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Ricostruire l’umanità della religione 1
ARCIDIOCESI DI SASSARI — UFFICIO DIOCESANO SCUOLA / «IRC»
RICOSTRUIRE L’UMANITÀ DELLA RELIGIONE L’orizzonte educativo dell’esperienza religiosa
José Luis Moral
1. Oggi è il momento favorevole per RIPENSARE (L), «SENTIRE» (E) E RICOSTRUIRE (R). 2. Giovani, religione (fede!) e «STILE DI VITA» di Gesù di Nazaret. 3. Educazione, esperienza religiosa ed UMANIZZAZIONE. 4. La scuola della vita: «EDUCAR–CI» insieme affrontando le sfide della vita quotidiana.
“Oggi, nel contesto culturale e spirituale contemporaneo, la fede si trova
in una situazione generalizzata di ricominciamento. Chi dice «ricominciamento» di-‐ce contemporaneamente un processo di morte e di rinascita. Assistiamo infatti alla fine di un mondo e alla fine di un certo cristianesimo. Eppure non è la fine del mon-‐do, né quella del cristianesimo. È piuttosto un tempo di germinazione con tutto quello che può comportare di nostalgia, di sofferenza e anche di soddisfazione per ciò che muore, come pure di dolore, incertezza e speranza per quanto nasce. Perdi-‐ta dunque, ma anche ritrovamento, altrove e altrimenti […] Noi viviamo in una cul-‐tura democratica, pluralista e plurireligiosa, una cultura scientifica e tecnica, una cultura di comunicazione, una cultura che valorizza costantemente il nuovo…, una cultura che invita ciascuno a divenire se stesso, nella propria autonomia e fuori di ogni imbrigliamento e indottrinamento. Per questa cultura, il linguaggio della tradi-‐zione cristiana appare sovente sterile, inadeguato, insoddisfacente. Da questo na-‐sce un senso di frattura e di allontanamento tra la tradizione cristiana e il mondo contemporaneo”.
(A. FOSSION, Ri-‐cominciare a credere, Dehoniane, Bologna 2004, 11 e 66-‐67).
� «Cambio epocale»: cambio di paradigma o di modello esplicativo globale/generale. � Crollo della religio come «principio–cardine» della civiltà (ciò che univa o collegava tra loro le li-‐
bertà dei singoli facendone un insieme ordinato, un sistema operativo). � Oggi la religione non è più un sistema di coesione sociale. Dobbiamo ripensarla come sorgente di
senso per la vita e come fonte di «comunione–comunità» in grado di costruire alcuni ponti ne-‐cessari tre il privato e il pubblico.
� In tale prospettiva, la religione può continuare ad aiutarci a rileggere e rilegare: 1/ A raccogliere e rileggere o, meglio, a «rileggere in raccoglimento» (miti, testi di fondazione, un insegnamento, un sapere, una lettura o una recitazione, una legge, dei principi, delle regole e dei comandamen-‐ti) rivelazioni o tradizioni che si fanno proprie e vengono cioè rispettate e interiorizzate sia a li-‐vello individuale che collettivo; 2/ A unire e rilegare le persone tra di loro (a creare comunione e comunità) perché riunite dal senso di essere legate, quanto meno ad un certo altrove o, più esplicitamente, alla trascendenza, a Dio.
1 OGGI È IL MOMENTO FAVOREVOLE PER RIPENSARE (L), «SENTIRE» (E) E RICOSTRUIRE (R)
¡ Indubbiamente, il nostro è un «tempo di crisi» e di «cambio epocale»: un’autentica rivoluzione dei modi di sentire, pensare, valorizzare e agire.
¡ Tuttavia…: 1/ Ogni situazione dove inserire la riflessione ecclesiale è originale, inutile perciò cercare nel passato le ricette che presumibilmente risponderanno alle sfide odierne; 2/ Non necessariamen-‐te viviamo un’epoca più drammatica dalle altre e, soprattutto, bisogna leggere l’evoluzione cultura-‐le contemporanea abbandonando deliberatamente ogni interpretazione in termini di semplice crisi, di perdita di valori, di scomparsa della religione e di tramonto della fede.
¡ Il Vangelo continua a lavorare oggi nelle coscienze come lo fece in altri tempi: ha tutte le possibilità di essere udito di nuovo come una Buona Novella che da vita (lasciarci «generare»; «ricominciare a credere»: «Evangelii gaudium» — «Incontriamo Gesù»).
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u Lentamente, ma inesorabilmente, comprendiamo come le difficoltà… hanno la radice comune nel tema della formazione e, più in concreto, in una – non indifferente – trascuratezza degli atteg-‐giamenti educativi: primariamente ci troviamo di fronte ad una questione formazione e di COMPE-‐TENZA (o incompetenza) EDUCATIVO–COMUNICATIVA. Serve, anzitutto – per scontato! –, identità–coerenza cristiana. Poi però non si può completare il tutto semplicemente con la «buona volontà». Ci vuole competenza per ripensare (linguaggio), sentire (esperienza) e ricostruire (relazioni).
¡ Siamo linguaggio: RIPENSARE. «Siamo linguaggio» e oggi è cambiata radicalmente sia la connessione fra le parole (parola–realtà–verità) che il rapporto tra linguaggio, parola e conoscenza. Può darsi che la nostra comunicazione, l’azione… non abbiano il senso con cui noi intendiamo comunicare e agire. È necessario ripensare.
¡ Siamo esperienza: SENTIRE. «Tutto incominciò con un’esperienza» (E. Schillebeeckx): abbiamo bisogno di tornare all’esperien-‐za, ovvero, di sentire l’esperienza fondante attorno alla quale unire le esperienze quotidiane. Ecco quest’esperienza: l’amore gratuito e incondizionato, cioè, la più grande provocazione (pro–vocazione) contenuta nella vita (un amore che provoca e «chiama»).
¡ Siamo relazioni: RICOSTRUIRE. Siamo esseri di relazioni e non solo di contatti, esseri con il mondo e non solo nel mondo (relazioni con noi stessi, con gli altri/«Altro», con le cose).
1.1. La «ricerca di senso»
VITA UMANA ESPERIENZA CRISTIANA Ricercatori di AMORE e di VERITÀ Amati GRATUITAMENTE e INCONDIZIONATAMENTE ¡ Amore (sentimenti) – Insoddisfazione. ¡ Verità (comportamenti) – Insicurezza.
¡ Fede: Esperienza «Amore Incondizionato/Gratuito». ¡ Accogliere: «Fare nuove tutte le cose».
Æ Fuga: dogmatismo, relativismo… Æ Incredibile!: Autonomia/libertà.
A volte dimentichiamo questi fondamenti e… passiamo direttamente all’analisi della situa-‐zione, scegliendo di conseguenza diagnosi monotematiche (anzi che spiegazioni sulla base della rot-‐tura epocale che viviamo): secolarismo e «società del rischio» (U. Beck), relativismo e «società liqui-‐da« (Z. Baumann), ecc.
1.2. Il pluralismo come «chiave interpretativa»
Mi pongo in un’altra direzione: considero il nostro come un tempo di cambio epocale la cui caratteristica essenziale, oltre che chiave interpretativa centrale, risiede nel pluralismo.
¡ La migliore carta d’identità del momento presente, un fatto così ovvio che quasi non vale la pena documentare, è il PLURALISMO. Tale realtà, in effetti, si presenta come l’autentico perno interpretati-‐vo in grado di decifrare la nostra situazione, costituisce cioè il supporto in cui convivono e persino gareggiano fra di loro, con naturalezza, diverse visioni del mondo. Tale disposizione è il risultato normale che deriva dall’universo simbolico moderno: il pluralismo poggia su una visione antropolo-‐gica che ritiene l’uomo capace di autodeterminarsi a partire dalla sua ragione e, oltre a rappresen-‐tare una questione centrale dello spirito umano, appare come un’esigenza radicata nella natura e nella storia.
¡ Il pluralismo non è tanto frutto dei capricci della modernità quanto il risultato della convergenza e divergenza di numerosi fattori particolari. Manifesta, insomma, la ricchezza universale e, seppure renda più complicato l’orientamento vitale delle persone per il moltiplicarsi delle offerte e delle possibilità, non può essere interpretato riduttivamente come un segnale di confusione o debolezza. PIÙ CHE DIFFICOLTÀ, IL PLURALISMO È POSSIBILITÀ. Tuttavia, possibilità non è uguale a garanzia, e occorre riconoscere che l’attuale complessità sociale trasforma il pluralismo non solo in un argomento teo-‐rico ma anche in un grave problema pratico, che può tradursi in esperienze di disorientamento e persino di caos.
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1.3. Accogliere e far fruttificare la fede
Il concilio Vaticano II mise in luce un grave problema di «identità–comunicazione» fra la Chiesa e il mondo contemporaneo, tra l’esperienza cristiana e quella delle donne ed uomini del nostro tempo.
L’UMANIZZAZIONE è il «terreno comune sia per lo sviluppo del «progetto religioso» che di quello «a-‐religioso» o laico; umanizzazione legata inizialmente alla dignità universale e ai diritti umani.
2 Giovani, religione (fede!) e «stile di vita» di Gesù di Nazaret
Il cambio epocale che viviamo ci invita a «ri–cominciare a credere». Il processo passa per: 1/ Tornare a Gesù; 2/ Narrare l’incontro salvifico con Lui; 3/ Acquisire le competenze educative corri-‐spondenti. Infine, sarà necessario affrontare il rischio di entrare profondamente in dialogo con le donne e gli uomini, con i ragazzi dei nostri giorni.
u ENTRARE NELLE CONVERSAZIONI DEI RAGAZZI… «Videro un giovane che disse loro: è risorto, non è qui. Vi precede in Galilea. Là lo vedrete,
come vi ha detto» (cf. Mc 16, 5-‐7). Le parole del giovane nel mattino di Pasqua ci invitano a ripensare umilmente la missione della Chiesa e di ogni cristiano, la «buona notizia» e l’evangelizzazione: pen-‐siamo spesso che «evangelizzare» sia portare agli altri ciò che non hanno, ciò di cui sono privi. Avvie-‐ne come se ci fosse, da una parte, un «pieno» da trasmettere e, dall’altra, un vuoto da riempire. In questa prospettiva, noi ci sforziamo di fare in modo che gli altri cambino, che si convertano alle no-‐stre convinzioni, che divengano come noi e credano come noi. Di conseguenza, il nostro obiettivo è di far passare il messaggio costi quel che costi, superando ogni ostacolo personale o culturale. Così l’evangelizzazione è intesa come conquista dell’altro, come un’espansione della buona notizia a par-‐tire dalla testimonianza che noi portiamo.
Dunque, non si tratta tanto di trasmettere agli altri una buona notizia ben strutturata, di cui noi siamo i detentori sicuri; la missione cristiana consiste piuttosto nell’andare con speranza verso gli altri per scoprire con loro, nei loro luoghi di vita, nel cuore della loro esistenza, le tracce del Risorto che sempre ci precede, che è già là in incognito. Così come ieri alle donne che si recavano alla tomba, ancora oggi questo messaggio continua a sconvolgerci: non siamo chiamati a portare una grazia di cui gli altri sono privi; lo Spirito del Risorto è già stato effuso in tutti i cuori. Più che qualcosa di sco-‐nosciuto, portiamo un invito a scoprire e riconoscere ciò che a tutti è stato misteriosamente donato. Il cammino delle comunità cristiana non consisterà proprio in questo, ossia, nella rilettura dell’esis-‐tenza (dei ragazzi in questo caso) per scoprirvi questa grazia?
2.1. «Più vittime che colpevoli»: ricominciare a credere «con» i ragazzi
“Il vangelo è il principio del cristianesimo, principio di ogni esistenza umana. In un’epoca o in un’era culturale come la nostra, in cui la tradizione cristiana si presenta in maniera così complessa, addirittura opaca, com’è l’intera società, è opportuno mettere in luce la semplicità di ciò che la ani-‐ma: una notizia che si rivela assolutamente nuova, ogni volta che la si ascolta realmente (-‐aggélion); notizia di bontà radicale sempre nuova (eu-‐)” (Ch. Theobald).
Insieme a chiarire dove si trova il «centro del cristianesimo», nel caso dei ragazzi, bisogna poi PARTIRE… e «SENTIRE CON» LE NUOVE GENERAZIONI: ripensare «dai» ragazzi, situarsi «dalla parte» loro e fare tutto non tanto «per», ma sempre «con» i ragazzi. Non solo dobbiamo pensare il cristianesimo per le nuove generazioni, ma – più importante ancora – dovremo pensarlo dal punto di vista dei gio-‐vani. � Una «nuova alleanza» con le nuove generazioni... (+ l’accoglienza incondizionata).
«Mistero» e Senso della Vita PROVOCAZIONE
«PRO—VOCAZIONE» LIBERTÀ E «VOCAZIONE UMANA»
UMANIZZAZIONE «EDUCAR—CI» PLURALISMO
«ESPERIENZE DI AUTOTRASCENDENZA» (DI FEDE) Relazioni
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� Tutto passa per L’ALLEANZA E L’ACCOGLIENZA INCONDIZIONATA DEI RAGAZZI. Più che amore, alleanza: mentre l’amore o la carità accentuano il protagonismo di chi vuol bene l’altro, la parola alleanza – oltre alle risonanze bibliche che contiene – sposta l’accento verso la reciprocità del rapporto (coniugando l’amore con il rispetto e il diritto alla differenza di quelli che amiamo), mentre sot-‐tolinea il vincolo, la promessa e l’impegno. La prima cosa da fare, quindi, è porci gratuitamente e incondizionatamente dalla parte dei ragazzi: allo stesso modo in cui Dio promette di «essere con» il suo popolo, nonostante le infedeltà con cui Israele vive l’alleanza, così anche noi dob-‐biamo «essere con e dalla parte» dei giovani.
� PIÙ VITTIME CHE COLPEVOLI…: come sono, cosa vogliono e come ci provocano i ragazzi.
¡ Adolescenti–giovani felici (adesso, con la crisi, un po’ di meno…), istallati «nella quotidianità» (autonomia troncata, allungamento della gioventù e della vita in famiglia…).
¡ IDENTITÀ: non più guidata da modelli ed ideali, bensì costruita per «sperimentazione» (identità aperta, importanza del suo tempo – ozio e tempo libero – e degli «amici»).
¡ LOGICHE VITALI: «doppio vincolo» (obbedienti lungo tutta la settimana, trasgressori durante il weekend) ed «accettazione-‐implicazione distaccata» (conoscono e riconoscono i valori, però non sono disposti a fare l’esercizio di volontà per raggiungerli…).
¡ CENTRI VITALI: famiglia, amici, notte, divertimento e consumo.
� METAFORA (i giovani, a modo loro, ci stanno dicendo: «così come voi siete, voi adulti non ci interessate» –non hanno torto perché veramente non lasciamo loro in eredità un mondo con tanto senso –) e PROFEZIA (il loro modo di vivere va oltre la semplice metafora…).
� «DIREZIONI» DELLA PROFEZIA
¡ RICHIESTA DI ACCOGLIENZA: forse è la generazione che ha – oppure ha avuto – tutto, però… (man-‐canza di «padri», «clima affettivo», «modelli-‐maestri», «autorità»…).
¡ DENUNCIA DELL’ESCLUSIONE: condannati a rimanere «in eterno» davanti allo «sportello della vita». Cosa fare?: «giocare con la vita», divertirsi… (rischio: «angoscia»…).
¡ DESIDERIO DI «SENTIRSI NECESSARI»: paura davanti alla solitudine, bisogno di sentire che qualcuno «conta» su di loro… (rischio: movimento egoistico di sopravvivenza…).
2.2. Il cristianesimo oltre la religione
La religione, da sempre, accompagna l’uomo per portarlo a una sfera particolare di creazione di senso, cercando così di sostenere la precarietà della sua vita e di aprirla al mistero che essa contie-‐ne. Oggi però c’è bisogno di ricollocarla (per tante ragioni: pluralismo religioso, ecc.) e trovare una giustificazione adeguata alla vita contemporanea in grado di far si che l’esperienza religiosa possa davvero apportare senso all’esistenza concreta delle persone.
¡ In fondo, tutti i mali della religione sono conseguenza di un’errata, distorta concezione di Dio: rap-‐presentiamo e presentiamo Dio come di traverso, cioè, abbiamo una concezione secondo la quale Dio sarebbe una realtà, un essere «altro» in relazione con le «realtà del mondo»; «altro» soprattutto in relazione al «soggetto umano». Invece, da un lato, Dio non sta alla nostra portata; dall’altro, le re-‐ligioni gestiscono la spiegazione della divinità secondo e come ogni confessione crede conveniente, dimenticando magari che il fatto religioso è sempre un fatto culturale e storico, un «fatto immanen-‐te», benché con l’obiettivo di mettere in relazione gli esseri umani con la trascendenza.
¡ Pensare e parlare di Dio è estremamente difficile, ma non solo perché trascende tutto, ma anche perché il fatto religioso comporta in sé un’inevitabile ambiguità, può scatenare in noi quello che è più sublime e anche quello che è più terribile, giungendo ad esaltare Dio a costo di umiliare l’essere umano (soprattutto e con speciale insistenza, le due cose che più aneliamo: il potere e la bontà). Così quando abbiamo cercato di superare l’orizzonte ultimo della nostra limitata immanenza, la rappresentazione del Trascendente che abbiamo elaborato ci è venuta male (J.M. Castillo): è venuto fuori un Dio contradittorio o un Dio violento (un «Dio pericoloso», alla fin fine, come purtroppo comproviamo ancor oggi, sia nella violenza più netta e tremenda che nella sibillina espropriazione
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mentale legata ad una fasulla «mistica dell’obbedienza» disposta dai cosiddetti «mediatori religiosi» nell’ingranaggio dell’istituzionalizzazione della religione).
¡ Dio ci è venuto male nell’immagine di «un divino» che non si sposa con «l’umano». Come possiamo uscire da questa specie di dualismo fatale? È proprio qui dove possiamo trovare il contributo fon-‐damentale del cristianesimo.
¡ Da principio e per così dire, il centro del cristianesimo non è Dio, ma Gesù; non è il Trascendente, ma un essere umano; non è il divino, ma l’umano. Noi ci riferiamo innanzitutto al Gesù terreno, na-‐to, vissuto e morto nella Palestina del primo secolo: quell’uomo, quell’essere umano è il centro del cristianesimo proprio perché in Gesù si è manifestato a noi Dio, in lui abbiamo conosciuto Dio, il Dio che nessuno ha mai visto (cf. Gv 1,18; 1Gv 4,12.20). Dunque, incontriamo Dio in un essere umano che appartiene alla nostra immanenza, ovvero, un Dio che è entrato nell’immanenza e si è unito alla no-‐stra condizione umana.
¡ Gesù significa, quindi, che nell’umano e solo nell’umano possiamo incontrare Dio ed entrare in rela-‐zione con Lui. Questo afferma la teologia cristiana quando si riferisce al mistero dell’Incarnazione di Dio in Gesù, cioè, all’evento dell’umanizzazione di Dio. Per noi cristiani, quindi, il quid della storia di Dio con l’uomo risiede nel graduale approfondimento dell’Incarnazione, proprio perché l’essere di-‐vino ci si rivela nell’abbassamento dalla sua grandezza fino ad accreditarsi davanti a noi con una ta-‐glia umana.
¡ Sulla formula dell’Incarnazione, a volte, la teologia si è incagliata fino a bloccarsi di fronte al parlare dell’umanizzazione di Dio: c’è stata, c’è ancora resistenza e persino ripugnanza a utilizzare un lin-‐guaggio che può rappresentare e insinuare un abbassamento, una spoliazione del «divino», fino a essere ridotto semplicemente all’«umano». Non dovrebbe in nessun modo essere così. E c’è di più, se leggiamo attentamente il Vangelo (cf., per esempio, Mt 25) dovremmo riconoscere che, da una parte, l’elemento centrale e determinante del cristianesimo non è la fede o il suo contenuto, ma l’etica (un’etica ovviamente che scaturisce dalla fede o, in altre parole, l’etica è la realizzazione fon-‐damentale della fede); dall’altra parte, l’elemento determinante per la salvezza non è il sacro, ma il profano, ossia, ciò che decide la nostra salvezza, a giudizio di Gesù, non è «il religioso», ma «il laico».
¡ Il progetto cristiano non è tanto un progetto di divinizzazione, quanto un progetto di umanizzazio-‐ne. La «maniera di vivere» di Gesù, quindi, è il criterio per pensare e per parlare di Dio: ecco l’ uma-‐nizzazione di Dio in Gesù. Allo stesso tempo, proprio per questo – sulla base dell’umanizzazione – e anche corretto parlare della divinizzazione di Gesù in Dio (ma questa seconda affermazione sareb-‐be una conseguenza della prima) e della nostra divinizzazione in Gesù.
2.3. Vangelo-‐Stile di vita di Gesù, il Cristo: «ospitalità nel quotidiano
Da quanto detto si evince chiaramente la conclusione: la comprensione del cristianesimo non permette indentificarlo immediatamente come una religione, anzi una corretta interpretazione deve incominciare interpretandolo come un movimento non religioso…
La modernità – di fronte ai modelli di essere-‐vivere fondati sull’essenza, sulla dottrina o sul dogma – introdusse lo «stile di vita» come l’emblema di un modo di abitare il mondo. In questa pro-‐spettiva possiamo definire «il cristianesimo come stile di vita».
¡ Stile di vita di Gesù = «OSPITALITÀ NEL QUOTIDIANO»: 1/ Spossessamento di sé; 2/ A vantaggio o in favo-‐re di una presenza per chiunque. Affrontare la vita CON LO SPIRITO di Gesù: ABBÀ e REGNO per essere cittadini e cristiani responsabili.
¡ FEDE CRISTIANA: è una fede storica, relazionale ed escatologica, cioè, la storia aperta di una relazione. Infatti, in Gesù di Nazaret, il Cristo, tutto è stato detto e donato, ma essendo una storia in corso, tutto è ancora aperto alla sorpresa, all’approfondimento, fino al suo ritorno.
u Siamo davanti ad una crisi culturale che ci obbliga a ripensare/riformulare la fede e l’identità cri-‐stiana: ci parla oggi il Vangelo? Le parole del Vangelo parlano davvero alla Chiesa? Guardando il fu-‐turo, se risulta palpabile l’urgenza di nuove formulazioni della fede e della pratica religiosa, non è meno evidente e necessario un profondo rinnovamento educativo (e comunicativo).
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3 EDUCAZIONE, ESPERIENZA RELIGIOSA E UMANIZZAZIONE
Le comunità educative e i ragazzi più che «in–segnare» (mettere cioè in segni, più o meno fissi, quello che sanno), «si–educano» (educere) tutti insieme, ossia, maturano e crescono ricreando i sim-‐boli della vita e della fede. Purtroppo, la relazione della società e della Chiesa con i ragazzi (e, in gene-‐re le relazioni tra le persone all’interno della società e della Chiesa), troppo spesso si è concentrata più sull’insegnare che sull’educare: all’INSEGNAMENTO corrisponde l’istruzione – decifrare, catalogare e rinnovare segni già saputi –; all’EDUCAZIONE, invece, corrisponde l’iniziazione, ovvero, l’avvicinarsi ai simboli per scoprire i fili dell’esistenza, i vincoli e le relazioni antiche e nuove che ci fanno essere per-‐sone. L’insegnamento porta ad imparare un linguaggio; l’educazione conduce a parlare di per sé stesso.
3.1. Educazione, apprendimento, insegnamento, istruzione ed esperienza religiosa
Anzitutto, è necessario fuggire dell’idea che educare sia sinonimo di modellare le nuove ge-‐nerazioni e inculcare loro i nostri migliori ideali. Così come stanno le cose, dobbiamo rivedere a fondo i concetti di educazione e di istruzione (insegnamento e apprendimento) distinguerli e persino sepa-‐rarli con cura. Affermando, ovviamente, la loro complementarietà ma cercando tuttavia di smasche-‐rare la perniciosa confusione di comprendere l’educazione con la stessa prospettiva dell’istruzione.
¡ Nell’istruzione o nell’insegnamento sempre c’è un qualcosa che si trasferisce da uno che sa ad un altro che ignora, da uno che ha ad un altro che ne manca, da chi da a chi riceve; nell’educazione, no. Allora, possiamo chiederci, con quali verbi educhiamo? Con gli intransitivi!: vivere, crescere, uscire, sorgere, fiorire, fruttificare… Con questi, cambia completamente l’azione educatrice e si capisce meglio che ci educhiamo insieme e, oltre tutto, che «nessuno educa nessuno» (P. Freire) perché nessuno cresce nessuno, neppure lo fiorisce, né lo fruttifica, né lo educa.
¡ Esperienza religiosa e insegnamento della religione: 1/ Tra insegnamento–apprendimento ed edu-‐cazione; 2/ Esperienza, senso e «prassi di autotrascendimento».
«APERTURA» «RELAZIONI» [SENSO] ¡ Con noi stessi
(Incontro) RELAZIONI (Memoria)
INTELLIGENZA (Verità) ¡ Con gli altri VOLONTÀ (Attuare–Felicità) ¡ Con l’«Altro» PSICOLOGIA (Affettività–Sentimento) BIOLOGIA E NEUROFISIOLOGIA ¡ Con le cose (Sensi–«Funzione nervosa»)
3.2. L’«umano autentico»: religione e cittadinanza, dignità e diritti umani
È UNICAMENTE CON L’EDUCAZIONE CHE L’ESSERE UMANO PUÒ ARRIVARE AD ESSERE TALE: noi umani na-‐sciamo tali, senza però esserlo del tutto fino a dopo e, nello sviluppo di questa verità antropologica, dobbiamo scegliere quei valori in grado di favorire questo processo.
Tutti coloro che si occupano di educazione pretendono di mostrarla come «educazione ai va-‐lori», anche se magari colonizzano, cercano di domare o addirittura ricattano le nuove generazioni. In questo senso, diventa necessario trovare un nuovo perno educativo che, in questo preciso momento storico (e tanto più in Italia), sembra trovarsi nella nozione di «CITTADINANZA». «Educar–ci» per diven-‐tare ciò che siamo si può riassumere nell’esercizio dei valori della cittadinanza.
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L’UMANO AUTENTICO è il criterio comune... Tale criterio, dalla prospettiva della religione, deve poter essere letto quale «CRITERIO ETICO» – per indicare la linea di comportamento che rifiuta in radi-‐ce quanto possa contraddire l’umanità – e, alla pari, quale «CRITERIO MISTICO» – in quanto integra l’autenticità umana con l’apertura ad un certo altrove.
¡ Da una parte e vista la situazione socio-‐culturale in cui ci troviamo, ora più che mai l’umanizzazione costituisce la via più adeguata per fissare la meta di ogni progettazione. Abbiamo bisogno di un sa-‐pere primario e universale che verta sulla condizione umana. Siamo nell’era planetaria; un’avventu-‐ra comune travolge gli umani, ovunque essi siano: devono riconoscersi nella loro comune umanità, nello stesso tempo devono riconoscere la loro diversità, individuale e culturale” (E. Morin).
¡ Dall’altra parte, se è vero che […] la fede nei diritti umani e nella dignità umana è la «religione» ca-‐pace di raccogliere consenso in un mondo moderno e individualizzato, allora piuttosto che sprecare energie combattendo vecchie battaglie sarebbe meglio unirle in uno sforzo comune per difendere la dignità umana, in un contesto in cui siamo obbligati a prendere decisioni su una quantità di mate-‐rie continuamente crescente e in cui assai poco si può dare per scontato nei campi della natura e della tradizione (H. Joas).
¡ L’adesione profondamente sentita alla dignità umana sta prendendo un vero slancio nella nostra cultura. Impressiona costatare quanto la dignità umana – per esempio dei bambini, delle donne op-‐pure delle popolazioni oppresse – abbia ispirato nel passato recente e continui a ispirare veri e pro-‐fondi cambiamenti. Il rispetto per l’indisponibilità dell’altro, dunque, deve essere la nostra guida.
¡ Tuttavia, non si tratta di tornare alla fede nella dignità umana universale considerata come la «reli-‐gione dell’umanità» (A. Comte), finendo per definire la moralità dei diritti umani quale «religione dell’uomo», ovvero, una religione dove l’essere umano è allo stesso tempo fedele e divinità. Mi rife-‐risco piuttosto a un obiettivo centrale che hanno in comune il «progetto laico» e il «progetto reli-‐gioso». La «sacralità della persona» non può avere né solo la fonte laica né soltanto quella religiosa.
¡ In questo progetto comune, è necessario progredire nella fondazione e nell’argomentazione; or-‐bene, la dignità e i diritti umani si basano, alla fin fine, su una «volontà di credere» (W. James): sia-‐mo interessati non soltanto alle argomentazione razionali, ma anche alle esperienze costitutive. Vogliamo identificare le origini storiche della credenza nei diritti umani e nella dignità umana; vo-‐gliamo comprendere come questa credenza prenda forma nello sviluppo della personalità indivi-‐duale; e come gli individui contemporanei possano trovare nuovi modi di formulare in modo ade-‐guato una credenza che ha certo profonde radici storiche, ma che ha avuto un impatto forte soltan-‐to a partire dal diciottesimo secolo e soprattutto nella seconda metà del ventesimo (H. Joas).
4 LA SCUOLA DELLA VITA: «EDUCAR-CI» INSIEME AFFRONTANDO LE SFIDE DELLA VITA QUOTIDIANA
Ecco l’argomentazione di base seguita finora: 1. Il cristianesimo costituisce anche una religione che, proprio per quello indicato in precedenza,
cerca una vera e profonda umanizzazione dell’uomo secondo lo «stile di vita» di Gesù. 2. Per altro, è unicamente con l’educazione che l’essere umano può arrivare ad essere tale. 3. Inoltre, sono oggi la dignità universale e i diritti umani – «l’umano autentico» – a indicarci la rotta
della ricollocazione e nuova giustificazione sia della religione che dell’esperienza religiosa. 4. Infine, è arrivato il momento di porre la nozione di «cittadinanza» come nuovo perno educativo,
in rapporto diretto con la dignità umana universale e con i «diritti dell’uomo», per ricostruire vuoi la relazione tra persona, comunità e società civile, vuoi quella fra la politica, l’etica e la religione. Dobbiamo intenderci – persone religiose e laiche o areligiose – e riuscire tutti a vivere «con spiri-‐to» la causa comune dell’umanizzazione, dell’affermazione della dignità e dei diritti di ogni per-‐sona.
4.1. Vita ed educazione: crescere nelle relazioni quotidiane
Lo ripeto: da un lato, dobbiamo rivedere a fondo i concetti di educazione e di istruzione (in-‐segnamento e apprendimento) distinguerli e persino separarli con cura (complementarietà e diffe-‐
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renza); dall’altro, educare è un verbo transitivo, ma «educhiamo con verbi intransitivi»: vivere, cre-‐scere, uscire, sorgere, fiorire, fruttificare… Con questi sinonimi intransitivi, si capisce meglio che CI EDUCHIAMO INSIEME e, oltre tutto, che «NESSUNO EDUCA NESSUNO» perché nessuno cresce nessuno, nep-‐pure lo fiorisce, né lo fruttifica, né lo educa.
¡ CRESCERE NELLE RELAZIONI QUOTIDIANE: relazioni con sé stesso, con gli altri, con «l’Altro», con le cose – visibili e coscienti, ma anche occulte ed inconsce –; relazionarsi sempre meglio, con più realtà, con maggiore profondità e coscienza. Tuttavia, in buona misura, più che stabilire nuove relazioni occor-‐re avvertire o renderci avvertire o renderci conto – nel senso del «portare alla luce» della maieutica socratica – della tante che si ci precedono e nelle quali già eravamo immersi prima, benché senza saperlo, senza esserne cosciente.
u ORIZZONTE COGNITIVO (conoscere critico) SOCIALE («verificare» le relazioni) E MORALE (maturare le scelte) DELL’EDUCAZIONE: la conoscenza della realtà ci trasporta ad un sapere critico, non mera-‐mente acquisito perché saputo e dispensato come una proprietà; la prospettiva sociale riguar-‐da l’evento sempre relazionale con cui si forma la persona umana; l’orizzonte morale si rifà ad un’educazione nella quale abbiamo a che fare con persone che vivono, crescono, si sviluppano – oppure, all’opposto, marciscono e perdono la loro vita – grazie a decisioni proprie e libere, che ognuno valuta alla luce del proprio giudizio sul bene e sul male.
u «CAMMINO EDUCATIVO» – APERTURA, CONOSCENZA E BUON RAPPORTO CON IL MONDO –: 1/ Aprire ogni persona al mondo affinché nessuno inventi la realtà a misura dei propri filtri ed interessi, ma sia in grado di accoglierla rispettandola e ascoltando la sua voce (aprire gli occhi e il cuore per prendere coscienza della realtà effettiva); 2/ Mostrare il massimo possibile della realtà per arri-‐vare a conoscere tutto quanto avvolge la vita delle persone, senza chiuderci ed abituarci al pic-‐colo mondo che ci circonda; 3/ Stabilire una buona relazione col mondo: benché critico, il rap-‐porto con la realtà non può condurre all’evasione, all’inganno o, peggio ancora, alla perdita del-‐la speranza, ma deve portare ad una relazione con la vita e col mondo che cerchi di trascendere sia la vita che il mondo o, con altre parole, un cammino dove la persona arriva a sentirsi prezio-‐sa nonostante si sappia finita perché riesce ad identificarsi con valori che la trascendono e la superano.
4.2. Cittadinanza: affrontare le sfide della vita collettiva
¡ CI EDUCHIAMO «HIC ET NUNC»: le provocazioni che ci sfidano sono perciò concrete, anche se arrivano dall’esterno e dal mondo interno. Non è superfluo ricordarci che affrontare non equivale a risolve-‐re: tra ogni sfida e la sua soluzione esistono molte altre cose. La più importante corrisponde alla presa di coscienza (coscientizzazione), segue poi la verbalizzazione.
¡ LE PAROLE (linguaggio) DANDO FORMA E CONTENUTO A TUTTO: il cardine della crescita umana consiste nel nominare la realtà, nel «disporla in segni», in-‐segnarla oppure tacitarla (poi sarà anche possibile «simbolizzarla). Enunciare si avvicina a creare e a modellare, mentre tacere o ridurre al silenzio con-‐danna alla non-‐esistenza (oggi: «crimine perfetto»!).
u Cittadinanza cosmopolita e responsabile ¡ Dignità universale, diritti umani, giustizia e COMPASSIONE. ¡ «Racconti»: ALLEANZA (Genesi), CONTRATTO (Leviatano) e COMUNITÀ (Repubblica). ¡ Persona, COMUNITÀ e società civile — etica, politica e RELIGIONE.
4.3. «Educar–ci»: progetto e metodo, itinerario e processi educativi
«Educar–ci» presuppone il passaggio dalla progettazione alla programmazione e, soprattut-‐to, determinare con chiarezza il metodo (didattica generale e didattica «in atto» o metodo concreto dell’educare nell’ambito specifico della pastorale o della catechesi). Viene poi l’itinerario e i corri-‐spondenti «processi educativi».
¡ DIDATTICA (generale) o «METODOLOGIA EDUCATIVA»: 1/ La didattica e il linguaggio centrati sul contenuto procedevano in modo assai lineare: il contenuto oggetto di informazione veniva presentato o spie-‐
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Cittadini e cristiani
gato nel linguaggio ritenuto migliore (la non comprensione doveva attribuirsi, essenzialmente, all’ insufficienza del destinatario); 2/ La teoria dell’apprendimento dirà poi che l’insufficienza degli uo-‐mini è dovuta, soprattutto, ad una cattiva organizzazione della società…: in ogni persona, esistono energie vitali fondamentali che consentono di raggiungere livelli di comprensione più elevati o an-‐che sempre più elevati; 3/ Accanto a queste due polarità, si può avanzare una terza tesi – nuova di-‐dattica – che riguarda il rapporto tra dinamismi psicologici, ecc. (cioè apprendimento), società-‐cultura (cioè contenuti) e impegno–metodo (cioè, linguaggi, forme procedurali e «scelte»).
� DIDATTICA CONCRETA: metodo narrativo.
«IRC» e processi educativi: identità, relazioni ed «esperienze di senso»
Or
izzo
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Relazioni
CON NOI STESSI CON GLI ALTRI CON LE COSE CON DIO COGNITIVO SOCIALE (CULTURALE) ETICO («VOLONTÀ»)
� BIBLIOGRAFIA
J.L. MORAL, Ricostruire l’umanità della religione. L’orizzonte educativo dell’esperienza religiosa, LAS, Roma 2014. ID., Giovani e Chiesa. Ripensare la prassi cristiana con i giovani, ELLEDICI, Leumann (TO) 2010. ID., Giovani, fede e comunicazione. Raccontare ai giovani l’incredibile fede di Dio nell’uomo, ELLEDICI, Leumann (TO) 2008.
Materiali per la riflessione e il dialogo M 1 Azione di Dio e azione dell’uomo Dualismo (immanenza e trascendenza)
u AZIONE DI DIO E AZIONE DELL’UOMO
Per cominciare: esiste una «mentalità interventista e miracolistica» che impregna la vita e la pietà di non poche persone e comunità cristiane. Lo si può verificare nel clima di certe celebrazioni o forme di preghiera e culto (per non parlare della struttura interna e i rapporti intra-‐ecclesiali) che rivelano un interventismo carico di «segni dualistici» – mi si consenta questa scarna e polarizzata descrizione –: noi che siamo qui (sulla terra), e Dio che sta «là» (in cielo) misteriosamente vicino alle nostre sofferenze, ma real-‐mente appartato e lontano; e proprio per questo (e anche perché si tratta di un Dio che può far tutto), gli chiediamo che si interessi a noi e sistemi le nostre cose. Tali credenze spontanee si rafforzano, in seguito, con letture ingenue delle narrazioni bibliche, a loro volta profusamente alimentate e diffuse da una letteratura religiosa tradizionale che suscita una valutazione piuttosto negativa di questa vita (terrena), accettata con rassegnazione nell’attesa dell’altra (celeste).
� «ESPERIENZE di autotrascendimento» (autotrascendenza). � «IDENTITÀ»: educazione dell’intelligenza e della volontà.
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u DUALISMO («immanenza e trascendenza»)
Benché possa sembrare un argomento superato, tendiamo a considerare la religione – in mo-‐do quasi spontaneo e inevitabile – come una realtà «che viene dal di fuori», da parte di Dio, un qualco-‐sa di celeste che si sovrappone ad una realtà terrestre: alla ragione si aggiunge «la rivelazione»; alla vita profana, «il sacro». Una volta caduti in questa logica, gli scivoloni sono inevitabili.
Inizialmente, ci creiamo due mondi o zone: una sacra, che appartiene a Dio, e un’altra profana, di nostra proprietà. Alla prima appartiene tutto ciò che è «religioso», quanto cioè facciamo diretta-‐mente per guadagnarci il favore di Dio e per ottenere il suo perdono, in poche parole, ciò che riguar-‐da la salvezza. Nella seconda zona si muove la nostra vita ordinaria («profana» o esterna al tempio) che, in fondo, non costituisce un grande interesse per Dio e che, addirittura, sarebbe meglio negare o «sacrificare» (sacrum facere, e trasformarla così in sacra). Gli errori derivanti dall’immaginare questi due mondi separati – sacro e profano –, con le loro ri-‐spettive sfere – quella di Dio e quella dell’uomo – ci portano a credere che gli interessi delle persone non coincidano con quelli di Dio. Senza contare che, por-‐tando questo dualismo alle sue estreme conseguen-‐ze, arriviamo direttamente ad un pericoloso tranello: poiché per quegli interessi che non coincidono con quelli di Dio dobbiamo chiedere il suo aiuto e la sua protezione, Egli – da parte sua – potrà esigere che, di tanto in tanto, rinunciamo ai nostri interessi per ab-‐bracciare i suoi… e questo lo porterebbe ad essere non tanto amico dell’uomo, quanto una specie di an-‐tagonista, dato che per arricchire Lui, necessariamen-‐te dobbiamo impoverire noi stessi. M 2 Alleanza, contratto, comunità: Persona, comunità e società civile; politica, etica e religione
L’esistenza contiene sempre, da una parte, la paura profonda di scoprire che «tutto sia cau-‐sale», o peggio che «tutto sia assurdo» e, d’altra, un desiderio non meno profondo di infinito e di eternità, di amore e di libertà, di felicità.
La cultura attuale, a modo suo, manifesta il desiderio di conoscere la genesi delle cose, no-‐nostante che il passare del tempo abbia nascosto troppo i simboli antichi e la possibilità della loro traduzione nell’oggi. Per guarire da questa malattia dovuta all’azione del tempo, occorrono almeno due antidoti concreti: adoperare una prospettiva educativa maieutica e ricuperare memoria.
I processi e gli itinerari di educazione, in fondo, non consistono nell’introdurre una qualcosa dall’esterno all’interno delle persone, bensì nell’aiutare a «renderci conto», a dare alla luce l’intimità più profonda di ogni essere umano. Cosi come Socrate – mediante la parola e praticando l’arte della madre (maieutikê: levatrice) aiutava a nascere quanto già stava dentro l’interlocutore, il rapporto educativo (esterno) porta alla luce, mediante un processo di riconoscimento e appropriazione (inter-‐no), l’umanità inviolabile di cui è portatore ogni essere umano […].
Perché la vita personale deve essere vincolata a gruppi e alla società? Perché non possiamo prescindere dalla politica, dall’etica e dalla religione?
La risposta migliore si trova nell’ambito della narrazione simbolica. Nella storia dell’Occiden-‐te, infatti, esistono due racconti che esprimono con particolare chiarezza le dimensioni irrinunciabili dell’essere umano e nel contempo ci mostrano palesemente le forme (anche queste irrinunciabili) della vita delle persone. Mi riferisco alla Genesi del libro della Bibbia – quale racconto dell’alleanza e
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del «riconoscimento reciproco» – e al Leviatano di Hobbes – dove la parola creatrice è il «contratto». Pian piano, sfortunatamente, la seconda storia assorbe la prima e finisce per essere l’unico modo di comprendere i vincoli umani; questo sbilanciamento provocò un grave smarrimento nelle tre dimen-‐sione essenziali dell’esistenza delle persone: la politica perde le sue radici più profonde, l’etica si iden-‐tifica con una fragile morale dell’accordo e la religione, tante volte, si trasforma in arma di lotta o in semplice diritto canonico. È da questo panorama che emerge un terzo racconto o forma di concepire i legami fra gli esseri umani: il repubblicanesimo o la rinascita della narrazione aristotelica, nella quale la comunità politica costituisce la base di qualunque altra forma di relazione, la «res pubblica» cioè è anteriore a qualsiasi altra forma di comunità.
Hobbes attribuisce la nascita dello Stato, la nascita della comunità politica, al sorgere di un contratto fra individui liberi con capacità per sottoscriverlo. La comunità politica, quindi, non si pla-‐sma in modo naturale, come pensava Aristotele. Vale a dire, gli esseri umani non sono per natura animali politici. Lo Stato si crea artificialmente, è una specie di mostro – il Leviatano –, un «uomo arti-‐ficiale», ma di maggior statura e robustezza che il naturale: l’anima che dà vita a questo nuovo corpo è la sovranità; i nervi sono la ricompensa e il castigo, che obbligano a compiere la legge; i suo potere, la ricchezza; il suo lavoro, la salute del popolo. Il Leviatano, inoltre, poggia su un contratto interessa-‐to che favorisce l’individualismo egoista, la ragione calcolatrice e, insomma, la mercantilizzazione del-‐la vita comunitaria.
La Bibbia, nella Genesi, non si riferisce a un contratto, ma al mutuo riconoscimento: non narra di un patto, ma dell’alleanza fra quelli che prendono coscienza della loro identità umana. Si apre così la strada di ciò che adesso chiamiamo «personalismo dialogico». A partire da questo vicen-‐devole riconoscimento di base, il motore della relazione non può essere l’interesse-‐per-‐sé, ma la compassione (patire cum); neanche sarà la forza esterna, imposta coattivamente, ma piuttosto il senso interiorizzato, assunto personalmente, di identità, lealtà, dovere e reciprocità.
Entrambe le storie sono vere e complementari; tutte e due devono essere raccontate, ep-‐pure, negli ultimi due secoli, la parabola dell’alleanza è passata in secondo piano, fino a rimanere pra-‐ticamente nell’oblio. Il contratto, invece, si è trasformato da semplice mezzo per interpretare la for-‐mazione dello Stato e il meccanismo del mercato, a chiave esplicativa di ogni istituzione sociale. Lo stesso repubblicanesimo diventa repubblicanesimo liberale, leggendo l’aristotelico «per natura» nel senso di patto umano. Davanti a tale situazione, nel secolo scorso, si organizza l’alternativa del «mo-‐vimento comunitario» che, tra i suoi obiettivi fondamentali, persegue il rafforzamento della società civile, superando così il discorso liberale per incentrare la vita sociale sulla questione dei diritti e do-‐veri vicendevoli.
� PERSONA, COMUNITÀ E SOCIETÀ CIVILE
Ci troviamo allora con tre sfondi – «Genesi-‐alleanza», «Leviatano-‐contratto» e «Repubblica-‐comunità» – in cui situare le diverse dimensioni o forme della vita umana (etica, politica e religiosa). Anzitutto, tutte e tre le prospettive sono necessarie: l’alleanza non è autosufficiente, poiché rischia di dimenticare l’autonomia senza la quale è facile che la giustizia venga calpestata; altrettanto insuf-‐ficiente è il contratto, giacché le sue radici si alimentano del riconoscimento reciproco; e neanche la comunità basta da sola, dal momento che anche i legami contrattuali dei doveri e dei diritti rimanda-‐no alle fonti del senso, ai fondamenti della vita comunitaria. Quando si dimentica l’importanza della complementarietà delle spiegazioni, troviamo, per esempio, che le generazioni a cui nessuno ha nar-‐rato il racconto delle fonti – delle radici o dei fondamenti del riconoscimento mutuo che si scoprono nell’alleanza –, finiscono per chiedersi perché sia necessario il rispetto e la collaborazione fra tutti, e per non trovare risposta […].
� POLITICA, ETICA E RELIGIONE
La società civile e la politica trovano il loro senso nel riconoscimento reciproco; tuttavia, po-‐litica e società richiedono anche contratti e patti. La combinazione di alleanza, contratto e patto ser-‐
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ve poi per sviluppare le tre dimensioni delle persone, altrettanto concatenate: la dimensione politica, quella etica e quella religiosa.
Indubbiamente la questione centrale della «ragione pratica» moderna – perché da essa di-‐pende l’articolazione fra politica, etica e religione – si gioca tra alleanza, contratto e patto. Contrat-‐tualismo e patti sono la «cifra» della cultura democratica contemporanea e non possiamo fare a me-‐no di introdurre educativamente le nuove generazioni in questo ecosistema moderno, che richiede un clima di dialogo e discussione argomentale; così come non possiamo esimerci dall’aiutarle a com-‐prendere che l’alleanza (il riconoscimento mutuo delle persone) è il presupposto, il fondamento del contratto sociale e di ogni accordo politico.
Se la politica rimanda al contratto e al patto, e l’alleanza costituisce l’humus e il progetto vi-‐tale della religione, l’etica, dal canto suo, si trova fra l’alleanza e il contratto. In altre parole: le norme concrete, i codici etici delle diverse sfere sociali (per esempio: bioetica, genetica, ecoetica, infoetica, ecc.) si stabiliscono tramite accordi e successivamente al relativo processo di dialogo e deliberazione, ma i principi e i valori che gli danno senso e legittimità non sono oggetto di negoziazione […].
I movimenti della politica e dell’etica sono assai diversi da quelli propri della religione. Con essa, anzitutto, ci mettiamo sul terreno dell’alleanza (per questa ragione non c’è dubbio che la reli-‐gione si snatura e si perverte quando viene utilizzata come piattaforma di potere oppure come arma da guerra). Il riconoscimento reciproco mette le persone davanti all’obbligo dell’alleanza (anzi, per noi cristiani, davanti all’immensità della grazia e del dono, davanti alla gratuità di chi si sente debitore per la sovrabbondanza del cuore. Grazia e gratuità, dono e sovrabbondanza che erompono nel rac-‐conto della Genesi e, più ancora, nel Vangelo di Gesù… dato che la legge venne per Mosè, ma fu il Cristo a portarci la grazia, il dono della salvezza).
Nelle nostre società laiche, da una parte non c’è futuro per una religione puramente reatti-‐va, in quanto ci vuole una religione proattiva; dall’altra, abbiamo bisogno di normalizzare il fatto reli-‐gioso. Se la politica deve essere laica – non laicista né confessionale –, la religione dipende in buona misura dai credenti capaci di mostrare che hanno tra le mani qualcosa di realmente prezioso per la vita individuale e collettiva. Sarà anche importante far sì che l’appartenenza ad una comunità creden-‐te sia considerata del tutto normale, come una delle forme possibili della cittadinanza differenziata.
Ebbene, la religione dovrà trasferire le sue risorse di senso alla società, ma non potrà farlo se non rispettando le procedure normative della legittimità culturale e democratica. E neppure sarà sufficiente, nel caso nostro, favorire la crescita e la maturazione di cristiani responsabili: contempo-‐raneamente, si dovrà fortificare la loro cittadinanza con la stessa esigenza di responsabilizzazione nei confronti degli impegni sociali e politici.
J.L. MORAL, Ricostruire l’umanità della religione.
L’orizzonte educativo dell’esperienza religiosa, LAS, Roma 2014, 224-‐233.
Sassari, 17-18 aprile 2015.