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ANNA MARIA SINISCALCHI IL CONSENSO INFORMATO NELL’ATTIVITÀ MEDICA SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il consenso informato e la funzione dell’attività medica. – 3. Le fonti normative del consenso informato. – 4. Il consenso informato nell’evoluzione del sistema della responsabilità medica. – 5. Il consenso del paziente. – 6. L’obbligo di informazione del medico. – 7. Obbligo di informazione e sua autonoma rilevanza. 1. Premessa. Affrontare oggi i problemi che possono ricollegarsi alla manifestazione di volontà del paziente in ordine ai trattamenti medici che lo riguardano significa muovere da alcuni dati incontroversi che, nel noto sviluppo che ha caratterizzato il settore, hanno portato a ridefinire la relazione instaurata tra i soggetti del rapporto di cura 1 . Il punto di partenza da cui procedere è rappresentato dalla constatazione dello sforzo che, attraverso una serie di interventi legislativi, giurisprudenziali e dottrinali, è stato compiuto per garantire al paziente ambiti sempre più ampi di libertà decisionale. 1 Cfr. PASQUINO, Autodeterminazione e dignità della morte, Padova, 2009, p. 52, la quale sottolinea come “l’abbandono del rapporto di tipo paternalistico a vantaggio di un rapporto paritario e collaborativo, è un dato ormai acquisito sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza”.

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ANNA MARIA SINISCALCHI

IL CONSENSO INFORMATO NELL’ATTIVITÀ MEDICA

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il consenso informato e la funzione dell’attività medica. – 3. Le fonti normative del consenso informato. – 4. Il consenso informato nell’evoluzione del sistema della responsabilità medica. – 5. Il consenso del paziente. – 6. L’obbligo di informazione del medico. – 7. Obbligo di informazione e sua autonoma rilevanza.

1. Premessa.

Affrontare oggi i problemi che possono ricollegarsi alla manifestazione di

volontà del paziente in ordine ai trattamenti medici che lo riguardano significa

muovere da alcuni dati incontroversi che, nel noto sviluppo che ha caratterizzato il

settore, hanno portato a ridefinire la relazione instaurata tra i soggetti del rapporto

di cura1.

Il punto di partenza da cui procedere è rappresentato dalla constatazione

dello sforzo che, attraverso una serie di interventi legislativi, giurisprudenziali e

dottrinali, è stato compiuto per garantire al paziente ambiti sempre più ampi di

libertà decisionale.

In questa prospettiva un ruolo determinante hanno assunto il superamento di

una concezione autoritaria e “pubblicistica nella tutela della salute”2 e la differente

considerazione, da parte dell’ordinamento, del sistema di valori riconducibili alla

persona, da cui è derivata una crescente rivalutazione dell’autonomia del malato

nelle scelte che riguardano la propria sfera psico-fisica3. 1 Cfr. PASQUINO, Autodeterminazione e dignità della morte, Padova, 2009, p. 52, la quale

sottolinea come “l’abbandono del rapporto di tipo paternalistico a vantaggio di un rapporto paritario e collaborativo, è un dato ormai acquisito sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza”.

2 PILIA, La tutela contrattuale della personalità nel trattamento medico, in Studi in onore di Giuseppe Benedetti, II, Napoli, 2008, p. 1445 s., il quale evidenzia come “L’autoritarismo, altrimenti detto paternalismo, del sistema si traduceva con riferimento alla posizione del medico nell’attribuzione di una forte supremazia, quasi, una vera e propria potestà curativa verso il paziente”. Nella stessa prospettiva FRANZONI, Dalla colpa grave alla responsabilità professionale, Torino, 2011, p. 201, secondo cui “il modello consegnatoci dalla tradizione ci presentava un paziente abbastanza passivo, sostanzialmente destinatario di scelte di stretta competenza del sanitario, anche quando queste avessero riguardato la qualità della vita”.

3 Sul punto v. FRANZONI, op. cit., p. 195; PILIA, op. cit., p. 1425; FACCI, Il consenso informato all’atto medico: esercizio di un diritto costituzionalmente garantito per il paziente o una “trappola” per il sanitario?, in Resp. civ., 2006, p. 488. Sottolinea come il principio personalista

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Sotto il primo aspetto, il dialogo tra autonomia di scelta nelle cure ed

esigenza sociale di tutela della salute è stato caratterizzato da un alterno e difficile

equilibrio, con tendenze prevalentemente autoritarie che, una volta superate,

hanno ricondotto la tutela della salute in una dimensione prioritariamente

soggettiva ed individuale4. Sotto il secondo, l’emersione di nuovi diritti della

persona ha aperto, in via interpretativa, la strada per il riconoscimento del

fondamento costituzionale del diritto all’autodeterminazione garantendone, come

si avrà modo di chiarire, una tutela sempre più ampia5.

L’acquisita consapevolezza della “strutturale asimmetria di tipo

informativo” fisiologicamente presente nella relazione medico-paziente6 ha fatto

sì che l’attenzione si incentrasse sulle modalità concrete idonee a assicurarne il

superamento, in primo luogo riservando un’attenzione crescente ai profili

informativi7, la cui valorizzazione è risultata determinante per consentire

“permei l’intero dettato costituzionale” ed abbia inevitabili riflessi anche sulla relazione tra medico e paziente, ormai incompatibile con il classico “modello paternalistico-ippocratico” VIMERCATI, Consenso informato e incapacità. Gli strumenti di attuazione del diritto costituzionale all’autodeterminazione terapeutica, Milano, 2014, p. 16 ss.

4 Cfr. PASQUINO, op. cit., p. 55, secondo la quale “il prevalente rilievo dato all’ispirazione personalistica cui è sotteso il sistema costituzionale vigente ha fatto sì che, nel contemperamento dell’interesse della collettività con l’interesse della persona, gli interpreti si orientassero nel senso di riconoscere preminenza a quest’ultimo”.

Analizzando le origini storiche del diritto alla salute individua schematicamente “tre fasi, con differenti qualificazioni del diritto” alla salute, A. GRECO, Il “nocciolo duro” del diritto alla salute, in Resp. civ., 2007, p. 305, secondo cui “nella fase pionieristica la salute era considerata quale mera questione di ordine pubblico; nella fase intermedia, il diritto alla salute veniva qualificato quale tipico diritto sociale, oggi giorno, invece, la salute è individuata come vero e proprio diritto del cittadino”.

5 PUCELLA, Autodeterminazione e responsabilità nella relazione di cura, Milano, 2010, p. 19, il quale osserva che “il riconoscimento di nuovi diritti spettanti al paziente conferisce a quest’ultimo, nel contempo, anche strumenti di tutela per l’ipotesi di loro violazione”; cfr. FACCI, op. cit., p. 488, secondo il quale “negli anni ’90 vi è stato un rinnovato interesse per la persona e per i diritti della stessa di rilievo costituzionale”.

6 PILIA, op. cit., p. 1440.7 Sul punto v. FRANZONI, op. cit., p. 201, secondo cui “la dichiarazione di volontà espressa

con il consenso sta diventando manifestazione del diritto di autodeterminazione dell’interessato. Questo diritto, (…) per poter essere utilmente esercitato, richiede il concorso dell’attività del professionista, che, con l’informazione, colma lo stato di ignoranza dell’interessato. Così l’informazione intelligente rimuove la asimmetria informativa tra le conoscenze del paziente e quelle del professionista medico così da permettere l’esercizio del diritto del primo”. Ritiene che “l’obbligo informativo che grava sul medico, nella prospettiva dell’instaurazione dell’alleanza con il paziente, sembra assumere connotati propri che non si esauriscono nel mero superamento dell’asimmetria informativa (…) non fosse altro perché l’informazione nel rapporto medico-paziente deve necessariamente operare in maniera circolare e reciproca, e deve essere modulata in considerazione di ogni singolo specifico rapporto”

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un’effettiva esplicazione di scelte libere e consapevoli da parte del paziente.

L’informazione è stata sottratta all’area di discrezionalità del medico ed è così

divenuta oggetto di un obbligo giuridico al cui adempimento è tenuto il sanitario8.

Se questo risultato rappresenta uno di quei dati dei quali non è più possibile

dubitare9 è pur vero che l’interprete deve confrontarsi con numerosi problemi

applicativi la cui soluzione richiede una riflessione che tenga conto della natura

giuridica del dovere di informazione, della sua estensione, degli effettivi ambiti

entro cui la sua violazione può essere fatta valere nonché degli strumenti di tutela

concretamente azionabili. L’assenza di un consenso al trattamento sanitario,

peraltro, oltre a fondare, come pacificamente affermato, una tutela risarcitoria

operante sul piano della responsabilità, secondo un’altra prospettiva “assume

diretto rilievo anche ai fini contrattuali”, potendo determinare conseguenze sulla

stessa validità del contratto concluso tra professionista e paziente10.

2. Il consenso informato e la funzione dell’attività medica.

CILENTO, Oltre il consenso informato. Il dovere di informare nella relazione medico-paziente, Napoli, 2014, p. 29.

8 Cfr. PRINCIGALLI, La responsabilità del medico, Napoli, 1983, p. 189, per la quale “il normale clima di fiducia che improntava il rapporto personale tra medico e malato giustificava la scarsa importanza attribuita al tema del consenso. Bastavano le norme deontologiche, la coscienza del professionista e il suo senso morale”.

9 IADECOLA, Ipotesi di disciplina normativa del consenso del paziente al trattamento sanitario e di integrazione della disciplina normativa della perizia nei processi per responsabilità medica, in La Professione. Medicina scienza etica e società, 3, 2008, p. 26, il quale sottolinea come “La regola ordinaria del consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico costituisce principio giuridico e deontologico ormai indiscusso”.

10 In tal senso PILIA, op. cit., p. 1464, il quale ritiene che “L’inosservanza dell’obbligo di informazione (…) deve trovare sanzione oltre che nei vari piani della responsabilità medica, anche nello stesso procedimento di formazione dell’accordo contrattuale. L’omessa, insufficiente, o erronea informazione medica, infatti, dovrebbe inficiare la validità del consenso al trattamento medico e al contratto prestato dal paziente, da non considerare validamente dato”. Secondo l’A. alla “rilettura costituzionale delle norme codicistiche, quanto alla responsabilità medica” che “ha dato impulso ad una completa rivisitazione dell’ampio e articolato sistema della responsabilità civile” non ha fatto seguito un’altrettanto generale rivalutazione dello “statuto complessivo del contratto avente ad oggetto la prestazione delle cure mediche” (p. 1451). Pertanto “Le regole generali in materia di formazione dell’accordo contrattuale, quali sono consacrate nella parte generale della disciplina dei contratti del codice civile (art. 1326), in relazione al trattamento medico dovrebbero superarsi, sotto diversi profili significativi, a favore di soluzioni normative che garantiscano maggiormente la genuinità e libertà del paziente” (p. 1462).

Solleva perplessità sull’idea “dell’informazione come requisito di validità del contratto e del (valido) consenso quale requisito di validità del contratto sotto il profilo dell’oggetto” CARUSI, Atti di disposizione del corpo, in Enc. giur. Treccani, III, Roma, 1998, p. 11, il quale ritiene che “Se consento ad un trattamento di cui non conosco i rischi o gli effetti lesivi, consento a qualcosa di diverso da ciò che il medico effettivamente fa, o solo a una parte delle lesioni che mi procura: e il contratto, lungi dall’essere invalido, è semplicemente inadempiuto da parte del sanitario”.

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Nello studio del consenso informato ha assunto un ruolo centrale

l’individuazione della sua funzione rispetto all’esercizio dell’attività medico-

chirurgica.

È noto come in quest’ambito la giurisprudenza sia stata impegnata a

sciogliere il nodo circa l’intrinseca liceità o meno dell’attività medica e il rilievo

da assegnare al consenso informato prestato dal paziente11. Nel dibattito sono

entrati in gioco numerosi profili di riflessione, tra cui da un lato la considerazione

che l’attività medica è per sua natura idonea a determinare una lesione

dell’integrità fisica del soggetto, dall’altro lo scopo che essa è diretta a realizzare.

Nella prima prospettiva si è ricostruito il consenso come “requisito di

liceità, o causa di giustificazione” in grado di rendere lecita una condotta che

sarebbe caratterizzata dall’illiceità12. Nella seconda, la valorizzazione dello scopo

proprio di tutela della salute ha privilegiato l’idea dell’autolegittimazione

dell’attività medica13, rispetto alla quale il consenso svolgerebbe il diverso ruolo

11 Sul punto v. BILANCETTI, Il consenso informato: prospettive nuove di responsabilità medica, in Il danno risarcibile, a cura di G. Vettori, II, Padova, 2004, p. 1006, il quale evidenzia come l’individuazione della causa di giustificazione dell’attività medico chirurgica “Gia in passato è sempre stato un problema particolarmente dibattuto”.

12 La tesi è richiamata da PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 344.

Afferma il carattere illecito del trattamento medico in assenza del consenso del paziente e precisa che è “il consenso, quale causa di giustificazione, che fa venir meno l’antigiuridicità del fatto lesivo e segna il limite iniziale e finale della liceità”, App. Genova, 5 aprile 1995, in Danno e resp., 1996, p. 215.

In senso critico rispetto alla tesi che “riconduce il consenso al trattamento sanitario nell’ambito dell’esimente del consenso dell’avente diritto” cfr. LALANNE e LANDI, Gli aspetti generali del consenso al trattamento sanitario, in La responsabilità medica. Le responsabilità contrattuali ed extracontrattuali, per colpa ed oggettive, del medico e degli enti sanitari (privati e pubblici), a cura di U. Ruffolo, Milano, 2004, p. 227, secondo i quali “il consenso espresso dal paziente, quanto la conseguente attività terapeutica posta in essere dal medico, non sono fattori di liceità di una lesione dei diritti personali del malato, bensì sono funzionali al pieno esercizio, da parte di quest’ultimo, del proprio fondamentale diritto alla salute”; nella stessa prospettiva v. FACCI, op. cit., p. 487. Affronta di recente il tema FRANZONI, op. cit., p. 197 ss., il quale, dopo aver ricostruito la funzione del consenso dell’avente diritto nell’illecito civile, evidenzia come nell’esercizio dell’attività medica il consenso, “nato all’interno della figura del consenso dell’avente diritto, poi si è appoggiato agli artt. 2, 13 e 32 Cost. che esprimono due diritti fondamentali della persona: quello di autodeterminazione e quello alla salute” (p. 203 s.). Ripercorre l’evoluzione della giurisprudenza sul punto CAMPIONE, Trattamento medico eseguito lege artis in difetto di consenso: la svolta delle S.U. nella prospettiva civilistica, in Resp. civ., 2009, p. 893 s.

13 Secondo la Cass., 23 maggio 2001, n. 7027, in Foro it., 2001, I, c. 2506, “Va premesso, in linea generale, che l'attività medica trova fondamento e giustificazione, nell'ordinamento giuridico, non tanto nel consenso dell'avente diritto (art. 51 c.p.), come si riteneva nel passato, poiché tale opinione, di per sè, contrasterebbe con l'art. 5 c.c., in tema di divieto degli atti di

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di garanzia della libertà di autodeterminazione del malato14. La vivacità del

dibattito sul tema è evidente se si procede ad un’analisi delle posizioni assunte nel

tempo dalla giurisprudenza, dalla quale si evince chiaramente l’alternarsi delle

ricostruzioni appena richiamate.

Alla elaborazione delle diverse posizioni concorre il ruolo che si ritiene di

assegnare agli artt. 5 c.c. e 13 Cost., l’uno relativo ai divieti dettati per gli atti di

disposizione del proprio corpo, l’altro alla libertà personale.

La lettura evolutiva di entrambe le norme ha consentito di chiarire che i

divieti previsti dall’art. 5 non trovano applicazione allorché si tratti di “atti di

esercizio del diritto alla salute”, manifestazione “della sfera soggettiva di libertà

inviolabile del paziente”15, e che l’art. 13 è espressione della libertà, “nella quale è

postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio

corpo”16.

disposizione del proprio corpo, ma in quanto essa stessa legittima, volta essendo a tutelare un bene costituzionalmente garantito, qual è quello della salute”. In senso conforme, Cass., 25 novembre 1994, n. 10014, ivi, 1995, I, c. 2913; ed in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, p. 937 (con nota di FERRANDO, Chirurgia estetica, “consenso informato” del paziente e responsabilità del medico). V. inoltre le considerazioni svolte da IADECOLA, op. cit., p. 29 ss.

14 Sul punto cfr. FACCI, Il rifiuto del trattamento sanitario: validità e limiti, in Contr. impr., 2006, p. 1674, il quale sottolinea come attraverso il consenso all’atto medico il paziente “esercita un proprio diritto di rilievo costituzionale” sicché “il medico che cura una persona non viola la sua integrità anatomo-funzionale (…) bensì esegue e attua la sua libera volontà, espressione del diritto di autodeterminazione”.

15 Così LALANNE e LANDI, op. cit., p. 228 s. Evidenzia come “l’evoluzione dottrinale che si è registrata a partire dalla scarna formulazione dell’art. 5 c.c. vale a dar conto per un verso del progressivo ridimensionamento della norma in esame, in considerazione dell’abbandono di quella logica proprietaria che ne aveva dettato la formulazione e, per l’altro, del valore assunto dal consenso, alla luce del dettato costituzionale” STANZIONE, Attività sanitaria e responsabilità civile, in Danno e resp., 2003, p. 697; secondo PASQUINO, op. cit., p. 53 e nota 39 (cui si rinvia per la sintetica ma efficace panoramica del rapporto tra autodeterminazione e art. 5 c.c. nonché per i riferimenti bibliografici), deve ormai considerarsi superata la lettura restrittiva dell’art. 5 in favore di un’impostazione più moderna ed attuale in forza della quale “il diritto di scegliere in ordine ai trattamenti sul proprio corpo è espressione della libertà personale (…) e deve essere inteso sia in senso positivo, ossia come diritto di decidere liberamente sui trattamenti sanitari cui ci si intende sottoporre, sia in senso negativo, ossia come diritto a non subire atti od interventi sul proprio corpo ad opera di terzi”. Il ragionamento è ripreso dall’A. a p. 145 ss. nella prospettiva dei limiti di ammissibilità del rifiuto delle cure da parte del paziente.

16 È questa la posizione della Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 471, in Foro it., 1991, I, c. 14, la quale ha svolto un ruolo fondamentale nella riconduzione del diritto di autodeterminazione tra i diritti di libertà.

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Su queste basi il consenso si trasforma “da atto che rende lecita la lesione di

un diritto disponibile ad atto che concretizza l’esercizio di un diritto di libertà di

rilevanza costituzionale quale è, appunto, il diritto all’autodeterminazione”17.

Si è così affermata come prevalente, in sede civile, la tesi

dell’autolegittimazione dell’attività medica e si è superata la diversa posizione che

ravvisava nel consenso al trattamento sanitario una scriminante18.

Questa impostazione sembra essere fatta propria anche dalla più recente

giurisprudenza penale, la quale ha avuto modo di affermare che nel «mutato

quadro di riferimento, (…) sarebbe davvero eccentrico continuare a rinvenire

nella sola scriminante del consenso dell’avente diritto, di cui all’art. 50 c.p., la

base di semplice “non antigiuridicità” della condotta del medico», sicché

“l’attività sanitaria, (…) proprio perché destinata a realizzare in concreto il diritto

fondamentale di ciascuno alla salute (…) ha base di legittimazione (…)

direttamente nelle norme costituzionali, che appunto tratteggiano il bene della

salute come diritto fondamentale dell’individuo”19. Diritto fondamentale che

17 PASQUINO, op. cit., p. 53 s.18 LALANNE e LANDI, op. cit., p. 227; cfr. anche PARADISO, op. cit., p. 344. 19 Cass. pen., sez. un., 18 dicembre 2008, n. 2437, in Resp. civ., p. 881 ss., la quale affronta

il tema della valutazione penale della condotta del medico che abbia modificato l’intervento programmato, senza aver preventivamente acquisito il consenso del paziente. L’esito del ragionamento, che si basa sul richiamo delle più significative posizioni giurisprudenziali e dottrinali sul punto, è nel senso di escludere la riconducibilità della condotta del sanitario ad una fattispecie penalmente rilevante, sia ai sensi dell’art. 610 c.p. che dell’art. 582 c.p., nel caso in cui l’intervento sia stato correttamente eseguito e sia ravvisabile un esito positivo. In particolare la Corte nell’escludere la riconducibilità della fattispecie concreta al reato di lesioni personali volontarie aggravato mette in evidenza che per un verso una «condotta “istituzionalmente” rivolta a curare, e dunque a rimuovere, un male non può essere messa sullo stesso piano di una condotta destinata a cagionare quel “male”», per l’altro che “l’antigiuridicità derivante dal mancato consenso al diverso tipo di intervento chirurgico in origine assentito” deve essere valutata tenendo conto delle conseguenze che dall’intervento sono derivate “giacché se l’atto operatorio ha in definitiva prodotto non un danno, ma un beneficio per la salute, è proprio la tipicità del fatto, sub specie di conformità al modello delineato dall’art. 582 c.p., a venire seriamente in discussione” (p. 887).

Riscontra un avvicinamento della posizione della giurisprudenza penale a quella civilistica in ordine al fondamento di legittimità dell’attività medica CAMPIONE, op. cit., p. 889, il quale, dopo aver ripercorso gli incerti orientamenti della giurisprudenza penale nel valutare la condotta del sanitario che abbia agito senza consenso, sottolinea come “il processo evolutivo che ha interessato l’autodeterminazione in campo medico non poteva che porre in evidenza i limiti della prospettiva offerta dall’art. 50 c.p.”. In tale contesto “ha iniziato così ad affacciarsi sul versante del diritto penale la tesi – già affermatasi presso la giurisprudenza civile – dell’autolegittimazione dell’attività medica, avente il pregio di valorizzare l’interesse sociale rivestito dalla pratica terapeutica e di tenere al contempo in adeguata considerazione la rinnovata veste assunta dall’autonomia nelle scelte di cura” (p. 894). Richiama la posizione più recente dei giudici penali

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comporta la libertà di scelta in ordine ai trattamenti medici che incidono in modo

sensibile sulla propria persona e rispetto ai quali l’autodeterminazione rappresenta

momento essenziale ed ineludibile. Sicché, al di là delle complesse e differenziate

posizioni della giurisprudenza penale20 circa la riconducibilità della condotta del

medico che abbia agito in assenza del consenso del paziente ad una fattispecie

delittuosa, sembra comunque emergere chiaramente il riconoscimento del ruolo

centrale da assegnare alla libera e consapevole manifestazione di volontà del

paziente anche nei casi in cui, in ragione della difficoltà di ricondurre il caso

concreto ad una fattispecie penalmente tipizzata, se ne debba, su questo piano,

escludere giuridica rilevanza.

3. Le fonti normative del consenso informato.

Sulla base dell’evoluzione intervenuta a partire dalla nota e già richiamata

sentenza del 1990 della Corte Costituzionale21 il diritto all’autodeterminazione del

paziente assurge al ruolo di diritto fondamentale della persona di rango

costituzionale.

Il principio è accolto ormai pacificamente dalla dottrina e dalla

giurisprudenza che, sempre più di frequente, sono chiamate a valutare la condotta

del sanitario allorché il paziente abbia espresso un rifiuto di sottoporsi alle cure

ovvero non abbia fornito una manifestazione volitiva che sia giuridicamente

apprezzabile quale atto di assenso al trattamento.

Alla regolamentazione della materia concorrono fonti nazionali e

sovrannazionali, dalle quali è possibile cogliere l’attenzione crescente prestata

all’atto di consenso quale strumento “di tutela della personalità del paziente”22.

sul punto FRANZONI, op. cit., p. 205. 20 Il punto è evidenziato da PASQUINO, Consenso e rifiuto nei trattamenti sanitari: profili

risarcitori, in Resp. civ., 2011, p. 169, la quale analizza il problema nella prospettiva del bilanciamento tra il diritto al rispetto delle decisioni del paziente di non sottoporsi al trattamento sanitario e il dovere di intervenire per salvaguardare la vita del paziente. Ritiene che permangano “questioni aperte” in ordine alla rilevanza e all’inquadramento penale delle fattispecie nelle quali il medico sia intervenuto in assenza del consenso del paziente, anche dopo la decisione delle Sezioni Unite del 18 dicembre 2008, GALLI, Il consenso informato nell’attività medico-chirurgica: le controverse posizioni della giurisprudenza penale, in Resp. civ., 2011, p. 452 ss.

21 Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 471, cit.22 PILIA, op. cit., p. 1448 s., secondo cui “La salute e, per certi versi, la vita non sono gli

unici valori tutelati in relazione al trattamento medico, dovendosi essi conciliare con il rispetto di

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Innanzitutto, sul piano della disciplina costituzionale di riferimento, il diritto

all’autodeterminazione, ricavabile dagli artt. 13 e 32 Cost., trova il suo profilo di

massima valorizzazione nella lettura dell’art. 13 Cost. offerta dalla Corte

Costituzionale. La quale, nel riformulare il rapporto tra libertà personale e atti di

disposizione del proprio corpo, ha creato le condizioni per ripensare alla tematica

del consenso al trattamento sanitario in una prospettiva nuova e più incisiva23.

La riconduzione del diritto di disporre del proprio corpo nell’ambito dell’art.

13 ha infatti aperto la strada all’affermazione del diritto all’autodeterminazione

come diritto dal contenuto assai ampio, che consente non solo di scegliere le

terapie cui sottoporsi ma anche di rifiutare le cure, rispetto al quale le scelte

effettuate dal paziente, manifestazioni della libertà personale, sono, di massima,

rimesse alla sua soggettiva valutazione24.

Oltre alle norme costituzionali appena richiamate, un ruolo centrale

nell’individuazione dei principi cardine della materia si ricava dalla lettura della

altre importanti componenti della personalità del paziente e, in specie, la sua libertà e dignità”. Sicché “Il consenso informato del paziente, in pratica, esprime altrettante scelte individuali, di significato complesso, di esplicazione della personalità nel trattamento medico”. Ritiene che “un esempio di uso giurisprudenziale del concetto di dignità” possa ravvisarsi nei casi di violazione dell’obbligo di informazione da parte del medico C. SCOGNAMIGLIO, Dignità dell’uomo e tutela della personalità, in Giust. civ., 2014, p. 82.

23 Cfr. FACCI, op. cit., p. 488, per il quale dopo la sentenza della Corte Costituzionale “il diritto di autodeterminazione (…) non è più collegato al solo diritto alla salute ma è espressione del generale diritto di libertà dell’individuo”. PASQUINO, Autodeterminazione e dignità nella morte, cit., p. 53 ss. L’A. sottolinea come la valorizzazione della libertà personale nelle scelte attinenti alla propria salute ha condotto a considerare il “diritto al rifiuto dei trattamenti sanitari non obbligatori come correlato naturale del diritto ad esprimere un consenso” (p. 55).

24 Sul punto cfr. Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748, in Fam. e dir., 2008, p. 129 (con nota di CAMPIONE, Stato vegetativo permanente e interruzione di cure), la quale espressamente afferma che “il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche quella terminale” e che “deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica incontri un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita”.

Tanto ciò è vero che il dibattito attuale riguarda essenzialmente “le modalità di esercizio” del diritto di rifiutare le cure “ed il tipo di atto con cui esplicitare tale volontà, allorquando la persona voglia farlo in via preventiva per il caso in cui essa si dovesse trovare nella impossibilità fisica e giuridica di prestare il proprio consenso a trattamenti sanitari che la potrebbero riguardare”. Così PASQUINO, Autodeterminazione e dignità della morte, cit. p. 55.

Sul tema la letteratura è vastissima. Si segnalano, nell’ampio panorama, IADECOLA, Rifiuto delle cure e diritto di morire, in Medicina e morale, 2007, 1, p. 96 ss.; FRANZONI, op. cit., p. 213 ss.; CARUSI, Tutela della salute, consenso alle cure, direttive anticipate: l’evoluzione del pensiero privatistico, in Riv. crit. dir. priv., 2009, p. 7 ss.

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Convenzione di Oviedo25, in particolare negli artt. dal 5 al 9, e dal nuovo codice di

deontologia medica introdotto nel 201426 che, apportando significative

innovazioni, dedica specificamente al tema gli artt. dal 33 al 39, riconoscendo ai

doveri informativi una rilevanza che originariamente gli era estranea e che risulta

ulteriormente accresciuta27. In particolare, rispetto al capo IV, del Titolo III –

Rapporti con il cittadino – del codice del 2006, rubricato “Informazione e

consenso”, l’attuale Titolo IV intitolato “Informazione e comunicazione.

Consenso e dissenso” sembra stigmatizzare gli esiti di quel processo evolutivo che

da un lato, come già osservato, ha condotto a ricomprendere il rifiuto delle cure

tra le legittime scelte del paziente, dall’altro a configurare una interdipendenza tra

completezza dell’informazione e adeguatezza della comunicazione in funzione di

una effettiva capacità di comprensione del destinatario di essa.

25 Si fa riferimento alla Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina) firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata in Italia con la l. 28 marzo 2001, n. 145.

26 Il nuovo codice di deontologia medica è stato approvato il 18 maggio 2014 dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

Sottolineano come “la tematica del consenso informato nel settore medico ha ricevuto una prima regolamentazione in sede deontologica” LALANNE e LANDI, op. cit., p. 234. Sulla rilevanza giuridica da assegnare alle norme contenute nel codice deontologico cfr. IADECOLA, Una lettura giuridica del Codice, in La professione. Medicina scienza etica e società, 0, 2006, p. 23 ss.; ZATTI, Il diritto a scegliere la propria salute (in margine al caso S. Raffaele) in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, p. 10 s., secondo il quale le fonti deontologiche svolgono un ruolo importante come “strumenti ermeneutici idonei alla precisazione di principi generali, come quelli dell’adeguatezza dell’informazione, della libertà del consenso, e in ultima analisi del principio di rispetto dell’autodeterminazione”. L’A. ripercorre la “storia dei documenti deontologici” evidenziando la funzione centrale che essi hanno svolto sul tema del consenso informato. Cfr. sul punto CAFAGGI, Responsabilità del professionista, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVII, Torino, 1998, p. 148 s., secondo il quale “in talune pronunce, specialmente di merito, sembrerebbe configurata un’ipotesi di applicazione diretta della norma deontologica al giudizio di responsabilità”.

Si è discusso anche sul carattere vincolante e sulla rilevanza da assegnare alle linee guida: sul punto ci si limita a segnalare le novità introdotte dalla legge di conversione al Decreto legge Balduzzi (l. 8 novembre 2012, n. 189, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), il quale all’art. 3, 1° co., espressamente dispone che “1. L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

27 Sulla rilevanza del consenso informato nel codice deontologico del 2006 v. FACCI, op. cit., p. 486 s., il quale ricostruisce l’evoluzione della normativa sul tema attraverso l’esame delle disposizioni più significative in esso contenute.

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Il tratto che emerge in senso unificante e che determina la base sostanziale

comune di queste discipline, e più in generale delle numerose norme settoriali che

al consenso informato del paziente fanno direttamente o indirettamente

riferimento28, è rappresentato dalla sempre più stretta e rigorosa correlazione che

l’ordinamento istituisce tra esecuzione della prestazione e consapevolezza in

ordine ad essa da parte del paziente.

Se questo risultato è indubbiamente acquisito, deve tuttavia osservarsi che

l’articolazione del sistema richiede un particolare sforzo organizzativo da parte

dell’interprete poiché in questa materia fa difetto un approccio sistematico e molti

sono i problemi ancora aperti29.

Il percorso da compiere al fine di ottenere un esito appagante è, dunque,

ancora lungo, soprattutto se si pone attenzione alle differenti posizioni assunte

dalla giurisprudenza su temi delicati che investono profili fondamentali della vita

umana, e, più in generale, sugli stessi limiti di ammissibilità delle richieste

risarcitorie legate a violazione del dovere di informazione e sui presupposti

necessari per il loro riconoscimento.

Le difficoltà che in concreto la classe medica si trova ad affrontare nello

svolgimento della sua attività professionale risultano particolarmente evidenti nei

casi in cui manchi la possibilità di procedere ad un’ordinaria acquisizione del

consenso per effetto, in primo luogo, dell’urgenza di effettuare l’intervento

chirurgico, pena la compromissione irreversibile della salute del paziente, ovvero

non sia possibile materialmente innescare il processo logico-conoscitivo basato

sull’ordinaria illustrazione informativa degli elementi rilevanti, in quanto il

paziente versa in uno stato che non gli consente di acquisirli e apprezzarli, ovvero,

infine, quando si debba valutare quale rilievo attribuire alla volontà manifestata

dal paziente in un momento anteriore al trattamento terapeutico, nei casi in cui

non sia più in grado di manifestare una volontà attuale. Temi, peraltro, che 28 Per un richiamo alle norme rilevanti nel settore cfr. FRANZONI, op. cit., p. 202 s.,

LALANNE e LANDI, op. cit., p. 232 s.; CILENTO, op. cit., p. 36 ss.29 IADECOLA, Ipotesi di disciplina normativa del consenso del paziente al trattamento

sanitario e di integrazione della disciplina normativa della perizia nei processi per responsabilità medica, cit., p. 28, per il quale l’insufficienza della disciplina normativa determina “fatalmente margini di soggettività e di controvertibilità nelle soluzioni interpretative che vengono proposte in sede giudiziale e dottrinale”.

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trovano uno spazio maggiore nel nuovo codice di deontologia medica, il quale

detta una disciplina più articolata e dettagliata che, nel suo complesso, sembra

accentuare il riconoscimento della libertà di scelta del paziente30.

Ciò nonostante, in quest’ambito, emerge chiaramente l’intento di operare un

bilanciamento tra il rispetto dovuto nei confronti delle determinazioni che il

paziente si vede riconosciute alla stregua di un esercizio legittimo della propria

sfera individuale e la posizione soggettiva del medico, il quale si rappresenti, sulla

base delle conoscenze diffuse e condivise in relazione ad un determinato

trattamento sanitario, l’opportunità, se non anche la necessità, di tenere una certa

condotta curativa in vista della preservazione, nel modo più efficace, della salute

del paziente.

Così, se nell’attuale codice di deontologia medica per un verso si afferma

esplicitamente la necessità di tenere conto delle “dichiarazioni anticipate di

trattamento” espresse dal paziente dopo “un’informazione di cui resta traccia

documentale”, manifestate in forma scritta nonché sottoscritte e datate quando il

soggetto si trovava in uno stato di capacità, per altro verso si rimette al medico la

verifica “della loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto” nel

rispetto della “dignità e qualità di vita del paziente” (art. 38), si riconosce la

“libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità” della professione medica (art.

4) e si ribadisce il principio secondo cui il medico, fornendo “ogni utile

informazione e chiarimento per consentire la fruizione della prestazione”, “può

rifiutare la propria opera professionale quando vengano richieste prestazioni in

contrasto con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico scientifici”

sempre che ciò “non sia di grave e immediato nocumento per la salute della

persona” assistita (art. 22).

L’assetto normativo in questione esprime una non facile soluzione di

compromesso tra principi che si rivolgono alla tutela di interessi in qualche misura

contrapposti: da un lato, infatti, la possibilità di offrire al paziente la capacità di

costruirsi un quadro conoscitivo maggiormente consapevole in ordine al

30 In particolare affrontano specificamente i temi richiamati gli artt. 36, 37 e 38 rispettivamente rubricati Assistenza di urgenza e di emergenza, Consenso o dissenso del rappresentante legale, Dichiarazioni anticipate di trattamento.

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trattamento sanitario non assicura che le scelte conseguenti siano conformi alle

conclusioni cui il medico sarebbe pervenuto sulla base delle regole dell’arte

secondo l’evoluzione tecnologica e i protocolli vigenti. Dall’altro l’emersione di

un valore giuridico autonomo in ordine alla possibilità di esercitare il diritto alla

salute secondo gli stessi dettami costituzionali comporta la necessaria sussistenza

di un’area di potenziale conflittualità tra scelte individuali del paziente e

approccio curativo del medico. Conflittualità che può trovare composizione

operando una diversa valutazione delle situazioni concrete in cui l’intento del

paziente possa essere assunto con certezza da quelle nelle quali ciò non sia, per

differenti ragioni, possibile. In quest’ultimo caso, a fattispecie cui è riservata una

espressa disciplina si affiancano quelle che ne sono prive, rispetto alle quali la

carenza o l’ambiguità normativa rendono difficile pervenire a soluzioni univoche

e certe31.

4. Il consenso informato nell’evoluzione del sistema della responsabilità

medica.

I mutamenti intervenuti negli ultimi anni nell’ambito della responsabilità

medica hanno comportato un ampliamento delle fattispecie risarcibili e, più in

generale, hanno inciso, in modo significativo, sul sistema della responsabilità

civile delle professioni sanitarie. La giurisprudenza ha adottato scelte volte a

garantire una più agevole tutela del paziente ed ha aggravato la posizione del

medico, creando una rivoluzione nel settore, tanto da indurre più di un autore a

configurare un vero e proprio sottosistema della responsabilità civile32. La

31 Evidenzia “l’estrema complessità delle problematiche che ogni giorno gli operatori sanitari sono tenuti ad affrontare” SITZIA, Responsabilità del medico: linee evolutive e sistemi alternativi di composizione delle controversie, in Quaderni di conciliazione, a cura di C. Pilia, Cagliari, 2010, p. 169, secondo il quale “Il problema della responsabilità dell’operatore sanitario, non soltanto di fronte alla propria coscienza, ma altresì dinnanzi all’ordinamento giuridico, è (…) divenuto nelle moderne società occidentali un problema fondamentale, sulle cui cause è opportuno riflettere, anche al fine di prospettare dei, seppur limitati, rimedi”. Sottolinea la necessità di “garantire al medico una giusta certezza su quanto gli si chiede, su quanto può e quanto deve fare soprattutto nelle situazioni critiche (…) al fine di metterlo al riparo dalla incertezza delle conseguenze del suo decidere” ZATTI, Per un diritto gentile in medicina una proposta di idee in forma normativa, in Nuova giur. civ. comm., II, 2013, p. 1.

32 Cfr. per tutti DE MATTEIS, La responsabilità medica, un sottosistema della responsabilità civile, Padova, 1995, passim. Rileva, al riguardo, FAVALE, Profili attuali della responsabilità medica, relazione al Convegno su “La responsabilità degli operatori sanitari” organizzato

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tendenza alla contrattualizzazione dell’attività medica33, unitamente ad una

riduzione del significato tradizionalmente attribuito alla distinzione tra

obbligazioni di mezzi e di risultato34, l’uso sempre più frequente di criteri

presuntivi per valutare la sussistenza di una colpa professionale, il ricorso a

meccanismi di inversione dell’onere probatorio ne sono una prova evidente.

Queste scelte operate in sede applicativa, sebbene ad oggi si siano affermate

principalmente per le professioni sanitarie, stanno avendo riflessi sulle altre

professioni intellettuali, sicché anche in diversi settori comincia a palesarsi il

dall’Università di Camerino, Camerino-Osimo 9-10 maggio 2013, in Annali della facoltà Giuridica dell’Università di Camerino, 2, 2014, Camerino, p. 49, che tale sistema o sottosistema si caratterizza per “la primazia del formante giurisprudenziale”, il che comporta un avvicinamento del “nostro modello di stampo legislativo ad altro, come quello anglo-americano, alimentato dal lavoro quotidiano della giurisprudenza”.

33 Sulla natura della responsabilità medica, dopo l’introduzione della l. 8 novembre 2012, n. 189, il dibattitto è nuovamente in corso. Una sintetica analisi delle posizioni emerse sul punto è offerta da QUERCI, La riforma Balduzzi alla prova della giurisprudenza: il punto di vista del Tribunale di Cremona, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, p. 459 ss. Sul punto cfr. la posizione critica rispetto alla legge in questione di FAVALE, op. ult. cit., p. 53, secondo il quale essa “interviene in guisa a dir poco maldestra, nel sottosistema della responsabilità medica mettendo in pericolo la stabilità del corpo normativo a fatica realizzato dalla giurisprudenza”. L’A., peraltro, sottolinea la diversa tendenza emersa in Germania dove la nuova legge organica sui diritti del paziente entrata in vigore il 26 febbraio 2013 al fine di fare chiarezza nella materia ha integrato “il sistema del formante legale” oltre a “codificare gli orientamenti giurisprudenziali consolidati” (p. 50 s). Analizza, alla luce della più recente giurisprudenza, le diverse soluzioni sul tema della responsabilità medica proposte in Francia KLESTA, La responsabilità medica in Francia: l’epilogo di un percorso movimentato?, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 479 ss.

34 Emblematica di questa linea di tendenza è la pronuncia della Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577, in Resp. civ., 2008, p. 687, con nota di DRAGONE, Le S.U., la vicinanza della prova e il riparto dell’onere probatorio, nella quale si afferma l’irrilevanza della qualificazione dell’obbligazione quale obbligazione di mezzi o di risultato ai fini della distribuzione dell’onere probatorio, che invece deve essere ripartito secondo il criterio della c.d. “vicinanza della prova”.

Solleva dubbi sull’opportunità di rifiutare integralmente la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato PARADISO, La responsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, in Danno e resp., 2009, p. 710, il quale sottolinea come se essa “non vale a introdurre una differenziazione sul piano della disciplina, è invece sommamente opportuna sul piano descrittivo, quando si tratta di individuare l’oggetto della prestazione, perché è rispetto all’oggetto così individuato che si dovrà esprimere il giudizio circa l’adempimento o inadempimento dell’obbligazione”.

Evidenzia come la distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato sia “da tempo al centro di ampie discussioni, che hanno riguardato la stessa terminologia (…) da utilizzare per individuare i due gruppi che la compongono, la costruzione del contenuto proprio di ciascuno di essi ed il regime di responsabilità cui assoggettarli” UGAS, in UGAS e BANDIERA, Commento all’art. 2230, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Dell’impresa e del lavoro, a cura di O. Cagnasso e A. Vallebona, IV, Torino, 2014, p. 639, la quale ripercorre criticamente le principali tesi elaborate in ordine alla richiamata distinzione ed alle implicazioni ad essa connesse.

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fenomeno di erosione dello spazio di irresponsabilità che la tradizione aveva

originariamente riservato ai professionisti35.

È comprensibile che il tema del consenso informato non sia rimasto estraneo

a questo processo evolutivo sicché la giurisprudenza, facendo proprie le

impostazioni più avanzate emerse in dottrina, gli ha riconosciuto ambiti di

rilevanza sempre più ampi, attraverso l’estensione del contenuto degli obblighi

informativi e delle fattispecie nelle quali la carenza di un consenso informato può

essere causa di un giudizio di responsabilità a carico del medico.

Il fenomeno risulta evidente dall’analisi delle decisioni delle Corti sebbene

non manchino momenti di ripensamento che inducono ad un arretramento rispetto

alle posizioni più marcatamente protezionistiche degli interessi del paziente, i

quali danno luogo a contrasti applicativi non ancora risolti.

Volendo tracciare un quadro d’insieme su uno dei problemi più discussi si

richiamerà, nelle linee salienti, il dibattito sull’autonoma rilevanza dell’obbligo

d’informazione rispetto alla valutazione della correttezza dell’attività medica e

dell’esito dell’intervento.

35 Cfr. FACCI, Il consenso informato all’atto medico: esercizio di un diritto costituzionalmente garantito per il paziente o una “trappola” per il sanitario? , cit., p. 488. Sul punto cfr. le riflessioni svolte da COVUCCI e PONZANELLI, Responsabilità civile dell’avvocato: un sistema in evoluzione, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, p. 421 s., secondo i quali è legittimo chiedersi “se il percorso giurisprudenziale seguito in materia di responsabilità medica sarà o meno seguito anche per gli altri professionisti intellettuali, ed in particolare per quello legale”, con la conseguenza che “anche il settore della responsabilità legale sarà attraversato dalla grande crescita conosciuta dalla medical malpractice”. Avverte tale preoccupazione L.V. MOSCARINI, Nesso di causalità e valutazione del danno nella responsabilità delle società di revisione, in ID., Diritto privato ed interessi pubblici, I, Milano, 2001, p. 106 s., per il quale la peculiarità delle professioni intellettuali richiede un’attenta valutazione della situazione concreta che tenga conto dell’attività svolta dal professionista. In tale prospettiva sottolinea l’A. “nella professione di avvocato non è concepibile che se una questione è controversa, l’avvocato che perde la causa risarcisca lui i danni subiti dal cliente a seguito della soccombenza” e pertanto non può operare “una presunzione di colpa perché il professionista avvocato non ha procurato al cliente il risultato vittorioso”. Esamina di recente “il significato ed il ruolo del risultato nel contratto di prestazione d’opera intellettuale” BANDIERA, in UGAS e BANDIERA, op. cit., p. 548, il quale analizza la “nota contrapposizione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato” concentrando “ l’attenzione sul contratto e sul suo oggetto”. Secondo L’A. “Se può affermarsi – aderendo all’idea che esista un’obbligazione di soli mezzi e nonostante le notevoli perplessità implicate da una simile dichiarazione – che il risultato nel senso indicato (cioè quale “valore aggiunto” al quale mira il cliente) resti fuori dal contenuto dell’obbligazione, certo non può sostenersi che lo stesso resti fuori dal contratto e dal suo oggetto. La volontà delle parti e dunque gli interessi che la muovono, costituiscono infatti il motore tanto fondamentale quanto imprescindibile delle determinazioni negoziali”.

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L’analisi delle tesi elaborate sul punto rappresenta un significativo elemento

di riferimento per comprendere l’evoluzione intervenuta negli ultimi anni e per

fare chiarezza su nozioni quali quelle di salute e autodeterminazione spesso

distinte con difficoltà e valutate, anche rispetto ai profili risarcitori, in una logica

di reciproco condizionamento che ha sovente inciso sulla corretta impostazione

dei problemi.

In ogni caso, funzionale ad una corretta comprensione del fenomeno risulta

un’indagine diretta a chiarire le condizioni necessarie affinché il consenso del

paziente possa ritenersi giuridicamente valido nonché le caratteristiche

dell’informazione in ragione della quale l’atto adesivo al trattamento viene

prestato36.

5. Il consenso del paziente.

Alla più recente presenza di norme dirette a dettare regole sulla

manifestazione del consenso del paziente sottoposto ad un trattamento sanitario si

affianca una ricca elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, cui si deve il merito

di aver delineato le caratteristiche essenziali che devono essere presenti ai fini di

una valida manifestazione del consenso al trattamento sanitario. Come infatti si è

avuto modo di evidenziare, la disciplina normativa non risulta pienamente

esaustiva e molti problemi applicativi hanno trovato soluzione grazie ad una

interpretazione del dato normativo volta a specificare i principi generali enucleati

dalle norme che, in ragione della loro genericità e incompletezza, richiedono

un’attenta valutazione ad opera dell’interprete.

Sicuramente un progresso notevole nell’elaborazione di un quadro più

sistematico e coerente è stato compiuto con il nuovo codice deontologico37. Al di

là di tale constatazione e della rilevanza che alle norme deontologiche si ritenga

36 Lo stretto legame che intercorre tra informazione e consenso è chiaramente evidenziato in dottrina. Sul punto cfr. PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, cit., p. 342. Nella stessa prospettiva FRANZONI, op. cit., p. 191.

37 Secondo CILENTO, op. cit., p. 32, si tratta “della prima nonché unica disciplina organica della materia”. Nella stessa prospettiva VIMERCATI, op. cit., p. 55.

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assegnare38, non è attualmente in dubbio che il consenso libero ed informato del

paziente debba essere “considerato prima di tutto alla stregua di un vero e proprio

diritto fondamentale del cittadino europeo, afferente al più generale diritto

all’integrità della persona”39, e costituisca espressione della libertà personale di

colui che lo esercita. Questa consapevolezza, acquisita a seguito di un progressivo

fenomeno di autonomizzazione dei profili inerenti all’autodeterminazione rispetto

a quelli propri del corretto esercizio dell’attività medica40, ha condotto a

configurare possibili fattispecie risarcitorie per violazione del consenso informato

indipendentemente dalla valutazione della condotta del sanitario nell’esecuzione

dell’intervento medico chirurgico, tesi rafforzata nei casi in cui la prestazione

medica si esaurisca in una mera attività di consulenza rispetto alla quale la

rilevanza dei profili dell’informazione e del consenso assumono indubbiamente

una più marcata evidenza41.

Il riconoscimento di una sfera di autonomia del paziente nelle decisioni

relative alla propria salute comporta, coerentemente con l’ambito di libertà di cui

dispone, che il consenso debba essere espressamente formulato dal soggetto cui è

rivolto il trattamento42. In questa prospettiva emblematiche risultano alcune

38 Sottolinea la incerta rilevanza delle norme deontologiche nel sistema delle fonti VIMERCATI, op. ult. cit., p. 60 ss., la quale ripercorre le principali tesi elaborate sul tema. Per una recente analisi delle posizioni assunte dalla Cassazione in ordine alla natura giuridica delle norme deontologiche v. A. MOSCARINI, Fonti dei privati e Globalizzazione, Luiss University Press, 2015, p. 70 ss., secondo la quale “il fenomeno dell’autodisciplina degli ordini professionali (…) si colloca (…) in una condizione intermedia tra la sostituzione della fonte privata a quella pubblica ed il rinvio che fonti di natura pubblica facciano ad organismi rappresentativi di interessi collettivi”, p. 63.

39 In tal senso si esprime il Comitato Nazionale di bioetica nel documento del 18 dicembre 2003, in particolare nell’art. 3, Diritto all’integrità personale, del Titolo I. Dignità. Sul punto cfr. FRANZONI, op. cit., p. 219.

40 Cfr. C. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 82 s.; FACCI, Il rifiuto del trattamento sanitario, validità e limiti, in Contr. impr., 2006, p. 1675 s.

41 PARADISO, op. ult. cit., p. 342, secondo cui “l’informazione può ben costituire il solo oggetto del contratto o comunque della prestazione medica, come avviene nel consulto o nelle stesse analisi cliniche di norma eseguite da soggetti diversi dal medico che ha in cura il paziente”.

42 Nel caso di soggetto minore o incapace, l’art. 37 del codice deontologico stabilisce che “Il medico (…) acquisisce dal rappresentante legale il consenso o il dissenso informato alle procedure diagnostiche e/o agli interventi terapeutici”.

Richiama la dottrina secondo cui il consenso può “essere validamente manifestato anche nell’ambito di un rapporto di rappresentanza” ed evidenzia il rilievo riconosciuto in queste ipotesi all’amministrazione di sostegno CILENTO, op. cit., p. 25 s., e nota 41 e 42 cui si rinvia per i riferimenti bibliografici sul punto. Analizza diffusamente i poteri dell’amministratore di sostegno e

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decisioni recenti dove si afferma, in linea di continuità con le tesi già emerse nella

giurisprudenza più risalente, l’impossibilità di ritenere utilmente prestato il

consenso espresso da soggetti diversi dal paziente capace, anche nelle ipotesi in

cui essi, oltre ad essere legati da vincoli di parentela, abbiano, in ragione della

professione che svolgono, una competenza specifica nel settore. In tale prospettiva

si colloca la sentenza della Corte di Appello di Roma del 23 novembre 2009, n.

4617, secondo la quale “i sanitari non avevano assolto all’onere di provare il

consenso informato della paziente sulla natura dell’operazione con riferimento ai

risultati sull’obesità e ai rischi prevedibili (…) non surrogabile dalle informazioni

acquisite dal fratello medico” 43.

Affermato tale principio, in dottrina e giurisprudenza si è posta attenzione ai

casi nei quali il paziente si trovi in una situazione di incoscienza44 che non gli

consenta di manifestare le proprie intenzioni e tuttavia il medico debba intervenire

con urgenza. In queste ipotesi, laddove un eventuale ritardo possa comportare un

rischio per la vita o un grave pregiudizio alla salute, l’idea consolidata, pur nella

diversità della causa giustificativa dell’atto medico45, è nel senso che sia possibile

ripercorre la giurisprudenza che ha contribuito a riconoscere all’amministratore di sostegno il potere di esprimere il consenso informato “in nome e per conto del proprio assistito” VIMERCATI, op. cit., p. 196 ss.

43 La decisione è confermata dalla Corte di Cassazione del 21 settembre 2012, n. 16047, che rigetta il ricorso incidentale proposto dal primario e dall’assistente con cui si deduceva che i giudici di merito non “avevano correttamente valutato la testimonianza resa in sede penale dal fratello” della paziente, “medico tirocinante presso l’ospedale (…), secondo cui egli stesso aveva prospettato a sua sorella la tecnica del bendaggio gastrico e le aspettative che poteva avere da questo tipo di intervento”, in Riv. it. med. leg., 2013, p. 1573 ss., con nota di GABBANI. Escludono che “i familiari del malato” possano “prendere decisioni in vece di quest’ultimo, ovvero essere informati sul suo stato di salute” in ragione dell’esigenza di assicurare la massima tutela “dei dati personali cd. sensibili” LALANNE e LANDI, op. cit., p. 251 s. Configura il consenso o il dissenso del paziente quale “atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile” l’art. 35, comma 1 cod. deontologico.

44 Sul punto v. FRANZONI, op. cit., p. 206 ss., il quale ritiene che di fronte ad una situazione di urgenza si sia in presenza di una “deroga” alla “regola del consenso”. Cfr. VIMERCATI, op. cit., p. 204, e nota 17, la quale sottolinea come la sussistenza di uno stato di necessità “non consente di rinviare sine die la decisione in merito al percorso clinico” del paziente e “subentra la diretta applicazione di cui agli artt. 54 c.p. e 2045 c.c.

45 V. sul punto BILANCETTI, Il consenso informato: prospettive nuove di responsabilità medica, in Il danno risarcibile, a cura di G. Vettori, II, Padova, 2003, p. 1041 ss.; Ripercorrono la posizione della dottrina e della giurisprudenza sul tema LALANNE e LANDI, op. cit., p. 249.

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procedere comunque all’intervento in ragione dell’esigenza di garantire la

salvaguardia dell’interesse fondamentale all’integrità fisica46.

Ulteriori problemi si pongono qualora, antecedentemente alla perdita di

capacità, il paziente abbia manifestato la volontà di non sottoporsi a determinati

trattamenti sanitari47. La letteratura e la casistica, particolarmente ampia con

riguardo al rifiuto di terapie trasfusionali per motivi religiosi48, dimostra la

difficoltà di coniugare diritto all’autodeterminazione e diritto alla vita e pone

all’attenzione dell’interprete il tema della rilevanza da attribuire alla volontà

pregressa del paziente ed al modo in cui essa vada intesa e coordinata con il

requisito dell’attualità del consenso. Certamente il codice deontologico del 2014

sembra fornire un maggiore rilievo alle dichiarazioni anticipate di trattamento

perché nella nuova formulazione dell’art. 36 ad esse si fa espresso riferimento e si

stabilisce che anche in situazioni di urgenza ed emergenza debbano essere tenute

in conto “se manifestate”49.

46 Ritengono “la questione del fondamento giuridico della possibilità di intervento diretto del medico in situazioni di emergenza (…) in massima parte, superata” dalla previsione contenuta nell’art. 8 della Convenzione di Oviedo LALANNE e V. LANDI, op. cit., p. 250.

47 In tal senso FRANZONI, op. cit., p. 222 ss., il quale peraltro richiama, a titolo esemplificativo, una serie di casi che si sono verificati in contesti culturali diversi e le relative soluzioni prospettate.

Sul punto cfr. anche PASQUINO, Consenso e rifiuto nei trattamenti sanitari: profili risarcitori, cit., p. 169, che incisivamente evidenzia la difficoltà per il sanitario di assumere una decisione “lecita e coerente con i precetti normativi” tale da consentirgli di “rispettare ed osservare il dovere di non ledere il principio di autodeterminazione del paziente” ed “evitare di incorrere in qualsiasi forma di responsabilità civile” o “anche (…) penale” quando si trovi in presenza di un rifiuto del paziente in pericolo di vita.

48Al tema è stata riservata ampia attenzione. Tra i tanti contributi cfr. FUCCI, Ancora una pronuncia in favore dell’obiezione di coscienza rispetto all’esecuzione di trattamenti sanitari, pur in presenza di un pericolo di vita, in Resp. civ., 2010, p. 514 ss.; MIGHELA, Trasfusioni eseguite contro la volontà del paziente e risarcimento del danno da lesione della libertà di autodeterminazione, ivi, 2009, p. 899; BUSI, “Sangue o no sangue?” questo è il problema…dei medici”, in Corr. merito, 2009, p. 492 ss.; FORTE, Il dissenso preventivo alle trasfusioni e l’autodeterminazione del paziente nel trattamento sanitario: ancora la Cassazione precede il legislatore nel riconoscimento di atti che possono incidere sulla vita, in Corr. giur., 2008, p. 1674 ss.; FACCI, I medici, i Testimoni di Geova e le trasfusioni di sangue, in Resp. civ., 2006, p. 932 ss.; SANTOSUOSSO e FIECCONI, Il rifiuto di trasfusioni tra libertà e necessità, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 38 ss.

49 A completamento di tale previsione peraltro l’art. 38, comma 2 cod. deontologico afferma che “in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà cognitive o valutative che impediscono l’espressione di volontà attuali” quanto dichiarato anticipatamente in ordine ai trattamenti comprova “la libertà e consapevolezza della scelta sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non si desidera vengano attuati”.

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Con riferimento alla modalità di acquisizione del consenso, la scelta operata

nel precedente codice del 2006 era nel senso di non porre vincoli di forma salvo i

“casi previsti dalla legge” o i “casi in cui per la particolarità delle prestazioni

diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla

integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà

della persona” (art. 33)50. Anche alla luce della nuova normativa rimane ferma la

possibilità di acquisire il consenso ovvero il dissenso verbalmente. Tuttavia si

precisano e si ampliano le ipotesi nella quali la forma scritta è necessaria51. Nello

specifico si ha riguardo ai casi nei quali essa è richiesta “dall’ordinamento e dal

Codice” nonché a quelli “prevedibilmente gravati da elevato rischio di mortalità o

da esiti che incidano in modo rilevante sull’integrità fisica” (art. 35).

Tra le ipotesi previste dal Codice per le quali è richiesto il consenso

informato in forma scritta rientrano gli interventi estetici e di c.d. medicina

potenziativa (art. 76).

La giurisprudenza ha comunque avuto modo di precisare come, anche nei

casi di un consenso scritto, bisogna procedere ad un’indagine concreta volta a

verificare l’effettiva adeguatezza dell’informazione, la cui insufficienza può

essere comunque provata indipendentemente dalla sussistenza di una formale

manifestazione adesiva al trattamento. Il valore da riconoscere al modulo

sottoscritto dal paziente, da cui si evince il consenso informato, deve essere

diversamente valutato in ragione del contenuto che lo caratterizza. Laddove esso

risulti generico non è idoneo come prova dell’adempimento dell’obbligo di

informazione né può far presumere che sia intervenuta una completa informazione

orale, circostanza che deve essere provata da parte del sanitario52. Peraltro, in

50 Cfr. sul punto LALANNE e LANDI, op. cit., p. 245 s.; FACCI, Il consenso informato all’atto medico: esercizio di un diritto costituzionalmente garantito per il paziente o una “trappola” per il sanitario?, cit., p. 487. Ritiene che la “forma ricopre un ruolo non primario (…) (data la necessità di una comprensione reale e di sostanza ad opera del paziente)” PUCELLA, op. cit., p. 225.

51 All’acquisizione del consenso o dissenso “in forma scritta e sottoscritta” l’art. 35, comma 3 cod. deontologico equipara “altre modalità di pari efficacia documentale”.

52 Sul rapporto tra prova del consenso informato e sottoscrizione del modulo di adesione cfr. Cass., 9 dicembre 2010, n. 24853, che ha riformato la sentenza della Corte d’Appello di Milano (n. 2399/2005) secondo la quale la dimostrazione della prestazione del consenso informato poteva ricavarsi dalla “sottoscrizione da parte della paziente di un modulo predisposto a stampa”. La Suprema Corte, a tal riguardo, ha affermato che “la completa e corretta informazione non è un dato che possa desumersi dalla mera sottoscrizione di un modulo del tutto generico”, precisando

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coerenza con quanto appena richiamato, la giurisprudenza ha altresì chiarito che il

consenso deve espressamente riferirsi ad ogni singola fase in cui si articola

l’attività medica, non essendo sufficiente una generica accettazione del

trattamento. Aspetto che mostra i suoi elementi di maggiore problematicità nelle

ipotesi in cui si renda necessario modificare, in corso di intervento, la prestazione

sanitaria così come inizialmente prospettata al paziente e rispetto alla quale il

consenso era stato compiutamente acquisito.

6. L’obbligo di informazione del medico.

Attraverso il superamento dell’asimmetria informativa che caratterizza la

relazione di cura si può realizzare l’effettiva partecipazione del paziente alle scelte

terapeutiche che lo riguardano, dando concreta attuazione al diritto

all’autodeterminazione.

Il ruolo dell’informazione diviene centrale in quanto la sua idoneità a fornire

al paziente una piena conoscenza in ordine all’attività medica cui deve essere

sottoposto rileva come parametro determinante per operare una valutazione della

stessa validità del consenso53. Come già sottolineato, l’alleanza terapeutica che

caratterizza l’attuale modello relazionale tra medico e paziente, espressamente

rimarcato nell’art. 20 del codice deontologico che chiaramente lo costruisce come

schema fondato “sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti,

e su un’informazione comprensibile e completa”, richiede che vi sia stata la

possibilità di acquisire le informazioni utili per l’effettuazione della scelta

peraltro che la prova di aver fornito tutte le informazioni del caso grava sul medico, principio disatteso dalla decisione impugnata. La sentenza si legge in Resp. civ., 2011, p. 829, con nota di MIOTTO, La prova del «consenso informato» e il valore di confessione stragiudiziale delle dichiarazioni rese nel «modulo» di adesione al trattamento terapeutico; Ritiene che “la sottoscrizione del modulo attesta soltanto l’avvenuto svolgimento del processo di formazione della decisione del paziente, ma non può sostituire tale processo” il che comporta “delle evidenti implicazioni in punto di tutela del paziente nonostante la sottoscrizione del modulo” GORGONI, Il diritto alla salute e all’autodeterminazione nella responsabilità medica, in Obbl. e contr., 2011, p. 194. Sul punto cfr. anche PUCELLA, op. loc. ult. cit., per il quale la sottoscrizione di un modulo prestampato e generico può non essere “condizione sufficiente” al fine di realizzare la funzione informativa, la quale, all’opposto, potrebbe essere soddisfatta da una completa e adeguata informazione orale; FAVALE, op. cit., p. 64.

53 STANZIONE, op. cit., p. 697, secondo cui “se della necessità logica oltre che giuridica del consenso nessuno è più disposto ragionevolmente a dubitare, allorché si prescinde dalle astratte affermazioni ci si avvede come il consenso validamente prestato presupponga un’informazione la cui chiarezza e comprensibilità è in funzione di fattori sia soggettivi che oggettivi”.

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maggiormente conforme alla propria valutazione soggettiva, possibilità che

sarebbe in concreto preclusa tanto dalla mancanza di informazione quanto dalla

sua inadeguatezza rispetto alla prestazione che costituisce oggetto del contratto di

cura54.

È evidente che l’informazione, assumendo una funzione strumentale rispetto

al consenso55, deve essere fornita in modo da rendere edotto il paziente su tutti gli

elementi utili allo scopo, relativi sia alla natura del trattamento che ai rischi

connessi, tenendo conto dello stato dell’arte e delle conoscenze tecniche del

settore. Anche sotto questo profilo la nuova disciplina deontologica indica più

chiaramente, rispetto al passato, quale sia l’estensione dell’obbligo informativo

prevedendo espressamente “un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla

prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia

e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e

complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel

processo di cura” (art. 33).

Per un verso, dunque, la completezza e sufficienza dell’informazione

devono essere valutate in relazione alle caratteristiche della prestazione chirurgica

che il medico è chiamato ad adempiere, per un altro, devono essere commisurate

alla possibilità del soggetto di avere una piena comprensione della loro effettiva

portata, con la conseguenza che il medico dovrà scegliere quelle modalità di

comunicazione che consentano una reale possibilità di intendimento in ordine alle

vicende che complessivamente riguardano l’attività medico-chirurgica da

espletare56.

54 Cfr. FACCI, Il consenso informato all’atto medico: esercizio di un diritto costituzionalmente garantito per il paziente o una “trappola” per il sanitario?, cit., p. 489, il quale sottolinea che «se la funzione del consenso è quella di “rafforzare l’alleanza terapeutica tra professionista e paziente” l’informazione deve essere resa in modo che egli sia in grado di comprenderla» (p. 490).

55 Cfr. PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, cit., p. 342.56 STANZIONE, op. cit., p. 697, il quale peraltro precisa che “i contenuti dell’obbligo

informativo (…) andrebbero misurati alla luce di un criterio soggettivo ponderato, dove il richiamo non è alla “ragionevolezza” dell’informazione, ma ad un paziente ragionevole, escludendosi in tal modo tutte quelle informazioni che riguardano rischi di lontana verificabilità o che potrebbero pregiudicare la tranquillità del paziente”. Sul contenuto dell’informazione cfr. FACCI, op. ult. cit., p. 489. Sulla misura dell’obbligo informativo cfr. di recente E. CARBONE, Obbligo informativo del medico e qualità professionali del paziente, in Giur. it., 2014, p. 2349 ss. Il nuovo codice deontologico oltre a ribadire la necessità di una comunicazione adeguata alla capacità di

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Con riguardo alla qualità del soggetto la giurisprudenza recente ha precisato

che essa può “incidere (…) sulle modalità di informazione”57 ma è irrilevante al

fine di far presumere il consenso del paziente il quale, al pari degli altri soggetti

sottoposti alle cure, deve assentire al trattamento manifestando “una volontà

effettiva e reale”. In caso contrario si arriverebbe ad «escludere rilevanza causale

alla mancanza di consenso informato in caso di paziente “medico”»58, esito

difficilmente condivisibile e giustificabile.

Sul versante delle caratteristiche proprie dell’attività svolta dal sanitario si

sono distinti gli interventi di chirurgia riabilitativa da quelli estetici accentuando,

in quest’ultimo caso, la rilevanza del dovere d’informazione59. Dopo la nota

comprensione del paziente o del suo rappresentante legale, stabilisce che si deve tenere conto della “sensibilità e reattività emotiva dei medesimi, in particolare in presenza di prognosi gravi o infauste”(art. 33, comma 2).

57 Sul punto cfr. CILENTO, op. cit., p. 76.58 Cfr. Cass., 27 novembre 2012, n. 20984, in Giur. it., 2014, p. 276 s. Nel caso di specie la

circostanza che il paziente fosse medico e lavorasse nella stessa struttura nella quale il trattamento era stato effettuato aveva indotto il giudice di merito a ritenere che la terapia fosse stata consapevolmente accettata pur in mancanza di una dichiarazione scritta. Al riguardo, la Suprema Corte ha ritenuto che la Corte di Appello aveva presunto erroneamente, sulla base delle circostanze richiamate, che il paziente fosse d’accordo con la terapia, operando una confusione tra “consenso presunto”, inammissibile, e “prova di un consenso reale effettivo” possibile, in mancanza di un documento scritto, anche “attraverso testimonianze ed indizi”. La sentenza può inoltre leggersi in Danno e resp., 2013, p. 743 ss., con nota di CLINCA, Ragionamento presuntivo e consenso informato: il no della Cassazione al “consenso presunto” nel caso di paziente medico; in Ragiusan, 348/2013, p. 234 ss., in Rass. dir. farm., 2013, p. 77 ss.; in Riv. it. med. leg., 2013, p. 1497 ss., con nota di CACACE, Medice, cura te ipsum? Il diritto all’informazione del paziente-medico (e qualche altra questione sul consenso al trattamento).

Esclude la rilevanza di un consenso presunto in ragione della qualità soggettiva del paziente anche Cass., 20 agosto 2013, n. 19220, la quale sottolinea come la circostanza che il paziente fosse un avvocato non può “far presumere che lo stesso prima di apporre la sottoscrizione al modulo abbia vagliato tutte le conseguenze, essendo pienamente edotto sull’importanza di tale sottoscrizione nell’economia del contratto di prestazione sanitaria”. Ad avviso della Corte le argomentazioni dei giudici di merito non sono condivisibili anche in considerazione della situazione concreta nella quale “il foglio prestampato contenente l’informativa relativa all’intervento pacificamente non è stato prodotto agli atti, sicché non è dato conoscerne il contenuto, ed è stato fatto sottoscrivere da una segretaria nell’imminenza dell’operazione”. La sentenza può leggersi in Giur. it., 2014, p. 275 s. (da cui le successive citazioni); in Ragiusan, 351/2013, p. 149 ss.; in Rass. dir. farm., 2013, p. 780 ss.; in Giust. civ., 2013, I, p. 2345 ss., con nota di E. CARBONE, Obbligo informativo del medico e qualità professionali del paziente.

Entrambe le sentenze hanno costituito oggetto di un commento unitario da parte di SALERNO, Consenso informato in medicina e qualità soggettive del paziente, in Giur. it., 2014, p. 277 ss.

59 Sul punto LANDI, La disciplina del consenso al trattamento sanitario in alcuni ambiti specifici, in La responsabilità medica, cit., p. 263 ss., il quale ripercorre i principali orientamenti giurisprudenziali che si sono affermati sul tema. Richiama la giurisprudenza che ritiene necessaria una informazione più incisiva nei casi di chirurgia estetica e quella che opera la distinzione tra chirurgia estetica e plastica FACCI, op. ult. cit., p. 490.

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sentenza della Cassazione del 25 novembre 1994, n. 1001460, tale distinzione

sembra consentire una diversa lettura della tesi che ritiene particolarmente

pregnanti – per gli interventi estetici – gli obblighi informativi. Infatti la Corte, nel

ribadire il principio secondo cui “un consenso immune da vizi (…) presuppone

una completa informazione (…) da parte del sanitario o del chirurgo”, precisa che

non può “distinguersi, sotto questo profilo, tra chirurgia riabilitativa e chirurgia

estetica”.

È evidente che, secondo questa prospettiva, l’adeguatezza dell’informazione

deve essere valutata in base all’idoneità in concreto a fornire una piena

conoscenza al paziente di tutti gli elementi funzionali alla scelta, sicché il settore

che caratterizza l’attività, più che fungere da criterio astratto idoneo ad attribuire

un diverso peso all’informazione, rappresenta uno degli elementi di valutazione

che concorre a determinarne il contenuto61. Diversamente, l’applicazione di un

criterio distintivo basato esclusivamente sulla differente tipologia di attività

svolta finisce per dar vita ad un sistema estremamente rigido che rischia di

sovrapporsi alle reali esigenze conoscitive, le quali sussistono e devono essere

soddisfatte sempre e comunque compiutamente. Invero, ciò che assume rilievo,

come sottolineato, è la situazione di squilibrio informativo che fisiologicamente

caratterizza la relazione di cura, che non risulta tanto dal tipo di attività

aprioristicamente considerata ma è funzionalmente collegata alla debolezza del

paziente superabile, nel singolo caso, grazie alla possibilità di garantire una piena

partecipazione al processo decisionale mediante un quadro chiaro e articolato in

ordine al trattamento di volta in volta previsto. Questa conclusione non è smentita

ma, al contrario, trova conferma nella scelta operata dal nuovo codice

deontologico che dedica alla medicina qualificata “potenziativa ed estetica”

un’apposita norma, l’art. 76. Tale disposizione non individua uno specifico

contenuto dell’informazione da fornire al paziente ma detta più in generale regole

sul corretto comportamento del medico, il quale, in presenza di “attività

diagnostiche terapeutiche con finalità estetiche” oltre ad assicurare idonee

competenze, massima sicurezza nelle prestazioni erogate”, e ad individuare 60 La sentenza può essere letta in Foro it., 1995, I, c. 2914.61 In tal senso LANDI, op. ult. cit., p. 265.

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“possibili soluzioni alternative di pari efficacia”, deve evitare, “nell’informazione

preliminare al consenso scritto”, di suscitare o alimentare “aspettative illusorie”.

Proprio da quest’ultima previsione emerge chiaramente la necessità che, in vista

del risultato perseguito dal paziente, il miglioramento della sua condizione

estetica, l’informazione sia veritiera, completa ed esaustiva. Al riguardo occorre

rilevare che, mentre la giurisprudenza ha più volte posto l’accento sulla necessità

di ricomprendere nel contenuto informativo da fornire al paziente l’indicazione in

ordine alla possibilità di ottenere un miglioramento estetico rispetto alla situazione

originaria, solo di recente essa ha ulteriormente affermato che “la valutazione dei

miglioramenti estetici deve estendersi ad un giudizio globale sulla persona come

questa risulterà dopo l’intervento”. Si tratta con tutta evidenza di un ulteriore

ampliamento del contenuto dell’obbligo informativo la cui previsione ha destato

non poche perplessità62.

In ogni caso, ed oltre i particolari problemi posti dalla chirurgia estetica, la

dimensione della reale conoscenza da parte del paziente di tutti gli elementi utili

alla formazione del suo convincimento rappresenta un elemento costante per la

valutazione del contenuto dell’obbligo informativo posto a carico del medico

come si evince chiaramente dalla giurisprudenza secondo la quale è insufficiente

un’informazione generica nei casi in cui l’intervento si articoli in più fasi e

comporti rischi specifici per ciascuna di esse63, nonché da quella che ritiene

responsabile il sanitario che non abbia adeguatamente informato il paziente su

carenze della struttura in cui la prestazione deve essere eseguita.

La progressiva estensione dell’obbligo di informazione si coglie anche dalla

diversa rilevanza attribuita al criterio tradizionalmente assunto, secondo cui i

rischi da comunicare dovrebbero essere prevedibili64 al fine di evitare che il

paziente possa rifiutare un trattamento opportuno o necessario per la presenza di

62 Cfr. Cass. 29 gennaio 2013, n. 4541, con nota di P. PIRAS, Consenso “più informato” se la chirurgia è estetica, in http://www.penalecontemporaneo.it, il quale manifesta dubbi sul giudizio predittivo richiesto dalla Corte di Cassazione.

63 Si tratta di una posizione ampiamente consolidata sia in dottrina che in giurisprudenza. Cfr. sul punto LALANNE e LANDI, op. cit., p. 259.

64 Così PUCELLA, Autodeterminazione e responsabilità nella relazione di cura, cit., p. 211 s., il quale richiama la giurisprudenza sul punto (nota 106).

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eventuali complicanze di improbabile verificabilità65. Secondo la giurisprudenza

più recente tale criterio deve essere “applicato restrittivamente e con estrema

prudenza”. Sicché “anche gli esiti anomali o poco probabili – se noti alla scienza

medica e non del tutto abnormi – devono essere comunicati (…) soprattutto se

non si tratti di un intervento necessario per la sopravvivenza”66.

7. Obbligo di informazione e sua autonoma rilevanza.

Con riferimento alla natura dell’obbligo informativo, le ricostruzioni

prospettate possono considerarsi espressione del progressivo riconoscimento del

carattere autonomo del dovere di informazione posto a carico del medico67 e della

crescente rilevanza acquisita dall’informazione sia nel procedimento di

formazione che nell’esecuzione del contratto di cura68.

In una fase iniziale l’attenzione si è incentrata sull’individuazione della

fonte dell’obbligo di informazione e sulla natura della responsabilità conseguente

alla sua violazione. È noto come la giurisprudenza pratica e teorica abbia al

riguardo fatto riferimento ora all’art. 1337 ora all’art. 1218 c.c., e dunque abbia

ricondotto la violazione del dovere di informazione ora nell’area extracontrattuale

ora in quella contrattuale69.65 FRANZONI, La responsabilità del medico fra diagnosi, terapia e dovere di informazione ,

in Resp. civ., 2005, p. 589; FACCI, op. ult. cit., p. 490.66 In tal senso Cass., 9 dicembre 2010, n. 24853, cit., p. 830. Tale ampliamento dell’obbligo

informativo è evidenziato anche da CILENTO, op. cit., p. 77. Cfr. sul tema anche Cass., 15 gennaio 1997, n. 364, in Foro it., 1997, I, c. 771. Sul punto v. Cass., 29 settembre 2009, n. 20806, in Resp. civ., 2010, p. 92 ss. (con nota di FANTETTI, Consenso informato e responsabilità medica), secondo la quale è dovere del medico comunicare anche “rischi minimi” che possano incidere gravemente sulla salute del paziente. In particolare la Corte sottolinea che nel caso di specie era “in gioco un bene delicatissimo, come la vita” (p. 94).

67 Sul punto cfr. PARADISO, La responsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, cit., p. 711, per il quale è necessario “rimarcare che l’informazione si configura come obbligo distinto e autonomo” e dunque “la fonte dell’obbligo di informazione è la stessa del rapporto medico-paziente, sia essa il contratto o l’obbligazione nascente ex lege”. Ad avviso dell’A. peraltro “Non sembra condivisibile (…) il riferimento alla buona fede o agli obblighi di protezione o sicurezza, caratterizzati da mera accessorietà rispetto all’obbligazione principale”.

68 PILIA, op. cit., p. 1437, secondo il quale “L’importanza dell’informazione è dimostrata, per un verso, dal riferirsi a ciascuno dei profili contenutistici della prestazione medica e, per altro verso, dallo svilupparsi durante tutte le fasi del rapporto, sin da quella preparatoria, iniziale, per proseguire con quelle successive, costitutive ed esecutive”.

69 Cfr. STANZIONE, op. cit., p. 697. Nella prima prospettiva v. per tutte Cass., 15 gennaio 1997, n. 367, in Foro it., 1997, I, c.

771, secondo la quale “L'obbligo di informazione da parte del sanitario assume rilievo nella fase precontrattuale, in cui si forma il consenso del paziente al trattamento od all'intervento, e trova

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Di recente, invero, il dibattito sembra aver perso l’iniziale vigore sul

presupposto che non debba considerarsi decisiva l’individuazione della fonte degli

obblighi informativi poiché il dovere d’informazione, trovando fondamento

nell’art. 13 Cost., “assume rilievo a prescindere dal titolo in forza del quale venga

richiesta una pronuncia di responsabilità contro il medico”70.

Per comprendere correttamente la configurazione della vicenda giuridica

relativa ai doveri informativi sembra inevitabile procedere ad una scomposizione

sequenziale di una differenziata “famiglia di obblighi”, all’interno della quale

l’obbligo alla corretta esecuzione della prestazione assume certamente un ruolo

primario ma non esclusivo poiché, accanto ad esso e in funzione collegata, si

dispone anche la serie di comportamenti ai quali il medico è chiamato allo scopo

di assicurare una puntuale e veritiera informazione del paziente in ordine ai rischi

e alle scelte che sono collegate alla prestazione medica. La quale si caratterizza,

dunque, per la coopresenza di obblighi connessi ma autonomi, che richiedono una

distinta valutazione da parte dell’interprete al fine di cogliere il rilievo che

ciascuno di essi assume nel quadro dell’articolata e complessa attività svolta dal

professionista.

fondamento nel dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto”. Sul punto v. LALANNE e LANDI, op. cit., p. 254, i quali sottolineano come “i giudici di legittimità e di merito, nell’argomentare la natura precontrattuale” dell’obbligo informativo “hanno fatto riferimento al ruolo imprescindibile rivestito dal medico nella fase di formazione del consenso del paziente, in tal senso inquadrabile nel dovere di buona fede previsto dall’art. 1337 c.c.”.

Nella seconda prospettiva cfr. Cass., 29 marzo 1976, n. 1132, secondo la quale “Il contratto d’opera professionale si conclude tra il medico ed il cliente quando il primo, su richiesta del secondo, accetta di esercitare la propria attività professionale in relazione al caso prospettatogli; che tale attività si scinde in due fasi, quella preliminare, diagnostica, basata sul rilevamento dei dati sintomatologici, e l’altra conseguente, terapeutica o d’intervento chirurgico, determinata dalla prima; che l’una e l’altra fase esistono sempre, e compongono entrambe l’ iter dell’attività professionale, costituendo perciò entrambe la complessa operazione che il medico si obbliga ad eseguire per effetto del concluso contratto di opera professionale; che, poiché solo dopo l’esaurimento della fase diagnostica sorge il dovere del chirurgo d’informare il cliente sulla natura e sugli eventuali pericoli dell’intervento operatorio risultato necessario, questo dovere d’informazione diretto ad ottenere un consapevole consenso alla prosecuzione dell’attività professionale, non può non rientrare nella complessa prestazione”. Delle due ricostruzioni la tesi della natura contrattuale ad oggi risulta nettamente prevalente. Esamina di recente il problema della fonte degli obblighi informativi nel contratto d’opera professionale UGAS, in UGAS e BANDIERA, op. cit., p. 562.

70 Così FRANZONI, Dalla colpa grave alla responsabilità professionale, cit., p. 196.

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Operata la distinzione tra doveri informativi e prestazione medico-

chirurgica in senso stretto, si è pervenuti a differenziare le situazioni che in

concreto possono verificarsi. È evidente che la valutazione circa l’esatto

adempimento dell’obbligo informativo richiede un’indagine volta ad accertare il

rispetto di tutte le condizioni necessarie ad assicurare la piena consapevolezza del

paziente in ordine al trattamento sanitario, circostanza indispensabile per una

effettiva partecipazione al processo decisionale relativo alla propria salute. Diversi

saranno gli elementi di riferimento che dovranno essere considerati per stabilire se

la prestazione sia stata eseguita correttamente, tenendo conto della condotta –

diligente, perita, prudente o meno – posta in essere dal sanitario.

Le situazioni di fatto che possono generare un’ipotesi qualificabile in

termini di inadempimento dell’obbligo di informazione, in ragione della mancata

conformazione dell’attività del medico alle prescrizioni relative alla tutela del

consenso informato, possono configurarsi sia in presenza che in assenza di una

corretta esecuzione dell’intervento e dunque di una colpa professionale del

medico nella scelta e nell’esecuzione del trattamento71.

Allorché ricorra l’ipotesi da ultimo delineata – assenza di colpa

nell’esecuzione dell’intervento e violazione dell’obbligo informativo – è possibile

configurare una pluralità di scenari connessi al diverso esito della prestazione

medica, pur correttamente eseguita72. Il trattamento, in particolare, può:

a) determinare un esito negativo per la salute del paziente;

b) non modificare la situazione pregressa73;71 In tal senso, anche di recente, Cass., 9 dicembre 2010, n. 24853, cit., p. 830, la quale

afferma “che l’inosservanza del dovere di informazione costituisce inadempimento di un obbligo del medico (e della struttura sanitaria a cui il medico afferisce) autonomo e distinto dall’obbligo di diligenza e perizia nella prestazione della cura o nell’esecuzione dell’intervento chirurgico, e che l’inosservanza di tale obbligo può costituire titolo di addebito della responsabilità per danni, anche nei casi in cui non sia ascrivibile alcuna colpa al personale sanitario (cfr. Cass., sez. III, 14.3.2006, n. 5444), qualora risulti che il danneggiato – se fosse stato adeguatamente informato – non si sarebbe sottoposto all’operazione o alla cura”.

72 Cfr. PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, cit., p. 347 s., il quale fornisce un quadro efficace “del danno derivante dalla lesione della sfera di libertà personale, nei casi di trattamento medico eseguito correttamente ma senza il preventivo consenso informato della persona”.

73 Interessante risulta la sentenza della Cass., 13 aprile 2007, n. 8826, in Resp. civ. prev., 2007, p. 1824, con nota di M. GORGONI, Le conseguenze di un intervento chirurgico rivelatosi inutile, in Giur. it., 2008, p. 63; e in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 1428, la quale afferma che si ha «risultato “anomalo” (…) non solo allorquando alla prestazione medica consegua

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c) comportare un esito positivo per la salute del paziente.

Nel pensiero che ha guidato le posizioni applicative meno recenti viene in

considerazione l’esigenza, ai fini del riconoscimento della risarcibilità del danno

da violazione del consenso informato, della individuazione di una fattispecie

complessa in forza della quale solo la coesistenza di errore medico

nell’esecuzione dell’intervento e violazione degli obblighi informativi genera una

lesione giuridicamente passibile di qualificazione in termini risarcitori74.

La successiva evoluzione ha portato a mantenere ferma la struttura logico-

giuridica della fattispecie complessa prima richiamata, tuttavia sostituendo in essa

il fatto costituito dalla esecuzione di un intervento errato75 con la conseguenza –

infausta – derivante dall’esecuzione dell’intervento76.l’aggravamento dello stato morboso o l’insorgenza di nuova patologia, ma anche quando l’esito risulti (…) caratterizzato da inalterazione rispetto alla situazione che l’intervento medico-chirurgico ha (…) reso necessario». Sul punto v. PARADISO, La responsabilità medica tra conferme giurisprudenziali e nuove aperture, cit., p. 712, il quale sottolinea come con questa decisione “coerentemente alla riconosciuta natura contrattuale della responsabilità sono stati ammessi a risarcimento non più soltanto i danni conseguenti a un esito infausto, ma anche, per la prima volta, i danni derivanti dalla lesione dell’interesse positivo dedotto in contratto: e cioè l’interesse a un miglioramento delle condizioni del paziente”.

74 Cfr. il parere del Comitato Nazionale di Bioetica del 20 giugno 1992, Informazione e consenso all’atto medico, p. 56, dove si evidenzia come “in sede civilistica l’accertamento di un errore medico sia ritenuto di significato pregiudiziale rispetto alla questione riguardante l’eventuale violazione della libertà di decisione del paziente”. Ricostruisce l’evoluzione della giurisprudenza in tema di risarcimento per violazione dell’obbligo di informazione, GUERRA, Lo «Spazio risarcitorio» per violazione del solo diritto all’autodeterminazione del paziente. Note a margine di un percorso giurisprudenziale, in Nuova giur. civ. comm., 2010, II, p. 620 ss.; FAVALE, op. cit., p. 64 ss.

75 Sul punto cfr. FRANZONI, La responsabilità del medico fra diagnosi, terapia e dovere di informazione, cit., p. 587, secondo il quale sono sempre più diffusi i casi in cui sussiste una responsabilità del medico per difetto di informazione “Non già, o non solo, per una negligenza o un’imperizia della condotta nell’esecuzione della prestazione tipica, ma per il fatto che certi effetti collaterali o un ulteriore sviluppo della malattia, seppure prevedibili ed inevitabili, non erano stati dichiarati preventivamente”. Evidenzia “la dimensione innovativa (…) della tesi che prevede la “irrilevanza della colpa tecnica ai fini del giudizio di responsabilità per violazione delle regole sul consenso informato” PUCELLA, op. cit., p. 160. Ritiene che in giurisprudenza la indipendenza del danno da lesione del diritto all’informazione da quello derivante da non corretta esecuzione della prestazione medica sia un principio ormai sedimentato GUERRA, op. cit., p. 623.

76 Nelle ipotesi di mancato consenso la responsabilità per “lesione della sfera di libertà personale” (…) “veniva affermata solo in caso di esito peggiorativo dell’intervento o quando la prestazione non fosse stata correttamete eseguita”. Così PARADISO, La responsabilità del medico: dal torto al contratto, cit., p. 347 ss.; cfr. anche DROGHETTI, La risarcibilità dei danni derivati da un trattamento medico necessario e correttamente eseguito, in difetto, però, di consenso del paziente, in Resp. civ., 2012, p. 616 ss.

Sul punto cfr. Cass., 24 settembre 1997, n. 9374, in Iuris Data, Giuffré, secondo la quale “È, in primo luogo, da rilevare che nessuna contraddizione sussiste tra l’accertata assenza di colpa in relazione all’esecuzione dell’angiografia e l’affermazione della responsabilità dell’ente universitario per il mancato adempimento del dovere di informazione nei confronti del paziente,

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Tale approccio ricostruttivo ha determinato una indubbia confusione di piani

dando luogo ad una sorta di legame strumentale tra lesione del diritto alla salute e

lesione del diritto all’autodeterminazione e ha finito col subordinare la tutela della

libertà di scelta alla sussistenza di un danno alla salute77.

Al di là della complessità della nozione di salute, gli interessi che

costituiscono oggetto di tutela nelle due ipotesi appena richiamate non sono

cui erano tenuti i sanitari dipendenti. Come è stato ritenuto da questa Corte (…) nel caso di intervento chirurgico – e lo stesso è a dirsi per un accertamento diagnostico di tipo invasivo – è necessario che il paziente dia il proprio consenso al compimento sul suo corpo degli atti operativi, con la conseguenza che sussiste la responsabilità del sanitario per eventuali danni derivanti dall’intervento effettuato in difetto di detto consenso. La mancata richiesta del consenso costituisce autonoma fonte di responsabilità qualora dall’intervento derivino effetti lesivi, o addirittura mortali per il paziente, per cui nessun rilievo può avere il fatto che l’intervento medesimo sia stato eseguito in modo corretto”. Cfr. anche Cass., 14 marzo 2006, n. 5444, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, p. 240; in Giur. it., 2007, p. 343; e in Corr. giur., 2006, p. 1243, la quale chiaramente afferma che “la correttezza o meno del trattamento (…) non assume alcun rilievo ai fini della sussistenza dell’illecito per violazione del consenso informato, in quanto è del tutto indifferente ai fini della configurazione della condotta omissiva dannosa e dell’ingiustizia del danno (…), donde la lesione della situazione giuridica del paziente inerente alla salute ed all’integrità fisica per il caso che esse, a causa dell’esecuzione del trattamento, si presentino peggiorate”. Sembra ravvisare un nesso inscindibile di dipendenza tra esito dell’intervento e violazione del dovere di informazione anche la recente sentenza della Corte di Cassazione, 20 agosto 2013, n.19220, cit., p. 275, la quale, nell’affrontare il tema della rilevanza della situazione soggettiva del paziente – un medico – rispetto all’informazione dovuta, afferma che “La responsabilità del sanitario (…) per violazione dell'obbligo del consenso informato discende a) dalla condotta omissiva tenuta in relazione all'adempimento dell'obbligo di informazione in ordine alle prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente sia sottoposto b) dal verificarsi - in conseguenza dell'esecuzione del trattamento stesso, e, quindi, in forza di un nesso di causalità con essa - di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Non assume, invece, alcuna influenza, ai fini della sussistenza dell'illecito per violazione del consenso informato, se il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno”.

77 Evidenzia al riguardo CAMPIONE, Trattamento medico eseguito lege artis in difetto di consenso: la svolta delle S.U. nella prospettiva civilistica, cit., p. 896, che la tesi secondo cui il danno alla salute dovrebbe costituire presupposto necessario per ammettere la risarcibilità del danno da violazione del consenso informato “fa perno sul seguente sillogismo: posto che il diritto del paziente di determinarsi in ordine ai trattamenti terapeutici è necessariamente strumentale alla tutela della salute, ove quest’ultimo bene non abbia riportato alcun pregiudizio in ragione dell’inadempimento degli obblighi informativi, deve ritenersi per conseguenza preclusa la possibilità di risarcire la violazione dell’autonomia decisionale, in quanto, in tal caso, si tradurrebbe in un nocumento ontologicamente trascurabile e comunque di entità economica non rilevante”. L’A., peraltro, richiama l’opposto orientamento secondo cui “il danno non patrimoniale conseguente alla lesione dell’autodeterminazione alle cure” può “essere autonomamente risarcito e liquidato secondo equità a prescindere da ulteriori pregiudizi in capo al paziente e, dunque, anche laddove l’intervento non assentito sia stato effettuato a regola d’arte ed abbia avuto esito favorevole” (p. 896 e nota 38). Propende per la tesi dell’autonoma risarcibilità del danno da violazione del diritto all’autodeterminazione, CILENTO, op. cit., p. 92, secondo cui “se il risarcimento del danno da violazione del consenso informato fosse ammesso solo in presenza anche del verificarsi di un danno alla salute, il riconoscimento dell’autonomia del diritto di autodeterminazione si

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coincidenti né inscindibilmente connessi. La tutela della salute, pur assunta in una

accezione ampia ed elastica, non assorbe in sé la tutela del diritto alla scelta

consapevole78, espressione, secondo le più accorte ricostruzioni, di quel principio

di dignità umana79 che deve essere autonomamente salvaguardato.

La Corte Costituzionale nella decisione del 23 dicembre 2008, n. 438 ha

sottolineato come “il consenso informato (…) pone in risalto la sua funzione di

sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e

quello alla salute, in quanto se è vero che ogni individuo ha il diritto ad essere

curato, egli ha altresì il diritto di ricevere le opportune informazioni (…) che

devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e

consapevole scelta del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale”80.risolverebbe in una mera affermazione di principio priva di alcuna utilità pratica per il paziente”.

78 Sul tema cfr. le ricche considerazioni svolte da ZATTI, op. cit., p. 1 ss., il quale dedica ampio spazio alla definizione di salute sottolineando “l’inviluppamento di libertà identità e salute. Il bene salute diviene, per così dire, incardinato nella libertà di disporre di sé – cioè della propria persona negli aspetti fisico, mentale e sociale che ne costituiscono il benessere conseguibile in circostanze date” (p. 4 s.). L’A. tuttavia chiarisce che bisogna evitare “i rischi dell’inviluppamento” fuggendo “la tentazione, cioè, di inferire dalla premessa, secondo cui la libertà dell’art.13 Cost. è anzitutto libertà di disporre del proprio corpo, e dall’ulteriore premessa che in queste scelte l’individuo «mette in discussione l’idea stessa che (…) ha di sé stesso e delle proprie aspettative di vita» (Trib. Milano), la conseguenza per cui ogni lesione inferta, nel rapporto medico-paziente, ad uno di questi valori si risolve in lesione della salute in quanto piena euritmia dell’unità corpo mente” (p. 7). Prosegue l’A. chiarendo che una “operazione del genere potrebbe certo favorire la risarcibilità e la quantificazione del danno, ma farebbe della salute un black hole in cui tutti i valori della persona sono assorbiti”. Il ragionamento è sviluppato dall’A. sullo spunto della nota sentenza del Tribunale di Milano del 14 maggio 1998, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 92 ss., secondo la quale l’intervento medico eseguito in mancanza del consenso della paziente è stato ritenuto illecito ex art. 2043 e lesivo sia del diritto all’autodeterminazione che del diritto alla salute.

79 In tal senso v. C. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 84, che nell’affermare chiaramente come, in caso di violazione del consenso informato, il bene tutelato “sia la dignità” e non “la salute” richiama i passaggi salienti sul punto della sentenza del Tribunale di Genova del 10 gennaio 2006, in Danno e resp., 2006, p. 537, ritenendola “assai persuasiva”.

Sul tema cfr. PUCELLA, op. cit., p. 32 s., il quale chiarisce che la “difesa del diritto a consentire interventi medici sulla propria persona è altra cosa – protegge altri valori – rispetto alla mera intangibilità del corpo e alla tutela della salute”; il ragionamento si svolge sottolineando come vada ripensata la stessa nozione di salute che deve essere intesa “nell’accezione ampia di benessere fisico e psichico della persona”. Afferma che “l’autodeterminazione è un bene giuridico diverso dalla salute” PASQUINO, Consenso e rifiuto nei trattamenti sanitari: profili risarcitori, cit., p. 168, la quale evidenzia che “Già da tempo una avveduta giurisprudenza ha rilevato come (…) sia possibile individuare due diverse e distinte posizioni di tutela del paziente: l’una rappresentata dal diritto all’autodeterminazione, l’altra, costituita dal diritto alla salute”; Cfr., anche, GORGONI, op. cit., p. 194, il quale ritiene che “più che di distinzione tra salute e autodeterminazione è più appropriato parlare di rapporto tra esse, nel senso che la prima si incardina nella seconda”.

80 La sentenza può essere letta in Giur. cost., 2008, p. 4952. La Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 3 della l. reg. Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 (Norme in

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Questa posizione, ormai acquisita e ribadita dalla giurisprudenza più

avveduta81, ha condotto a riflettere criticamente sulla tesi che esclude un danno

risarcibile qualora non sia ravvisabile un mutamento, in senso peggiorativo, dello

stato di salute del paziente.

La carenza informativa, determinando l’impossibilità per il paziente di

operare in piena libertà e consapevolezza, può essere suscettibile,

indipendentemente dalla corretta esecuzione del trattamento medico-chirurgico e

dall’esito dell’intervento, di una autonoma valutazione82.

Il principio sembra trovare conferma nella sentenza della Corte di

Cassazione del 9 febbraio 2010, n. 2847, che chiaramente evidenzia come “la

mancanza del consenso può assumere rilievo a fini risarcitori, benché non sussista

lesione alla salute (…) o se la lesione della salute non sia causalmente

ricollegabile alla lesione di quel diritto, quante volte siano configurabili

conseguenze pregiudizievoli (di apprezzabile gravità, se integranti un danno non

patrimoniale) che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale

materia di uso di sostanze psicotiche su bambini ed adolescenti) sul presupposto che “il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale”.

81 Cfr. di recente Cass., 9 ottobre 2012, n. 17138, in De jure, Giuffrè, nella quale si accoglie il secondo motivo di ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento del 26 gennaio 2010 con cui si deduce “Omessa o insufficiente motivazione della sentenza circa il mancato esame della violazione dell’informativa e del consenso (…)” e si “lamenta che i giudici non hanno motivato sulle ragioni dell’assorbimento della doglianza di violazione dei diritti fondamentali di libertà e autodeterminazione nel sottoporsi ad inteventi sul proprio corpo non essendo stato il paziente informato né sulla portata dell’intervento di frenulotomia, né sui rischi e difficoltà, né del decorso della convalescenza”. La Corte di Cassazione precisa che il paziente “aveva il diritto prima della recisione del frenulo prepuziale” di essere adeguatamente informato per cui in mancanza di una adeguata consapevolezza circa gli esiti dell’intervento aveva “diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per la lesione dei suoi diritti e non soltanto quello della salute come avvenuto nel caso di specie”.

82 FRANZONI, Dalla colpa grave alla responsabilità professionale, cit., p. 205, per il quale “proprio perché l’autodeterminazione non si identifica con il diritto alla salute, non è certo che la mancanza di un danno alla salute escluda di per sé ogni tutela alla lesione del primo diritto”. L’A. cita, a tal riguardo, la Cassazione del 9 febbraio 2010, n. 2847 nella nota 34 a p. 206. Cfr. BELLELLI, Disposizioni di fine vita e disposizioni anticipate di trattamento, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 86, la quale richiama l’orientamento giurisprudenziale che configura la responsabilità per violazione del consenso informato “a prescindere dalla valutazione della condotta professionale del sanitario nell’esecuzione della prestazione ed anche se il risultato ottenuto non sia lesivo della salute”. Esamina la posizione della giurisprudenza che subordina il risarcimento del danno da violazione del consenso informato alla sussistenza di un danno alla salute e quella secondo cui il risarcimento deve essere ammesso “a prescindere dagli esiti ottenuti tramite l’intervento” MIGHELA, op. cit., p. 910 ss. Sulle tesi elaborate in ordine alla autonoma risarcibilità del danno per violazione del consenso informato GUERRA, op. cit., p. 617 ss.

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all’autodeterminazione in se stesso considerato”83. Diritto alla salute e diritto alla

autodeterminazione sono dunque diritti diversi, come può agevolmente cogliersi

nei casi in cui vi sia lesione del diritto alla autodeterminazione ma non quella del

diritto alla salute, ipotesi che ricorre “quando manchi il consenso ma l’intervento

terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo”.

83 La sentenza può leggersi in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 783 ss., con nota di CACACE «I danni da (mancato) consenso informato»; e di A. SCACCHI, «La responsabilità del medico per omessa informazione nel caso di corretta esecuzione dell’intervento non autorizzato». La Corte precisa “che secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. da 26972 a 26974 del 2008” il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del difetto di informazione potrà essere riconosciuto purché il diritto sia stato “inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e tolleranza”. Analizza la sentenza e sottolinea come “l’autonomia del diritto all’autodeterminazione “in se stesso considerato” sia “declamata con forza”, PUCELLA, op. cit., p. 108.

Per una recente analisi del danno alla persona per violazione del consenso informato e per una valutazione delle conseguenze sul piano risarcitorio PASQUINO, Consenso e rifiuto nei trattamenti sanitari: profili risarcitori, cit., p. 168 ss.; cfr. inoltre FANTETTI, Diritto di autodeterminazione e danno esistenziale alla luce della recente pronuncia delle S.U. della Cassazione, in Resp. civ., 2009, p. 75 ss.; PUCELLA, op. cit., p. 153 ss.; BUSI, «La violazione del diritto all’autodeterminazione terapeutica: il danno risarcibile, i soggetti responsabili», in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, p. 753 ss. (nota a Trib. Torino, 18 gennaio 2010, ivi, p. 744); sul rapporto tra diritto alla salute e autodeterminazione cfr. anche GORGONI, Il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione nella responsabilità medica, in Obbl. e contr., 2011, p. 191 ss.