000 franchi), e in poco tempo, grazie ad altre sottoscrizioni, si è potuta riunire la somma di 4 milioni. Una vasta proprietà fu acquisita e la prima pietra fu solennemente posata il 24 maggio 1888, alla presenza del Cardinale Gibbons, del Presidente della Repubblica e di una folla immensa. Mgr. Spalding, vescovo di Peoria, pronunciò quel giorno uno dei discorsi più belli e nello stesso tempo audaci che sia mai uscito dalle labbra di un vescovo cattolico. Mi si permetta di citarne qualche passaggio: “Felicitiamoci – ha esclamato il vescovo in un’esplosione di patriottismo – felicitiamoci di aver dimostrato con i fatti che il rispetto della legge è compatibile con la libertà civile e religiosa; che un popolo libero può prosperare e ingrandire la sua sovranità senza guerra; che lo Stato e la Chiesa possono agire separatamente per il bene pubblico; che il governo della maggioranza, quando gli uomini hanno fede in Dio e nella scienza è nonostante tutto il governo più giusto e più saggio. Questa esperienza ci assicura il posto d’onore tra le nazioni che aspirano ad una vita sempre più libera”. E più avanti, in guisa di programma per l’avvenire: “Proponiamoci al presente di preparare l’avvento di un’organizzazione sociale che assicurerà a ognuno il riparo, il nutrimento e il vestire; conformiamoci alla divina parola: ‘O Israele tu non sopporterai che all’interno delle tue frontiere ci sia un solo mendicante, un solo miserabile!’ Abbiamo il diritto di aspirare ad un momento felice in cui nessun uomo sarà condannato ad un lavoro senza mercè e senza risultato; al tempo in cui nessuna distinzione esisterà più tra gli individui”. Più avanti ancora: “La scienza ci ha permesso di prolungare l’esistenza, di lottare contro la malattia, di alleviare il dolore, di fertilizzare la terra, di illuminare le nostre città, di risanare le nostre dimore. Allo stesso tempo essa ci ha aperto agli abissi del firmamento e ci ha rivelato poco a poco i misteriosi dettagli della

28 Questi concili si compongono di tutti i vescovi cattolici degli Stati Uniti; se ne sono tenuti tre in questo secolo.

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creazione. Noi conosciamo la storia del globo, abbiamo sorpreso i segreti delle civiltà scomparse e le nostre scoperte aumentano ogni giorno; e tutto questo non è che un preludio, la profezia di un’età nuova. Poiché pretendere che i nostri progressi siano solo materiali significa mancare di buona fede; tutto indica il contrario. Altre epoche hanno visto passare figure maggiormente notevoli di quelle che oggi si vedono, ma mai il mondo è stato governato con tanta saggezza e giustizia”. Sono pochi quelli che sanno parlare come Mgr. Spalding, ma sono molti quelli che la pensano come lui.

1.16 Conclusioni

XVI A Sua Eccellenza Il Ministro dell’Istruzione pubblica

Parigi 1° marzo 1890 Signor Ministro, Con un decreto datato 17 luglio 1889, voi mi avete fatto l’onore di affidarmi una

missione negli Stati Uniti e in Canada con il fine di visitare le università e i collegi e studiarvi l’organizzazione il funzionamento delle associazioni atletiche fondate per i giovani di quei due paesi.

Le indicazioni che ho raccolto e le osservazioni che ho fatto, nel corso del mio viaggio, mi suggeriscono qualche riflessione che desidero sottoporvi. Sarà la conclusione di uno inconsueto rapporto che non si compone che di pezze d’appoggio e il cui stile fantasioso contrasta con l’abituale gravità dei documenti pedagogici. Ho pensato che i rapidi schizzi da me disegnato avrebbero guadagnato in fedeltà e che avrei potuto dare, in tal modo, un’impressione più chiara e più vivace delle università d’oltroceano, verso le quali abbiamo rivolto poco lo sguardo, noi Europei; esse sono invece degne della nostra attenzione. È dentro di esse, nel loro stesso seno, che gli Americani, non meno avidi di scienza che di ricchezza, si preparano per le competizioni future. I loro sforzi non sono sempre ben combinati: nel loro ardore confondono il grano con loglio, ma la perseveranza e il lavoro vengono a capo di tutte le difficoltà, e i loro progressi devono essere per noi motivo di una feconda emulazione.

I

Nel momento in cui si manifesta, in Francia, con tale vigore, l’esigenza di dare all’educazione fisica il posto importante che le compete, era interessante gettare gli occhi su un paese in cui sono presenti i due sistemi di educazione fisica agli antipodi: i giochi liberi proveniente dall’Inghilterra e la ginnastica proveniente dalla Germania. Ho sufficientemente insistito, nelle pagine precedenti, sul carattere dell’uno e dell’altro metodo per non ritornarvi. Tuttavia, è importante ribadire che i giochi liberi, per il fatto stesso che la libertà presiede alla loro organizzazione, si adattano alla vicinanza della ginnastica. Ci sono dei ginnasi in Inghilterra e gli studenti li utilizzano con piacere. L’intolleranza, al contrario, caratterizza la ginnastica tedesca; essa non conosce che i movimenti d’insieme, disciplina rigida e regolamentazione perpetua. Il Dr. Lagrange ha fatto giustizia delle sue pretese esorbitanti dal punto di vista igienico; altri si sono fatti carico di dimostrare la sua inconsistenza dal punto di vista pedagogico. Negli Stati Uniti una reazione si prepara contro di essa ed è possibile prevedere un’epoca in cui i rettori delle università ritireranno ai direttori dei ginnasi il potere insensato che hanno loro riconosciuto. Questi direttori hanno le loro mani non solamente sulle macchine bizzarre di cui sono – o almeno si credono – gli inventori, ma anche sui giochi, perché, non potendoli farli sparire all’improvviso, li confiscano a loro profitto, scegliendo tra i loro allievi i più forti e i più agili, consacrandosi esclusivamente al loro allenamento. Ne risulta che, durante la bella stagione, le squadre universitarie vanno di concorso in concorso, si fa

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pressione per vederle lottare; somme enormi sono impegnate dagli scommettitori e, fino a quando i campioni si dedicano a questo atletismo esagerato, i loro compagni sono messi da parte per non intralciare i loro allenamenti. Ci si comincia a preoccupare di questo increscioso stato delle cose, e si auspica che si produca una rapida riforma. In tutti i casi è un avvertimento per noi, di non lasciar prendere all’educazione fisica il carattere scientifico e autoritario che vorrebbero darle certi teorici, più interessati ai principi che non alle loro applicazioni, amici del razionale e ignoranti di pedagogia.

Per riempire una lacuna che esiste nella scala degli istituti d’istruzione in America e che corrisponde precisamente al periodo più importante della formazione del ragazzo, si fondano delle scuole che si ispirano all’immortale dottrina del grande Arnold, come se ne ispira l’onorevole M. Marion nel rapporto che ha presentato alla commissione che voi avete incaricato, Signor Ministro, di studiare le riforme da introdurre nel regime dei nostri licei. Il programma di Arnold vi è quasi interamente riprodotto. È Arnold, infatti, che, per primo, si è servito dell’atletismo per produrre delle volontà ferme e dei cuori dritti insieme a dei corpi robusti; è lui che, a partire dalla libertà e dalla gerarchia del merito, ha saputo preparare dei ragazzi al ruolo di cittadini di un paese libero; è ancora lui che ha raggruppato i maestri intorno alla sua persona e ne ha fatto suoi collaboratori; è lui che ha combattuto la menzogna, che ha proclamato la necessità di fare prima di tutto degli uomini onesti; è lui che ha detto: “L’educazione è una partita a scacchi”.

La libertà, in queste scuole nuove, è saggiamente regolata come nelle scuole inglesi; essa al contrario è eccessiva nella maggior parte delle università; ma questo eccesso d’indipendenza non produce cattivi risultati; non ci sono che i gesuiti che non si rallegrano di questo stato di cose; niente prova meglio che la libertà è feconda tra i ragazzi come tra gli uomini. Le restrizioni sono a volte inutili, anche se devono comunque essere alla base di tutte le istituzioni scolastiche. I piccoli americani hanno un bisogno del tutto particolare di indipendenza; bisogna anche considerare come accidentali e passeggere le tendenze che io ho segnalato più in alto a proposito dell’educazione fisica: esse sono dovute ad un entusiasmo tedesco che non riuscirà ad avere delle radici profonde, perché è contrario al genio del paese.

Le Debating Societys sono molto diffuse, d’altra parte non bisogna assimilarle alle accademie, alle quali, precisamente, faceva difetto la libertà di pensiero. Il maestro in America come in Inghilterra si guarderà dal suggerire alcunchè al suo allievo; egli non tiene a farlo brillare in una seduta pubblica in un ruolo della tragedia greca o in una recita di versi latini; egli tiene piuttosto a farlo intervenire da solo su argomenti dedicati ai grandi personaggi, per abituarlo a trovare le sue parole e soprattutto le sue idee, cosa ancora più difficile. Non posso insistere troppo affinché simili conferenze siano istituite nei nostri licei, ma i grandi allievi perderebbero poco a poco quella loro timidezza deplorevole che, troppo spesso, li paralizza agli esami, e li perseguita per tutta la loro carriera. A mio avviso sarebbero da bandire dai dibattiti gli argomenti religiosi o di politica interna, ma vi ammetterei apertamente tutto ciò che riguarda la politica estera. La stampa scolastica è ugualmente utile; alcuni esperimenti tentati in Francia sono riusciti, ma la maggior parte dei maestri dubita ancora del ruolo che può avere in un collegio un giornale, mensile o bimestrale, ben redatto; se essi potessero intuire quanto il loro compito ne sarebbe facilitato, non esiterebbero ad indirizzare gli allievi lungo questa strada. Ve ne sono dappertutto in America, ne ricevo molti e ancora di più dall’Inghilterra; dopo molti anni in cui li ho letti attentamente, non vi ho mai trovato una parola fuori luogo e la maggior parte non subisce alcun controllo. So bene che tutti questi strumenti sono moderni, ma immagino che noi dobbiamo formare uomini per il XX secolo e non per il XVII.

II

Al di fuori di università e collegi, le associazioni atletiche sono numerose e prospere. Alcune sono formate semplicemente da giovani che vogliono praticare sport determinati, come il velocipede, il lawn tennis … Ma più spesso queste associazioni possiedono degli immobili o formano dei veri e propri club; vi si può scrivere, pranzare, giocare a biliardo.

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Un grande ginnasio, nella parte superiore, un gioco di bocce, le docce e perfino la piscina per il nuoto nel piano di sotto permettono ai membri, per tutto l’inverno, di compiere un esercizio energico e salutare. Queste associazioni possiedono anche dei campi da gioco e delle rimesse per i battelli per l’estate, fuori dalle città dove sono situati. La quota d’iscrizione è generalmente poco elevata, sia per via della generosità dei fondatori, sia per il grande numero di membri onorari che partecipano alle spese senza usufruirne. I concorsi di sport atletici dati da queste associazioni, in inverno nei loro ginnasi, in estate sui loro campi da gioco, sono molto seguiti. Le corse piane e ad ostacoli, i salti in alto, in lungo e con l’asta figurano nel programma. La scherma ha qualche seguace; la boxe è molto diffusa. I ginnasi sono sempre rivestiti di parquét e dei materassi imbottiti rimpiazzano, sotto le diverse macchine, la segatura di legno che noi impieghiamo. La segatura non è priva di inconvenienti: produce una polvere che impregna l’atmosfera e la rende irrespirabile. Tra le migliorie da introdurre in Francia, segnalerei la costruzione di piste in gomma per la corsa; esse circondano il ginnasio situate sopra una galleria all’altezza dell’ammezzato. I giochi preferiti sono il base-ball e il football; il cricket non è in voga quanto in Inghilterra. Il base-ball è estremamente semplice, in quanto a regole, ma la pratica è molto difficile, e i nostri scolari non sono ancora così perseveranti da prendere piacere in un esercizio in cui non riuscissero al primo colpo; il football, al contrario, li ha entusiasmati fin dall’inizio e il suo successo è assicurato; diverte i principianti e, d’altra parte, il perfezionamento muscolare e lo sviluppo dell’abilità dei giocatori non vi hanno limite.

Gli sport invernali, il tobogganing, le corse in snow shoes e soprattutto lo ice yachting, non possono essere che menzionati qui come fonte di deliziose ricreazioni per i giovani Americani del Nord. Quei piaceri non saranno mai alla nostra portata, a meno di un rivolgimento generale del clima del globo!

Quanto all’equitazione, non è insegnata nelle scuole; ci sono nelle città dei maneggi dove si va molto a cavalcare. Anche lì si sono formate delle associazioni; vi sono delle riunioni due o tre volte a settimana e perfino, per rallegrare la seduta, un’orchestra s’installa nelle tribune e si galoppa in musica, tutto come all’ippodromo. Inoltre, i membri organizzano delle cavalcate, dei caroselli o delle escursioni che prendono la giornata intera e anche oltre. Questi maneggi hanno guardaroba, sale di lettura e di riposo. Sarebbe da auspicare che i maneggi francesi fossero organizzati nello stesso modo; al contrario sembra che ci siamo dati il compito di rendere l’equitazione poco attraente.

Dopo qualsiasi esercizio un po’ violento, gli americani, piccoli e grandi, prendono uno shower bath, cioè un “bagno di pioggia”. Non è proprio una doccia; può essere che vi sia chi non è d’accordo sull’utilità della doccia per tutti senza eccezioni, ma nessuno potrebbe ammettere che sia igienico non lavarsi dopo un esercizio che produce una forte traspirazione. Lo shower bath si installa con la più grande facilità, e non servirà se non la buona volontà e molto poco denaro per metterlo a disposizione dei nostri liceali. Questa miglioria si impone assolutamente; e poiché tocco di passaggio un argomento di così alta importanza, permettetemi di segnalarvi, Signor Ministro, il danno che si avrebbe a lasciare che si perpetui uno stato di cose che è contrario all’igiene. Io ho visto, dopo un anno, numerosi liceali giocare con le loro uniformi, accontentandosi di levare la tunica, cosa che può andar bene per una ricreazione di pochi minuti, ma quando l’esercizio prende un carattere atletico, questo costume non dovrebbe essere tollerato. Un jersey di lana non costa un occhio della testa; serve a tutti gli esercizi, si porta indefinitamente e nessun abbigliamento può rendere un maggior servizio.

III

Si è rimproverato all’educazione inglese di essere troppo costosa e questa accusa è stata ripresa da tutti i nemici del progresso e della riforma scolastica. Scrittori fantasiosi hanno citato delle cifre la cui enormità è pari all’inesattezza e, con fede cattiva, si dipingono gli scolari britannici come degli esseri pigri e istupiditi. Non è questo il momento di ristabilire la verità e di smentire queste citazioni menzognere, mi basta far osservare che

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l’esagerazione della spesa, in certi collegi, non proviene che dal lusso inutile del quale i genitori circondano i propri figli e che i giochi, lontano dal contribuirvi, sono al contrario un’occasione di economia proprio perché impediscono la formazione di clans, di gruppi di allievi contrari allo spirito di eguaglianza e di democrazia. Ciò che ho visto negli Stati Uniti mi ha pienamente confermato in questa opinione.

IV

Il grado di civiltà raggiunto in questo grande paese, il suo passato breve, ma glorioso, il suo avvenire che sembra così brillante e soprattutto la parte che la Francia ha avuto nella sua emancipazione non ci permettono di tenere più a lungo fuori dall’insegnamento storico il resoconto degli avvenimenti di cui è stato teatro. I giovani Francesi troveranno in questo studio, nello stesso tempo un interesse potente per una grande lezione di patriottismo ed esempi ammirevoli di virtù ed energia, che saranno tali da fare impressione su di essi e di eccitare il loro ardore più generoso.

Mi resta, Signor Ministro, terminando l’elencazione di queste voci, di offrirvi i miei più vivi ringraziamenti per la prova di fiducia di cui mi avete onorato. Ho fatto del mio meglio per rispondere in maniera degna della Francia e del Governo della Repubblica, ed ho la speranza che il mio viaggio non sarà stato inutile, poiché ne riporto l’impressione che non siamo sulla strada sbagliata, impegnandoci nella via che lo studio delle istituzioni scolastiche inglesi aveva aperto. Proseguiamo dunque con le nostre riforme, sostenuti dall’esempio dell’Inghilterra e dell’America, e cerchiamo di realizzare il programma racchiuso in questo motto: sport e libertà.

Vogliate gradire, Signor Ministro, l’omaggio del mio profondo rispetto.

Pierre de Coubertin

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STRUMENTO DI PACE*

Nel 1889 Coubertin vide nel Congresso della Lega della Pace, presieduto dal suo paterno amico Jules Simon alla Sorbona nell’ambito dell’ Esposizione Universale, l’opportunità di guardare alla pace internazionale come prodotto dell’educazione a livello popolare, ossia nelle scuole.

L’indipendenza degli scolari, ad esempio nell’appianare le controversie, viene citata come un modello per questa educazione alla pace. Nella visione di Coubertin inoltre anche lo sport a livello scolastico può fornire un contributo utile, e per illustrare questo aspetto usa un esempio tratto dalla boxe.

2.3 L’educazione per la pace

III Siete forse fra quegli scettici che non credono nello sviluppo delle relazioni

internazionali e nell’”addolcimento” della razza umana, e salutate le dichiarazioni fatte dai membri della Lega della Pace con un’alzata di spalle ed un ghigno beffardo? Se è così vi compatisco, poiché quelle affermazioni sono invece fonte infinita di costante speranza per il futuro. Sebbene certi uomini un tempo sognassero, e forse ancora lo fanno, nella totale scomparsa della guerra, di quel flagello che non è privo della sua utilità, queste persone sono rare, ed i loro sogni innocui. Non è questo l’obiettivo cercato da quegli eminenti cittadini che sono coinvolti con passione nella grande questione dell’arbitrato.

Essi non stanno cercando di rendere il mondo simile ad un ovile chiuso nei quadri di Watteau. Essi non maledicono quelle nobili azioni compiute nel corso di lotte che sono spesso inique e criminali, i cui protagonisti rimangono tuttavia degli eroi. Ciò che ad essi fa orrore, e su questo hanno chiaramente ragione, è vedere le nazioni inerti nella perpetua aspettativa della guerra, vedere tutto l’ingegno, il lavoro e l’attenzione del tempo di pace rivolto verso la distruzione perfezionata e verso la fabbricazione di strumenti di morte, vedere miliardi inghiottiti da budget rovinosi e vite portate a termine alla parola di un despota. Questo spettacolo è triste ed è per noi talmente pieno di vergogna che siamo d’accordo ad esaminare le proposte di coloro che stanno avanzando a tastoni, cercando di estirpare questo cancro dall’Europa.

Una delle vie che hanno trovato per il diffondersi dell’usanza dell’arbitrato nella pratica ordinaria coinvolge l’educazione. La seguente risoluzione è stata recentemente pubblicata dal Congresso della Lega della Pace: «Tutti gli stati metteranno in applicazione un metodo per università, ginnasi e scuole medie superiori e inferiori grazie al quale tutte le discussioni e le dispute che sorgeranno tra gli studenti saranno inoltrate ad una commissione arbitrale di cui faranno parte studenti eletti liberamente dai loro compagni di classe». Questa idea ha già iniziato a prosperare in una nazione dell’America libera. È ingegnosa ed è in armonia con un grande principio che è troppo spesso ignorato: l’unica maniera di cambiare l’uomo è cambiare il bambino. Diverse obiezioni potrebbero però essere sollevate. Per prima cosa, gli scolari devono accettare l’arbitrato di loro spontanea volontà. Se viene loro imposto, l’obiettivo non sarà mai raggiunto. Ebbene, bisogna temere se accetteranno un simile arbitrato solo quelli che hanno paura di scambiare qualche pugno o calcio. La commissione arbitrale diventerebbe il rifugio dei “vigliacchi”, e sarebbe subito screditato.

Va notato, comunque, che la lotta corpo a corpo e i pugni - specialmente i pugni – non sono privi di una certa utilità nelle scuole medie superiori. Gli insegnanti non devono mai approvare simili comportamenti, ma se sono intelligenti, sapranno quando ignorarli in alcuni casi. Questo modo di lottare non ha niente in comune con gli armamenti dannosi, le mitragliatrici o i siluri. Al contrario, rende la pace più duratura e più solida. Gli inglesi chiamano i guantoni da boxe “i guardiani della pace”. I ragazzi hanno il permesso di

* Traduzioni di Andrea Salvarezza

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allenarsi con i guanti, all’apparenza perché ad un certo punto avranno l’occasione di combattere senza.

Dove sta il danno in tutto questo? Ad essere attenti il danno non è così grande. In quale altro modo provvedereste a sviluppare il coraggio in un bambino, ad insegnargli il rispetto per gli altri, e ad aiutarlo a comprendere la grande legge ”ogni uomo per se stesso”? È caritevole e giusto cercare di migliorare quella legge, ma le sue basi non cambieranno mai. Di nuovo, in verità, questi scontri nella scuola hanno davvero un così grande impatto sulla società? Contribuiscono realmente ai pensieri di guerra? Io credo di no. Ancora una volta, la questione non è far sì che scompaiono i combattimenti, ma piuttosto eliminare lo sfoggio di follia che si manifesta con le guerre moderne.

I colpi di spada degli uomini sono mille volte più riprovevoli dei pugni che si danno i giovani. L’arbitrato sarebbe davvero prezioso se facesse parte delle pratiche abituali. Poiché non ammettiamo ciò che sembra facile ai nostri vicini, vale a dire che la riparazione alle ingiurie dovrebbe essere cercata tramite i tribunali, e che il principio della compensazione non è per esse possibile, perchè una giuria onorevole dovrebbe comprendere che uomini noti per la loro galanteria non hanno il diritto di prendere parte ai duelli o di determinare se lo spargimento di sangue è necessario? Correndo il rischio di sembrare eccessivamente franco, lasciatemi aggiungere che se uno spargimento di sangue non è necessario, l’usanza di fare a pugni sarebbe infinitamente preferibile. Ma come il Dottor Lagrange ha detto, quanti uomini che non temono di perdere la vita ancora “temono per la loro pelle”?

Così la procedura che viene raccomandata dal Congresso della Pace fallirà del tutto o trionferà all’eccesso. Nel primo caso, l’arbitrato sarà disprezzato dagli scolari. Nel secondo, essi lo useranno a detrimento di ogni fermezza virile o azione energica. Il risultato sarà di creare uomini che siano nemici di ogni arbitrato,o uomini effemminati. Ma di nuovo ripeto che il progetto è sufficientemente significativo per noi da seguirlo.

L’educazione inglese prevede un arbitro prefissato: il capitano, uno studente che per la sua età, la sua storia, la sua popolarità, la sua forza e la sua bravura nei giochi, è stato reputato degno di diventare il leader dei suoi compagni. Il suo intervento è frequente, le sue parole hanno grande peso, e la sua autorità è fuori discussione. Più spesso di quanto si potrebbe credere il capitano regola le controversie e interviene nelle dispute. Quando uno scontro è necessario, egli lo dirige con una saggezza che apparirebbe sorprendente ai più. Raramente, io credo, il suo arbitrato è contestato. Quando il capitano reputa che i pugni siano superflui, gli studenti cedono e gli obbediscono. È questo lo stato d’animo desiderabile tra gli scolari. Tendenze più pacifiche sarebbero un segnale di debolezza.

Inoltre io credo che dimostrazioni come quelle che ci sono state all’inaugurazione della Sorbona siano particolarmente ben assortite per diffondere le idee di armonia e di pace internazionale. Sono arrivati giovani studenti da ogni dove, portando addosso le insegne delle loro università e recando “i tratti della grande razza umana” sui loro volti. I vessilli di coloro che un tempo erano nemici stavano

l’uno accanto all’altro, inchinandosi alla scienza. Al banchetto di Meadon, nel suo splendido discorso agli ospiti in terra di Francia, Mr. Lavisse ha detto queste belle parole: «In ogni luogo in cui gli uomini siano d’accordo nel vivere insieme, sotto le stesse leggi, con gli stessi sentimenti e le stesse passioni, questa esistenza collettiva è legittimata, è maestosa, è sacra ed è inviolabile. Giovani, voi formerete le opinioni di domani. Ad un mondo che oscilla tra idee vecchie e nuove, in cui fenomeni dell’antica barbarie sono sorprendentemente in intimità con i meravigliosi progressi della civilizzazione, date questa dottrina: il più grande di tutti i crimini contro l’umanità e uccidere o deturpare una nazione». L’uditorio di Mr. Laville tramanderà questa dottrina al mondo attraverso la federazione universale di studenti che essi hanno fondato. La loro organizzazione non si basa sui principi utopici di di fusione dei popoli, ma piuttosto sull’infinitamente giusto principio del rispetto per le nazioni. Essi continueranno ad aggiornarsi sui loro rispettivi lavori; si scambieranno idee e scoperte; si riuniranno per celebrare grandi anniversari, e io credo che in questo modo lavoreranno fruttuosamente alla causa della pace.

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In conclusione, seguendo un’altra linea di pensiero, mi piacerebbe che insegnare la storia non consistesse solo in una mera enumerazione di battaglie. Prendete uno dei rari candidati che viene all’esame di laurea interamente preparato a rispondere ad ogni domanda di storia che gli possa essere chiesta. Egli fornirà una lista accurata e completa di tutte le battaglie combattute durante la Guerra dei Trent’anni. Chiedetegli quale popolazione d’Europa era sotto Luigi XIV ed egli non dirà nulla, a parte forse azzardare l’ipotesi che fosse di 36 milioni. Come possiamo aspettarci che, una volta diventato uomo, egli capirà la questione sociale se non comprende il problema dell’aumento della popolazione che ne è alla base? Egli non ha idea dello stato dell’industria e del commercio nelle varie epoche della nostra storia. Per lui, l’emancipazione delle città è un’espressione priva di senso. I grandi giorni di Auvergne, nella sua mente, evocano l’immagine di un mercato di bestiame. Richelieu istituì i sovraintendenti, ma non è troppo sicuro del perché. Da tempo immemore i trattati di pace sono stati negoziati solo per essere rotti. Quest’ultima impressione è complicata dall’idea che la pace sia uno stato anormale, che la guerra è periodica e ci sarà sempre. In questo modo, la mente di un bambino è traviata da questo eccessivo entusiasmo per fargli imparare i nomi delle battaglie, ma niente di più. Nella realtà, la maggior parte di queste battaglie sono fatti storici di quinto o sesto ordine di importanza. Dobbiamo credere che, anche solo dalla prospettiva con cui siamo adesso interessati (per non menzionare le altre serie conseguenze che possono derivarne), l’insegnamento della storia deve essere rivisto da cima a fondo.

3.1 Lettera olimpica X: Lo sport nelle università

I L’altro giorno, al Vaudois Academic Club, mi sono avventurato nel fare qualche

previsione preventiva per il futuro con lo scopo di mostrare all’Università di Losanna che è sulla via di commettere un’imprudenza. Non sono l’unico, d’altronde, a dare avvertimenti sulla vasta onda di Americanismo che sta attraversando l’Oceano e sta per irrompere in Europa. Il fenomeno è atteso; è nell’ordine naturale delle cose. Ma non sono solo il linguaggio, i gabinetti, le ferrovie e le banche che stanno per essere Americanizzate; sta per accadere anche alle università, per non farci dimenticare che le università degli Stati Uniti hanno avuto un ruolo dominante nella preparazione e nello scoppio della guerra, nonché nella sua condotta. Come risultato, il loro potere, già enorme, sarà incrementato dieci volte tanto. La loro formula per allenare l’individuo sarà una rarità su tutti i mercati intellettuali. Questa formula assegna una parte molto considerevole alla cultura sportiva, e l’osservazione di N. Webster, «In una università una sala per la scherma non è meno necessaria di una cattedra di matematica», è più appropriata che mai. Io non condivido questa visione eccessiva. Per me l’università è anzitutto il tempio dello Spirito. Ma tra la concezione americana che include gli esercizi fisici nel programma di studi, che li rende obbligatori e subordina il raggiungimento del diploma a dei limiti che dipendono da essi – tra questa concezione estremista e la sprezzante indifferenza verso l’atletica in cui la maggior parte delle università del vecchio mondo continua a crogiolarsi, esistono tuttavia diverse gradazioni. Se noi Europei vogliamo conservare la giusta proporzione in questo aspetto, possiamo riuscirci solo a condizione di non tralasciare un aspetto così importante della pedagogia. Lo studente deve essere lasciato libero di organizzare la sua vita sportiva, ma deve essere incoraggiato a svolgerla provvedendo alle risorse materiali, tecniche e finanziarie, e creandogli intorno un’atmosfera favorevole. Ma come può essere creata un’atmosfera simile se i professori non sanno nulla e non si curano affatto di questa questione? È vicino il tempo in cui non sarà più possibile disdegnarla. Essa si leverà improvvisamente. E dopo state attenti alle azioni di panico, alle improvvisazioni rattoppate e a soluzioni sconsiderate.

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3.13 Tra due battaglie Dall’olimpismo all’università popolare

XIII Trasportata dal suo desiderio di efficienza, la tecnologia di oggi, prodotto di una società

sottoposta ad una completa trasformazione industriale, non ha preso in considerazione quali mezzi ha usato per causare quella trasformazione. In definitiva, stava omettendo l’elemento essenzialmente umano.

L’intelligenza e il coraggio sono essenziali nel confermare i valori assoluti dell’uomo, incurante di uno status individuale nel particolare ordine sociale del giorno d’oggi. I tempi sono maturi per un’etica dell’educazione e per una riforma educativa che renda capace ogni individuo di raggiungere liberamente il proprio pieno potenziale, nella sua verità essenziale. Pierre de Coubertin aveva capito tutto questo fin dall’inizio dei suoi primi sforzi educativi. Sviluppò il suo piano e iniziò a cercare degli alleati fin dal 1890.

Al Toynbee Hall, un istituto educativo privato gratuito per i braccianti dei poverissimi dintorni di Whitechapel a Londra, Coubertin osservò il lavoro svolto per migliorare molti di quelli il cui patetico destino era incentrato sull’amarezza e sul rammarico di non potere più sperare. Nonostante la povertà materiale, morale e fisica degli studenti, l’educazione fornita devotamente e regolarmente – da parte di studenti universitari volontari che vivevano tra loro – permise di scoprire la ricchezza umana di ogni lavoratore e di rendere quella ricchezza feconda risvegliando lo spirito creativo. La cultura fisica e intellettuale può poi ultimare il suo lavoro non ostacolata, mai insistendo su nulla, ma traendo la forza dal coraggio. Comportandosi liberamente, ogni persona prende di nuovo possesso di sé, e il presente diviene una promessa per il futuro. Questi risultati confermarono l’idea di Coubertin che affinché ogni città sia degna del suo nome, essa deve, innanzitutto, essere una comunità di uomini autonomi che agiscono in servizio dei valori più alti. Un umanista non distingue l’uomo dalla società. Durante la sua vita, egli lavorò appassionatamente per istituire una Univeristà Popolare che fosse capace di facilitare il progresso di tutti gli individui.

I miei amici sembrano sorpresi che da quando sono riuscito a vincere la battaglia

Olimpica su una scala più ampia di quello che loro avevano generalmente pronosticato, non sono stato contento semplicemente di lavorare, da lì in poi, per consolidare i risultati così com’erano. Erano sorpresi che io andassi avanti ad ingaggiare un’altra battaglia su un terreno incerto, con un esiguo numero di truppe e nella turbata chiarezza dell’alba dell’agitazione sociale.

La mia iniziativa non era del tutto non prevista o affrettata. Piuttosto era un’azione preparata da molto; gli eventi recenti semplicemnente ne hanno affrettato la comparsa, accentuandone il bisogno.

Lo sport ha iniziato ad essere introdotto nelle scuole francesi trantacinque anni fa. Questo, e il ripristino dei Giochi Olimpici internazionali sette anni più tardi, mi misero in contatto con la scuola e la vita universitaria nella mia nativa Francia così come nelle altre nazioni. Ero in una posizione tale da notare che, in effetti, «il livello degli studi stava declinando». Di questo si mormorava negli ambienti informati. Oggi è affermato ad alta voce, quasi ovunque. Ma oggi, come allora, non si sta facendo alcun lavoro serio per trovare una soluzione al problema. Di più, prima dovremmo essere d’accordo sulla causa del problema. Per come vedo le cose, la causa è identificata facilmente. La realizzazione dell’”educazione atletica” mi ha dato la possibilità di valutare parimenti lo status mentale di studenti e insegnanti. Ho capito che non si potrebbe trovare difetto né nell’intelligenza e nella buona volontà degli studenti, né nello zelo e nell’ingegno degli insegnanti. I metodi? I metodi non sono cambiati quasi per niente, nonostante molti cambiamenti minori nel

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dettaglio, non tutti dei quali andati per il meglio. Questi sono gli stessi metodi che, in un’altra epoca, hanno prodotto chiarezza nelle giovane menti. Perché non fanno più così?

La ragione è che il tempo previsto da Berthelot è arrivato, quando, come egli scrisse molti anni fa: «Diverrà impossibile assimilare tutte le scoperte dell’età. Poiché la mente umana non può più assorbire la grande maggioranza dei fatti provati, non sara più in grado di generalizzare, cioè di espandersi e svilupparsi». Questa è un’asserzione molesta, e sembra non avere via d’uscita. Come possiamo superare questa inevitabile conseguenza del progresso scientifico? Leibiniz ci dà la risposta. Anch’egli profetizzò quando disse, nel suo Discorso sul Metodo della Certezza e sull’Arte dell’Invenzione: «si potrebbe dire che le scienze crescono più scarne se aumentano, perché più verità si scoprono, più si è pronti a riconoscere un ordine regolare in esse e a fare proposizioni che sono più e più universali, e delle quali le altre proposizioni sono semplicemente esempi o corollari, così che è possibile che un gran numero di quelle che ci hanno preceduto saranno ridotte nel tempo a due o tre tesi generali».

Queste due idee, brillantemente espresse da due grandi uomini in termini sorprendenti,

hanno continuamente guidato i miei sforzi come se fossero due grandi sfere luminose che la figura senza tempo dipinta da Puvis de Chavannes tiene in aria nelle sue mani distese.

Il problema centrale risiede in quella che viene chiamata educazione secondaria. È lì che occorre mettere rimedio. È compito della scuola primaria di porre le fondamenta tecniche dell’educazione. Le scuole avanzate e le università sono responsabili dell’insegnamento di attività specifiche di tipo pratico o scientifico. Tra queste due scuole, l’educazione secondaria deve essere “un momento di idee generali”. Questo era il principio basilare della riforma. Condizione necessaria era che la sintesi sarebbe stata sostituita dall’analisi come metodo di istruzione. Cos’è stata infatti finora l’educazione seondaria, non solo in Francia, ma anche nella maggior parte degli altri paesi? Un grande sforzo di sintesi, trasferito nella mente dell’adolescente attraverso vari elementi chiamati fisica, chimica, letteratura, storia, botanica, ecc. In fondo, si pensava che questo desse allo studente un concetto omogeneo del mondo e della vita. Questa sintesi non avviene più. Gli elementi che un tempo la determinavano sono diventati troppo numerosi, e alcuni essenziali sono stati messi da parte. Altri non sono più usati se non in forme difficili da assimilare. Inutilmente progredito in alcune materie, mentre è del tutto ignorante in altre, l’adolescente è disorientato da questo spargimento artificiale del suo sapere, una sovrabbondanza di formule e nozioni preconfezionate, e la sua incapacità di trarre ogni conclusione pratica da quello che ha imparato.

Tutta l’esistenza umana è dominata da due realtà: l’uomo dipende dal pianeta sul quale vive, dal suo movimento, e dalle leggi della meccanica, della fisica e della chimica che lo governano. Allo stesso modo, l’uomo ha sessanta secoli di storia registrata alle spalle, un periodo durante il quale si è creato il patrimonio “che egli eredita e per il quale è responsabile”. Allora lasciateci prendere queste due realtà che governano le nostre vite, e lasciateci analizzarle andando dal generale al particolare, dai principi generali ai dettagli, dallo schema complessivo delle cose alle spiegazioni più dettagliate, a seconda del tempo disponibile. Questo creerà un “momento per le idee generali” che, messo in mezzo tra la scuola primaria e l’università, formerà il nuovo modello dell’educazione secondaria, e fornirà a tutti gli studenti una conoscenza iniziale vantaggiosa.

Queste idee, delineate per la prima volta nel 1900, non furono capite, e mancarono di scaldare l’opinione pubblica. Spiegate in modo più dettagliato sette anni più tardi, esse furono accusate di utopismo, e destarono la collera in quale direzione. Eppure si venne a formare un piccolo nucleo di sostenitori intorno a queste idee. Con il prezioso aiuto del mio recente amico Gabriel Lippmann, io misi a punto dei programmi dettagliati, uno per le scienze, l’altro per le discpiline “classiche”. Lippmann, un illustre fisico, non era il più lieve che fosse un po’ esitante nell’aderire al “sabotaggio” di fisica e chimica come parti indipendenti dell’educazione secondaria. Egli aderì completamente all’idea che questa indipendenza non necessitava di essere conservata a detrimento di altri campi del sapere.

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Egli fu d’accordo anche che non c’è interesse educativo o sociale in gioco nell’avere studenti che imparano quale particolare processo di approssimazioni, oppure quali esperimenti, diedero l’avvio ad una particoalre legge o ad una particolare scoperta. Abbiamo detto che per quanto riguardava lo studente, non c’è una cosa come la fisica o la chimica, a rigor di termini, né c’è astronomia o geologia. Ci sono semplicemente fenomeni che sono per natura fisici, chimici, astronomici o geologici, ecc. Lo studente si imbatte in questi fenomeni, ed essi devono essergli spiegati durante la sua “escursione planetaria”. La sua “escursione storica”, per la sua parte, deve portarlo passo dopo passo attraverso tutti i secoli e tutti i continenti. Tagliare la storia a fette come fosse una torta, per periodo o per nazione, era perdonabile solo al tempo in cui gli storici non erano ancora “tornati al punto di partenza” nei secoli, come i geografi che lavorano sugli oceani o sulle alture. Oggi sono stati gettati ponti sull’ignoranza di ieri. L’osservazione di Leibniz assume il suo pieno significato. Prendiamo dunque vantaggio da questo fatto per istituire in profondità nelle giovane menti una salda fondazione, su cui la struttura del sapere specifico necessario per il corretto funzionamento delle società moderne possa essere costruita con assoluta certezza.

Un’Associazione per la Riforma Educativa fu fondata, alla fine, per aiutare a diffondere

queste idee e per stabilire i nostri programmi più largamente. Il nome dell’associazione non fu fortunato. Diceva troppo poco, oppure non abbastanza. Quel che è più importante, l’associazione non prosperò. Al primo vero incontro del suo comitato, alla Sorbona, nelle camere dell’Academic Council, si venne a creare una spaccatura che mise di fronte coloro che volevano che l’educazione secondaria fosse completamente riorganizzata a coloro che volevano limitare il da farsi al livello della scuola post-secondaria. Dopo avermi dato motivi di sperare che si sarebbero uniti al primo gruppo, molti passarono a fianco del secondo. Nel contestare i suoi veri principi, queste differenze di opinione compromisero e ritardarono la nostra azione. Ci decidemmo ad attendere, e a prendere vantaggio del ritardo per continuare a perfezionare i nostri programmi, revisionandoli per la terza volta punto per punto.

Era davvero possibile mettere in pratica questi programmi? Alcuni ammiratori continuavano a nutrire dubbi. Fu la guerra a darci l’opportunità di testarli. Quando i prigionieri iniziarono ad invadere la Svizzera, persone che erano per definizione senza lavoro e che erano spesso disorientate dalla particolarità del loro status, si fece un tentativo di fargli praticare attività mentali e fisiche. L’Istituto Olimpico, progetto per il quale mi ero accostato di nuovo a Losanna nel 1913, ma che non stava ancora funzionando, sembrava essere fatto apposta per questo proposito. Veniva suggerito che io dedicassi l’Istituto al bene dei prigionieri francesi e belgi. È quello che accadde. Oltre ad una grande varietà di sport, quelli che furono immatricolati, compresi i sottufficiali e anche qualche ufficiale, studiarono le scienze e la storia basandosi sui programmi della defunta associazione. Col supporto degli associati di tanto in tanto, due ufficiali prigionieri, i signori Trystram e Callandreau, si unirono a me nel portare sulle spalle lo sforzo più grande. Tramite questa esperienza, il programma “scienze” fu consolidato nel tempo, e il programma “discpline classiche”, che aveva nella storia il suo punto di riferimento, fu completamente trasformato.

Io avevo tracciato il quadro della storia del mondo in quaranta capitoli, che non lasciavano quasi alcun periodo al di fuori di essi. L’ordine nel quale erano stati sistemati, tuttavia, non mi aggradava più. C’era bisogno di un’organizzazione più semplice, più rilevante, in una parola più educativa. La suddivisione che adottai alla fine raggruppò la storia dell’uomo in 4 parti:

Gli Imperi dell’Asia. Il Dramma Mediterraneo. I Celti, I Tedeschi e gli Slavi. La Formazione e lo Sviluppo delle Democrazie Moderne.

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Non mi sono soffermato sul considerare che in questa classificazione, i primi due titoli hanno natura geografica, il terzo etnica e il quarto politica. Quello che importava era che tutti gli eventi della storia potevano essere inseriti in questa intelaiatura, e che essa poteva essere usata come una fisarmonica (per favore scusate l’immagine banale). In altre parole, poteva essere usata sia per una rapida visione d’insieme, che per uno studio in profondità. Audizioni successive a Losanna, Lussemburgo, Mulhouse e altrove, hanno mostrato che questa struttura era davvero elastica. Mi hanno convinto a rendere permanente questa sistemazione, in quanto realizza quello che cercavo di ottenere.

Le cronache antiche raccontando di come, nella notte del 31 dicembre dell’anno 406 dc, i

Barbari attraversarono il Reno e, schiacciando quelli che erano di guardia al fiume, si sparpagliarono completamente tra i Galli.

Questo raffronto mi è spesso venuto in mente quando ho ripensato agli ultimi giorni del 1916, quando sembrava che le nazioni stessero avendo un picco doloroso, per poi riversarsi nella notte sopra pianure sconosciute dietro le vette. Poi la natura del conflitto cambiò. Grandi spasmi sociali scossero la Russia fino alle sue fondamenta, rilanciando nello stesso modo speranze appassionate e paure da tutte le parti. Comparvero dei pericoli economici, contro cui nessuno aveva ancora preso alcuna azione di difesa. C’era una confusa sensazione che questa guerra sarebbe stata diversa da ogni altra, e che, dominata da un nuovo elemento – l’unità del mondo - , questa guerra avrebbe creato opportunità inaspettate. Una volta che fosse finita, il rancore accumulato e le scomode avidità si sarebbero scontrate in una gigantesca battaglia per la conquista del potere. Spingere semplicemente indietro la classe operaia al suo status precedente non era un’opzione. Le uniche scelte possibili erano unire le forze con essa o sottomettervisi.

Diverse sono le opinioni che si stanno formando riguardo a queste alternative. Alcuni, alla luce dei difetti e del collasso della società, sono devoti all’idea di una nuova e più giusta società – e perciò ad una società più Cristiana. Altri pensanoche abbiamo ciò che occorre per ricostruire e che sia solo questione di tempo prima che sia chiaro. Ma nel futuro prossimo, che la classe operaia sia in pieno controllo del potere o che sia solo coinvolta nell’esercizio di quel potere, il problema di preparare quella classe è assolutamente essenziale. E ancora non c’è una simile preparazione. Alcuni di noi si erano già interessati a questa situazione anni fa. Di recente, mi sono imbattuto nel testo di un invito che ho mandato nel 1890 a circa venti individui competenti, con il proposito di studiare le modalità com cui preparare “la quarta estate” (in quei giorni, il termine “quarta estate” era usata per indicare il proletariato) alla missione di governo che l’espansione della democrazia sembrava aver riservato per essi. L’incontro non si tenne mai. Nessuno vi era interessato, ad eccezione del Rettore, Sig. Gréard, che mi aveva assicurato l’ospitalità della Sorbona (la vecchia Sorbona, questa volta). Ma egli era forse motivato dal suo interesse nel vedermi lasciare il campo dell’educazione fisica, dove i miei tentativi lo stavano un po’ seccando.

Del tempo è passato. Il problema è diventato grave, così grave che alcuni, credendo che sia troppo tardi per prendere delle misure pratiche, sono ora rassegnati a quello che chiamano collasso della cultura e al ritorno ad una primitiva condizione di barbarie. Io non sono tra quelle persone. Mi aspetto un grande affare dalla classe operaia. È in possesso di splendide forze, e mi sembra in grado di fare grandi cose. Per di più, non stiamo noi deludendo un po’ noi stessi, per quanto riguarda quella cultura di cui siamo così orgogliosi? Ci sono tanti scarti mischiati al metallo puro, così tanta incoerenza, insulsaggine, vuota vanità, e pornografia sottilmente camuffata!

Quale che possa essere il caso, ecco come sta la questione, come io la vedo. Non c’è modo di legare improvvisamente la classe operaia con l’alta cultura come l’età precedente ha capito. La classe operaia deve allestire il suo proprio inventario di alta cultura, così che se il tempio che racchiude le ricchezze accumulate della civiltà fosse in futuro affidato alla sua cura, quel tempio sarebbe rispettato e mantenuto efficiente.

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Da questo punto di vista, fu progettato un piano per il lavoro nelle università. Nel redigerlo, il lavoro e gli esperimenti che ho appena discusso mi furono estremamente utili, anche se questo progetto differisce per alcuni aspetti. Queste sono università intermittenti. Il progetto prevede due sessioni da tre mesi ogni anno, con l’amministrazione lasciata interamente nelle mani dei lavoratori. L’insegnamento è diviso in ottantaquattro lezioni per sessione, ventiquattro delle quali sono dedicate agli studi della storia del mondo, trentasei alla struttura generale della scienza, otto alla filosofia, sei al criticismo e all’euritmia e dieci agli esercizi di lingua e di stile.

Tutto questo è nuovo. Si deve convenire che sarebbe impossibile per me, nello spazio di queste poche pagine, dare anche solo una breve visione d’insieme. Il progetto è già familiare a coloro che vi sono interessati. Sta a loro valutarlo e usarlo come meglio credono. In qualsiasi caso, si devono preparare per essi dei manuali, dei “libri di testo” necessari a questa differente concezione dell’educazione, in base ai quali l’uomo educato non sarà più solo un individuo che ha affilato il suo stile e il suo pensiero attraverso il contatto con alcuni capolavori, ma soprattutto un uomo per il quale quelle che potremmo chiamare le cinque nozioni basilari rimangono chiare e presenti: l’idea dell’astronomia, l’immisurabile universo entro il quale il corpo celeste che ci sostiene si muove; l’idea della terra e delle leggi che governano quel corpo celeste; l’idea della storia e delle realizzazioni delle generazioni precedenti; l’idea del giusto igiene, della macchina umana, del suo prodotto potenziale e dei mezzi per vegliare su di esso; e l’idea della filosofia, della sete per l’ideale, per la giustizia, per la luce e per l’aldilà che ha sempre tormentato l’uomo, e che sempre lo tormenterà, per sempre distinguendolo dagli animali.

«Cosa?» potreste dire, «vuoi insegnare tutto ciò a dei lavoratori manuali? Che idiozia! Essi non hanno né il tempo né la predisposizione per simili studi».

Lo so; ho familiarità con questo disdegno e queste ironie. Anche quando pianificavo di ripristinare i Giochi Olimpici le persone mi presero per matto.

Eppure i giochi furono ripristinati, e il principio dei Giochi è stato ora accettato da tutte

le nazioni. Il ritmo delle Olimpiadi è penetrato nel tessuto della vita internazionale, ed è ora un fattore regolare di quella vita. L’Ottava Olimpiade sarà celebrata a Parigi nel 1924, insieme al trentesimo anniversario del ripristino dei Giochi. Amsterdam sta già iniziando a prepararsi per i Giochi della Nona Olimpiade nel 1928. In nazioni distanti, i giovani si stanno allenando in sforzi muscolari che gli daranno l’onore di comparire nello stadio sulle cui mura, per una recente decisione del Comitato Olimpico Internazionale, dovranno essere incisi da adesso i nomi dei vincitori. Questo Comitato, che io ho avuto l’onore di presiedere fin dall’inizio, e nel quale siedono rappresentanti di quarantadue nazioni in Europa, America, Asia e Africa, è, come è stato detto l’anno scorso dalla tribuna a Ginevra, una miniatura della Società delle Nazioni. Attraverso più di ventisette anni di azione, ha fronteggiato molti conflitti ma non ha mai fallito nella sua missione. Si è mosso con passo saldo, lungo un cammino di progressivo internazionalismo.

È questo autentico internazionalismo che, in questi giorni, è la migliore, o piuttosto l’unica garanzia di sopravvivenza del movimento per il rinnovamento atletico che è così necessario per la salute delle società moderne. Non fateci sbagliare, gli sport non sono naturali per l’uomo, e l’atletismo di una persona è un’apparato delicato e artificiale. Senza la religione, lo spettacolo, il baccano e la pubblicità che ne hanno prolungato l’esistenza, l’Antica Olimpia non sarebbe mai prosperata per così tanti secoli. L’atletismo del Medioevo, così poco conosciuto e così degno invece di esserlo, non fu capace di reggersi molto a lungo, nonostante tutti gli elementi che lo rendevano così vivo. Il movimento moderno non è in alcun modo il risultato di azioni spontanee. È avvenuto solo tramite l’ostinata iniziativa di pochi individui, Jahn in Germania e Arnold e Kingsley in Inghilterra, che sono riusciti dove Amoros aveva fallito. Nel 1886, quando i miei colleghi ed io ci impegnammo a “irrobustire di nuovo la Francia” attraverso gli sport forzando le porte della scuola secondaria, la Francia era tutto fuorché ben disposta verso il nostro piano. Uno scrittore amichevole ha scritto una volta la storia dei nostri sforzi. Ma la causa

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non è stata ancora vinta. Stiamo attenti. I periodi di atletismo nella Storia sono stati rari e di breve durata. In questo campo, come in altri, l’Inghilterra si sta affievolendo rapidamente. In Francia si sta costruendo una sontuosa facciata. Dietro di essa, ci sono buchi a non finire. Anche ora, il futuro dello sport non è sicuro danessuna parte. Perlomeno la fiamma olimpica sta correndo da città a città intorno al mondo. La sua strada si estende anche nel lontano oriente. Dovessero i corridori diventare stanchi, si farà avanti qualche giovane nazione per prendere la fiamma dalle mani non curanti che erano pronte a lasciarla cadere.

Così la fiamma olimpica sarà protetta dall’essere spenta. Per questo ho ripristinato i Giochi Olimpici, e non per la vanagloria di riportare alla luce architetture perdute.

3.22 La trasformazione e la diffusione degli studi storici: loro carattere e conseguenze

XXII Alla Conferenza all’Accademia di Atene nel 1927, Coubertin mise in risalto il bisogno di

studiare la storia universale utilizzando il metodo seguente: «Per prima cosa dobbiamo assumere una visione prismatica degli uomini e delle cose; secondo dobbiamo sostituire l’idea di “causa” con il concetto di “funzione”». Nella seconda parte del discorso, Coubertin parlò delle conseguenza politica dello studio della storia: «La storia potrebbe salvaguardare la pace internazionale… La storia può ancora fare di più per la pace sociale». Con ciò Coubertin mostrò proprio quanto aveva imparato dai suoi maestri Albert Sorel e Paul Leroy-Beaulieu all’École des Sciences Politiques.

Signor Presidente e Membri dell’Accademia, è davvero un grande onore parlare a questo illustre consesso, un onore reso ancora più

grande dalla vostra calda accoglienza. Ieri Atene mi ha onorato ridando vita ad uno dei più alti attestati di stima che l’antica città possa concedere. Oggi, come ai tempi d’oro dell’Olimpismo, il cui spirito io ho cercato di restaurare, è per me un singolare colpo di fortuna il potervi presentare un lavoro puramente intellettuale, concepito e scritto durante il tempo lasciatomi libero dal mio impegno come Eforo Generale dei Giochi. Per fare sì che ogni cosa che mi circonda sia il più possibile greca, devo ora criticare il mio stesso lavoro, applicando il famoso precetto di Socrate che, come abbiamo avuto modo di dire in questi giorni all’Università, resta il fondamento di tutta la filosofia, in quanto è sia il fermento che la salvaguardia dell’umana ragione.

I

Gentili signori, all’inizio mi proposi di scrivere una storia universale sfruttando ogni opportunità di portare a compimento il mio lavoro. Che le cose siano andate in modo diverso fino a poco tempo fa potrebbe sembrare un’affermazione inesatta. Ed ora, se mi seguite attentamente, ecco un’analisi dei fatti che confermano ciò che ho detto. Affinché lo studio della storia universale sia di qualche vantaggio, esso ha bisogno di possedere, nello spazio e nel tempo, dati accurati e completi ai quali la mente possa far riferimento in ogni momento, facilmente e senza sforzo alcuno. Solo di recente queste condizioni sono state rispettate. Mentre inutili conflitti tra le nazioni stavano maturando, sopravveniva un fatto il cui senso è passato inosservato. Non accade molto spesso che l’evento più consequenziale sia quello notato per ultimo? Le lacune che ancora persistevano nella geografia e nella storia, nella catena della conoscenza, sono state colmate – certamente non fino nei dettagli, dove molto resta ancora da scoprire, ma in una visione complessiva, nella mappatura dei confini che ora sono correlati. Io credo che l’ultima generazione abbia delle difficoltà a comprendere questa idea. Persone della mia età non possono dimenticare il dubbio nel quale sono cresciuti riguardo alle masse polari, alla regioni dell’Africa centrale e dell’Asia, e a molte speciali caratteristiche della struttura della terra. I nostri dubbi erano

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addirittura maggiori riguardo al passato etnico e politico di molti popoli i cui nomi erano a malapena conosciuti, o rispetto ai quali eravamo costretti a sole congetture. Le scienze storiche e geografiche sono ora “ritornate al punto di aprtenza”. L’uomo possiede i segreti essenziali della sua casa, della sua architettura e del suo ambiente. Questa è una grande novità, signori! Significherà questo, come un arguto parigino ha dichiarato di temere, che perso il pianeta ogni suo mistero i suoi figli perderanno anche il loro interesse a viverci e che, finché non potranno andare oltre ad esso, si chiuderanno in se stessi, diventando disillusi e malinconici col passare del tempo? Io credo che, al contrario, l’interesse per la vita crescerà enormemente grazie alla speranza di poter definitivamente stabilire una società umana organizzata su solide realtà, società che potrebbe veramente essere sì meno pittoresca, ma anche più ammirevole e più stabile.

Eppure questo non sarà raggiunto spontaneamente. Per restare entro i limiti del soggetto vicino, non ne consegue che la storia universale è diventata facile da assimilare solo perché è diventato possibile scriverla. Il giusto assetto per essa deve ancora essere creato. Dobbiamo creare in noi stessi uno stato mentale che ci renda capaci di comprenderne le reali proporzioni, di goderne e di introdurci in essa. Proporzione, equilibrio, misura sono le esigenze di base della nostra epoca nervosa. Queste sono qualità incomparabili. Tutto ciò che vediamo di esse è ciò che appare attraverso l’arte. Restiamo indifferenti agli altri aspetti che riguardano le prospettive sociali o economiche e la vita pubblica e privata. Il progresso tecnico di cui siamo così orgogliosi minaccia di sprofondare nel vuoto, o anche all’inferno, a meno che non riusciamo con la forza di volontà a mettergli quella divina armatura dimenticata molto tempo fa qui in Grecia: l’euritmia.

Riguardo agli usi della storia universale, un desiderio per la proporzione è indispensabile, ma quel desiderio sarà effettivo solo se è promosso simultaneamente all’attività della mente. Porrò in rilievo due attività della mente che, credo, noi dobbiamo rendere usuali.

Per prima cosa dobbiamo assumere una visione prismatica degli uomini e delle cose; secondo dobbiamo sostituire l’idea di “causa” con il concetto di “funzione”.

La verità non vive come dice la favola in una sorta di pozzo da cui da cui deve essere estratta. La verità si trova al centro del prisma. Gli uomini credono di essere saggi anche se, quando hanno a che fare con idee e fatti, come se fossero superifici piatte vedono solo il davanti o il dietro o, come dice il proverbio, i pro e i contro. In realtà, dobbiamo assumere una visione prismatica. Questa prospettiva è possibile solo muovendosi continuamente su tutti i lati dell’oggetto che si vuole giudicare. Dobbiamo aggiornare l’informazione che la nostra vista non riesce a procurare attraverso i nostri sforzi per una riflessione indipendente.

Quando ha vacillato tra gli uomini il concetto di imperi susseguenti l’uno all’altro per decreto della Provvidenza, un atteggiamento che portò agli ammirevli discorsi di Bossuet, la scienza fu chiamata ad intervenire per amministrare un’area il cui scopo e le cui risorse non erano ancora ben note ad essa. La scienza ha stabilito il principio di causalità, facendo del rapporto fra causa ed effetto il suo quartiermastro. Ognuno doveva rivolgersi alla causalità sotto tutte le circostanze. Infatti essa aveva una risposta per ogni domanda, in un sistema di rapporti individuali dove i fatti erano registrati secondo le ferree regole della compatibilità storica. Almeno, questa dottrina istituì l’uso dell’indagine dettagliata e della supervisione coscienziosa, ma, se posso osare dirlo, essa è fondamentalmente anti-universalistica. La sua vera natura la condanna alla miopia e all’aumentare di quella miopia andando avanti. Il concetto di ‘funzione’, radicato in matematica, funziona in modo piuttosto diverso. Questo concetto è forte abbastanza da insinuarsi in ogni cosa – e da rendere tutto fecondo. Nell’ordine naturale, i fenomeni si presentano in aumento come funzioni l’uno dell’altro. Non sorprende che sia lo stesso per la storia. Ciò che manca, comunque, sono i vantaggi di usare notazioni e grafici imparziali. La funzione attraverso la storia non può essere seguita facilmente. Può essere interrotta e nascosta. Dobbiamo riportarla alla luce scavando come fossero artefatti archeologici. Eppure essa procura

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intuizioni e istruzioni. La funzione conferma il parallelismo e l’interdipendenza degli eventi. Non abbiamo bisogno di distinguere cause “primarie” da cause “secondarie”. Quella è una fissazione la cui rigidità e assolutismo mal si adattano alla vita collettiva dei popoli come al turbamento degli oceani. L’azione umana rassomiglia alle onde, dopo tutto. Esse sono distinte ma collegate; non hanno un chiaro inizio o una chiara fine.

II

Nello studio della storia, le ripartizioni che abbiamo adottato sono come il filo di Arianna. Fare a meno di simili divisioni è quasi impossibile. Coloro che reagiscono contro l’eccessiva divisione e sottodivisione, che talvolta è spinta agli estremi della pedanteria, rivendicano di stare approcciando la loro materia diretti dai loro pensieri. Molto spesso però stanno semplicemente dissimulando la vecchia classificazione cui fanno assegnamento come se non la stessero usando per niente. Appena ci rivolgiamo alla storia universale, comunque, questo approccio diventa vano. Tramite le avventure di un romanziere che di recente ha girovagato su questo terreno, abbiamo avuto l’opportunità di vedere quanto sia facile scivolare in quel tipo di fantasia presentato dall’industria del cinema. Il punto è che per quanto riguarda la storia universale, le ripartizioni sono utili non solo per distinguere semplicemente gli eventi principali di un’epoca in modo più chiaro, o per meglio enumerare le tappe dell’evoluzione di una categoria. Prima di cercare di istruire gli altri, dobbiamo trovare innanzitutto la nostra strada attraverso seimila anni di storia, tagliata a pezzi come è in punti morti e intersezioni, ricca di drammaticità e di aneddoti, inondata di luce irregolare e ombra fallace. Equilibrio e consapevolezza sono le chiavi! La più piccola esagerazione in favore di un sapere specialistico, o di un vivo interesse etnico, o anche una forma di credo, si concluderanno in errori considerevoli. Inoltre, più vasta è l’area da ripartire, più grande è il bisogno di una divisione chiara e concisa. Simili divisioni devono essere poche di numero, capaci di racchiudere l’intero argomento senza esserne sopraffatto. Eppure non si può evitare a volte di ritornare sui propri passi, coprendo un terreno visitato in precedenza. Scegliere delle divisioni per secolo o mezzo secolo significherebbe trattare tutto il tempo come se fosse perfettamente uguale. Stabilire divisioni per razza o nazione porterebbe a ripetizioni senza fine, una parata priva di colore e dimensione. Queste sono, tra molte altre, le principali difficoltà che devono essere superate. Io non ho la pretesa di avere successo su questo punto. Eppure il caloroso supporto per il progetto che ho adottato mi ha incoraggiato a credere che i passi avanti siano stati reali. Questo progetto comprende quattro parti, in cui i sessanta secoli debitamente registrati che sono la nostra immediata eredità possono essere inseriti senza discussioni ma tuttavia legittimamente:

gli Imperi dell’Asia, il Dramma Mediterraneo, i Celti, i Tedeschi e gli Slavi, e la Formazione e lo Sviluppo delle Democrazie Moderne. Solo lo spirito frammentato che ancora domina inconsciamente le nostre opinioni può

spiegare perché l’Asia sia stata tenuta così a lungo in disparte dal tradizionale studio della storia. L’Europa sta ora pagando a caro prezzo per la sua ostinata indifferenza su questo punto. I posteri si stupiranno del fatto che regni come quelli di Tai Zong o Akbar il Grande, fatti come l’odissea del Buddismo, avventure come quelle di Babar o Hideyoshi – e un centinaio di altre cose di tale affascinante interesse e profonda rilevanza - siano state relegate in una sorta di edificio secondario scuro e soffocante, mentre le menti degli scolari e dei loro insegnanti faticavano per ricordarsi nomi di uccelli e di storie insignificanti. La storia dell’Asia sta prorompendo con degli eventi le cui conseguenze ci influenzano fortemente. Siamo arrivati in ritardo a sbrogliare la complessa struttura che essi hanno formato.

C’è un’altra area in cui la configurazione geografica ha guidato e dominato la storia ad ogni svolta. È il mondo Mediterraneo, dove tutto è collegato, a differenza dell’Asia dove ogni cosa si diffonde dal centro del continente verso la pefiferia. Certamente nel

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Mediterraneo non viene tralasciata l’educazione. Eppure la sua autonomia storica non è tenuta nella considerazione che merita. Il semplice fatto che i programmi educativi non sanno che fare su dove andrebbe collocato il periodo Normanno sottolinea le mancanze dei testi in uso.

C’è poi un terzo gruppo, notevole per le caratteristiche opposte. Qui, per così dire, l’assenza di ogni particolare geografia ha reso più difficile ed ha rallentato il progresso umano. L’Europa si è venuta a formare attraverso le azioni combinate o contrarie di tre grandi razze; prima che ciò accadesse, l’Europa mancava di profili interni, e non aveva in testa un’idea ben definita. Questi aspetti generali sono compresi facilmente, ma le realtà che essi racchiudono possono essere esaminate all’infinito. È come un’opera d’arte accessibile a tutti in generale, ma la cui analisi dettagliata è compito del critico o dell’artista.

Dobbiamo rivolgerci all’inizio del sedicesimo secolo, quando la stampa aveva appena dato al mondo i mezzi per la diffusione popolare delle idee, per trovare le origini delle moderne democrazie. La lotta che queste democrazie hanno ingaggiato contro le infinitamente nuove e varie forme dell’imperialismo è lungi dall’essere finita. L’America ha giocato un ruolo guida in questo aspetto. Al suo comando, ogni sorta di attività si è messa in moto. Il continente Americano ha, a sua volta, assunto una posizione significativa nella storia universale. Come l’antica Asia, nessun posto le è stato fatto. Si pensava che l’Asia stesse dormicchiando lontano nel suo sogno indotto dall’oppio, e si pensava che l’America fosse troppo impegnata a contare i suoi dollari. Il fraintendimento che è sorto da questo secondo scenario è stato particolarmente gravido di conseguenze indesiderabili. Il fatto che abbiamo a lungo creduto che le comunità urbane costruite saldamente continuando a crescere sarebbero state contente con questo ideale, mostra una mancanza di senso storico da parte nostra. Questo solleva dubbi sui metodi per i quali in Europa ci siamo vantati, sostenendo di sapere come promuovere quell’ideale.

Facciamo fronte a due fatti: il mondo è unito. Accettiamo una situazione che non poteva non accadere. Siamo cresciuti abituati a valutare le cose e i popoli per mezzo di una specie di quarta dimensione: la dimensione Europea. Dobbiamo abbandonare questa usanza, e dobbiamo imparare da ora in poi a usare quelle misure che sono condivise da tutti gli uomini.

III

Così anche se diventasse possibile scrivere una storia universale, diventerebbe assolutamente essenziale insegnarla. Due cose si trovano in opposizione a questo approccio: il fascino per la modernità, alimentato dalle nostre conquiste in campo tecnico davvero rilevanti, e l’orgoglio ingenuo delle generazioni più giovani alla luce di queste conquiste. Disinteressati come sono nei confronti del passato, le generazioni più giovani scelgono di considerarlo semplicemente come un oggetto per ricerche accademiche. Inorridiscono al pensiero di cercare un gran numero di esperienze positive in quella che potrebbe essere una fonte di ispirazione per il presente. Il loro entusiasmo scientifico è avvalorato dai calcoli della ricchezza. Una sorta di patto unisce questi due gruppi ai piedi del monumento alla produzione, la dea del momento. I fedeli vedono l’obiettivo finale della civiltà come un’indefinito diffondersi del culto della produzione. Questo è un ideale piuttosto fragile e miope per una società che si reputa innovativa. In un modo è innovativa, perché sembra cercare l’alba guardando ad ovest. Eppure la società non ha avuto mancanza di avvertimenti. Le previsioni dei loro leader incontrano molto spesso il rifiuto, e la struttura dei loro calcoli è costantemente vacillante.

Prendiamo nota che la storia sta provocando questa vendetta perché, ironicamente, è come se il suo significato politico sia aumentato drammaticamente quando eravamo sul punto di ridurre il suo predominio in educazione. La Storia giace nel cuore di tutte le agitazioni contemporanee. Le guerre del nostro recente passato sono permeate dalle origini storiche. Le guerre che minacciano il nostro futuro lo sono ancora di più. Queste guerre scoppiano come il risultato di un continuo fallimento delle nazioni nel capirsi l’un

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l’altra, la stessa identica mancanza di comprensione che ha causato, o almeno facilitato, così tante catastrofi in passato. Il dramma Cinese e Messicano si stanno sviluppando sui due lati del Pacifico dove antiche passioni storiche si stanno facendo battaglia sotto la maschera dell’economia. Nel futuro, il destino dell’Africa Bianca sarà determinato dal passato dell’Africa Nera. Abbiamo ancora un tempo difficile prima di credere che essa ha avuto un passato prima che noi ci arrivassimo. Così è questo il momento giusto di respingere la storia, di diminuirne il ruolo e di attenuarne il prestigio, e di tenerla separata in parti regionali e nazionali? Al contrario, dovremmo affidarle la funzione più importante che c’è, amministrando la carta del tempo politico. Dovrebbe essere compito della storia testare l’atmosfera, segnalare la formazione di uragani e seguirne il loro corso potenziale tra gli uomini. In questo modo, la storia salvaguarderebbe in larga misura la pace internazionale.

La storia può fare ancora di più per la pace sociale. Da una prospettiva psicologica (qualcosa che ai giorni nostri è più largamente discusso che meditato), l’insegnamento ricade in due categorie, a seconda se promuova o meno la modestia. Alcune forme di insegnamento che, per la loro vera natura, sono isolate entro mura inattaccabili; la luce ricade su esse dal soffitto. Questi approcci pongono una minaccia alla democrazia, perché più di ogni altra forma di governo la democrazia ha bisogno di aria fresca e vasti orizzonti. La democrazia ha bisogno più che di un compasso sul tavolo per essere indirizzata. In questi laboratori, la specializzazione si conclude presto in innocue vanità; solo menti forti abbastanza per stare all’erta possono ancora scappare.

L’approccio all’insegnamento “all’aria aperta” include chiaramente l’astronomia, la scienza del cielo. In un certo modo, l’astronomia rende tangibile per noi l’infinito, un concetto incomprensibile. Ci forza a riconoscere i limiti della nostra stessa intelligenza. Eppure la modestia generata dalla spaventosa vastità dello spazio è temperata dal giustificabile orgoglio nella nostra abilità di contare miliardi di stelle, di calcolare la loro distanza, di percepirne i movimenti, e grazie all’analisi spettrale di penetrare molti dei segreti della materia di cui sono fatte.

La modestia nata dallo studio della storia universale è differente. Questo studio ci mostra quanto il progresso sia lento ed incerto. Ci indica che la sola garanzia per il progresso è lo sforzo nel lungo periodo. Chiunque studi la storia nella sua interezza deve dedurre, per prima cosa, che l’umanità sta facendo dei passi avanti verso un mondo migliore; secondo, che ciò che essa ottiene è estremamente fragile e può spezzarsi da un momento all’altro; e terzo, che la continuità e la coordinazione degli sforzi di una generazione e di quella successiva sono gli unici strumenti in grado di integrare quello che è stato raggiunto. È stato sempre così? Simili continuità e coordinazione sono sempre stati l’esplicita precondizione del progresso? Non si può fare una simile affermazione. Scontri, tumulti e distruzione erano destinati ad accadere, non tanto come risultato dell’imperfezione degli individui, ma come prodotto della situazione inferiore che essi occupavano rispetto al pianeta che li governava, pianeta che sono ora in posizione di controllare secondo le proprie leggi. E così mi sono trovato di fronte quello che ho già identificato come il fenomeno essenziale del nostro tempo: l’unione storica e geografica del nostro sapere. Certamente, a queste due andrà aggiunta la libera circolazione dei pensieri. Questa acquisizione ha il potenziale più grande possibile per trasformare la società.

Non mi fisserò più su questi argomenti. È evidente che non si può nemmeno abbozzarne i contorni in uno spazio così conciso. Sarò felice se avrò avuto successo nel convincervi della verità dell’assioma inciso sulla copertina di ognuno di questi volumi, perché ne riassume lo spirito e evidenzia le sue implicazioni pratiche:

«Ogni insegnamento frammentario della storia è reso inutile dall’assenza di una

comprensione preliminare degli annali dell’umanità nella loro interezza; ciò introduce nelle menti principi di disproporzione nel tempo e nello spazio, causando lo smarrirsi di studenti e politici allo stesso modo».

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IV

Prima di concludere, devo salutare i nostri ospiti. Non mancherò di rispetto a Minerva e al suo illustre maggiordomo, Pericle, nell’esprimere la mia gratitudine ad altri? Coloro che usano andare a pregare in cima all’Acropoli si astengono dal fare diversamente. Spesso anche io ho preso parte a quella sacra tradizione. E giusto ora ho piuttosto un’altra immagine nella mia mente, sbadita e dimenticata, ma tuttavia un’immagine davvero attraente. È una di quelle immagini che, sebbene tenuta sullo sfondo della storia, rimane tra le più prestigiose per via della sua espressività, per via del profumo della vita che si gettano addosso. Gentili signori, io sto pensando a quella semplice fanciulla Ateniese che passò la sua adolescenza di studi accanto al fianco del padre, un semplice insegnante, in stretto contatto con la Letteratura, le Scienze e la Filosofia. Un giorno, la sua radiante bellezza la portò ai gradi più alti. Sto pensando all’Imperatrice Eudoxia, moglie di Teodosio II. Non la vedo nel palazzo a Bisanzio, nel lottare con l’autoritaria cognata che, dopo aver governato in nome del fratello, reclamava che fosse ad oltranza come era stato. Né la vedo nei drammatici episodi dell’incidente che ha distrutto la pace della sua vita coniugale. Conoscete la storia. Vi ricordate come il frutto prodigioso mandato dall’imperatore passò di mano in mano nel giro di una mattina, per tornare a colui che lo aveva donato. Questo stimolò la sua diffidenza, insinuando in lui il dubbio che ci sarebbe stato presto un tradimento quando al più c’erano state semplicemente dell innocenti passioni momentanee. Egli visse lontano da sua moglie. Che film meraviglioso potrebbe essere fatto dai particolari di questa avventura banale, che diverrebbe così rapidamente un evento drammatico! L’avventura avrebbe avuto una fine solo molto dopo, nell’oscura ambientazione di Gerusalemme, dove Eudoxia, abbandonata e disillusa, si era ritirata per invecchiare e morire. Senza dubbio ella stava cercando lì il conforto della religione. Eppure non riunciò alle consolazioni che arrivano dal coltivare la mente. Fra gli altri lavori, lasciò una sorta di poema impegnativo e disordinato, che rifletteva il suo agitato stato mentale. Quel lavoro contiente passi brillanti che sono stati paragonati a certi passaggi di Dante o di Shakespeare. Nessuno di questi scenari è ciò che ho in mente io. La scena che io ricordo risale all’anno 438. In quel tempo, l’imperatrice, all’inizio del suo regno, stava viaggiando nei suoi Stati. Ricevuta solennemente ad Antiochia, ella tenne un caloroso discorso di fronte al Senato di quella città, magnificando le glorie dell’Ellenismo. Così essa è vicina a noi, e improvvisamente in contatto con le nostre attività contemporanee! Forse parlò in uno scenario molto simile a questo. Certamente, fra i suoi ascoltatori, più d’uno fra i vecchi senatori, nel sentirla iniziare a parlare, condannò l’impulsiva sovrana che ruppe la tradizione in due modi: interferendo nello ieratismo imperiale e nelle tradizioni del gineceo. Eppure immagino che rapidamente la sua voce calda e illuminante mise a tacere le loro preoccupazioni, e rese i senatori dapprima attenti, poi entusiasti. Non era questo il simbolo vivente dell’Ellenismo che si ergeva davanti a loro?

Per noi Eudoxia che parla al Senato ad Antiochia incarna la trinità Greca, una persona in tre: quella classica, quella Bizantina, quella moderna. Non ero nel giusto nel voler rendere onore, in questa bella e sfaccettata principessa, all’imperituro Ellenismo di cui lei magnificò i meriti? Quindici secoli sono passati, e ancora l’Ellenismo resta giovane, pronto per nuove avventure.

In questo libro, il capitolo che io ho dedicato all’antica Grecia finisce con queste righe, che vi leggerò perché credo che richiamino, in alcuni aspetti, il discorso tenuto tanto tempo fa che ho appena accennato:

«In verità, nel mondo Mediterraneo da cui la Grecia stava per scomparire per diversi

secoli, tutto era Ellenico, perché il Genio greco aveva toccato ogni cosa e aveva inventato o dato forma a tutto. In tutti i campi, dalla lavorazione del metallo all’agricoltura, dal governo all’educazione, dalla medicina alle arti, e dalla letteratura alla legge, erano stati gli Elleni a perfezionare, innovare e dirigere. Pitagora credeva che la sfera fosse la forma

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più perfetta. Si potrebbe dire che l’Ellenismo ha proceduto sfericamente, come per onde concentriche, verso tutti gli orizzonti nello stesso momento, e sempre con lo stesso ritmo combinato di moto e misura, sapere ed intuizione».

Gentili signori, uniamoci intorno a questa sfera divina per conservarla e proteggerla,

poiché il mondo ancora ne ha bisogno. 3.25 Lo sport è uno strumento di pace

XXV In un periodo difficile in termini di politica mondiale, Coubertin scrisse su richiesta del

giornale sportivo belga La Revue Sportive Illustrée una memoria su questo problema attuale. Negli Stati Uniti erano in corso accese discussioni riguardo al boicottaggio dei Giochi Olimpici di Berlino per la questione della partecipazione degli ebrei tedeschi. Coubertin non vi fa specifici riferimenti, ma interpreta la questione da un punto di vista antropologico nello stile del suo Éssais de Psychologie Sportive.. Muscoli e disciplina sono i due parametri che controllano l’atleta nella lotta per la guerra e la pace.

La Revue Sportive Illustrée, un vecchio e fedele amico, mi ha chiesto “poche righe” per il

primo numero del 1935. Come potevo deluderli? Tuttavia molti lettori sono ben consci che è molto più difficile essere comprensibili ed esprimere le cose appropriatamente in “poche righe” che non in un pamphlet – e che a volte è più facile essere chiari in un piccolo libro che in un pamphlet.

Così di tutti temi atletici oggi all’ordine del giorno (ce ne sono pochi al momento), qualsiasi io scegliessi richiederebbe lunghe spiegazioni. Nello stesso tempo, comunque, è importante rispondere immediatamente agli allarmi che vengono sollevati circa l’uso della forza atletica al servizio della guerra e della rivoluzione. “Nazioni bellicose” da un lato, e la “Terza Internazionale” dall’altro, sono ogni giorno accusate di tramare le cose peggiori possibili, di radunare sotto la loro protezione coorti di atleti infiammati dalla passione per una rivincita sanguinosa, o di infiammare l’odio sociale.

La questione abbraccia due aspetti: i muscoli e la disciplina. Certamente coloro che si misurano in sport energici, anche violenti, amano la forza e la coltivano. Non ne consegue, comunque, che essi amino e coltivino la cieca disciplina. Al contrario. Otto volte su dieci, l’atleta vigoroso è una persona indipendente, capace di imporsi delle limitazioni, per esempio allo scopo di conquistare la vittoria per la sua squadra o per i colori del suo club, limitazioni che possono anche includere un sacrificio. Tutto questo è soggetto alla condizione che egli rimanga padrone della sua persona, e che sacrifichi al gruppo solo ciò che gli fa piacere, nel suo interesse. Così se un giovane nazionalista o un giovane rivoluzionario si stanno allenando ardentemente e con costanza, è chiaro che questi gruppi beneficieranno dei loro sforzi in virtù dell’antico detto civium vires, civitatis vis. Questo non vuol dire che diventeranno essi stessi più intransigenti, più chiusi, o soprattutto più obbedienti o più crudeli nel corso del tempo; non del tutto. L’atleta è spesso più quieto del suo compagno di classe non-atleta… e fortunamente è così. Eppure egli rimane attento e critico. Non accetta benevolmente di subire un “lavaggio del cervello”.

Queste e altre distinzioni devono essere prese in considerazione. Poiché sono individualisti, gli atleti si interessano e apprezzano le performances dei loro rivali. Quando sono socialmente o politicamente avversari, anche in guardia sulle barricate o nelle trincee, li vedrete sempre fare molta attenzione non solo ai record che sono stati battuti, ma anche ai tentativi falliti di batterli, a condizione che quei tentativi siano stati fatti con coraggio, al limite massimo delle possibilità.

Per cui credetemi quando dico che dovreste smettere di lanciare questi allarmi. Gli sport virili sono buoni per tutti e in ogni circostanza. Gli sport non faranno dai bruti degli

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angeli, ma c’è una grande possibilità che temperino quella brutalità, dando all’individuo un po’ di self-control. Ciò è almeno qualcosa!

Dalla sua casa a Losanna, Coubertin ebbe un ruolo attivo nella preparazione degli Undicesimi

Giochi Olimpici del 1936 a Berlino. Egli era in stretto contatto con Carl Diem, lo “spiritus rector” del movimento Olimpico in

Germania. Questi due uomini erano accomunati dalle intenzioni condivise riguardo l’educazione atletica e dalla comune comprensione della forma solenne e artistica che i Giochi avrebbero dovuto assumere. Il loro sodalizio iniziò nel 1913, durante la preparazione dei Giochi previsti per il 1916 a Berlino.

I Giochi Olimpici di Berlino offrivano una straordinaria opportunità per la crescita artistica, ma il Cio sottovalutò i pericoli derivanti dalla combinazione di atletica e politica!

Coubertin non ripudiò né i Giochi Olimpici del 1936, né quella «strana figura» di Adolf Hitler. Nel messaggio che segue, alla chiusura dei Giochi di Berlino, egli ringraziò «il popolo tedesco e il loro leader per ciò che hanno appena portato a termine». Anche Carl Diem, suo «geniale ed entusiasta amico fin dal 1912», male interpretò le intenzione Naziste di quel tempo, non fu in grado di informare oggettivamente Coubertin delle circostanze politiche.

Il Professor Yves Pierre Boulongne, ricercatore francese di Coubertin, giudica la posizione di Coubertin in quell’epoca sotto il seguente aspetto: «Non dobbiamo dimenticare che [l’ormai vecchio] Coubertin, in quanto prigioniero della sua stessa utopia, credeva che più “l’epidemia di sport” si sarebbe diffusa nel mondo, più grandi sarebbero state le chances di pace. Da questo peculiare punto di vista, la Germania era senza dubbio una nazione di sport. Ovviamente un sillogismo inesatto!».

I giornali francesi proclamarono che l’Olimpismo di Coubertin si sarebbe estinto dopo i Giochi di Berlino del 1936 e i Giochi programmati per il 1940 a Tokio. Coubertin dichiarò la sua posizione sull’argomento sul quotidiano parigino Le Journal.

4.2.2/48 Messaggio alla chiusura dei giochi di berlino

XLVIII Prendetevi cura di conservare la sacra fiamma! I Giochi della Undicesima Olimpiade saranno presto niente più che una memoria, ma

che giochi potenti e diversi sono stati! Questi saranno anzitutto ricordi di bellezza. Da quando trenta anni fa a Parigi convocai

la Conferenza su Arti, Letteratura e Sport per istituire una connessione permanente tra le ripristinate Olimpiadi e le espressioni della mente, gli sforzi audaci da Stoccolma a Los Angeles hanno contribuito a rendere questo ideale realtà.

Ora, Berlino ha reso questa connessione una caratteristica permanente dei Giochi, attraverso iniziative maestose e di completo successo, come la corsa della Sacra Fiamma da Olimpia, e il magnifico Festival tenuto nello Stadio monumentale nella notte di apertura dei Giochi. Entrambi gli eventi furono istituiti dal mio geniale ad entusiasta amico, Carl Diem.

I nostri saranno anche ricordi di coraggio, perché occorre del coraggio per fronteggiare le difficoltà cui il Führer ha già risposto con la sua proverbiale determinazione, Wir wollen bauen (noi vogliamo costruire, ndt) , e per lottare contro gli attacchi ingiusti e sovversivi con cui sono stati fatti sporadici tentativi di smontare la costruzione progressiva dei lavori…

Per finire avremo ricordi di speranza, perché sotto l’egida della bandiera olimpica con i suoi cinque cerchi simbolici, si sono raggiunte delle riconciliazioni che sono più forti anche della morte…

Freude, schöner Götterfunken Tochter aus… (Gioia, bella scintilla divina

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Figlia del…) (Inno alla gioia di Schiller) Le scelte e le sfide della storia continueranno senza sosta, ma gradualmente una

pacificazione sostituirà l’ignoranza terribile; capirsi reciprocamente placherà l’ostilità impulsiva. In questo modo, ciò a cui io ho lavorato per mezzo secolo sarà rafforzato.

Ringrazio il popolo tedesco e il loro leader per ciò che hanno appena portato a termine. E voi, atleti, ricordate la Fiamma illuminata dall’ardore del sole, che arrivò fino a voi da Olimpia per gettare luce su di noi e riscaldare il nostro tempo. Custoditela gelosamente e profondamente dentro di voi, così che bruci ancora luminosa dall’altra parte del mondo, quando vi riunirete per celebrare la Dodicesima Olimpiade tra quattro anni, sulle remote coste del grande Oceano Pacifico!

4.2.2/49 I Giochi di Tokio nel 1940? Il parere del sig. Pierre de Coubertin registrato da André Lang

XLIX L’ultimo giorno dei Giochi di Berlino, Jacques Goddet, nostro eminente collega e

editore-capo di Auto, ha pubblicato un appassionato articolo di chiusura, una sorta di “J’accuse!” che condannava i responsabili della corruzione e della deformazione dell’ideale Olimpico.

L’intento della sua accusa era di mostrare che l’ideale del Sig. Coubertin è oggi lettera morta; che i Giochi oggi servono semplicemente come vetrina per gli alti offerenti più cinici; e che Tokio nel 1940 vedrà il trionfo della propaganda razziale giapponese, proprio come la propaganda californiana trionfò a Los Angeles nel 1932 e la propaganda politica di Hitler fece a Berlino nel 1936.

Gran parte dei giornalisti sportivi francesi, senza arrivare a simili estremi, ha espresso timori simili. Pur meravigliandosi dello spettacolo, essi denunciano il fatto che lo sforzo umano è oggi solo un mero pretesto per mettere su uno show. Temono che l’ideale Olimpico sarà presto estinto, seppellito sotto gli orpelli dei giochi.

Così ho voluto scoprire cosa pensa di questo il solo uomo cui il mondo è debitore per il ripristino dei Giochi dopo quindici secoli.

Pierre de Coubertin è un uomo leggendario. Porta i suoi settantaquattro anni con tale facilità che si potrebbe quasi credere che egli abbia tinto baffi e capelli, bianchi come la neve, per sembrare un po’ più vecchio.

Fin dall’inizio il Sig. Coubertin è insorto in rivolta contro la mia caratterizzazione, ma piuttosto decororsamente il sorriso non è mai sparito dalle sue labbra:

Coubertin: «Come? I Giochi “deformati”? L’ideale Olimpico sacrificato alla propaganda? Questo è completamente sbagliato! Lo splendido successo dei Giochi di Berlino ha servito l’ideale Olimpico in modo magnifico. I francesi sono i soli o quasi i soli a fare come Cassandra. Stanno facendo un grande errore nel non riuscire a capire questo. L’ideale Olimpico deve essere lasciato libero di diffondersi, senza paura delle passioni o degli eccessi che producono l’eccitazione e l’entusiasmo che devono esserci. Cercere di forzare gli atleti a stare nei confni di una vincolante moderazione è un inseguimento utopistico. Così come per la disputa sul dilettantismo e per l’indignazione che qualcuno prova riguardo al Giuramento Olimpico, scusatemi se rido! Primo, non c’è e non c’è mai stato niente di simile al dilettantismo. Secondo, non c’è una sola parola nel Giuramento, che io stesso ho scritto con molta attenzione, riferita al dilettantismo. Queste sono dispute da bambini. Solo lo spirito Olimpico conta. Tutto il resto è di importanza trascurabile.

Lang: Non la infastidisce che l’atletismo, l’unico vero sport Olimpico, sia un po’ sopraffatto ad ogni Olimpiade?

Coubertin: Perché dovrebbe seccarmi? L’unico vero eroe Olimpico, come ho sempre detto, è l’individuo maschio adulto. Perciò niente donne e niente squadre. Ma come

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possono essere escluse dall’Olimpiade le donne, le squadre sportive e tutti gli altri giochi? Ad Olimpia c’era un recinto sacro, l’Altis, riservato esclusivamente agli atleti consacrati. Una vasta vita della comunità si agitava intorno a questo recinto. Con i naturali cambiamenti che la vita di oggi ci impone, questo è ciò che è accaduto a Berlino. In nome di quali rigide norme morali può questo essere condannato?

Lang: Non trova che la scelta di Tokio e il desiderio dei Giapponesi di stupire il mondo nel 1940 possa caricare conseguenze piuttosto pericolose?

Coubertin: Non del tutto. Io ne sono felice. Lo volevo. Considero l’arrivo dei Giochi in Asia una grande vittoria. In termini di Olimpismo, le rivalità internazionali possono essere solo feconde. Per ogni nazione del mondo è un bene avere l’onore di ospitare i Giochi e di celebrarli a loro modo, in base all’immaginazione e ai mezzi della sua gente. In Francia, le persone erano preoccupate che i Giochi del 1936 mettessero in vetrina la forza e la disciplina di Hitler. Come poteva essere altrimenti? Al contrario, dobbiamo sperare fortemente che i Giochi indossino felicemente gli abiti che ogni nazione intreccia durante i quattro anni di preparazione. Così tante cose possono succedere! Forse l’espansione dei Giochi dei Lavoratori cambierà profondamente la natura della Tredicesima Olimpiade. Tanto meglio, tanto meglio! I Giochi devono abbracciare la vita del mondo e non rimanere prigionieri di regole del tutto arbitrarie.

Lang: Così lei pensa che se la Francia non andasse a Tokio… Coubertin: … commetterebbe un serio errore? Sì! Sta già commettendone uno

protestando contro la decisione del Comitato Olimpico. Lang: Cosa si può fare per vincere un posto d’onore nella Dodicesima Olimpiade? Coubertin: Lavorare. L’esempio della Germania sta qui a dimostrarci cosa si può

ottenere se ci si focalizza sul lavoro. Se io allenassi i concorrenti, vi assicuro che si presenterebbero allo stadio in buona forma!

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Questo messaggio ai giovani americani fu mandato tramite l’Associated Press in occasione della

celebrazione del quarantesimo anniversario del ripristino dei Giochi Olimpici. Coubertin mise in risalto l’importanza del ritmo quadriennale dei Giochi Olimpici, chiedendo un’educazione scolastica più elevata in tutte le nazioni come base per la pace tra i popoli.

5.1/15 Messaggio ai giovani americani Mandato tramite l’Associated Press in occasione della celebrazione del quarantesimo

anniversario del ripristino dei giochi olimpici

XV In questa solenne occasione che probabilmente chiude il ciclo delle mie attività

pubbliche, desidero particolarmente lanciare un appello ai giovani americani a dare il proprio appoggio e ad aiutare a rendere fertile l’eredità che io gli ho lasciato.

Nel fare questo richiamo la memoria di Theodore Roosevelt, di William M. Sloane, di molti amici americani che hanno lavorato con me con buona volontà, che mi hanno capito e sostenuto in quel lungo periodo in cui ho dovuto lottare in tutto il mondo – e in modo particolare in Francia, il mio stesse paese – contro la mancanza di comprensione della pubblica opinione, mal preparata ad apprezzare il valore del ripristino dei Giochi.

Qualsiasi cosa si dica, non c’è nulla di eccessivo nella devozione dei giovani di ogni luogo al miglioramento muscolare. Se è perseguita con passione, essa è una passione salutare. L’esagerazione sta piuttosto nell’aumento delle competizioni e dei campionati internazionali. Per questo si dovrebbe fare uno sforzo intenso per limitare il numero di questi incontri. I Giochi Olimpici quadriennali sono necessari e sufficienti a mantenere al giusto livello lo spirito di emulazione tra le nazioni.

Una riforma non meno urgente è quella dell’educazione secondaria, sovraccaricata e

oscurata da corsi speciali appartenenti più esattamente ai curriculum universitari. L’educazione secondaria dovrebbe essere in tutti i paesi un periodo di aviazione intellettuale indirizzato a sorvolare il dominio del Sapere cosicché ognuno possa avere almeno la possibilità di rendersi conto del vasto panorama prima di atterrare sui singoli punti ove farà il suo sforzo produttivo.

Tra questa questione e quella della pace tra le nazioni e tra gli individui c’è una stretta relazione. Troppe persone non sono ancora disposte a riconoscerlo. Sono felice di avere potuto stendere le basi di una riforma che finirà per imporsi a tutti, di aver avvicinato i programmi, di aver ricapitolato l’obiettivo e i metodi.

Cari amici al di là dell’oceano, spero che lavorerete per rafforzare quanto io ho portato a

termine e per finire ciò che lascerò incompiuto. Io vi ringrazio. Ho la più profonda fiducia nel destino del vostro grande paese, che

ancora ammiro ed amo al crepuscolo della mia vita così come feci all’alba.

Pierre de Coubertin Losanna, 23 giugno 1934 (Anno III della Decima Olimpiade) Nel 1936, nel suo messaggio di inizio anno pubblicato sulla Revue Sportive Illustrée belga,

Coubertin precisò in modo evidente la sua posizione riguardo all’influenza politica sullo sport. Egli respinse immediatamente il boicottaggio delle Olimpiadi pianificato dagli Stati Uniti e supportato dalla Francia per il 1936.

Nella visione di Coubertin, l’Olimpismo non doveva essere sogetto all’influenza di fenomenti temporanei, e doveva restare indipendente dalle fortuite condizioni della politica.

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5.1/18 Olimpismo e politica

XVIII Nel “Rapporto” che ha scritto recentemente dopo il suo ritorno dalla Germania (un

viaggio intrapreso per calmare preoccupazioni non tutte spontanee e sincere), il Conte de Baillet-Latour ha riassunto con forza e con logica, in termini eccellenti su tutti i punti, quello che dobbiamo pensare e dire riguardo la campagna anti-olimpica che ha avuto origine al di là dell’Atlantico, una campagna che si è propagata furbescamente in Europa da un paese all’altro. Il Conte ha giustamente punito l’uso delle forze Olimpiche al servizio di interessi elettorali. I veri “Olimpionici” ora sanno a cosa credere. In queste circostanze, l’iniquo attacco diretto contro lo svolgimento della Undicesima Olimpiade a Berlino è stato parato. Questo attacco tornerà in una forma o nell’altra, senza dubbio, ed esso fallirà ancora una volta. Ma dovremmo essere sorpresi che siano state prese simili iniziative?

Sono troppo abituato a vivere in petto alla storia generale e a scrutarne i meandri per non essere conscio dell’importanza del concetto di evoluzione. A stento mi sorprendo, e ancora meno mi indigno, di trovarlo ovunque. Ogni istituzione, ogni creazione, non importa quanto possa essere vitale, evolve in armonia con egli usi e le passsioni del momento Oggi la politica si fa strada nel cuore di ogni questione. Come possiamo aspettarci che l’atletismo, la cultura dei muscoli e l’Olimpismo stesso ne siano esenti?

Eppure le rovine che questo fenomeno può causare si trovano semplicemente in superficie. In realtà, ci sono quasi sempre due forme di evoluzione in un’istituzione: l’evoluzione delle apparenze, e l’evoluzione dell’anima. La prima prova ad adattarsi ai trend attuali, e cambia seguendo i capricci della moda. La seconda rimane ferma come i principi su cui l’istituzione si basa. Essa si evolve lentamente e salutarmente, conformemente alle leggi dell’umanità stessa. L’Olimpismo ricade nella seconda di queste categorie.

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PRINCIPI E I SIMBOLI OLIMPICI* Il motto più famoso è anche quello più antico:”Citius, altius, fortius”. Il prete Domenicano

Henri Dido lo rese l’argomento principale del suo discorso durante l’inaugurazione del primo evento scolastico sportivo il 7 marzo 1891, dinanzi all’associazione atletica della Scuola Albert-le-Grand, una scuola che egli gestiva ad Arcuell, vicino Parigi. Coubertin presente in quella occasione, scrisse un breve resoconto su di essa nella sua rivista “Le Sports Athlétiques”, della quale egli era caporedattore. Egli usò spesso questo motto da allora in poi, dato che esso ben si confaceva alla sua concezione educativa degli sports.

Al congresso che istituiva il movimento Olimpico nel 1894, Cubertin fece di queste tre parole il motto del movimento olimpico.

Nel 1925, nel suo discorso di commiato, Coubertin disse che l’atletica non poteva essere abbinata alla moderazione, né poteva essere resa timida e cauta”. Egli aggiunse “l’impresa che glorifica il singolo campione è necessaria per conservare lo zelo generale e l’ambizione”.

Questo motto deve essere considerato non solo nel suo senso atletico e tecnico, ma anche da una prospettiva morale ed educativa. Questo è ciò che Coubertin spera di ottenere attraverso i vari testi inclusi nel termine “Olimpiadi” (si veda il capitolo precedente).

Questo concetto è molto ben spiegato nella citazione del famoso campione olimpico svizzero, Paul Martin:

Citius: veloce non solo nella corsa, ma anche con una mente vivace e scattante. Altius: piàù alto, non solo teso verso una meta desiderata ma anche verso l’elevazione

dell’individuo. Fortius: non solo più coraggioso nelle battaglie sui campi di gioco ma anche nella vita”. Gli altri testi in questo capitolo sono abbastanza significativi. Essi riguardano

l’internazionalizzazione del movimento olimpico e l’uguaglianza degli sport nell’ambito dei Giochi Olimpici. Essi sottintendono l’indipendenza del Comitato Olimpico Internazionale, nella misura in cui si intende una distinta “geografia sportiva”. Essi sottolineano l’importanza dello spirito cavalleresco e danno maggiore rilevanza alla partecipazione più che alla vittoria nei Giochi.

Come i motti, l’importanza del protocollo che è cresciuta con la crescita dei Giochi Olimpici, risiede nel suo valore simbolico, questo comprende soprattutto gli anelli olimpici.

Nel 1906, Coubertin si trovò nella condizione di dover ufficialmente dichiarare la reciproca uguaglianza dei vari sport nei Giochi Olimpici. La ragione è stata la diversa importanza attribuita ad alcuni sport dalla stampa americana, in seguito ai Giochi Olimpici intermedi del 1906.

L’appendice alla Revue Olympique, pubblicata mensilmente, quella del gennaio 1906, è servita come Bollettino del Comitato Internazionale Olimpico e le dichiarazioni di posizione.

La gente si è dispiaciuta in Francia e si è meravigliata in altri Paesi all’uscita di certi articoli pubblicati nei giornali dall’altra parte dell’Atlantico. Secondo questi articoli, il primo posto ai Giochi Olimpici di Atene doveva appartenere alla squadra americana, senza tener conto della classifica ufficiale che la giuria aveva stilato e reso pubblica. Queste notizie sono state presumibilmente inviate negli Stati Uniti dallo stesso delegato americano. Noi siamo autorizzati a riferire che, date queste circostanze, il capo dello Stato e l’Ambasciatore francese hanno scritto da Washington al presidente del Comitato Olimpico Internazionale per avere informazioni. La chiave per risolvere questo enigma è stata la pubblicazione di un articolo sui Giochi Olimpici, in uno dei principali quotidiani newyorkesi. L’articolo presentava lo strano concetto per cui le Olimpiadi moderne si dividono in due parti: i Giochi Olimpici in senso stretto, cioè gli “sport atletici” (corse a piedi e salto), e poi “gli altri sport” (scherma, tiro al bersaglio, nuoto, canottaggio, etc.). Chiaramente, se si dovessero effettivamente vedere le cose in questi termini, gli Americani trionfavano nei Giochi Olimpici in senso stretto, ma non ci sono tali distinzioni fra le gare che si svolgono nelle Olimpiadi. Tutti gli sport sono uguali. E’ difficile ritenere che la ginnastica, gli sport d’acqua e la scherma debbano essere secondi alle corse a piedi ed essere giudicati esercizi di ordine

* Traduzioni di Simona Iannaccone

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inferiore. Ciò va in controtendenza rispetto alla tradizione antica, che comprendeva la boxe all’inizio e poi gli sport equestri. In ogni caso ciò è contrario alle norme oggi in vigore. Pertanto è inaccettabile, per un qualsiasi motivo, per chiunque, modificare la classifica stilata dalla giuria ad Atene, che rimane la sola classifica legale e attendibile.

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Il discorso che segue, pronunciato al ricevimento tenuto dal governo britannico in onore degli ospiti dei Giochi Olimpici nel 1908, è una delle dichiarazioni più spesso citate da Coubertin.

Due commenti in questo discorso, sono estremamente importanti; nel primo Coubertin parla della mancanza di “gioco leale” che minaccia l’”idea olimpica”. Il secondo è ancora più importante, ma non ne è l’autore Courbertin, anche se esso è attribuito a lui: “In queste Olimpiadi, l’importante non è vincere, ma partecipare”.

L’arcivescovo della Chiesa anglicana della Pennsylvania centrale, Ethelbert Thalbot, aveva fatto di quell’osservazione il tema dominante della messa tenuta alla Cattedrale di S.Paolo a Londra, in onore dei partecipanti dei Giochi Olimpici di Londra.

Coubertin ha ripreso il commento e vi ha aggiunto: “L’importante nella vita non è la vittoria, ma lottare; la cosa essenziale non è conquistare, ma combattere bene”. Ciò corrisponde al suo ideale educativo.

5.2/2 Gli affidatari dell’idea olimpica

II Vostre Eccellenze, Signori miei, a nome del Comitato Olimpico internazionale, vorrei esprimere la mia profonda

gratitudine per l’onore che ci è stato tributato. Lo ricorderemo con affetto, quando riandremo con la memoria a questa…Olimpiade. Grazie al duro lavoro dei nostri colleghi inglesi, è stato fatto uno sforzo enorme per assicurare la massima efficienza tecnica della manifestazione. Per quanto soddisfacenti possano essere questi risultati, io spero di non essere troppo ambizioso nel dire che in futuro speriamo che possa essere fatto ancora di più, se mai una tale cosa sia possibile. Noi vogliamo fare progressi in modo sistematico, chiunque non progredisce va alla rovina.

Signori, il progresso fatto dal Comitato che ho l’onore di rappresentare e nel cui nome io sto parlando, è stato notevole e rapido, finora. “Quando io penso agli attacchi anonimi dei quali esso è stato vittima, e le insidie e gli ostacoli che imbrogli inverosimili e gelosie furiose hanno lanciato sul suo cammino negli ultimi quattordici anni, io non posso fare a meno di pensare che la lotta è uno sport meraviglioso, anche quando, lasciando le mosse classiche, i tuoi avversari impiegano strategie poco leali”. Ecco ciò che il Comitato Olimpico ha dovuto fronteggiare fin dagli inizi, ciò nonostante esso è diventato forte e risoluto nella sua evoluzione.

Il motivo di queste lotte, Buon Dio, ve le dirò in poche parole. Noi non siamo eletti. Noi ci autoreclutiamo, e la scadenza delle nostre cariche è illimitata. C’è un’altra cosa che possa irritare l’opinione pubblica più di questa? Sempre di più il pubblico viene usato per vedere espandere il principio delle elezioni, ponendo le istituzioni gradualmente sotto il suo giogo. Nel nostro caso, noi stiamo infrangendo la norma generale, una cosa difficile da sopportare, non è vero? Bene, noi siamo felici di prenderci la responsabilità di questa infrazione, e non ci preoccupa minimamente.

Una volta ho appreso moltissime cose in questo Paese, fra le quali il fatto che il miglior modo per conservare la libertà e servire la democrazia non è sempre abbandonare ogni cosa alle elezioni, ma piuttosto conservare isole nel grande oceano elettorale, dove la continuità dello sforzo indipendente, determinato può essere garantita all’interno di aree strettamente definite.

Indipendenza e solidità. Questo, signori, è ciò che ci ha reso possibile di ottenere grandi cose. Queste sono cose-dobbiamo ammetterlo- troppo spesso- che i gruppi spesso non hanno, i gruppi di atleti in particolare. Nessun dubbio che tale indipendenza possa comportare qualche svantaggio se dobbiamo essere coinvolti nell’emissione di rigide norme intese come vincolanti. Ma questo non è il nostro ruolo. Noi non calpestiamo i privilegi delle associazioni. Noi non siamo un consiglio di polizia tecnica. Noi siamo semplicemente “affidatari” dell’idea olimpica.

Secondo noi, l’idea olimpica è il concetto della forte cultura fisica basata sullo spirito di cavalleria- ciò che voi qui così simpaticamente chiamate “gioco corretto”- ed in parte

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sull’idea estetica del culto di ciò che è bello e gradevole. Io non dirò che gli antichi abbiano fallito nell’essere altezza di questo ideale. Stamattina ho letto di un incidente che ha prodotto una qualche agitazione ieri. In uno dei vostri maggiori quotidiani ho letto una dichiarazione disperata al pensiero che alcuni aspetti delle nostre moderne abitudini atletiche ci hanno reso impossibile sperare di poter mai raggiungere il livello del periodo classico. Signori, voi realmente pensate che tali incidenti non abbiano reso più arguta la storia dei Giochi Olimpici, Piti, Nemei, e di tutti i grandi incontri atletici nell’antichità? Sarebbe veramente ingenuo dire questo. L’uomo è sempre stato un creatore di passioni e i santi ci preservano da una società priva di eccessi, dove l’espressione di sentimenti ardenti sarebbe per sempre racchiusa negli stretti confini di ciò che risulta essere opportuno.

Tuttavia è anche vero che alla nostra epoca, quando il progresso della civiltà materiale- direi anche della civiltà meccanica- ha ingrandito ogni cosa, alcuni problemi che minacciano l’idea olimpica sono causa di preoccupazione. Sì, non voglio nascondere il fatto che il “gioco corretto” è in pericolo. Esso è in pericolo in particolare per la possibilità che abbiamo contribuito a creare, la follia del gioco d’azzardo, la follia della scommessa. Bene, se noi abbiamo bisogno di una campagna contro la scommessa, siamo pronti ad intraprenderla. Sono sicuro che in questo paese l’opinione pubblica ci sosterrà – l’opinione di coloro che amano gli sport per amore dello sport, per il loro valore educativo, per lo sviluppo umano che esso consente, nei quali essi possono essere il fattore più potente. La scorsa domenica, alla cerimonia tenutasi presso la Cattedrale di S.Paolo in onore degli atleti, l’arcivescovo della Pennsylvania ha ricordato questo nei giusti termini: “In queste Olimpiadi l’ importante non è vincere ma partecipare”.

Signori, ricordiamoci questa forte affermazione. Essa si addice ad ogni sforzo e può essere considerata come la base di ogni filosofia serena e sana. Ciò che importa nella vita è combattere, non la vittoria, la cosa fondamentale è dunque combattere bene.

Queste sono le idee che prevalgono nella nostra organizzazione. Noi tutti continuiamo a trarre ispirazione da esse. Noi tutti ci incontreremo tra quattro anni per festeggiare la Quinta Olimpiade. Nel frattempo, naturalmente, i Giochi di Atene si terranno di nuovo. Ancora una volta il mondo rivolgerà la sua attenzione alla terra di Grecia, la cui venerazione è inseparabile da qualsiasi nobile aspirazione.

A nome dei miei colleghi, consentitemi di salutare i vostri rispettivi Paesi. Prima di tutti l’Inghilterra, madre di così tante virtù, ispirazione di così tanti sforzi, . L’internazionalismo, come noi lo intendiamo, consiste nel rispetto per le Nazioni e il sentimento che guida il cuore degli atleti, quando vede i colori della sua Nazione innalzati sul podio della vittoria, il risultato dei suoi sforzi.

Signori, ai Vostri Paesi,alla gloria dei Vostri sovrani, alla grandezza dei loro regni, alla prosperità del vostro governo, e dei vostri concittadini”.

In questa lettera all’editore, indirizzata a Victor Silberer, editore dell’Allgemeine Sportzeitung di

Vienna, Coubertin esprime due principi olimpici essenziali, in riferimento al delicato problema sollevato dalle nazionalità e dalle bandiere durante…per i Giochi di Stoccolma del 1912: “Tutti i giochi, tutte le nazioni”, e la definizione di “geografia dello sport”.

Tutti gli sport e tutte le nazioni hanno il diritto di partecipare ai Giochi Olimpici. Nell’opinione di Coubertin e del Comitato Olimpico Internazionale, persino Paesi come la Finlandia e la Boemia, che non erano paesi indipendenti nel 1912, avevano il diritto di comparire nell’elenco dei partecipanti.

5.2/3 Geografia atletica

III Gent.le signore, devo far notare che l’articolo pubblicato nel vostro quotidiano il 26

febbraio potrebbe far insorgere qualche incomprensione. Il programma per i Giochi Olimpici di Stoccolma non è ancora definitivo, è non compito tutto del Comitato Svedese

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“stilare la lista dei paesi ammessi a partecipare ai Giochi Olimpici”. La regola fondamentale delle moderne Olimpiadi è riassunta in questi termini: “Tutti i giochi, tutte le nazioni”. Non è neanche nel potere de Comitato Olimpico internazionale, l’autorità suprema in questo campo, modificare questo assunto. Devo aggiungere che una nazione non è necessariamente uno Stato indipendente. C’è una geografia sportiva che potrebbe differire a volte dalla geografia politica. Molto tempo fa, il precedente è stato stabilito dall’Ufficio Europeo della Federazione di Giinnastica, diretta dal Sig.Cuperus di Antwerp. Noi crediamo di aver agito saggiamente seguendo questo esempio.

Per quanto riguarda il Vostro paese, poiché nessun austriaco è nell’elenco del Comitato internazionale per il momento, noi non siamo responsabili di questa lacuna. Ma noi stiamo cercando di porre rimedio a ciò. Io spero che il nostro prossimo incontro, che si terrà a Budapest a Maggio, per invito del governo ungherese e sotto il patronato di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica, non si concluderà con questo vuoto. In ogni caso noi contiamo che lì ci saranno molti atleti austriaci che parteciperanno alla quinta Olimpiade, cosa che per noi sarà fonte di gioia.

Distintamente Pierre de Coubertin

E’ stato non prima del 1911 che Coubertin ha spiegato le origini del motto “Mens fervida in

corpore lacertoso”. (Una mente ardente in un corpo ben allenato) in un articolo della Revue Olympique. Egli volle aggiungere agli aspetti medici della citazione tratta dall’autore romano Giovenale, “Orandum est aut sit mens sana incorpore sano”, in modo da incoraggiare le ambizioni dei giovani. Mentre lo scopo del motto “Citius, altius, fortius”, è la prestazione atletica, l’idea dell’armonia fra il corpo e la mente è implicita nel motto “Mens fervida in corpore lacertoso”. Questo motto è praticamente sconosciuto anche nel mondo olimpico.

La terza citazione, “Athletae proprium est se ipsum nascere, ducere et vincere” (E’ proprio dell’atleta e suo dovere , conoscere, condurre e conquistare sé stesso), sottintende la trasposizione della forza fisica a livello delle forze spirituali e morali, nel conservare il concetto specifico dell’istruzione atletica che Coubertin ha esposto. Questo motto, che risale al 1923, non è stato neanche ampiamente accettato. Il suo obiettivo è spiegato in questo passo.

5.2/4 Nuovi motti

IV Si potrebbe a lungo dibattere sulle origini dei motti e le loro varie interpretazioni. Essi

corrispondono ad un bisogno o istinto dell’umanità, in quanto sia i barbari che i popoli civili li hanno usati con uguale desiderio. Il mondo moderno, essendo l’erede del mondo antico, non sembra rinunciare a questa pratica.

Le associazioni atletiche, in un certa misura in tutti i paesi, hanno i loro motti. Essi li scrivono in testa ai loro Statuti, sugli stemmi indossati dai loro membri, sui programmi dei festival che essi danno ecc. E’ inevitabile che questi motti divenissero ripetitivi. Il numero di idee che li ispira è molto limitato. Il motto è sempre un richiamo allo sforzo, alla costanza, o all’equilibrio. Fra questi, nell’ultima categoria, c’è il ben noto “mens sana in corpore sano”, che così tanti oratori di scarsa inventiva hanno usato. Quel detto è stato abusato così tanto che non è un’esagerazione dire è diventato insopportabilmente comune.

CITIUS, ALTIUS, FORTIUS La nostra epoca, che non studia più il latino e crede che essa può dimenticare che una

lingua senza ripercussioni- un errore passeggero- ha nondimeno continuato a rifarsi ad essa per il suo bisogno di prestigio e concisione.

La concisione è la prima caratteristica necessaria di tutti i motti.

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Il più antico dei recenti motti atletici risale a cinquant’anni fa. Il suo autore è il famoso Fra’ Didon, dell’ordine Domenicano, poi direttore della Scuola ad Arcureil, vicino Parigi. Questo grande apostolo, con la sua virile energia, subito vide la rinascita dell’atletica come potente strumento educativo, che egli non esitò ad usare. In un discorso tenuto mentre egli conferiva dei premi ad un incontro interscolastico tenuto dagli studenti, egli improvvisamente usò tre aggettivi comparativi di maggioranza. Da quel momento in poi, i record atletici hanno trovato la glorificazione nello stile classico. La loro caratteristica essenziale era riassunta in tre succinte parole. Il destino di questo nuovo motto fu più ampio e più grande di quanto l’autore avrebbe mai immaginato. Le Olimpiadi lo hanno adottato e lo hanno diffuso nel mondo. Oggi esso risuona nelle incitazioni dei giovani di tutto il mondo. Esso si può leggere, intrecciato ai cinque anelli simbolici, dovunque l’atletica trionfa. Esso è circondato da record successivi, nella velocità, nella resistenza, e nella forza, sfidando le vane proteste di preoccupati allenatori ma applaudito dalla folla che sente che i record sono essenziali nella vita atletica, e che l coraggio è la chiave di ogni attività in genere.

MENS FERVIDA IN CORPORE LACERTOSO Questo motto non è stato il frutto di improvvisazione durante un discorso. Esso è stato

ben ponderato e frutto di riflessione. Colui che ha fatto rivivere i Giochi Olimpici ha elaborato nella sua formulazione, con il sig. Morlet, un appassionato latinista, un grande amico dello sport, il primo direttore delle scuole superiori di Marsiglia, Troyes, e Vannes, vicino Parigi. La Revue Olympique del luglio 1911 ne ha discusso le origini, e ha dato spazio a discussioni sul valore di esso. La Revue Olympique è ritornata sull’argomento in seguito, poichè un altro eminente latinista e membro del Comit.Olimp.Intern. non era pienamente soddisfatto dell’uso della parola lacertosus. Più tardi, accadde che quando egli valutò la nuova espressione durante un conversazione al Vaticano, il papa Pio XII espresse preoccupazione circa l’ideale fervidus,. In entrambi i casi, il concetto di eccesso stava sostituendo il concetto di equilibrio. Questo è ciò che il suo creatore intendeva; i suoi principi al riguardo sono ben noti. Il moderno sistema educativo stava creando una audace definizione di sé: un’anima ardente, un corpo allenato, esuberanza della mente in opposizione all’esuberanza dei muscoli, o piuttosto un complemento ad essa. Questa è la prospettiva educativa degli aviatori, di coloro che amano il rischio, e simili. Le circostanze, l’evoluzione generale, e le passioni del giorno lo hanno reso così. Chiaramente ci saranno sempre coloro che protestano, ma chi in questi giorni non sente che mens sana manca di prestigio poiché essa manca di verità? La condizione particolare che essa invoca è magnifica, ma essa è un risultato, non un obiettivo. Se vuoi raggiungere un obiettivo, come un educatore ha detto, lo scopo lo supera. L’equilibrio all’interno di un’inevitabile agitazione moderna si può ottenere solo combinando o contrastando gli eccessi. Si otterrà abbastanza solo se si lotterà per ottenere il troppo.

Così il motto mens fervida in corpore lacertoso, un ideale che sembra sfrenato, contiene il seme di un dibattito storico ed educativo che è tra i più interessanti, un dibattito che è sempre interessante.

ATHLETAE PROPRIUM EST… Nel 1923, sotto gli auspici del Comitato Olimpico Internazionale e grazie all’illuminata

generosità del Sig. A.Bolanachi, un membro del Comitato rappresentante l’Egitto, è stata istituita una “medaglia africana” per la diffusione dell’attività atletica fra i giovani indigeni. Questo è stato un affare serio che ha creato un dibattito acceso nei centri di governo, un argomento sul quale ritorneremo. Un lato della medaglia reca l’immagine di un negro che sta scagliando un giavellotto. La questione era su quale lingua dovesse essere usata per l’iscrizione. Non era possibile usare i dialetti africani, che sono svariati. In africa, l’inglese, il francese, il tedesco, l’italiano e il portoghese sono lingue regionali, a seconda della natura della colonizzazione locale. Perché dovremmo usarne una piuttosto che un’altra? Il latino, se volete, non è compreso da nessuno in Africa, ma i funzionari e i

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missionari conoscono la lingua e possono tradurre l’iscrizione sulla medaglia in qualsiasi lingua affinché tutti comprendano. Poi c’è il prestigio di un esempio antico. Non c’è stata alcuna esitazione. Abbiamo scelto il latino ed un intero sistema di istruzione è stato inciso nel fogliame esotico, in poche parole appunto. Questo è il testo: “Athletae proprium est ipsum noscere, ducere et vincere”. È dovere e proprio dell’atleta conoscere, condurre e conquistare sé stesso. Naturalmente in tutte le lingue del mondo, ci vogliono altrettante due parole per esprimere questa idea. Tuttavia queste parole comprendono un’intera lezione nell’istruzione atletica virile, e questa è la cosa più importante. La trasposizione dalla sfera muscolare a quella morale, la base dell’istruzione atletica, è indicata in termini che sono di estrema chiarezza e concisione. Noi crediamo che, come gli altri due motti, questo motto si diffonderà in tutto il mondo, e che nel commentarlo e nell’applicarlo, gli insegnanti avranno una comprensione più solida del principio fondamentale della loro istruzione e che gli studenti conseguiranno una convinzione più profonda del valore di quell’istruzione.

Le citazioni che seguono sono quelle incluse da Coubertin nell’Alamanacco Olimpico del 1918. Il

primo spiega il motto “citius, altius, fortius” per la seconda volta. Il campione olimpico diviene ideale. Coubertin vede in questo una “legge dell’inconscio che giustifica lo sport per competizione e lo rende persino necessario.

La seconda citazione è del 1899 ed è dello pseudonimo di Georges Holrod. Essa è tratta dal Roman d’un Rallié, pubblicato nella Nouvelle Reviue. Qui troviamo lo stesso ragionamento presente nel commentario di Coubertin sulla citazione tratta dall’arcivescovo della Pennsylvania, Ethelbert Thalbot. “La cosa importante nella vita non + la vittoria ma la battaglia; la cosa essenziale non è aver vinto ma l’aver combattuto bene”.

5.2/5 I pensieri degli atleti

V “Per ogni cento persone che intraprendono una cultura fisica, cinquanta devono

impegnarsi nello sport. Per ogni cinquanta che si impegnano negli sport, venti devono specializzarsi. Per ogni venti che si specializzano, cinque devono essere capaci di compiere gesta straordinarie. Tutto ciò è correlato. Ecco perché le campagne dei teorici contro gli atleti specializzati sono puerili e senza alcun effetto”.

“La vita è semplice perché la lotta è semplice. Un buon combattente si tira indietro ma non cede. Egli cede ma non si arrende mai. Quando si trova di fronte l’impossibile, egli cambia il suo corso e va avanti. Se il suo respiro si affievolisce, egli si ferma e aspetta. Se egli è escluso dal combattimento, egli incoraggia i suoi fratelli con le sue parole e la sua presenza. Anche quando tutto va a rotoli intorno a lui, egli non si dispera mai”.

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Questo è il primo documento che spiega la creazione e il significato degli “anelli olimpici”.

Coubertin non ne reclama soltanto la paternità, ma è ovvio dalla sua corrispondenza, che egli creò il simbolo. Gli anelli olimpici erano inizialmente l’emblema del Congresso di parigi del 1911, il principale evento olimpico accanto ai Giochi, dalla fondazione. Gli anelli appaiono nel programma, insieme al motto olimpico “Citius, altius, fortius”. Gli anelli hanno una certa somiglianza con il simbolo dell U.S.F.S.A., un simbolo che Coubertin ha creato nel 1890. Esso consiste di due anelli legati al motto “Ludus pro Patria”.

C’è una seconda affermazione significativa in questo testo. Le Olimpiadi sono un evento che non è né localizzato né temporaneo, esso è universale e senza tempo. Anche se egli prevedeva la Prima Guerra Mondiale, un anno dopo, Coubertin sosteneva che nessuna guerra avrebbe potuto fermare le Olimpiadi, o farle indietreggiare. Come nell’antichità, un’Olimpiade avrebbe potuto non aver luogo in caso di guerra, ma le Olimpiadi rimanevano sempre tali.

5.2/6 L’emblema e la bandiera del 1914

VI L’emblema scelto per illustrare e rappresentare il congresso mondiale del 1914, che

avrebbe dovuto imprimere il sigillo finale sulla rinascita delle Olimpiadi, cominciò a comparire su vari documenti preliminari : cinque anelli uniti ad intervalli regolari, i loro vari colori- blu, giallo, nero, verde e rosso- che spiccavano contro il bianco della carta. Questi cinque anelli rappresentano: i cinque continenti del mondo ora partecipanti alle Olimpiadi, pronti ad accettare le loro proficue rivalità. Inoltre i sei colori combinati in questo modo, riproducono i colori di ogni paese senza eccezione. Il blu e il giallo della Svezia, il blu e il bianco della Grecia, le bandiere tricolori della Francia, degli Stati Uniti, della Germania, del Belgio, dell’Italia e dell’Ungheria, e il giallo e il rosso della Spagna sono inclusi, come lo sono le bandiere innovative del Brasile e dell’Australia, e quella dell’antico Giappone e della moderna Cina. Questo è veramente un emblema internazionale. Esso fu creato per essere trasformato in una bandiera, e l’aspetto della bandiera sarebbe stato perfetto. E’ una bandiera leggera, che attrae, è un piacere vederla sventolare. Il suo significato è eminentemente simbolico. Il suo successo è assicurato, al punto che dopo il Congresso esso può continuare ad essere innalzato nelle solenni occasioni olimpiche. Comunque ciò possa sembrare, le celebrazioni del 1914 hanno avuto dei messaggeri euritmici di cui esse avevano bisogno per essere annunciate. Il grande poster, la cui prima copia è stata data ai Comitati Olimpici e che continua ad essere dato ad essi, ha incontrato subito l’ammirazione generale. La riduzione in formato cartolina è ugualmente un successo. I cinque anelli e le loro varie applicazioni saranno anche molto apprezzati.

Sono questi anelli solidamente legati l’uno all’altro? La guerra un giorno scuoterà questo quadro olimpico? Questa è una questione che ci siamo posti prima, e dato che l’occasione si presenta, siamo lieti di darvi una risposta. Le Olimpiadi non sono state ripetute in un contesto moderno per giocare un ruolo locale o temporale. La missione affidata loro è universale e senza tempo. E’ ambiziosa. Essa richiede ogni spazio e tempo. Bisogna riconoscere che i suoi primi passi hanno immediatamente segnato quel futuro. Essendo questo il caso, noi possiamo solo ritardare, non bloccare il suo avanzamento. Come il preambolo delle Norme per il prossimo Congresso afferma:< “un Olimpiade potrebbe non aver luogo, ma né l’ordine né l’intervallo potrebbero essere modificati”. Se Dio non voglia, la Settima o l’Ottava Olimpiade non avranno luogo, si terrebbe la Nona Olimpiade. Se i ricordi sanguinosi, ancora freschi, hanno reso impossibile le celebrazioni in una parte del mondo, ci saranno persone dall’altra parte del mondo, pronte ad onorare l’eterna giovinezza dell’umanità.

Inoltre, una maggiore concezione sportiva della guerra-la parola è impropria- sta cominciando a prevalere. Questo non renderà gli scontri meno aspri, ma renderà i postumi

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in qualche modo più facili da tollerare. La gente imparerà una grande lezione dall’atleta: l’odio senza battaglia non è degno dell’uomo, e l’insulto senza colpi è sconveniente.

Forse noi abbiamo deviato dal nostro tema. Ritorniamo ad esso, ripetendo che la guerra non può influenzare il futuro delle Olimpiadi. Una volta che la pace è ripristinata, il Comitato Internazionale sarà al suo posto, pronto a continuare il suo lavoro nel mondo. Ecco perché il nuovo emblema evoca eloquentemente sia il terreno conquistato che la resistenza garantita.

Secondo Coubertin, un posto significativo deve essere riservato alle cerimonie delle Olimpiadi,

nel progetto idea della “moderna Olimpia”, un progetto in precedenza menzionato parecchie volte. La maggior parte di queste idee sono state messe in pratica. Esse sono anche valide oggi, anche se nessuno fa riferimento più al suo creatore. Alla cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici, il giuramento degli atleti olimpici gioca un ruolo molto importante. Nell’antichità i partecipanti dovevano stare in piedi dinanzi ad una statua di Zeus tonante e giurare di obbedire alle regole.

Coubertin non voleva che i partecipanti ai Giochi moderni rispettassero le regole minacciandoli con sanzioni (ciò si riferisce in particolare alle norme sugli amatori), ma ricordando ad essi l’impegno che avevano formulato quando avevano promesso sulla formula di giuramento olimpica. In questa lettera che egli scrisse nel 1906 a Charles Simon, segretario generale della Fédération Gymnastique e Sportive des Patronages de France, propose per la prima volta di introdurre un giuramento nelle Olimpiadi.

Non fu prima della cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici del 1920 (?) tenutisi ad Antwerp che Victor Boin per primo giurò sulla formula olimpica da parte di tutti gli atleti.

Vent’anni dopo, Coubertin scrisse un terzo articolo sulle cerimonie dei Giochi. Il suo titolo indica chiaramente che l’accento è posto sul “valore educativo” delle cerimonie di apertura dei Giochi Olimpici.

Coubertin faceva notare che questo protocollo era solo per i Giochi olimpici, che esso simboleggia l’idea religiosa fondamentale che si può esprimere solo nella “grande celebrazione quadriennale della primavera umana”.

5.2/7 Le cerimonie

VII Il tema delle “cerimonie” è comprensibilmente uno di quelli più importanti da

affrontare. E’ attraverso di esse che le Olimpiadi si distinguono da una mera serie di campionati mondiali. Le Olimpiadi sono un’occasione solenne, e le sue cerimonie non sarebbero adeguate senza il prestigio che i loro titoli di nobiltà conferiscono loro.

Inoltre, noi dobbiamo evitare il tranello di farle diventare solo una parata e tenere conto dei limiti del buon gusto e della misura.

Guardando indietro alla storia, l’antico Altis era attraversato in lungo e largo da ogni tipo di processione, la maggior parte delle quali avevano un’origine religiosa. Gli atleti, gli spettatori e i funzionari offrivano sacrifici alle divinità simboliche le cui immagini ed altari erano sparse intorno al sacro recinto. E’ abbastanza difficile definire che livello di maestà e rara bellezza si raggiungeva in queste attività. In ogni caso, esse avevano luogo con tutta l’auspicabile solennità. Gli Antichi avevano chiaramente il senso di un’evoluzione collettiva. Noi abbiamo perso questo senso, ma sarebbe facile riconquistarlo. Essi acquisirono e svilupparono questo senso attraverso l’abitudine. Chiaramente, gli aspetti molto umani delle loro religioni facilitarono loro questo sviluppo ed acquisizione. Ai nostri tempi, non è possibile praticamente alcuna religione pubblica. In ogni caso, la presentazione di una tale religione non si presterebbe a niente di tutto ciò. Come per le feste civili, nessuno è ancora riuscito a conferire ad esse un senso di vera nobiltà ed euritmia ovunque.

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Nondimeno ci può essere utile l’esperienza dell’antichità. I “sacrifici” che abbiamo menzionato sopra erano mere formule per l’espressione di un duplice sentimento di un ordine alto. Ad Olimpia, le persone si riunivano sia per fare un pellegrinaggio nel passato e sia come atto di fede nel futuro. Certamente ciò sarebbe adatto anche alle moderne Olimpiadi. E’ il loro ruolo e destino, unire ciò che era e ciò che verrà nel momento fuggente. Le Olimpiadi sono, per eccellenza, le celebrazioni della gioventù, della bellezza e della forza. Pertanto noi dobbiamo tentare di scoprire il segreto delle cerimonie da inaugurare, in queste righe.

C’è una sola cerimonia che esisteva nel passato e che si può trasporre quasi senza modifiche: il giuramento. Prima dell’apertura dei Giochi, gli atleti ammessi a gareggiare andavano al tempio di Zeus e giuravano di osservare la legge dei Giochi in tutto e per tutto. Essi dichiaravano di essere senza colpa e degni di comparire nello Stadio. Con l’immagine del Dio, sostituita per ciascun individuo, dalla bandiera del suo paese, questa cerimonia sarebbe destinata solo a crescere in magnificenza. Tale “modernizzazione” è così ovvia che non è il caso di indugiare sull’argomento.

Ad Atene, meravigliosi cori e la liberazione di colombe hanno accompagnato la proclamazione fatta dal re George. A Londra, c’è stata una parata di atleti, il punto focale della giornata. ….alla consegna dei premi piuttosto che all’apertura dei Giochi. Fino alle Olimpiadi di Londra, i premi venivano consegnati nel modo più comune e sconveniente. I vincitori comparivano in abiti comuni, senza nessun ordine particolare, e senza nessuna preoccupazione per l’estetica. Londra ha introdotto qualche innovazione. La maggior parte dei giovani atleti è comparsa in abiti adeguati allo sport praticato, una cosa semplice che ha completamente cambiato l’aspetto della cerimonia. Ma dall’inizio alla fine dei Giochi del 1980, la musica era completamente assente. La sola musica presente era quella degli ottoni che suonavano vecchie melodie da banda. Grandi gruppi corali, alternati a lontane fanfare sono per eccellenza delle sinfonie olimpiche che futuri musicisti vorranno certamente comporre. Essi avranno bisogno della collaborazione di architetti in un certo senso. I problemi di acustica non sono risolti solo dal fatto di essere all’aperto. “gli schermi” giocano un ruolo fondamentale in questo. Inoltre, non si deve tralasciare il fatto che la non visibilità dei musicisti era una delle lezioni innovative dell’estetica wagneriana, una lezione che ha avuto un entusiastico seguito.

Così le cerimonie saranno poche ma significative: il giuramento degli atleti, la proclamazione dell’apertura dei Giochi, la consegna dei premi…questi sono i giorni principali, i giorni obbligatori,. Aggiungete a queste, la probabile consegna di diplomi olimpici, che vengono conferiti raramente.

Queste feste comprenderanno processioni, la formazione di gruppi in stile tableau vivantes, discorsi, e performance musicali.

5.2/8 Il giuramento degli atleti (lettera a Charles Simon)

VIII Egregio Sig.Segretario Generale, devo dirvi quanto piacere mi ha fatto rispondere al gentile invito del Dr.Michaux, e

partecipare al meraviglioso festival che si è tenuto l’altro giorno dalla vostra federazione fondata di recente.

La natura delle Olimpiadi nell’antichità era triplice: esse erano periodiche, espressione d’arte e religiose. Nel farle rinascere, soprattutto noi abbiamo ristabilito la regolarità della celebrazione delle Olimpiadi. Dodici anni dopo, le arti e la letteratura sono state invitate a ristabilire i loro legami con lo sport, legami che da allora erano stati interrotti. Questo è stato il significato dei nostri recenti sforzi, e perché la Comédie Française è stata una collocazione adeguata. Ora noi dobbiamo scalare il terzo muro, il più alto di tutti, e forse il più inaccessibile. Ma prima devo spiegare che cosa intendo con il termine “religione”. Esso ha un significato molto speciale in questo contesto. La vera religione dell’antico atleta non

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consisteva nel rendere solenni sacrifici all’altare di Zeus. Quello era semplicemente un gesto tradizionale. Piuttosto, essa consisteva nel giurare lealtà e abnegazione, soprattutto nel compiere ogni sforzo per aderire strettamente a quel giuramento. L’individuo che doveva partecipare ai giochi doveva essere purificato, in qualche modo professando e praticando queste virtù. In questo modo, si rivelavano la bellezza morale e le profonde conseguenze della cultura fisica.

Noi dobbiamo tornare a qualcosa di simile. Noi dobbiamo fare ciò, o altrimenti vedremo gli inizi della decadenza nei nostri sport moderni, un declino che sarà sempre più rapido, minacciato, a sua volta, da questi fattori di corruzione. Non è di alcuna utilità negarli: questi fattori hanno già cominciato ad agire in modo nefasto. Qui in Francia abbiamo visto uno degli sport più nobili, la scherma, decadere moralmente, anche il suo valore tecnico era in ascesa. Lo spirito meraviglioso della cavalleria che regnava suprema nello sport, pochi anni fa ha cominciato a diventare sempre più raro. In altri sport premi in denaro consegnati direttamente, o opere d’arte che si possono vendere stanno confondendo le varie classifiche, al punto che i termini “dilettante” e “professionista” sono insulsi. Se noi consentiamo che le cose continuino ad andare avanti in questo modo, snobismo ripugnante, l’abitudine di mentire, lo spirito del guadagno subito invaderà le nostre associazioni atletiche.

Pertanto noi dobbiamo reagire. D’altra parte, la nostra reazione si deve basare sull’adozione di una definizione di dilettante più intelligente, più ampia e certamente più precisa. D’altra parte essa sarà basata sul ripristino del giuramento prima della gara. Ciò introdurrà negli sport moderni lo spirito di gioioso candore, lo spirito di sincero altruismo che li rinnoverà, e renderà l’esercizio muscolare collettivo una vera scuola per il miglioramento morale.

Fra le principali federazioni che possono contribuire a perseguire un tale obiettivo, nessuna è più adatta della vostra. Io credo che essa possiede la natura più generosa. ….è anche capace di effettuare operazioni di pulizia quando sono necessarie. Pertanto consentitemi di far appello ai vostri giovani, e chiedere loro di diffondere questo programma di purificazione morale, il programma i cui principi generali vi ho presentato oggi. Io penso che noi presto saremo capaci di elaborare i dettagli dei metodi per una attuazione pratica di questo progetto.

Distintamente

Pierre de Coubertin 5.2/9 Il valore istruttivo della cerimonia olimpica

IX Nonostante circostanze sfavorevoli, sono in atto determinati metodici preparativi per i

Giochi Olimpici della decima Olimpiade a Los Angeles. Questi Giochi sono sostenuti da una ben organizzata pubblicità; probabilmente lo scopo di questa pubblicità è di aumentare la loro efficacia, non di diminuirla. Una lettera recente dal dipartimento della pubblicità dei Giochi è stata riprodotta quasi in tutta Europa. Essa riguardava le cerimonie di apertura, e presentava i particolari degli eventi che si sarebbero succeduti in quelle cerimonie. Parecchi quotidiani hanno presentato questa descrizione come il risultato di decisioni adottate dal comitato organizzatore, affermando che essa conteneva interessanti innovazioni. Comunque, questo è effettivamente un programma senza cambiamenti, uno è il primo atto del “protocollo olimpico”. Nel 1924, il presidente del Comitato Olimpico francese ha spiegato i dettagli di questo protocollo al sig. A. Briand, primo Ministro francese degli affari Esteri, Briand ha replicato: “io seguirò questo protocollo con piacere. Per quanto complicato esso possa essere, esso deve essere meno di quello mio”. Nel dire ciò lo statista alludeva al protocollo diplomatico. Ma l’origine e la natura di questi due

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protocolli differiscono molto. Il protocollo diplomatico è il risultato di tradizioni di cortesia, che esso traduce in un’infinita gradazione di precedenze. Il protocollo olimpico è essenzialmente educativo in natura, ed è in tal senso che noi lo consideriamo qui.

Come è stato spesso detto, i Giochi Olimpici non sono meramente campionati mondiali, dominati dal concetto di ottenere i migliori risultati tecnici possibili. Essi sono ciò se uno vuole vederli così. Ma essi sono ancora qualcos’altro, e qualcosa di più di ciò. Essi sono la celebrazione quadriennale e internazionale della gioventù, “il festival della primavera umana”, unendo allo stesso tempo, tutte le forme di attività fisica e tutte le nazioni del mondo. Attraverso di essi, ciascuna generazione celebra la sua maggiore età, la sua gioia di vivere, la sua fede nel futuro, le sue ambizioni, e il suo desiderio di eccellere. Ecco perché le arti e la letteratura sono state invitate, come nel mondo antico, ad abbellire…

Una volta che il Comitato Olimpico internazionale, il custode supremo e permanente dell’istituzione, ha scelto la città (e non il paese) dove si terranno le successive Olimpiadi-una scelta che il privilegio essenziale e primario del Comitato- viene data l’autorità necessaria ad un comitato organizzatore responsabile di organizzare le gare, le feste, e le cerimonie, sia da parte del governo nazionale che dalle autorità municipali, o anche dal Comitato Olimpico del Paese in questione. Non importa molto ciò. Naturalmente a questo Comitato è concessa ampia facoltà di decisione. Naturalmente esso deve attenersi allo Statuto olimpico, che in particolare specifica la serie di sport richiesti: ginnastica e sport atletici, eventi equestri e d’acqua, gare di scherma, sport invernali, e gare artistiche. Esso è soprattutto legato a rispettare sopra ogni altra cosa, il cerimoniale che regola la solenne cerimonia di apertura.

Le cerimonie di apertura comprendono anche la sfilata di tutti i partecipanti. Essi entrano nello stadio per nazione, marciando dietro alle loro rispettive bandiere. Poi essi stanno in piedi in lunghe file di fronte alla tribuna presidenziale, dove il capo di Stato, il sovrano o il presidente della repubblica, è in piedi e dichiara aperti i Giochi Olimpici. Finora nessun capo di Stato ha mai mancato a questa cerimonia, eccetto il presidente Loubet nel 1900. I re di Grecia, Svezia e Inghilterra, il presidente Roosevelt e Doumergue, e il re del Belgio hanno ripetuto la breve ma prestigiosa formula di apertura in ogni Olimpiade successiva. Sono passati 35 anni da quando il re George ha detto per la prima volta: “Proclamo aperti i Giochi della prima Olimpiade dell’era moderna”. A questo punto vengono liberate delle colombe, tante quanti sono i paesi partecipanti, ciascuna con i colori dei rispettivi Paesi), una inno suona, e i cori e le bande si uniscono, tutti salutano la bandiera olimpica che viene issata sull’ asta centrale. La bandiera olimpica sventola per tutti i Giochi. Poi tutti coloro che portano le bandiere nazionali si uniscono in semicircolo ai piedi del palcoscenico e un atleta del Paese ospitante giura sulla formula olimpica che è la seguente: “Giuriamo di prendere parte a questi Giochi Olimpici nel vero spirito sportivo, e che rispetteremo e ci atterremo alle regole che li governano, per la gloria dello sport e l’onore del nostro Paese”.

Come tutti sanno, la bandiera olimpica è bianca con cinque anelli che si intrecciano al centro. Gli anelli sono blu, giallo, nero, verde e rosso, con l’anello blu nel lato superiore sinistro più vicino al palo. Questo disegno è simbolico in quanto rappresenta i cinque continenti del mondo uniti attraverso le Olimpiadi. I sei colori che compaiono sulla bandiera riproducono i colori di tutte le bandiere nazionali che sventolano ovunque nel mondo ai nostri tempi. Questa bandiera non risale all’inizio dei Giochi. Essa è stata inaugurata a Parigi nel giugno 1914, durante le grandi celebrazioni del Ventesimo Anniversario della ripresa dei Giochi Olimpici, che coincise con il primo Congresso dei Comitati Olimpici Nazionali.

Le cerimonie di chiusura non sono meno suggestive. Dopo che sono state consegnate le medaglie, una semplice medaglia ha sostituito l’antica corona di alloro, ma il suo valore intrinseco è solo quello artistico), il presidente del Comitato Internazionale proclama la chiusura dei Giochi. Dopo aver ringraziato il capo dello Stato e la città ospite, come di consueto, egli invita “i giovani di tutti i paesi del mondo a incontrarsi di nuovo dopo quattro anni” nella sede scelta per la celebrazione dei Giochi delle Olimpiadi successive.

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Egli dice, “Possano essi aver luogo in gioia e pace, e in questo modo, possa la torcia delle Olimpiadi continuare il suo percorso attraverso le epoche per il bene dell’umanità e che essa possa essere ancora più pura, zelante, coraggiosa e pura. Che sia così. A queste parole, suonano le trombe. La bandiera olimpica è abbassata dall’asta centrale e salutata con cinque colpi a salve, mentre i cori cantano l’inno finale.

Durante i Giochi, le medaglie d’oro della vittoria sono salutate con l’elevazione della bandiera del paese del vincitore su uno speciale palo e suonando il suo inno nazionale. Alla fine dei Giochi, fra le gare e la proclamazione della chiusura dei Giochi, sono innalzate tre bandiere, e sono cantati tre inni nazionali. I paesi sono la Grecia, quale tributo alle glorie degli antichi Giochi Olimpici, il Paese ospitante che si sta avvicinando alla fine del suo compito, e infine il paese in cui si trova la città che sarà la prossima ad ospitare i prossimi Giochi Olimpici. A Los Angeles, per esempio, sarà tributato alla Grecia, agli Stati Uniti e alla Germania.

In questo modo ogni cosa nelle Olimpiadi moderne è incentrata sulle idee di continuità vincolante, interdipendenza e solidarietà. Si deve subito essere d’accordo che un tale contesto è intriso del più alto valore educativo, ed è una forte lezione di filosofia e di storia.

Ma ciò che è adatto per la celebrazione dei Giochi quadriennali non sarebbe adatto per le circostanze ordinarie della vita atletica quotidiana. C’è una tendenza ad abusare di questa prestigiosa cerimonia per singoli incontri, che vedono confrontarsi atleti di solo due o tre nazionalità. Questo è un abuso. Esso diminuisce l’impatto educativo delle cerimonie.

Il messaggio che Coubertin ha indirizzato ai rappresentanti dei Giochi Olimpici del 1928 di

Amsterdam riassume i punti più significativi che agli occhi del suo creatore, devono continuare ad essere rispettati dopo la sua morte. Questo testo mostra il ruolo fondamentale che “i segni simbolici” giocano nella preparazione dei Giochi. Nel 1937, l’anno della sua morte, Coubertin pubblicò il testo una seconda volta, non cambiando quasi nulla del suo appello. Nel fare ciò, egli ha dato al suo messaggio un significato particolarmente profondo

5.2/10 Messaggio di tutti gli atleti partecipanti all’incontro di Amsterdam per la IX

olimpiade

X E’ con grande rammarico che io non posso essere con voi a causa della mia malattia.

Quando I Giochi della Decima Olimpiade saranno tenuti a Los Angeles fra quattro anni, senza dubbio io non potrò fare il viaggio, così vi dico addio ora.

Io vorrei chiedervi di salvaguardare e conservare fra di voi la fiamma dei nuovi Giochi Olimpici e di tenere in piedi i principi e le istituzioni che sono ad essa necessari. Per prima cosa, l’uguaglianza delle principali categorie di sport individuali: gli sport di atletica e di ginnastica, gli sport da combattimento, gli sport d’acqua, gli eventi equestri, etc.

- poi le competizioni artistiche che collegano i lavori della mente ispirata dall’idea dell’atletica alla meravigliosa attività dei muscoli,

- il giuramento degli atleti, che basato su sentimenti di onore, contiene i semi della sola soluzione efficace al problema delle attività sportive amatoriali,

- l’uso della bandiera olimpica, che comprende i colori nazionali di ogni paese e simboleggia le cinque parti del mondo unite dallo sport;

- le cerimonie e le formule per l’apertura e la chiusura dei Giochi, con il salute finale all’ellenismo, dal quale essi derivano,

- infine l’autorità del Comitato internazionale; il suo reclutamento indipendente garantisce che le tradizioni saranno conservate senza alcun coinvolgimento noioso in questioni tecniche.

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- Sempre di più io sono convinto che i maggiori tornei organizzati a fianco dei Giochi devono essere pienamente autonomi, e non devono essere confusi con i Giochi stessi. Lo scopo primario dei Giochi è la glorificazione del singolo atleta.

- Io spero che come passa il tempo, la successione regolare delle Olimpiadi contribuirà a dare un ritmo alla vita atletica, per contenerla e proteggerla dai suoi eccessi. A tal fine, è auspicabile che scompaiano i pregiudizi che continuano a separare i ginnasti dagli atleti. Ci sono fratelli che sono ostili l’uno all’altro e spesso per colpa dei loro manager.

Personalmente vorrei vedere che il penthlaton tornasse a contare come io avevo stabilito. Circa la partecipazione delle donne ai Giochi, continuo ad oppormi, è contro i miei desideri che esse siano ammesse a partecipare ad un gran numero di eventi.

Come le Olimpiadi hanno resistito alle guerre mondiali, esse resisteranno alle rivoluzioni. In ogni caso, le Olimpiadi non hanno nulla da temere dai sindacati, sono stato molto lieto di vedere organizzazioni sindacali abbracciare l’ideale olimpico. Nessun dubbio che gli studenti, anche vorranno dare a questo ideale un ruolo chiaramente più definito nei loro interessi universitari. E’ importante che ogni fase, dall’adolescenza alla maturità, gli uomini lottino per diffondere lo spirito atletico che consiste in spontanea lealtà e abnegazione cavalleresca.

Ancora una volta, ringrazio coloro che mi hanno seguito ed aiutato a turno, nell’assolvere al compito che ho avuto per questi quaranta anni, evitando così tante trappole e affrontando così tanta ostilità.

Pierre de Coubertin